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80005 CONTRIBUTI DI: M. Albrizio A. Amato M. Berton M. Midulla R. Moneta G. Onufrio P. Pelizzaro A. Poggio A. Radice D. Righini D. Sabbadin K-L. Schibel E. Zanchini G. B. Zorzoli POSTE ITALIANE S.p.A. Sped. Abb. postale 70% CN/AN BIMESTRALE DI LEGAMBIENTE novembre/dicembre 2018 Anno XVI Numero 5 euro 7,00 FOCUS CLIMA. DOPO IL REPORT DELL’IPCC NON SI PUÒ PIÙ PERDERE UN INSTANTE. BISOGNA INTERVENIRE OGGI, IN TUTTE LE DIREZIONI. NESSUNA ESCLUSA. La grande cecità Cambiamenti climatici: politica assente, media impreparati 9 771590 019000

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CONTRIBUTI DI:M. Albrizio

A. Amato

M. Berton

M. Midulla

R. Moneta

G. Onufrio

P. Pelizzaro

A. Poggio

A. Radice

D. Righini

D. Sabbadin

K-L. Schibel

E. Zanchini

G. B. Zorzoli

POSTE ITALIANE S.p.A. Sped. Abb. postale 70% CN/AN

BIMESTR ALE DI LEGAMBIENTEnovembre/dicembre 2018 Anno XVI Numero 5 euro 7,00

FOCUS CLIMA. DOPO IL REPORT DELL’IPCC NON SI PUÒ PIÙ PERDERE UN INSTANTE. BISOGNA INTERVENIRE OGGI, IN TUTTE LE DIREZIONI. NESSUNA ESCLUSA.

La grande cecitàCambiamenti climatici:

politica assente, media impreparati

9 771590 019000

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novembre/dicembre 2018

sommario novembre/dicembre 2018

È PROMOSSA DA

argomenti

5 editoriale

La grande cecità di Gianni Silvestrini

32 società

Elettroni poveri di Anna Amato, Alessandro Federici,

Roberto Moneta

34 progetti

Elettroni mobili di Sergio Ferraris

36 esperienze Movimento solare di Andrea Poggio

38 efficienza Acqua cogenerata di Alberto Radice

40 geotermia Lazio geotermico di Diego Righini

42 consumi Etichetta confusa di Davide Sabbadin

46 termico Calore, freddo, rinnovabili di Marino Berton

109 aziende/1 Misurare il vento di Sergio Ferraris

113 qualenergia.it

Accumulo democratico a cura della Redazione di QualEnergia.it

La gerenza in questo numero è a pag. 111

rubriche

8 Immagini d’energia a cura di Sergio Ferraris

10 Mattioli & Scalia di Gianni Mattioli

e Massimo Scalia

15 Il punto del Cigno a cura di Legambiente

17 Controcorrente 2.0 di Agostino Re Rebaudengo

19 Lifestyle di Karl-Ludwig Schibel

21 Un mondo diverso di Guido Viale

23 Geotermia e territorio di Sergio Chiacchella

25 In movimento di Anna Donati

27 Africa sostenibile di Gianfranco Bologna

29 Sostenibilità possibile di Gianfranco Bologna

107 Aziende news a cura di Sergio Ferraris

114 Comunicare l’energia di Sergio Ferraris

FOTO: © NASA

57 Focus CLIMA58 imprese Gemelli diversi di Edoardo Zanchini

62 governance Governo mobile di Andrea Poggio

64 prospettive Efficienza rinnovabile di G.B. Zorzoli

78 strategie Un piano per il clima di Mariagrazia Midulla

88 cop Mezzo grado di differenza di Mauro Albrizio

92 enti locali Clima locale di Karl-Ludwig Schibel

98 mobilità Auto per il clima di Giuseppe Onufrio

102 adattamento Resilienza climatica di Piero Pelizzaro, Ilaria Giuliani,

Francesca Bugnoni, Lucy Kojakian

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di Gianni Silvestrini

Editoriale

La grande cecità

Mondo politico e media sono sempre più impreparati alle nuove e urgenti sfide imposte dai cambiamenti climatici

È paradossale e preoccupante l’assenza della politica di fronte ai disastri che si manifestano con crescente intensità colpendo la Cali-fornia, il Veneto e la Sicilia. Da un lato, parliamo del totale disconoscimento da parte della Casa Bianca e, dall’altro, della sottovalutazione del nostro Governo delle connessioni esistenti tra il riscaldamento del Pianeta per opera dell’uomo e gli incendi, gli uragani, le bombe d’acqua e le stragi di alberi che stanno pericolo-samente aumentando. Questa incomprensione ha una dimensione più ampia. Con efficacia, il grande scrittore indiano Amitav Ghosh mette sotto accusa la politica e anche la cultura. «In un mondo in cui l’innalzamento del livello dei mari avrà inghiot-tito città come New York e Bangkok, i lettori e i frequentatori di musei si rivolgeranno all’arte e alla letteratura della nostra epoca cercandovi innanzitutto tracce e segni premonitori del mondo alterato che avranno ricevuto in eredità. E non trovandone, cosa potranno, cosa dovranno fare, se non concludere che nella nostra epoca arte e letteratura venivano praticate perlopiù in modo da nascondere la realtà cui si andava incontro? E allora questa nostra epoca, così fiera della propria consapevolezza, sarà definita l’epoca della Grande Cecità». Non possiamo che testimoniare lo scarso spazio dedicato a questi temi da parte dei media in Italia, mentre alcuni importanti giornali e tv estere ne parlano, seppure in modo inadeguato. E, purtroppo, la stessa sottovalu-tazione riguarda, ed è ben più grave, larga parte del nostro mondo politico attuale e quello degli anni passati. Partiamo ora dall’analisi dei risultati in termini di emissioni della Ue, per capire se siamo sulla strada giusta.

Europa schizofrenica sul clima: dopo un rallentamento ora punta in altoUn impulso ad accelerare le politiche climatiche è venuto dall’ultimo rapporto Ipcc sugli scenari 1,5 °C. Considerata poi l’evoluzione delle emissioni globali di CO

2 che,

dopo un biennio di stabilizzazione, hanno ripreso a crescere nel 2017 e nel 2018, si dovrebbe riflettere sull’inadeguatezza delle politiche di molti Paesi. E questo mentre, ricordiamolo, per stare sotto l’aumento di 1,5 °C bisognerebbe azzerare la produ-zione di gas climalteranti entro 30-40 anni. In questo quadro, come si sta compor-tando l’Unione Europea? Se esaminassimo l’andamento delle emissioni climalteranti, rispetto al target di riduzione del 20% al 2020, il nostro Continente sembrerebbe assolutamente sulla buona strada. Lo scorso anno le emissioni sono state inferiori del 21,9% rispetto al livello del 1990.

Questi risultati vanno però interpretati per capire se il percorso di riduzione è adeguato, anche in vista degli obiettivi molto più ambiziosi che ci aspettano nei prossimi decenni. Osserviamo innanzitutto che l’impegno di riduzione ha visto recen-temente una battuta d’arresto. Tra il 2014 e il 2017 i gas climalteranti sono aumentati di 0,6%, principalmente a causa del forte incremento delle emissioni dei trasporti, +6,3%. Inoltre, in questo ventennio si sono verificate due situazioni anomale. I traumi seguiti all’abbattimento del muro di Berlino con il collasso del sistema industriale della Ddr, hanno comportato un forte calo delle emissioni tedesche tra il 1990 e il 1992. Un altro elemento perturbante si è avuto con la crisi finanziaria del 2007/2008 che ha colpito tutti i Paesi, tanto che nel solo 2009 le emissioni europee si sono ridotte del 7%. Ma c’è una componente più di fondo da considerare per una valutazione corretta dei risultati. Parliamo delle emissioni legate all’import-export dei beni, che vedono una quota importante legata alle importazioni dalla Cina.

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Per esempio, è vero che il Regno Unito ha visto una riduzione del 27% tra il 1990 e il 2014, ma includendo nel conteggio l’anidride carbonica dei beni importati, il calo si riduce all’11%. Fatte queste osservazioni, va riconosciuto il ruolo decisivo dell’Europa nel favorire il decollo delle rinnovabili sulla scena mondiale. Come va evidenziato il ritardo sull’auto elettrica e sui sistemi di accumulo, dovuto all’azione frenante dell’industria automobili-stica. In effetti, negli ultimi anni la Ue sembrava aver perso slancio sul fronte climatico rispetto a una Cina in prima fila sugli investimenti “green”, ma alcune recenti decisioni fanno sperare bene.

Dopo l’ultimo rapporto Ipcc sugli scenari 1,5 °C, il Parlamento Europeo ha appro-vato in seduta plenaria una risoluzione per chiedere di alzare dal 40 al 55% l’obiettivo di riduzione delle emissioni climalteranti al 2030 rispetto ai livelli del 1990. Le decisioni su rinnovabili ed efficienza (32% e 32,5%) già comportavano, di fatto, un aumento del taglio concordato delle emissioni, ma dopo la risoluzione del Parlamento è probabile una mediazione con la Commissione e gli Stati membri che consenta di arrivare ad un impegno per un dimezzamento delle emissioni alla fine del prossimo decennio.

Ma non è tutto. Nella stessa seduta prima richiamata, il Parlamento Europeo ha chiesto che il documento sugli scenari di decarbonizzzazione in via di completamento da parte della Commissione preveda il raggiungimento di un’economia a emissioni nette zero al massimo entro il 2050. Con le ultime mosse l’Europa sembra quindi voler ripren-dere un ruolo di punta nella lotta climatica. Ma non sarà una passeggiata. È chiaro che servirà un deciso salto di qualità. Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente (Aee), anche se fossero messe in atto tutte le politiche ipotizzate finora dai vari governi, la riduzione delle emissioni nel 2030 sarebbe solo del 32%. Sempre secondo la Aee, per raggiungere il target 2030 occorrerebbe una riduzione media annua di 79 Mt CO

2eq, mentre con gli interventi

esistenti e quelli programmati il taglio sarebbe la metà di quanto necessario. E attenzione, questi dati si riferiscono all’attuale obiettivo del -40% al 2030. Se questo, com’è altamente probabile, venisse innalzato la sfida sarebbe ancora più ardua. In sostanza, a fronte di un contesto sempre più allarmante dimostrato dagli eventi estremi in tutto il mondo, non basterà incrementare in maniera lineare alcune iniziative di riduzione, ma si dovrà predisporre una strategia a tutto campo per decarbonizzare le economie. Solo qualche Paese sembra aver compreso la portata della sfida ed ha definito adeguate politiche di risposta. Non certamente l’Italia dove questa problematica è assente dalla discussione e dalle scelte politiche. Non si capisce cioè che quella climatica non è solo una questione ambientale ma riguarda la riconversione profonda dell’economia.

Sono in arrivo rapide trasformazioni che coinvolgeranno tutti i settori - dall’energia ai trasporti, dall’edilizia all’agricoltura – con percorsi che potranno rappresentare un’op-portunità oppure una minaccia. Alcune realtà industriali di grande, piccola e media dimensione – pensiamo all’Enel, a Novamont, a Loccioni, ma anche ad aziende che prati-cano l’agro-ecologia, a start-up innovative - sembrano aver compreso l’entità della sfida e guidano la trasformazione. Come ci ricorda il recente rapporto di Symbola, sono ben 345 mila le imprese italiane, con tre milioni di occupati, che hanno investito o prevedono di investire in prodotti e tecnologie green. Dunque esiste una base interessante su cui lavorare. Manca la capacità di fare sistema e non emerge un chiaro indirizzo politico. Due limiti gravi, considerando le prospettive interessanti che si stanno aprendo. Secondo Solar Power Europe, l’avvio di un’attiva politica industriale fotovoltaica nella Ue consentirebbe di far passare il numero degli addetti diretti e indiretti nel fotovoltaico dagli attuali 120 mila a 300 mila e un duplicazione degli occupati sarebbe possibile anche nel comparto eolico che vede oggi  263 mila addetti.

In effetti, anche i segnali che arrivano sul fronte delle “disruptive technologies” in campo climatico continuano a essere incoraggianti. Nei primi otto mesi di quest’anno le

Editoriale

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vendite di auto elettriche (1,1 milioni) sono cresciute del 69% rispetto allo stesso periodo del 2017. Le quotazioni dei moduli fotovoltaici nel 2018 hanno registrato un calo del 20%. In Germania, la danese Ørsted ha vinto un’asta per realizzare 420 MW eolici nel Mare del Nord senza chiedere incentivi. Obiettivi ambiziosi al 2030 per rinnovabili, efficienza e mobilità, accompagnati da prezzi decrescenti delle varie tecnologie: questo l’abbina-mento “magico” che potrebbe far ripartire anche in Italia interi comparti con investimenti “climatici” compresi tra 50 e 100 miliardi entro la fine del prossimo decennio. Un chiari-mento sulle strategie future verrà dal Programma Clima Energia che definirà gli scenari di decarbonizzazione del Paese al 2030 e 2050. Questo documento, previsto dall’Accordo di Parigi sul Clima, sollecita ambiziose politiche di riduzione delle emissioni.

Insomma, siamo in una fase cruciale che potrebbe e dovrebbe orientare le politiche future in molti comparti dell’e-conomia. Su questi temi talloneremo il Governo, sollecitando un deciso cambio di marcia già nel 2019.

Migranti e il ruolo del cambiamento climaticoTutti i media stanno parlando della colonna di disperati che dall’America Centrale sta avanzando, cercando di trovare ospi-talità e lavoro negli Usa. Nei loro Paesi la violenza è quotidiana, ma una delle ragioni che inducono le famiglie ad abbandonare le proprie case viene dall’instabilità climatica che negli ultimi quattro anni ha portato siccità accompagnata da alluvioni e uragani. Secondo la Banca Mondiale l’aumento delle tempera-ture e dei fenomeni estremi nei prossimi trent’anni potrebbe comportare un flusso di quasi quattro milioni di migranti climatici da quelle zone. E il fenomeno, chiaramente, riguarda molti altri Paesi. La Fao ha stimato che nel 2015 ci sono stati 244 milioni di migranti che hanno varcato le frontiere nazionali, il 40% in più rispetto al 2000. Secondo questo rapporto, sono ben 26 milioni le persone annualmente sono costrette a spostarsi a causa di fenomeni estremi e cambiamenti del clima.

Insomma, il mondo è in movimento, com’è sempre avvenuto ma oggi con numeri enormi. Un miliardo di persone, secondo le Nazioni Unite, attualmente possono essere classificate come “migranti” che lasciano le proprie abitazioni per violenze, fame, feno-meni climatici. Un quarto di queste sono fuggite dai confini della propria nazione. Di fronte a fenomeni epocali di queste dimensioni, occorre una riflessione che consenta di definire modalità di gestione adeguate. Proprio per questo, le Nazioni Unite si sono mosse negli ultimi anni per delineare il quadro di un accordo internazionale, il “Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration” che verrà discusso a dicembre a Marrakech dai rappresentanti di tutti i paesi.

Focalizzando infine l’attenzione sull’emergenza climatica, strettamente legata ai fenomeni migratori, pensiamo che occorra un salto di qualità nel nostro Paese, non solo nella definizione di serie politiche di riduzione delle emissioni ma anche di difesa dai fenomeni estremi e di accoglienza. Terminiamo con una citazione che fa da contraltare a quella di Ghosh riportata all’inizio dell’editoriale. Lo scorso 9 novembre Paolo Rumiz ha scritto su “la Repubblica” un articolo di riflessione sulla devastazione che ha distrutto i boschi piantati proprio sui luoghi che avevano visto i combattimenti del primo conflitto mondiale terminato cento anni fa. «Quando arriverà la tempesta perfetta, il saccheggio sarà compiuto e la grande fuga dei popoli diverrà inarrestabile, forse ripenseremo a chi aveva additato quattro barconi di esiliati per gridare all’invasione. E coprire per l’ultima volta gli autori della Grande Rapina».

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Immaginid’energia

a cura di Sergio Ferraris

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Clima all’attaccoSono anni che proviamo a spiegare che i cambia-menti climatici in atto avrebbero aumentato il nume-ro e la potenza di fenomeni meteorologici estremi. Anche alle nostre latitudini. Ugualmente l’Ipcc – che sul tema è giustamente molto prudente (mai confon-dere meteo e clima) inizia a considerare come prove il numero sempre più frequente di alluvioni, tifoni o, al contrario, periodi prolungati di siccità come effetti dei cambiamenti climatici globali.

Intendiamoci, quello che è successo nelle ul-time settimane in Italia, da Trento ad Agrigento, con le tragedie in Veneto e a Casteldaccia è innanzitutto dovuto alla mancata cura del territorio, al consumo di suolo sempre più cementificato, all’abusivismo sempre tollerato e ripetutamente condonato (anche di recente). Raffiche impetuose di vento che sradi-cano gli alberi e li fanno letteralmente volare (vedi foto), precipitazioni intense tali da scaricare a terra in poco tempo la quantità di acqua che “normal-mente” cadrebbe in un’intera stagione sono fenome-ni che purtroppo e sempre più spesso colpiscono i nostri territori.

È indispensabile che, insieme a un radicale cambiamento di rotta sul consumo di suolo (quando deciderà il Parlamento di approvare la legge di cui si discute da più legislature?), sulla lotta all’abusivismo (anche se il recente condono per le zone terremotate di Ischia e dell’Italia centrale va in direzione opposta a ciò che servirebbe), sulle misure per combattere il dissesto idrogeologico (mettendo da parte prudenze e titubanze nello spendere soldi per la prevenzione piuttosto che per riparare i danni ex-post), il Piano Energia e Clima che il Governo a breve presenterà all’Europa sia ambizioso negli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra per contribuire seria-mente allo sforzo globale sul tema, e che preveda strumenti concreti per perseguire quei target che altrimenti resterebbero lettera morta. E non ce lo possiamo più permettere.

Francesco Ferrante Vicepresidente Kyoto Club

Gli effetti del vento in località Stalimen a Predazzo (Trento) il pomeriggio

di martedì 30 ottobre 2018. Foto: cortesia Graziano Melis, contattato

attraverso Graziano Morandini di www.valledifiemme.it

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di Gianni Mattioli

e Massimo Scalia

Mattioli&Scalia

Ecologia ed economia

Un modello di “stato stazionario” globale che “accoppia” economia ed ecologia è necessario per la sostenibilità

L’attenzione generale, e anche quella degli ambientalisti, è stata at-tratta dalla sintesi predisposta dall’Ipcc per contenere il global war-ming entro 1,5 °C e approvata dai governi a ottobre 2018. La correttezza delle analisi e delle proposte è di aiuto ai decisori politici ma per noi, che ripetiamo da tempo: «I buoi sono scappati dalla stalla», rispetto al passaggio all’instabilità climatica e alle sue conseguenze il problema è ridotto all’osso: «Tutti facciano quel che sanno di dover fare – governi, istituzioni, mondo produttivo, cittadini, scuola, università, ricerca – incalzati dall’incessante pressione che quotidianamente gli stakeholders esercitano perché ognuno al suo livello di responsabilità faccia, appunto, quel che va fatto». Nell’urgenza dell’azione resta uno spazio di riflessione su come cambiare quel che ci ha condotto a questo punto e un angolo di speculazione teorica su un tema non secondario nel determinare la situazione presente: la sordità avvilente del mondo dell’Economia, non solo dei business men ma dei modelli e delle teorie econo-miche, rispetto alla gravità della crisi ambientale e alla stringente necessità di tenere insieme Economia ed Ecologia. Un nesso che è stato ignorato non solo, ovviamente, dal mainstream monetarista ma anche da Economisti di maggior sensibilità; unica eccezione, per il risalto internazionale e per l’efficacia politica, il rapporto “Stern” del 2006. Una critica da noi avanzata più volte, anche accennando a un modello di “stato stazionario” globale che “accoppiasse” Economia ed Ecologia nella prospettiva della sostenibilità. Quanto alla crisi economica, che ha così pesantemente inciso in questi anni a livello mondiale nella carne delle società, sarebbe davvero improprio parlare di ripresa alle porte: è una grave crisi di sovrapproduzione, le altre due nel secolo scorso sono state “risolte” con le due guerre mondiali, e le previsioni al 2023 del Fon-do Monetario Internazionale, che riportavamo nella rubrica precedente, stimano per le economie di tutto il Mondo una forte riduzione dei tassi di crescita del Pil rispetto ai livelli ante 2007 e addirittura un dimezzamento per le aree geo-economiche “avan-zate”, Eurozona inclusa.

Quanto alla “sordità” non fanno eccezione teorie economiche innovative, come quelle dei “Meteorologisti”, i quali mutuano linguaggio e strumenti scientifici delle previsioni meteo e, pur criticando nettamente la separazione tra Economia e Finanza ipocritamente predicata dal mainstream, ignorano il precipitare della crisi ambientale. Introducono due variabili basate su metriche che non fanno riferimento né alla moneta né al reddito: “Fitness” e “Complexity”, dove Fitness è una misura della competitività economica dei Paesi e Complexity è il livello di sofisticazione raggiunto dai prodotti; e poiché anche nel nostro modello faremo intervenire queste due va-riabili è opportuno dare un’occhiata ai “diagrammi di fase” con i quali i Meteorologi-sti rappresentano l’evoluzione nel breve termine delle varie economie nazionali. Le “previsioni meteo” sull’economia usano il linguaggio della fluidodinamica – regime laminare, regime caotico – e le rappresentazioni tipiche dell’analisi dei sistemi dina-mici in due dimensioni, vedi Fig.1 a) e b).

I tratti di linea continua in Fig. 1 b) rappresentano i percorsi previsti nel tempo per ogni Paese, ma, nel complesso, le “previsioni meteo” non forniscono una risposta adeguata al tema di un’economia sostenibile rispetto alla crisi ambientale.

In conclusione, tutti i modelli economici, anche i più critici e innovativi, manten-gono separata l’Economia dall’Ecologia; al contrario, la concomitanza e la durata delle due crisi esigerebbero teorie e modelli che associno variabili ecologiche ed econo-

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miche per fornire un modello di stato staziona-rio nella prospettiva di una sostenibilità globale. Non è davvero una novità, basta menzionare le teorie di “steady state” proposte negli anni Set-tanta da Nicholas Georgescu-Rӧgen e Herman Daly, ma può essere utile affrontare il problema con altri strumenti scientifici e sottolineare da subito che uno “steady state” è sostanzialmente un punto fisso nel “diagramma di fase”, mentre con “stato stazionario” ci si riferisce a un’evolu-zione che si ripete nel tempo con le stesse caratteri-stiche – come in prima ma buona approssimazio-ne è il moto della Terra attorno al Sole – e quindi una struttura più complessa e versatile.

Una rappresentazione dell’economia come sistema dinamico non lineare in due di-mensioni, fu realizzata cinquant’anni fa, da Richard Goodwin, applicando all’Economia il modello che Alfred J. Lotka e Vito Volterra pro-posero negli anni Venti per il ciclo di due popola-zioni in competizione: predatore-preda. Un mo-dello matematico di applicazione ampia – Dinamica delle Popolazioni, Biologia, Biofisica, Epidemiologia, Chimica e, in particolare, Economia – nel quale al “ciclo” sono associate le oscillazioni tra un minimo e un massimo delle due variabili, la cui esistenza è preservata in quanto i minimi sono sempre maggiori di zero.

Sull’uso dei termini “ciclo”, “anti-ciclico” o “pro-ciclico” da parte di molti Econo-misti bisogna intendersi: non tutte le oscillazioni tra minimi e massimi delle variabili economiche hanno un carattere periodico, perché in generale esse cambiano proprio

FIGURA 1

Fonte: http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0117174

a) Una mappa a più alta risoluzione della dinamica evidenzia i due regimi di evoluzione dei Paesi nel piano individuato dalla coppia Fitness-Pil. Nella regione “laminare” Fitness è la forza guida della crescita ed è l’unico parametro rilevante a caratterizzare la dinamica dei Paesi. La loro evoluzione è altamente prevedibile, non così nella regione “caotica”. Nel regime laminare ci sono due differenti modelli di evoluzione, quello per le economie emergenti e quello per le economie sviluppate; b) un’interpolazione a grana più grossa illustra meglio i due diversi regimi di prevedibilità.

popo

lazi

one

tempo prede predatori

FIGURA 2

L’evoluzione nel tempo delle due popolazioni, “prede” e “predatori” è rappresentato da due funzioni periodiche, tipo seno o coseno; lo spostamento dei massimi della curva rossa rispetto alla nera è dovuto al fatto che i predatori si sono potuti giovare del picco di popolazione delle prede, prima di risentire del loro calo.

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ampiezza e periodo, che invece la periodicità esige costanti indefinitamente nel tempo. Niente periodicità, nessun “ciclo” economico può essere associato a quelle oscillazioni. Il ciclo è un’orbita chiusa nel piano, ognuno dei suoi punti rappresenta uno stato del sistema: partendo da un qualunque stato iniziale e percorrendo il ciclo a quello stato si ritorna.

I “diagrammi di fase” del modello economico di Goodwin sono indistinguibili da quelli, assai noti, del modello di Lotka-Volterra, solo le variabili sono diverse: basta sostituire ai predatori e alle prede, rispettivamente, la “parte di prodotto del lavoratore” – una variabile associate alla variazione del salario – e il “tasso di occupati” (vedi Fig. 3). I lavoratori occupati hanno, insomma, il ruolo di predatori, perché le paghe riducono i profitti e quindi gli investimenti, e questo genera una diminuzione dell’occupazione; per questo il modello è noto anche come “modello della lotta di classe”.

Il punto intorno al quale “girano” tutte le orbite del diagramma di fase è un punto d’equilibrio per il sistema di equazioni differenziali non lineari che definiscono il sistema dinamico. “Localmente”, cioè vicino a quel punto, le orbite sono delle ellissi, mentre “in grande” si discostano sensibilmente da quella forma, come mostrato da Fig. 3. Come stato iniziale di ogni ciclo può essere scelto un qualunque punto (q

0, p

0), determinato all’istante,

arbitrario, da cui comincia l’osservazione del sistema.Il modello, sia nella versione “ecologica” di Lotka-Volterra che in quella economica

di Goodwin, ha un ben riposto carattere Hamiltoniano: esiste una funzione H = H(q, p) delle due variabili che si mantiene costante durante l’evoluzione temporale del sistema, il “moto”. Il suo significato, in analogia con la Fisica classica dove il formalismo hamilto-niano è nato, è quello di “energia”, cioè delle risorse che servono per sostenere quell’e-

voluzione, un ben determinato ciclo. Il valore numerico dell’energia è l’area racchiusa da quel ciclo.

Il modello di Goodwin è stato il primo a combinare comportamenti ciclici e crescita economica; i cicli emer-gono spontaneamente dal modello e non sono effetto di shock impartiti al sistema, come pretende la maggior par-te dei modelli macro-economici.

Per ogni ciclo l’“energia” ha un valore costante, ma se si percorre N volte lo stesso ciclo, l’energia richiesta sarà N volte quel valore, peggio se la curva non è chiusa ma spiraleggia verso l’esterno come in un modello di crescita illimitata. Poiché tutte le risorse naturali che forniscono energia al sistema – fonti fossili, minerali, materiali grezzi, suolo, biomasse – hanno carattere limitato tranne l’ener-gia solare, un modello ecologico-economico sostenibile – un modello di “stato stazionario” – deve soddisfare il noto vincolo per cui nel ciclo la velocità di consumo di ogni risorsa naturale sia inferiore alla velocità della sua ripro-duzione o tenga conto della disponibilità di quella risorsa per pianificare il suo consumo e dar tempo alla scienza e alla tecnologia di trovare sostituti sostenibili.

Nella costruzione del modello di stato stazionario ci rifacciamo al modello generalizzato di Volterra, cioè quello esteso a più coppie di variabili, a due a due del tipo predatore-preda, trascritto nel formalismo hamilto-niano. Per un sistema hamiltoniano a N coppie “preda-tore-preda” – N è detto numero di “gradi di libertà” del sistema – si dimostra che esistono, oltre all’energia, altre

Mattioli&Scalia

0 1 2 3 4

0

1

2

3

4

q

p

FIGURA 3

Tratta da S. Baigent, http://www.ucl.ac.uk/~ucess29/LTCC_LV2010.pdf

Diagramma di fase sia del modello di Lotka-Volterra che di quello di Goodwin: nel primo caso q e p rappresentano, rispettivamente, il numero di prede e di predatori; nel secondo caso rappresentano, rispettivamente, la percentuale di occupati e la parte di prodotto dei lavoratori (i salari).

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N – 1 costanti del “moto”, quelle che in Meccanica classica sono note come “azioni”, storicamente denotate con J

i , i = 1, .. , N – 1; la speranza è che questo quadro possa con-

durre a una risoluzione del problema, o in quanto le costanti “commutano” tra di loro nel senso richiesto dal formalismo o per applicazione di teoremi generali propri della teoria hamiltoniana.

Uno stato del sistema è un 2n-pla di variabili (q1, .. , q

n; p

1, .. , p

n), ma perché il sistema

possa essere definito hamiltoniano in ogni coppia (qi, p

i), con i = 1, .. , n, p

i deve essere “co-

niugata” qi per mezzo della funzione H (q

1, .. , q

n; p

1, .. , p

n). Ecco allora il nocciolo del carat-

tere hamiltoniano delle equazioni alla base dei modelli di Lotka-Volterra e di Goodwin: il fatto che ogni coppia sia costituita da “uno che si mangia l’altro” diventa, proprio nel formalismo, la relazione di coniugio che deve essere soddisfatta.

Si apre allora la possibilità di costruire un modello economico-ecologico di “stato stazionario” accoppiando una variabile economica a una ecologica, a patto che in ogni coppia ci sia “uno che mangia l’altro”. E alcune coppie, come vedremo, si mostrano come credibili candidate. Il carattere di globalità può essere poi assicurato dall’utilizzare per i parametri del modello i valori mondiali forniti dai manuali dedicati.

Un’ultima osservazione sull’insistenza per il termine “stato stazionario” invece del più usuale “steady state”. “Steady”, all’interno del necessario linguaggio matematico, significa “fisso”; e tali sono i punti d’equilibrio delle equazioni differenziali del sistema hamiltoniano alla base del modello. Pensando al diagramma di fase, gli “steady state” sono un insieme di punti, un insieme troppo “povero” per rappresentare uno stato eco-logico-economico globale. Lo “stato stazionario” può avere una rappresentazione geo-metricamente più ricca, se si riesce a costruirlo, per esempio, come insieme di orbite, qual è l’insieme delle ellissi nell’“intorno” del punto d’equilibrio di Fig. 3. Questa maggior ricchezza è conseguibile non appena si riconosca che anche per la versione hamiltoniana del modello generalizzato di Volterra il punto d’equilibrio è stabile, nel senso definito da Alexandr Lyapunov; che è il piccolo contributo originale a questa ricerca, che mettiamo subito da parte per evitare ulteriori tecnicismi.

Il caso più semplice, dopo quello analizzato da Lotka-Volterra e da Goodwin, N = 1, è quello di individuare due coppie di variabili, N = 2, che godano entrambe del “coniugio” hamiltoniano, cioè che esibiscano un comportamento del tipo predatore-preda. Buone candidate con cui partire sono le coppie: “Consumi finali d’energia/Pil” e “Emissioni di CO

2/Complexity”

Perché proprio queste quattro variabili? A parte la loro indubbia importanza in Economia e negli studi sull’Ambiente, l’aspetto più importante è che ognuna delle due coppie proposte è del tipo predatore-preda. I consumi d’energia non sono sempre sta-ti indicati come il “motore” dell’Economia? Pertanto, per la sua crescita il Pil “mangia” energia. Analogamente, a basse emissioni carboniose corrisponde un sistema economico in grado di produrre beni più sofisticati, cioè di più elevata “Complexity” (le vecchie eco-nomie, meno sofisticate, hanno maggiori emissioni di carbonio). Quindi, la Complexity “mangia” le emissioni di CO

2.

Ipotizzeremo inoltre una condizione di disaccoppiamento tra le due coppie “in-crociate”: “Emissioni di CO

2/Consumi finali d’energia” e “Complexity/Pil”. Questo disac-

coppiamento risulterebbe falso per la prima coppia sulla base dell’andamento storico delle due variabili, ma sta diventando sempre più realistico se si guarda al forte decre-mento del tasso di crescita delle emissioni di CO

2 degli ultimi vent’anni e al crescente

ruolo delle fonti energetiche “carbon free”. La correlazione tra Complexity e Pil è più complicata perché una più elevata Complexity potrebbe promuovere il Pil, ma, di fatto, i beni più creativi e “intangibili” sono esclusi dalla composizione del Pil.

(continua sul prossimo numero)

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novembre/dicembre 2018 15

Civico 5.0, campagna di Legambiente, nasce per mettere al centro la riqualificazione energetica dei condomìni italiani. Per aiutare gli utenti finali a ridurre le spese in bolletta, migliorare il comfort abitativo e le relazioni sociali all’interno dei condomìni. Aprire cantieri in tutte le città, per offrire una possibilità di cambiamento a chi vive in abitazioni insalubri, umide e fredde d’inverno e calde d’e-state. Le ragioni di Civico 5.0 sono i numeri: 1,2 milioni di edifici condominiali con cir-ca 14 milioni di famiglie è il patrimonio sul quale non si è intervenuti che rappresenta il settore più energivoro del Paese. Senza dimenticare che esistono più di 4 milioni di individui in condizioni di povertà che vivono senza riscaldamento in città fredde.

I dati della Prima edizione della campagna di Legambiente sono stati pre-sentati lo scorso 6 dicembre nel secondo appuntamento nazionale del 2018, dopo quello di Condomini Aperti, undici Feste di Condominio organizzate per riscoprire un senso di comunità. A questi, si aggiungono i 22 condomìni coinvolti attraverso analisi energetiche ai quali è stato consegnato un report contenente criticità ener-getiche, possibili soluzioni, risparmi e strumenti utilizzabili. Grazie alle analisi ter-mografiche, si è restituita una chiara fotografia dei difetti edilizi tipici: il 95% degli edifici ha problemi di tenuta termica dalle superfici opache, così come il 70% dei serramenti, dispersioni termiche in corrispondenza di strutture portanti, caloriferi e cassoni degli avvolgibili. Nuovi dati interessanti arrivano dagli stili di vita delle famiglie monitorate: il 60% riscalda le abitazioni con temperature medie superiori di 2 °C rispetto alle normative. In sette casi le caldaie sono state sostituite con macchine più efficienti. Poco diffusi sono gli apparecchi per il controllo e la regolazione della temperatura sia per i singoli radiatori sia per quelli ambientali.

Il 56% delle famiglie coinvolte non conosce la classe energetica del luogo in cui vive. Sono informazioni utili, perché in Italia il sistema di incentivi è particolar-mente vantaggioso: l’Ecobonus, per la riqualificazione energetica, e il Sismabonus, per quella antisismica, arrivano a coprire fino all’85% delle spese per gli interven-ti attraverso le detrazioni fiscali. Da quest’anno, per le famiglie a basso reddito, è possibile cedere la detrazione a chi realizza l’intervento o alle banche, allargando così le possibilità di accesso allo strumento.

Sono invece nove le famiglie coinvolte nei monitoraggi elettrici. Tra i 17 elet-trodomestici analizzati, il più energivoro è il frigorifero con un’incidenza media sulle bollette del 42%, seguito dal forno con il 22% e dalla lavatrice con il 16%. Informazioni che fanno capire la provenienza dei consumi e come si possa intervenire, in un pro-cesso in cui l’informazione delle famiglie sarà fondamentale per realizzare il cam-biamento che riguarderà progettisti, architetti e amministratori di condominio che accompagneranno il processo di cambiamento. Civico 5.0 ha tra gli obiettivi quello di diffondere i vantaggi di una migliore convivenza nei condomìni, con i vantaggi dello sharing condominiale che riguarda servizi in comune, spazi ludici e biblioteche e punti di raccolta dell’olio esausto. Vogliamo contribuire a sviluppare un senso di comunità, fondamentale per aiutare le famiglie a muoversi in una direzione che può creare vantaggi e migliorare la qualità della vita, oltre che aiutare l’ambiente.

a cura di Legambiente

testo di Katiuscia Eroe*,

* responsabile energia Legambiente

Il puntodel Cigno

Civico 5.0

Un nuovo modo di vivere in condominio è possibile. Lo dimostra la nuova campagna di Legambiente

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novembre/dicembre 2018 17

Entro il 31 dicembre 2018 gli Stati membri dovranno inviare alla Com-missione europea le prime bozze del proprio Piano Nazionale Clima Energia. In questo documento dovranno essere specificati il percorso per rag-giungere gli obiettivi comunitari al 2030 in materia di energia e clima, gli strumenti che saranno messi in campo per rispettarlo e le politiche d’intervento per ognuna delle cinque dimensioni dell’Unione dell’Energia: decarbonizzazione, efficienza energetica, sicurezza energetica, mercato interno dell’energia, ricerca innovazione e competitività. A inizio novembre il Governo italiano ha aperto la fase di confronto con gli operatori di settore presentando, in occasione della fiera Ecomondo di Rimi-ni, l’impostazione generale del Piano. Il contributo delle associazioni e degli addetti ai lavori sarà fondamentale affinché il Governo possa inviare alla Commissione un documento il più possibile condiviso e ambizioso. La recente pubblicazione del Position paper sulla microcogenerazione, promosso da Snam e altri dodici soggetti tra cui università, imprese e associazioni, s’inserisce all’interno del dibattito prefigu-rando un ruolo strategico per questa tecnologia, la cui diffusione nel nostro Paese è rallentata da alcune barriere normative. Il documento, oltre a ribadire l’importanza della microcogenerazione come strumento per promuovere l’efficienza energetica, ne sottolinea anche i vantaggi di sistema e ambientali.

La microcogenerazione può dare un contributo fondamentale al raggiun-gimento del target al 2030 di efficienza energetica, non solo perché permette un considerevole risparmio di energia primaria rispetto alla generazione separata di elettricità e calore, ma anche in virtù della capacità d’integrazione con le pompe di calore elettriche, il fotovoltaico e i sistemi di accumulo. Inoltre, essendo una soluzio-ne complementare alle rinnovabili per la generazione elettrica distribuita, consente di ridurre le perdite di trasmissione e distribuzione e gli investimenti nel poten-ziamento della rete. A livello di sistema questa tecnologia è in grado di facilitare l’integrazione nella rete delle rinnovabili elettriche che dovrebbero raggiungere al 2030 quota 63% sui consumi finali. Organizzati in cluster intelligenti controllati da remoto, i microcogeneratori sono idonei alla fornitura di servizi di bilanciamento.

Da un punto di vista ambientale, sostituire i sistemi di riscaldamento tradi-zionali con moderni microcogeneratori significa abbattere le emissioni di ossidi di azoto e azzerare quelle di particolato atmosferico, con il risultato di minimizzare l’impatto del settore del riscaldamento e raffrescamento sulla qualità dell’aria. Ri-spetto a caldaie e centrali termoelettriche tradizionali, la microcogenerazione ha an-che emissioni minori di anidride carbonica, che scendono a zero quando alimentata a biometano. Cogliere questi vantaggi e sarebbe facile se fosse eliminato l’obbligo di denuncia di officina elettrica per gli impianti di potenza inferiore ai 50 kW, alli-neandosi ai più moderni stati europei. Considerando che quasi la metà del previsto incremento di potenza fotovoltaica al 2030 dovrebbe essere dato da impianti in autoconsumo, tale misura favorirebbe l’installazione di impianti di media taglia. Raggiungere gli obiettivi europei al 2030 non sarà facile. Com’è stato sottolineato dagli stakeholder, è importante fare in modo che tutte le tecnologie disponibili, in qualsiasi taglia, contribuiscano a superare il traguardo.

di Agostino Re Rebaudengo

Presidente Asja Ambiente Italia

Controcorrente2.0

Microcogenerazione per il clima

Tutte le tecnologie devono essere utilizzate per la sfida del clima e la micro-cogenerazione gioca un ruolo importante

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novembre/dicembre 2018 19

di Karl-Ludwig Schibel

Lifestyle

1,5 °C necessari

Sul clima l’inazione dei Governi legittima la disobbedienza civile per ridurre la concentrazione di CO2

In molti si lamentano che il rapporto speciale dell’Ipcc, “Global War-ming of 1,5 °C” non ha trovato una grande eco nella sfera pubblica di questo Paese. “Indifferenza totale”, “in Italia interessa a nessuno”, “nessuna prima pagina riportava la notizia” erano le lamentele sui social media e sui blog dei giornalisti ambientali ed esperti nel campo. La prima domanda da rivolgere al popolo dei giornalisti am-bientali ed esperti del clima sarebbe: «che differenza ha fatto questo rapporto spe-ciale molto allarmante a voi che deplorate l’indifferenza dei colleghi, della politica, del pubblico generale? Che cosa vi cambierà nella vita?» The Guardian sostiene: “12 anni per evitare la catastrofe”. Va bene. Anzi, va male. Però che ne consegue per chi giustamente è allarmato da questo rapporto? Per altri sei anni continuare a girare con il diesel sotto casa, per poi comprare i successivi sei anni un’auto elettrica? Cancellare la carne dalla propria dieta? Viaggiare in treno per raggiungere la Cop 24 a Katowice?

In Inghilterra un gruppo di “cittadini preoccupati” ha deciso di fare un ulte-riore passo e organizzare una campagna di disobbedienza civile di massa. Si chiama “Extinction Rebellion” e al centro si trova un gruppo di cento più persone “senior” del mondo accademico, incluso Rowan Williams, già arcivescovo di Canterbury. In una lettera pubblica scrivono: «Non tollereremo l’incapacità di questo o di qualsiasi altro governo di intraprendere azioni solide e di emergenza in relazione al peggio-ramento della crisi ecologica. La scienza è chiara, i fatti sono incontrovertibili. […] Il ‘contratto sociale’ è stato infranto, e quindi non è solo nostro diritto, ma il nostro dovere morale di aggirare l’inazione del governo e il flagrante abbandono del dovere, e di ribellarci a difendere la vita stessa». Il gruppo chiede la riduzione delle emissioni di anidride carbonica a zero entro il 2025 e di istituire una “assemblea civica” per ela-borare piani d’azione d’emergenza simile all’esperienza durante la Seconda guerra mondiale. Il richiamo alla mobilitazione della Seconda guerra mondiale è stato fatto nell’ultimo decennio da numerosi ambientalisti come Al Gore, Naomi Klein o Bill McKibben e nel 2011 un gruppo di organizzazioni ambientali, tra cui 350.org, Sierra Club, Greenpeace, Amici della Terra hanno mandato una lettera ai presidenti Obama e Hu Jintao chiedendo una “mobilitazione come in tempi di guerra” (wartime-like mobilization) negli Stati Uniti e Cina.

La differenza di “Extinction Rebellion” è che va oltre la composizione di una lettera che chiede ai potenti della terra di agire. Anzi, l’inazione del governo per loro crea non solo il diritto, ma il dovere di infrangere la legge per fermare “le conseguen-ze terribili dell’inazione, dalle inondazioni agli incendi incontrollati, eventi meteoro-logici estremi alla perdita dei raccolti e il collasso inevitabile della società”. La con-clusione? «We have a duty to act», è il nostro dovere agire. Dentro e fuori la legge nel quadro della disobbedienza civile, come gli attivisti contro l’estrazione della lignite in Germania “Ende Gelände”, le proteste contro il fracking nel Regno Unito e contro la Keystone XL pipeline negli Stati Uniti. La disobbedienza civile richiede coraggio e dif-ficilmente è rivendicabile come dovere verso un pubblico generale. Però un rapporto talmente allarmante come 1,5 °C solleva la domanda su cosa deve succedere per solle-citare gli altri a prendere atto della minaccia epocale sotto gli occhi alle azioni dirette di coloro che non possono pretendere di non sapere. Se i cambiamenti climatici sono davvero la crisi esistenziale della nostra epoca, e tutti i segnali puntano in questa dire-zione, forse l’attenzione non dovrebbe essere rivolta all’indifferenza degli uni ma alla differenza che possono fare gli altri.

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5% LUBRIFICANTI

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Resp

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abilit

à d

ella

fil

iera

CO

NO

E 300.000 produttori di oli e grassi vegetali esausti

oltre 450 aziende di raccolta

circa 60 aziende di recupero

PRODUZIONE DI OLI E GRASSI VEGETALI ESAUSTI

FASE DI RACCOLTA

FASE DI RECUPERO

OLTRE 500 AZIENDE DI RACCOLTA E DI RECUPERO

OLTRE 70.000 TON. RACCOLTE NEL 2017

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novembre/dicembre 2018 21

di Guido Viale

Un mondodiverso

Riparare è cultura

La riparazione degli oggetti sembra essere caduta in disuso invece è una chiave fondamentale dell’economia circolare

Il 20 ottobre scorso si è svolto, a livello mondiale, il Repair day: una serie di manifestazioni per promuovere la cultura del riuso, in particolare di quei beni che hanno bisogno di essere riparati. Tra questi spiccano quelli che per la loro complessità e per il ritmo delle innovazioni cui sono sottoposti contribuiscono a cre-are uno dei flussi di rifiuti pericolosi più consistenti del mondo: apparecchi TV, com-puter, cellulari e relativi complementi, come stampanti, modem, router, caricatori, ecc. Si calcola che nel corso di quest’anno verranno “generati” – cioè scartati – 50 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici. Il problema del loro recupero, tramite ri-parazione o ammodernamento, per evitare che siano sostituiti con prodotti nuovi è da qualche tempo il focus di movimenti impegnati nello sviluppo della cultura della riparazione. Sostanzialmente, si chiedono tre cose: l’accesso ai pezzi di ricambio, la documentazione per la riparazione e la facilità di smontaggio. Rivendicazioni che sono state articolate in un Repair Manifesto in undici punti e in un codice dell’utente che contiene diverse raccomandazioni riguardanti le diverse fasi del rapporto con le apparecchiature elettroniche. In sostanza:• acquistare prodotti destinati a durare e solo se non se ne può fare a meno;• proteggerli e impararne la corretta manutenzione; • quando non funzionano più, cercare istruzioni on line o direttamente per

ripararli e rivolgersi a un riparatore solo se ci informa correttamente sulla riparazione da farsi;

• se si risolve il problema, condividerlo e comunicarlo; in caso contrario consegna-re l’apparecchiatura a chi è in grado di riusarla o, nel peggiore dei casi, riciclarla.Sono regole elementari ma un semplice sguardo allo stato dell’arte ci fa capire quanto ancora siano poco diffuse la cultura e la pratica della riparazione.

In occasione del Repair day sono state pubblicate due mappe che mostrano:• i Paesi dove il Repair day è stato celebrato (ma molti incontri si sono svolti senza

essere registrati): gli eventi si sono svolti quasi tutti in Europa, in particolare in Belgio e in Germania (in Italia due); meno di quindici negli Stati Uniti, due in America Latina, cinque in Oceania, uno in Africa e nessuno in Asia;

• i Paesi dove sono attivi dei Repair cafè, una rete di centri di riparazione di apparecchiature elettroniche, autogestiti e accomunati da regole condivise: anche in questo caso il maggior numero si concentra in Europa (1477 centri: il Belgio nella parte del leone con 464 centri, seguito da Olanda, Lussemburgo, Germania e Francia; l’Italia ne conta solo sei, mentre a livello mondiale, in America del Nord sono meno di cento, in America Latina cinque, in Africa tre, in Australia una trentina e in tutta l’Asia ce ne sono solo sei in Giappone. Il problema è che questo movimento si scontra con una resistenza molto forte

dell’industria, impegnata sia a promuovere l’obsolescenza programmata dei prodot-ti che commercializza sia a rendere difficile, a volte impossibile, la loro riparazione per sostenere il mercato di sostituzione. A Bruxelles è in corso uno scontro tra gli esponenti del movimento a favore dell’inserimento, nel pacchetto dell’economia cir-colare della Commissione Europea, di regole inflessibili che garantiscano la riparabi-lità delle apparecchiature e tra le lobby dell’industria elettronica che cercano in tutti i modi di annacquarne l’efficacia. Uno scontro che si ripresenta all’interno degli Stati membri, con il governo italiano schierato, al momento, dalla parte dei produttori.

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novembre/dicembre 2018 23

di Sergio Chiacchella

Direttore Generale Co.Svi.G.

Geotermiaeterritorio

Geotermia da tutelare

Il nuovo Decreto rinnovabili non si occupa di geotermia. Così si creano incertezze e difficoltà per questa rinnovabile

Nelle ultime settimane abbiamo assistito a una nuova ondata di mal-tempo che ha provocato vittime e danni. È consapevolezza comune, e la scienza lo conferma, che tutti i fenomeni meteorologici estremi sono sempre più intensi e frequenti a causa dei cambiamenti climatici. L’Ipcc nell’esaminare il feno-meno ha anche delineato delle soluzioni che consistono, fra l’altro, nella diminuzione del consumo di carne, nell’arresto della deforestazione e, in campo energetico, nell’ab-bandono dei combustibili fossili, accelerando la transizione energetica verso il 100% rinnovabile. Questa non è una scelta rinviabile ma dovrebbe essere attuata come pra-tica immediata dalle decisioni dei governi mondiali fino alle singole azioni individuali.

In realtà la situazione è ben diversa, ad esempio, per quanto riguarda il nostro paese, nei primi nove mesi del 2018 la nuova capacità installata di energie rinnovabili, (fonte Anie Rinnovabili), è diminuita dell’8% rispetto all’anno precedente. Il settore vive anche nell’incertezza derivante dall’attesa - dal 2016 - del Decreto rinnovabili. Nello schema di decreto Fer approvato dal Mise e dal Ministero dell’Ambiente e trasmesso alla Conferenza Stato Regioni, sono contenute alcune novità che hanno provocato sconcerto e discussione. Fra queste l’esclusione dal provvedimento della produzione geotermoelettrica, compresa la geotermia convenzionale, rinviando la definizione del regime di sostegno, a un futuro decreto Fer 2 in cui dovrebbero essere disciplinati gli incentivi per fonti e tecnologie che «presentano significativi elementi di innovatività nel contesto nazionale, con costi fissi ancora elevati e tempi maggiori di sviluppo, ovvero che hanno costi elevati di esercizio».

Se, quindi, il Decreto ministeriale sulle Fer non sarà modificato, per il set-tore geotermico si aprirà una stagione di incertezza e difficoltà. La geotermia, come attestato da tutti gli organismi internazionali, è una fonte energetica rinnovabile. È un’energia caratteristica del nostro Paese, e in particolare della Toscana, che l’Italia esporta come eccellenza nel mondo e che rischia di andare incontro a un rapido declino. Le cifre che caratterizzano il comparto sono indicative: 34 centrali, quasi 6 TWh di energia elettrica prodotta annualmente, calore utilizzato direttamente in teleriscaldamenti urbani e per attività produttive, 650 occupati diretti, oltre 2 mila se si considera l’occupazione indiretta, tra 250 e 300 milioni di euro di investimenti annui. Nonostante ciò per la sopravvivenza del settore, e per far sì che questo costi-tuisca un volano per lo sviluppo sostenibile dei territori geotermici, il mantenimento di un regime di incentivi è indispensabile, essendo l’attività geotermoelettrica diffusa solo in Toscana ha delle economie di scala inferiori rispetto alle altre fonti rinnovabili. Il presidente della regione Toscana, Enrico Rossi, nel rilevare che il provvedimento di eliminazione degli incentivi è stato predisposto dal governo centrale senza inter-locuzioni con la Regione, ha affermato che la decisione si inserisce in un contesto nel quale la Toscana stava predisponendo una nuova legge di settore e un nuovo accordo con Enel Green Power, più garantisti per il territorio e l’ambiente e migliorativi rispetto agli ottimi risultati già raggiunti con l’accordo generale sulla geotermia del 2007. Nelle prossime settimane sono attesi sviluppi sulla questione ma da molte parti si auspica un ripensamento che permetta la sopravvivenza di un settore economico importante nell’ambito delle rinnovabili, ma strategico per il territorio toscano.

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Change climate.Agroecologia e gas rinnovabile: tracciamo insieme la via.

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novembre/dicembre 2018 25

di Anna Donati

In movimento

Il Pil ha i pedali

Attualmente il Pib delle due ruote vale 6,2 mld ma potrebbe crescere in un prossimo futuro fino a 22,8

ABiCi – il 2° Rapporto sull’economia della bici in Italia - curato da Alberto Fiorillo di Legambiente, in collaborazione con VeloLove e Grab+ - evidenzia l’elevato valore che attualmente la mobilità ciclistica è capace di generare in alcune Regioni. E contestualmente esplora le potenzialità economiche future, se i decisori pubblici investissero con responsabilità, qualità e continuità sulla mobilità ciclistica.

Il Rapporto ricostruisce il Pib - Prodotto Interno Bici - sommando diverse voci legate alla produzione delle biciclette, alla manutenzione e all’occupazione, cui si ag-giungono i benefici che la bicicletta produce per l’ambiente naturale, urbano e per la salute umana. La somma delle undici voci individuate è pari a 6,2 miliardi di euro.

Il Rapporto fotografa anche il valore del Pib in ciascuna Regione, evidenzian-do una situazione estremamente differenziata. Nel Rapporto si legge che in Trentino Alto Adige, in valori assoluti, gira in bicicletta quasi lo stesso numero di persone di quattro Regioni del Mezzogiorno - Campania, Sicilia, Calabria, Puglia - nonostante tutte insieme abbiano una popolazione sedici volte più ampia.

Le Regioni in prima linea sulla promozione della bicicletta sono Lombardia, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna e Veneto. Dal punto di vista del maggior Pib prodotto, domina la Lombardia, 977,5 milioni di euro, seguita da Emilia Romagna (887,2 milioni), Veneto (883,1 milioni) e Toscana (328,6 milioni), in ultima posizione la Val d’Aosta, 4,1 milioni di euro.

Il Rapporto LegamBici ipotizza tre possibili scenari di crescita del Pib nel futu-ro, che dipenderanno molto dalle scelte delle Amministrazioni, Regioni, Governo e Parlamento. Il primo scenario è legato alla realizzazione del piano di ciclovie di inte-resse nazionale, cioè la “spina dorsale” delle reti ciclabili, volta a incentivare il ciclo-turismo. Complessivamente, la rete ciclabile da realizzare conta 5.735 chilometri che, applicando un parametro di calcolo riferito al benchmark costituito dal Trentino Alto Adige porteranno, secondo Legambici, quasi 1,434 miliardi di euro di nuove entrate. Il secondo scenario di crescita stimato dal Rapporto ABiCi, è legato all’incremento della mobilità ciclistica delle aree urbane con oltre 50 mila abitanti. Se in questi centri urbani si ricorresse quotidianamente alla bici per muoversi in percentuali analoghe a quelle dei comuni Bolzano, Pesaro e Ferrara - afferma il Rapporto - il Pib generato dagli spostamenti a due ruote tra effetti e indiretti – scatterebbe verso l’alto di 14.113.341.065 euro, passando dagli attuali 4.156.587.766 euro a un totale di 18.269.928.831 euro.  Il terzo scenario per incrementare il Pib della bicicletta riguarda la valorizzazione a fini turistici di 4.170 km di ciclabili urbane esistenti, che trasformate in vere e proprie reti cittadine, avrebbero una reale un’incidenza sul Pib stimabile in almeno 1,042 miliardi di euro. Sommando questi tre scenari di crescita - cioè 14,1 miliardi d’incre-mento della ciclabilità urbana, 1,4 miliardi indotti dalla ciclabilità nazionale e 1,042 miliardi, indotti dallo sviluppo del cicloturismo urbano - si raggiungono oltre 16,5 miliardi che sommati all’attuale Pib, calcolato in 6,2 miliardi, si sfiorano i 22,8 miliar-di delle potenzialità dell’economia della bici in Italia. Pedalare conviene: alle città, alla salute, alla mobilità e anche all’economia.

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novembre/dicembre 2018 27

di Roberto Vigotti

Segretario Generale

Res4Med e Res4Africa

Africasostenibile

Marocco rinnovabile

Res4Med&Africa in Marocco per incentivare ancor di più le energie rinnovabili

Il 30 ottobre ha segnato una tappa molto importante per Res4Med &Africa: a Rabat abbiamo tenuto il primo business-to-government (B2G) wor-kshop di Res4Med&Africa dal titolo “Accelerating the renewable energy transition in Morocco”. Il B2G ha costituito un momento di incontro tra i principali rappre-sentanti dell’industria dell’energia rinnovabile della rete di Res4Med&Africa con gli stakeholder e membri del governo del Marocco, per approfondire le opportuni-tà e le sfide che accompagnano la transizione alle energie rinnovabili e per trovare modi che ne incentivino il finanziamento da parte dei privati.

Il Marocco è per noi un partner importante, poiché è il primo Paese su cui ci siamo focalizzati come Res4Med&Africa nel 2012. Posso tranquillamente affermare che sia il Marocco sia noi come associazione abbiamo fatto molta strada in sei anni. Il Marocco ha dimostrato il suo impegno verso le energie rinnovabili mettendo in atto politiche a favore di queste, e aprendosi ad un costante miglioramento. Durante l’incontro a Rabat, per esempio, Obaid Amrane, Membro del consiglio di ammini-strazione di Masen, ha sottolineato come il Paese debba mirare ad andare oltre ai target che si è proposto per il decennio 2020-2030 e pensare al lungo termine per arrivare a una vera trasformazione. Res4Med&Africa nel corso degli anni ha sup-portato il Marocco formulando raccomandazioni tecniche basate su best practices internazionali e organizzando momenti di formazione professionale per i partner marocchini o comunque sempre con un occhio di riguardo nei loro confronti. Ciò ha portato anche a una sorta di ribaltamento: se all’inizio era Res4Med&Africa a cercare partner strategici, nel corso degli anni ha acquisito una credibilità tale da diventare un punto di riferimento nel campo delle energie rinnovabili.

La discussione del workshop ha coperto molti aspetti del settore delle energie rinnovabili, con particolare attenzione alla liberalizzazione del mercato medium-voltage. Il B2G ha anche fornito l’occasione per divulgare i risultati dello studio “Acce-lerating the Development of Renewables on the MV Market in Morocco” che abbiamo realizzato in collaborazione con Pöyry. Durante l’incontro Masen, il gruppo respon-sabile della gestione delle energie rinnovabili in Marocco, e Onee, key player nel set-tore dell’elettricità e dell’acqua in Marocco, hanno annunciato che entreranno a far parte di Res4Med&Africa in qualità di membri. Queste due adesioni si aggiungono a quella annunciata da Uneca il 24 ottobre durante il Renewable Industry Advisory Board (Riab) dell’International Energy Agency (Iez), durante la quale abbiamo anche annunciato la partnership con l’African Union.

Per saperne di più sull’evento Riab vi lascio all’approfondimento che troverete tra qualche pagina. Vorrei invece impiegare le righe rimanenti per una nota più gene-rale. Parlare di transizione alle energie rinnovabili è importante e assume un partico-lare significato in questi giorni, in cui gli effetti del cambiamento climatico si stanno facendo particolarmente sentire. Non possiamo più permetterci di dimenticarci, o stancarci di ripetere, che il cambiamento climatico non è una minaccia che aleggia su un futuro sempre più prossimo: il cambiamento climatico è già in corso, e c’è chi già da tempo propone di smettere di parlare di climate change e cominciare a parlare di climate breakdown. Il “Global Warming of 1,5 °C” report di Ipcc ci dà una scadenza: abbiamo solo dodici anni per invertire la rotta. Abbandonare i combustibili fossili e passare alle energie rinnovabili diventa una necessità sempre più impellente.

Per maggiori informazioni sul B2G in Marocco: www.res4med.org/2018-b2g-morocco

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di Gianfranco Bologna

Sostenibilitàpossibile

Antropocene: non c’è tempo

Siamo la prima generazione a conoscere il valore della natura e l’ultima a poterlo salvaguardare

Gli avanzamenti nelle scienze del Sistema Terra dimostrano per la prima volta nella storia, come l’impatto dell’Homo sapiens stia modificando in tempi più veloci di quelli geologici, la biosfera. Il nostro impatto quantitativo (nu-mero di esseri umani) e qualitativo (sovraconsumo), hanno prodotto una crescente domanda di energia, materie prime, suolo, acqua e biodiversità conducendoci verso una nuova epoca geologica, l’Antropocene.

Suggerisco di leggere due libri di recente pubblicazione scritti da autorevoli scienziati: “Anthropocene” di E. Ellis, Oxford University Press e “The Human Planet. How We Created the Anthropocene” di S. Lewis e M. Maslin, Pelican Penguin Books. La natura e la biodiversità stanno scomparendo a velocità allarmante. A dispetto di tutti gli sforzi realizzati attraverso accordi globali, come la Convenzione sulla Diversità Biologica, stiamo fallendo nell’invertire questo trend. Per ottenere risultati concreti nella lotta al cambiamento climatico e nell’applicazione dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e dell’Agenda 2030, approvata nel 2015 da tutti i Paesi del mondo, è fonda-mentale invertire la perdita della natura e della biodiversità.

Il Wwf ha pubblicato il Living Planet Report 2018, il 20° dal primo del 1998, sullo stato della biodiversità planetaria. Il Rapporto chiede uno sforzo collettivo per inverti-re il trend. Purtroppo, l’estinzione di una moltitudine di specie non sembra catturare l’attenzione dei grandi leader per catalizzare cambiamento necessario. Rileva l’urgen-za di lanciare un Global Deal per la natura e le persone, capace di risolvere questioni cruciali, come garantire l’alimentazione, limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C e risanare la natura. Le ricerche scientifiche mostrano l’importanza dei sistemi naturali per la nostra salute e la nostra sicurezza. Tutte le attività economiche dipendono dai servizi che ci offre la natura, che è un’incredibile componente della ricchezza delle nazioni. L’Indice del Pianeta Vivente (Living Planet Index) segnala lo stato di salute del Pianeta. Pubblicato per la prima volta nel 1998, per due decenni ha quantificato le popolazioni mondiali di migliaia di specie di animali vertebrati quale misura dei cam-biamenti nella biodiversità. Nell’edizione 2018, include i dati dal 1970 al 2014 e mostra un declino globale del 60% nella dimensione delle popolazioni di vertebrati: significa un crollo di più della metà in meno di 50 anni.Il Wwf con il Living Planet Report 2018 richiama un impegno deciso per invertire la tendenza della perdita della biodiversità. Il mondo ha bisogno di obiettivi definiti e di azioni credibili per ripristinare i sistemi naturali e un livello in grado di dare benessere all’umanità.

Sono necessari degli impegni capaci di: • individuare obiettivi per raggiungere la difesa della biodiversità; • sviluppare indicatori capaci di registrare i progressi della riduzione della per-

dita di biodiversità; • accordarsi su azioni concrete ed efficaci che raggiungano collettivamente gli

obiettivi nei tempi stabiliti. È indispensabile un nuovo Global Deal per la cui definizione il Wwf collabora

con università, organizzazioni di conservazione e Ngo che hanno lanciato un pro-gramma di ricerca destinato a invertire la curva della perdita (Bending the Curve of Biodiversity Loss). Il Living Planet ricorda che siamo la prima generazione con una chiara idea del valore della natura e dell’impatto che le abbiamo causato; possiamo anche essere l’ultima che può agire per invertire questo trend. Non possiamo perdere altro tempo prezioso.

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società 32

novembre/dicembre 2018

La povertà energetica è una problematica complessa, legata a diversi fattori e temi all’interno del dibattito sulla lotta contro il cambiamento climatico e contro la povertà. Nel pacchetto Clean Energy for All Europeans, la Commissione Europea enfatizza il ruolo dell’efficienza energetica nel contrastare il fenomeno. Si stima che il miglioramento dell’efficienza energetica negli edifici possa contribuire a far uscire dalla condizione di povertà energetica da 515 mila a 3,2 milioni nuclei familiari in Europa (su un totale di 23,3 milioni di famiglie in povertà energetica). Una delle prime questioni da affrontare è l’armonizzazione del linguaggio: l’assenza, a livello europeo, di una definizione comune di povertà energetica rende difficile stabilire un approccio condiviso, nella consapevolezza che le barriere tradizionalmente riconosciute per l’adozione di strumenti di efficienza energetica si vanno solitamente ad accentuare nel caso in cui riguardano famiglie a basso reddito.La Strategia Energetica Nazionale (Sen) evidenzia la necessità di stabilire una ‘misura ufficiale’ della povertà energetica, intesa quale difficoltà di acquistare un paniere minimo di beni e servizi energetici, ovvero, in un’accezione di vulnerabilità energetica, quando l’accesso

agli stessi implica una distrazione di risorse superiore a un livello socialmente accettabile. Secondo la Sen, in media circa l’8% delle famiglie (pari a 2,1 milioni) si è trovato in povertà energetica negli ultimi vent’anni, con un picco dell’8,5% nel 2016 e un’incidenza del 14% nelle regioni del Sud. Il valore medio nazionale appare sotto la stima della Commissione Europea, pari a oltre il 17%, dato cui corrispondono 4,4 milioni di famiglie italiane.

Barriere e misure per la povertà energeticaIl fenomeno richiede l’elaborazione di strategie in un’ottica multidimensionale, prescindendo dai soli usi energetici dell’abitazione ma che riguardano anche i trasporti, la vita sociale e la salute di diversi segmenti della popolazione: famiglie monoreddito, anziani, giovani in attesa di impiego, disoccupati. La Tabella 1 riporta le principali barriere all’implementazione di interventi di efficienza energetica in edifici abitati da famiglie a basso reddito.Alcuni Paesi hanno attuato strategie mirate (Regno Unito, Irlanda, Francia) ma la maggior parte fa ricorso a politiche sociali come sussidi diretti, tariffe ridotte e tolleranza per la morosità. Di fatto, si tratta di misure transitorie per un rapido sollievo ma non strutturali come le politiche di efficienza energetica, che riducono in modo permanente il fabbisogno energetico degli utenti. La Figura 1 seguente riporta le principali tipologie di strumenti in funzione dell’impatto atteso.Attualmente in Italia esistono due strumenti riconducibili alla categoria dei sussidi, il bonus elettrico e gas, che prevedono un contributo erogato sotto forma di sconto in bolletta, in base ad uno specifico valore dell’Isee. Tra le misure

di Anna Amato*, Alessandro Federici*, Roberto Moneta*

LA POVERTÀ ENERGETICA È FENOMENO IN CRESCITA, LA CUI INTERPRETAZIONE È DIFFICILE. UNA DELLE SOLUZIONI È L’EFFICIENZA

Elettroni poveri

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con impatto strutturale, il cosiddetto Ecobonus per la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente, ha recentemente subìto delle modifiche che potrebbero aprire lo strumento anche alle famiglie in condizione di povertà energetica. In particolare, il meccanismo già da due anni permette di usufruire dell’incentivo da parte dell’edilizia residenziale pubblica. Inoltre è prevista la cessione del credito per gli incapienti, per tutti gli interventi agevolati, oltre che ai fornitori anche alle banche e agli istituti finanziari, mentre la cessione del credito per soggetti diversi dai no tax area è limitata ai fornitori dei beni e dei servizi (https://bit.ly/2Jwlnpc).

Enea per il contrasto alla povertà energeticaEnea è particolarmente attiva sul fronte del contrasto alla povertà energetica sia a livello nazionale sia internazionale, a partire da iniziative mirate ad accrescere la consapevolezza della popolazione. Ha coordinato il Programma Triennale di Formazione e Informazione sull’Efficienza Energetica previsto dal Dlgs 102/2014, ponendo attenzione ai soggetti vulnerabili e alle buone pratiche sul comportamento, aspetto che rappresenta una componente fondamentale delle politiche per l’efficienza e il risparmio energetico alle diverse scale territoriali (https://bit.ly/2zJQDip). Si tratta di misure di natura sociale e psicologica, come lo studio in collaborazione con Isinnova per facilitare gli interventi di efficienza energetica all’interno dei condòmini (https://bit.ly/2SCnziT). L’Enea è impegnata sul campo attraverso protocolli di intesa con gli stakeholder di riferimento. Il recente accordo stipulato con Federcasa, che riunisce ex Istituti autonomi case popolari, 90 enti e aziende che gestiscono oltre 760 mila alloggi, mira a sperimentare strategie di intervento per l’efficientamento energetico del patrimonio di edilizia residenziale pubblica. Sulla stessa lunghezza d’onda, l’accordo con Fratello Sole, a sostegno degli enti che gestiscono opere di carità e sociali. Enea fornirà supporto per soluzioni di eccellenza, mentre Fratello Sole offrirà il proprio capitale per gli interventi e la gestione degli impianti per il periodo di

ammortamento. In ambito internazionale, per il 2018 l’Enea è impegnata con la Presidenza dell’European Energy Network (Enr), la rete volontaria di agenzie europee dell’energia. Nell’ambito di questo consesso di alto livello, Enea ha scelto di concentrare le azioni sul tema, aderendo alla neonata Coalition of the Willing on Energy Poverty, promossa dal Covenant of Mayors, con la costituzione di una task force nazionale temporanea e l’elaborazione di un Position Paper sulla povertà energetica da presentare, la prossima primavera, all’attenzione della Commissione Europea.

*Dipartimento Unità Efficienza Energetica, Enea

Strumenti �nanziari per interventi EE

Strumenti basati sulmercato

Strumenti informativi

Strumenti normativi

Sussidi

Elevato

Temporaneo StrutturaleImpatto

Impa

tto

Modesto

Strumenti per il contrasto alla povertà energetica e impatto atteso

FIGURA 1

Fonte: Elaborazione Enea da Energy Efficiency for Low-Income Households, Itre Report, European Parliament, 2016

Barriere all’efficienza energetica nelle famiglie a basso reddito

TABELLA 1

Comportamento Barriera Informativa

Incentivi - Sussidi

Economico-finanziaria

Risk aversion

Mancanza di consapevolezza dei vantaggi dell’efficienza energetica

Nessuna conoscenza del consumo dell’abitazione

Split incentive

Mancanza di disponibilità di risparmi propri

Incertezza della condizione economica

Assenza di informazioni specifiche sui programmi di supporto, finanziamento, sovvenzioni

Distorsione del mercato

Impossibilità di accedere al credito

 

Fonte: Elaborazione Enea da Energy Efficiency for Low-Income Households, Itre Report, European Parliament, 2016

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progetti 34

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Grazie all’evoluzione iniziata dieci anni fa con l’introduzione delle energie rinnovabili e l’efficientamento energetico, le abitazioni stanno diventando un concentrato di tecnologie multiuso mentre le auto si avviano verso il cambiamento radicale di motorizzazione e di carburante. Diventeranno elettriche e ciò muterà anche le nostre abitudini. Sarà normale allacciare la nostra auto a un cavo per fare il pieno di elettricità a prezzi molto più bassi di quelli dei carburanti fossili. Oppure anche gratis perché durante il giorno il sistema fotovoltaico avrà prodotto e accumulato nelle batterie casalinghe, l’energia necessaria per la ricarica. Abbiamo descritto quello che sarà l’uso più semplice dell’accoppiata casa/autovettura con la prima che carica la seconda, ma potrebbe succedere il contrario; è l’autovettura che fornisce energia all’abitazione. Hanno provato a verificare questo modello - Vehicle to Home, (V2H) - al Fenice Green Energy Park di Padova, dove con un progetto Por Fesr/Regione Veneto denominato “Vehicle to Home (V2H), l’auto elettrica come vettore di energia nella smart grid urbana” la casa, alimentata dall’autovettura l’hanno realizzata nella realtà. La casa realizzata in canapa e calce naturale per essere efficiente a livello energetico e sostenibile sotto il profilo ambientale, è stata dotata di un impianto fotovoltaico da 1,6 kWp, di una serie di carichi elettrici interni come forno, luci elettriche e una televisione, ma soprattutto di una centralina d’allaccio all’auto elettrica bidirezionale. «In questa maniera è l’autovettura che fa da sistema d’accumulo per l’abitazione. - ci dice Luca Secco di Driwe, una delle aziende

che hanno curato il progetto - Bisogna iniziare a pensare all’auto elettrica come a una batteria con le ruote». Ossia a un oggetto che può “trasportare” energia tra punti non connessi tra loro, oppure “saltando” la rete.

Elettroni usatiPer quanto riguarda l’auto, i progettisti all’insegna della massima sostenibilità non hanno usato un’auto elettrica commerciale per la sperimentazione, ma sono andati oltre. Hanno trasformato una normale autovettura endotermica, in elettrica. Facendo ciò che in gergo si chiama retrofit elettrico, ossia togliere motore a scoppio e serbatoio del carburante, trapiantando nel corpo della “paziente2 un nuovo motore elettrico e delle batterie al litio. L’operazione è avvenuta presso l’officina Sanguin di Padova che da alcuni anni si è specializzata nel retrofit elettrico di auto tradizionali, convertendo una 500 d’epoca, una De Lorean - quella del film “Ritorno al futuro”, una Ford T d’epoca e auto moderne come Toyota e la Fiat Panda, come quella “accoppiata” alla nostra casa. La spesa per il retrofit della vettura è ancora alta. «Siamo a una cifra tra i 10 e 12 mila euro, con il grosso della spesa che se ne va per il pacco batterie che da solo costa tra i 5 e 7 mila euro», prosegue Luca Secco. Parliamo di un esemplare unico ma comprando uno stock di batterie, in quantità più elevate, il prezzo potrebbe calare. E poi ci sono le prospettive di guadagno dall’attività congiunta della casa e dell’autoveicolo che sono ancora poco note.

Ricavi sicuriLa prima è legata alla produzione energetica, cosa che oltre 500 mila famiglie italiane conoscono grazie ai sistemi fotovoltaici che hanno su tetti. Oggi, anche se non ci sono più gli incentivi di qualche anno fa, installare un

di Sergio Ferraris*

L’ELETTRICITÀ, DALLE AUTO ALLE CASE, APRE PROSPETTIVE INEDITE. IL PROGETTO FENICE GREEN ENERGY PARK LO DIMOSTRA

Elettroni mobili

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sistema fotovoltaico sul tetto è conveniente, anche perché negli ultimi dieci anni il prezzo dei pannelli è sceso del 75%. Ogni kWh di elettricità prodotta con il nostro fotovoltaico ci fa risparmiare circa 20 centesimi di euro, oppure guadagnare 9 centesimi se la cediamo alla rete. L’autovettura carica, in sosta e allacciata alla rete, oltre a ciò, può offrire una parte della propria energia alla rete con i cosiddetti “servizi di rete” che altro non sono che la fornitura d’elettricità nei momenti di maggiore richiesta e per il bilanciamento della rete elettrica. E si tratta di servizi remunerativi e non poco. Un’esperienza pilota, che si sta svolgendo in Danimarca, ha calcolato che un’auto elettrica in un anno può produrre un valore di 1.500 euro con i servizi di rete. In pratica si è pagati per tenere l’autovettura ferma allacciata alla colonnina. E non è un sacrificio poiché le auto italiane oggi rimangono in ferme per 23 ore e percorrono in media 32 chilometri al giorno. Ma c’è di più. L’elettricità immessa sulle nostre batterie con le ruote, potrebbe arrivare dalla nostra azienda, quando l’auto è parcheggiata nei pressi del posto di lavoro, sotto forma di welfare aziendale, oppure da un centro commerciale, come promozione, mentre stiamo facendo la spesa, per poi essere utilizzata, la sera una volta a casa. Oppure potremmo decidere di essere noi a cedere l’elettricità a una stazione di servizio mentre prendiamo un caffè, magari pagandolo in “elettroni” perché ormai siamo vicini a casa e abbiamo “energia da vendere”. Insomma, svincolando l’elettricità dalla schiavitù del cavo si apre una serie di opportunità inedite. Come successe con gli smartphone dieci anni fa.

App per la semplicitàLo scenario che si prospetta forse è troppo complicato. Riuscite a immaginare una famiglia alle prese con la cena e i bambini

fare le previsioni della percorrenza dell’auto elettrica per il giorno successivo, dopo otto ore di lavoro e altrettante di attività domestica? No. Se così fosse sarebbe una cosa destinata a pochi eletti. Anche perché la maggior parte di noi oggi è abituata a manovrare un interruttore per avere elettricità, una manopola per il gas e rifornirsi una pompa di benzina per muoversi. Senza pensarci troppo. Ecco perché i realizzatori del progetto hanno pensato di corredare la casa, l’autovettura e tutto il sistema, con un’App (V2HApp) che consente di monitorare i flussi d’energia, in entrata e in uscita, la produzione e i consumi, come se fosse una sorta di telecomando energetico. E la cosa non è semplice come si potrebbe immaginare giacché si sono dovute mettere assieme in un’unica applicazione una serie di conoscenze diverse. Come per quelle di Driwe per la gestione, l’officina Sanguin per il retrofit; Novamind per l’App; il dipartimento Icea dell’Università di Padova e Fondazione Fenice per la ricerca, DataVeneta computers per il monitoraggio dei dati Effedue, per l’isolamento termico e tecniche costruttive di bioedilizia della casa. Un elenco che dà l’idea della complessità legata al problema, solo apparentemente semplice, di allacciare l’automobile alla spina di casa. E stiamo parlando “solo” dei sistemi che oggi sono elettrici, quindi si escludono il riscaldamento e l’acqua sanitaria che con le pompe di calore potrebbero divenire in futuro alimentati dall’energia elettrica. I dati e la loro gestione saranno centrali nella nuova gestione sostenibile dell’energia a tutti i livelli. Sistemi complessi come questi si evolveranno in maniera sempre maggiore anche grazie ad algoritmi e intelligenza artificiale in grado di fare previsioni sempre più accurate.

*giornalista scientifico, direttore di QualEnergia

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esperienze 36

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Le offerte di mobilità si fanno integrate. Se la regola vale per i mezzi pubblici (che cominciano integrare treni, bus e bici - almeno pieghevoli - a bordo), comincia a valere anche per le automobili. È il caso della Sion, auto proposta dalla giovane start-up bavarese Sono Motors: un’automobile elettrica e solare, offerta alle famiglie e alle imprese per fare sharing. Il software di bordo integra nativamente il car sharing (basta definire con chi e quando si voglia condividere), il power sharing (lo scambio di energia elettrica) e il ride-sharing (la condivisione dei viaggi con Blablacar).

Negli esempi sul sito www.sonomotors.com, si dimostra come un pendolare possa recuperare anche 5 mila euro l’anno condividendo auto, passaggi ed energia. La Sion è una berlina (segmento B), 5 posti, ampio bagagliaio ma è nata per essere condivisa, tra famiglie, colleghi di lavoro, serve per la vacanza o per l’artigiano o il giardiniere che deve collegarci il tagliaerba o il trapano.Le novità sono anche altre: la carrozzeria in policarbonato è letteralmente tappezzata di microfilm fotovoltaico, in grado, nelle giornate estive con l’insolazione di Monaco di Baviera, di aumentarne l’autonomia giornaliera di 30 chilometri. L’autonomia è di tutto rispetto, 250 km con una guida normale, la batteria ha una capacità di 35 kWh, la Renault Zoe arriva a 41. Spesso, come per i motori a combustione, i consumi sono misurati con i cicli di prova nelle officine, sono teorici e sottostimati: sul sito ufficiale è precisato che si tratta di autonomia reale, quindi con una guida non particolarmente attenta ai consumi. Con una guida attenta in una giornata di sole persino poco di più.

di Andrea Poggio*

LA SION, AUTOVETTURA DI UNA STARTUP BAVARESE CON LO SHARING NEL DNA, È QUALCOSA DI PIÙ DI UN’AUTOMOBILE

Movimento solare

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È un’utilitaria piuttosto spaziosa: 5 porte, 650 litri di bagagliaio, linee esterne aerodinamiche e piacevoli. Tutta nera, con tetto, cofano e portiere ornati dai riquadri del fotovoltaico, 330 celle solari per una superficie captante complessiva di 7,5 metri quadri. Elegante nella sua semplicità. Gli interni e il cruscotto sono semplici ed essenziali: lo schermo indica chiaramente la velocità e l’autonomia, come in tutti i veicoli elettrici, ma qui in più anche l’apporto giornaliero dei pannelli solari. Un ampio display laterale in stile Tesla con le informazioni sul viaggio a disposizione anche del passeggero.Altre particolarità sono il filtro anti particolato di muschio naturale trattato che si vede in trasparenza a fronte del posto passeggero, le prese anteriori per la ricarica e per l’alimentazione di qualsiasi altro apparecchio elettrico (strumento da giardino, e-bike o un’altra auto elettrica). Come nella norma delle autovetture moderne, freni Abs, airbag, climatizzatore, alzacristalli elettrico e 140 all’ora di velocità massima. Come tutte le nuove auto elettriche, la frenata rigenerativa, la possibilità di allacciarsi alle colonnine a ricarica rapida (sino 50 kWatt) per l’80% di ricarica in mezz’ora, e tutte le connessioni (gps, Wi-Fi, Bluetooth ecc.ecc.).Attenzione completa a tutti gli altri aspetti del “ciclo di vita” della Sion: lo studio degli impatti accompagna tutte le fasi di progettazione, tanto è vero che è già stata stimata (e inclusa nel prezzo finale) la compensazione della fase di costruzione dell’auto, in forestazione. L’uso di materiali – il più possibile – riciclati e riciclabili e l’attenzione alla fase di distribuzione in tutta Europa, usando esclusivamente trasporto ferroviario e, là dove non sarà possibile, con autocarri-bisarca elettrici (per ora Tesla). L’alimentazione con elettricità rinnovabile è un’attenzione caldeggiata per gli utilizzatori finali. Il prezzo? L’auto è prenotabile subito a 16 mila euro, batteria esclusa, anticipando tutta o parte della somma (minimo 500 euro). A novembre 2018, quasi 9 mila ordini da tutta Europa, parecchio anche per il mercato tedesco 2018. Consegna entro la fine 2019 nei pressi di Amburgo, trasporto e messa in strada esclusa

(assicurazione, targa, ecc.). Abbiamo fatto richiesta per capire gli adempimenti e i costi per la messa su strada in Italia, ma sono allo studio soluzioni agevoli per l’utente, soprattutto per ciò che riguarda l’accesso a eventuali incentivi sia nazionali sia locali, che si spera arrivino entro la fine del prossimo anno. Prova di guida? Qui il video (https://www.youtube.com/watch?v=OfGPI1ESDXA) dei redattori di Motorzoom.it.Il prezzo, bloccato a 16 mila euro per chi prenota ora la sua Sion, è straordinariamente competitivo. Com’è possibile, lo spiega semplicemente con una scelta industriale e commerciale: il modello è unico, nessuna variante o optional possibili. Un solo colore, nessuna possibilità di batteria più potente, allestimenti interni ed esterni uguali per tutti: la personalizzazione delle proprie Sion è demandata a ciascuno, con adesivi scelti e applicati a propria discrezione, purché non si sovrappongano alle celle solari. Il plurale è d’obbligo perché una Sion nasce con autovettura comunitaria, per lo sharing, per condividere viaggi e utilizzo con chi si vuole: in famiglia, tra vicini, amici, condomini o colleghi di studio e lavoro, rendendo la scelta elettrica ancor più sociale e conveniente per sé e per gli altri. Allora, volete ordinare la vostra (plurale) auto elettrica? Una Sion? Qui www.sonomotors.com, per iniziare.

*responsabile mobilità sostenibile Legambiente

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Negli ultimi anni, il settore dell’energia è profondamente cambiato e in parallelo si sono modificate le esigenze energetiche dei clienti sempre più attenti al risparmio e alla protezione dell’ambiente. Il risultato di questi cambiamenti è un nuovo mondo dell’energia - decentralizzato, sostenibile e interconnesso. In questo nuovo paradigma rientra anche la cogenerazione, che oltre a fornire macchine più efficienti e con minori emissioni, si presta a un modello di business più evoluto: il modello ESCo, in base al quale il cliente non deve pensare al tempo di rientro dell’investimento perché non sostenuto in prima persona e può concentrarsi sul core business dell’azienda.San Benedetto è un’azienda attiva nel mercato italiano delle bevande, dove si è affermata grazie al know-how tecnologico di cui dispone, che le ha consentito di apportare rilevanti innovazioni di prodotto e di processo, insieme all’adozione di strategie e visioni di mercato dimostratesi vincenti. Una delle più recenti, è stata l’adozione di un impianto di trigenerazione per lo stabilimento di Scorzè; all’avanguardia da un punto di vista tecnologico per la cui realizzazione e gestione è stato scelto il modello ESCo: non un investimento iniziale da parte di San Benedetto, ma l’impegno a consumare energia. Un contratto di servizio della durata di dieci anni che prevede la fornitura da parte di E.ON dell’energia elettrica e termica necessari ad alimentare il processo produttivo. Sarà E.ON a occuparsi di tutto, dalla progettazione del sistema di cogenerazione alla fase realizzativa, incluse le procedure di

autorizzazione, fino alla gestione dell’impianto che preleva gas metano dalla rete e lo converte in energia elettrica e termica che vengono forniti al cliente a tariffe indicizzate ai prezzi di mercato. Una piccola centrale elettrica collocata presso gli stabilimenti produttivi del cliente, che non dovendosi occupare direttamente del sistema di cogenerazione, né da un punto di vista economico né da un punto di vista gestionale potrà concentrare le risorse tecnico - economiche sul proprio core business. E.ON ha seguito il progetto in tutte le fasi realizzative, a partire dall’accettazione da parte della comunità locale, fino alla progettazione e gestione dell’impianto, all’avanguardia da un punto di vista tecnico e logistico, e in grado di garantire compatibilità con l’evoluzione del mercato elettrico.

Comunità localiL’inserimento di un impianto di cogenerazione desta sempre alcune preoccupazioni da parte dei cittadini che vivono alle sue adiacenze, preoccupati dai disagi che questo può causare. Con l’obiettivo di informare la comunità sugli aspetti positivi della cogenerazione sono stati organizzati incontri con il sindaco ed è stata convocata un’assemblea pubblica per affrontare i temi legati all’impatto ambientale del sistema di cogenerazione. In quest’occasione è stata sottolineata la riduzione delle emissioni nocive in atmosfera ed è stato ribadito l’impegno da parte di E.ON di monitorare periodicamente il rumore per garantire il rispetto costante della normativa vigente.La produzione di acqua minerale è un processo produttivo continuo con un grande fabbisogno di energia elettrica, termica e frigorifera. Le utenze principali sono le macchine per la produzione delle bottiglie in Pet e le linee d’imbottigliamento. La scelta dell’adozione di un impianto di trigenerazione è nata dalla necessità di ridurre i costi energetici e le emissioni. L’impianto, basato su tre motori a gas metano da 4,4 MWe ciascuno, è in grado di produrre 13,2 MWe, 6 MWt di acqua calda, 6 tonnellate/ora di vapore con tre caldaie a recupero, 6,6 MWtf con tre assorbitori al bromuro di litio. Complessivamente ha un’efficienza elettrica superiore al 43% e un’efficienza complessiva

di Alberto Radice*

ARRIVA LA TRIGENERAZIONE SECONDO IL MODELLO ESCO PER LO STABILIMENTO PRODUTTIVO DI ACQUA MINERALE SAN BENEDETTO

Acqua cogenerata

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novembre/dicembre 2018 39

dell’86-88%. Attualmente, l’impianto è in grado di coprire la quasi totalità del fabbisogno energetico dello stabilimento, consentendo un risparmio molto significativo sul costo dell’energia. Da un punto di vista ambientale riduce le emissioni di circa 17.300 tonnellate/anno di CO

2 equivalente.

L’utilizzo di tre motori distinti permette di avere la flessibilità di produzione energetica adeguata a coprire le richieste dello stabilimento. Di fatto, si tratta di tre impianti che operano in parallelo, in grado di gestire una variazione estesa del flusso energetico, da un minimo di 2 MWe fino a un massimo 13MWe. A questo si aggiunge che durante i fermi macchina per attività di manutenzione l’impianto resta comunque operativo garantendo la disponibilità di almeno due motori su tre.

Impianto in verticaleIl progetto ha interessanti caratteristiche architetturali: nonostante l’area dello stabilimento fosse molto ampia, la disponibilità di spazio libero era estremamente limitata e l’area che avrebbe impegnato un impianto da 13,2MWe, se sviluppato su un unico piano, sarebbe stata certamente invasiva. Per questo è stata progettata una struttura verticale su tre livelli, dove il piano terra ospita i motori e gli assorbitori, il primo piano l’elettronica

di controllo e le interconnessioni principali e il terzo le caldaie a recupero e le torri evaporative. L’edificio in cemento armato, costruito appositamente, ha un’altezza di 20 metri e una pianta di 40 metri per 20 metri. In considerazione del terreno cedevole sul quale grava l’edificio, è stata realizzata una fondazione palificata, a sostegno di circa 160 pali di diametro variabile tra 30 centimetri e 60 centimetri e alti circa 18 metri.Il mercato elettrico, in continua evoluzione, offre nuove opportunità da sfruttare anche attraverso la gestione degli impianti di trigenerazione, che devono potere ottimizzare la produzione energetica per soddisfare il fabbisogno del processo produttivo e, al tempo stesso, offrire i servizi di cui la rete elettrica ha necessità in misura crescente. Coerentemente con la nuova normativa (delibera Aeegsi 300/2017) anche gli impianti di produzione possono partecipare al mercato dei Servizi di Dispacciamento, fornendo elettricità alla rete elettrica nei momenti di richiesta di picco. Si tratto di un nuovo vantaggio offerto dal servizio ESCo di E.ON: l’impianto viene gestito in base alle esigenze della produzione, ma senza perdere le opportunità che nascono dall’evoluzione del sistema elettrico.

*Ceo E.ON Connecting Energies Italia

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geotermia 40

novembre/dicembre 2018

La dipendenza energetica nasce quando un territorio, abitato da cittadini e da imprese produttive, non ha le risorse naturali nostrane per rendersi indipendente da altri. La dipendenza da altri territori rende quei cittadini meno liberi, sudditi di altri, più poveri perché la modernità del terzo millennio impone comunque il consumo di energia per le semplici attività di casa, di istruzione, di salute, di trasporto, di cultura, di sport, ecc. La Provincia di Viterbo vive su questi presupposti un enorme paradosso, che punisce cittadini inconsapevoli e crea un dibattito sul vero valore della politica che ha governato il territorio negli ultimi vent’anni. L’Enel tra gli anni ’80 e ’90, con i soldi della collettività italiana, investì molti miliardi di vecchie lire per ricercare l’oro della Tuscia, la geotermia e ne trovò moltissima e di facile utilizzo, ma i manager dell’epoca preferirono provare l’istallazione del ciclo aperto geotermoelettrico “flash” e non gli impianti a ciclo chiuso binario “Orc”, molto più moderni ma meno produttivi. Questa scelta risultò un totale fallimento su Latera costando all’Enel in denaro e reputazione. Oltre la multinazionale fu anche la risorsa a pagare un prezzo reputazionale, un po’ vittima degli stessi imprenditori che la giudicarono un “uva troppo amara per essere colta” quindi un investimento inutile e da non ripetere per nessuno. La comunità locale non trovò vantaggi stabili nel tempo ma assaporò un periodo importante di economia mossa dai cantieri di perforazione e della centrale di Latera dove lavorarono centinaia di

professionisti e operai, alberghi, ristoranti, bar e negozi di ogni tipo e inoltre le amministrazioni comunali guadagnarono molti milioni delle vecchie lire.Un altro vantaggio oggettivo fu l’analisi del territorio perché furono acquisite delle informazioni molto preziose e importanti per l’intera Regione Lazio, cioè la quantità, la qualità e la localizzazione della risorsa geotermia, compreso il dato impressionante del potenziale elettrico istallabile nella Provincia di Viterbo, circa 1350 MW di potenza (Tabella 1), cioè un’energia sufficiente all’intero fabbisogno della Regione Lazio.Se fossimo stati altrove, USA, Cina, Giappone, Germania, Canada, Francia, Inghilterra, Spagna o altri sarebbero stati avviati i progetti, le valutazioni ambientali, i cantieri e tutto il necessario per raggiungere l’obiettivo. Il territorio italiano invece fu lasciato alla sua povertà e depressione senza aprire un ragionamento con i cittadini, la comunità scientifica o quella accademica; vinse su tutto l’ignoranza e la mediocrità della classe dirigente locale.Solo tra il 2010 e il 2011 si ricreò l’opportunità di rilanciare l’impresa geotermica privata in Italia, escludendo la Multinazionale Enel, aprendo dal punto di vista normativo alle imprese con capacità economiche e tecniche, stabilendo che i titoli minerari possono essere conferiti ai soggetti richiedenti con sede sociale in Italia o in altri Stati membri dell’Unione Europea e, a condizioni di reciprocità, a soggetti di altri Paesi e che i soggetti richiedenti avrebbero dovuto possedere nell’Unione Europea strutture tecniche e amministrative adeguate alle attività previste, ovvero presentare una dichiarazione con la quale il legale rappresentante si impegnava, in caso di conferimento, a costituirle. Inoltre dall’oggetto sociale si sarebbe dovuto evidenziare che le attività del soggetto richiedente comprendono quelle specifiche di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi.A questa chiamata alle imprese ecologiche

di Diego Righini*

IL SOTTOSUOLO DI VITERBO PUÒ RENDERE LA REGIONE LAZIO INDIPENDENTE SOTTO IL PROFILO ENERGETICO

Lazio geotermico

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novembre/dicembre 2018 41

ad alta capacità tecnologica rispondemmo noi di Geotermia Italia Spa e altri soggetti, prendendoci la responsabilità imprenditoriale di valorizzare i dati geotermici raccolti da Enel, con i sacrifici degli italiani, e applicandoci sopra i nuovi impianti geotermoelettrici di ultima generazione, ecologici a zero emissioni in atmosfera, garantendo dal punto di vista ambientale un utilizzo della risorsa per la produzione di energia con zero sismicità e totale protezione delle falde acquifere, superando, come certificato dalle Istituzioni nazionali, regionali e scientifiche, per la prima volta nella geotermia anche il principio di precauzione. Malgrado ci fossero tutti gli elementi progettuali in regola, ancora oggi nulla si è fatto per dare vita al polo energetico regionale, attraverso la Provincia di Viterbo e il suo oro, la geotermia. Nessuno si è perso d’animo o mancherà di impegno per raggiungere questo obiettivo, ma la politica e la classe dirigente del territorio ha l’obbligo morale e civile di uscire dalla propria mediocrità per il benessere dei propri concittadini e per il miglioramento ambientale, urbanistico ed energetico del proprio territorio.

* Itw Lkw Geotermia Italia spa

Blera 23,1 202474,3

Vetralla 23,5 206245,0

Farnese 23,8 208072,7

San Lorenzo Nuovo 23,9 209532,0

Proceno 24,4 213575,8

Valentano 26,7 233584,8

Canino 26,7 234228,2

Grotte di Castro 27,1 237311,2

Nepi 27,3 239088,5

Ronciglione 28,3 247558,5

Monte Romano 31,1 272282,4

Caprarola 39,1 324532,6

Gradoli 39,7 347691,3

Sutri 40,6 356014,2

Capodimonte 47,7 417654,6

Bolsena 56,0 490705,3

Ischia di Castro 56,7 496268,3

Montefiascone 59,6 521836,8

Acquapendente 64,4 563764,5

Montalto di Castro 86,4 756985,0

Tuscania 88,4 774398,2

VITERBO 124,9 1094286,0

Tarquinia 156,3 1369528,6

TOTALE 1345,3  

Tabella calcolata con il metodo del volume per ciascun comune del Viterbese che riporta la potenziale producibilità elettrica con fluidi geotermici. La stima è riferita ai potenziali serbatoi geotermici presenti nelle serie carbonatiche mesozoiche e non considera il basamento metamorfico che ad esempio è più profondo e sfruttato sia a Larderello che Monte Amiata.

TABELLA 1

Carta titoli per geotermia nella Regione Lazio

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consumi 42

novembre/dicembre 2018

Da qualche anno è possibile procedere all’acquisto incentivato di elettrodomestici grazie al “bonus mobili”. È una misura che consente lo sgravio fiscale del 50% sui grandi elettrodomestici e sui costi correlati di trasporto e montaggio. Rientrano fra questi: frigoriferi, congelatori, lavatrici, asciugatrici, lavastoviglie, apparecchi per cottura, stufe, piastre scaldanti, forni a microonde, apparecchi di riscaldamento, radiatori, ventilatori, apparecchi per il condizionamento. Per ottenere lo sgravio è necessario che l’acquisto avvenga in occasione di altri lavori di efficientamento dell’edificio o comunque di ristrutturazione: non è incentivato l’acquisto tout court dell’elettrodomestico, lasciando intendere che si tratta di una misura di completamento dell’incentivazione dell’efficienza energetica. Le stime della Commissione Europea sul pacchetto di misure Ecodesign ed etichetta energetica, realizzate negli ultimi quindici anni, non solo accreditano a queste politiche circa il 50% degli obiettivi di risparmio energetico al 2020 ma anche un terzo delle mancate emissioni. A livello di consumi familiari, la stima è che si siano ridotti della metà rispetto allo scenario Bau dei primi anni 2000, per un risparmio medio nella bolletta della famiglia europea di oltre 400 euro.Tuttavia, un dettaglio della norma italiana ne sconfessa la natura energetica e rivela la vera sostanza del provvedimento: quella d’intervento macroeconomico anticongiunturale in aiuto al settore manifatturiero. Per accedere al bonus, infatti, è necessario acquistare prodotti che

corrispondano a delle classi di efficienza precise, indicate dall’etichetta energetica: la classe A+ è il minimo previsto per i frigoriferi, lavatrici e lavastoviglie, mentre la classe A è il minimo per i forni. Ebbene, si tratta delle classi minime acquistabili sul mercato. Il provvedimento non è diretto a orientare il consumatore verso i prodotti più efficienti, ma verso la rottamazione dell’esistente.

Etichetta vecchiaL’equivoco è possibile a causa della vecchia etichetta energetica e dei suoi “+”. La discussa etichetta (superata dalla nuova che tornerà alla scala A-G, ma che a causa delle lobby dei produttori non entrerà in vigore prima di due anni), fa molta confusione e induce il consumatore che acquista un prodotto A+ a pensare di aver comprato un prodotto tra i migliori del mercato. In realtà è proprio il contrario: nel caso di frigoriferi, lavatrici e lavastoviglie, si trova in mano un prodotto della peggior categoria energetica presente sul mercato perché i crescenti standard di efficienza, previsti dalla normativa Ecodesign, hanno messo fuori mercato i prodotti sotto quella categoria.Poco male, si dirà: sarà sempre meglio del vecchio elettrodomestico che si teneva in casa. Vero. Siccome gli elettrodomestici solitamente si cambiano se sono rotti e di norma rimangono in casa per una decina d’anni circa, sarebbe bene fare acquisti oculati. Tra un frigorifero mediocre di classe A+ e un frigorifero di classe A+++ può esserci una differenza di consumi fino al 40%. Per elettrodomestici come il frigorifero, sempre accesi, la cosa non è banale né per la bolletta familiare né per il fabbisogno della rete. Immaginiamo che la famiglia Rossi acquisti un frigorifero con congelatore a installazione libera, da 370 litri di classe A+++ al prezzo di 588 € iva inclusa che si stima consumi 178 kWh annui. Mettiamo invece che la famiglia Bianchi ne acquisti uno all’incirca della stessa capienza, di classe A+ al prezzo di 285 € che si stima consumi 265 kWh annui.

di Davide Sabbadin*

IL “BONUS MOBILI” DOVREBBE ESSERE UN INCENTIVO ALL’EFFICIENZA ENERGETICA MA IN REALTÀ È DIRETTO ALLE IMPRESE MANIFATTURIERE

Etichetta confusa

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novembre/dicembre 2018 43

Ebbene, la Tabella 1 indica il costo per ciclo di vita del prodotto, ovvero la somma del costo di acquisto (spalmato su dieci anni) e del consumo di corrente elettrica, calcolato con un costo crescente del 3% annuo, senza nessun incentivo statale. Dalla Tabella 1 si evince che, senza incentivi, il frigorifero di classe A+++ finisce per costare circa 50 euro in più alla famiglia, nel corso della sua vita. Nella Tabella 2, invece è inserito lo scenario in cui entrambe le famiglie fanno ricorso al “bonus mobili” e usufruiscono della detrazione del 50%.

Già dalla Tabella 2 si rende evidente che il “bonus mobili”, abbattendo il costo vivo del prodotto, favorisce il prodotto più costoso e lo rende conveniente sul lungo periodo, facendo risparmiare la famiglia Rossi fin dal primo anno circa 5 euro, che raddoppiano per effetto dell’inflazione energetica a fine vita del prodotto. Nella Tabella 3, infine, abbiamo ipotizzato che il “bonus mobili” per il 2019 e gli anni seguenti venga rimodulato in base all’efficienza attribuendo una detrazione del 36% per il frigorifero della famiglia Bianchi di classe A+ e del 65% per il frigorifero della

TABELLA 1

TABELLA 2

TABELLA 2

  anno 1 anno 2 anno 3 anno 4 anno 5 anno 6 anno 7 anno 8 anno 9 anno 10 costi totali risparmio

BIANCHI A+                        acquisto € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36    consumi € 53,00 € 54,59 € 56,23 € 57,91 € 59,65 € 61,44 € 63,28 € 65,18 € 67,14 € 69,15    

totali € 76,36 € 77,95 € 79,59 € 81,27 € 83,01 € 84,80 € 86,64 € 88,54 € 90,50 € 92,51 € 841,17 -€ 48,95ROSSI A+++                        

acquisto € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20    consumi € 35,60 € 36,67 € 37,77 € 38,90 € 40,07 € 41,27 € 42,51 € 43,78 € 45,10 € 46,45    

totali € 83,80 € 84,87 € 85,97 € 87,10 € 88,27 € 89,47 € 90,71 € 91,98 € 93,30 € 94,65 € 890,12  

  anno 1 anno 2 anno 3 anno 4 anno 5 anno 6 anno 7 anno 8 anno 9 anno 10 costi totali risparmio

BIANCHI A+                        acquisto € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36    

sgravio -€ 11,68 -€ 11,68 -€ 11,68 -€ 11,68 -€ 11,68 -€ 11,68 -€ 11,68 -€ 11,68 -€ 11,68 -€ 11,68    consumi € 53,00 € 54,59 € 56,23 € 57,91 € 59,65 € 61,44 € 63,28 € 65,18 € 67,14 € 69,15    

totali € 64,68 € 66,27 € 67,91 € 69,59 € 71,33 € 73,12 € 74,96 € 76,86 € 78,82 € 80,83 € 724,37 € 75,25ROSSI A+++                        

acquisto € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20    sgravio -€ 24,10 -€ 24,10 -€ 24,10 -€ 24,10 -€ 24,10 -€ 24,10 -€ 24,10 -€ 24,10 -€ 24,10 -€ 24,10    

consumi € 35,60 € 36,67 € 37,77 € 38,90 € 40,07 € 41,27 € 42,51 € 43,78 € 45,10 € 46,45    totali € 59,70 € 60,77 € 61,87 € 63,00 € 64,17 € 65,37 € 66,61 € 67,88 € 69,20 € 70,55 € 649,12  

  anno 1 anno 2 anno 3 anno 4 anno 5 anno 6 anno 7 anno 8 anno 9 anno 10 costi totali risparmio

BIANCHI A+                        acquisto € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36 € 23,36    

sgravio 36% -€ 8,4096 -€ 8,4096 -€ 8,4096 -€ 8,4096 -€ 8,4096 -€ 8,4096 -€ 8,4096 -€ 8,4096 -€ 8,4096 -€ 8,4096    consumi € 53,00 € 54,59 € 56,23 € 57,91 € 59,65 € 61,44 € 63,28 € 65,18 € 67,14 € 69,15    

totali € 67,95 € 69,54 € 71,18 € 72,86 € 74,60 € 76,39 € 78,23 € 80,13 € 82,09 € 84,10 € 757,07 € 180,25ROSSI A+++                        

acquisto € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20 € 48,20    sgravio 36% -€ 31,33 -€ 31,33 -€ 31,33 -€ 31,33 -€ 31,33 -€ 31,33 -€ 31,33 -€ 31,33 -€ 31,33 -€ 31,33    

consumi € 35,60 € 36,67 € 37,77 € 38,90 € 40,07 € 41,27 € 42,51 € 43,78 € 45,10 € 46,45    totali € 52,47 € 53,54 € 54,64 € 55,77 € 56,94 € 58,14 € 59,38 € 60,65 € 61,97 € 63,32 € 576,82  

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consumi 44

novembre/dicembre 2018

riguarda tutti i prodotti incentivati: alcune etichette, emesse dopo quelle dei frigoriferi e delle lavatrici, non hanno ancora popolato -come si dice tecnicamente- le classi A++ e A+++: per questi elettrodomestici, quindi, la classe A+ rappresenta effettivamente la scelta più efficiente presente sul mercato. La modifica, quindi è da concentrare sui grandi elettrodomestici in attesa dell’arrivo delle nuove etichette, con cui la classe A tornerà a essere la migliore per queste categorie. Sul piano della politica industriale, infine, la modulazione degli incentivi verso una maggiore efficienza energetica (anche a parità di plafond d’investimento pubblico) darebbe un segnale forte al mercato e favorirebbe le aziende più innovative che, attraverso la ricerca e lo sviluppo, hanno prodotto elettrodomestici più efficienti a prezzi competitivi e sfavorirebbe le produzioni a basso costo e bassa efficienza spesso prodotte all’estero. L’industria italiana, infatti, è sempre più concentrata sul segmento smart (il più richiesto per l’export) e la produzione è scesa al di sotto i dieci milioni di pezzi per la prima volta, segno che ormai si punta alla qualità più che alla quantità.

*responsabile efficienza energetica Legambiente

famiglia Rossi di classe A+++. Nella Tabella 3, si dimostra che una rimodulazione degli sgravi, oltre a rendere più conveniente il prodotto più efficiente (con un risparmio di 15 euro fin dal primo anno, che diventano quasi 20 al decimo) risponde al criterio “a maggiore investimento ambientale, maggiore aiuto da parte del governo”. Non va dimenticato, infatti, che parliamo di politiche di gestione di consumi elettrici e che, a fine vita dei due prodotti, la differenza dei consumi cumulati è stimata in 862 kWh. Una tale differenza, moltiplicata per un numero congruo di elettrodomestici in dieci anni (un milione) comporterebbe un taglio significativo del baseload dovuto ai consumi domestici (di qualche punto percentuale) e un mancato consumo su base decennale pari a 862 GWh. Emerge quindi l’esigenza di rivedere la politica d’incentivazione dei grandi elettrodomestici affinché, oltre a un’azione di stimolo al rinnovo del parco esistente e sostegno all’industria nazionale, diventi una vera politica di promozione delle tecnologie più efficienti in ambito domestico.Tuttavia va precisato che la confusione concernente i segni “+” in etichetta non

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termico 46

novembre/dicembre 2018

In Italia, gli usi finali termici (heating and cooling) rappresentano circa il 50% delle rinnovabili. Per raggiungere gli obiettivi al 2030 anche la produzione di calore da rinnovabili dovrà crescere in misura ragguardevole. I risultati per le rinnovabili di riscaldamento e raffrescamento (figura 1) sono stati ottenuti grazie alle biomasse (67%) e alle pompe di calore (27%) con valori in termini sia di valore aggiunto sia di occupati.

Obiettivi di crescita 2019-2030La Sen, indicando una crescita dal 19,2% al 30% per le rinnovabili termiche, si è limitata a considerazioni generiche. Per la stima del contributo delle rinnovabili termiche ai nuovi obiettivi 2030, sarà necessario tenere conto:• degli effetti del cambiamento climatico

in corso, quindi della modifica dei gradi giorno, delle nuove stime dei consumi per la climatizzazione invernale, che dovrebbero ridursi, delle nuove stime del raffrescamento estivo, che aumenterà a un numero maggiore di mesi;

• delle specifiche indicazioni per le Fer H&C, che la Red II introduce all’art. 23 (“Al fine di facilitare la penetrazione delle energie rinnovabili nel settore del riscaldamento e

di Marino Berton*

I target 2030 per le rinnovabili termiche in Italia sono ambiziosi, ma sono necessarie politiche adeguate

del raffreddamento, ciascuno Stato membro si adopera per aumentare la quota di energia rinnovabile fornita per il riscaldamento e il raffreddamento di 1,3 punti percentuali indicativi come media annua calcolata per i periodi del 2021- 2025 e 2026-2030 dal livello raggiunto nel 2020 […]”).

La base dati cui fare riferimento è il documento del Gse (Monitoraggio Fonti Rinnovabili nelle Regioni 2017, settembre 2018) che evidenzia come:• la produzione termica da fonti rinnovabili

ha un trend altalenante influenzato dall’andamento degli inverni, ma non manifesta segnali di crescita;

• solare termico e geotermia non presentano incrementi e sono caratterizzati da valori assoluti molto contenuti;

• i consumi da biomasse solide per il riscaldamento residenziale, pur mantenendo una significativa prevalenza su tutte le altre fonti, hanno un lieve arretramento;

• le pompe di calore sono l’unica tecnologia in leggera crescita.

Rispetto agli obiettivi al 2030 il quadro richiede l’attivazione di misure che garantiscano i target.

Valutazione degli obiettivi al 2030Gli obiettivi per i consumi finali lordi (Cfl), 32% al 2030, impongono una crescita sostenuta di tutte le produzioni con fonti rinnovabili. Di conseguenza, anche le Fer termiche dovranno aumentare del 50% la loro produzione 2016, passando da 10.539 a 15.808 ktep. La tabella 1 consegna una stima indicativa di un aumento del 50% dei Cfl dei Fer termiche in poco più di dieci anni.

La diversificazione tecnologicaL’obiettivo del 32% di rinnovabili, applicato alle Fer termiche è ambizioso ed è più costruttivo

CALORE, FREDDOE RINNOVABILI

Questo articolo

elaborato

da Marino

Berton con il

contributo di

Livio De Santoli

e G.B. Zorzoli,

è un estratto

del documento

dal titolo “Il

Piano Nazionale

Energia e Clima.

Le proposte del

coordinamento

Free

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novembre/dicembre 2018 47

valutare l’integrazione tra le diverse fonti. Per fare ciò, l’opzione migliore è quella assicurata dal mix energetico indicato nella quarta colonna di tabella 1 che assegna, a ogni tecnologia, un obiettivo specifico.

Biomasse. Nel 2016 l’utilizzo di biomasse per il riscaldamento a scala domestica ha contribuito per il 67% alla produzione termica rinnovabile e per il 29% a quella di tutte le rinnovabili. Considerato il trend 2012-16, gli spazi di crescita della loro produzione, stimati del 30% al 2030, tengono conto degli esiti positivi del processo di innovazione in atto, finalizzato all’aumento dei rendimenti e alla riduzione significativa delle emissioni e dello sviluppo nella certificazione dei combustibili legnosi. Il patrimonio forestale dell’Italia copre circa 11,8 milioni di ettari, con un coefficiente di boscosità più alto di quello di Germania e Francia. Per contro, ha il tasso di prelievo per ettaro più basso dell’Ue, contro un tasso di crescita di circa 1.000 metri cubi ogni minuto. Per l’Inventario forestale nazionale, la foresta italiana è composta per il 42% della superficie da boschi cedui, dei quali il 90% è invecchiato o prossimo al turno di taglio. Si tratta di soprassuoli destinati alla filiera energetica. Le fustaie, che rappresentano il 36% dei boschi italiani, producono principalmente assortimenti da opera, con il taglio di maturità si producono circa il 20% di sottoprodotti legnosi, destinabili alla filiera energetica, in un’ottica di valorizzazione a cascata del legno. Sotto il profilo tecnologico, il settore si presenta articolato: apparecchi domestici a legna e a pellet, caldaie domestiche e industriali a cippato e a pellet, reti di teleriscaldamento e per questo è necessario agire su quattro fronti:• promuovere il turnover tecnologico dei

vecchi impianti a biomassa e a energia fossile, sostituendoli con i generatori a biomassa di ultima generazione, in grado di garantire drastiche riduzioni delle emissioni (4 o 5 stelle, ai sensi del decreto 186/17;

• garantire la possibilità di installare generatori domestici a biomasse a 4 o 5 stelle su nuovi edifici o edifici con rilevante ristrutturazione;

• sostenere la diffusione di combustibili legnosi certificati e di qualità;

• favorire la realizzazione di reti di teleriscaldamento efficienti a biomasse al servizio delle comunità locali. Si stima una crescita del teleriscaldamento a biomasse, al 2030, del 60%.

Biogas 1%

67%

27%

Biomasse solide

Pompe di calore

Ri�uti biodegradabili 2%Solare termico 2% Geotermica 1%

Contributo delle singole tecnologie nel 2016

FIGURA 1

Fonte: Rapporto Statistico Gse 2016

Riparto delle tipologie di Fer termiche al 2030

TABELLA 1

 2016 50% Quota

realistica c/a

a b (1) c (2) %

Cfl di energia geotermica 125 187,5 400 220%

Cfl di energia solare termica 200 300 250 25%

Cfl frazione biodegradabile rifiuti (calore) 231 346,5 300 30%

Cfl energia da biomasse solide sett. residenziale 6.173 9.259,50 7.900 30%

Cfl energia da biomasse solide sett. non residenziale 229 343,5 380 70%

Cfl da biogas (calore) 44 66 70 60%

Energia rinnovabile da pompe di calore 2.609 3.913,50 5.000 90%

Calore derivato prodotto da fonti rinnov. (telerisc.) 928 1.392 1.500 60%

Consumi finali di energia 10.539 15.808,50 15.800  

(1) Aumento lineare del 50% sulla quota 2016.(2) Il riparto tiene conto di alcuni trend e delle evoluzioni attese, desunti da valutazioni fornite da aderenti al Coordinamento Free.

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termico 48

novembre/dicembre 2018

Pompe di calore. Nel periodo 2010-2014, il numero di pompe di calore (PdC), installate in Italia è aumentato del 20%, da 15 a 18 milioni di apparecchi e da 102 a 122 GW. Il 97% dell’energia termica rinnovabile prodotta dalle PdC è ascrivibile a quelle aerotermiche, con un fattore di prestazione stagionale medio di 2,6. Le PdC rappresentano la seconda fonte termica rinnovabile del Paese (2,6 Mtep), con un consumo annuo di energia elettrica di circa 18.400 GWh (Gse, 2014). Le installazioni di PdC, a gas o elettriche, malgrado i costi di installazione superiori alle altre tecnologie, sono in crescita. Questo trend è attribuibile all’evoluzione tecnologica, con macchine che presentano le performance migliori in termini di Cop (3-4,5 per quelle ad aria). Lo sviluppo delle pompe di calore contribuirà al raggiungimento dei target definiti, dando nuovo impulso all’edilizia a zero emissioni, ma a patto che sia discussa con la Commissione Europea la possibilità di estendere nel conteggio delle rinnovabili anche l’apporto del raffrescamento. Le stime prevedono per le pompe di calore una crescita del 90% del loro contributo alle rinnovabili termiche. Vista la quota di energia elettrica non rinnovabile nell’alimentazione delle PdC, è necessario indirizzare gli incentivi verso le tecnologie efficienti con un fattore di prestazione stagionale >3.

Solare termico. Il solare termico ha in Italia uno sviluppo prevalentemente per il riscaldamento nel settore residenziale. Si tratta di una tecnologia matura, che non ha manifestato un particolare potenziale di riduzione dei costi. Nonostante gli incentivi, il settore sta registrando un rallentamento delle installazioni. È necessario uno sforzo di produttori e installatori per assicurare un ruolo più importante a quest’opzione, diffondendo le opportunità offerte dagli strumenti di incentivo messi a disposizione. Sarebbe opportuno prevedere coefficienti premianti aggiuntivi. Da rilevazioni di Assotermica, per i pannelli a circolazione naturale si ha notizia di un incremento delle vendite nei primi mesi del 2018 pari a circa il 24%. Si auspica che questo dato possa ripercuotersi anche per il mercato dei pannelli

a circolazione forzata. Per questo motivo è stata stimata al 2030 una crescita del 25%.

Geotermia. Il settore ha bisogno di strutture di sostegno alle nuove tecnologie, insieme a una semplificazione autorizzativa e a una pianificazione a medio termine. Si stima che l’installazione di impianti geotermici per circa 125 MW di potenza immessa in rete sia possibile già entro il 2024, a fronte di una riduzione di circa il 20% dei costi. Al 2030 la riduzione potrebbe essere il 35% per oltre 200 MW di potenza elettrica. Senza considerare i vantaggi conseguenti all’uso del calore in cogenerazione. La geotermia a bassa entalpia è facilmente attuabile e dovrebbe essere presa in considerazione in combinazione con le pompe di calore. Il teleriscaldamento geotermico con tecnologia a re-immissione totale con impianti di piccole/medie dimensioni, potrebbero essere riutilizzati molti dei pozzi realizzati alla ricerca di idrocarburi, ma risultati sterili. La geotermia può rappresentare una strategia energetica alternativa alla metanizzazione della Sardegna. In alcune aree del Veneto, Campania e Alto Lazio sono presenti situazioni di reperibilità della risorsa geotermica a basse profondità, dove si può operare con cicli binari di tecnologia italiana, con lo scambio in pozzo, per realizzare micro-impianti di cogenerazione geotermica, integrabili direttamente all’interno dei condomìni, capaci di servire il fabbisogno, elettrico e termico, da 10 a 50 utenze familiari. Tenuto conto del dato di partenza molto contenuto (124 ktep nel 2016) vi sono ragionevoli possibilità di crescita al 2030 per raggiungere 400 ktep (+ 220%).

Incentivi disponibiliConto termico. Il Conto termico (Ct) incentiva la rottamazione e la sostituzione di vecchi generatori, con macchine nuove e performanti, che producono energia termica con fonti rinnovabili. Le risorse annualmente sono 700 milioni di euro per i privati e 200 milioni di euro per la Pa. Questo strumento, entrato in operatività a metà 2013, rispetto alle detrazioni fiscali introduce un approccio nuovo:• l’incentivo non arriva all’utente finale sotto

forma di riduzione delle tasse, ma con un

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novembre/dicembre 2018 49

bonifico bancario effettuato dal Gse;• il premio all’energia termica prodotta viene

riconosciuto sulla base di algoritmi semplici, che permettono di stimare l’energia termica prodotta in un anno.

L’aggiornamento del Conto termico (DM 16/02/2016, Ct 2.0) entrato in vigore a giugno del 2016 ha introdotto semplificazioni procedurali e riduzione dei tempi di erogazione del contributo. Il Conto termico è un “meccanismo virtuoso” con riferimento a:• aspetti ambientali (meno consumi di

energia da fonte fossile, meno di emissioni in atmosfera e più efficienza energetica);

• aspetti economici (tempi brevi di erogazione, contributo erogato tramite bonifico, contributo fino al 65%);

• qualità degli interventi.

Con il Ct 2.0, gli operatori ne hanno colte le potenzialità. E i risultati si sono visti: richieste d’incentivo triplicate nel periodo 2016-2017, trend confermato anche nel 2018. Al 1° ottobre 2018 erano stati erogati ai privati 281 milioni di euro, per un totale di circa 120 mila richieste pervenute al Gse. Ma il potenziale del Ct 2.0 è ancora da sviluppare nel 2018, a fonte di una disponibilità di 700 milioni di euro, all’inizio dell’ultimo trimestre ne erano stati utilizzati solo 134 (19%). La crescita nella diffusione del Ct evidenzia una positiva tendenza, ma esprime anche le inespresse potenzialità di sviluppo, che potranno tradursi in investimenti soltanto attraverso campagne di comunicazione e informazione. Né l’Enea né il Gse si sono attivati in questa direzione, è invece necessario e urgente promuovere specifiche azioni in tal senso con il coinvolgimento del sistema associativo e degli stakeholder.

Detrazioni Fiscali. La riduzione dal 65 al 50% di una parte delle detrazioni fiscali per gli interventi sulla produzione termica rinnovabile è un segnale negativo. La realizzazione degli obiettivi del Piano Nazionale Energia e Clima rende necessario il ripristino del preesistente livello di detrazione fiscale, rendendolo nel frattempo stabile, per dare certezza ai potenziali beneficiari. È viceversa positivo che la Legge di Bilancio 2018 abbia esteso a tutti e

per qualsiasi intervento la cessione del credito a favore dei fornitori. L’impatto del precedente livello di detrazione fiscale è fornito dai risultati del Rapporto Annuale sulle detrazioni per la riqualificazione energetica del patrimonio esistente, redatto da Enea.

Fondo nazionale per l’efficienza energetica.Istituito presso il Mise (articolo 15, comma 1, del decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102), il Fondo, disciplinato dal decreto interministeriale 22 dicembre 2017, sostiene gli interventi di efficienza energetica su immobili, impianti e processi produttivi, realizzati dalle imprese, ivi comprese le Esco, e dalla Pubblica Amministrazione. Nello specifico, gli interventi devono riguardare:• riduzione dei consumi di energia nei

processi industriali;• realizzazione e ampliamento di reti per il

teleriscaldamento;• efficientamento di servizi ed infrastrutture

pubbliche, inclusa l’illuminazione pubblica;• riqualificazione energetica degli edifici.Il Fondo ha una natura rotativa e si articola in due sezioni che operano per:• concessione di garanzie su singole

operazioni di finanziamento, cui è destinato il 30% delle risorse che annualmente confluiscono nel Fondo;

• erogazione di finanziamenti a tasso agevolato cui è destinato il 70% delle risorse che annualmente confluiscono nel Fondo.

La sezione garanzie prevede una riserva del 30% per gli interventi riguardanti reti o impianti di teleriscaldamento, mentre il 20% delle risorse stanziate per la concessione di finanziamenti è riservata alla Pa. Per l’avvio della fase operativa, il Fondo potrà contare su 150 milioni di euro, già resi disponibili dal Ministero dello Sviluppo economico, che destinerà anche ulteriori 100 milioni di euro nel triennio 2018-2020. Rispetto agli ambiziosi obiettivi europei sia in termini di efficienza energetica sia per le Fer termiche, la dotazione finanziaria appare insufficiente. Dato il ruolo propulsivo del Fondo e tenuto conto del ritardo con cui è stato attivato, è assolutamente necessario dotarlo di risorse finanziarie dell’ordine di un miliardo di euro.

*Direttore Generale Aiel

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Per informazioni e iscrizioni : [email protected] Lungotevere dei Mellini, 44 | 00193 Roma | tel. +390642014701 | fax +390642004838 | [email protected]

www.anev.org

CORSI DI FORMAZIONE

ANEV 1/2019

La Sicurezza nel Parco Eolico12 - 13 marzo 2019Roma, sede ANEV15 CPF

ANEV 2/2019

Rinnovabilicorso avanzato sull’eolico

20 - 23 maggio 2019Roma, sede ANEV24 CPF

ANEV 3/2019

Il Minieolico

novembre 2019Rimini, Ecomondo Key Wind10 CPF

ANEV 4/2019

Operation&Maintenancenovembre 2019Rimini, Ecomondo Key Wind10 CPF

ANEV 5/2019

La Sicurezza nel Parco Eolico3 - 4 dicembre 2019Roma, sede ANEV15 CPF

I CORSI DI FORMAZIONE ANEV RILASCIANO CREDITI FORMATIVI PROFESSIONALI PER GLI INGEGNERI

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s o m m a r i oI Il contributo del capacity market alla transizione energetica di Marco CampagnaII-III L’accelerazione della transizione alle energie rinnovabili

in Africa al centro del Riab ospitato da Res4Med&Africa e Maeci di Dario D’Angelo

IV Notizie dagli associati

news I

ELETTRICITÀFUTURA

impre se e l e t t r i che i t a l i ane

ELETTRICITÀFUTURA

impre se e l e t t r i che i t a l i ane

Il contributo del capacity market alla transizione energeticadi Marco Campagna*

Tutte le maggiori economie del mondo sono coinvolte nel processo di “transizione energetica”. Gli elementi

principali di questa evoluzione, suppor-tata dall’innovazione tecnologica, sono la decarbonizzazione, l’incremento dell’efficienza energetica e del contribu-to delle fonti energetiche rinnovabili (Fer), l’evoluzione verso modelli di gene-razione distribuita e di empowerment del consumatore finale.

In uno scenario di decarbonizza-zione come quello delineato a livello italiano (Sen17) ed europeo (RedII), l’esistenza di capacità produttiva pro-grammabile è sempre più essenziale con il ruolo di back-up per compensa-re le f luttuazioni nella produzione di energia elettrica da Fer intermittenti, al fine di garantire la sicurezza e la co-stante copertura di tutta la domanda di energia. Nei mercati energy-only, come quello italiano, l’incremento della pro-duzione elettrica da Fer caratterizzata da costi variabili pressoché nulli, non permette di dare segnali di prezzo di medio-lungo termine efficaci ad indiriz-

zare gli investiventi/disinvestimenti in impianti potenzialmente necessari al sistema. A ciò si accompagna un peg-gioramento dei fattori di utilizzo e della sostenibilità economica degli impianti di generazione convenzionale anche ad alta efficienza e limitato impatto am-bientale, necessari per il ruolo di back-up della produzione da Fer.

Il mercato elettrico italiano deve quindi evolvere da un lato per con-sentire l’incremento della generazione elettrica rinnovabile ed il phase-out

degli impianti termoelettrici a più alto impatto climalterante, e dall’altro per rispondere all’esigenza di adeguatezza del sistema elettrico, fornendo efficienti segnali di medio/lungo periodo per gui-dare le scelte degli operatori.

Per tali ragioni nasce la necessità di istituire un capacity market come inte-grazione ai mercati dell’energia. Il mer-cato della capacità italiano, approvato dalla Commissione Europea ma non an-cora attuato, è del tipo “Reliability Op-tion”: i partecipanti sono obbligati a of-frire sul mercato la capacità impegnata, e le rendite di picco (energia venduta al di sopra di una soglia detta strike price) vengono di fatto trasformate in un pa-gamento fisso annuo basato sulla capa-

cità produttiva messa a disposizione e accettata nelle aste (che sono valorizza-te in termini di €/MW-anno). Se i prezzi nel mercato dell’energia sono superiori allo strike price, gli assegnatari di con-tratti di capacità devono restituire la differenza tra prezzo di mercato e strike price. Inoltre, se l’impianto di produzio-ne non è in grado di offrire elettricità sul mercato durante le ore di scarsità, può incorrere nel pagamento di penali-tà. In base a queste caratteristiche, il meccanismo contribuirà a garantire la

presenza della sola capacità necessaria al sistema, selezio-nata in modo effi-ciente e riducendo i costi energetici per i consumatori finali. Il capacity market italiano è aperto anche alla

generazione rinnovabile (a determina-te condizioni) e alla domanda, in ottica di integrazione delle nuove risorse for-nite dall’innovazione tecnologica. Sarà inoltre possibile la partecipazione di capacità estera.

Per questi motivi è necessario che il Ministero dello Sviluppo Economico, Arera e Terna approvino in tempi brevi il decreto e le delibere di attuazione del mercato della capacità. È di fondamen-tale importanza partire con le prime aste il prima possibile, magari preve-dendo a valle un momento di check-up del meccanismo, nel caso in cui alcuni elementi non funzionassero al meglio. n* Area tecnica sistema elettrico e mercati

Elettricità Futura

INFO

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ZIO

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PUBB

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elettrica rinnovabile ed il phase-out meccanismo contribuirà a garantire la

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II

ELETTRICITÀFUTURA

impre se e l e t t r i che i t a l i ane

ELETTRICITÀFUTURA

impre se e l e t t r i che i t a l i ane news

L’accelerazione della transizione alle energie rinnovabili in Africa al centro del Riab ospitato da Res4Med&Africa e Maecidi Dario D’Angelo*

Il 24 ottobre si è tenuta a Roma la sessione speciale del Renewable Industry Advisory Board (Riab)

dell’International Energy Industry (Iea). L’incontro, intitolato “Africa’s re-newable energy transition: What does it take?”, ha contato 100 partecipanti e 26 relatori, e per la prima volta si è fo-calizzato su un tema solo: l’accelerazio-ne della transizione alle energie rinno-vabili in Africa.

Il workshop è stato organizzato da Res4Med&Africa e dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci), e si è tenuto alla Farnesina il giorno precedente la Conferenza Ministeriale Italia-Africa, durante la quale sono state riportate alcune considerazioni emerse durante la sessione speciale Riab. Ai discorsi di apertura di alto livello da parte di Massimo Gaiani (Maeci) e Paolo Frankl (Iea) sono seguite quattro sessioni.

La prima, “Renewable energy in Africa: status, scenarios, priorities”, at-traverso i discorsi di apertura di Amani Abou-Zeid, Commissaria per le infra-strutture e l’energia dell’African Union Commission, Vera Songwe, Segretaria esecutiva di Uneca, e Antonio Cammi-secra, Presidente di Res4Med&Africa e CEO di Enel Green Power, mirava a dare un quadro complessivo sulle ener-gie rinnovabili nel continente africano.

La seconda, terza e quarta sessione si sono tenute, come di consueto, sotto Chatam House Rule, per permettere ai relatori di esprimersi più liberamente

e instaurare così una discussione più autentica. “How to improve quality of electricity supply? Challenges and op-portunities in sub-urban and peri-ur-ban areas” si è focalizzata su come por-tare l’energia elettrica nelle zone peri- e sub-urbane delle metropoli africane, in continua espansione man mano che

avanza il processo di urbanizzazione. È emerso che è necessario potenziare enormemente la rete elettrica, e che le energie rinnovabili, se correttamente integrate in essa, possono fornire un contributo fondamentale alla stabilità della rete elettrica.

La terza sessione, “Decentralized renewable energy to accelerate su-stainable development: what business model and what role for PPP’s?”, si è focalizzata sulla necessità di portare elettricità in quelle aree rurali dell’A-frica in cui la connessione alla rete è in molti casi anti-economica. In questo caso soluzioni decentralizzate quali le mini-grid possono costutuire una valida risposta al bisogno di energia elettrica, che deve essere in grado di garantire una capacità produttiva per poter dare il via al processo di sviluppo sostenibile.

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III

Esfi: quando le competenze tecnologiche incontrano la cooperazione internazionale

Elettrici Senza Frontiere Italia è un’associazione nata nel 2015 per

contribuire al miglioramento delle condizioni di vita in alcune zone del

Pianeta in via di sviluppo. L’obiettivo è condurre e partecipare ad azioni di

solidarietà internazionale che permettano l’accesso all’elettricità e all’acqua,

tramite interventi umanitari in situazioni

di emergenza sanitaria o di catastrofi

naturali. Il lavoro dei volontari di Esfi

non si limita all’invio e al montaggio

delle attrezzature, ma s’identifica come

un percorso continuato di trasmissione

di conoscenza. Diverse sono le missioni

realizzate come l’istallazione di pannelli

solari e batterie per fornire l’energia

elettrica e illuminare le sale di un centro

sanitario nel villaggio di Voka in Congo

o la realizzazione di un impianto solare termico e solare fotovoltaico con

accumulo presso una comunità con 300 bambini sieropositivi nel Nord del

Kenya. Sono in fase di realizzazione una mini grid fotovoltaica con accumulo

destinata ad un ospedale di Chiulo in Angola in collaborazione con Cuamm - Medici con Africa e l’elettrificazione di alcuni villaggi in Laos in collaborazione

con Esf France. Esfi si avvale della collaborazione di tecnici specializzati,

volontari selezionati in base alle loro specifiche competenze.

Elettrici Senza Frontiere Italia ha recentemente avviato un progetto anche

in Italia, partecipando alla costruzione di un impianto fotovoltaico presso la

Missione Speranza e Carità a Palermo. Esfi è alla continua ricerca di volontari

che mettano le proprie competenze al servizio di missioni e che possano

partecipare alla vita dell’associazione.

Per maggiori info: www.elettricisenzafrontiere.org

Infine, durante “Ifi’s role to accele-rate Re investments, what additional tools?”, è emerso è che vi è abbondanza di capitale da investire ma carenza di progetti bancabili, e la bancabilità è spesso minata dai rischi che gli investitori si trovano ad affrontare. Il suggerimento è stato quindi di passare dal finanziamento diretto dei progetti alla mitigazione dei rischio.

Ai margini della conferenza Res4Med&Africa ha annunciato due importanti nuove partnership. Anto-nio Cammisecra e Vera Songwe han-no firmato un memorandum d’intesa per future collaborazioni e come pri-mo passo per l’adesione di Uneca a Res4Med&Africa. Con Amani Abou-Zeid invece è stata annunciata la col-laborazione tra Res4Med&Africa e African Union per il “Renewable Ener-gy Capacity Building Program”, un programma di formazione incentrato sulle energie rinnovabili che si terrà in cinque paesi africani. La lettera di intenti è stata firmata il giorno succes-sivo durante la Conferenza Ministeria-le Italia-Africa. Con queste due nuove partnership Res4Med&Africa si pone sempre più come interlocutore di isti-tuzioni e organizzazioni internazioniali.

Per maggiori informazioni sulla sessione speciale RIAB: bit.ly/RiabCon-ferenceBrief n

*Communication Assistant

Res4Med&Africa

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IV ELETTRICITÀ FUTURA Piazza Alessandria, 24 - 00198 - Roma n tel. +39.06.8537281 n Via Pergolesi, 27 - 20124 Milano

n [email protected] n www.elettricitafutura.it

ELETTRICITÀFUTURA

impre se e l e t t r i che i t a l i ane

ELETTRICITÀFUTURA

impre se e l e t t r i che i t a l i ane news

campo s’individua la composizione chi-mica qualitativa del polimero; in segui-to, tramite una specifica analisi tecnica e statistica, è possibile valutare la po-tenziale evoluzione dei fenomeni e il relativo rischio di degrado nel breve e nel lungo periodo. Con tali informazioni è possibile definire opportune strategie di mitigazione di carattere tecnico-eco-nomico (per esempio: claim in garanzia, sostituzioni programmate e/o accanto-namenti finanziari).

WiseEnergy vince il premio “Business & Finance Award” assegnato da “The European”

WiseEnergy Group, la principale società completamente integrata

di asset management e technical advi-sory, ha vinto l’edizione 2018 del premio come “Best Renewable Energy Asset Managers Italy”. Il riconoscimento è stato assegnato da “The European”, la testata business trimestrale edita da Thomson Reuters che individua e rico-nosce i soggetti che si sono distinti per innovazione ed eccellenza nei rispettivi settori. Buona strategia, know-how e qualità del servizio sono stati gli indici decisivi. Maria Sabella, General Mana-ger di WiseEnergy Italia ha commenta-to: «Il mercato italiano delle energie rinnovabili sta raggiungendo una fase di maturità e questo si traduce nella presenza di operatori più professionali, competenti e strutturati. Siamo quindi lieti di contribuire alla creazione di pra-tiche d’eccellenza e averle sapute tra-sferire in nuovi mercati. Dalla nostra fondazione nel 2008, siamo sempre sta-ti all’avanguardia nell’innovazione del settore con il preciso obiettivo di miglio-rare i rendimenti e ridurre i rischi per i nostri clienti».wise-energy.eu

Graziella Green Power nel progetto europeo per una geotermia a emissioni zero

Graziella Green Power, con altri diciassette partner europei, è tra

i promotori del progetto Geco (Geother-mal Emission Control) che, inserito nel programma Horizon 2020 dedicato alla ricerca e all’innovazione, ha ricevuto dall’Unione Europea l’assegnazione di 16 milioni di euro. Il progetto ha l’obiet-tivo di dimostrare l’efficacia e l’applica-bilità di tecnologie energetiche sosteni-bili e innovative che potranno ridurre significativamente le emissioni aerifor-mi degli impianti geotermici, attraverso la re-iniezione del fluido geotermico e dei suoi gas non condensabili, nel sotto-suolo. Il progetto, inoltre, prevede an-che momenti formativi e seminari in-terdisciplinari destinati a sensibilizza-re geologi, ingegneri, ricercatori e ope-ratori del settore verso la geotermia sostenibile. Geco potrà infine contribu-ire all’aumento dell’accettabilità sociale dell’energia geotermica.

Valutazione rischi legati al degrado precoce del backsheet

Il deterioramento precoce del backsheet dei moduli fotovoltaici,

principalmente legato a fenomeni di sfarinamento e/o ingiallimento, può portare alla perdita delle caratteristi-che di sicurezza elettrica e al degrado delle performance. Tali fenomeni, lar-gamente diffusi su scala mondiale, sono dovuti alle caratteristiche costruttive e alla composizione dei polimeri utilizza-ti (per esempio: PA, PVDF, PET, FEVE, o PVF). M&P, in collaborazione con Du-Pont, ha studiato una specifica procedu-ra per valutare tali rischi. Attraverso specifiche indagini spettroscopiche in

Ppa pronti

I veri driver per lo sviluppo di nuovi impianti fotovoltaici in Ita-

lia sono la «market parity» e l’evoluzio-ne del mercato elettrico. Ego, che ha già siglato i primi veri Ppa in Italia, due della durata di cinque anni e uno della durata di due anni e mezzo, dispone di tecnologie avanzate per l’operatività sui mercati, per il monitoraggio degli impianti, per l’analisi dei dati e per la gestione del rischio. Ha inoltre svilup-pato un modello proprietario per la pre-visione affidabile del prezzo dell’ener-gia elettrica sul mercato, fondamentale per affrontare accordi di questo tipo. I Ppa sono contratti complessi, il cui ele-mento fondamentale è identificare una formula che tuteli le due controparti dai rischi dovuti alle fluttuazioni che il prezzo dell’energia può avere nel me-dio/lungo periodo. Ego, leader nel tra-ding di energia rinnovabile, dispaccia oltre 5 TWh/anno di produzione Fer e movimenta oltre 20 TWh/anno di ga-ranzie d’origine, operando attivamente su tutti i mercati, compreso Msd (Uvac e Uvap), per cogliere prontamente tutte le opportunità.www.ego.energy

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novembre/dicembre 2018 57

focus

Dopo il report dell’IPCC non si può più perdere un instante. Bisogna intervenire oggi, in tutte le direzioni. Nessuna esclusa.

CLIMA

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imprese 58

novembre/dicembre 2018

A guardarle da fuori si fatica a immaginare che le due grandi aziende nazionali dell’ener-gia abbiano alle spalle lo stesso azionista di controllo, che stabilisce indirizzi e nomina i vertici. Negli ultimi anni le due aziende hanno intrapreso strade differenti, con strategie di diversificazione e di proiezione internazionale agli antipodi. Da un punto di vista de-gli azionisti, nel 2017, le scelte dei rispettivi management hanno prodotto risultati molto positivi e dividendi importanti sia per Eni sia per Enel. Se fossero due aziende private, la discussione potrebbe fermarsi qui, ma sono entrambe controllate dallo Stato italiano attraverso il Ministero dell’Economia e Cdp. E le decisioni d’investimento in Italia e nel mondo sono rilevanti per il nostro Paese e hanno da sempre influenzato la politica estera e le relazioni con gli Stati in cui lavorano. Oggi, a differenza del passato, devono fare i conti con gli impegni di decarbonizzazione dell’economia assunti con l’Accordo di Parigi e che riguardano sia noi sia gli altri Paesi. Per evidenti ragioni, le scelte di queste due aziende ci riguardano molto da vicino, perché possono contribuire ad accelerare la transizione attraverso investimenti in innovazione e ricerca. E le stesse decisioni rispetto alle estrazio-ni di Oil & Gas nel mondo non sono rilevanti solo per ragioni climatiche o di geopolitica, ma anche di valore delle imprese perché sono parametri che sono considerati sempre con più attenzione nella valutazione da parte dei fondi d’investimento internazionali. È arrivato il momento di guardare alle scelte di Eni ed Enel in modo nuovo, accendendo un faro sulle decisioni e pretendendo dal governo coerenza rispetto agli impegni presi sul Clima. Perché possono rappresentare una straordinaria leva per mettere il nostro Paese come capofila di quell’accelerazione che l’ultimo rapporto dell’Ipcc ha dimostrato essere quanto mai urgente. A che punto sono le due aziende in questa transizione?

Enel e la svoltaPartiamo da Enel, un’azienda che negli ultimi anni ha ottenuto riconoscimenti internazio-nali per la sua capacità di diversificazione degli investimenti verso le rinnovabili e riorga-nizzazione della struttura, con apprezzamento del rating e crescita del valore. Sono passati solo pochi anni da quando erano feroci gli scontri con gli ambientalisti sulle nuove centrali nucleari e sulla riconversione a carbone di Porto Tolle. Oggi Enel ha un piano strategico che punta alla completa decarbonizzazione della produzione al 2050 e sta procedendo nella riduzione delle emissioni attraverso la chiusura di vecchie centrali e gli investimenti in produzione da solare, eolico, geotermia. Il successo lo raccontano le gare vinte per la realizzazione di impianti, dal Sudafrica al Marocco, dal Cile al Canada, passando per il Giappone, l’India e con un posizionamento particolarmente forte in America Latina dove

Eni vs Enel: i campioni nazionali dell’energia sono ora alla sfida del clima. Con modalità profondamente diverse

di Edoardo Zanchini*

Gemelli diversi

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novembre/dicembre 2018 59FOCUS CLIMA

è recentemente diventata azionista di controllo di Eletropaulo, la società che distribuisce l’energia elettrica in tutta l’area metropolitana di San Paolo in Brasile. Certamente non sono tutte rose, ma la rotta della sua trasformazione in una compagnia proiettata nel nuovo sce-nario di lotta al climate change è tracciata ed è anche chiaro il modello di business che sta portando con successo nel Mondo. In Italia la situazione è più complicata per l’eredità del carbone, che ancora pesa in modo rilevante su produzione e bilancio e perché nel nostro Paese, gli investimenti nelle rinnovabili, finché non cambieranno le condizioni regolatorie e di mercato, rimarranno difficili. Nel frattempo ha intrapreso due scelte molto nette. Con il programma Futur-e sta gestendo la dismissione di ventitré siti produttivi, dislocati da Nord a Sud del Paese con un processo che punta al coinvolgimento degli stakeholder territoriali e che garantisce la bonifica dei suoli. I tempi non sono velocissimi, ma i progetti stanno andando avanti. L’altra scelta strategica riguarda la creazione di Enel X, la nuova piattaforma per lo sviluppo di soluzioni innovative che mettono assieme efficienza energetica, digitaliz-zazione, generazione distribuita da rinnovabili, mobilità elettrica pensata per i consumatori domestici, le aree urbane e le piccole e medie imprese. Il futuro è tracciato ma anche Enel avrà delle sfide delicate da affrontare nei prossimi anni, legate all’accelerazione che i nuovi target europei su Clima ed Energia impongono al nostro Paese e che dovranno entrare come decisioni già nel 2019 nel Piano nazionale che il governo dovrà presentare a Bruxelles. La prima riguarda la chiusura della produzione da fonti fossili. Enel sta accompagnando la dismissione dei siti produttivi entrati nel programma Futur-e e ha deciso di chiudere la centrale a carbone a La Spezia nel 2020. Nelle sue intenzioni e per continuare a garantirsi margini di guadagno, le due grandi centrali di Brindisi e in particolare di Civitavecchia dovrebbero continuare a produrre per più anni di quelli fissati dalla Sen, che ne prevede la chiusura entro il 2025. La seconda riguarda il nuovo scenario di generazione distribuita rinnovabile ed efficiente su cui è lanciata Enel X (con successi importanti negli USA) e che è al centro della nuova Direttiva europea sulle rinnovabili. Il conflitto di interessi è evidente, perché oggi il gruppo continua a garantirsi forti margini dall’azienda che gestisce la rete di distribuzione (e-distribuzione) ma un domani lo scenario che riguarda reti locali, private smart e interconnesse, come la remunerazione delle stesse tariffe, potrebbe cambiare. E allo

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imprese 60

novembre/dicembre 2018

stesso modo, in una prospettiva di sviluppo delle rinnovabili, il ruolo dell’accumulo diventa sempre più strategico e qualcuno potrebbe pretendere che le dighe gestite da Enel, con i loro sistemi di pompaggio, siano messe dentro questo scenario a garanzia della sicurezza del sistema, togliendole a un uso legato ai margini di guadagno dell’impresa. Di sicuro dobbiamo augurarci che il patrimonio di know how costruito in questi anni di successi all’estero, per i progetti da rinnovabili e di gestione efficiente della domanda, sia portato presto in Italia per rendere più semplice la realizzazione dei tanti impianti rinnovabili di cui abbiamo bisogno. Da qualunque prospettiva si guardi, è evidente che Enel continuerà a rappresentare un interlocutore ineludibile dello scenario energetico dei prossimi anni.

Eni campione nell’Oil & GasNel campo delle estrazioni petrolifere e dell’ampliamento dei giacimenti, è impressionante il rilancio realizzato negli ultimi mesi da parte di Eni e i benefici prodotti sul bilancio. La società, che ha nel suo logo il cane a sei zampe, è riuscita ad allargare ulteriormente raggio di azione nel mondo e produzione. Le attività di Eni sono arrivate a interessare 71 Paesi, muovendo nel 2017 1.816 migliaia di barili/giorno di idrocarburi (gas e petrolio) e facendo registrare la produzione più alta di sempre della compagnia, con un incremento del 3,2% rispetto al 2016. Solo nell’ultimo anno il portafogli esplorativo è aumentato di oltre 97.000 kmq di nuove superfici, distribuite tra Kazakistan, Oman, Cipro, Costa d’Avorio, Marocco e Messico. Gli investimenti complessivi sono stati pari a 442 milioni di euro, di cui 83 mi-lioni di euro in Ricerca & Sviluppo per il settore Esplorazione & Produzione, in aumento rispetto ai 62 del 2016. Eppure, nell’elencare le parti del mondo in cui lavora, qualche domanda comincia ad affiorare. Perché si spazia dal mare di fronte alle coste dell’Algarve in Portogallo a quello dell’Alaska nel circolo polare artico. Dal Golfo del Messico al Vene-zuela, dall’Oceano Indiano tra Indonesia e Australia, al Mar Caspio kazako fino al Mare di Barents, al largo della Norvegia. E ancora le acque, di fronte alle coste africane del Ghana, dell’Angola, della Repubblica Democratica del Congo, del Mozambico. E il Mediterraneo, con perforazioni e nuovi progetti che interessano in Italia l’Adriatico e lo Jonio, la Basilicata, la Sicilia, ma anche Egitto, Libia, Libano, Cipro. Il sottosuolo in Paesi come Algeria, Tuni-sia, Oman, Iraq, Pakistan e Myanmar, Russia e Turkmenistan ma anche nel Regno Unito. E la Foresta amazzonica dell’Ecuador. Eni è sempre di più un campione di Oil & Gas ma proprio nel momento in cui il mondo ha scelto di cambiare rotta. Attenzione, oggi questa non è la solita accusa degli ambientalisti o una problematica da lasciare a chi nell’azien-da si occupa di corporate responsibility. Perché perfino gli analisti e operatori finanziari meno attenti alle questioni ambientali lanciano da qualche tempo un allarme sul valore nel tempo di imprese incapaci di diversificare rispetto a una strategia industriale imperniata sul fossile. Ed è questo oggi il problema di Eni perché, nonostante un periodo positivo, gli investimenti nella diversificazione viaggiano a ritmi lentissimi, così come i progetti di impianti da fonti rinnovabili. Eni ha un piano per installare 220 MW in Italia (a oggi ne ha uno soltanto installato a Ferrara) che però appare quanto mai limitato se si pensa che nel nostro Paese sono installati 20 GW e se ne dovranno installare almeno 40 da qui al 2030. E poi c’è un’altra questione, non banale, legata alla gestione di un business delicato come quello delle estrazioni di petrolio e gas, per cui sono davvero tante le proteste che si aprono nei territori contro questi progetti. I pozzi e gli oleodotti hanno creato proteste a seguito di danni ambientali; per esempio in Nigeria per lo sversamento di petrolio da un oleodotto e che ha contaminato una vasta area. Oppure in Ecuador, dove la protesta viene dalle comu-nità indigene della Foresta amazzonica che avrebbero avuto diritto alla consultazione e al consenso, come stabilito dalla costituzione ecuadoriana. O ancora in Basilicata dove tante sono state in questi anni le proteste e anche le inchieste per inquinamento dei suoli e della falda. Sono tanti i nuovi progetti che preoccupano per gli impatti ambientali su ecosistemi

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novembre/dicembre 2018 61FOCUS CLIMA

delicatissimi, con ricadute sociali ed economiche non indifferenti e che animano proteste e manifestazioni nei Paesi in cui è lecito farlo (purtroppo un numero limitato, avendo molti di questi Paesi governi non democratici). A fare davvero male, da un punto di vista della reputazione internazionale, sono le inchieste per corruzione che in particolare riguardano Nigeria e Congo. Un’ulteriore pietra sull’immagine del gruppo in Italia sono i ritardi delle bonifiche delle aree di proprietà dell’azienda. Sono tredici, quelle inquinate inserite tra i Siti di interesse nazionale, ma i tempi continuano ad essere lentissimi e non si può certo accusare solo la burocrazia di questa situazione. Oggi Eni è ancora dall’altro lato del guado e sembra voler aspettare prima di optare per una chiara scelta di cambiamento che assuma il tema del climate change. Negli ultimi anni ha partecipato a diverse iniziative e firmato impegni insieme ad altre multinazionali dell’Oil and Gas e ha annunciato un piano per la neutralità carbonica dentro l’azienda e spinge il gas come alternativa sostenibile rispetto al carbone nella produzione elettrica. Serve una svolta radicale se si vuole essere davvero credibili, anche perché il rischio è di inseguire i competitor che nel frattempo si sono messi in marcia come Statoil e Total. Esistono i margini di bilancio per scegliere e se si continuerà a rinviare, non sarà impattante solo per l’ambiente ma anche sulla solidità del gruppo.

Costruire la transizione Non è più il tempo delle discussioni, i cambiamenti climatici ridefiniranno l’economia e la geopolitica nei prossimi decenni. È interesse di un Paese come l’Italia che la transizione energetica acceleri per superare uno storico problema, come la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento di fonti fossili e ad aprire nuove opportunità per il proprio sistema di imprese, grandi e piccole. Per riuscirci serve una visione del Paese e una chiara idea degli strumenti che si hanno a disposizione per accompagnare questi processi. La prima domanda che occorre porsi è se i due più grandi gruppi industriali italiani, controllati dallo Stato, possano contribuire a un processo nel quale sarà fondamentale la crescita delle competenze, la ricerca e la capacità d’investimento. Noi pensiamo di sì e che il nostro Paese dovrebbe prendere esempio dalla Germania, che rappresenta un modello nella capacità di fare squadra su alcuni ben definiti obiettivi per fare massa critica, riuscendo così a superare problemi e a creare opportunità. Un obiettivo di questo tipo dovrebbe entrare nel confronto che si aprirà per l’approvazione del Piano energia e clima che l’Italia nel 2019 dovrà presentare a Bruxelles, in cui si dovranno chiarire obiettivi e politiche per raggiungere i target fissati al 2030, coerenti con una decarbonizzazione da raggiungere al 2050. La seconda domanda riguarda il ruolo di ambasciatori all’estero del nostro Paese di queste aziende. E qui si apre la questione Eni, perché non siamo più ai tempi di Enrico Mattei ma in quello dell’Accordo di Parigi sul clima. E detenere la proprietà di un’azienda nel mondo campione nell’esplorazione di nuovi pozzi di petrolio e gas è davvero strategico per lo Stato italiano? Con il paradosso che mentre l’Europa e il Mondo dovranno ridurre i consumi di gas e petrolio, l’azienda controllata dallo stato italiano trivella dall’Artico al Mediterraneo per offrire altro gas e petrolio a buon mercato? Questi temi non possono es-sere derubricati con la ragione che i dividendi sono quanto mai importanti visti i problemi di debito e deficit del Paese. Oppure rispondere che quanto le aziende fanno all’estero è a prescindere interesse nazionale e che quindi debba essere accompagnato dalla nostra diplomazia, come oggi avviene in Libia, Algeria, Kazakistan. Questi temi e interrogativi dovranno entrare nella discussione pubblica che si aprirà su Piano Energia e Clima e, in modo trasparente, anche in quella sulle scelte che riguarderanno le future nomine. Il tutto alla luce del sole, perché è evidente che sia per Enel sia per Eni gli equilibri sono delicati e si devono convincere gli investitori. Ma i cambiamenti climatici non staranno a guardare: è arrivato il momento di farlo.

*Vicepresidente Legambiente

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governance 62

novembre/dicembre 2018

Dal 1° ottobre 2019, alcune città e Regioni, soprattutto della pianura Padana (come in altre d’Europa) bloccano la circolazione ai mezzi più inquinanti (benzina Euro 0 e die-sel Euro 3) per mitigare i rischi legati all’inquinamento. Sarebbe più giusto orientare le tasse sui trasporti in misura proporzionale all’inquinamento e allo spreco e non tassare genericamente la mobilità: la possibilità di muoversi (per studio e lavoro, così come per piacere, cultura e relazione) è libertà e va garantita. Proponiamo un ridisegno del carico fiscale (pesante, 73 miliardi di euro all’anno) che grava sulla mobilità, per far pagare di più ciò che inquina e usa risorse pubbliche (infrastrutture, spazio, ecc.) e agevolare quella mobilità che consente un miglioramento della qualità della vita.

Di seguito, una sintesi delle dieci proposte di Legambiente per la Legge di stabilità 2019 tutte a bilancio dello Stato uguale a zero. A ogni incentivo corrisponde il disincentivo del suo contrario. Le proposte sono nel solco di quelle “azioni di accompagnamento” che premiano la mobilità virtuosa e dall’altro applichino il principio “chi inquina paga” del punto 27 del “Contratto di Governo del cambiamento”:• accise carburanti proporzionali all’inquinamento (al peso molecolare del carbonio):

il gasolio costerà come la benzina nel 2019 e più della benzina nel 2020. È assurdo che lo Stato continui (con minori tasse) ad agevolare i diesel, salvo poi bloccarne la circolazione;

• voucher mobilità sostenibile di mille euro a chi rottama la vecchia auto. Il voucher non può essere impiegato per acquistarne una nuova, è per ridurre la motorizzazione privata. Con il voucher si possono acquistare abbonamenti e biglietti del trasporto pubblico, servizi di sharing mobility, noleggio mezzi, veicoli elettrici ed elettromusco-lari (dalla micromobilità sino ai quadricicli leggeri). Il voucher è regionale, così come il “malus” che lo finanzia, costituito da un aumento del bollo sui veicoli più inquinanti e sui mezzi di lavoro (che oggi pagano pochissimo). Se l’aumento del bollo fosse, ogni anno, di 5 euro per ogni “classe” inquinante arretrata (quindi 30 euro per un Euro 0) e di 20 euro per veicoli di lavoro (quindi 120 euro per un furgonato), si finanzierebbe un milione di rottamazioni l’anno. Due milioni il secondo anno, ecc.;

• sostegno alla mobilità sostenibile finanziato dalle aziende (ed enti pubblici) per di-pendenti e familiari: mille euro l’anno a dipendente di “welfare mobilità” che non costituiscono reddito imponibile e sono esentasse. Sono uguali ai voucher, con la possibilità di usare le flotte aziendali in “corporate sharing” per la mobilità privata;

• agevolazione Iva per la sharing mobility (10%, come sui biglietti di mezzi pubblici) e le flotte aziendali elettriche usate come veicoli in condivisione per gli spostamenti privati dei dipendenti: la detrazione Iva nell’acquisto o noleggio dei veicoli è del 100%;

Una serie di proposte a sostegno della mobilità sostenibile per la Legge di stabilità 2019. Ecco quelle di Legambiente

di Andrea Poggio*

Governo mobile

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novembre/dicembre 2018 63FOCUS CLIMA

• incentivo sino a 6 mila euro per chi acquista un’auto elettrica (metà se plug-in), al pari di quel che succede negli altri grandi Paesi europei. E, come succede all’estero, finanziato da un aumento delle tasse d’acquisto proporzionale alle emissioni di CO

2 e al costo zero

se con emissioni inferiori a 95 grammi CO2 a km, 1% sino a 120 grammi, 2% auto più

grandi e inquinanti. La misura è in grado di finanziare sino a 80 mila auto elettriche;• colonnine di ricarica, incentivo ai privati, locali pubblici, garage, ecc.: detrazione del

50% delle spese in dieci anni come nel caso di ristrutturazioni edilizie. L’energia elet-trica per la ricarica in ambito pubblico non deve essere gravata di alcuna accisa;

• autotrasporto: basta sconti fiscali per la trazione a gasolio. Già del 2015 si è smesso di finanziare i camion Euro 2 e precedenti. Proponiamo di impiegare le stesse risorse a sostegno di una conversione graduale di tutto il trasporto pesante in biometano – Gnl (gas liquefatto) e il trasporto leggero in elettrico;

• micromobilità elettrica: monopattini, monoruota ed altri (hoverboard e skateboard), muscolari, elettrici ed elettromuscolari, dovrebbero essere sottoposti a norme assi-milate a quelle delle e-bike: sicuri, velocità massima 6 Km/h sui marciapiedi, 25 km/h nelle piste ciclabili e ammessi sulla strade urbane. Deve essere consentito il trasporto gratuito sui mezzi pubblici. Se ne sono venduti 45 mila l’anno scorso, possono essere un aiuto e a zero emissioni, per fare intermodalità con i mezzi pubblici;

• permettere, per chi usa o possiede un’auto elettrica, di scambiare elettricità in rete: acquistarla quando si ha necessità di ricarica, venderla quando la rete ne ha bisogno. Il contributo dei veicoli può essere determinante con la diffusione in rete dei piccoli impianti rinnovabili discontinui, come il solare e l’eolico;

• privilegiare, nei trasferimenti statali ai comuni, i comuni che si sono dati piani sfidanti, con obiettivi di mobilità basse emissioni, elettrificazione, smartless, quartieri “car free”, ridisegno spazio pubblico per privilegiare altre funzioni urbane.È parere di Legambiente che tali proposte siano coerenti con una ben intesa soste-

nibilità non solo ambientale, ma anche sociale della nuova mobilità elettrica, leggera, efficiente, connessa, più condivisa e pubblica che s’incentiva.

È lo scontro politico e di opinioni che si è aperto, soprattutto nelle città del Nord in questi mesi: raccolte firme contro i provvedimenti anti-smog di Casa Pound, quando era la Lega al governo di Comuni e Regioni, della Lega quando al governo ci sta il centro sinistra. Polemica che ha coinvolto, in Lombardia, la Regione e il comune di Milano. Dopo aver bloccato Euro 3 diesel per i sei mesi invernali, la Regione ha mitigato il provvedimento esonerando dal blocco i proprietari di veicoli inquinanti con più di 70 anni e con un basso reddito, con motivazioni di caratteri sociale. Legambiente si è opposta.

Due considerazioni, due prime risposte. La prima: i “costi” sociali della transizione a una mobilità elettrica e zero emissioni (come quelli di una transizione energetica) sono tema serio che andrebbe studiato da chi ci governa e dubito che salvando l’abitudine a guidare la propria vecchia auto (pochi chilometri e pochi anni) venga assolta la responsa-bilità istituzionale della Regione a garantire, soprattutto per anziani e poveri, un servizio di trasporto pubblico ferroviario efficiente e una rete infrastrutture (compresi marciapie-di, piste ciclabili, strade). Andrebbe promossa una ricerca scientifica seria e approfondita (come si spostano poveri e anziani, di quali servizi e mezzi necessiterebbero, quanto costano, sicuri che posseggano vecchi diesel?). La seconda: la mobilità leggera (dalla e-bike agli ausili di mobilità), in generale quella elettrica, condivisa e pubblica (metro, tram e taxi), magari con sconti (come per gli abbonamenti Atm nel Comune di Milano) forse si potrebbe rivelare relativamente poco costosa e disponibile in diversi Comuni coinvolti dal provvedimento. Proviamo a evitare nelle decisioni politiche le scorciatoie demagogiche e le semplificazioni dando la parola ai soggetti sociali coinvolti.

*responsabile mobilità sostenibile Legambiente*

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prospettive 64

novembre/dicembre 2018

L’analisi è concentrata sull’Italia perché, in materia, ha alle spalle un percorso diverso da quello dei Paesi con cui di norma ci confrontiamo. Lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle rinnovabili non è avvenuto nell’ambito del una strategia a lungo termine, è stato discontinuo, con molte battute d’arresto e addirittura alcuni passi indietro.

Si tratta di un modus operandi che l’obiettivo europeo al 2030 non consente di re-plicare nei prossimi anni, come conferma il Position Paper contenente le proposte del coordinamento Free per realizzare gli obiettivi de Piano Nazionale Energia e Clima (Cnep), presentato a Rimini lo scorso 8 novembre. Il Rapporto mette in evidenza che, con una crescita del 57% nel risparmio incrementale annuo di energia rispetto a quello del 2011-2017, cui corrisponde la crescita del 23% dell’efficienza energetica da qui al 2030 e in presenza di un ragionevole incremento del Pil (+ 1,5%/anno), si riescono a mantenere i consumi energetici finali lordi nel 2030 uguali a quelli del 2016 (122 Mtep). La produzione energetica rinnovabile necessaria per coprirne il 32% sarebbe quindi pari a 39 Mtep.

100% di rinnovabili al 2050. Ci sono percorsi obbligati e nuovi problemi

di G. B. Zorzoli

Efficienza rinnovabile

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novembre/dicembre 2018 65FOCUS CLIMA

Lo stesso rapporto indica come fattibile alla stessa data una produzione con Fer pari a circa 44 Mtep, ripartita per settori come indicato in Tabella1: il contributo complessivo grosso modo raddoppia, quello elettrico cresce dell’90% circa, il termico del 50%, mentre il settore trasporti è chiamato a un passo in avanti straordinario, ma non irrealistico. Poco più di metà dei consumi di rinnovabili nel trasporto sarà fornito dal biometano, che coprirà integralmente la quota di Gnl nel trasporto marittimo (50%) e in quello pesante su strada (30%), prevista dalla Sn. I restante consumi Fer risultano ripartiti in modo equilibrato tra rinnovabili nella mobilità elettrica e bioetanolo, biodiesel e biojet fuel.

La Tabella 1 mette in evidenza che la possibile produzione con rinnovabili al 2030, stimata nel Position Paper di Free, sarebbe superiore di circa 5 Mtep al 32% della doman-da alla stessa data, consentendo una copertura Fer dei consumi finali pari al 35,8%, cioè sostanzialmente in grado di realizzare l’obiettivo al 2030, anche nel caso di una revisione nel 2023 che faccia proprio il 35% approvato dal Parlamento europeo, e obblighi l’Italia ad aumentarlo di un punto. Tuttavia, è più prudente considerare il divario di 5 Mtep come margine di sicurezza, per compensare eventuali scostamenti dai target relativi alla domanda energetica e/o alla produzione con rinnovabili.

Vanno tenuti presenti i fattori esogeni, che possono trasformare tali obiettivi, di per sé realistici, in potenziali:• un target nel 2030 superiore al 32%, come sarà presumibilmente richiesto a paesi

come l’Italia (almeno 33%), per compensare le deroghe concesse ai paesi dell’Est eu-ropeo (non a caso la Sen aveva assunto come obiettivo il 28%, quando quello europeo era il 27%);

• eventuali ritardi nel varare le norme e le misure richieste e le difficoltà in fase di permitting, di cui è ricca la cronaca energetica degli ultimi dieci anni.Tenendo conto dell’effetto combinato di questi fattori, si assumono qui come base di

partenza 39 Mtep per la produzione con rinnovabili nel 2030.

L’uso efficiente di tutte le risorseNon è possibile coprire con produzione rinnovabile tutti i consumi energetici finali del 2050, mantenendo inalterata la domanda prevista per il 2030: se così fosse, la produzione dovrebbe passare da 39 a 122 Mtep. Per esempio, se il 50% dei consumi fosse elettrificato, valore – come vedremo – superabile nel 2050, le rinnovabili dovrebbero produrre circa 712 TWh, 3,4 volte il volume del 2030, con un tasso medio di crescita annuo superiore al 6%. Sempre a titolo di esempio, anche immaginando di installare impianti fotovoltaici in modo da saturare tutte le coperture industriali e civili con esposizioni ottimali alla radiazione e non schermate da ostacoli, esistenti in Italia, e incrementi nelle loro perfor-mance tali da consentire mediamente produzio-ni equivalenti a 2000h/anno a piena potenza, si arriverebbe a malapena a 340 TWh: meno della metà del necessario.

D’altronde, secondo il Position Paper di Free, lo stesso contenimento dei consumi energetici fina-li nel 2030 al valore del 2016 difficilmente potrà essere realizzato promuovendo solo gli interventi di efficientamento energetico. A tal fine sarà ne-cessario promuovere l’uso razionale di tutte le risorse, con l’applicazione su larga scala, e per tutti i settori, dei princìpi di economia circolare.

Il contributo che questa può dare a uno svilup-po non solo ambientalmente sostenibile è infatti

Contributi 2030 al Piano Nazionale Energia e Clima (Mtep)

TABELLA 1

Settore 2030 2016 2030/2016

Consumi finali (Cfl) 122 122 -

Rinnovabili elettriche 18,06 9,5 1,9

Rinnovabili termiche 15,81 10,54 1,5

Rinnovabili nel trasporto 9,84 1,04 9,5

Totale Rinnovabili 43,71 21,08 2,1

Produzione Fer per il 32% di Cfl 39 - 1,85

Mia elaborazione dati del rapporto “Il Piano Nazionale Energia e Clima – Le proposte del Coordinamento Free”

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prospettive 66

novembre/dicembre 2018

rilevante, tenuto conto che attualmente non viene recuperato circa l’80% dei materiali utilizzati dall’industria produttrice di beni di consumo. Secondo l’articolo Remaking the Industrial Economy (pubblicato sul primo McKinsey Quarterly del 2014), l’economia circo-lare, applicata al consumo di acciaio nelle industrie dell’automobile, degli altri mezzi di trasporto e del macchinario per lavorazioni meccaniche, nel 2025 farebbe risparmiare annualmente fra 110 e 170 milioni di tonnellate di minerali ferrosi.

L’apporto alla riduzione dei consumi da parte dell’economia circolare richiede che nei processi produttivi ogni bene materiale sia innanzi tutto progettato (Ecodesign) e prodot-to in modo da rendere agevole a fine utilizzo lo smontaggio e il riuso o la trasformazione in altro prodotto dei materiali o dei componenti che lo costituiscono: «from cradle to cradle», dalla culla alla culla.

Occorre però stabilire rapporti innovativi tra il produttore e i fornitori di materie prime, di semilavorati e di componentistica, con gli ultimi due realizzati in modo tale da consentire modalità di recupero non dissimili da quelle messe in campo dall’impresa manifatturiera che li acquista. Considerazioni analoghe valgono a valle, dove i tradizionali clienti vanno convinti ad accettare la fornitura di un servizio (per esempio, il servizio d’illuminazione invece della vendita di lampade), con il relativo hardware di proprietà venditore, che lo sostituisce o lo rinnova a tempo debito. A causa delle difficoltà che si incontrano nel diffondere una cultura radicalmente nuova, particolarmente in un Paese dove dominano le Pmi, nel 2030 il passaggio dall’economia lineare a quella circolare sarà solo parziale, ma, se si vuole soddisfare al 100% con Fer la domanda energetica, nel 2050 essa dovrà diventare la modalità prevalente nella produzione e nei consumi. In tal caso, si può assumere che in Italia la domanda finale di energia scenderà, collocandosi tra 80 e 90 Mtep, con il valore superiore considerato più realistico.

Il contributo delle rinnovabiliNel valutare la ripartizione del contributo delle rinnovabili tra i tre settori di Tabella 1 nel 2050, va tenuto conto che:• il necessario incremento del trasporto ferroviario merci e passeggeri e del Tpl aumen-

terà la domanda elettrica;• si venderanno autovetture, trasporto merci leggero, autobus e taxi presumibilmente

quasi tutti elettrificati e anche una parte non piccola del trasporto pesante su strada;• lo sviluppo della digitalizzazione aumenterà notevolmente la domanda elettrica in

tutti i settori, anche nei consumi domestici, per l’applicazione estesa della domotica.Dopo il 2030, una parte considerevole dell’attività nel settore delle rinnovabili elet-

triche sarà dedicata al miglioramento, tutt’altro che trascurabile per le prevedibili in-novazioni tecnologiche, delle prestazioni degli impianti in esercizio, indubbiamente più rilevanti nel caso del fotovoltaico così da compensare anche il degrado fisiologico nell’efficienza dei moduli.

Al conseguente aumento della produzione in esercizio, si aggiungerà quella dovuta alla crescita, per quanto più limitata, di nuova capacità. È quindi difficile immaginare che in un ventennio l’incremento totale sia inferiore a quello conseguito nel 2019-2030 (~20 Mtep), che non dovrebbe creare particolari problemi nel governo del territorio, purché si punti fortemente sull’autoproduzione, sia di singoli soggetti (condomini imprese agricole, commerciali, industriali), sia di comunità energetiche locali. Si arriverebbe così a circa 60 Mtep di produzione elettrica rinnovabile che, nell’ipotesi di 90 Mtep di consumi finali al 2050, considerata più realistica, ne coprirebbe i due terzi: una quota di poco superiore al 60% della previsione Eurelectric e al 62%, di WindEurope.

Più complessa sarà la soluzione del problema creato dalla stagionalità della produ-zione fotovoltaica, che è massima nei mesi estivi, per poi calare fino a raggiungere un

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valore minimo, di norma in dicembre, che, secondo la valutazione del position paper di Free, nel 2030 sarà affrontabile con sistemi di accumulo aventi capacità sufficiente ad assorbire il surplus estivo e a restituirlo nei mesi invernali, in funzione dell’andamento della domanda: prestazioni garantite dagli impianti di pompaggio che, se alimentati dal surplus della generazione fotovoltaica e di altre rinnovabili (soprattutto eolico), aggregate per ambiti territoriali, saranno economicamente convenienti, trattandosi di produzioni a costo proporzionale nullo. Si dovranno però realizzare nuovi impianti di pompaggio, prevalentemente nel centro-sud, per una potenza complessiva di 5 GW.

Dopo il 2030, alla gestione del problema andranno associate altre tecnologie:• storage park di grandi dimensioni, ubicati in modo ottimale, opzione resa possibile

dalla crescita accelerata delle prestazioni e dal parallelo calo dei costi degli accumuli elettrochimici, di cui è antesignana la recente installazione a Hornsdale, in Australia, di un sistema di 100MW/129MWh;

• accumuli ad aria compressa, per i quali si stanno pro-vando sistemi per immagazzinare il calore prodotto durante la fase di compressione, che potrebbero portarne l’efficienza all’attuale 45-50% all’80%;

• in prospettiva anche power to gas.Altrettanto complesse saranno le trasformazioni nelle

reti e nella loro gestione. Nel 2050 saranno compresenti la rete di trasmissione, quelle di distribuzione e un numero crescente di microreti, alle quali le prime due dovranno garantire il necessario back-up. L’energia prodotta, oggi per circa il 90% allacciato alla trasmissione, in misura cre-scente (ben oltre il 50%) sarà connesso alla distribuzione e alle microreti, obbligando a ripensare l’attuale sistema di dispacciamento centralizzato.

Inoltre, al crescere dei flussi energetici che circole-ranno esclusivamente all’interno di sistemi di distribu-zione chiusi, diminuiranno quelli nelle reti tradizionali, nella distribuzione solo in parte compensati dalla generazione distribuita ad esse diret-tamente collegata, mentre la maggiore complessità nella gestione del sistema elettrico aumenterà le funzioni svolte da entrambe le reti, con rimunerazioni ridotte dal calo dei flussi di energia mediamente ivi circolanti, se non si troverà per tempo una soluzione che eviti di penalizzare da un lato le reti, dall’altro l’autoproduzione.

Un problema analogo dovrà essere affrontato e risolto per il trasporto e la distribu-zione del gas, con l’aggravante di una riduzione molto più drastica del flusso.

I restanti 30 Mtep non coperti dalla produzione elettrica saranno ripartiti tra produ-zione termica e consumi nei trasporti, con una crescita di circa 4 Mtep rispetto al 2030.

D’altronde, nel 2050 il ruolo prevalente dell’economia circolare implicherà l’abban-dono dei prodotti petrolchimici a favore dei biomateriali, risultato ottenibile utilizzando gran parte del biometano e delle risorse lignocellulosiche disponibili (in prospettiva forse per intero) come materia prima per la biochimica, per cui il loro attuale ruolo energetico sarà sempre più rimpiazzato dalla produzione elettrica.

Evitare l’eterogenesi dei finiSecondo un recente Paper dell’Ubs (Utilities 2030: what could abundant, clean, zero mar-ginal cost power mean for Europe?), se i costi dell’eolico e del fotovoltaico continueranno a scendere seguendo la traiettoria attuale, diventeranno notevolmente inferiori a quelli di qualsiasi altra tecnologia per la produzione elettrica ed essendo a costo proporzionale

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prospettive 68

novembre/dicembre 2018

nullo, non ci sarà alcun incentivo a contenere i consumi di kWh. Secondo lo studio, non emettendo CO

2, la domanda può crescere tranquillamente, senza provocare rischi clima-

tici, per cui il concetto stesso di efficienza energetica diventerà anacronistico.Innanzitutto, il potenziale di sfruttamento delle fonti rinnovabili in una determinata

area è intrinsecamente limitato; per lo meno in Europa, la crescita di impianti a fonti rinnovabili sarebbe ostacolata, una volta raggiunta un’intrusività incompatibile con altri utilizzi del territorio (e, per l’offshore, del mare). E il conseguente potenziamento obbligato delle reti farebbe aumentare comunque i costi per i consumatori.

Inoltre, il paper dell’Ubs non prende in considerazione l’intero ciclo di vita dei nuovi impianti a fonti rinnovabili, richiesti per far fronte a un aumento senza freni della doman-da. Per quanto si riesca a sviluppare l’economia circolare, si dovrebbero estrarre nuove materie prime, raffinarle, produrre almeno in parte nuovi componenti per impianti di cui, a fine vita, una se pur minima quantità andrà smaltita come rifiuto.

Infine, non va mai dimenticato il secondo principio della termodinamica: la produ-zione, il trasporto, l’utilizzo di qualsiasi forma di energia in ultima istanza si trasforma sempre in calore a temperatura ambiente, condizione che impedisce all’uomo di riuti-lizzarlo (a meno di non spendere altra energia).

Questo effetto è per ora trascurabile su scala planetaria, ma il continuo aumento della produzione, trasporto e consumo di energia in tutte le sue forme ha fatto sì che nel 1974 il suo valore fosse pari a circa 1/20.000 dell’energia proveniente dal sole, mentre nel 2014 ha raggiunto traguardo di 1/10.000: in quarant’anni il calore a temperatura ambiente, dovuto agli utilizzi energetici dell’umanità, è quindi raddoppiato. E si tratta di una media trilussiana tra valori che variano parecchio da zona a zona del globo. Negli Stati Uniti sono mediamente a 1/2.250, e una ricerca condotta da un gruppo di meteorologi dell’università californiana di San Diego (Energy Consumption and the Unexplained Winter Warming Over Northern Asia and North America, pubblicata sul primo numero del 2013 di “Natu-re Climate Change”) concludeva che l’energia termica risultante dai consumi energetici nelle principali città dell’emisfero settentrionale causa un aumento di circa un grado della temperatura invernale alle latitudini caratterizzate da clima temperato o freddo.

Poiché il valore critico del rapporto è generalmente assunto pari a 1/100, continuando col tasso di crescita della domanda d’energia verificatosi negli ultimi decenni, si raggiun-gerebbe in circa due secoli e mezzo, perché anche la generazione con fonti rinnovabili alla fine produce calore. E duecentocinquant’anni sono poco più di un battito di ciglia, se misurato sulla scala temporale della storia dell’uomo.

Inoltre, la stessa economia circolare si affermerà innanzi tutto nei paesi più sviluppati, grandi consumatori di beni materiali, provocandovi il ritorno di molte attività manifat-turiere oggi delocalizzate e riducendo drasticamente la domanda di materie prime. Una crisi economico-sociale, ancora più acuta e molto più prolungata di quella che ha colpito l’Europa nello scorso decennio, investirebbe con conseguenze devastanti aree del mondo da poco uscite dal sottosviluppo o con economie principalmente basate sull’esportazione di materie prime.

In entrambi i casi esaminati, l’eterogenesi dei fini può essere evitata se il processo di decarbonizzazione non si limita a realizzare una green economy, ma contestualmente – sfida notevolmente più ardua – crea una green society, dove differente è la cultura egemo-ne, diversi sono quindi gli stili di vita, ed è diffusa la consapevolezza che solo l’inclusività consente di rendere il processo stabile e duraturo.

Se così non fosse, a impedire che i consumi energetici crescano in modo incontrollato alla fine interverranno regimi autoritari, con divieti e controlli che, come sempre, colpi-rebbero maggiormente i più deboli; regimi pronti altresì contrastare ancora più brutal-mente di oggi la marea di disperati provenienti dai paesi colpiti dalla crisi.

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n impegno trentennale nella corretta gestione del fine vita dei beni immessi sul mercato, con una “mission”

chiara: rendere le aziende protagoniste dell’economia circolare trasformando i loro prodotti diventati rifiuti in nuove materie prime.

Può essere sintetizzata così l’attività che Cobat porta avanti dal 1988, offrendo importanti servizi alle imprese e garantendo la difesa dell’ambiente. Si tratta in particolare

di servizi integrati e personalizzati di raccolta, trattamento e avvio al riciclo di pile e accumulatori esausti, rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (RAEE), moduli fotovoltaici e pneumatici fuori uso (PFU). Azioni concrete dal punto di vista operativo accompagnate da una serie di iniziative volte a sensibilizzare l’opinione pubblica in merito all’importante tema della sostenibilità. Efficienza, innovazione e capacità di guardare avanti sono i valori che hanno portato il Consorzio Nazionale Raccolta e Riciclo a

crescere e ad affermarsi sul mercato. Elementi cardine del Dna del sistema Cobat che per vincere le nuove sfide del futuro ha ora deciso di farsi in tre creando Cobat RIPA, Cobat RAEE e Cobat TYRE. Ripercorriamo alcuni dei momenti più importanti di questa attività trentennale a presidio dell’economia circolare.

Nel 1988 viene istituito Cobat come Consorzio Obbligatorio per le Batterie esauste per poi trasformarsi nel 2008, in seguito al decreto legislativo 188/08 che stabilisce la liberalizzazione del

U

I I Cobat compie 30 anniVI Economia circolare e comunicazioneVII Un consorzio sempre più internazionale

a cura dell’Ufficio Comunicazione CobatSOM

MA

RIO

Cobat compie 30 anni e si rinnova Nato nel 1988 come Consorzio Obbligatorio per le batterie esauste, nel 2018 diventa una grande piattaforma dell’economia circolare e si fa in tre con Cobat RIPA, Cobat RAEE e Cobat TYRE

INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

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II

mercato, in un Sistema di raccolta e riciclo multifiliera. Il provvedimento, che recepisce la direttiva comunitaria 2006/CE su pile e accumulatori giunti a fine vita, affianca a Cobat, fino a quel momento soggetto unico, altri Sistemi in grado di gestire questa categoria di rifiuti.

Già leader nel settore delle batterie, il Consorzio aderisce nel 2011 al Centro di Coordinamento RAEE aprendosi così al mercato dei rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, e avviando l’attività di gestione di questa tipologia di prodotti a fine vita. Grazie alla propria professionalità, Cobat riesce a diventare uno dei primi cinque Sistemi di raccolta e riciclo di RAEE in Italia.

La capacità di guardare al futuro e di affrontare con sicurezza nuove sfide porta poi il Consorzio ad avviare la prima filiera italiana per il riciclo dei moduli fotovoltaici, inseriti nella categoria dei RAEE con il decreto legislativo 49/14 attuativo della direttiva 2012/19/UE. Correva l’anno 2011 e Cobat agì in anticipo sulla normativa, attestandosi leader in soli tre anni in termini di quota mercato rappresentata. Il Consorzio venne riconosciuto da produttori e importatori di impianti fotovoltaici

partner indispensabile perché in grado di gestire tutte le componenti (moduli, batterie e inverter) del prodotto a fine vita. La crescita non si arresta qui. Nel 2015 Cobat viene riconosciuto dal Comitato per la Gestione degli Pneumatici Fuori Uso (PFU), ente istituito dal Ministero dell’Ambiente presso l’Aci - Automobile Club

d’Italia, come soggetto abilitato alla gestione degli PFU provenienti da autodemolizione.

Il Consorzio è diventato così una delle realtà più importanti della green economy italiana. In trent’anni di attività ha gestito più di 5 milioni di tonnellate di rifiuti - 20 volte il peso del Colosseo - di batterie esauste, RAEE e pneumatici fuori uso. Solo nel 2017 sono state oltre 140.000 le tonnellate di prodotti tecnologici trasformati in nuove risorse. Attraverso un network logistico e di impianti diffusi in modo capillare sul territorio nazionale, Cobat garantisce dunque un servizio efficiente di raccolta, stoccaggio e avvio al riciclo di qualsiasi tipologia di rifiuto, ottimizzando i costi e abbattendo le emissioni in atmosfera con ritiri “a chilometro zero”. Sono oltre 70 i punti Cobat, aziende autorizzate alla raccolta e allo

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stoccaggio degli scarti, selezionate dal Consorzio, e 24 gli impianti di recupero e trattamento partner, distribuiti in modo omogeneo in tutta Italia. In questo modo Cobat è in grado di garantire i più alti standard qualitativi a ogni latitudine, con un servizio ritagliato sulle esigenze logistiche e organizzative di ogni impresa. È questo il sistema Cobat: una grande piattaforma italiana di servizi per l’economia circolare. In questo sistema risiede quel Dna garanzia di successo legato all’esperienza accumulata negli anni, all’efficienza comprovata sul campo e alla capacità di evolvere e cambiare la propria identità garantendo sempre la massima professionalità. Da qui la scelta di creare tre realtà specifiche all’interno dell’Universo Cobat per avvicinare al meglio lo strumento tecnico consortile alle esigenze dettate dalle nuove normative europee sulla circular economy e sulla responsabilità estesa del produttore.

Cobat RIPA rappresenta il più importante consorzio italiano per la raccolta e il riciclo di pile e accumulatori esausti, che si avvale dell’esperienza trentennale del Consorzio nella gestione del fine vita di questa tipologia di prodotti. Consorzio di diritto privato, senza scopo di lucro, coerente alle disposizioni di legge imposte ai Sistemi Collettivi, in relazione al decreto legislativo 188/2008, è un sistema di raccolta e riciclo accreditato al Centro di Coordinamento Nazionale Pile e Accumulatori (CDCNPA). Leader del mercato, gestisce oltre la metà delle pile e degli accumulatori immessi al consumo nel nostro Paese.Cobat RAEE è invece il consorzio per la raccolta e il riciclo dei rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (AEE), inclusi i moduli fotovoltaici, che si avvale dell’esperienza trentennale di Cobat nella gestione del fine vita di questi prodotti. Consorzio di diritto privato,

senza scopo di lucro, coerente alle disposizioni di legge imposte ai Sistemi Collettivi di finanziamento, in relazione al Decreto Legislativo 49/2014, è un sistema di raccolta e riciclo accreditato al Centro di Coordinamento RAEE (CDCRAEE).Cobat TYRE, infine, è una società consortile, regolamentata dal decreto ministeriale n. 82 dell’11 aprile 2011, per la raccolta e il riciclo degli pneumatici fuori uso, che si avvale dell’esperienza trentennale di Cobat nella gestione del fine vita di questa tipologia di prodotti.

Parallelamente a queste tre novità, Cobat ha inoltre promosso la nascita del nuovo consorzio Cogepir per la gestione del fine vita dei fuochi di segnalazione e pirotecnici.

La gestione operativa di tutte le attività di raccolta e avvio al riciclo sarà affidata a Cobat, la grande piattaforma italiana di servizi per

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IV

l’economia circolare, che continuerà a offrire servizi integrati per la gestione dei rifiuti a tutte le aziende interessate.

Servizi offertiDal punto di vista dei servizi Cobat aiuta dunque le aziende in modo concreto e su più fronti a perseguire uno sviluppo sostenibile che apporti benefici non solo all’ambiente, ma all’intero sistema economico nazionale. In questo quadro ben si inseriscono gli accordi con grandi associazioni di categoria che permettono a decine di migliaia di imprese di usufruire dei servizi di raccolta in maniera semplificata attraverso un’apposita piattaforma web. E poi ancora la collaborazione con i produttori di beni per trovare nuove soluzioni dedicate agli utenti finali: uno dei migliori esempi è Cobat Zero Waste, progetto che permette all’acquirente finale di attivare una garanzia sul fine vita del bene comprato e successivamente richiedere il ritiro attraverso una semplice procedura online.

Non solo servizi però, l’impegno di Cobat è anche ricerca e promozione di una cultura ambientale. Insieme al CNR e al Politecnico di Milano, il Consorzio ha infatti avviato una serie di studi per dare una nuova vita alle batterie al litio, e per individuare le migliori soluzioni possibili nel campo dello storage, riutilizzando gli accumulatori a fine vita come strumento di ricarica delle auto elettriche. L’obiettivo è promuovere una mobilità sostenibile rendendo meno costose le batterie dei veicoli a emissioni zero e potenziando le stazioni di ricarica. Cobat ha inoltre lavorato alla sottoscrizione della Carta Metropolitana della Mobilità Elettrica in occasione di E-Mob, la Conferenza nazionale sull’elettromobilità svoltasi al Castello Sforzesco di Milano nel

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V

maggio del 2017. Qui Comuni ed enti locali hanno firmato impegni precisi per favorire la diffusione dei veicoli green. Da oltre vent’anni Cobat partecipa inoltre con un proprio stand a Ecomondo, la grande fiera internazionale della green economy che si tiene a Rimini.

La sensibilizzazione verso i temi dell’economia circolare e della difesa dell’ambiente è passata in questi 30 anni anche da tante altre iniziative: incontri nelle scuole e nelle università, l’adesione al tour Panorama d’Italia per parlare delle eccellenze ambientali del nostro Paese, il sostegno al concorso Obiettivo Terra dedicato ai Parchi, alle Aree Marine protette e alle meraviglie naturalistiche d’Italia. La vocazione all’ecostenibilità ha poi portato Cobat ad essere protagonista di importanti missioni anche a livello internazionale. Su tutte, la

Top Recycling Mission, spettacolare impresa realizzata nell’autunno 2013 dal Consorzio e dal Comitato EvK2CNR: un viaggio di 18 giorni per sostituire i moduli fotovoltaici e le batterie che alimentano il Laboratorio - Osservatorio Internazionale Piramide, voluto nel 1987 da Ardito Desio per lo studio dei cambiamenti climatici e ambientali, ai piedi del versante nepalese dell’Everest a 5.050 metri di quota.

In Italia, una delle imprese più significative targate Cobat è stata la campagna “Niente leghe sotto i mari” che nel biennio 2007-2008 portò al recupero di batterie al piombo, oltre a un repertorio sconcertante di altri rifiuti, da alcuni dei porti più belli del Sud Italia, iniziando con la bonifica dei porti di Formia e di Lipari. Sempre nel nostro Paese un altro intervento complesso e dai risultati importanti è stato quello del dicembre 2013 quando,

grazie a una delicata operazione in elicottero, vennero recuperate una serie di grandi batterie dal Rifugio Ponti in Val Masino, a quota 2.559 metri. Il tutto senza dimenticare la solidarietà e le attività umanitarie, dalla Missione Perù del 2005 per contribuire allo sviluppo di una regione rurale andina, al sostegno diretto alla onlus Italian Amala, impegnata a portare aiuti e speranza ai bambini tibetani orfani e bisognosi del Ladakh.

Tutto questo, e altro ancora che non è stato possibile sintetizzare in poche pagine, rappresenta il tesoro di esperienza, servizi, attività realizzate e risultati ottenuti in questi 30 anni. Un patrimonio dal quale il Consorzio vuole attingere per crescere ancora di più e per conquistare nuove vittorie in futuro in nome dell’economia circolare e della difesa dell’ambiente. Per il bene dell’Italia e del Pianeta. n

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VI

Economia circolare e comunicazioneSensibilizzazione ambientale, formazione per i professionisti della comunicazione e supporto ai Soci per rendere l’adesione a Cobat un marchio di garanzia green che testimoni l’impegno delle aziende per l’economia circolare italiana. Questi i tre princìpi cardine delle attività di comunicazione portate avanti da Cobat nel 2017.

torico protagonista della circular economy del Paese, con 30 anni di esperienza nel campo della raccolta e dell’avvio al riciclo di

prodotti tecnologici, Cobat ha sempre considerato cittadini e imprese i migliori alleati per dimostrare che il rispetto della legalità e l’applicazione dell’economia circolare siano la soluzione più conveniente per la società e il tessuto economico. Per questo motivo il Consorzio ha promosso, tramite i propri house organ e negli ultimi anni attraverso i canali social e la web tv dedicata, iniziative di sensibilizzazione per il rispetto dell’ambiente e della legalità.

Alla base di ogni comportamento virtuoso, oltre all’educazione ambientale, ci deve essere un servizio efficiente e sostenibile da un punto di vista economico e ambientale. E, soprattutto, la consapevolezza dei propri diritti di cittadino, compresi, ad esempio, quelli relativi alla possibilità di consegnare le proprie vecchie apparecchiature elettriche ed elettroniche presso i punti vendita, oltre che alle isole ecologiche. Per colmare questo gap, Cobat ha organizzato corsi di formazione sull’economia circolare, accreditati dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti, per tutti gli operatori dell’informazione.

Obiettivo finale di queste attività è rendere Cobat un valore aggiunto sia per le aziende associate, che si avvalgono dell’adesione come strumento di corporate social responsibility, sia per la rete Cobat (Punti Cobat e Impianti di trattamento).

Numerosi i programmi di formazione e comunicazione per le imprese che affidano a Cobat la corretta gestione del fine vita dei propri prodotti. Il Consorzio mette infatti a disposizione dei propri Soci know-how e strumenti di comunicazione, ideando iniziative in co-branding e organizzando corsi e seminari per aziende, distributori e clienti. n

S

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VII

Un consorzio sempre più internazionaleCobat, da alcuni anni, ha iniziato un processo di graduale internazionalizzazione in ambito europeo allo scopo di presenziare e presidiare una diversa serie di contesti di importanza sempre più determinante per la propria attività.

numerosi attori delle diverse filiere di riferimento hanno dato vita, in Europa, a tante realtà associative (associazione dei produttori e importatori, degli

impianti di trattamento, dei sistemi di raccolta) per poter coordinare in modo efficiente le proprie attività di lobby nei confronti del legislatore europeo, ma anche per favorire la reciproca collaborazione nel raggiungimento di target comuni.

La prima esperienza di internazionalizzazione di Cobat è

I avvenuta nel 2015 con il suo ingresso in WEEELABEX, l’associazione europea dei sistemi di raccolta dei RAEE.

L’associazione ha il principale scopo di promuovere, in ambito europeo, lo sviluppo di elevati standard di trattamento dei RAEE, con particolare riferimento al corretto monitoraggio e controllo delle fasi di riciclo dal punto di vista ambientale.

La maggior parte dei produttori ed importatori richiede ai propri sistemi di raccolta di avvalersi soltanto di

impianti accreditati agli standard WEEELABEX, in particolare per i raggruppamenti R1 (freddo e clima) ed R3 (TV e monitor), motivo per il quale Cobat ha deciso di partecipare all’associazione per poterne condividere le scelte strategiche.

Nel 2017 Cobat ha anche siglato un accordo di partnership con WEEELOGIC, hub europeo per la gestione del fine vita dei RAEE. L’accordo consente ai produttori di accedere a servizi di raccolta e riciclo centralizzati e a un facile

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coordinamento della compliance in tutta Europa.

Sempre nel 2017, Cobat ha deciso di aderire ad EUCOBAT, l’associazione europea dei sistemi di raccolta delle pile ed accumulatori.

EUCOBAT è uno degli stakeholder di riferimento della Commissione Europea nella revisione della Direttiva 2006/66/CE sulle pile ed accumulatori; partecipare all’associazione significa poter prendere parte e contribuire ai tavoli di lavoro attorno ai quali si definiscono le posizioni ufficiali di questo importante referente istituzionale sulla legislazione comunitaria di settore, attualmente in modifica.

Inoltre, l’occasione di fare network tra i diversi sistemi nazionali di raccolta partecipanti all’associazione è particolarmente interessante per la recente nuova tendenza, da parte soprattutto dei grandi produttori ed importatori, ad approcciare il mercato europeo come unica macro-area mondiale.

Le grandi multinazionali che operano sul mercato globale, chiamate in Europa ad ottemperare

alla responsabilità del fine vita dei propri prodotti, sempre più spesso ricercano interlocutori unici sovra-nazionali (piattaforme pan-europee), attraverso i quali avere garantita in tutta Europa la “compliance” (sotto gli aspetti legislativo, tecnologico, logistico, ambientale). In questo modo evitano di doversi misurare con le singole realtà nazionali dei diversi stati membri nei quali, pur attuandosi il recepimento delle medesime norme e regolamenti europei, molto spesso tali trasposizioni si declinano con modalità molto peculiari e specifiche.

È il caso, ad esempio, di Toyota Europe la quale, per la gestione delle batterie Ni/Mh delle proprie

auto ibride, si è rivolta al sistema belga Bebat affinché coordini una piattaforma di gestione pan-europea, partecipata dai sistemi aderenti ad EUCOBAT, con lo scopo di dare vita ad un servizio centralizzato di ritiro ed avvio a trattamento di queste batterie sulle diverse realtà nazionali.

Il progetto, ancora in corso di definizione e previsto in partenza nel 2019, costituisce un’ottima occasione di sperimentazione della capacità dei diversi sistemi nazionali di fare sinergia, nonché, auspicabilmente, di evolvere una piattaforma di collaborazione permanente per qualsivoglia altro produttore o importatore che in futuro intendesse avvalersene. n

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strategie 78

novembre/dicembre 2018

Attuare e guidare il cambio di passo sul clima invocato dalla comunità scientifica come condizione per limitare il riscaldamento globale ed evitare i cambiamenti del clima più catastrofici: questo, in sintesi, dovrebbe essere l’obiettivo del Piano Nazionale Clima ed Energia (Necp) che il Governo si appresta a varare. Tra i più grandi complici del riscal-damento globale c’è, quasi sempre, l’incapacità di porre visione e obiettivi alla base delle azioni di governo, nonché di programmare il percorso per raggiungerli, limitandosi a seguire e inseguire eventuali emergenze. Per questo suscita notevoli speranze la stagione che si sta per aprire a livello europeo e nazionale, con la definizione dei Piani Clima ed Energia fino al 2030 di ciascun Paese (prima bozza entro dicembre, versione finale dopo consultazione con stakeholder e Commissione antro la fine dell’anno prossimo) e, sempre entro il 2019 (precisamente entro il 1 gennaio 2020), delle visioni a lungo termine previste dall’Accordo di Parigi. Insomma, bisogna fare un Piano Nazionale Clima ed Energia, avendo ben presente l’obiettivo a lungo termine -zero emissioni nette entro la metà del secolo, almeno- e il percorso e le tappe necessarie per raggiungerlo. Il Rapporto Speciale del Panel scientifico dell’Onu sul Cambiamento Climatico (Ipcc) ha concluso che è possibile limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C, ma richiede cambiamenti profondi e una tran-sizione rapida, di vasta portata e senza precedenti in tutti gli aspetti della società: uso del suolo, energia, industria, edifici, trasporti e città. Il Wwf, alla luce delle conclusioni della comunità scientifica, chiede che nei Paesi sviluppati si arrivi alle emissioni zero nette ben prima della metà del secolo, almeno entro il 2040. Il che vuol dire che nel 2030 occorre almeno aver raggiunto e superato la metà di tale obiettivo finale.

La prima combinazione su cui il futuro Piano Nazionale Clima ed Energia (Necp) dovrà essere basato, è la consapevolezza dell’obiettivo finale e del percorso per raggiungerlo, nonché una visione d’insieme e sistemica che consenta di avviare il percorso di decar-bonizzazione in tutti i settori dell’economia, mettendo in campo parallelamente tutte le misure necessarie a minimizzare l’impatto sociale della transizione (piani di re-impiego, formazione, ammortizzatori). Questa combinazione è essenziale per evitare che, a breve termine, le misure politiche rischino di essere di impedimento per le future scelte, cre-ando strutture e attività inutilizzate e imporre interventi più rigorosi, rapidi e costosi in una fase successiva. Che il Necp debba coprire il periodo 2021-2030 “tenendo presente la

Sul clima è necessario cambiare passo sul serio con appositi piani come richiesto dalla comunità scientifica

di Mariagrazia Midulla*

Un piano per il clima

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novembre/dicembre 2018 79FOCUS CLIMA

prospettiva a lungo termine” è previsto dall’articolo 3 del Regolamento Governance (Gr) e deve essere coerente sia con la strategia nazionale a lungo termine che con la strategia a lungo termine dell’Ue (articolo 14 Gr): non è quindi solo un suggerimento nostro, ma un requisito preciso.

Per questo, l’associazione ha prodotto un nuovo studio, dove si tracciano le politiche necessarie e si traccia un possibile cronogramma delle misure, anche per ovviare ad una delle carenze della Strategia Energetica. Complessivamente, il Wwf ritiene cruciale che le politiche e le misure incluse nel Piano siano credibili, con una tempistica chiara e ri-sorse dedicate, basate su analisi trasparenti, con una quantificazione dei risultati attesi e prevedendo da subito la necessità di monitorare e valutare i progressi. E mettendo da subito in campo le risorse necessarie, in particolare spostando le risorse dai combustibili fossili (sussidi, prezzo del carbonio) alle energie rinnovabili e pulite nonché al risparmio ed efficienza energetica. Siamo abbastanza delusi dal fatto che di questo, nella legge di Bilancio all’esame del Parlamento, non c’è cenno. L’energia e il sistema industriale sono sempre più integrati e le politiche in un settore impattano e producono effetti in altri settori. D’altro canto, sinergia e integrazione sono anche alla base degli Sdg, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile approvati in sede Onu e che dovrebbero essere alla base dello sviluppo futuro di tutti i Paesi del mondo. Pertanto, i Necp devono essere documenti che integrano e semplificano gli obblighi di pianificazione per le riduzioni delle emissioni di gas serra, per le energie rinnovabili e per l’efficienza energetica, mentre in passato ai Paesi Ue erano richiesti strumenti di pianificazione separati. Per garantire che quest’approc-cio sistemico abbia successo, gli Stati membri devono avere un criterio di pianificazione olistica, ma accompagnarlo con un preciso programma di politiche e misure attuative, garantendo anche coerenza tra le diverse aree.

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strategie 80

novembre/dicembre 2018

Obiettivi altiLa Ue ha concordato un obiettivo di efficienza energetica del 32,5%, un obiettivo per le energie rinnovabili del 32% e un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra almeno del 40%. Tali obiettivi sono chiaramente superati poiché si basano su decisioni e analisi precedenti all’Accordo di Parigi e non in linea con l’urgenza di agire per limitare il riscal-damento a 1,5 °C. Gli obiettivi su efficienza e fonti rinnovabili devono essere considerati il livello minimo da raggiungere. Analogamente anche gli obiettivi nazionali concordati in precedenza in sede Ue, sono chiaramente inadeguati. Se ne deduce che la Strategia Energetica Nazionale emanata lo scorso anno debba essere rivista, sia alla luce dell’ac-cordo in sede europea sui target su rinnovabili ed efficienza, sia per prepararsi a obiettivi di riduzione delle emissioni davvero in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Solo innalzando l’obiettivo sulla riduzione delle emissioni, nel quadro di National Determined Contribution previsti dal Trattato, infatti, l’Unione Europea può essere credibile quando chiede agli altri Paesi di aumentare l’ambizione per poter ragionevolmente sperare di evitare il cambiamento climatico più disastroso e limitare i danni alle persone, agli ecosi-stemi, alle stesse attività economiche e sociali.

Andando nel dettaglio, l’obiettivo politico di uscire dal carbone entro il 2025, dichiarato dalla Strategia Energetica nazionale varata nel 2017, è stato largamente condiviso a livello industriale e politico. Questo però non ne assicura l’attuazione compito che spetta al Pia-no ribadire e garantire, varando le politiche necessarie. Riteniamo altresì indispensabile istituire meccanismi e costruire un mercato che risponda progressivamente alle esigenze dei fondamentali degli impianti rinnovabili e sempre meno di quelli fossili. Il periodo 2021-2030 sarà cruciale per questa trasformazione. Dopo il rapido sviluppo delle rinnovabili, seguito all’introduzione del conto energia, negli ultimi anni c’è stato un rallentamento, con danni sulla filiera industriale in un settore strategico per gli obiettivi di lungo periodo. I contratti a lungo termine, Power Purchase Agreements, (Ppa), costituiscono una forma di copertura degli investimenti nelle rinnovabili molto adatta ad un loro sviluppo. Vanno pre-visti meccanismi di garanzia e protezione dei prezzi, anche per quel riguarda la variabilità del prezzo delle quote di CO

2 nel meccanismo Ets (il mercato europeo delle emissioni),

stabilendo un prezzo minimo di base del carbonio integrativo a livello nazionale, in linea con l’intento di phase-out del carbone al 2025. Contemporaneamente, vanno messe in essere strategie di defiscalizzazione per le energie pulite.

Conflitti sui territoriPer quel che riguarda le conflittualità legate alla maggiore diffusione delle rinnovabili sul territorio, oltre che premere l’acceleratore sull’autoproduzione e autoconsumo come previsto anche dalla direttiva europea, si auspica un riesame delle linee guida del 2012 per prevedere da una parte un percorso di autorizzazione specifico per gli impianti di rinnovabili mature che da una parte semplifichino l’iter e garantiscano costi certi, dall’altra assicurino che gli impianti stessi si inseriscano in un territorio di cui viene assicurato il governo da parte delle Regioni. Sull’efficienza energetica, va rilevata la frammentazione delle politiche e degli strumenti e la difficoltà a prevedere gli impatti delle misure pro-poste in termini quantitativi. La Sen introduce un’ampia gamma di politiche e misure ma non le accompagna con una quantificazione degli impatti. Le misure di efficienza andrebbero accorpate in un testo unico che preveda un obiettivo in linea con la versione finale della direttiva europea e il relativo monitoraggio annuale e misure di correzione. In altre parole, il Piano Energia e Clima dovrà innalzare gli obiettivi anche in considerazione dell’incremento dei risparmi richiesti dalla direttiva, dal 27 al 32,5% rispetto al tendenzia-le del 2030. Gli economisti consultati dal Wwf propongono di valorizzare il sistema dei Titoli di Efficienza Energetica (Tee), strumento che permette di riportare gli interventi

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di efficienza a obiettivi quantitativi, estendendo il meccanismo alla vendita di energia elettrica e gas dal 2021.Per evitare distorsioni nel settore calore, si propone l’introduzione di una super accisa/carbon tax per il gasolio da riscaldamento da introdurre da subito e con progressività. Come per tutto il sistema delle detrazioni, in sintonia con la Sen, il Wwf raccomanda di completare la riforma che preveda una rimodulazione dei massimali e delle percentuali a detrazione in funzione delle tecnologie e del loro impatto in termini di efficienza energetica sugli usi finali.

In ultimo, soprattutto in considerazione di una riforma fiscale che riduca le attuali aliquote Irpef, sarà prioritario estendere il meccanismo di trasferimento del beneficio delle detrazioni a un soggetto terzo. Nel merito del phase out del carbone, il report del Wwf sottolinea l’importanza di implementare l’intento politico enunciato dalla Sen. La rilevanza del provvedimento sia in termini economici, sia dal punto di vista ambientale sia di sicurezza dei sistemi, necessita la definizione di una precisa politica al fine di ottimizzare i vantaggi e ridurre gli svantaggi della scelta. Lo strumento che appare più efficacie per attuare la decisione di phase out è l’introduzione di un emission performance standard. Il report si sofferma anche su possibili ipotesi per accelerare la realizzazione di impianti di accumulo i cui costi risultano compatibili con investimenti merchant a fronte della remunerazio-ne della capacità e dei servizi specifici di dispac-ciamento che queste tecnologie possono fornire. Da ultimo il Wwf pone con forza il problema della governance. La Sen raccomandava la costituzione di una cabina di regia per il monitoraggio e l’im-plementazione della strategia nazionale. Il lavoro si spinge a valutare l’opportunità di unire le com-petenze in tema di energia e cambiamenti climatici in un unico ministero come già fatto in altri paesi, per esempio in Francia con il Ministero della Tran-sizione Ecologica.

Visioni necessarieCome detto, la Sen 2017 non aveva una vera visione di lungo periodo, mentre non è casuale il fatto che il Piano Energia – Clima e la Strategia a Lungo Ter-mine stiano viaggiando in parallelo. Secondo noi bisogna prepararsi a una vera accelerazione della decarbonizzazione, ponendosi l’obiet-tivo di raggiungere il carbonio zero entro il 2040. Passo dopo passo ci si sta avvicinando, alcuni Paesi europei e la California hanno già sancito per legge la volontà di raggiungere l’emission net zero entro il 2045. Prevedere oggi quell’accelerazione che comunque l’im-patto del cambiamento climatico rende e renderà sempre più necessaria, vuol dire saper prepararsi a valorizzare il percorso e trarne il massimo dei vantaggi in termini economici e di competitività. Al contrario, non farlo espone tra l’altro alla peggiore delle instabilità politiche e sociali, quella derivante dalla sfiducia crescente nella capacità di affrontare i problemi da parte di qualsiasi forma di governo e di politica, persino quelle apparente-mente più lontane dall’establishment. Un distacco foriero di problemi sociali e politici certamente non favorevoli alle attività economiche e alla ripresa. La politica e le imprese devono smettere di essere come un medico che, di fronte a problemi polmonari, offre sigarette: siamo già entrati in una fase diversa e bisogna cambiare radicalmente e veloce-mente per sopravvivere sia nel nuovo clima sia nella nuova economia.

*responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia

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Katowice è una tappa cruciale del viaggio intrapreso a Parigi, a dicembre 2015, per vincere la crisi climatica. A Parigi il mondo si è messo in marcia verso un futuro rinnovabile e libero da fossili. Per la prima volta l’azione globale contro i cambiamenti climatici è governata da un accordo universale, che prevede impegni – giustamente differenziati e da rivedere regolarmente ogni cinque anni – sia dei Paesi industrializzati sia emergenti e in via di svi-luppo. Nell’accordo i governi si pongono l’obiettivo ambizioso di contenere, entro la fine del secolo, l’aumento della temperatura media globale ben sotto i 2 °C e di mettere in atto tutti gli sforzi possibili per non superare la soglia critica di 1,5 °C, per contenere meglio i rischi per le comunità vulnerabili del Pianeta e in particolare dei Paesi più poveri.

A tre anni dall’accordo, come evidenzia il recente rapporto dell’Ipcc, la strada che abbiamo davanti è ancora in salita. Ma possiamo e dobbiamo farcela. Alla Conferenza sul clima Cop 24, che si tiene a Katowice dal 2 al 14 dicembre, serve una risposta politica chiara e forte dei governi al messaggio di urgenza e speranza inviato dall’Ipcc per tradurre in realtà la promessa di Parigi.

Rapporto Ipcc sul riscaldamento globale di 1,5 °CIl recente rapporto Ipcc, commissionato e approvato da tutti i governi che hanno sotto-scritto l’Accordo di Parigi, ha fornito solide prove sulla necessità e l’urgenza di contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5 °C per vincere la sfida climatica. La differenza tra 1,5 e 2 °C non è trascurabile. Un aumento della temperatura superiore a 1,5 °C provocherebbe fenomeni metereologici estremi – ondate di calore, siccità, incendi bo-schivi, alluvioni - molto più pericolosi e devastanti. Siamo ancora in tempo per contenere il surriscaldamento del Pianeta entro questa soglia critica. Servono impegni di riduzio-ne delle emissioni molto più ambiziosi di quelli sottoscritti a Parigi, che ci porterebbero pericolosamente oltre i 3 °C, in modo da poter raggiungere zero emissioni nette entro il 2050 a livello globale.

Contenere il surriscaldamento del Pianeta non oltre 1,5 °C potrà ridurre in maniera significativa i danni climatici non solo per i Paesi più poveri e vulnerabili ma anche per quelli industrializzati e emergenti, a partire dall’Europa. Secondo Eurostat, nel 2015 le perdite economiche sono state di ben 11.6 miliardi di euro. Un recente studio dell’Agenzia

La Conferenza sul clima, Cop 24, di Katowice è un appuntamento cruciale per le sorti del clima e del Pianeta

di Mauro Albrizio*

Mezzo grado di differenza

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europea dell’Ambiente stima costi sino a 120 miliardi l’anno con un aumento della tempe-ratura globale di 2 °C e addirittura oltre 200 miliardi se si raggiungessero 3 °C.

Nonostante le emissioni abbiano ripreso a crescere a livello globale e in Europa, in-vertire la rotta è possibile, come evidenzia il rapporto sia dal punto di vista tecnologico sia economico. Decarbonizzare non serve solo a contrastare i cambiamenti climatici in corso, ma produce anche benefici sociali ed economici. Un’azione climatica in linea con gli obiettivi di Parigi, secondo il recente rapporto della Commissione Globale su Economia e Clima, può far crescere l’economia mondiale di ben 26 mila miliardi di dollari, creare 65 milioni di nuovi posti di lavoro ed evitare 700 mila morti premature per l’inquinamento atmosferico già entro il 2030.

Serve un segnale forte dall’EuropaPer vincere questa sfida è indispensabile un maggiore impegno da parte dei Paesi più ricchi. L’Accordo di Parigi prevede la necessità di una più rapida azione climatica per quei Paesi che hanno maggiori capacità economiche e respon-sabilità storiche per l’attuale livello di emissioni climalteranti.

L’Europa senza dubbio è tra questi. E soprat-tutto ha un grande potenziale per agire più rapi-damente e impegnarsi a raggiungere zero emis-sioni nette entro il 2040, attraverso una Strategia climatica di lungo termine in grado di accelerare la transizione verso un’Europa rinnovabile e li-bera da fonti fossili.

Primo passo in questa direzione è l’aumento dell’attuale target europeo del 40% al 2030. È fondamentale che l’adozione del nuovo obiettivo al 2030 avvenga nel Consiglio Europeo di mag-gio 2019 chiamato ad approvare la Strategia europea di lungo termine. L’Europa sarebbe in grado così di giocare un ruolo da protagonista al Summit sul Clima, convocato dal Se-gretario Generale dell’Onu Antonio Guterres per settembre 2019 a New York, per valutare lo stato di avanzamento del processo di revisione degli attuali impegni, da concludersi entro il 2020 secondo quanto previsto dall’Accordo di Parigi.

Un impegno che offre all’Europa grandi opportunità di sviluppo economico e occu-pazionale. Rivedere l’attuale impegno del 40% è possibile, senza grandi sforzi e con un impatto positivo sull’economia europea. È ormai provato che l’azione climatica fa bene alla nostra economia. Nel periodo In 1990-2017 si è registrato un forte disaccoppiamento tra riduzione delle emissioni e aumento del Pil. Mentre le emissioni sono diminuite del 22%, il Pil europeo è aumentato del 58%. Non va dimenticato che l’obiettivo climatico del 40% è stato fissato sulla base della proposta iniziale della Commissione che prevedeva l’obiettivo del 27% per le rinnovabili e del 30% per l’efficienza energetica. Grazie all’incremento di questi due obiettivi (rispettivamente al 32% e 32.5%), previsto dall’accordo tra Consiglio e Parlamento, la Commissione ora stima che sarà già possibile raggiungere una riduzione del 45% delle emissioni di gas-serra.

In Europa ci sono tutte le condizioni per sfruttare appieno le nostre potenzialità economiche imprenditoriali e tecnologiche andando ben oltre il 55% di riduzione delle

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emissioni entro il 2030, proposto già da diversi governi europei e dall’Europarlamento, in coerenza con una traiettoria in grado di consentirci di raggiungere zero emissioni nette entro il 2040.

Katowice – Tradurre in azione l’Accordo di ParigiPer il successo di Katowice è cruciale che l’Europa si impegni in modo chiaro e forte ad aumentare, entro il 2020, i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni in linea con la soglia critica di 1,5 °C. Un segnale indispensabile per creare le condizioni politiche favorevoli all’adozione di un pacchetto di decisioni ambizioso ed equilibrato, articolato su tre pilastri: • adozione del cosiddetto “Rulebook” (Pawp – Paris Agreement Work Programme) ossia

delle linee guida per rendere operativo l’Accordo di Parigi, come previsto, entro il 2020;• impegno dei governi ad aumentare entro il 2020 gli attuali impegni (Ndcs), in linea

con la soglia critica di 1,5 °C;• adeguato sostegno finanziario ai paesi più poveri e vulnerabili per far fronte ai loro

impegni di riduzione delle emissioni e poter adattarsi ai mutamenti climatici in corso.Solo così sarà possibile tradurre in azione l’Accordo di Parigi. Momento importante

della Cop 24, pertanto, sarà la conclusione del “Dialogo di Talanoa” ossia del dialogo tra go-verni, regioni, città, imprese e società civile, avviato dalla presidenza fijiana lo scorso anno a Bonn, per valutare le azioni intraprese e gli impegni necessari per realizzare gli obiettivi di lungo termine dell’Accordo di Parigi, in modo da consentire una revisione condivisa degli attuali Ndcs. Le conclusioni del dialogo dovranno tradursi in una Decisione della Cop 24 che impegni i governi, sulla base delle indicazioni del rapporto Ipcc, a rivedere gli attuali Ndcs entro il 2020 incrementando la loro ambizione in linea con la traiettoria di riduzione delle emissioni compatibile con la soglia critica di 1,5 °C.

Il sostegno finanziario ai Paesi più poveri e vulnerabili è cruciale, non solo per rista-bilire l’indispensabile spirito di fiducia tra i governi ma per rendere possibile un’ambi-ziosa azione climatica a livello globale, ga-rantendo loro un sostegno adeguato certo e duraturo nel tempo. A Katowice va concor-dato il processo per definire il nuovo obiet-tivo post-2025 che vada oltre i 100 miliardi di dollari l’anno previsti entro il 2020. Allo stesso tempo, dovranno essere sottoscritti da parte dei Paesi donatori impegni concre-ti per incrementare gli attuali aiuti – da un adeguato rifinanziamento del Green Climate Fund - in modo da essere certi che si raggiun-ga l’obiettivo dei 100 miliardi entro il 2020 e che questo sostegno sia garantito negli anni successivi in attesa di concordare il nuovo obiettivo post-2025. Impegni che dovranno essere accompagnati dall’adozione di solide

e trasparenti norme contabili in grado di consentire una chiara rendicontazione del so-stegno fornito ai Paesi in via di Sviluppo sia per la mitigazione e l’adattamento sia per le perdite e i danni subiti dai cambiamenti climatici in corso.

A Katowice si dovranno, inoltre, adottare le linee guida (Rulebook) per rendere ope-rativo l’Accordo di Parigi, garantendo la necessaria flessibilità ai Paesi in via di Sviluppo sulla base delle loro capacità. Un quadro normativo di facile applicazione, ma nello stesso

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tempo solido e trasparente, in grado così di assicurare la massima fiducia e consentire un’ambiziosa azione climatica a livello globale. A tal fine, è fondamentale che ogni paese fornisca informazioni accurate, in conformità a una metodologia condivisa, in merito agli impegni assunti (Ndc) per la riduzione delle emissioni attraverso un inventario dei gas-serra, l’adattamento e il sostegno finanziario. Gli Ndcs andranno rivisti – sulla base delle strategie nazionali di lungo termine da adottare entro il 2020 insieme alla prima revisione degli impegni - ogni cinque anni, in modo da consentire una verifica periodica e un loro adeguamento in linea con la soglia critica di 1,5 °C. Il Rulebook, pertanto, dovrà definire anche le modalità e i criteri della verifica periodica degli impegni assunti (Global Stocktake – Gst). La prima verifica è prevista per il 2023 e di seguito ogni cinque anni. La sua durata dovrà quindi essere di 18-24 mesi e articolarsi in tre filoni di lavoro: aumento della temperatura, resilienza e flussi finanziari. In questo modo sarà possibile giungere a una revisione periodica degli impegni nel pieno rispetto del principio di equità tra paesi industrializzati, emergenti e in via di sviluppo, tenendo anche conto delle loro capacità economiche e responsabilità storiche per l’attuale livello di emissioni climalteranti.

Una “Coalizione di Ambiziosi” per ricreare lo spirito di ParigiIn Polonia si gioca molto del futuro dell’Accordo di Parigi. Non è ammesso un fallimento. E molto dipenderà dalla leadership che l’Europa saprà mettere in campo. Serve un forte protagonismo europeo in grado di superare il minimalismo della presidenza polacca, che ha portato all’ambiguità dell’attuale posizione europea, espressa nelle Conclusioni del Consiglio Ambiente dello scorso 9 ottobre in cui l’Europa si impegna solo a «comunicare o aggiornare il suo Ndc entro il 2020». Ambiguità dovuta, in particolare, al ruolo defilato tenuto dalla Germania a causa dell’instabilità politica della coalizione di governo per le sconfitte elettorali in Baviera e Assia. La forte ascesa dei verdi, tuttavia, dovrebbe spingere il governo tedesco a riprendere il suo tradizionale ruolo di leadership indispensabile per consentire ad un’Europa coesa di essere il perno di una “Coalizione di Ambiziosi” in grado di ricreare lo spirito di Parigi. Quell’ampia alleanza trasversale tra paesi industrializzati emergenti e in via di sviluppo che consentì l’adozione dell’Accordo di Parigi.

Un primo importante segnale in questa direzione è l’adesione della Germania – insieme ad altri Paesi europei tra cui Francia, Italia, Olanda, Spagna e Svezia - all’appello dell’High Ambition Coalition (Hac) che chiede una revisione entro il 2020 degli attuali impegni compatibile con la soglia critica di 1,5 °C. Richiesta sostenuta anche dai presidenti della Conferenza Episcopale dei cinque continenti e che potrebbe avere un impatto positivo sul governo polacco, visto il peso politico della chiesa cattolica in Polonia.

Incoraggia che questa posizione sta trovando un numero crescente di sostenitori tra i governi. Nelle ultime settimane si sono aggiunti il gruppo dei paesi più poveri (Ldc), dei Caraibi (Caricom), l’alleanza dei paesi delle piccole isole (Aosis), il Messico, la Corea del Sud, la Svizzera. E infine si è aggiunta l’alleanza dei paesi dell’America Latina (Ailac) che aveva candidato nei mesi scorsi il Brasile a ospitare la prossima Cop a Rio de Janeiro. Posizione che forse ha spinto il nuovo presidente Bolsonaro a rivedere la sua posizione iniziale e con-fermare l’adesione del Brasile all’Accordo di Parigi. Sembrano quindi esserci le condizioni politiche affinché l’Europa a Katowice ricostituisca una “Coalizione di Ambiziosi” per tra-durre in azione l’Accordo di Parigi, con il pieno coinvolgimento e supporto della Cina sulla base del patto di cooperazione climatica sottoscritto lo scorso luglio nel vertice di Pechino.

Una sfida che l’Europa può e deve vincere. Non solo per il successo di Katowice ma so-prattutto per accelerare la transizione verso la decarbonizzazione dell’economia europea. Solo così sarà possibile vincere la triplice sfida climatica, economica e sociale, creando nuove opportunità per l’occupazione e la competitività delle nostre imprese.

*responsabile ufficio europeo Legambiente

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Quando il clima e i cambiamenti climatici hanno colto l’interesse pubblico, si sono atti-vati alcuni attori: le associazioni ambientaliste, la comunità scientifica, qualche governo, le Nazioni Unite. Tra i primi a cogliere i segnali c’erano gli enti locali mettendosi in rete per affrontare questa nuova sfida. Le tre reti principali che agiscono nel campo, Alleanza per il Clima delle Città europee, Energy Cities e Iclei, nascono nel 1990. Passeranno ancora cinque anni fino alla prima Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite che si svolge a Berlino nel 1995.

Oggi, gran parte dell’attenzione (scarsa) che riceve la questione climatica è diretta al processo internazionale, soprattutto in occasione delle conferenze annuali delle Nazioni Unite e dei rapporti dell’Ipcc, l’ultimo sui 1,5 °C. “Le parti” nella Conferenza delle Parti sono gli stati nazionali, gli enti locali stanno decisamente in seconda linea. Questi ultimi, e soprattutto le loro organizzazioni di categoria, non perdono occasione per insistere sull’importanza del livello locale per la mitigazione dei gas serra e considerano un grande successo che l’Accordo di Parigi menziona due volte en passant gli attori “subnazionali”. Dichiara Iclei: «L’Accordo di Parigi riflette il successo delle rivendicazioni dei governi locali. Le città e le regioni sono state riconosciute, coinvolte e rafforzate nel loro ruolo». Un dub-bioso successo. I meriti e demeriti del processo internazionali sono delle Nazioni Unite e dei governi nazionali. Per le politiche locali gli accordi internazionali offrono un quadro di riferimento, di cui tener conto, niente di più. Le misure e azioni delle città e delle regioni a favore del clima - questa la tesi delle riflessioni che seguono - devono rispondere a delle logiche diverse, se vogliono essere di successo.

Il ruolo degli enti locali per la salvaguardia del climaCome stabilire il contributo degli enti locali alla salvaguardia del clima e quali enti locali fanno un lavoro serio? Diana Reckien e un gruppo di ricercatori hanno indagato sulla “Risposta ai cambiamenti climatici in Europa: Qual è la realtà? Analisi dei piani di adat-tamento e mitigazione di 200 aree urbane in undici paesi.” (Diana Reckien et al., Climate change response in Europe: what’s the reality? Analysis). Un loro primo criterio, piuttosto ovvio per prendere in considerazione le politiche climatiche di una città, è l’esistenza di un piano energetico e di mitigazione. Nel loro gruppo di città europee rappresentative con più di 50 mila abitanti sono il 65%. In Italia, gli enti locali che hanno un piano energetico, presumibilmente hanno anche aderito al Patto dei Sindaci; sono un 41% del totale, 3.319 su 7.982. Un Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile l’ha il 29% dei Comuni italiani, un 11% l’ha anche monitorato. All’incirca un 10% dei Comuni italiani sembra fare una politica di mitigazione seria. Va però detto che tutte le città italiane con più di 250 mila abitanti fanno

Gli enti locali rivendicano un ruolo centrale nella salvaguardia del clima

di Karl-Ludwig Schibel*

Clima locale

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parte del Patto dei Sindaci e hanno tutte un Paes e otto su tredici, quindi più della metà, l’hanno anche monitorato.

Le seconda gamba della politica climatica è l’adattamento. Mentre con la mitigazio-ne si può fare l’argomento (stupido) che il contributo anche di una grande città italiana a livello globale ha un effetto trascurabile, l’adattamento per forza deve essere fatto a livello territoriale se non si vuole lasciare la propria comunità e i suoi cittadini in modo irresponsabile al loro destino in tempi di eventi metereologici estremi. Sul campione del-le 200 città europee, della Reckien e colleghi, il 28% ha un piano di adattamento in una distribuzione geografica diseguale: l’80% delle città nel Regno Unito, il 50% in Finlandia e il 33% in Germania dispongono di questo strumento vitale. In Italia, Paese altamente vulnerabile ai cambiamenti climatici, la situazione è piuttosto buia. Esiste un Piano Na-zionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (Pnacc), strumento potenzialmente utile alle Regioni per affiancare i loro Comuni nella redazione dei piani locali. Oggi però solo la Regione Lombardia ha redatto un Piano di Adattamento che merita il nome. Per quanto riguarda gli enti locali, circa 300 Comuni hanno aderito al Patto dei Sindaci per il Clima e l’Energia con obiettivi al 2030 con l’impegno di redigere un Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima che comprende anche un Piano di Adattamento. Sono presumibilmen-te una cinquantina, i Comuni italiani che lo hanno e dei grandi Comuni Bologna è l’unico che dispone di questo strumento. Si può dire che tutti grandi Comuni italiani e molti di dimensioni medie e piccole hanno presente la necessità di dover ridurre le emissioni di gas serra nel proprio territorio e molti hanno elaborato un Piano d’Azione per stare in linea con gli impegni europei di riduzione almeno del 20% al 2020 e del 40% entro il 2030, però l’utilità e la necessità di un Piano di Adattamento ha ancora percorso poca strada.

Uno sguardo qualitativo su alcune città leaderChe cosa distingue gli enti locali che fanno una politica climatica di eccellenza? Un’idea

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enti locali 94

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qualitativa si può avere guardando alcune città con una buona testimonianza della loro politica climatica e ambientale per vedere la loro performance nei vari campi. La scelta di sei città europee, Groningen in Olanda, Amburgo in Germania, Oxford in Inghilterra, Nantes Métropole in Francia, Torino e Bolzano in Italia non pretende nessuna rappre-sentatività, ma vuole approfondire in che cosa si materializza la loro reputazione e in che cosa queste città si distinguono da altre.

Obiettivi ambiziosiUn primo criterio sarebbe un piano energetico con un obiettivo ambizioso. Groningen in Olanda vuole diventare carbon neutro entro il 2035. Oxford intende di ridurre le sue emissioni di CO

2 del 40% al 2020 e istituire entro il 2030 il centro della città come “Zero

Emission Zone”. Anche Amburgo, in Germania, punta nel suo Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile sul 40% di riduzione, Nantes Métropole in Francia vuole raggiungere il 30% come Torino, mentre Bolzano si accontenta del 24%. Tutte le città fanno parte del Patto dei Sindaci e hanno un Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile secondo i criteri stabiliti da Joint Research Centre della Commissione Europea.

Monitoraggio e comunicazioneOvviamente non basta avere un obiettivo ambizioso, ci vuole un monitoraggio dell’an-

damento per vedere se ci si sta avvicinando all’obiettivo. Il Patto dei Sindaci prevede un monitoraggio delle azioni dopo due anni e, dopo quattro, un Monitoring Emission Invento-ry, procedura che permette una certa rapportabilità tra gli enti locali. Amburgo, Bolzano, Nantes Métropole e Torino con i loro rapporti di monitoraggio dimostrano che sono sulla buona strada e raggiungeranno i loro obiettivi del 2020. Groningen e Oxford sono ancora senza monitoraggio nell’ambito del Patto dei Sindaci.

Tutte le città hanno elaborato anche altri rapporti, fatti “in casa”, di monitoraggio dell’andamento delle loro politiche climatiche. Amburgo ha pubblicato recentemente il se-condo “Rapporto Clima” con informazioni estese sull’andamento nel territorio comunale e lo stato della scienza climatica in generale (https://bit.ly/2JPadMr). Groningen fa un’ottima comunicazione qualitativa (https://bit.ly/2z1GVWq), il monitoraggio quantitativo dirà su come stanno andando i loro ambiziosi obiettivi. Oxford nel 2016 ha pubblicato un Indice di Sostenibilità. L’indice è stato stabilito secondo 37 indicatori in dieci settori. Accanto alle emissioni di gas serra c’è il trasporto, l’uso del suolo e la biodiversità, i rifiuti, l’acqua, la qualità dell’aria, l’efficienza energetica, le energie rinnovabili e i rischi di inondazioni. Nantes Métropole porta avanti un processo di comunicazione e partecipazione intorno al suo Piano Territoriale del clima, dell’aria e dell’energia (https://bit.ly/2PKMhPy).

Mobilità sostenibile e ciclabilitàIl campo d’azione più ostico e difficile per la politica climatica è sicuramente la mobilità. Gli attori sono tanti, vale a dire quanti si spostano. La cultura dell’automobile è profondamen-te radicata nella quotidianità, e non solo tra gli uomini, e in molte realtà le infrastrutture scadenti e un trasporto pubblico inaccettabile richiedono sacrifici consistenti per spo-starsi senza auto anche per chi è di buona volontà ecologica. I Piani Urbani della Mobilità Sostenibile sono un tentativo di affrontare questa situazione e, infatti, non sorprende che tutte le città prese in considerazione dispongano di un tale Pums (https://bit.ly/2t1lTCL).

Fino a che punto il Piano e le buone intenzioni trovano un’eco nei fatti? Se si torna dai piani alla prassi, una risposta indicativa arriva dall’uso della bicicletta, il mezzo per la mobilità sostenibile par excellence. Sono d’interesse la lunghezza delle piste ciclabile (metri per 100 abitanti) e il modal split, cioè la percentuale di spostamenti con la bicicletta. Due forti indicatori di una politica di mobilità a basse emissioni: Bolzano con 16,84 m/100ab in Italia sta al 17° posto nella classifica delle città più verdi d’Italia di Legambiente e Il So-

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le24ore (https://bit.ly/2Rj88uD), il 28% degli spostamenti avviene in bici; Torino con 5,25 m/100ab è al 48° posto nella classifica delle città verdi e rimane sotto il 5% di spostamenti in bicicletta. Groningen arriva a 100 m/100ab e un incredibile 60% degli spostamenti avviene con la bicicletta. Oxford arriva con 14,7 m/100ab al 25 % e Amburgo con 31,3 m/100ab al 15% di spostamenti in bicicletta. In tutte le città, ad eccezione di Torino, la bicicletta è un mezzo importante di spostamento se non addirittura quello dominante.

La politica climatica locale ha solo una chance se fa parte di una strategia compren-siva per uno sviluppo sostenibile integrato territoriale. Osservando lo scopo, l’orizzonte temporale e il radicamento istituzionale della politica climatica di alcune città campione, diventa evidente che gli enti locali al lavoro per la salvaguardia del clima inseriscono la progettualità e le azioni in un quadro più ampio e una visione comprensiva di sviluppo territoriale sostenibile, cui fanno parte non solo l’energia e la mobilità, ma il verde urba-no, la coesione sociale, la sicurezza, lo sviluppo economico e altri campi rilevanti per la realtà locale.

L’arco temporale generalmente arriva fino al 2030 e sempre di più al 2050; spesso esiste una posizione o struttura amministrativa dedicata e intersettoriale che favorisce un approccio integrato. La politica di sostenibilità ad Oxford, per esempio, è ben ancorata alla struttura amministrativa con un “Environmental Sustainability Manager” che segue in modo trasversale l’attuazione di “Oxford 2050: A vision for a successful and sustainable city for everyone”, documento votato dal consiglio comunale. Successo economico, so-stenibilità ambientale e inclusione sociale per l’amministrazione fanno parte di un unico processo con orizzonte fino al 2050. Nel 2017, il Senato di Amburgo ha deliberato un concetto comprensivo di “Attuazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite” che coniuga tutti i 17 obiettivi in modo concreto e operativo per la realtà territoria-le. La salvaguardia del clima occupa un posto importante nel campo “Ambiente e città” una delle tre macro-aree d’azione insieme a “Partecipazione e Coesione sociale” e “Una politica economica e finanziaria sostenibile”. L’orizzonte temporale è il 2030 con impegni anche per il 2050, soprattutto nel campo climatico. Torino sta lavorando su una “Visione 2030”, Groningen promuove la transizione energetica e la transizione sociale insieme e Nantes Métropole ha elaborato un “Progetto 2030” coinvolgendo migliaia di persone in un lavoro d’ideazione partecipata.

Una politica del clima locale a sé stante rimarrà fragile e sempre minacciata da regressi, perché cambia il governo locale o vengono a meno le risorse ma soprattutto perché i cam-biamenti climatici sono un tema troppo distante dalla vita e dalle priorità dei cittadini e i loro rappresentanti politici. Il dovere morale di difendere il clima per garantire ai giovani e alle future generazioni una vita decente è un sentimento troppo debole per motivare le persone all’azione. L’uso della bicicletta né è un esempio: solo l’uno per cento di chi si sposta in bicicletta lo fa per amore dell’ambiente, l’altro novantanove perché in bici si arriva a destinazione più velocemente, spendendo molto meno e traendone benefici per la propria salute. La politica climatica degli enti locali come tassello centrale di una poli-tica territoriale di sostenibilità deve puntare su un ambiente più attraente, più sano e più sicuro, su infrastrutture efficienti, su posti di lavoro dignitosi, su alloggi a prezzi accessibili; deve rispondere ai quotidiani legittimi interessi dei cittadini. Solo così la sostenibilità come valore guida confluirà come prospettiva nel pensiero collettivo, nel confronto pubblico e soprattutto nelle proprie azioni.

Che ruolo gioca il processo internazionale in tutto ciò? Mentre le condizioni nazionali hanno un ruolo importante per la politica del clima degli enti locali, i negoziati interna-zionali sono un processo con poca rilevanza diretta. Hanno un forte valore simbolico e un basso valore operativo.

*Alleanza per il Clima Italia

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Consorzio per lo Sviluppo delle aree Geotermiche> www.distrettoenergierinnovabili.it > www.cosvig.it A cura di Dario Bonciani - CoSviG s.r.l.

L’abbondanza di calore del sottosuolo presente nelle aree geotermiche toscane,

può essere utilizzata direttamente in molte attività produttive. Tra i principali impieghi dei fluidi geotermici non idonei alla generazione elettrica, o in uscita dalle centrali, vi è la serricoltura. Si tratta di un’attività che nei territori geotermici è presente da diverse decine di anni, garantendo prodotti alimentari di buona qualità, posti di lavoro e benefici all’ambiente. Non solo, infatti, l’utilizzo di calore rinnovabile evita il consumo di combustibili fossili con conseguente

riduzione delle emissioni di CO2, ma il processo fotosintetico consente di assorbire l’anidride carbonica stessa, in cambio di ossigeno. Inoltre, il calore acquistato a prezzi particolarmente convenienti consente una riduzione dei costi di produzione delle specie vegetali, nonché un aumento del periodo colturale.

Tra le prime serre riscaldate con la geotermia vi sono quelle di Floramiata, la cui attività è iniziata negli anni ’70 del secolo scorso nella valle del Paglia, nel comune di Piancastagnaio. Il complesso florovivaistico oggi, in una superficie

di 127 ha, di cui 27 ha in serra, ospita la coltivazione di circa 60 specie tropicali, oltre ad un centro di ricerche sulla micropropagazione meristematica delle piante e sugli innesti negli alberi di castagno. Le serre sono mantenute alla temperatura ideale di coltivazione (25-27°C) grazie al calore proveniente dalla vicina centrale geotermica, consentendo un risparmio di 12.870 t di gasolio annue, corrispondenti al 9% del fabbisogno di questo carburante nell’intera provincia di Siena e alla mancata emissione di 40.600 t di CO2.

Nell’area geotermica più a nord, invece, la cooperativa sociale Parvus Flos si occupa di ortoflorovivaismo dal 1999, operando su tre siti tra i territori di Radicondoli (SI), Monterotondo Marittimo (GR) e Castelnuovo Val di Cecina (PI), per una superficie complessiva di 3,5 ha di serre interamente riscaldate dalle vicine centrali geotermoelettriche. Il core business dell’azienda è la produzione di basilico, ma non manca la coltivazione di altre piante ornamentali. Grazie all’uso della geotermia, che garantisce l’intera copertura dei fabbisogni di energia termica, la cooperativa è stata una delle prime imprese a costituire la Comunità del Cibo ad Energie Rinnovabili: un’iniziativa di CoSviG, Slow Food Toscana e Fondazione Slow Food per la Biodiversità, alla quale vi aderiscono oltre 20 aziende toscane del settore agroalimentare, che utilizzano energie rinnovabili e materie prime locali.

Colture vegetali e geotermia: un binomio vincente per lo sviluppo sostenibile dei territori

Le coltivazioni florovivaistiche nei territori geotermici toscani, oltre che dall’utilizzo di una fonte energetica rinnovabile carbon free, sono accomunate anche dal loro impegno dal punto di vista sociale.

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Accanto agli aspetti legati alle questioni energetiche ed ambientali, queste esperienze sono accomunate dall’impegno sociale a servizio dello sviluppo dei territori, garantendo numerosi posti di lavoro e assicurando attenzione alle fasce deboli delle comunità. Da un lato, Floramiata con i suoi 100 dipendenti conserva tutt’oggi i propositi per i quali è stata creata per evitare il collasso socio-economico

dell’Amiata senese a seguito della chiusura definitiva delle miniere di cinabro. D’altro canto, anche l’impegno a favore di fasce deboli della popolazione locale è testimoniato dal fatto che i soggetti svantaggiati rappresentano il 30% dell’organico della Parvus Flos.

Per quanto riguarda le future attività in tema di coltivazioni con l’utilizzo della geotermia nel 2017 è stata avviata

una sperimentazione per testare le condizioni di sostenibilità tecnica ed economica della coltivazione di Spirulina (Arthrospira platensis), utilizzando sottoprodotti della generazione geotermoelettrica: acqua (calda e fredda) in uscita dall’impianto per la termostatazione delle colture e CO2, come fonte di carbonio e stabilizzatore di pH. Tali elementi, che rappresentano degli “scarti” della produzione elettrica, risultano essenziali e costituiscono le principali voci di costo nelle coltivazioni della microalga alle nostre latitudini. I risultati ottenuti dopo un anno di sperimentazione sono positivi e hanno destato l’attenzione di imprenditori intenzionati ad investire in impianti con dimensioni commerciali. Ad oggi sono state individuate circa 20 aree idonee alla coltivazione di microalghe in prossimità delle centrali geotermiche. I nuovi posti di lavoro legati a questo settore che potrebbero venirsi a creare e la conseguente riduzione di emissioni di CO2, costituiscono una grande opportunità di sviluppo sostenibile per i territori geotermici toscani. l

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mobilità 98

novembre/dicembre 2018

Il settore dei trasporti e della mobilità è quello su cui in Europa non si riesce a ridurre le emissioni di CO

2: nel 2015 le emissioni erano del 23% superiori al livello del 1990. Se i

trasporti nel complesso pesano per quasi il 26% delle emissioni europee di CO2, la quota

legata alle autovetture è di circa il 15% sul totale e dipende in gran parte dal consumo di benzina e gasolio.

In questi ultimissimi anni il settore è in una fase di profonda trasformazione, determi-nata anche dalla spinta cinese verso l’auto elettrica, impressa con una legge che impone ai produttori di vendere quote crescenti di autovetture elettriche, in quello che è il primo mercato in termini di espansione. Questa trasformazione ha però un collo di bottiglia: la produzione di batterie. Questo collo di bottiglia è l’elemento comune all’altro versante di una trasformazione del sistema energetico basato quasi esclusivamente sulle fonti rin-novabili.

Il mercato delle batterieSe nel 2010 l’obiettivo di Tesla era di avere batterie a un costo di 1000 dollari per kWh, nel corso di soli otto anni l’industria delle batterie a ioni di litio è sceso a 150-165 $ al kWh con stime di un ulteriore riduzione a 80$ entro il 2025, o ancora meno se andrà in porto il progetto di batteria al litio allo stato solido. La difficoltà attuale è che la domanda tende a crescere più dell’offerta e, secondo Bloomberg, per cui Tesla, Samsung Sdie LG Chem non riescono a mantenere il passo con una domanda in forte crescita (anche se hanno piani di espansione). Se il prezzo delle batterie continua a scendere è perché i produttori cinesi hanno iniziato a crescere e in modo rilevante: la nuova capacità produttiva dovrebbe coprire la domanda nei prossimi tre anni, pari a circa 1,2 milioni di auto l’anno. Si tratta davvero di una corsa verso l’era della mobilità elettrica che in Europa sembra esser partita sul serio solo in Germania e in Svezia, con progetti per produrre batterie su larga scala (C. Martin, Bloomberg, 16 ottobre, 2018).

In Italia la situazione sembra non evolversi in modo altrettanto deciso: Fiat Chrysler che ha buona parte dei suoi profitti nei segmenti di alta cilindrata e in marchi come Jeep, punta sui motori ibridi. Eppure anche nei segmenti dei veicoli più grandi e persino nei bus, l’elettrico sta entrando con una rapidità sbalorditiva: Flixbus, che aveva già immesso bus elettrici a Parigi, ha fatto il primo percorso su una media distanza in Germania tra Francoforte e Mannheim (115 km) trasportando 40 passeggeri e utilizzando elettricità rinnovabile prodotta da Greenpeace Energy, una cooperativa energetica promossa dall’as-sociazione che coinvolge 130 mila soci.

Una rivoluzione nei trasporti è la condizione necessaria e improcrastinabile per combattere i cambiamenti climatici

di Giuseppe Onufrio*

Auto per il clima

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novembre/dicembre 2018 99FOCUS CLIMA

Dunque, nel quadro di trasformazione del mondo dell’auto, che appare rapido e ir-reversibile, in Italia ci troviamo con una situazione di retroguardia per scelte industriali di Fiat Chrysler che per molto tempo ha negato ogni chance all’auto elettrica, salvo una conversione tardiva che Marchionne aveva annunciato poco prima della sua prematura scomparsa.

L’equivoco del gas naturaleUn secondo tema - molto italiano - è quello che il gas naturale sia una valida alternativa a una mobilità elettrica alimentata essenzialmente da rinnovabili. In questo caso, gli inte-ressi del gas naturale, che avevano già giocato un ruolo (efficace) nel fermare lo sviluppo delle rinnovabili in Italia negli ultimi cinque anni, si candidano a espandersi nel settore dei trasporti come un’alternativa ambientalmente competitiva. Che effettivamente lo sia è assai dubbio: un recente rapporto di Trasport&Environment (T&E, “Gnc e Gnl per i trasporti – i fatti”, ottobre 2018) mette in luce come il vantaggio ambientale del gas sia sostanzialmente nullo, rispetto agli altri carburanti fossili. Analizzando le prestazioni complessive “dal pozzo alla ruota” le emissioni di gas a effetto serra oscillano dal -7% al +6% per le autovetture in confronto al diesel e del -2% al +5% rispetto ai migliori autocarri diesel. La minore efficienza dei motori – non progettati per bruciare gas – e le perdite di metano – un potente gas a effetto serra – rendono questa fonte, sostanzialmente equi-valente ai derivati del petrolio. Infatti, le perdite di metano dal sistema industriale, sono state sottostimate per anni (con sottostime fino al 60%), annullano il relativo vantaggio teorico di questa fonte rispetto alla benzina per le emissioni di gas a effetto serra, Anche i benefici per la qualità dell’aria – NOx, polveri – appaiono anch’essi abbastanza limitati, eccezion fatta per le navi.

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mobilità 100

novembre/dicembre 2018

Impatto dei trasporti stradali sulla qualità dell’ariaSe a livello europeo i trasporti stradali sono la prima fonte di NOx col 39% (Eea, Air Qua-lity 2018, con dati 2016) in Italia questa quota sale al 51% (Ispra, Annuario dati ambientali 2017, con dati 2015). In Italia il contributo relativo dei trasporti stradali è superiore ri-spetto alla media europea sia per il PM10 (12,2% in Italia rispetto al 10% in Europa) e per i composti organici non metanici (17% in Italia rispetto al 9% in Europa). La quota delle emissioni totali di benzene – composto cancerogeno – supera il 44% in Italia, essendo la fonte prevalente. Ma le emissioni di inquinanti sono solo un aspetto (pur rilevante) della questione: le condizioni meteoclimatiche della pianura padana fanno di quest’area una delle più inquinate in Europa e, per l’alta densità di popolazione, contribuiscono in modo significativo al triste primato italiano di morti premature come stimate dall’EEA, l’Agenzia Europea per l’Ambiente.

Le oltre 84 mila morti all’anno per inquinamento in Italia rappresentano un numero enorme: la mortalità per inquinamento in Italia sarebbe, secondo il rapporto EEA sopra citato, quasi l’80% superiore alla media europea rispetto alla popolazione. Di questi morti, 60.600 sarebbero dovute all’esposizione al PM

2.5 – le cui concentrazioni in aria dipendono

anche dalle emissioni di NOx- parte del quale in aria contribuisce alla formazione di polveri fini – e 20.500 invece dall’esposizione diretta a NO

2 (di cui oltre la metà delle emissioni sono

dovute al trasporto stradale), e altri 3.200 alle esposizioni a ozono, che tra i precursori ha an-che gli NOx. I trasporti su strada, dunque, sono anche un’emergenza sanitaria e non solo per le vittime di incidenti - 3.378 nel 2017 un dato in crescita del 2,9% sull’anno precedente - ma anche per le morti premature da inquinamento.

La mobilità urbana forse cambiaGuardano alla classifica europea della mobilità urbana nelle capitali stilata da un rapporto di Greenpeace (Living. Moving. Breathing. Green-peace maggio 2018), è Roma – su base dati 2016 – quella messa peggio su un insieme di indica-tori di mobilità urbana e ambientali. Il recente 15° rapporto dell’Isfort sulla mobilità urbana (novembre 2018) mostrerebbe un’inversione di tendenza con un aumento degli spostamenti

su mezzi pubblici, in bici e a piedi che sarebbero tornati un po’ sopra il livello del 2002 al 37,9% con un cambiamento di oltre dieci punti negli ultimi tre anni. Continua a crescere anche il car sharing e il car pooling. Anche se gli indicatori sembrano mostrare un cam-biamento del rapporto con l’automobile – che continua a regnare incontrastata con un tasso di motorizzazione che continua a crescere con il 63,7 di auto su 100 abitanti (era 58,8 nel 2002) – le politiche e le risorse per una mobilità più sostenibile sono ancora lontane dall’esser disponibili in Italia. La necessità di un diverso approccio alla gestione della mo-bilità, e non solo di un cambio tecnologico emerge, da diverse analisi e riguarda diversi aspetti della vita sociale che richiedono una riprogettazione delle città.

Chiudere con il motore a combustione interna Se una mobilità “verde” richiede una riprogrammazione delle città e dei suoi servizi, la difesa del clima globale ha comunque un punto fermo: chiudere l’era del motore a combu-stione interna – benzina, gas o diesel che sia – e svincolare l’uso dei veicoli da quello delle

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fonti fossili o da biocarburanti il cui impatto sul clima è, nella gran parte dei casi, notevole (l’olio di palma tra i peggiori in questo senso). Per valutare in che termini si ponga la que-stione sul piano ambientale, Greenpeace ha commissionato al Dlr tedesco un rapporto per capire in che termini va chiesta quest’uscita di scena dal sistema dei trasporti del motore a scoppio, ibridi inclusi (Dlr, settembre 2018). L’analisi parte da una considerazione sul “budget carbonio” disponibile in uno scenario globale con un aumento della temperatura media limitato a 1,5°C applicato a uno scenario di emissioni di CO

2 dal settore dei trasporti

europeo (EU28+ Svizzera e Norvegia).I risultati sono che l’ultima auto con motore a combustione interna – incluse le ibride

– va venduta non oltre l’anno 2028. L’analisi mostra che lo stock circolante di auto con motore a scoppio andrà comunque ridotto dell’80% entro il 2035, in modo da ridurre le emissioni; inoltre, per stare dentro il budget carbonio come definito, non basterà cam-biare il parco auto in elettrico, ma ci vorrà un significativo cambio modale verso forme di trasporto, in modo da ridurre il numero complessivo di auto circolanti. Città con molte meno auto, insomma.

Una piattaforma per mobilità di persone e merciPer ottenere questo risultato bisogna cambiare profondamente il quadro delle politiche e siamo ancora ben lontani da una consapevolezza dei decisori politici e industriali di come si presenta la partita sul clima globale quando si parla di trasporti, mobilità e automobili. Qui di seguito le “raccomandazioni” per una politica sui trasporti che Greenpeace ritiene necessarie per forzare lo scenario dei trasporti in modo coerente con l’obiettivo globale di non superare 1,5 °C di aumento delle temperature globali.• Se la vendita di auto col motore a scoppio va interrotta entro il 2028, la messa al bando

dei diesel – responsabili di circa la metà degli NOx che respiriamo – va fatta molto pri-ma. Per fortuna, va detto, il mercato sembra aver registrato che i diesel saranno colpiti da misure restrittive e le vendite hanno iniziato a scendere, compensate però dalle auto a benzina, con una crescita recente delle auto ibride. Lo sviluppo della mobilità privata a metano fossile o Gpl non va incentivato.

• Gli investimenti nei trasporti pubblici, mobilità in bici e a piedi, vanno incrementati di molto per facilitare un cambio nei comportamenti che è già iniziato e va sostenuto.

• Applicare misure restrittive del traffico auto, tassare i veicoli più inquinanti e incenti-vare la mobilità a emissioni nulle di CO

2.

• Perché le auto elettriche diano il massimo contributo alla riduzione delle emissioni di CO

2 è necessario che l’elettricità che consumano sia tutta da fonti rinnovabili: dunque

i governi dovrebbero garantire la crescita delle rinnovabili addizionali da destinare ai trasporti.

• Le reti di distribuzione vanno modificate in modo da garantire una piena integrazione con una quota crescente di veicoli elettrici.

• Il riutilizzo delle batterie esauste va reso più interessante del riciclo e il riciclo, dopo il riutilizzo in altri usi, va reso obbligatorio.

• Le aziende automobilistiche devono interrompere immediatamente la produzione di auto diesel e programmare la conclusione della produzione di auto a benzina o ibride entro il 2028.

• È necessario che le aziende automobilistiche investano in nuovi modelli elettrici – ven-dibili a prezzi contenuti e con modelli di piccola taglia per facilitarne la diffusione e ridurre i consumi – ma è altresì necessario lo sviluppo di nuovi modelli di business per fornire servizi di mobilità, nel contesto di una mobilità condivisa, in modo da ridurre progressivamente lo stock di auto circolanti.

*Direttore Greenpeace Italia

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adattamento 102

novembre/dicembre 2018

La temperatura globale, negli ultimi 150 anni, è aumentata di circa 1 °C ed è previsto un ulteriore innalzamento fino a 2 °C rispetto alle temperature pre-rivoluzione industriale. La causa principale è l’aumento della quantità di gas serra dovuta alle emissioni pro-dotte dall’attività umana. L’Europa meridionale e l’area Mediterranea saranno tra le aree più vulnerabili del Pianeta e nei prossimi decenni dovranno fronteggiare gli impatti più significativi dei cambiamenti climatici, come ha evidenziato il rapporto di valutazione dell’Ipcc (Intergovernamental Panel on climate change, 2014). Il cambiamento climatico pone rischi seri e di ampia portata per le economie, le società e gli ecosistemi. Se non si agisce subito, esso avrà effetti catastrofici, come l’innalzamento del livello del mare, l’in-cremento delle ondate di calore e dei periodi d’intensa siccità. Questi fenomeni avranno un impatto maggiore sulle persone che vivono nelle zone più vulnerabili e povere del mondo, danneggiando la produzione alimentare e minacciando specie di importanza vitale, gli habitat e gli ecosistemi.

Gli effetti dei cambiamenti climatici porranno ulteriore stress sui sistemi socioecono-mici e fisici. Le tendenze demografiche saranno influenzate direttamente dal cambia-mento climatico e graveranno sia sulla salute umana sia, indirettamente, sulla sicurezza alimentare e la sostenibilità delle risorse naturali. Un ulteriore scenario demografico si verificherà con il rischio di eventi estremi sugli insediamenti umani. Se l’incidenza e l’entità di eventi come siccità e inondazioni costiere aumenteranno, potrebbero esser-ci risposte demografiche su larga scala, ad esempio attraverso la migrazione. Un nuovo studio su Science (Asylum applications respond to temperature fluctuations” - Anouch Missirian, Wolfram Schlenke. Science 22 Dec 2017) rileva che, man mano che nei prossimi decenni le colture falliranno nelle regioni agricole del mondo, più persone cercheranno asilo in Europa. Infatti, se le attuali tendenze al riscaldamento dovessero continuare, la ricerca prevede che entro il 2100 l’Europa riceverà circa 660 mila candidati in più ogni anno. Gli studiosi hanno scoperto che se la concentrazione dei gas serra non diminuisce in modo rilevante e che le temperature globali aumentano di 4,8 °C, le domande di asilo dovrebbero aumentare del 188% entro la fine del secolo.

Politiche necessarieIn questo scenario diventa sempre più importante attuare politiche che abbiano come scopo quello di ridurre e di limitare i danni. Si parla quindi di adattamento ai cambiamenti climatici, inteso come risposta al riscaldamento globale, che cerca di ridurre la vulne-rabilità dei sistemi sociali e biologici a cambiamenti relativamente repentini. Comporta azioni pratiche per gestire i rischi dagli impatti climatici, proteggere le comunità e raffor-zare la resilienza. L’adattamento è una responsabilità condivisa. I governi a tutti i livelli, le

Adattarsi al clima che cambia è una necessità di oggi perché occorre pianificare la resilienza

di Piero Pelizzaro *, Ilaria Giuliani **, Francesca Bugnoni ***, Lucy Kojakian ****

Resilienza climatica

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novembre/dicembre 2018 103FOCUS CLIMA

imprese e gli individui hanno ciascuno ruoli complementari da svolgere e saranno spes-so nella posizione migliore per prendere decisioni di adattamento che riducano i rischi climatici. I cittadini possono scegliere ogni giorno, più volte, come contrastare questo dilagante fenomeno. Preferire l’utilizzo di mezzi pubblici all’auto privata è una delle solu-zioni applicabili. Alcune città, in questo senso, hanno introdotto limitazioni a determinate aree cittadine (Milano – AreaC) che disincentivano l’utilizzo dei mezzi privati a favore di quelli più sostenibili. Anche la scelta del cibo influisce sull’emissione della CO

2. La carne è

quella più impattante e, di conseguenza, scegliere una dieta con un suo minor consumo aiuterebbe a contrastare le emissioni di gas inquinanti e a contenere l’innalzamento della temperatura. Le politiche di adattamento ai cambiamenti climatici devono tenere conto di differenti principi quali:• gli effetti del cambiamento climatico variano da regione a regione;• gli effetti del cambiamento climatico possono variare tra gruppi demografici;• il cambiamento climatico pone rischi e opportunità;• l’adattamento ha un costo.

In termini di misure di adattamento, ci sono differenti azioni che aiutano a ridurre la vulnerabilità alle conseguenze dei cambiamenti climatici: infrastrutture verdi, restauro del paesaggio naturale e rimboschimento, ricerca e sviluppo su possibili catastrofi, comporta-mento della temperatura ecc. Per far fronte a questo fenomeno, nel 2015, alla conferenza sul clima di Parigi, 195 paesi hanno adottato il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sul clima mondiale. L’accordo è stato firmato il 22 aprile 2016 a New York ed è entrato in vigore il 4 novembre dello stesso anno. Esso definisce un piano d’azione globale, inteso a evitare i cambiamenti pericolosi limitando il riscaldamento globale sotto ai 2 °C. Il patto prevede anche altri due obiettivi generali: i governi dovranno stabilire ed attuare obiettivi di riduzione dei gas serra prodotti dalle attività umane; i paesi più ricchi dovranno aiutare finanziariamente quelli più poveri. Saranno previste verifiche quinquennali degli impegni presi a partire dal 2023.

Piano necessarioLa ricezione di questo accordo si traduce, in Italia, nel Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (Pnacc), evoluzione della Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (Snac). È il primo strumento nazionale di governo del territorio in materia di cambiamenti climatici. Il suo obiettivo generale è quello di offrire supporto alle istituzioni nazionali, regionali e locali per l’individuazione e la scelta delle azioni più efficaci nelle diverse aree climatiche riguardo alle criticità che lo connotano maggiormente e per l’integrazione di criteri di adattamento nelle procedure e negli strumenti già esistenti. In Lombardia, ciò si tramuta nel Documento di adozione regionale ai Cambiamenti climatici (dicembre 2016) che individua gli ambiti prioritari d’intervento per ridurre al minimo i rischi e gli impatti sulla popolazione, sui materiali e le risorse naturali e per aumenta-re la resilienza della società, dell’economia e dell’ambiente. Adattamento è sinonimo di resilienza. Negli ultimi anni, molte città hanno elaborato strategie di resilienza urbana che riguardano principalmente l’adattamento ai cambiamenti climatici, molto spesso la principale fonte di shock e stress per le città del XXI secolo.

Il network internazionale 100 Resilient Cities (100RC), fondato da Fondazione Rockefel-ler che lavora nel campo della pianificazione urbana e delle politiche territoriali, definisce la resilienza urbana come «la capacità degli individui, della comunità, delle istituzioni, delle aziende e dei sistemi cittadini di sopravvivere, adattarsi e crescere a qualunque tipo di stress cronico e shock acuto essa stia affrontando» (The capacity of individuals, com-munities, institutions, businesses, and systems within a city to survive, adapt, and grow no matter what kinds of chronic stresses and acute shocks they experience). Costruire

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adattamento 104

novembre/dicembre 2018

la resilienza urbana richiede la comprensione dei sistemi che compongono la città e le interdipendenze e rischi che possono affrontare. Rafforzando il tessuto sottostante di una città e capendo meglio i potenziali shock e stress che può affrontare, una città può migliorare la sua traiettoria di sviluppo e il benessere dei suoi cittadini.

In questo contesto si pone l’operato della città di Milano, appartenente al network di 100RC, che a causa della sua collocazione e delle sue caratteristiche geografiche e territo-riali, è una città che presenta un elevato grado di vulnerabilità agli impatti del cambiamen-to climatico. Le analisi dei dati storici e delle previsioni mostrano un progressivo aumento

delle temperature medie e della frequenza e intensità delle ondate di calore, oltre a notevoli cambiamenti nell’intensità e frequenza delle pre-cipitazioni stagionali: tutti fattori emersi clamorosamente in casi recenti di esondazioni, allagamenti, picchi di calore o di freddo. Da un’indagine realizzata dal Servizio Meteorologico Regionale di Arpa, la temperatura media annua dal 1901 al 2017 ha subìto un incremento di 2 °C. Inoltre, sebbene i dati dicano che il trend degli inquinanti sia in calo, anche grazie al processo di dismissione industriale e alle misure prese nell’ambito dei trasporti, gli sforzi fatti non sono ancora sufficienti a garantire la salubri-tà dell’aria per i milanesi, che respirano diffusamente concentrazioni di polveri molto elevate con l’ormai ciclico manifestarsi di condizioni emer-genziali a scala metropolitana e regionale.

Milano futuraLa revisione del Piano di Governo del Territorio, che definirà la Mila-no2030, è l’occasione per la città, di inserire politiche di adattamento e di resilienza nella gestione dell’area cittadina. Gli obiettivi sono progetti e cantieri che cercano di coniugare sviluppo urbanistico a esigenze di mobilità, ambiente, housing, socialità, inclusione e valorizzazione dello spazio pubblico. A tale proposito la città sta costruendo una strategia di resilienza che tiene in considerazione, oltre al problema dell’innalzamen-to della temperatura, anche altri shock e stress che assillano la città. In

particolare, per quanto riguarda l’innalzamento della temperatura, con la conseguente creazione di isole di calore e l’aumento di notti tropicali, Milano sta sviluppando una strategia chiamata “Cool Milano”. Un progetto importate rientrante in questa categoria è il Piano di Forestazione Urbana, che mira alla piantumazione di 3 milioni di alberi al 2030, aumentando così l’estensione delle aree forestali, rinaturalizzando il territorio cittadino, aumentando gli spazi naturali fruibili in città, migliorando la qualità dell’aria e assorben-do la CO

2 atmosferica a contrasto del cambiamento climatico. Altro passo considerevole

per contrastare le emissioni è l’Area B, zona a traffico limitato con divieto di accesso e circolazione per alcune tipologie di veicoli. La nuova Ztl, che sarà attuata dal prossimo 25 febbraio, sarà la più grande d’Italia e prevederà che i veicoli Diesel fino agli Euro 3 e quelli a benzina Euro 0, non potranno più circolare dal lunedì al venerdì dalle 7.30 alle 18.30. Adattarsi al cambiamento climatico significa attuare e implementare progetti a scala macro per contenere e assorbire le emissioni prodotte dalle attività umane. Tuttavia ogni individuo, impresa o governo nel suo piccolo può decidere di dare il proprio contributo giornaliero a salvare l’ecosistema Terra operando in ottica di resilienza.

*responsabile della Resilienza – Comune di MiIano

** vice responsabile della Resilienza – Comune di Milano

***funzionario - Comune di Milano

****funzionario - Comune di Milano

[…]La resilienza è la via di uscita più idonea per riprendersi, il più velocemente possibile, dai fallimenti ambientali ed economici degli ultimi anni.Ecco perché, più che una semplice parola, si usa resilienza come una definizione operativa, un percorso di trasformazione costruttiva, la ricerca e l’approdo a un nuovo modo di pensare […].

“La città resiliente – strategie e azioni di resilienza

urbana in Italia e nel mondo”

Piero Pelizzaro e Pietro Mezzi

#BeGoodBeResilient

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Questo progetto è finanziato con il sostegno della Commissione Europea. Questa pubblicazione riflette esclusivamente le idee degli autori e la Commissione non può essere ritenuta responsabile per qualsiasi uso venga fatto delle informazioni qui contenute.

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aziendenews

a cura di Sergio Ferraris

novembre/dicembre 2018 107

Energia distribuita per l’industria 4.0

La cogenerazione è vista sempre più come una componente

intrinseca dei processi produttivi delle aziende industriali e, come tale, deve essere totalmente integrata nelle infrastrutture digitali di stabilimento e di impresa. Intergen ha sin dall’inizio sposato la filosofia 4.0 e propone una gamma di sistemi di cogenerazione, personalizzabili su misura per ogni esigenza del cliente, dotati di tutte le interfacce standard verso i sistemi 4.0. Il nuovo modello in questo campo è il motore per cogenerazione a gas Tcg 3016 V16 S da 1000 kW elettrici di potenza, l’ultimo arrivato della linea Tcg 3016 prodotta da Mwn.

Terna qualifica la rete aggregata Ego

L’Unità Virtuale Aggregata di Produzione di Ego, al quale è collegato l’impianto

di cogenerazione che alimenta il servizio di teleriscaldamento di Morbegno, è stata qualificata da Terna. È pronta a operare sul mercato, immettendo in rete l’energia elettrica necessaria a superare momenti di picco, a un valore di mercato particolarmente vantaggioso. D’ora in poi la produzione elettrica diventerà un driver importante per gli impianti di teleriscaldamento, fino ad ora programmati esclusivamente in base alla previsione di richiesta termica.

La microcogenerazione ha il suo paper

Contrastare il cambiamento climatico e l’inquinamento atmosferico,

incrementare l’efficienza energetica, promuovere l’utilizzo di energia rinnovabile nella produzione di energia elettrica e nella climatizzazione degli edifici, favorire la partecipazione attiva delle risorse

FOTOVOLTAICO E MOBILITÀ ELETTRICALa collaborazione fra Solarwatt e Bmw, attiva da anni in Germania, si estenderà nei prossimi mesi anche in Italia. Le due aziende proporranno la 'Soluzione Unica' per ricaricare l'auto elettrica: moduli fotovoltatici, sistema d'accumulo modulare e Energy Manager perfettamente compatibili fra loro.La collaborazione prevede attività promozionali congiunte, con il duplice obiettivo di sviluppare le competenze degli installatori di impianti fotovoltaici sull'auto elettrica e sui sistemi di ricarica, e sensibilizzando la rete di vendita Bmw su come alimentare l’auto con impianti fotovoltaici domestici.

distribuite al mercato dell’energia elettrica. Sono questi i principali obiettivi che è possibile perseguire promuovendo la microcogenerazione come opzione strategica per la decarbonizzazione del Paese. Questa visione, condivisa tra tredici soggetti appartenenti al mondo accademico, delle associazioni ed industriale, è riportata nel position paper “La microcogenerazione: un futuro intelligente e sostenibile per l’energia”, pubblicato e firmato tra gli altri da Totem, Snam, Elettricità Futura, Anigas e dal Politecnico di

Milano. I benefici della microcogenerazione potranno realizzarsi solo grazie a scelte consapevoli di politica energetica ed ambientale. Il position paper propone una serie di misure in grado di risolvere quelle criticità amministrative, fiscali e regolatorie che ancora ne frenano lo sviluppo di una tecnologia in grado di contribuire in maniera determinante alla riduzione delle emissioni climalteranti, al miglioramento della qualità dell’aria, all’incremento dell’efficienza energetica e all’integrazione di crescenti quote di fonti rinnovabili nel sistema elettrico.

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in partenariato in collaborazione

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Per sfruttare al meglio il vento bisogna conoscerlo a fondo e studiarlo, caso per caso. Abbiamo parlato di questo e dello stato delle rinnovabili in Italia con Claudio Monteforte, amministratore delegato di Idnamic, azienda attiva nel settore della consulenza per l’eolico.

Come nasce l’azienda?«Siamo stati consulenti delle maggiori società che hanno investito nell’eolico nelle nostre zone e con quest’attività nei cantieri abbiamo notato che nella misura del vento, che oggi è il nostro core business, le professionalità e le tecnologie necessarie arrivavano dall’estero. Abbiamo quindi verificato che esisteva un mercato in questo settore e abbiamo investito sia nelle torri anemometriche tubolari sia nel formare squadre per le installazioni. Abbiamo inoltre creato un ufficio tecnico specializzato di ingegneri che quotidianamente monitorano i dati e li forniscono ai clienti. Da questa esperienza italiana ci siamo espansi in seguito all’estero».Per i vostri servizi utilizzate anche nuove tecnologie?«Sì, adottiamo sistemi innovativi di misura con il Lidar, il Sodar e il Triton che sono sistemi basati su una sensoristica avanzata che aggiunti ai sistemi tradizionali consentono misurazioni molto più precise ed efficaci».Come stima il panorama delle rinnovabili?«Oggi subiamo gli effetti della non pianificazione delle rinnovabili, con la mancata approvazione del decreto ma all’estero la situazione è diversa. In Francia, per esempio, c’è una politica molto forte sulle rinnovabili e verso l’eolico e anche in Spagna c’è un risveglio del

mercato, perché il governo deve ottemperare agli accordi della Cop 21». Quali sono le potenzialità per l’eolico in Italia secondo lei? Ci sarà spazio per l’off shore?«Per me lo sviluppo dell’eolico in Italia sarà on shore. Per l’off shore c’è il problema dell’impatto paesaggistico e nelle poche, zone costiere che non hanno flussi turistici il vento è poco. Per questa ragione rimarrei con ‘i piedi per terra’. Riguardo al potenziale generale credo sia possibile arrivare a 10 GWe di nuova potenza, anche perché ci sono ampi margini per il repowering. Esistono siti molto produttivi dove una nuova macchina può sostituirne tranquillamente cinque o sei di quelle obsolete. In questo modo si avrebbero delle macchine più grandi, ma in numero nettamente inferiore con delle performance maggiori». Qual è il vostro ruolo in questo quadro?«I generatori di generazione precedente hanno un’altezza di 40 o 50 metri; in quelli di oggi è più che raddoppiata. È chiara, quindi, la necessità di eseguire delle nuove misure che siamo in grado di eseguire fino a oltre 120 metri d’altezza. Si tratta di esami importanti per capire il tipo di aerogeneratore da installare, quali sono le performance attese e a cosa si va incontro».Quali sono le zone d’Italia più adatte a queste operazioni?«Sicuramente la parte centro meridionale e anche le isole. Con il repowering si moltiplicherebbe la capacità delle Regioni come Campania, Puglia ma anche in quelle più a Sud». Si tratta di zone dove è forte il Nimby per l’eolico. Che cosa pensa in merito?«Non è un fenomeno solo di quelle zone. In Italia è un fenomeno generale che riguarda qualsiasi grande opera. Sono dinamiche sbagliate che non tengono conto, per esempio, dell’evolversi in negativo del clima. Da noi si dovrebbero usare gli impianti eolici anche come strumento di comunicazione, come all’estero, per informare i cittadini e le nuove generazioni, sulle potenzialità che hanno le rinnovabili nel contrastare i cambiamenti climatici».

*direttore di QualEnergia

Misurare il ventodi Sergio Ferraris*

L’ANALISI PUNTUALE DEL VENTO SUL TERRENO È ESSENZIALE PER UNA CORRETTA INSTALLAZIONE DEI GENERATORI EOLICI

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DIRETTORE: Sergio Ferraris([email protected])

DIRETTORE SCIENTIFICO: Gianni Silvestrini

PROGETTO GRAFICO, IMPAGINAZIONE: Emiliano Rapiti ([email protected])

PHOTO EDITING: Sarah Carlet ([email protected])

PROOFREADING – EDITING: Ester Stefania Lattanzio([email protected])

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO: Mauro Albrizio, Anna Amato, Leonardo Berlen, Marino Berton, Gianfranco Bologna, Francesca Bugnoni, Marco Campagna, Sergio Chiacchella, Dario D’Angelo, Livio De Santoli, Alessandro Federici, Anna Donati, Katiuscia Eroe, Francesco Ferrante, Sergio Ferraris, Lucy Kojakian, Ilaria Giuliani, Gianni Mattioli, Mariagrazia Midulla, Roberto Moneta, Giuseppe Onufrio, Piero Pelizzaro, Andrea Poggio, Alberto Radice, Agostino Re Rebaudengo, Diego Righini, Davide Sabbadin, Massimo Scalia, Karl-Ludwig Schibel, Gianni Silvestrini, Guido Viale, Roberto Vigotti, Edoardo Zanchini, G.B. ZorzoliCONSIGLIO DI REDAZIONE: Pierluigi Alari,Giuseppe Barbera, Riccardo Basosi, MassimoBastiani, Leonardo Berlen, Maria Berrini, ClaudiaBettiol, Duccio Bianchi, Giuliano Bianchini,Gianfranco Bologna, Federico Butera, ValerioCalderaro, Natale Caminiti, P. Giuliano Cannata,Claudia Castaldini, Nicola Cipolla, Paolo DegliEspinosa, Giuseppe D’Ercole, Roberto DellaSeta, Anna Donati, Katiuscia Eroe, FabrizioFabbri, Claudio Falasca, Lucia Fazzo, ToniFederico, Giuseppe Gamba, Mario Gamberale,Walter Ganapini, Domenico Gaudioso, StefanoGazziano, Carlo Iacovini, Alessandro Lanza,Leonardo Libero, Arturo Lorenzoni, Carlo Manna, Ezio Manzini, Doretto Marinazzo, Andrea Masullo, Gianni Mattioli, Vincenzo Naso, Giuseppe Onufrio, Tullio Pagano, Lorenzo Pagliano, Lorenzo Partesotti, AntonioPascale, Rodolfo Pasinetti, Paolo Pietrogrande,Andrea Poggio, Ermete Realacci, Agostino Re Rebaudengo, Gianfranco Rizzo, Maurizio Romanazzo, Edo Ronchi, Alberto Santel, Luigi Sardi, Francesca Sartogo, Massimo Scalia, Karl-Ludwig Schibel, Gianni Scudo, Fulvia Sebregondi, Massimo Serafini, Tommaso Sinibaldi, Alex Sorokin, Walter Tocci, Lucia Venturi, Gianni Vernetti, Guido Viale, Fabrizio Vigni, Roberto Vigotti,

Maria Rosa Vittadini, Marco Viviani, Sergio Zabot, Mario Zambrini, Edoardo Zanchini, Luca Zingale, Alberto Ziparo, G.B. Zorzoli

EDITORE: Editoriale La Nuova Ecologia soc. coop.

CONSIGLIO D’AMMINISTRAZIONE:Nunzio Cirino Groccia (presidente), Luca Biamonte, Fabio Dessì, Giampaolo Ridolfi (consiglieri)

MARKETING E PUBBLICITÀ:Giampaolo Ridolfi ([email protected])

Sergio Fontana ([email protected])

COMUNICAZIONE, UFFICIO STAMPA, EVENTI:Luca Biamonte ([email protected])

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Le opinioni espresse all’interno degli articoli di QualEnergia sono da ascriversi ai singoli autori e non rappresentano necessariamente la linea della Redazione

Testata registrata al Tribunaledi Roma al n.36/2003 in data 03/02/2003ISSN 1590-0193

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I sistemi di accumulo termici o elettrochimici installati potranno svolgere più applicazioni per gestire domanda e offerta di rinnovabili con un impatto positivo per consumatori e operatori di sistema.Questo modello, ancora poco presente nel concreto, può essere definito Community Energy Storage (Ces). Sarà determinante per la transizione energetica, andando a soddisfare i bisogni di cittadini e comunità, oltre che del sistema energetico (bilanciamento, servizi ausiliari, ecc.).Le future sfide dell’integrazione del Ces in un sistema elettrico tendenzialmente centralizzato restano però rilevanti. I Ces sono stati finora considerati nelle loro caratteristiche tecniche ed economiche ma, ai fini del loro successo, sono stati trascurati quei fattori sociali e comportamentali o anche prettamente istituzionali che possono essere decisivi.L’applicazione dei Ces non è puramente residenziale o a livello utility scale, ma si trova in teoria tra queste due applicazioni.Questi modelli hanno il potenziale di plasmare la comunità futura e le esigenze della società in termini energetici che a loro volta influenzeranno la loro innovazione tecnica e diffusione: «quando le comunità energetiche locali adottano e utilizzano lo stoccaggio di energia sono possibili nuove innovazioni ispirate all’utente», come hanno scritto dei ricercatori olandesi su “Applied Energy”.Per esempio, una comunità di accumulo dell’energia può consentire alla comunità

locale di essere autarchica. Pertanto le tecnologie dovranno adeguarsi proprio per soddisfare questa nuova esigenza.Le comunità locali possono fornire un feedback ai fornitori di tecnologia per l’ulteriore miglioramento tecnologico del sistema di stoccaggio, con la conseguente crescita dell’accettazione sociale e di un’ulteriore innovazione tecnica. In questo processo dal basso, ci sono opportunità e sfide per le comunità locali nella riorganizzazione e trasformazione verso un sistema energetico più sostenibile e cooperativo.La convenienza è ancora modesta, ma la fattibilità economica e sociale del Ces si avrebbe già oggi quando aspetti come bilanciamento locale dell’energia, peak shaving, servizi di rete e costi evitati per le infrastrutture di rete sono considerati complessivamente.Nuovi valori aggiunti sociali, ambientali e istituzionali, mai immaginati prima, potrebbero emergere attraverso l’interazione e il coordinamento tra attori. Per esempio, il Ces potrebbe portare a una maggiore coesione sociale e alla fiducia della comunità, oltre a migliorarne la sostenibilità, la resilienza e l’autonomia.Il Ces sembrerebbe dunque l’anello mancante nella transizione energetica: può fornire mezzi efficaci per l’integrazione del sistema energetico, la flessibilità e l’impegno della comunità. Emergeranno così nuove istituzioni e attori; i ruoli e le responsabilità di questi soggetti cambieranno continuamente, come quelle di intermediari, aggregatori o società di servizi energetici.Sarà necessario sviluppare l’ambiente tecnico, normativo, politico e di mercato, nonché le condizioni idonee per la collaborazione tra attori sociali e del sistema energetico.Tutti insieme questi fattori determineranno quasi certamente l’emergere dello stoccaggio di energia della comunità dentro l’attuale sistema energetico. Ma la strada, sebbene stimolante, è ancora lunga e piena di difficoltà.

Accumulo democraticoa cura della Redazione di QualEnergia.it

PER LA DEMOCRAZIA ENERGETICA È NECESSARIO OCCUPARSI DEGLI ASPETTI SOCIALI DELL’ACCUMULO ENERGETICO COMUNITARIO

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novembre/dicembre 2018

di Sergio Ferraris

Comunicarel’energia

La non notizia della natura

Tra yacht distrutti e boschi, i media privilegiano i primi. È un sintomo di come gli stili di vita siano distanti dalla natura

L’ondata di maltempo che ha colpito l’Italia a fine ottobre ha avuto dei risvolti mediatici con luci e ombre. Si è trattato di un fenomeno “norma-le”, la cui potenza è con ogni probabilità da attribuirsi ai cambiamenti climatici che stanno riscaldando considerevolmente il Mar Mediterraneo che “scarica” l’energia accumulata attraverso eventi che anche se per la loro potenza hanno una veste ecce-zionale e inedita si possono considerare “normali” come dinamica.

Il protagonista in questo caso, è stato il vento, causato da una forte depressio-ne. Nessun ciclone, nessuna tromba d’aria, - fenomeni locali - ma “semplicemente” un vento di velocità e potenza inedite, ha spazzato tutta la Penisola, da Sud a Nord, colpendo località costiere e dell’entroterra. Il risultato è stato, al solito, rappresentato da una sequela di morti, feriti e distruzioni che sul fronte comunicativo hanno avuto risvolti diversi in base alla “mediaticità” degli eventi. A parte casi nei quali si sono perse delle vite, come quello del villino di Casteldaccia in Sicilia, non tutti i fenomeni hanno avuto la stessa dignità comunicativa. Durante i primi giorni dell’emergenza ha avuto grande eco, a livello di notizia e di immagini, il danneggiamento del porto di Rapallo dovuto al crollo della diga foranea, durante il quale sono andati distrutti alcuni yacht di lusso, tra i quali uno della famiglia Berlusconi, immediatamente di-ventati il simbolo della catena di eventi.

Contemporaneamente il vento ha letteralmente fatto strage di alberi, solo nel bellunese le ultime stime parlano di otto milioni di metri cubi - la quantità di legno che si taglia in tutta la nazione in un anno. Evento paragonabile alla distruzione in-flitta ai boschi dalla Prima guerra mondiale.

Il tutto con blocco delle strade, danni agli acquedotti e alle linee elettriche, fatti che hanno messo in ginocchio la provincia veneta ma che sono stati a lungo ignorati dai media. La differenza di copertura tra la notizia di Rapallo e quella di Belluno fa riflettere. Nel primo caso, la rappresentazione iconografica - quella che forma le notizie più di tutte - è stata quella degli yacht di lusso distrutti. Oggetti che, nonostante siano elitari, sono stati riconosciuti dai media come simboli iconici della tragedia, cosa che non è accaduta agli alberi bellunesi. E su ciò c’è da riflettere. Con ogni probabilità la scelta mediatica operata ha delle ragioni antropologiche radicate nello stile di vita odierno. Ci riconosciamo di più nella sfera dell’artificiale che non in quella della natura e proviamo più empatia, specialmente sotto il profilo iconico, quello meno mediato dalla razionalità, per gli artefatti antropici che non per gli ele-menti naturali. Con ogni probabilità è dovuto, al fatto che costruiamo tempi e spazi di vita sempre più artificiali, nei quali spendiamo una quota sempre maggiore della nostra esistenza, estromettendo dal nostro bilancio esistenziale la natura, anche se essenziale all’esistenza. Il credito dato dai media a questa concezione non fa altro che aumentare la distanza tra l’uomo e la natura, distanza che è alla base degli insuccessi di battaglie fondamentali come quella che riguarda i cambiamenti climatici.

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ALLA FINE CI PENSIAMO NOI

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