La gestione del cinghiale (Sus scrofa L.) in Italia, · 2 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] ...

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1 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp. La gestione del cinghiale (Sus scrofa L.) in Italia, con cenni su biologia e distribuzione (Mammalia: Suiformes: Suidae) Vatore Roberto, Pignataro Camillo, Vicidomini Salvatore Fondazione Iridia, Museo Naturalistico, Via Forese, 84020 Corleto Monforte (SA) e-mail: [email protected] - [email protected] - [email protected] 1. INTRODUZIONE 2. DISTRIBUZIONE, BIOLOGIA, ETOLOGIA 2.1 Diffusione in Italia del cinghiale 2.2 Caratteristiche morfologiche 2.3. Biologia ed etologia 2.4. Alimentazione 3. PARAMETRI DI POPOLAZIONE 3.1. Distribuzione 3.2. Consistenza 3.3. Densità 3.4. Struttura e dinamica di popolazione 3.5. Incremento utile annuo 3.6. Modello strutturale della popolazione di cinghiali 4. DANNI 4.1. Cause dei danni 4.2. Tipologie di danno 5. GESTIONE 5.1. Aspetti generali 5.2. Quadro normativo 5.3. Misure di gestione del cinghiale 5.4. Gestione del cinghiale in aree protette 5.5. Prevenzione dei danni da cinghiale

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1 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

La gestione del cinghiale (Sus scrofa L.) in Italia,

con cenni su biologia e distribuzione

(Mammalia: Suiformes: Suidae)

Vatore Roberto, Pignataro Camillo, Vicidomini Salvatore

Fondazione Iridia, Museo Naturalistico, Via Forese, 84020 Corleto Monforte (SA) e-mail: [email protected] - [email protected] - [email protected]

1. INTRODUZIONE

2. DISTRIBUZIONE, BIOLOGIA, ETOLOGIA

2.1 Diffusione in Italia del cinghiale

2.2 Caratteristiche morfologiche

2.3. Biologia ed etologia

2.4. Alimentazione

3. PARAMETRI DI POPOLAZIONE

3.1. Distribuzione

3.2. Consistenza

3.3. Densità

3.4. Struttura e dinamica di popolazione

3.5. Incremento utile annuo

3.6. Modello strutturale della popolazione di cinghiali

4. DANNI

4.1. Cause dei danni

4.2. Tipologie di danno

5. GESTIONE

5.1. Aspetti generali

5.2. Quadro normativo

5.3. Misure di gestione del cinghiale

5.4. Gestione del cinghiale in aree protette

5.5. Prevenzione dei danni da cinghiale

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2 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

6. DISCIPLINARE PER IL RISARCIMENTO DEI DANNI

6.1. Segnalazione danni

6.2. Accertamento danni

6.3. Modalità di liquidazione

7. CONCLUSIONI

8. BIBLIOGRAFIA

8.1. SITI CONSULTATI

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3 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

1. INTRODUZIONE

Motivazioni. - Questo lavoro viene estratto da una tesi di laurea conseguita da

uno degli autori (R.V.) durante l‟anno accademico 2006-2007 presso l‟Università

degli Studi Federico II, sede di Portici, in Scienze Forestali. Il taglio pertanto sarà

tecnico-scientifico e i dati forniti sono stati rilevati direttamente dalle fonti

bibliografiche consultate.

Generalità. - Le interazioni fra la fauna selvatica e le attività antropiche sono

continue e spesso conflittuali. L‟impatto degli agro-ecosistemi sulle popolazioni dei

selvatici così come i danni alle colture agro-forestali causati dagli stessi animali,

sono in costante aumento. Le esigenze della fauna selvatica da un lato, e degli

agricoltori dall‟altro dovrebbero trovare punti d‟incontro che tengano conto dei

rispettivi bisogni. In quest‟ottica, le azioni di prevenzione rappresentano sempre la

soluzione più indicata per salvaguardare il lavoro degli agricoltori. Nel caso di specie

particolarmente problematiche poi, di fianco ad interventi di prevenzione, devono

essere attuate politiche di gestione e di controllo delle popolazioni per ridurne

l‟impatto, utilizzando, in primo luogo, metodi eco-compatibili e, in alcuni casi,

intervenendo mediante piani mirati di abbattimento.

Scopo del lavoro è eseguire una disamina delle politiche di gestione e

controllo delle popolazioni di cinghiale (Sus scrofa L.: Suidae: Suiformes) mirate a

ridurre il forte impatto negativo che questa specie selvatica ha sulle attività agricole

ed in misura minore sul patrimonio forestale, con particolare riferimento alle diverse

strategie di prevenzione danni.

Cenni tassonomici. - Il cinghiale (Sus scrofa L.) appartiene al superordine

degli Ungulati che comprende un vasto ed eterogeneo gruppo di mammiferi

caratterizzati dalla presenza della parte terminale delle dita (falangette) ricoperte da

unghie particolarmente robuste, dette zoccoli. Il superordine è suddiviso negli ordini

Perissodattili e Artiodattili al quale ultimo appartiene il cinghiale, che ha come

caratteristica diagnostica la presenza di un numero pari di dita. Nel cinghiale il terzo

e il quarto dito sono rivestiti dallo zoccolo; il primo dito manca sempre, mentre il

secondo e il quinto possono essere sviluppati e, nel qual caso, prendono il nome di

“guardie”, o essere piccoli rudimenti laterali sollevati sul fianco del piede, nel qual

caso sono denominati “zoccoletti o speroni”; tali rudimenti non toccano terra quando

l‟animale cammina normalmente al passo, ma se ne possono osservare i segni in

terreni molto molli, per esempio nei terreni innevati.

2. DISTRIBUZIONE, BIOLOGIA, ETOLOGIA

2.1 Diffusione in Italia del cinghiale

In passato il cinghiale era presente in gran parte del territorio italiano. A

partire dalla fine del 1500 la sua consistenza si è progressivamente rarefatta a causa

della persecuzione diretta cui venne sottoposto da parte dell'uomo. Estinzioni locali

successive si registrarono in Trentino (XVII secolo), Friuli e Romagna (XIX secolo)

e Liguria (1814); il picco negativo venne raggiunto negli anni immediatamente

successivi alla seconda guerra mondiale quando le ultime popolazioni presenti sul

versante adriatico della penisola scomparvero. Tra gli anni '50 si è osservata un

deciso incremento delle popolazioni e demografico in generale con conseguente

ampliamento dell'areale. Tra i fattori responsabili dell'esplosione demografica del

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cinghiale (anche nel resto d'Europa) si devono citare: recupero da parte del bosco di

zone precedentemente utilizzate per l'agricoltura e la pastorizia; progressivo

spopolamento di vaste aree di media montagna, sia a livello alpino che, soprattutto,

appenninico; diminuzione della persecuzione diretta; massiccia introduzione di

soggetti catturati all'estero; incremento del numero di allevamenti italiani. Il

ripopolamento effettuato a scopo venatorio con animali di ceppo centro-europeo, e

spesso con soggetti derivanti da incroci con il suino domestico, ha contribuito a

creare un cinghiale “moderno” con una notevole variabilità fenotipica.

Attualmente, in Italia, il cinghiale è presente in 90 province su 103, con una

consistenza stimata intorno ai 300.000 – 500.000 capi; le poche aree in cui è assente

sono le regioni dell‟arco Alpino situate a quote oltre il limite della vegetazione

arborea e circoscritte zone del versante Adriatico (vedi cartina sottostante). Nuclei

più o meno isolati sono presenti in alcune zone della Penisola centrale, in Sicilia e

parte in Sardegna. In Italia, la specie Sus scrofa è presente come cinghiale

maremmano (Sus scrofa majori de Beaux et Festa, 1927), cinghiale centroeuropeo

(Sus scrofa scrofa L.) e cinghiale sardo (Sus scrofa meridionalis Forsyth Major,

1882). Il quadro relativo delle conoscenze circa le densità e l'evoluzione delle

diverse popolazioni italiane rimane tuttora alquanto carente. Da un recente studio

effettuato (Scandura et al., 2005) utilizzando un set di 10 loci microsatelliti e

l‟analisi del DNA mitocondriale è emerso che la popolazione goriziana è

geneticamente diversa da quella del centro-sud Italia e ascrivibile al morfotipo

balcanico; la popolazione sarda risulta complessivamente ben differenziata da quelle

peninsulari, mentre in Italia centrale, a fronte di una certa omogeneità riscontrata

nelle popolazioni selvatiche, i nuclei attualmente isolati, originati con capi

maremmani, sono risultati piuttosto divergenti tra loro, come probabile conseguenza

della deriva genetica (Scandura et al., 2005).

Si ritiene, comunque, che la diffusione delle popolazioni attuali presenti in

Italia abbia seguito diverse tappe a partire da una iniziale colonizzazione spontanea,

seguita poi da un massiccio ricorso a immissioni di soggetti esteri e di incroci con

forme domestiche, che hanno determinando la quasi scomparsa della sottospecie S. s.

majori. (Amici e Serrani, 2004).

L‟elevata plasticità ecologica permette al suide di frequentare tutte le

situazioni ambientali con disponibilità di copertura vegetale di tipo legnoso tra cui:

faggete (situate anche a quote superiori ai 1000 metri s.l.m.); boschi misti di faggio,

abete bianco, abete rosso, ecc.; boschi a predominanza di conifere (pinete, abetine,

lariceti); macchia mediterranea (Fig. 2.1.1. e 2.1.2.).

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Fig. 2.1.1. Macchia mediterranea (loc. Badia – Cava dei Tirreni -

SA).

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Fig. 2.1.2. Macchia mediterranea (loc. Badia – Cava dei Tirreni -

SA).

2.2 Caratteristiche morfologiche

Il cinghiale è caratterizzato morfologicamente da dimorfismo sessuale: i

maschi adulti raggiungono un peso vivo compreso tra gli 80 e i 200 kg e hanno

un‟altezza al garrese di 90 – 110 cm; le femmine, più piccole, raggiungono un peso

vivo variabile fra i 60 e i 150 kg e un‟altezza al garrese di 70-90 cm. (Massei e

Genov, 2000; Scandura et al., 2005).

Il muso è corto e tozzo con zanne visibili dall‟età di 3-4 anni in poi, mentre

per le femmine il muso è allungato a cono. La dentatura è costituita da 44 denti, la

cui formula dentaria è 3I-1C-4P-3M / 3I-1C-4P-3M (3 incisivi, 1 canino, 4

premolari e 3 molari per arcata: Boitani e Mattei, 1991).

L‟esame della struttura dentaria nel cinghiale, si è dimostrato un metodo di

facile applicazione e buona attendibilità per la determinazione dell‟età degli

individui. Tale metodo prevede la verifica dell‟eruzione e del pareggiamento dei

molari della mandibola. Al riguardo, bisogna considerare che mentre gli incisivi, i

canini e i premolari compaiono inizialmente come denti “da latte” e successivamente

vengono sostituiti da quelli definitivi (ad eccezione del primo premolare, che invece

erompe direttamente come dente definitivo), i molari compaiono direttamente come

denti definitivi. L‟eruzione dei molari ha luogo gradualmente a partire dal primo

molare all‟età di un anno; a 14-15 mesi spunta il secondo molare che pareggia con il

primo a due anni; infine, il terzo molare spunta a circa 26 mesi per poi pareggiare

con gli altri due all‟età di tre anni. Da questo momento in poi l‟età dell‟individuo

viene stimata in base al grado di usura dei molari; pertanto, all‟età di tre anni il

primo molare, già presente da due anni, presenterà un‟usura ben evidente e se, tale

grado di usura interesserà anche il secondo molare allora l‟animale avrà quattro anni;

allo stesso modo, se anche il terzo molare sarà usurato l‟animale avrà cinque anni.

Caratteristica distintiva, sempre nell‟ambito della struttura dentaria e rappresentante

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il trofeo del cinghiale, è la conformazione dei canini; quelli inferiori, che nei maschi

arrivano a una lunghezza di 12-14 cm, prendono il nome di “difese” e sono più

lunghi di quelli superiori che, invece, prendono il nome di “cote” (Boitani e Mattei,

1991).

Nel maschio il treno anteriore è maggiormente sviluppato del posteriore e

risulta ben evidente il pennello o ciocca. Nella femmina la massa corporea è

distribuita in modo omogeneo e, anche a distanza, sono visibili i capezzoli in numero

di 8-10 (Falaschini, 1996).

Per quanto riguarda il mantello, il cinghiale, come gli altri ungulati, presenta

un mantello primaverile, di colore grigio con setole corte e sottili e assenza di

sottopelo (borra), e un mantello autunnale di colore bruno-nerastro con setole lunghe

e spesse circondate da fitto sottopelo. Sono conosciuti rari casi di albinismo

(Falaschini, 1996).

Il colore del mantello, assieme ad alcune caratteristiche morfologiche,

rappresenta uno dei caratteri distintivi delle classi di età dei cinghiali: la classe degli

striati comprende gli individui fino a 4 mesi circa, i cui sessi sono indistinguibili,

presentano mantello striato e coda corta sopra il tallone (Fig. 2.2.3.); la classe dei

rossi comprende individui di 5-12 mesi, i cui sessi anche in questo caso sono

indistinguibili, mantello rossiccio e coda corta sopra il tallone (Fig. 2.2.4.); infine vi

è la classe dei neri, con differenze sessuali apprezzabili, che comprende sia i sub-

adulti di 1 anno di età che gli adulti di età superiore ad un anno, che presentano il

mantello (invernale) di colore nero, la coda che supera il tallone, abbondantemente

negli esemplari di età avanzata (Fig. 2.2.5., Fig. 2.2.6.).

La muta primaverile ha luogo nei mesi di maggio-giugno, quella autunnale in

settembre-ottobre; la prima è più vistosa in quanto in autunno i peli estivi cadono più

uniformemente e non a ciocche. In riferimento ai tempi di muta, i primi a mutare

sono i giovani, seguono gli adulti e per ultimi gli anziani, insieme alle femmine

gravide e in lattazione. Le prime regioni corporee interessate dalla muta sono le

zampe e le parti inferiori, seguono i fianchi ed infine il corpo e il dorso (Massei e

Toso S, 1993).

Fig. 2.2.3. classe di età: striati.

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Fig. 2.2.4. classe di età: rossi.

Fig. 2.2.5. classe di età: neri (maschio).

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Fig. 2.2.6. classe di età: neri (femmina).

Tra le ghiandole cutanee le sudoripare sono diffuse in tutto il corpo con

funzione di riconoscimento individuale; quelle carpali hanno funzione di richiamo

sessuale e quella prepuziale, attiva in particolare nel periodo accoppiamenti svolge

anch‟essa la funzione di richiamo sessuale.

2.3. Biologia ed etologia

Gli individui raggiungono la maturità sessuale “fisiologica” all‟età di un anno

mentre quella “sociale” è raggiunta all‟età di cinque anni per i maschi e a due anni

per le femmine. La gestazione dura in media 112-130 giorni, al termine della quale si

ottengono, generalmente, 4-8 nati per parto. Lo svezzamento dei piccoli ha luogo a

3-4 mesi. La durata media di vita è di circa dieci anni (Massei e Toso, 1993).

Per quanto riguarda i ritmi circannuali, la sequenza delle diverse fasi ha inizio

con gli accoppiamenti e la conseguente dispersione dei sub-adulti. Di norma il

periodo degli accoppiamenti va da novembre a gennaio; in questo periodo i maschi

adulti, attratti dalle femmine in estro, si spostano nelle aree occupate dai branchi

femminili. L‟ingresso del maschio all‟interno del branco misto governato dalle

femmine è contrassegnato da fenomeni di aggressività degli individui adulti che

determinano un disagio nei giovani maschi dell‟anno (i rossi), che come

conseguenza si comportano da “satelliti” del branco, mantenendosi a distanza di

sicurezza dai maschi adulti, mentre i maschi sub-adulti che ancora vivevano nel

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branco femminile si disperdono in modo definitivo. Nei mesi di febbraio-marzo i

branchi si ricompongono, per cui si osservano gruppi di femmine e giovani e branchi

unisessuali o misti di sub-adulti. I maschi adulti, in virtù della mole e delle “armi”

che possiedono, tendono a vivere isolati (in questo caso vengono detti solenghi)

oppure riuniti a formare piccoli gruppi (in tal caso vengono detti verri). Talvolta è

osservabile al seguito del maschio adulto un giovane dello stesso sesso detto

scudiero. Nei branchi femminili, l‟organizzazione sociale è di tipo matriarcale:

l‟unità di base è rappresentata dalla femmina con i piccoli dell‟anno, cui si possono

aggiungere le femmine di cucciolate precedenti con la rispettiva prole. Tra le

femmine dello stesso branco esistono relazioni di parentela e tutte le femmine

collaborano alla difesa dei piccoli e dei giovani adottando strategie note come

“vigilanza cooperativa” e “difesa sociale” ed è inoltre frequente il fenomeno

dell‟adozione. I branchi sono ordinati gerarchicamente ed obbediscono ad una

femmina capobranco. In aprile-maggio si concentrano i parti e in conseguenza di ciò

si verifica un temporaneo scioglimento dei branchi femminili, nonché la dispersione

dei sub-adulti. In prossimità del parto, le femmine gravide si allontanano dal branco

per approntare il nido per il parto o lesta che consiste in un accumulo di materiale

vegetale (foglie, erba, zolle) a formare un ammasso alto circa un metro e largo due,

accumulato dalla femmina in una depressione scavata nel terreno col grifo (Massei e

Toso, 1993).

2.4. Alimentazione

Il cinghiale è una specie onnivora opportunista, in grado di colonizzare, ma

soprattutto utilizzare, ambienti anche molto diversi purché provvisti di acqua,

alimento e una buona copertura vegetale che gli garantisca rifugio e tranquillità,

ragion per cui è possibile trovarlo sia in pianure intensamente coltivate, sia in zone

montane situate al limite della vegetazione arborea. La composizione della dieta

varia in funzione della disponibilità di cibo dell‟ambiente. Gli alimenti di origine

animale, che rappresentano soltanto il 10%, comprendono invertebrati, micro-

mammiferi, uova e carogne; gli alimenti di origine vegetale rappresentano, invece, il

90% e comprendono: ghiande, castagne, faggiole, cereali, erba medica, bulbi, frutti

selvatici, rizomi e radici che vengono estratte con il grifo, causando in questo modo

grandi danni alle colture e ai terreni mediante lo scavo di buche e devastando i campi

coltivati soprattutto di mais, grano e orzo (Fratoni e Piastrelli, 1984).

Per quanto riguarda l‟apparato digerente, il cinghiale è un monogastrico;

tramite un particolare processo fermentativo, che si svolge a livello intestinale, è in

grado di ottenere una buona resa energetica dalla componente vegetale della dieta.

D‟altro canto, l‟assenza della ruminazione permette una digestione solo grossolana

delle fibre e per questo motivo se ne rinvengono frammenti nelle feci (Falaschini,

1996). Per questa specie la disponibilità di acqua rappresenta un fattore di

fondamentale importanza, del quale non va sottovalutato l‟indubbio effetto benefico

dal punto di vista igienico-sanitario e non solo (Massei e Genov, 2000).

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3. PARAMETRI DI POPOLAZIONE

Qualunque intervento di politica gestionale della fauna selvatica, come il

controllo della popolazione, gli interventi di prevenzione dei danni, o una corretta

pianificazione del prelievo venatorio, devono partire dalla conoscenza di alcuni

semplici parametri demografici come distribuzione, consistenza, densità, struttura,

incremento utile annuo.

3.1. Distribuzione

Per distribuzione di una popolazione s‟intende la definizione delle aree dove

la specie considerata è presente. Le informazioni circa la distribuzione del cinghiale

si ottengono mediante osservazione diretta degli animali, oppure indirettamente

attraverso il rilievo dei segni di presenza. Informazioni attendibili si possono ottenere

anche da persone accreditate come agricoltori, cacciatori, personale del Corpo

Forestale dello Stato, ecc. In Italia, negli ultimi 30 anni, l‟areale di distribuzione del

cinghiale si è addirittura quintuplicato a seguito dello spopolamento delle aree rurali,

dell‟espansione delle aree boscose e della ridotta utilizzazione del territorio da parte

dell‟uomo. Basti pensare che con l‟abbandono di alcuni territori, le risorse alimentari

che prima erano fonte principale di sostentamento per le famiglie contadine, come i

frutti del bosco di latifoglie (e.g.: castagne), o per gli animali domestici (e.g.:

faggiole, ghiande), sono ora lasciati a disposizione della fauna selvatica. Questi fatti,

in alcune situazioni, hanno consentito lo sviluppo delle specie animali, come il

cinghiale, che erano in grado di usare tali alimenti. Anche la cospicua immissione di

capi centroeuropei (e.g.: Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria) per ripopolamento di

aree a scopo venatorio, ha favorito la diffusione di questa specie. Il fatto che gli

animali provenienti dall‟estero si siano evoluti in contesti ambientali completamente

diversi da quelli della nostra penisola, viene evidenziato dalle diverse caratteristiche

morfologiche e fisiologiche di tali popolazioni rispetto quelle autoctone (Amici e

Serrani, 2004).

3.2. Consistenza

La consistenza, ovvero il numero di animali presenti per una specie, razza o

popolazione, è un parametro molto difficile da determinare per il cinghiale a causa

delle sue abitudini crepuscolari-notturne, della predilezione per ambienti boscosi, e

per l‟elevata mobilità sul territorio. Pertanto, nella determinazione della consistenza,

si parla di “consistenza minima accertata”. Attraverso il rilevamento dei segni

indiretti della presenza degli individui è possibile determinare la distribuzione e la

consistenza della popolazione su un territorio. Eloquenti segni di presenza del suide

sono i complessi di buche e solchi, fino a 40 cm di profondità e alcune decine di mq

di estensione, prodotti mediante il comportamento di grufolamento o rooting,

provocato dall‟utilizzo del grifo come vero e proprio “aratro” col quale scava alla

ricerca di tuberi, radici e piccoli invertebrati. Tale manifestazione può talvolta

interessare vaste superfici coltivate e/o boscose (Fig. 3.2.1. e 3.2.2.) (Amici e

Serrani, 2004). Altri segni di presenza sono le impronte, i trottoi, le deiezioni, gli

insogli e i grattatoi, che rappresentano ottimi indicatori anche se richiedono una

preparazione specifica da parte dell‟operatore che deve essere in grado di distinguere

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tali segni da quelli di altri ungulati, in modo particolare daino e capriolo, la cui

presenza talvolta può essere confusa con quella del cinghiale.

Le impronte di un maschio adulto di cinghiale misurano 8-12 cm di

lunghezza. Quando un individuo è in movimento, ovvero quando cammina

normalmente al passo, sul terreno è possibile visualizzare l‟impronta dello zoccolo,

mentre su terreni morbidi o innevati, dove la pressione esercitata dal peso del corpo

fa sì che le zampe possano scendere più in profondità, è possibile visualizzare anche

i piccoli rudimenti laterali, gli speroni, che sono situati a circa 2 cm dallo zoccolo

(Fig. 3.2.3.).

L‟abitudinarietà che contraddistingue la specie negli spostamenti produce i

trottoi, detti più semplicisticamente sentieri, che sono segni evidenti del passaggio

degli animali dovuti a intenso calpestio (Fig. 3.2.8.). Le deiezioni hanno forma

tondeggiante o allungata ed hanno un diametro di 3-5 cm. (Fig. 3.2.4.). La necessità

di fare bagni di fango, operazione legata soprattutto alla presenza di ectoparassiti

(zecche e pulci), e ad esigenze di termoregolazione, fa si che gli insogli vengano

regolarmente frequentati dai cinghiali. Gli insogli, di norma, vengono realizzati in

pozze con acqua ferma e fangosa (Fig. 3.2.5. e 3.2.6.). Il fango, una volta essiccato

ingloba gli ectoparassiti che vengono allontanati dalla cute mediante strofinio su

alberi o pietre; è nelle immediate vicinanze degli insogli che si rinvengono infatti i

cosiddetti grattatoi, riconoscibili in quanto sono formati da solchi (a seguito dello

sfregamento delle zanne) e da un‟area scortecciata (Fig. 3.2.7.). Infine è possibile

rilevare la presenza del cinghiale anche attraverso il ritrovamento di setole lasciate

sia su arbusti e cespugli che sul filo spinato utilizzato per il contenimento del

bestiame brado (Amici e Serrani, 2004). L‟individuazione di tutti questi segni di

presenza aiuta a conoscere la distribuzione e la consistenza delle popolazioni, infatti

in condizioni ottimali di rilevamento, è possibile stimare per una data area il numero

di cinghiali presenti in un determinato periodo di tempo. Se poi tale operazione viene

standardizzata, mantenendo costanti tutti i parametri di rilevamento (area d‟esame,

sforzo ricognitivo, periodo dell‟anno, ecc.) i dati pluristagionali ottenuti, forniscono

informazioni quantitative sulla popolazione (Amici e Serrani, 2004).

3.3. Densità

La densità è un parametro che prevede la conoscenza del numero di individui

in funzione di una superficie di riferimento che in genere è il Km2. Tale valore è

molto variabile nell‟arco di un anno e ciò dipende da diversi fattori quali natalità,

mortalità, emigrazione, immigrazione, caratteristiche territoriali, distribuzione

spazio-temporali delle risorse, ecc., ragion per cui va definita in funzione del

periodo.

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13 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

Fig. 3.2.1. Area con grufolate.

Fig. 3.2.2. Grufolate in primo piano.

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14 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

Fig. 3.2.3. Impronta.

Fig. 3.2.4. Deiezioni.

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15 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

Fig. 3.2.5. Insoglio.

Fig. 3.2.6. Insoglio.

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16 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

Fig. 3.2.7. Grattatoio.

Fig. 3.2.8. Trottoio (o sentiero).

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17 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

Fig. 3.6.1. Il cinghiale con un suo comune competitore, il daino

(allevamento “Ristorante vecchie fornaci” loc. Badia – Cava dei

Tirreni – SA).

Per gli ungulati, di solito, la densità è riferita ad un periodo specifico

dell‟anno, ovvero al termine dell‟inverno e al periodo precedente gli accoppiamenti.

Per il cinghiale, in particolare, tale parametro va riferito ad un arco di tempo più

ampio, praticamente tutto l‟anno, in quanto non esiste un preciso periodo

riproduttivo, anche se è possibile osservare una certa concentrazione dei parti in

primavera-estate, quando la maggiore disponibilità di alimenti ricchi di sostanze

nutritive facilita l‟allattamento e lo svezzamento dei piccoli. Per evitare eventuali

distorsioni nella stima della densità, dovuta principalmente all‟attività venatoria, la

valutazione deve essere effettuata al di fuori di tale stagione (Amici e Serrani, 2004).

3.4. Struttura e dinamica di popolazione

La struttura di una popolazione rappresenta la composizione, espressa in

percentuale, della popolazione per classi di età e sesso. Nelle popolazioni naturali il

rapporto femmine/maschi è di solito paritario, spesso con una leggera, quasi

impercettibile, prevalenza delle femmine; valori che si discostano da ciò sono indice

di squilibrio all‟interno della popolazione o di peculiari pressioni selettive. Per

quanto attiene la proporzione tra le classi di età, in genere quelle giovanili sono le

più rappresentate ma sono anche quelle che presentano mortalità più elevata. Tale

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18 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

rapporto fornisce importanti informazioni circa la dinamica di popolazione pur

essendo riferita ad un intervallo di tempo limitato; in linea generale si può ritenere

che popolazioni con elevate percentuali di giovani e di piccoli sono in crescita,

mentre popolazioni con basse percentuali di piccoli e giovani sono stabili o in

declino. Ogni popolazione, naturalmente, tende a mantenere in maniera dinamica

una struttura ottimale ed in equilibrio con le condizioni dell‟ambiente. Popolazioni

lontane dall‟equilibrio si dicono destrutturate (Amici e Serrani, 2004).

3.5. Incremento utile annuo

Le variazioni di una popolazione da un anno all‟altro, tenuto conto dei fattori

positivi e negativi (natalità, immigrazione; mortalità, emigrazione), viene detto

incremento utile annuo, lo si esprime con l‟acronimo I.U.A. e si ottiene dalla

differenza tra la popolazione stimata nell‟anno in corso e quella stimata l‟anno

precedente rapportandola alla popolazione dell‟anno precedente. L‟I.U.A., è un

parametro fondamentale nella stesura di un piano gestionale venatorio che tenda a

stabilire la percentuale di individui prelevabile senza intaccare la popolazione

originaria. Va altresì considerato che tale parametro può subire da un anno all‟altro

forti oscillazioni che dipendono principalmente dalle condizioni ambientali. Per

evitare di intaccare la popolazione originale, è necessario prevedere prelievi di

individui inferiori all‟I.U.A. (Amici e Serrani, 2004).

3.6. Modello strutturale della popolazione di cinghiali

Per quanto riguarda il cinghiale, il modello strutturale di una popolazione

naturale è caratterizzato da diversi fattori tra cui: a) un‟elevata incidenza di nuovi

nati, con una percentuale maggiore del 100 % (in pratica, la popolazione, da un anno

all‟altro, aumenta più del doppio); tale valore è fortemente condizionato dalla

disponibilità di frutti forestali che ne influenza la prolificità (molto spesso è stato

riscontrato che, in annate di abbondanza di ghiande e di faggiole, si possono avere

anche sino a due parti per femmina); b) una bassa incidenza di anziani, e quindi, una

popolazione prevalentemente giovane; c) presenza di adulti, sia dal punto di vista

fisiologico che sociale, pari ad ¼ del totale degli individui di una popolazione; d)

rapporto sessi vicino alla parità (1:1,3); e) rapporto giovani di un anno/femmine

adulte completamente a vantaggio dei giovani.

Spesso, a seguito delle attività gestionali eseguite in maniera non corretta,

talvolta legate ad un interesse venatorio che tenda a privilegiare l‟abbattimento di

individui di maggiori dimensioni, nonché ad una attività di controllo non selettiva, si

commettono azioni sinergiche di destrutturazione che alterano le proporzioni naturali

e tendono al “ringiovanimento” eccessivo della popolazione. Questa condizione,

unitamente al fenomeno di “inquinamento genetico” cui il cinghiale è

particolarmente soggetto, produce effetti deleteri, i più evidenti dei quali sono

elevata erraticità dei branchi e distribuzione delle nascite su periodi ben più ampi di

quelli naturali.

Per quanto riguarda la dinamica di popolazione, tra i fattori limitanti di

origine naturale sono da annoverare il clima, la predazione e le patologie. In linea

generale i casi di mortalità associati ad abbondanti nevicate o rigore climatico sono

scarsi, ma ciò non esclude che, in particolari contesti ambientali, si possano

presentare casi di mortalità dovuti a condizioni estreme di clima. Per quanto riguarda

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19 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

le specie predatrici, il lupo esercita la predazione sulle giovani classi; la lince, ove

presente, preda soltanto giovani e piccoli e la volpe è in grado di predare solo ed

esclusivamente i piccoli. La specie si dimostra piuttosto resistente nei confronti delle

malattie, mentre è facilmente soggetta ad alcune patologie quali tubercolosi, peste

suina, trichinosi.

Tra i fattori di origine antropica, in grado di influenzare la dinamica della

popolazione, va menzionato il randagismo canino, il bracconaggio, gli incidenti con

automezzi, il contatto con suini domestici. Si ritiene che il fenomeno del randagismo

canino sia ridotto a pochi casi all‟anno, in quanto i cani si dimostrano, nei confronti

del cinghiale, predatori meno efficienti del lupo. Il bracconaggio è, invece, un fattore

di mortalità non trascurabile; la casistica comprende l‟utilizzo dei lacci e lo sparo di

notte da automezzi. Un fattore di mortalità probabilmente trascurabile o comunque

ridotto a pochi casi segnalati ogni anno è rappresentato dagli incidenti con

automezzi. Per quanto concerne il contatto con i suini domestici, in aree in cui le

tecniche di allevamento rendono possibili contatti tra forma domestica e selvatica,

esistono rischi di incrocio e conseguente trasmissione di patologie.

Tra i fattori limitanti rientra a pieno titolo anche la competizione

interspecifica. L‟uso di risorse alimentari e dello spazio da parte di un individuo

limita la disponibilità delle stesse per un altro animale. Il cinghiale può competere

con diverse specie: si ritiene che possa esistere un certo grado di antagonismo, per lo

più in relazione al consumo di frutti forestali, con il cervo, il daino (Fig. 3.6.1.) e il

muflone; con il capriolo, invece, i casi di interferenza negativa sono molto ridotti;

con l‟orso si ipotizza una competizione di tipo alimentare tra le due specie, entrambe

onnivore e con spiccata tendenza alla ricerca del cibo mediante attività di scavo

(Amici e Serrani, 2004).

4. DANNI

4.1. Le cause dei danni

La presenza di coltivazioni agrarie situate in prossimità di ambienti boschivi

rappresenta una indubbia fonte di attrazione alimentare per gli animali selvatici. I

danni causati dal cinghiale in tutti paesi dove la specie è presente assumono una

notevole importanza quando i seguenti fattori sono rilevabili: densità degli animali

troppo elevata rispetto alle risorse naturali; habitat non idoneo a causa dell‟eccessivo

disturbo; maggior presenza di coltivo rispetto al bosco; squilibrio nella struttura della

popolazione.

Esiste un correlazione inversa tra le disponibilità alimentari e i danni alle

colture: in annate caratterizzate da forti produzioni di frutti forestali, principalmente

ghiande, il cinghiale si rivolge in misura ridotta alle coltivazioni limitrofe; nelle

annate, invece, caratterizzate da carenze di disponibilità alimentari di origine

forestale, l‟animale rivolge la sua ricerca all‟esterno. In quest‟ultimo caso,

ovviamente, va considerato che i danni dipendono anche dalla disposizione

territoriale dei campi e dei boschi, dallo sviluppo del perimetro forestale, dalla

vicinanza delle aree di rifugio, rispetto alle colture (Amici e Serrani, 2004).

E‟ stato evidenziato che una destrutturazione della popolazione per la

maggiore presenza di giovani può rivelarsi una causa determinante dei danni. Infatti,

i gruppi dominanti formati da due o tre scrofe anziane, malgrado il loro nomadismo,

presentano una certa stabilità frequentando di preferenza la foresta, mentre i gruppi

di giovani scrofe insieme a soggetti di età inferiore a due anni si spingono verso i

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20 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

margini della foresta e quindi in vicinanza delle colture. Uno dei fattori ritenuti

responsabili della destrutturazione sociale delle popolazioni di cinghiale è

rappresentato dalla mancanza di un prelievo di tipo selettivo. Infatti, se gli

abbattimenti non colpiscono a sufficienza la classe dei giovani si può avere un

eccessivo ringiovanimento della popolazione con conseguente aumento

dell‟erratismo dei giovani che si dimostrano meno diffidenti nei confronti dell‟uomo.

Da non sottovalutare anche l‟effetto provocato dal disturbo antropico. A

causa delle abitudini crepuscolari e notturne che caratterizzano tale specie, talvolta,

quando le notti sono corte, gli animali vanno alla ricerca dell‟alimento anche nelle

prime ore del mattino, pertanto se vengono disturbati si approvvigioneranno di fonti

alimentari a più rapido utilizzo e quindi delle essenze coltivate (Mussa e Debernardi,

1988).

4.2. Tipologie di danno

I danni provocati dal cinghiale possono essere raggruppati in due tipologie:

nei confronti delle specie forestali e delle colture agrarie. Nei primi è opportuno

ricordare che il danno esiste se vengono compromesse le funzioni del bosco, come

ad esempio la protezioni dalle valanghe. Per contro è inappropriato parlare di danno

vero e proprio quando l‟azione del suide non pregiudica il futuro della pianta

“colpita” e quindi in maniera più estesa l‟intero bosco. Il danneggiamento di una

pianta forestale si verifica quando vengono compromessi crescita e normale sviluppo

che, nei casi più gravi può condurre anche alla morte. Il danno maggiormente

rilevabile causato da questa specie è rappresentato dallo scortecciamento, ovvero la

rimozione dello strato più esterno del tronco di una pianta, che mettendo a nudo la

porzione xilematica, rende la pianta indifesa e di conseguenza più suscettibile di

attacchi da parte di marciumi e carie (Fig. 4.2.1.). Accanto allo scortecciamento,

vanno considerati altresì i danni da scalzamento radicale e da grufolamento. L‟azione

di grufolamento da parte degli animali, per la ricerca di semi, tuberi e piccoli animali

presenti sotto lo strato fogliare caduto a terra, provoca l‟alterazione degli strati

superficiali del sottobosco favorendo l‟azione erosiva delle acque meteoriche che

creano problemi maggiori nelle aree caratterizzate da una pendenza più spinta.

D‟altro canto, la minore quantità di terreno a disposizione delle piante si traduce in

una ridotta riserva idrica nei periodi di maggiore siccità. In un quadro più generale,

va considerato inoltre che l‟interazione delle diverse tipologie di danno sul

popolamento forestale, pregiudica la ri-crescita e nei casi più gravi, determina lacune

della copertura delle chiome. I danni rilevabili a livello arboreo ed arbustivo sono

conseguenza di un già avvenuto deterioramento delle principali caratteristiche del

suolo e della copertura erbacea ed arbustiva che su di esso insiste. Pertanto, la

manifestazione del danno sulle specie ad alto fusto deve essere considerato come un

“indicatore tardivo” di uno stato di sofferenza già in atto.

Molto più rilevanti sono invece i danni alle colture agrarie; quelle più colpite

sono i cereali, le colture sarchiate, le foraggere e le arboree da frutto. Per quanto

riguarda i cereali, il mais è la specie più appetita e quindi, è maggiormente presa di

mira soprattutto negli appezzamenti situati ai margini delle aree boschive. Gli

attacchi sono concentrati nel periodo che va dalla fase di semina a quella di

maturazione piena delle cariossidi. Nella fase di germinazione il cinghiale scava dei

lunghi solchi nel terreno seguendo le file di seminato e danneggiando superfici anche

molto estese. I danni alle colture di altri cereali, tra cui il frumento tenero e l‟avena,

hanno luogo nel periodo immediatamente successivo alla semina e sono dovuti

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21 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

principalmente all‟attività di grufolamento per la ricerca di tuberi, radici e micro-

mammiferi. Con la stessa modalità vengono danneggiate le piante negli stadi

fenologici successivi. Particolarmente grave può essere il danno che si realizza

quando la coltura è nella fase di maturazione, infatti può esserci sia il prelievo diretto

delle cariossidi, che hanno ormai raggiunto la maturazione commerciale, sia

l‟abbattimento delle piante: anche se la parte consumata del raccolto supera di molto

quella abbattuta. Le patate sono molto apprezzate dal cinghiale, soprattutto se

accompagnate dalla presenza dei vermi dei quali è ghiotto. La modalità con la quale

si procura i tuberi è la stessa: con il grifo scava il solco dissotterrando i tuberi che, se

non vengono consumati, rimangono in superficie esposti alla luce ed inverdiscono

perdendo ogni valore commerciale.

Il comportamento innato del grufolare alla ricerca di radici, vermi, larve,

piccoli roditori, determina danni alle colture foraggere di sicuro non trascurabili. Su

un‟area di circa 4-5 metri quadri, un cinghiale è in grado di scavare dei solchi

profondi 8-10 cm causando il rovesciamento sia del suolo che delle piantine che

costituiscono la cotica erbosa facendole seccare e, inoltre, le zone rivoltate

diventeranno a loro volta luogo di colonizzazione da parte delle piante infestanti. I

danni ai prati permanenti (la cui flora ha una composizione molto variabile: loiessa,

loietto, erba mazzolina, festuca dei prati, trifoglio bianco, ginestrino, lupolina, ecc.) e

ai pascoli non trattati con insetticidi sono molto frequenti durante l‟inverno e la

primavera (Mussa e Debernardi, 1988).

I danni maggiori, ovviamente, si registrano a carico dei vigneti caratterizzati

da sistemi di allevamento non troppo alti da terra che nella moderna frutticoltura

vengono definite come forme appiattite verticali basse in quanto le impalcature delle

piante, mediante continue ed accurate potature, vengono tenute basse a scopo sia

funzionale che ornamentale (Lalatta, 1992). Il cinghiale mastica gli acini e succhia il

liquido senza staccare il raspo dalla pianta. Pur essendo il danno limitato a 2-3

settimane prima della raccolta, il danneggiamento può essere di proporzioni rilevanti

(Mussa e Debernardi, 1988). Nelle aree dove l‟agricoltura produce redditi molto

elevati come nel caso delle monocolture di mais, vigneti, frutticoltura, ecc., i danni

economici che si registrano sono sicuramente di notevole entità, ma paradossalmente

diventano ancora più rilevanti quelli che si riscontrano nelle aree considerate

marginali. In queste aree dove l‟agricoltura è di tipo estensiva, la produttività degli

agro-ecosistemi è molto ridotta a causa di fattori di natura fisici (altitudine,

pendenza, clima) e/o socio-economici (mancanza di infrastrutture, tradizione, ecc),

tuttavia svolge un ruolo strategico nella conservazione di un sistema agricolo eco-

compatibile e nella tutela idrogeologica e paesaggistica (Amici e Serrani, 2004).

5. GESTIONE

5.1. Aspetti generali

Con il termine di gestione faunistica s‟intende la programmazione e la

pianificazione della presenza di una specie della fauna selvatica in un determinato

territorio mediante l‟adozione di criteri di tecnica faunistica e venatoria che

consentono in primo luogo di limitare il danneggiamento delle colture agricole pur

garantendo un soddisfacente prelievo venatorio. Molti problemi in gestione

faunistica hanno a che fare con decisioni riguardanti: la conservazione degli animali

a rischio di estinzione, il prelievo venatorio e il contenimento preventivo dei danni

all‟agricoltura e all‟ambiente. Un piano per la gestione faunistica provvederà “in

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22 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

primis” alla definizione di aree a diversa vocazionalità di un territorio (attraverso

rilevamenti, censimenti, informazioni e ricerche) e che rappresenteranno i distretti di

gestione dove è importante garantire che la densità della popolazione sia compatibile

con i diversi interessi economici. Il grado di idoneità sarà stabilito in base ai seguenti

parametri: estensione della superficie boschiva con analisi delle diverse tipologie

presenti, localizzazione delle colture agricole suscettibili al danneggiamento e

interazione con altre specie selvatiche. L‟adozione dei criteri di idoneità consentirà

in alcune aree il mantenimento di una densità piuttosto bassa, in altre di aumentare il

numero degli animali presenti e in altre ancora l‟eradicazione di alcune specie. Tali

piani dovrebbero interessare i terreni di proprietà pubblica, le aziende faunistico-

venatorie, le oasi di protezione e rifugio della fauna, le zone di ripopolamento e

cattura della selvaggina. In definitiva, per una gestione corretta di una popolazione

selvatica è indispensabile seguire due fasi, una conoscitiva e l‟altra applicativa. La

prima prevede la conoscenza di parametri demografici quali: la consistenza, la

struttura, la dinamica, l‟ecologia, la densità; e di parametri riguardanti la

distribuzione come: la definizione dell‟areale della specie, l‟utilizzazione stagionale,

l‟individuazione delle potenziali aree di prelievo, l‟analisi storica. Nella prima fase il

censimento rappresenta uno strumento fondamentale per la conoscenza della densità,

dato principale su cui basare la gestione, in quanto permette confronti spaziali e

temporali, nonché di modulare tempi, modalità e quantità delle operazioni gestionali.

Con la seconda fase, quella applicativa, dopo un‟attenta analisi circa la vocazionalità

del territorio sulla base delle caratteristiche ambientali in relazione alle altre specie

presenti e in relazione alle caratteristiche socio-economiche, si procederà a

pianificare gli interventi di gestione (Toso e Pedrotti, 2001).

Il censimento è uno strumento di estrema importanza sia per scopo puramente

gestionale che scientifico. Come già menzionato più volte, la valutazione della

popolazione sia dal punto di vista numerico che della struttura costituisce il punto

cardine per ogni intervento di gestione del territorio. Le valutazioni quantitative della

specie in oggetto, acquisiscono un sempre maggior significato quando, ripetute nel

tempo, forniscono una serie di dati utili alla determinazione della tendenza della

popolazione. In base alla popolazione che viene monitorata, i censimenti si possono

classificare sostanzialmente in tre categorie: censimenti esaustivi, censimenti per

aree-campione, censimenti per indici di abbondanza. I censimenti esaustivi

consistono in un conteggio completo degli animali che insistono in una determinata

superficie in un dato momento; i censimenti per aree-campione, invece, riguardano il

conteggio completo degli animali presenti in una porzione (o area) di una data

superficie in un dato momento; per rilevare gli indici di presenza espressi come

valori relativi per unità lineari o di superficie sottoposta a conteggio si utilizzano per

l‟appunto i censimenti per indici. Di quest‟ultimo, il più utilizzato è l‟indice

chilometrico di abbondanza (IKA), che si determina mediante il rapporto tra il

numero di segni di presenza rilevati lungo un percorso e i km percorsi. Il vantaggio

di questo tipo di censimento è rappresentato dalla facile realizzazione in quanto basta

un solo operatore; d‟altro canto però non fornisce indicazioni sulla consistenza e

densità, ma da soltanto una stima approssimativa del trend della popolazione.

L‟applicazione dell‟una o dell‟altra metodologia è condizionata da diversi fattori

quali le caratteristiche ecologiche ed etologiche della specie, la densità della

popolazione, la distribuzione, nonché la grandezza e la morfologia dell‟area oggetto

dell‟indagine. Tutti questi elementi condizionano fortemente la possibilità di

individuazione del suide in natura, possibilità che diminuisce in ambienti boschivi

con fitta copertura vegetale, o in periodi dell‟anno in cui gli animali compiono pochi

spostamenti.

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5.2. Quadro normativo

Il quadro normativo nazionale in materia di conservazione delle popolazioni

di cinghiale allo stato selvatico trova il proprio riferimento nella legge 11 febbraio

1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il

prelievo venatorio”, nelle leggi regionali di recepimento della normativa nazionale e

nei regolamenti locali di gestione.

Dal punto di vista giuridico, il cinghiale rientra tra la fauna selvatica oggetto

di tutela da parte della legge nazionale sopra citata. Ai fini venatori, l‟abbattimento è

consentito soltanto in un periodo particolare dell‟anno, precisamente nel periodo

compreso tra il 1° ottobre e il 31 dicembre oppure tra il 1° novembre e il 31 gennaio,

secondo quanto stabilito dall‟art. 18, comma 1, lettera d della suddetta legge. Inoltre

la specie può essere sottoposta anche a piani di controllo numerico, autorizzati dalle

regioni e dalle province, qualora si renda localmente responsabile di danni alle

coltivazioni agricole o determini problemi di carattere sanitario (art. 19, comma 2).

Tali piani di controllo, a prescindere dai tempi e dalle modalità di prelievo stabiliti,

debbono essere effettuati da personale appositamente autorizzato (Toso e Pedrotti,

2001).

5.3. Misure di gestione del cinghiale

Il cinghiale è tra le specie selvatiche, presenti nel nostro paese, una delle più

problematiche dal punto di vista gestionale. Molteplici difficoltà s‟incontrano

nell‟ottenere informazioni affidabili sulle consistenze delle popolazioni e sull‟entità

dei prelievi, a causa delle abitudini notturne e dell‟elevata erraticità, e ciò determina

non pochi problemi connessi alla pianificazione delle attività gestionali rendendo

difficoltosa, di conseguenza, l‟individuazione di una strategia complessiva per la

gestione della specie.

In Italia, la presenza del suide ha un forte impatto sulle attività agricole, basti

pensare che circa l‟80% dei rimborsi dei danni da fauna selvatica viene attribuito, per

i danni causati da questa specie, con percentuali a volta ancora maggiori in alcune

regioni.

Oltre all‟impatto sulle attività agricole, la presenza del cinghiale produce

effetti notevoli anche sulle zoocenosi, ovvero sulle comunità animali che convivono

nelle aree in cui è presente questa specie. L‟impatto può essere sia diretto,

manifestandosi mediante la predazione di uova, piccoli di uccelli che nidificano a

terra e giovani mammiferi, sia indiretto in quanto è oggetto di attività venatoria con

forme di caccia spesso di tipo contenitiva che genera disturbo sulle altre zoocenosi

durante le braccate (Toso, 2006).

Gli effetti negativi scaturiti dalla presenza del suide, su alcune attività di

interesse economico, contribuisce ad acuire i contrasti tra categorie sociali

(cacciatori, agricoltori, enti pubblici) che hanno interessi divergenti. Non è

assolutamente da sottovalutare tale problematica; il proliferare delle richieste di

risarcimento dei danni e di contenimento delle popolazioni e dei piani di gestione e

di controllo conferma la necessità e l‟urgenza di adottare strategie in grado di

appianare conflitti apparentemente insanabili e, nel contempo, di garantire

un‟adeguata conservazione della specie e la prosecuzione di un suo razionale utilizzo

a fini venatori (Toso e Pedrotti, 2001).

Una delle maggiori peculiarità di questa specie è la capacità di adattamento

ad ambienti anche molto diversi tra loro mantenendo popolazioni vitali nonostante le

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continue pressioni a seguito dell‟attività venatoria. Tuttavia, i problemi di gestione

rendono necessario il perseguimento di strategie di conservazione a medio e lungo

termine fondate sull‟individuazione di obiettivi prioritari e realizzate attraverso

azioni in grado di migliorare lo status della popolazione e di ridurre al minimo gli

impatti negativi della specie.

La presenza dell‟animale in una zona definita va accertata mediante

l‟individuazione di segni inequivocabili della sua presenza come: orme, feci,

grattatoi, grufolate, ecc.. Una volta accertata la presenza è necessario stabilire una

rete di monitoraggio continuo che assicuri il reperimento dei dati riguardanti la

distribuzione, la consistenza e le tendenze evolutive della specie su tutto il territorio

in maniera omogenea. Reperite tali informazioni, c‟è poi bisogno che il flusso di dati

dagli enti di gestione locale ai centri in grado di elaborarli, deve essere costante al

fine di mantenere sotto controllo l‟intera situazione e di avere un quadro completo

che consenta di porre in atto un piano gestionale efficiente (Toso e Pedrotti, 2001).

Al riguardo, solo una organizzazione territoriale con l‟impegno attivo di personale di

vigilanza, cacciatori motivati, tecnici faunisti e un controllo continuativo e capillare

del territorio, potrà condurre gradualmente all‟ottenimento di risultati positivi. In

termini operativi si può iniziare dall‟esame dei carnieri mediante analisi delle

struttura demografica degli abbattimenti, dei tassi di prelievo, e così via, unito a

monitoraggi più accurati su aree campione, evidenziandone la biometria e lo studio

del rendimento riproduttivo (Amici e Serrani, 2004).

Per la definizione di un valido protocollo di gestione del cinghiale è

necessario, attraverso il censimento, conoscere i parametri di popolazione. Le

principali tecniche usate allo scopo sono due: censimento in battuta e censimento da

punti di avvistamento fissi.

Il censimento in battuta è una tecnica che richiede l‟intervento di un numero

elevato di operatori, alcuni appostati su un lato dell‟area da censire e altri in punti

fissi di osservazione localizzati lungo tre lati del perimetro dell‟area battuta. I primi

sono definiti battitori in quanto devono muoversi in linea retta su un unico fronte

facendo rumore e indirizzando i cinghiali nel luogo dove sono appostati altri

operatori che provvedono ad osservare e contare gli individui. I rilievi riguardano il

numero degli animali, il loro sesso e l‟età. Tale metodo permette di ottenere una

densità media dei dati rilevati in più aree di battuta; ovviamente, per minimizzare gli

errori di campionamento è necessario che tali rilevamenti vengano effettuati in

particolari periodi dell‟anno (generalmente da fine aprile agli inizi di maggio)

quando ci si attende una distribuzione omogenea della specie. Non bisogna

anticipare troppo le date di censimento rispetto a questo intervallo di tempo in

quanto gli animali potrebbero non avere ancora definito il territorio e di conseguenza

non avere raggiunto la massima omogeneità di distribuzione. Non bisognerebbe

nemmeno però posticipare l‟epoca dei censimenti in quanto si cadrebbe nel periodo

post-parto con il rischio di causare disturbo e interferenza con la sopravvivenza degli

striati per effetto della dispersione a seguito dell‟allontanamento dal luogo del parto

e dalle rispettive madri. Il censimento in battuta funziona bene in aree pianeggianti o

in zone collinari dove la vegetazione non è troppo fitta; è importante che, al

momento della battuta, gli animali si trovino nelle zone di rimessa, generalmente

aree boscose, in modo tale che durante la fase di battuta possano essere condotti in

aree più aperte e consentire, quindi, una più agevole osservazione. A tal riguardo,

perchè un censimento possa essere considerato attendibile è necessario che la

superficie complessiva delle aree campione rappresenti non meno del 10% delle aree

boscose presenti nell‟area di studio; intorno a questo valore risulta importante tenere

conto che la percentuale di bosco censita dovrebbe aumentare nel caso di aree di

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25 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

studio di limitata estensione, e diminuire nel caso contrario. Non bisogna

sottovalutare la scelta delle aree di battuta; essa deve considerare le diverse tipologie

ambientali presenti in ciascuna area di indagine sperimentale perchè viene ad essere

fortemente condizionata la distribuzione degli animali. Per ottenere valori di densità

quanto più vicini alla realtà è importante che le aree campione contengano elementi

rappresentativi del territorio circostante e pertanto è necessario una preliminare ed

accurata analisi. Le abitudini crepuscolari e notturne del cinghiali, nonché la sua

tendenza ad essere frequentemente oggetto di attività venatoria, rende questa specie

censibile soprattutto nelle ore centrali della giornata.

Con il censimento da punti di avvistamento fissi si conta simultaneamente da

più punti di avvistamento il numero di capi presenti in un territorio. Le postazioni

sono dislocate sul territorio in punti considerati vantaggiosi e ognuna sarà dotata di

adeguate attrezzature ottiche (binocolo e cannocchiali) per poter osservare gli

animali anche a distanze superiori ad 1 Km. Devono essere oggetto di osservazione

le aree comprendenti prati, radure, campi coltivati, ecc, che per l‟assenza della

vegetazione arborea ed arbustiva, consentono un agevole avvistamento. La

registrazione dei dati riguardanti i singoli individui avviene su un‟apposita scheda

con allegata cartografia in scala 1:10000. Talvolta si può commettere l‟errore di

conteggiare due volte uno stesso individuo; per cui è di fondamentale importanza

provvedere a riportare sulla scheda sia le indicazioni comuni riguardanti l‟ora, la

specie, il numero degli individui, la classe di sesso e di età, sia la posizione

geografica dell‟avvistamento e l‟eventuale direzione degli spostamenti (Nord, Sud,

Est, Ovest). Questo tipo di censimento per gli ungulati in generale va fatto in

corrispondenza del periodo primaverile quando c‟è la ripresa vegetativa e, quindi, al

primo verde. Relativamente al cinghiale, il periodo della giornata in cui si effettua

questo tipo di censimento, come quello precedentemente descritto, è il tardo

pomeriggio (al tramonto). Talvolta, per consentire una più facile individuazione

degli animali, si provvede all‟utilizzo del foraggiamento a scopo più che altro

attrattivo. Per mettere in pratica questa tecnica è necessario, in primis, allestire per

ciascuna sub-area, dei punti di osservazione, chiamate altane, sollevate almeno 3-4 m

da terra. Il foraggiamento, a base prevalentemente di mais, deve essere predisposto

almeno tre settimane prima dell‟inizio del censimento, distribuendolo in strisce che

partono dal bosco e che convergono verso l‟altana. Successivamente, con il passare

dei giorni, si ridurrà la lunghezza delle strisce fino ad arrivare a contrarle tutte

attorno all‟altana, in questo modo l‟osservatore sarà in grado di contare più

facilmente il numero di animali presenti; tale conteggio va ripetuto per almeno due o

tre volte. Una volta registrati e successivamente elaborati, i dati che si ottengono

corrisponderanno al numero minimo di animali presenti sul territorio, forniranno

indicazioni sulla struttura della popolazione e consentiranno di fare previsioni sugli

incrementi utili annui, quindi, di programmare correttamente il prelievo venatorio se

ritenuto necessario. Inoltre, dalle analisi dei dati raccolti è possibile elaborare delle

carte delle densità obiettivo con lo scopo di contenere le popolazioni di cinghiale

mantenendo la densità medio-bassa in montagna, ridurre drasticamente la densità

nelle aree alto-collinari per la presenza di boschi e coltivazioni e rimuovere la specie

nella fascia basso-collinare (Amici e Serrani, 2004).

Nell‟ambito degli strumenti di programmazione è necessario definire le

vocazionalità dei differenti territori in funzione dell‟idoneità ecologica e socio-

economica della specie. L‟impatto del cinghiale sulle attività agricole e, a livello più

localizzato, sulle fitocenosi forestali e sulle zoocenosi, fa si che i soli criteri ecologici

non risultano sufficienti nella definizione delle strategie di gestione della specie. Si

dovrebbe, pertanto, considerare attentamente anche gli aspetti socio-economici nella

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26 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

creazione di una zonizzazione del territorio a livello regionale e provinciale. Al

riguardo, le potenzialità socio-ecologiche del territorio per il cinghiale dovrebbero

prevedere una zonizzazione che individui i settori nei quali la presenza del suide

debba essere esclusa, in quanto non tollerata, e settori dove risulta possibile ed

auspicabile la sua gestione. All‟interno di quest‟ultime, andranno ad essere

individuate differenti livelli di idoneità, sempre in funzione delle caratteristiche

ambientali e dei possibili impatti, che serviranno, per l‟appunto, a definire obiettivi e

strategie di gestione più appropriate. Il grado di idoneità di un territorio alla presenza

del cinghiale dipende dai seguenti fattori (Toso e Pedrotti, 2001): a) l‟estensione

della superficie boscata disponibile; minore è l‟estensione, minore è la presenza di

zone di rifugio e di risorse alimentari naturali; b) il ritmo di fruttificazione delle

diverse essenze arboree presenti su quella superficie, nonché la quantità e la qualità;

c) la maggiore sensibilità dei popolamenti forestali ai danni causati dal cinghiale; d)

la localizzazione delle coltivazioni agricole, la loro importanza e, ovviamente, la loro

suscettibilità al danneggiamento; e) l‟importanza e l‟efficacia dei sistemi di

prevenzione messi in atto; f) le interazioni con le altre specie che presentano

maggiori problemi di conservazione; g) il grado di disturbo arrecato alle altre specie,

soprattutto ungulati selvatici, a seguito dell‟applicazione delle tecniche di gestione

previste per il cinghiale.

In definitiva, gestire una popolazione di cinghiale significa adattare la sua

consistenza e la sua struttura alle capacità dell‟ambiente e nel contempo minimizzare

i danni economici da esso causati (Toso e Pedrotti, 2001).

5.4. Gestione del cinghiale nelle aree protette

Per migliorare la gestione del cinghiale nel nostro paese, uno degli elementi

chiave è l‟integrazione tra gestione nelle aree protette e gestione in quelle aree in cui,

invece, è consentita la caccia. È necessario adottare una strategia che coinvolga

diversi soggetti: aree protette, ambiti territoriali di caccia, aziende faunistiche-

venatorie e aree contigue.

Il concetto delle aree contigue potrebbe avere un‟importanza notevole nel

migliorare la gestione di questa specie. La Legge 394/91 all‟art. 32 definisce le aree

contigue come una sorta di fascia cuscinetto interposta tra l‟area protetta vera e

propria ed il territorio dove, invece, si pratica l‟attività venatoria (Fig. 5.4.1.). Nel

nostro paese, purtroppo, le aree contigue non sono state mai utilizzate a pieno

nell‟ambito gestionale; la Legge stabilisce che la caccia nelle aree contigue è

consentita esclusivamente ai cacciatori residenti nei Comuni del Parco. Questo è

stato un freno notevole alla costituzione e alla gestione delle aree contigue che

potrebbe essere risolta considerando non tanto la residenza anagrafica, quanto la

residenza venatoria, tale per cui i cacciatori, anche se arrivano da Comuni esterni al

Parco, possono cacciare secondo un regolamento finalizzato alle precipue funzioni

dell‟area contigua stessa (Toso, 2006).

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Area contigua all‟area protetta (giallo)

Area protetta (verde)

Ambito Territoriale di Caccia (ATC) (rosso)

Fig. 5.4.1. Gestione nelle aree contigue alle aree protette.

Un aspetto da tenere presente nella gestione del cinghiale nelle aree protette è

il così detto “effetto spugna” per cui le aree protette (istituite ai sensi della Legge

157/92), ovvero oasi di protezione e zone di ripopolamento e cattura (ZRC),

attraggono i cinghiali durante la stagione di caccia, mentre si spopolano a caccia

chiusa quando si assiste ad uno spostamento dei cinghiali da questi rifugi temporanei

verso il territorio ove non è più presente, almeno momentaneamente, la caccia e

quindi, la pressione di essa sulle popolazioni. Per ovviare a tali problematiche, una

soluzione potrebbe essere affrontata a livello normativo con una cogestione tra ATC

e Ente Parco con interventi gestionali mirati che potrebbero avere ricadute positive

per entrambi enti gestori. Per l‟ente parco, per esempio, si verrebbero ad evitare gli

sconfinamenti dei cacciatori entro i confini dell‟area protetta dove vige il divieto di

caccia; per i cacciatori, invece, potrebbe essere pianificato un prelievo programmato

di alcune specie selvatiche, incrementate da azioni specifiche di ripopolamento

(Morimando e Tassoni, 2004). Il cinghiale come già evidenziato è una specie molto

adattabile nei più disparati contesti ambientali; pertanto, è necessario adottare, ma

soprattutto adattare, un piano di gestione alle continue evoluzioni delle popolazioni e

degli impatti socio-economici, nel senso che l‟obiettivo principale che bisogna

raggiungere non è tanto la riduzione delle popolazioni, quanto la riduzione dei

problemi da esse causati (Toso, 2006). La cattura dei cinghiali con chiusini e

trappole è sicuramente una delle tecniche di prelievo più efficaci nella maggior parte

dei contesti ambientali, anche perchè presenta un ottimo rapporto costi-benefici che

ne rende conveniente l‟utilizzo (Toso, 2006). Le altre tecniche possono svolgere un

ruolo più o meno importante di affiancamento delle catture in funzione di alcuni

fattori ambientali, temporanei e di dimensione umana. Alcuni parchi hanno preferito

affiancare alle normali tecniche di cattura, l‟abbattimento degli individui mediante

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attività venatoria da parte di cacciatori locali abilitati e coordinati dallo stesso Parco

con lo scopo di contenere e allo stesso tempo di compensare eventuali squilibri nelle

popolazioni di cinghiali all‟interno dei Parchi. Le tecniche di prelievo come catture e

abbattimenti, e di conseguenza l‟intera gestione delle popolazioni di cinghiali nelle

aree protette, possono e debbono essere migliorati attraverso regolamenti, protocolli

omogenei per la raccolta dei dati, filiere di utilizzo degli animali prelevati, corsi per

operatori, ecc. (Toso, 2006).

5.5. Prevenzione dei danni da cinghiale

Per quanto riguarda i danni all‟agricoltura causati dal cinghiale, il principio

per cui la prevenzione è sempre da preferire alla cura, può essere applicato anche alla

gestione faunistica. Il sistema di prevenzione consente di raggiungere due importanti

finalità: uno di carattere economico quale la riduzione dell‟onere derivante

dall‟indennizzo all‟agricoltore da parte dell‟Ente pubblico, l‟altro di carattere sociale

come il superamento del senso di frustrazione che i danni, anche se rimborsati,

provocano nell‟agricoltore, determinando una profonda avversione nei confronti dei

selvatici (Mussa e Debernardi, 1988). Per prevenire l‟impatto del cinghiale sulle

coltivazioni agricole vengono adottate diverse strategie. Il metodo chimico prevede

l‟utilizzo di sostanze chimiche repellenti che agendo sul sistema gustativo e olfattivo

diminuiscono l‟appetibilità delle specie coltivate. L‟efficacia di azione di queste

sostanze ha una durata non superiore ai 3-4 giorni, trascorsi i quali l‟effetto repulsivo

diminuisce sensibilmente, sia per l‟insorgere di una certa assuefazione da parte degli

animali, sia per il dilavamento del prodotto operato dagli agenti atmosferici. Le

sostanze vengono applicate estensivamente sulle colture annuali e individualmente

nel caso delle piante da frutto o dei vigneti. L‟azione repulsiva è esercitata attraverso

l‟odore che emanano alcune sostanze di degradazione delle proteine come acidi

grassi volatili e composti solforati, oppure attraverso il gusto conferito da tali

sostanze o mediante azione irritante da parte di alcune sostanze che vengono

utilizzate anche come antiparassitari. Il metodo acustico prevede l‟utilizzo di

strumentazioni che emettono segnali sonori con lo scopo di spaventare i cinghiali

allontanandoli dall‟area suscettibile di essere danneggiata. Gli strumenti adoperati a

tal scopo sono cannoncini ad aria compressa oppure apparecchi che emettono versi

di allarme amplificati. Bisogna considerare che non è facile individuare tecniche che

associno ad un buon rapporto costi/benefici una continuità di efficacia nel tempo. Di

norma le tecniche comunemente impiegate manifestano un declino di efficacia che è

proporzionale al tempo di utilizzo; questo accade perchè s‟innesca, più o meno

rapidamente, un fenomeno di assuefazione, per cui è importante concentrare queste

azioni nel periodo in cui il danno manifesta il suo apice. Le recenti esperienze

maturate in alcuni contesti territoriali mostrano che, a fronte della variegata

disponibilità di scelte tecniche, l‟impiego di sistemi che prevedono l‟occlusione

meccanica o elettrica di porzioni di territorio, in particolare presso le coltivazioni

agrarie, in modo da impedire l‟accesso al suide, rappresenta una soluzione che si è

rivelata molto efficace nel tempo. Prima dell‟istallazione della recinzione, sia essa

meccanica o elettrica, è necessario circoscrivere l‟area o l‟appezzamento da

“salvaguardare” poiché, per motivi ecologici, ma soprattutto economici, non risulta

possibile estendere le recinzioni a territori molto vasti. I costi di acquisto e di

istallazione di queste strutture sono piuttosto elevati, e forse giustificati, soltanto

nell‟ambito di coltivazioni ad alto reddito come ad esempio nel caso dei vigneti

D.O.C.; tuttavia, va considerato che poiché la loro durata nel tempo è considerevole,

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i costi possono essere ammortizzati nel medio-lungo periodo. La recinzione

meccanica permanente consiste in una recinzione fatta da reti metalliche interrate, in

grado di impedire l‟accesso alle colture (Fig. 5.5.1. e Fig. 5.5.2.). Dal punto di vista

operativo, l‟installazione comprende una prima fase in cui, una volta determinato il

perimetro dell‟area, si provvede a fissare dei pali (220 x 12-15 cm), generalmente in

castagno o rovere, a circa 100 cm sotto il suolo e 400 cm di distanza del successivo

palo, opportunamente trattati con prodotti preservanti. Successivamente, ai pali

vengono agganciate delle reti in acciaio (maglie: 20 cm; interramento: 30 cm circa).

In aree collinari e montane caratterizzate da elevate pendenze, l‟altezza della rete va

incrementata proporzionalmente: per pendenze di 45° la rete deve avere altezza

doppia. L‟utilizzo di recinzioni elettrificate sembra essere il sistema più efficace

unito al soddisfacente rapporto costi/benefici che lo caratterizza. È possibile

utilizzare due diverse soluzioni tecniche; una che prevede l‟installazione di 2-4 fili

elettrificati, fissati ad una serie di paletti di sostegno di diverso materiale (legno,

fibra di vetro, plastica) mediante appositi isolatori (Fig. 5.5.3. e 5.5.4.), l‟altra che

prevede, invece, l‟impiego di vere e proprie recinzioni con rete composta da riquadri

di maglia di 7 x 10 cm percorse centralmente da alcuni fili elettrificati.

Fig. 5.5.1. Rete metallica a protezione di un campo di patate.

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30 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

Fig. 5.5.2. Rete metallica a protezione di un campo di ortaggi.

Quest‟ultima soluzione sembra garantire una maggiore capacità di

contenimento dovuta, in parte, alle caratteristiche costruttive e, in parte, alle

maggiori probabilità di contatto tra i cinghiali ed i fili elettrificati. In ogni caso,

qualunque sia il tipo di recinzione adoperata è fondamentale assicurare un‟adeguata

alimentazione elettrica mediante connessione ad un elettrificatore a batteria a 12 V o

mediante pannelli solari che consentono di avere un‟autonomia di 4 settimane.

Un‟altra soluzione potrebbe consistere nel connettersi direttamente alla linea elettrica

a 220 V. I sistemi migliori sono quelli che emettono impulsi brevi e ad alto

voltaggio; in questo modo, nel caso di corto circuiti a seguito del contatto con erbe o

rami, il sistema rimane efficiente senza l‟interruzione del flusso di corrente. Gli

alimentatori attualmente in commercio riescono a coprire distanze anche molto

elevate dell‟ordine di 10-12 Km.

Le colture agrarie dove l‟elettrificazione trova largo impiego sono il mais, il

sorgo, le patate e il girasole, mentre in subordine vengono le colture foraggere, i

vigneti, i pascoli e i castagneti. L‟efficacia delle recinzioni elettrificate è garantita da

continui ed attenti controlli sul corretto funzionamento dell‟intero sistema; a tal

proposito si usano tester appositamente studiati per sondare l‟impulso direttamente

sul sistema elettrificato (Toso e Pedrotti, 2001).

Accanto ai metodi finora descritti (chimico, acustico e meccanico), ve ne

sono altri che, invece, svolgono un ruolo prettamente dissuasivo nei confronti delle

colture agrarie maggiormente suscettibili di danni; tra questi abbiamo: le colture a

perdere e il foraggiamento dissuasivo.

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Fig. 5.5.3. Rete elettrificata a protezione di campi di patate.

Fig. 5.5.4. Rete elettrificata a protezione di un vigneto.

La predisposizione di colture a perdere rappresenta una valida soluzione lì

dove la densità degli animali è bassa. Si tratta di interventi che mirano ad offrire un

supporto alimentare agli animali, fornendo un alimento ricco e vario soprattutto nelle

fasi più delicate del ciclo annuale. La disposizione di tali colture ai margini delle

aree boscose può, inoltre, risultare utile per ridurre le incursioni dei cinghiali nelle

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coltivazioni da reddito presenti sullo stesso territorio. Con il foraggiamento

dissuasivo si provvede a somministrare direttamente l‟alimento nelle aree boscose

durante i periodi critici dell‟anno, che generalmente corrispondono all‟epoca di

semina degli erbai e dei cereali autunno-vernini, all‟epoca di maturazione delle uve e

della raccolta del mais (settembre-novembre). L‟efficacia di tale sistema consiste

nella riduzione delle abitudini erratiche della specie e si dimostra un‟ottima

soluzione quando la densità degli animali è bassa. Quando invece la densità è medio-

alta, la quantità di alimento da somministrare è tale da risultare economicamente

insostenibile. L‟alimento maggiormente utilizzato a tal proposito è il mais; la

modalità di somministrazione deve cercare di limitare al massimo i fenomeni di

competizione tra gli individui residenti in una determinata area. Infatti la forte

gerarchizzazione tra i branchi di una stessa zona e all‟interno dello stesso branco fa

si che se la distribuzione non avvenga su ampie strisce di terreno e, con quantità

ridotte, si rischia che una parte degli animali non riesca ad utilizzare il foraggio

artificiale, a discapito dei campi coltivati. Pertanto si può intervenire mediante

foraggiamento, con 40-50 Kg di mais/Km/striscia, con strisce larghe 20 m e lunghe

300 m almeno. È necessario inoltre prevedere diversi punti di foraggiamento in una

stessa area (sufficiente 1 striscia/500-1000 ha) per consentire a tutti i branchi

residenti di usufruire della granella di mais. Per la distribuzione possono essere

utilizzate le seminatrici centrifughe regolate a 50 Kg di granella/Km. Il rifornimento

può essere effettuato ad intervalli di 1-3 giorni a seconda dell‟entità delle

popolazioni presenti sul territorio (Amici e Serrani, 2004).

In alcuni contesti territoriali, dove si accerta che la consistenza numerica

della popolazione dei cinghiali abbia oltrepassato la densità agro-forestale o

addirittura la densità biologica, vengono messi in atto dei meccanismi indiretti di

prevenzione danni che si realizzano mediante opportuni piani di controllo delle

stesse popolazioni. In questo modo, lì dove la predazione naturale non sortisce alcun

effetto sulla riduzione del numero di individui, l‟intervento antropico andrebbe a

contenere l‟incremento numerico entro valori di densità compatibili con le fitocenosi

naturali.

Il cinghiale, per la sua grande vitalità e per l‟elevato tasso di riproduzione, si

moltiplica con grande rapidità. Di seguito sono riportate tre diverse ipotesi di

evoluzione di una popolazione, basate su diversi tassi di natalità, stimando una

perdita annua del 20% (Mussa e Debernardi, 1988).

TASSO DI NATALITÁ 80% 140% 200%

I Annata 144 192 240

II Annata 207 393 580

III Annata 299 845 1392

Tab. 1. Ipotesi di evoluzione di una popolazione di cinghiali in 3 anni consecutivi.

base iniziale = 100; perdita annua = 20%.

Per redigere correttamente un piano di controllo riducendo la consistenza

delle popolazioni si può intervenire mediante catture o abbattimenti. La prima viene

largamente utilizzata anche nell‟ambito della gestione nelle aree protette ed è una

tecnica a basso impatto ambientale che si realizza mediante l‟installazione di chiusini

e di trappole. I chiusini possono essere distinti in due modelli: smontabile o mobile;

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fisso. Il chiusino mobile è costituito da pannelli modulari di forma rettangolare, di

dimensioni di 1,5 x 1,0 m, composti da un‟intelaiatura in ferro alla quale è fissata

una rete elettrosaldata a maglia quadrata di circa 5 cm di lato. Un numero variabile

da 15 a 25 di questi pannelli viene assemblato con legature in filo di ferro ed

ancorato al terreno e agli alberi per la costruzione dell‟intero recinto, la cui superficie

in genere può variare da 15 a 40 mq. Il chiusino fisso ha dimensioni maggiori, è

costituito da pali di legno infissi nel terreno e da rete metallica da recinzione fissata

sui pali ed interrata per almeno 50 cm in profondità. In entrambi i casi i recinti sono

muniti di una o due porte a ghigliottina collegate mediante un filo, al meccanismo di

scatto sul quale l‟animale durante l‟alimentazione salirà facendo sganciare i fili

collegati alle porte che cadranno automaticamente. Per rendere più efficace l‟utilizzo

dei chiusini, e quindi aumentare la probabilità di effettuare catture di più animali

contemporaneamente, è necessario posizionare il meccanismo di scatto nel punto più

distante dagli ingressi, in modo da consentire prima della chiusura della porta

l‟ingresso di più individui. A tal proposito, come esca per attirare gli animali di

sovente si utilizza il mais, sia sottoforma di granaglie che di pannocchie intere, ma si

possono utilizzare anche altri alimenti come castagne, mele, pane secco, ecc. È molto

importante, però, che l‟esca venga distribuita oltre che all‟interno del chiusino anche

nelle immediate vicinanze; utile accorgimento per indurre gli animali, nelle fasi

iniziali, a frequentare i siti di cattura è la posa di lunghe strisce di alimento che,

partendo dal bosco, convergano verso il chiusino non ancora attivato. In alternativa,

o in aggiunta ai chiusini, possono essere utilizzate delle trappole, il cui utilizzo è reso

agevole per la facilità di montaggio e di trasporto, nonché le più ridotte dimensioni

rispetto ai chiusini. Si tratta di strutture completamente chiuse con una superficie di

base di circa 3 mq, costruite assemblando 6 pannelli di varia forma costituiti da

un‟intelaiatura in ferro alla quale è fissata una rete elettrosaldata a maglia quadrata.

Sul lato corto della struttura, di sezione trapezoidale, c‟è la porta a ghigliottina

collegata al meccanismo di scatto, posizionato in prossimità della parete opposta. Per

quanto concerne le modalità di somministrazione di alimento-esca, valgono le stesse

considerazioni fatte per i chiusini.

In linea generale, tutti i sistemi che vengono utilizzati risultano relativamente

selettivi per quanto riguarda le classi d‟età; infatti, la classe degli adulti, soprattutto

maschi, è la classe che viene catturata con minor frequenza rispetto alla loro

incidenza sul totale della popolazione, mentre la maggior frequenza è a carico delle

classi dei giovani. Tale selettività verso i giovani sembrerebbe riconducibile a due

principali fattori: da una parte la presenza frequente di popolazioni molto giovani,

con media spostata verso classi giovanili, dall‟altra la normale diffidenza e scaltrezza

degli individui adulti che si avvicinano con difficoltà a qualsiasi elemento estraneo al

paesaggio naturale (Toso e Pedrotti, 2001).

Una volta effettuata la cattura, per il trasporto dovranno essere utilizzate delle

apposite casse individuali costruite in legno (120 x 80 x 70 cm lt x lg x h) provviste

di due porte a ghigliottina che debbono essere dotate di sistemi di bloccaccio esterno.

Per agevolare il trasporto, le casse sono dotate di due maniglie.

Molto importante è anche l‟utilizzo di gabbie di contenimento, con lo scopo

di far fronte all‟elevata irruenza e forza del cinghiale durante la manipolazione degli

individui, anche solo per l‟applicazione delle marche auricolari. I cinghiali vengono

fatti entrare uno alla volta accostando la gabbia di contenimento ad un ingresso del

chiusino o della trappola (Toso e Pedrotti, 2001).

Gli strumenti di programmazione devono partire da scelte prevalentemente

politiche mirate, in primis, ad individuare le così dette aree di rimozione. In alcune

aree, in cui il 90% del territorio agro-forestale è interessato da coltivazioni di

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34 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

notevole importanza economica, come i seminativi o i frutteti, la presenza del

cinghiale è economicamente inconciliabile; ve ne sono altre, invece, in cui la

presenza del suide è accettabile in parte, per la presenza non pressante

dell‟agricoltura. A prescindere dall‟importanza che può avere una determinata area

dal punto di vista agro-forestale, è necessario definire in ogni caso, delle densità

ottimali, o obiettivo, di tali popolazioni a cui deve corrispondere un livello

accettabile di danni per ciascuna unità di gestione e ciascun distretto di gestione

(Toso, 2006).

Per ciascuna annata vengono realizzate delle stime di consistenza della

popolazione, sulla base di stime di incremento potenziale strettamente dipendenti

dalla struttura e dalla fertilità; in tal modo si viene in possesso di una mole di dati

necessari a quantificare l‟entità e la distribuzione del prelievo effettuato. Con queste

informazioni è possibile, quindi, ipotizzare l‟evoluzione numerica della popolazione

negli anni, verificarla progressivamente e formulare i nuovi piani di prelievo.

Pertanto, la definizione densità-obiettivo consente di stabilire, per ciascuna

unità di gestione, la quota di cinghiali che, a regime, potrà o dovrà essere prelevata

annualmente (Toso e Pedrotti, 2001). Generalmente, circa l‟80% del prelievo

dovrebbe essere costituito da animali in età inferiore ad un anno, il 10% da animali

di due anni, l‟altro 10% da individui anziani di età superiore ai 6 anni (Mussa e

Debernardi, 1988). In alcuni contesti territoriali si preferisce affiancare alle normali

tecniche di cattura, l‟abbattimento degli individui mediante attività venatoria. Il

controllo del cinghiale mediante attività venatoria trova riferimento nell‟art. 19 della

legge n. 157 dell‟11 febbraio del 1992, intitolato per l„appunto “Controllo della

fauna selvatica”. Tale legge stabilisce che: 1) Le regioni possono vietare o ridurre

per periodi prestabiliti la caccia a determinate specie, tra cui il cinghiale

(limitatamente ad un periodo particolare che va dal primo ottobre al 31 dicembre o

dal primo novembre al 31 gennaio), per importanti e motivate ragioni connesse alla

consistenza faunistica o per sopravvenute particolari condizioni ambientali,

stagionali o climatiche o per malattie o altre calamità. 2) Le regioni, per migliorare la

gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la

selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle

produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di

fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia. Tale controllo, esercitato

selettivamente, viene praticato di norma mediante l‟utilizzo di metodi ecologici su

parere dell‟Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Qualora l‟Istituto verifichi

l‟inefficacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento.

Tali piani devono essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle

amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno altresì avvalersi di proprietari o

conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza

per l‟esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali

munite di licenza per l‟esercizio venatorio. 3) Le province autonome di Trento e di

Bolzano possono attuare i piani di cui al comma 2 anche avvalendosi di altre

persone, purché munite di licenza per l‟esercizio venatorio.

Come già sottolineato il controllo demografico per la prevenzione dei danni

può essere eseguita anche con attività venatoria, che può essere condotta con diversi

sistemi: braccata; caccia di selezione; girata.

Con la braccata s‟impiegano più gruppi di cacciatori, di cui alcuni posizionati

lungo punti fissi di tiro (poste) e altri, detti conduttori, che con i relativi cani da

seguita, provvederanno ad individuare gli animali e sospingerli verso le aree di

passaggio obbligato ove si tenterà l‟abbattimento. Tale sistema, da effettuarsi

ovviamente nei modi e nei tempi indicati dal calendario venatorio e dal regolamento

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35 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

provinciale di caccia al cinghiale, è però uno strumento di gestione con dei limiti

evidenti legati soprattutto alle sue caratteristiche intrinseche che sono l‟impossibilità

di scegliere il capo da abbattere, e soprattutto il forte impatto che gli uomini e cani,

durante l‟azione di caccia, esercitano sulle altre componenti faunistiche del territorio.

Con questo sistema, oltretutto si rischia di aumentare notevolmente l‟areale di

distribuzione di questa specie con il rischio di avvicinamento alle coltivazioni.

Una variante della braccata, sicuramente più compatibile con le esigenze di

salvaguardia delle altre specie, è la girata. Con tale sistema, molto simile alla

precedente per modalità di esecuzione, si utilizzano normalmente uno o due cani ben

addestrati guidati da un unico conduttore ed un basso numero di cacciatori sistemati

alle poste, limitando in questo modo il disturbo arrecato al territorio per la ridotta

mobilità del cane. L‟azione si svolge seguendo un classico schema: dopo aver

trovato le tracce fresche del cinghiale viene utilizzato un solo cane, con funzione di

limiere, affinché identifichi la rimessa, la cosiddetta “lesta”. Successivamente si

procede a far spostare gli animali senza forzarli eccessivamente, in modo da indurli a

percorrere gli itinerari abituali, così da essere facilmente abbattuti dai cacciatori alle

poste. L‟utilizzo di pochi cani consente al cinghiale di arrivare alle poste lentamente

per cui risulta più agevole il tiro e viene consentita peraltro una più attenta

valutazione del capo da abbattere.

Un altro sistema di caccia, che in assoluto riduce l‟impatto nei confronti delle

altre componenti faunistiche del territorio, fattore importante soprattutto nell‟ambito

della gestione all‟interno delle aree protette o delle zone di ripopolamento e cattura, è

la caccia di selezione (Amici e Serrani, 2004). In definitiva, gli abbattimenti e la

prevenzione devono dare come risultato il mantenimento della densità obiettivo; in

pratica si stabilisce a priori la quota di individui da prelevare tale da limitare la

quantità di danni nel distretto di gestione e, sulla base delle informazioni derivanti

dai capi abbattuti, il cui esame della struttura di popolazione si effettua tramite le

mandibole degli animali abbattuti e gli uteri delle femmine per verificare la

produttività annuale, si stabilisce il piano del successivo prelievo. Solo in questo

modo è possibile, in maniera adattativa, raggiungere gli obiettivi di un corretto

rapporto tra popolazione di cinghiale e contesto territoriale circostante (Toso, 2006).

6. DISCIPLINARE PER IL RISARCIMENTO DEI DANNI

Alcuni ecosistemi, grazie alle loro peculiarità, sono molto sensibili all‟impatto

del cinghiale, la cui presenza è dirompente per i danni che provoca all‟intero

patrimonio agricolo e forestale. Ciascuna Regione, allo scopo di instaurare un

proficuo rapporto tra agricoltori e cacciatori, prepara un Disciplinare che regola e

fissa le modalità per l‟accertamento, la valutazione e la liquidazione del risarcimento

dei danni determinati dalla fauna selvatica alle popolazioni agricole. Il territorio di

Arezzo, ad esempio, è sempre costantemente al primo posto in questa poco

invidiabile classifica. È anche per questo che la Regione Toscana si è dotata da molti

anni di una legge regionale, 3/94, che all‟art. 8 comma 6 lett. C prevede che i Piani

Faunistici Venatori Provinciali contengano i criteri per la determinazione ed il

risarcimento in favore dei proprietari e conduttori dei fondi rustici per i danni causati

dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e alle opere approntate su fondi

compresi nelle Oasi e nelle Zone di Protezione, nonché nelle Zone di Ripopolamento

e Cattura.

I diversi disciplinari devono prevedere che i Comitati di Gestione degli Ambiti

Territoriali di Caccia (ATC) determinino ed eroghino i contributi per il risarcimento

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36 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

dei danni arrecati alle produzioni agricole dalla fauna selvatica. I criteri enunciati

sono criteri generali validi per gli istituti faunistici e per il Territorio a Gestione

Programmata degli ATC, qualora questi non abbiano adottato un proprio

regolamento. Nel caso che gli ATC adottino specifici regolamenti per la

determinazione dei risarcimenti, le direttive saranno valide per le parti non in

contrasto con i suddetti regolamenti. La Provincia può confermare la delega ai

comitati di Gestione degli ATC relativa alla determinazione ed erogazione dei

contributi per il risarcimento dei danni arrecati alle produzioni agricole all‟interno

delle zone destinate alla protezione della fauna per l‟intera durata del presente Piano

Faunistico Venatorio. L‟ammontare complessivo dei contributi erogati per il

risarcimento dei danni arrecati alle produzioni agricole dalla fauna selvatica è

stabilito da apposita legge regionale.

6.1. Segnalazione dei danni

Coloro che subiscono danni alle colture agricole sono tenuti a segnalarli

all‟organo competente (ATC) in forma scritta al più presto, possibilmente entro 48

ore dall‟accertamento del primo danno da parte del conduttore dei fondi, affinché

possano essere utilmente adottati provvedimenti ed accorgimenti atti a limitare i

danni stessi, almeno 15 giorni prima nel caso in cui si approssimi il periodo della

raccolta, o, in caso di danni alla semina, prima che la coltura raggiunga uno stadio

vegetativo tale da impedire la valutazione del danno e l‟agente che lo ha causato. Le

domande devono essere avanzate usando la modulistica predisposta dall‟Ambito

Territoriale di Caccia competente. La Fig. 6.1.1. riporta un esempio di tali moduli.

Le domande di indennizzo possono essere inoltrate all‟Ambito Territoriale di Caccia

anche tramite le Associazioni degli Agricoltori, utilizzando la modulistica conforme.

In tale domande dovranno essere ben specificati: dati anagrafici o ragione sociale del

richiedente; codice fiscale o partita IVA; dichiarazione di proprietà/possesso e

riferimenti catastali dei terreni interessati dal danno; superficie oggetto di

sopralluogo; coltura danneggiata; stima del danno (es.: prodotto perduto);

indicazione sulla specie che ha causato il danno e la zona di provenienza; descrizione

dell‟attività di prevenzione dei danni adottata; disponibilità a collaborare ai piani di

prevenzione. Nel caso in cui siano danneggiati i vigneti soggetti a disciplinare di

produzione dovrà essere prodotta una copia della denuncia delle uve presentata agli

organismi competenti nei termini di legge.

Le domande di sopralluogo devono essere presentate, in rapporto alla coltura

danneggiata, nel periodo vegetativo, dalla semina al momento del raccolto previsto

dagli usi e consuetudini locali; in tal senso ogni Ambito Territoriale di Caccia può

determinare, all‟atto della stesura del proprio Regolamento, le date di scadenza per

tipologia di coltura.

6.2. Accertamento dei danni

L‟organismo preposto alla erogazione degli indennizzi verifica le richieste

avanzate mediante sopralluoghi, da effettuare di norma entro i 15 giorni lavorativi

successivi alla richiesta di indennizzo e comunque entro i limiti previsti dalla legge.

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Fig. 6.1.1. Modulistica per richiesta di accertamento danni.

I sopralluoghi di accertamento sono effettuati da tecnici incaricati

dall‟Ambito Territoriale di Caccia i quali hanno il compito di verificare e stimare il

danno causato dalla fauna, anche mediante campionamenti, rilevamenti GPS (Global

Positioning System) e/o fotografici. Sull‟apposita modulistica di sopralluogo dovrà

essere riportato: superficie e tipologia della coltura oggetto del sopralluogo; stato

vegetazionale, fitosanitario e produttività della coltura; quantità e/o percentuale di

prodotto perduto; superficie danneggiata; presunta data del danno; presunta

provenienza degli animali che hanno provocato il danno; indicazioni circa opere per

la prevenzione adottate; indicazioni circa opere per la prevenzione di eventuali,

ulteriori danni.

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38 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

In caso di richiesta di sopralluoghi per l‟accertamento di danni risultanti

inesistenti, il costo della perizia tecnica sarà a carico del richiedente, che dovrà

corrisponderlo, previa richiesta, entro 120 giorni, all‟Ambito Territoriale di Caccia.

I tecnici incaricati del sopralluogo provvedono ad informare l‟agricoltore

danneggiato circa i metodi e le procedure di prevenzione dei danni normalmente

adottate nei casi similari, indicando i referenti cui rivolgersi per la loro attuazione e

dandone menzione nel verbale di sopralluogo. Al sopralluogo possono presenziare

componenti del Comitato di Gestione dell‟Ambito Territoriale di Caccia o suoi

delegati in veste di osservatori, i medesimi dovranno comunque qualificarsi di fronte

al proprietario o conduttore del fondo agricolo e non prendere parte alla

determinazione del verbale di accertamento. Il tecnico incaricato del sopralluogo

dovrà procedere a una serie di adempimenti. Se ne riportano alcuni, a titolo

indicativo: 1) verifica dei documenti allegati, dei quali è obbligatoria la

certificazione catastale e la cartografia particellare in scala adeguata tale da

consentire l‟individuazione territoriale; per i vigneti certificati (IGT, DOC, DOCG) è

obbligatoria la certificazione del catasto vitivinicolo; 2) in caso di intestazione non

corrispondente fra il certificato catastale ed il titolare della richiesta, procedere alla

verifica della documentazione attestante il titolo di conduzione; 3) accertamento

relativo alla rispondenza della qualità di coltura riportata nel certificato catastale e

quella oggetto della richiesta; 4) valutazione del danno con metodo analitico; 5)

redazione del verbale riportando tutte le informazioni richieste e le annotazioni

necessarie alla successiva definizione del danno da rimborsare, curando con

particolare attenzione l‟aspetto delle definizioni relativa alle cause o concause che

hanno procurato il danno e, se possibile, la provenienza, nonché indicate le misure di

prevenzione eventualmente adottate o, in caso contrario, le motivazioni per cui non

sono state o non possono essere realizzate; 6) la redazione del verbale deve essere

compilato anche in caso di accertamento del danno risultante negativo, riportando

nelle annotazioni le motivazioni; 7) il verbale deve essere firmato dal tecnico

incaricato e dal richiedente o suo rappresentante. Nel caso in cui il richiedente si

rifiuti di firmare la perizia, il tecnico deve informare il medesimo che eventuali

osservazioni dovranno essere fatte con scritto inoltrato all‟Ambito Territoriale di

Caccia entro 10 giorni dalla data del verbale, permettendo di procedere ad eventuali

accertamenti suppletivi o l‟attivazione della Commissione Arbitrale; 8) il tecnico con

la firma del verbale, si assume la responsabilità di quanto accertato in riferimento

alla valutazione del danno.

6.3. Modalità di liquidazione

L‟indennizzo dei danni arrecati dalla fauna selvatica alle colture agricole e

forestali è riservato a coloro che abbiano dato preventiva segnalazione del

danneggiamento, come previsto dalle apposite norme regionali e provinciali. Non

sono indennizzabili i danni relativi a: colture che al momento del sopralluogo siano

già state raccolte o comunque manomesse; colture dove non sia in alcun modo

tecnicamente accertabile la causa del danno; colture ottenute in assenza di tutte o

parte delle operazioni agronomiche normalmente adottate per il tipo di coltura

interessata; colture evidentemente aggredite da infestanti in modo tale da

pregiudicare la normale produzione; impianti di essenze arboree attuati con i

contributi previsti dal Reg. CEE 2080/92 “Arboricoltura da legno” ove non sia stata

prevista in progetto alcuna opera di prevenzione, qualora ammessa dalla normativa

europea; danni provocati da colombe, piccioni, animali domestici e nutrie in quanto

non riconosciuti come specie di fauna selvatica; danni causati da eventi

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39 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

metereologici e/o fallanze; danni a colture attuate su terreni posti ad una quota

incompatibile con le caratteristiche agronomiche sue proprie a meno che non venga

prodotta idonea documentazione attestante che la stessa coltura ha ottenuto risultati

rilevanti o apprezzabili negli anni precedenti, restando comunque facoltà dell‟ATC

individuare limitazioni per il rimborso di danni a colture attuate in situazioni

ambientali ritenute incompatibili con le loro specifiche caratteristiche agronomiche;

danni entro la fascia di 200 metri circostanti i confini di aree sottoposte a divieto di

caccia, ovvero di strutture pubbliche o private che non abbiano posto in essere i

programmi di gestione e controllo delle specie selvatiche predisposti o indicati

dall‟Amministrazione Provinciale, per i quali i responsabili dei divieti stessi sono

tenuti all‟indennizzo dei danni. Ogni Ambito Territoriale di Caccia potrà definire un

importo minimo sotto il quale i danni risultano non indennizzabili; tale importo potrà

essere definito in misura proporzionale all‟entità del risarcimento.

Per quanto riguarda i danni risarcibili, ai fini dell‟ammissione al risarcimento

si distinguono due tipologie di danni, quelli direttamente legati ai prodotti agricoli

(colture erbacee: prati e pascoli, foraggere, cerealicole, industriali, oleaginose,

proteoleaginose; colture arboree: frutteti, oliveti, vigneti, castagneti da frutto,

rimboschimenti fino a tre anni dall‟impianto) e quelli indiretti legati ad alcuni tipi di

infrastrutture (sostegno filari in colture arboree; regolazione delle acque; ecc.).

Per quanto concerne i danni alle colture cerealicole, foraggere e pascoli permanenti,

nel caso di danni procurati nella fase di semina o comunque in tempi tali da

consentire le operazioni di risemina, se questi interessano parti consistenti

dell‟appezzamento, deve essere indicata la superficie da riseminare, facendo presente

al richiedente che qualora non provveda non potrà essere riconosciuto alcun

rimborso. Diversamente, nel caso in cui i danni siano di lieve entità e diffusi

sull‟appezzamento, il danno dovrà essere espresso in percentuale e verificato prima

del raccolto. È compito del richiedente inoltrare la richiesta scritta all‟Ambito

Territoriale di Caccia, per un ulteriore sopralluogo prima del raccolto, pena il non

riconoscimento del danno. Qualora venga riconosciuta una percentuale di danno il

richiedente non può procedere alla risemina. L‟Ambito Territoriale di Caccia potrà

svolgere controlli in merito, non risarcendo le risultanze dell‟avvenuta risemina per i

danni già definiti. In presenza di danni arrecati a prato o prato pascolo, la valutazione

dovrà essere fatta in superficie danneggiata e non a fieno. Per i danni causati in fase

di maturazione del prodotto, il risarcimento sarà pari alla perdita del prodotto

definito in sede di valutazione. Per i danni alle colture orticole, il risarcimento viene

determinato secondo i criteri già esposti: superficie danneggiata, prezzo del prodotto,

produzione media della zona. Nell‟ambito dei danni alle colture arboree in attualità

di coltivazione e nel caso specifico dei frutteti, oliveti, vigneti, castagneti da frutto,

quando i danni sono tali da rendere preferibile la sostituzione delle piante, il

risarcimento è basato sul costo delle sostituzioni (messa a dimora completa), con una

integrazione pari al valore del prodotto perduto stimata secondo i parametri

precedentemente indicati. Anche per i rimboschimenti fino a tre anni dall‟impianto,

nel caso di danni tali da rendere necessaria la sostituzione delle piantine danneggiate

(per danni verificatesi entro tre anni dall‟impianto) il risarcimento è basato sul costo

delle sostituzioni (messa a dimora completa).

Il tecnico incaricato del sopralluogo dovrà definire la quantità di prodotto da

risarcire in base alle produzioni medie definite dall‟Ambito Territoriale di Caccia,

tenuto conto delle indicazioni qualitative della coltura danneggiata riportata nel

verbale. Il calcolo dovrà essere effettuato sulla base del prezzario predisposto

dall‟Ambito Territoriale di Caccia ed approvato dall‟Amministrazione Provinciale

per ogni annata agraria. Qualora il richiedente non abbia provveduto ad effettuare

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40 Il Naturalista Campano, [ISSN 1827-7160] http://www.museonaturalistico.it/, 2007, n.32, 1-42 pp.

interventi di prevenzione dei danni secondo le specifiche tecniche contenute nel

paragrafo successivo, l‟Ambito Territoriale di Caccia potrà, in sede di liquidazione,

ridurre l‟importo da corrispondere in percentuale definita, diversificando la riduzione

in rapporto all‟ubicazione del territorio danneggiato. Tale riduzione non potrà essere

comunque applicata se, su richiesta preventiva dell‟agricoltore, l‟ATC non avrà

provveduto al coinvolgimento della o delle squadre di caccia al cinghiale, o di altri

cacciatori, che operano nel territorio interessato al fine di coadiuvare l‟agricoltore

nell‟adozione di misure di prevenzione, compreso la messa in opera di strumenti di

dissuasione. Nel caso in cui l‟agricoltore si sia rifiutato, su esplicita richiesta

avanzata dal Tecnico incaricato del sopralluogo o dalla stessa ATC, di adottare

misure di prevenzione al fine di limitare il protrarsi dei danni, potrà essere applicata

una detrazione maggiore della percentuale definita. Il ripetersi negli anni di danni

diffusi sullo stesso appezzamento di terreno e la mancata adozione di opportuni

metodi di prevenzione può comportare, con provvedimento motivato approvato dal

Comitato dell‟ATC, l‟annullamento totale di qualsiasi rimborso.

7. CONCLUSIONI

Il cinghiale è tra le specie selvatiche quella che arreca attualmente, in Italia,

la maggiore entità dei danni al patrimonio agro-forestale. La sua uniforme

distribuzione e diffusione su tutta la Penisola, fatta eccezione per le regioni dell‟arco

Alpino e di piccole aree del versante Adriatico, nonché l‟elevato tasso di incremento

della popolazione, rendono la specie molto difficile da controllare. La politica di

gestione faunistica sinora adottata nel nostro Paese ha prodotto una serie di problemi:

mancanza di criteri uniformi, nonché di carenze culturali, organizzative e tecniche

della gestione venatoria; presenza della specie anche in aree nelle quali l‟uso

agricolo del territorio è rilevante; immissione non programmata; possibile

introduzione di alcune malattie; rischio di interazioni negative con altre componenti

delle zoocenosi per competizione; elevato disturbo arrecato ad altri elementi della

fauna.

È noto che una popolazione di cinghiali lasciata a se stessa tende a crescere in

maniera esponenziale per assenza di predatori naturali. L‟uomo può intervenire come

predatore “colturale” per controllare la crescita e ridurre i problemi da essa causati,

attraverso mirati piani di assestamento che regolino, con piani di abbattimento

selettivo, il numero di animali da prelevare annualmente. Alcune classi, come per

esempio i piccoli e i subadulti, saranno maggiormente interessate, altre meno. L‟80%

del prelievo dovrebbe essere costituito da animali di età inferiore ad 1 anno, il 10%

da animali di 2 anni e l‟altro 10% da animali anziani. Il criterio generale da adottare

nella gestione responsabile del cinghiale richiede:

1. attuazione di misure di prevenzione o contenimento dei danni a carico di colture a

rischio con responsabilizzazione anche economica dei distretti di gestione dei diversi

ATC;

2. controllo della popolazione attraverso interventi venatori;

3. risarcimento danni che preveda adeguata successiva coltivazione del terreno.

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http://ww.catouno.it/ambiente/prevenzione/Prevenzionerelazione2006.pdf

http://www.provincia.cuneo.it/tutela_fauna/_pdf/danni/prezzario_definitivo2006.pdf