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La Gazzetta di Classe M A G A Z I N E I I talIa talIa nata nata unIta unIta Maggio 2011 Anno IV - Numero VI Speciale Unità d’Italia

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La Gazzetta di Classe

M A G A Z I N E

IItalIatalIa

natanata

unItaunIta

Maggio 2011 Anno IV - Numero VI

Speciale Unità d’Italia

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La fase finale dell’UnitàLo Stato italiano nacque nel

1861 dopo le guerre d’indi-

pendenza, dopo che i terri-

tori conquistati vi aderirono

e dopo la spedizione dei

mille guidata da Giuseppe

Garibaldi nel 1860. I mille

partirono da Quarto e sbar-

carono a Marsala. Garibaldi,

risalendo dalla Sicilia, il 7

settembre 1860 entrò a Na-

poli, abbandonata dai Bor-

bone. Ad ottobre con una

serie di plebisciti furono sta-

bilite le annessioni dei terri-

tori del Sud al Regno di

Sardegna. Nel 1861, con la

prima convocazione del Par-

lamento italiano, fu procla-

mato il regno d’Italia.

Il Parlamento italiano si

riunì per la prima volta il 18

febbraio 1861 e l’Unità d’Ita-

lia fu proclamata ufficial-

mente il 17 marzo 1861.

Quest’anno ricorrono i 150

anni della nascita del nostro

Stato. Il regno d’Italia fu

dall’inizio una monarchia

costituzionale. Mancavano

ancora Veneto, Friuli,

Roma, Trentino Alto Adige e

Venezia Giulia, che sareb-

bero entrati negli anni suc-

cessivi con altre lotte, con

altro sangue, solo dopo la

vittoria nella guerra 1915-

1918.

Pappalardo Raffaele Capoluogo

*************L’Italia raccontata

da alcuni di noi cronisti di “Magazine”

Il giorno 17 marzo 2011, ri-

corre il centocinquantesimo

anniversario dell’Unità d’Ita-

lia per ricordare il nostro

passato e poter così co-

struire un futuro migliore.

Questa non è una festa qua-

lunque come alcuni Italiani

pensano, ma è molto impor-

tante come ha dichiarato

anche il Presidente della Re-

pubblica proclamando que-

sto giorno festa nazionale.

Noi siamo Italiani e grazie al

nostro passato dobbiamo

sentirci Italiani orgogliosi.

Ogni Italiano dovrebbe par-

tecipare alla festa con gioia

e dovrebbe esporre alle fine-

stre e ai balconi tre bandiere

tricolore che sventolino a

rappresentanza dei tre giu-

bilei 1911,1961e 2011, in

un collegamento ideale tra le

generazioni.

Baldi Carmen - Sava*****************

In questo giorno si ricordano

molti personaggi importanti

che si sono sacrificati per la

loro patria: l’Italia. La storia

iniziò con un Congresso a

Vienna con lo scopo di isti-

tuire collaborazione tra i re-

gnanti dell’Europa

determinando nel settembre

1815 la Santa Alleanza.

Pace non fu per i popoli,

tanto è vero che in tutta Ita-

lia nel 1820 scoppiarono dei

moti rivoluzionari promossi

da Michele Morelli e Giu-

seppe Silvati due carbonari

ai quali si unì anche Gu-

glielmo Pepe che assunse il

comando. Ma i moti non eb-

bero successo per il man-

cato appoggio popolare.

De Chiara Agnese Aiello****************

Se oggi l’Italia è un paese

unito, lo si deve ad un pe-

riodo storico molto impor-

17 marzo 1861: L’Italia si raccontaNobili, persone di cultura, po-

polani tutti insieme per l’Unità

della Patria

tante conosciuto con il nome di

“Risorgimento” che va dal 1848

al 1871. In questi anni, moltis-

sime persone, spesso rimaste

anche sconosciute e mai nomi-

nate nelle pagine dei libri di sto-

ria, hanno combattuto e sono

morte per darci la nostra Italia.

Forse oggi coloro che parlano di

federalismo, dovrebbero rileg-

gere la storia del Risorgimento.

Proprio nell’Italia composta da

tanti piccoli Stati, nel 1848,

nacque e si diffuse la coscienza

unitaria che fece diventare eroi

anche giovani di non più di 20

anni, come Goffredo Mameli, ce-

lebre per aver scritto le parole

del nostro inno nazionale “Fra-

telli d’Italia” e morto a soli 22

anni.

Tra i protagonisti, di queste af-

fascinanti pagine della storia

nazionale, che riuscirono ad

unificare la penisola sotto

un’unica bandiera, quella del

Regno d’Italia, ci sono nobili o

poveri, persone di cultura o

contadini: come Camillo Benso

conte di Cavour, uomo politico

e statista o come la popolana

salernitana Rosina Sessa. E’ per

questo che l’attuale Presidente

della Repubblica, Napolitano,

ha deciso di festeggiare que-

st’anno l’Unità il 17 marzo. Nei

libri di storia emerge sempre il

nome di Giuseppe Garibaldi.

Grande condottiero di uomini

che nel 1860 organizzò la fa-

mosa spedizione dei Mille, con-

quistando dalla Sicilia alla

Campania tutto il Sud dell'Italia

che poi affidò a Vittorio Ema-

nuele II nell’altrettanto storico

incontro a Teano.

Tra gli altri protagonisti certa-

mente c’è Giuseppe Mazzini,

fondatore della “Giovine Italia”,

un’associazione che aveva come

scopo di rendere l’Italia libera,

unica e repubblicana. Sono

molti anche i nomi dei rivoluzio-

nari che fallirono le loro imprese

morendo sul campo. Tra questi,

i fratelli Bandiera che morirono

fucilati nel tentativo di sollevare

il popolo della Calabria contro i

Borboni; Carlo Pisacane che

sbarcò a Sapri, in provincia di

Salerno, dove fu massacrato

con 300 uomini; oppure Silvio

Pellico che rimase per molti

anni in carcere per scontare la

sua adesione alla Carboneria e

lì scrisse il famoso libro “Le mie

prigioni”.

Viscardi Stefano Antessano ***************

Creata unitaQuando Dio creò il mondo, volle

che in una piccola parte di terra

vi fossero racchiuse tutte le bel-

lezze del creato. Egli volle che ci

fossero alte montagne con stu-

pendi ghiacciai, come il Monte

Bianco, il Monte Rosa, il Cer-

vino, il Gran Sasso ecc. Volle

che queste montagne fossero le-

gate tra loro in lunghe catene

come tanti fratelli. Volle che ci

fossero laghi odorosi come il

Lago di Garda. Volle che ci fos-

sero lunghi fiumi, come il Te-

vere, il Po, l’Arno, l’Adige ecc.

Volle che ci fossero cascate pit-

toresche, come quelle della

Marmora. Volle che ci fossero

montagne che sputano fuoco, i

vulcani, come il Vesuvio, l’Etna

e lo Stromboli. Volle che ci fos-

sero due grandi, belle e soleg-

giate isole, la Sicilia e la

Sardegna. Volle che ci fossero

splendidi mari, ognuno bello

per qualcosa: il mar Adriatico, il

mar Ionio, il mar Ligure e mar

Tirreno. Volle che ci fossero di-

stese di alberi da frutto, di ar-

busti e di splendidi fiori. Tutto

questo Dio volle e così creò l’Ita-

lia bella, l’Italia forte, l’Italia

unita.

La redazione di Antessano

I mitici Mille

Erano in mille, risoluti e coraggiosi,

venuti in Sicilia per compiere un’impresa:

combattere una guerra,

ridare dignità

a chi non l’aveva,

aprire gli occhi a chi guardar non voleva.

Arrivarono a Marsala e bene vennero accolti

Combatterono come leoni per punire i torti.

Le vittorie si susseguirono:

A Calatafimi un gesto eroico di

Augusto Elia salvò la vita al Generale ,

poi a Palermo e a Milazzo misero in fuga le truppe

borboniche.

Salirono lo” Stivale” e arrivarono a Teano.

Il Regno Italia a Vittorio Emanuele II misero in mano.

Catapano Alberto Pasquale Antessano

W l’Italia

Fratelli d’Italia, l’Italia se desta, …… Stringiamoci

a coorte, siam pronti alla morte…. Ahh…. che

belle parole! Mameli si è proprio superato! Noi ita-

liani siamo invidiati da tutto il mondo, a partire dal

cibo e a finire con i dolci. Per i fantastici, inegua-

gliabili, unici paesaggi di Napoli, Roma, Firenze,

Como……. solo per citarne alcune tra le città più

famose d’Italia.

Italia per me significa questo:

I come I nostri paesaggi

T come Tirreno, uno dei tanti mari che solo noi ab-

biamo!

A come Altro che Platone! Noi abbiamo Dante con

la Divina Commedia

L come Libri a volontà che hanno scritto i nostri

filosofi e poeti!

I come I nostri monumenti?... Pfui! E dove li trovi?

A come Angeli che fanno miracoli per noi: i pizza-

ioli!

Il territorio dell’Italia è ricco di paesaggi favolosi,

speciali, e indico questi aggettivi soprattutto per i

tramonti. Eh sì! I nostri tramonti, sono loro “il

pezzo forte” nel far innamorare i turisti della nostra

bella Italia!

Villani Martina - Aiello

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Donne del Risorgimento

Enrichetta Caracciolo napo-

letana nata nel 1821 è stata

un personaggio importante

del Risorgimento perché ha

lottato per conquistare la

propria libertà e affermare i

suoi ideali a favore dell’Italia

unita.

A vent’anni, costretta dai

condizionamenti familiari e

sociali, pronunciò i voti,

senza accettare tuttavia che

quello dovesse essere il suo

destino.

Ribelle, contestatrice tanto

da guadagnarsi presto fama

di rivoluzionaria tra le pareti

del monastero e al di là di

esse, Enrichetta si nutriva

delle idee liberali e neppure

lo nascondeva.

Nel 1851 fu arrestata per il

suo sostegno ai rivoluzio-

nari.

Dopo un periodo di isola-

mento e varie peripezie per

sottrarsi ai continui con-

trolli della polizia borbonica,

si diede alla clandestinità. E

continuò ad appoggiare i

patrioti fino all’incontro con

Garibaldi, quando poté riot-

tenere la libertà a lungo in-

seguita.

Laura Beatrice Oliva Man-

cini è nata a Napoli nel

1821 e morta a Fiesole nel

1869.

A 15 anni ebbe la fama di

scrittrice e fu riconosciuta

da molti letterati importanti

come poetessa del Risorgi-

mento nazionale.

La stampa dell’epoca si me-

ravigliò del suo coraggio

dopo che scrisse un inno

che denunciava l’occupa-

zione di Roma da parte della

Francia.

Era così famosa da cono-

scere Giuseppe Garibaldi,

Terenzio Maniami e Gu-

glielmo Pepe.

Cristina Trivulzio di Belgio-

joso donna ricca di famiglia,

sostenne concretamente le

azioni dei Carbonari, finan-

ziò il patriota Ciro Menotti.

A causa di ciò fu costretta a

trasferirsi a Parigi, dove

animò un salotto frequen-

tato da intellettuali e musi-

cisti.

Cristina quando vide che si

erano calmate le acque rien-

trò in Italia e organizzò

ospedali, avvalendosi della

partecipazione di donne ari-

stocratiche e prostitute, le

quali, potevano avere rap-

porti con persone molto im-

portanti e essere di aiuto.

Partecipò al difficile progetto

di unire tutti gli Stati e Sta-

terelli della penisola.

Il suo impegno politico e ci-

vile non si esaurì con l’uni-

ficazione, si dedicò anche

alla costruzione di numerosi

asili.

Bianca Simoni Rebizzo altra

figura aristocratica, si sposò

con il poeta Rebizzo, animò

la città di Genova con un

noto salotto, regolarmente

frequentato da intellettuali,

ma anche da convinti pa-

trioti tra i quali Goffredo

Mameli.

La sua storia si intreccia

con quella di alcune im-

prese più significative del

Spazio alle donne…soprattutto a quelle speciali!“Prima ancora dunque che alla causa femminile, io mi

ero votata a quella della mia patria e il mio amore per

la prima nacque dal mio amore per la seconda”

Adelaide Cairoli

Spazio alle donne!

Come ragazza sento il bisogno di parlare delle donne che in-

sieme agli uomini hanno affrontato un cammino duro per rag-

giungere l’Unità. Non trovo giusto che il merito venga dato

soprattutto, anzi, esclusivamente agli uomini, in quanto anche

le donne hanno dato il loro contributo nelle guerre del Risorgi-

mento. Innanzitutto ho trovato difficile ricercare notizie sulle

donne vissute in quel periodo. Le uniche di cui si ha notizie sono

quelle legate a personaggi maschili: la compagna di Giuseppe

Garibaldi, la moglie del conte di Castiglione (cugino di Camillo

Benso conte di Cavour)… Per capire come mai ci sono queste la-

cune bisogna risalire alla condizione della donna in Italia in quel

periodo: molto spesso la donna era relegata esclusivamente al

ruolo di madre e di moglie. Escludendo le donne dell’alta società,

alle popolane non era permesso di studiare, di leggere, di inte-

ressarsi alla vita politica o di esprimere opinioni. Nonostante ciò,

abbiamo notizia di alcune eroine che hanno contribuito alla

causa dell’Unità, o combattendo in prima linea come delle vere

e proprie soldatesse o accogliendo e curando chi combatteva sul

fronte o semplicemente aprendo i loro salotti alle idee liberali fa-

vorendone così la propagazione.

A parer mio queste donne hanno contribuito e sofferto il doppio

degli uomini, infatti, oltre a combattere contro i nemici hanno

dovuto combattere anche l’ignoranza e i pregiudizi di chi cre-

deva, e crede, che noi donne siamo esseri inferiori: fisicamente

e intellettualmente. E’ anche grazie a queste eroine che è avve-

nuta l’emancipazione e il raggiungimento di una condizione di

parità dei diritti tra uomini e donne.

Grazie a tutte voi!

Rosanova Mariarosaria Sava

Lo sapevi che ...

Accanto alla Carboneria esisteva

anche la versione femminile della

società segreta, le cui iscritte si

chiamavano Giardiniere perché si

riunivano nei giardini delle loro ville

per parlare, “ufficialmente”, di erbe

e fiori. Il loro motto era <<Onore e

virtù>>.

L’unica donna che partì da Quarto

con i Mille si chiamava Rosalia

Montmasson, viaggiava in abiti ma-

schili, aveva 35 anni ed era sposata

con Francesco Crispi.

Antonia Masanello era la garibal-

dina che si scoprì fosse una donna,

quando, in battaglia, le volò via il

berretto che le nascondeva i capelli.

Le numerosissime donne del Risor-

gimento usarono le loro “cono-

scenze femminili” per cucire

coccarde e bandiere; per creare cap-

pellini e mazzetti di fiori tricolori,

ventagli con scritte patriottiche,

abiti e sciarpe che nascondevano

tra le loro pieghe i colori della ban-

diera; per inventare un codice se-

greto basato sui punti dell’orlo a

giorno; per portare messaggi na-

scondendoli tra le trecce delle loro

pettinature o negli orli dei loro ve-

stiti.

A Napoli è una donna ad infiam-

mare la lotta per la liberazione della

città prima dell’arrivo di Garibaldi:

Marianna De Crescenzo detta la

“Sangiovannara”. Ostessa del quar-

tiere Pignasecca, conosciuta dalle

persone del posto proprio per il suo

mestiere, nel 1860 lascia l’osteria al

marito e imbraccia il fucile, incorag-

giando il popolo a sostenere Gari-

baldi.

Lo stesso farà l’anno successivo per

far accogliere adeguatamente dalla

sua gente “ ‘o re galantuomo”. Dopo

di allora non se ne sa più nulla, ma

nel quartiere Pignasecca è rimasta

la sua leggenda.

La redazione Capoluogo

Risorgimento che furono discusse e

pianificate nella sua casa: dal primo

sfortunato tentativo nel Mezzogiorno

per merito di Carlo Pisacane, alla vit-

toriosa Spedizione dei Mille.

Virginia Oldoini, cugina del Conte

Camillo Benso di Cavour, nasce a Fi-

renze il 23 marzo del 1837 dai Mar-

chesi Filippo Oldoini e Isabella

Lamporecchi.

Fin dall’ infanzia la sua bellezza era

già notevole. A ciò associò un’intelli-

genza, una scaltrezza, un’ambizione,

un’abilità diplomatica che la porta-

rono a soli 17 anni a nozze con Il

Conte Francesco Verasis Asinari.

In queste doti, il cugino Cavour, intuì

immediatamente le possibili poten-

zialità e finalità di utilizzo. Nel 1855

fu inviata in missione alla corte fran-

cese di Napoleone III per favorire l’al-

leanza franco-piemontese.

Lo fece in modo esemplare, sfrut-

tando in modo esplicito e mondano la

sua bellezza.

Dopo che ebbero raggiunto il loro

scopo sia Cavour che Vittorio Ema-

nuele II, la lasciarono alla deriva

senza riconoscerne il grande contri-

buto che aveva dato per l’Unità.

Quella nazione e quel popolo, a cui

aveva sacrificato e donato non solo il

suo corpo, ma anche il suo cuore, le

si erano dimostrati ingrati.

Adelaide Cairoli nacque a Milano nel

1806 e morì nel 1871. A 18 anni

sposò Carlo Cairoli, professore di chi-

rurgia di Pavia, di sentimenti patriot-

tici. Adelaide Cairoli era una donna

di una vasta cultura, curò lei stessa

l’educazione dei figli indirizzandoli

all’amore per la società e la patria. In

sua memoria, nel 1875, venne inau-

gurato un monumento a Gropello

Cairoli, in provincia di Pavia dove

Adelaide fu sepolta. Così scrisse la

stessa Cairoli.

“Prima ancora dunque che alla

causa femminile, io mi ero votata a

quella della mia patria e il mio amore

per la prima nacque dal mio amore

per la seconda”.

Anita Ribeiro Garibaldi nacque a

Morrinhos, in Brasile, nel 1821 e

morì a Ravenna nel 1849. Nel 1842,

divenne la moglie di Giuseppe Gari-

baldi, nonché compagna di tutte le

sue battaglie.

Fu fatta prigioniera nella battaglia di

Curitibanos, ma riuscì a sfuggire alla

cattura. Nel 1849 era a Roma per la

proclamazione della Repubblica Ro-

mana, dove combatté a fianco dei ga-

ribaldini, i quali però, dovettero

ritirarsi dopo la battaglia del Giani-

colo.

Durante quella fuga, chiamata ‘tra-

fila’, le condizioni di Anita, al quinto

mese di gravidanza, peggiorarono, ed

a 28 anni la donna-guerriero spirò.

Nel 1932 furono poste le reliquie di

Anita nel basamento del monumento

equestre eretto in suo onore sul Gia-

nicolo.

La Redazione

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In onore dei 150 anni del-l’Unità d’Italia sono ricordatialcuni uomini del Risorgi-mento, noi vogliamo parlaredi quelli che riteniamo piùsimpatici.

Giuseppe Mazzini patriota,uomo politico e scrittore,considerato il “padre del Ri-sorgimento” italiano nasce aGenova il 22 giugno 1805,terzogenito di tre bambini.Ragazzino sveglio e vivace,già adolescente sente vivo eforte l'interesse per le tema-tiche politiche, soprattuttoquelle concernenti l'Italia,vero e proprio destino an-nunciato.Entrato giovanissimo nellaCarboneria fu denunciatonel 1830 e costretto all'esi-lio. A Marsiglia fondò allorala “Giovine Italia” il cuiideale era di rendere l'Italia"Una, libera, indipendente,repubblicana". Nel 1834,fallito un tentativo insurre-zionale in Savoia, dovette ri-parare in Svizzera, dovefondò la “Giovine Europa”.Allo scoppio dei moti del1848 si recò a Milano e aRoma, dove fu eletto trium-viro della Repubblica, macon la caduta di questa do-vette di nuovo rifugiarsi al-l'estero. Nel contemporiprese la sua attività rivolu-zionaria: nel 1853 fallì untentativo di insurrezione aMilano, come miseramentefallirono analoghi tentativiin Lunigiana, Valtellina equello condotto da Pisacanea Sapri. Contrario alla mo-narchia, tentò nel 1870 disbarcare a Palermo permarciare su Roma, ma fuarrestato e imprigionato.Trascorse l'ultimo periodo

della sua vita a Pisa sotto ilfalso nome di Brown.

Giuseppe Garibaldi (1807-82), generale e patriota ita-liano nato a Nizza. Aderì allaGiovine Italia. Partecipò coninsuccesso ai moti di Ge-nova e dovette sfuggire allapolizia che gli aveva decre-tato la pena di morte. InBrasile, dove si era recatocombatté con gli insorti delRio Grande. Conobbe Anita,che lo seguì in Uruguay,dove Garibaldi riportò unastrepitosa vittoria contro ildittatore Rosas. Tornato inItalia, partecipò alla primaguerra d'Indipendenza.L'anno successivo, nel1849, era a Roma a combat-tere per la Repubblica Ro-mana. Scoppiata la secondaguerra d'Indipendenza, co-mandò i Cacciatori delleAlpi conseguendo splendidevittorie. Nel 1860 organizzal'epica spedizione dei Mille econquista all'Italia il Mezzo-giorno. Nel 1862 tenta laconquista di Roma. Durantela terza guerra d'Indipen-denza nel 1866 conduce vit-toriosamente le sue truppea Monte Suello e a Bez-zecca. Fu un grande condot-tiero di uomini, un tatticoinsuperabile, ma ebbescarsa comprensione per iproblemi strategici. Morì aCaprera nel 1882, dove siera ritirato negli ultimi anni.

Nato a Torino il 14 marzo1820, Vittorio Emanuele IIera salito al trono del Regnodi Sardegna il 23 marzo1849, in seguito all'abdica-zione del padre, Carlo Al-berto, avvenuta sul campodi battaglia di Novara dopo

I grandi che hanno reso “Una” l’ItaliaPagine di storia scritte da uomini

che ricorderemo sempre

Il Risorgimento sulle note

musicali… Giuseppe Verdi

La musica è considerataespressione del tempo in cui sivive: la melodia e le parolehanno la capacità di raccon-tare la società. È sempre statocosì anche nel passato,quando il nostro Paese si èunificato. Il compositore chemeglio di ogni altro riuscì a in-terpretare attraverso la mu-sica, gli ideali e le speranze diquel tempo è Giuseppe Verdi. Giuseppe Fortunino France-sco Verdi nasce il 10 ottobre1813 a Roncole di Busseto, inprovincia di Parma. Il padreCarlo Verdi è un oste, lamadre invece svolge il lavorodella filatrice. Fin da bambinoprende lezioni di musica dal-l’organista del paese e gli studimusicali proseguono in questomodo fino a quando un com-merciante di Busseto, affezio-nato alla famiglia Verdi, loaccoglie in casa sua pagando-gli studi più regolari e accade-mici.Nel 1832 Verdi sipresenta al Conservatorio diMilano ma non viene am-messo per la scorretta posi-zione della mano nel suonaree per raggiunti limiti di età.Ritornato a Busseto ricoprel’incarico di maestro di musicadel Comune e sposa la figlia diBarezzi, Margherita e dalla re-lazione nascono Virginia e Ici-lio. Nel 1839 esordisce alla Scaladi Milano con “Oberto, Contedi San Bonifacio” ottenendoun discreto successo, pur-troppo offuscato dall’improv-visa morte prima diMargherita e poi di entrambi ifigli.Amareggiato, Verdi pensa diabbandonare per sempre lamusica, ma aiutato dalla suanuova compagna GiuseppinaStrepponi riesce a risollevarsi. Iniziano quelli che Verdi chia-merà “gli anni di galera” ossiagli anni contrassegnati da un

lavoro durissimo. Componevaopere in cui emergevano gliideali di libertà, di lotta per unpopolo soppresso dallo stra-niero.Un esempio lo si ritrova, nelNabucco, l’opera che è consi-derata tra le più risorgimentalidel compositore.Debutta il 9 marzo del 1842 alTeatro alla Scala di Milanodove, la vicenda degli Ebreidominati dai Babilonesi, nonpotè non far riflettere il popoloitaliano riguardo alla propriacondizione politica. E’ in que-sta occasione che “Va’ Pen-siero” divenne un simbolo dispinta della liberazione nazio-nale.Dopo l’incontro con il Cavouraderì al progetto di unifica-zione d’Italia sotto la guida deire della casa dei Savoia.Il suo nome rimane comunquevincolato agli ideali del Risor-gimento, trasformandosi in unacrostico rivoluzionario chevenne dipinto, per la primavolta, sulle mura di Roma:“Viva Verdi” che stava a signi-ficare Viva Vittorio Emanuelere d’Italia.Fatta l’Italia prende parte alprimo Parlamento dell’Italiaunita, è deputato per cinqueanni, dal 1861 al 1865, e nel1874 nominato senatore.In questi anni compone “Laforza del destino”, “Aida” e la“Messa da requiem” per lamorte di Alessandro Manzoni.Nel 1887, all’incredibile età diottant’ anni, da’ vitaall’”Otello”, nel 1893 conl’opera buffa ”Falstaff”, altrounico e assoluto capolavoro,dà addio al teatro e si ritira aSant’Agata.Giuseppe Verdimuore il 27 gennaio 1901,colto da malore spira dopo seigiorni di agonia. I suoi funeralisi svolgono come aveva chie-sto, senza né sfarzo né mu-sica, semplici come la sua vitaera sempre stata.

Domenico Sica Capoluogo

la sconfitta piemontese nella IGuerra d'Indipendenza. Man-tenne in vigore e difese lo Sta-tuto Albertino, rispettò i limiticoncessi al sovrano dalla CartaCostituzionale e si guadagnòl'appellativo di “Re galan-tuomo”. Egli, coadiuvato dalprimo ministro Camillo Bensoconte di Cavour, portò a compi-mento il Risorgimento e il pro-cesso di unificazione italiana,guadagnandosi l'appellativo di"Padre della Patria". Refrattarioagli studi Vittorio Emanuele, digran lunga, preferiva dedicarsiai cavalli, alla caccia ed allasciabola, oltre che all'escursio-nismo in montagna. Si dice cheil 27 luglio 1838 Vittorio Ema-nuele salì in vetta al Rocciame-lone, rifuggendo la grammatica,la matematica, la storia e qua-lunque altra materia che richie-desse lo studio o anche lasemplice lettura…è stato il

primo re d'Italia. Vedovo dal1855 della regina Maria Ade-laide di Asburgo-Lorena, sposòla popolana Rosina Vercellana,dopo averla creata contessa diMirafiori. Dopo una breve ma-lattia Vittorio Emanuele II morìa Roma il 9 gennaio 1878.

Camillo Benso, conte di Cavour(1816-1861), di Torino, uomopolitico e statista. Dopo aversoggiornato a Ginevra, Parigi eLondra e aver compiuto seristudi di economia e politica, sidedicò in un primo tempo allaconduzione della proprietà ter-riera paterna. Deputato al par-lamento subalpino fu ministrodell'Agricoltura e Commerciopoi delle Finanze e Presidentedel Consiglio dei Ministri nel1852. Intuendone l'importanzadiplomatica partecipò allaguerra in Crimea, a fianco deifranco-inglesi e portò per primo

a una conferenza europea (Con-gresso di Parigi, 1856) il pro-blema dell'Unità d'Italia. Nelconvegno a Plombières nel1858 si assicurò l'appoggio diNapoleone III nell'imminenteguerra con l'Austria. Contra-stando, di fatto, il passo a Ga-ribaldi, lo costrinse,minacciando una guerra civile,a cedere Napoli e la Sicilia al fu-turo Re d'Italia. Con i plebiscitidelle Due Sicilie e dei territoripontifici, Cavour poté nel 1861trasformare il Regno Sabaudodi Sardegna in regno d'Italia e afar proclamare Vittorio Ema-nuele II re d'Italia il 17 marzodello stesso anno.

Guglielmo Pepe è stato un pa-triota e generale italiano nel-l'esercito del Regno delle DueSicilie. Entrato nell'esercito ingiovane età subendo la scon-fitta contro le truppe borboni-

che, venne catturato ed esiliatoin Francia. Qui entrò nell'eser-cito di Napoleone distinguen-dosi in molte battaglie. Preseparte alla rivoluzione napole-tana del 1820, e fu sconfitto adAntrodoco dagli austriaci inquella che è ricordata come laprima battaglia del Risorgi-mento (7 marzo 1821). Poi co-mandò il corpo spedito daFerdinando I contro gli au-striaci nel 1848, impegnandosinella difesa di Venezia. Nuova-mente sconfitto ed esiliato emi-grò a Parigi. Rientrò in Italiapassando i suoi ultimi giorni divita a Torino. Fu una delle piùnobili figure del Risorgimentoitaliano, celebre perché nonsolo si impegnò nei movimentirepubblicani, ma scrisse anchenumerosi libri per raccontaregli eventi ed esortare ad una"Lotta partigiana" per l'Italia.

La Redazione

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Ricordare il passato permigliorare il futuro

La storia dell’Unità d’Italia,purtroppo, negli ultimi anniè stata trascurata. Le im-prese di tanti eroi che hannoperso la vita per consentire lanascita dello Stato italianosono state dimenticate.Basta dare uno sguardo alnome di tante strade dellenostre città per renderciconto di quanti patrioti sonomorti: Carlo Pisacane, peresempio che a Sapri, in pro-vincia di Salerno, morì men-tre organizzava la rivolta, etanti altri giovani che crede-vano nell’unità d’Italia. Quasitutte le città e i paesi hannouna piazza intitolata a Giu-seppe Garibaldi o a GiuseppeMazzini, ma non si ricordanopiù le loro gesta. È molto im-portante in questi giorni,come ha detto il Presidentedella Repubblica, Giorgio Na-politano, celebrare il 17marzo del 1861, il giornodella proclamazione del-l’Unità d’Italia e della nominadi Vittorio Emanuele II a red’Italia. Solo ricordando lanostra storia potremo conti-nuare ad impegnarci per mi-gliorare sempre di più lanostra società ed il nostro fu-turo.

Pappalardo Raffaele Capoluogo

Carlo PisacaneCarlo Pisacane lottava perl’unità d’Italia. Pensava cheper risolvere i problemi dellagente, come la povertà el’ignoranza, bisognava ribel-larsi alle monarchie che aquel tempo erano presenti inItalia, e ai ricchi proprietaridelle terre che facevano lavo-rare i contadini sfruttandoli.La ribellione doveva comin-

ciare dal Sud Italia dove re-gnavano malamente i Bor-bone.Infatti, fu il teorizzatore inItalia di quella che sarebbepoi diventata la "Propagandadel fatto", ovvero l'azioneavanguardista che general'insurrezione. Solo dopo averliberato il popolo dalle suenecessità materiali, si sa-rebbe potuto istruirlo ededucarlo per condurlo alla ri-voluzione. Ribadiva nel Sag-gio sulla rivoluzione “L'Italiatrionferà quando il contadinocambierà spontaneamente lamarra con il fucile”.Il 25 giugno 1857, Pisacane,insieme a 24 compagni,salpò da Genova sul piro-scafo di linea “Cagliari” e sene impadronì, ma non riuscìad incontrare le altre imbar-cazioni con cui il sicilianoRosalino Pilo avrebbe dovutoportargli le armi, perché cifu una tempesta in mare e ilcarico andò perduto.Da Genova arrivò a Ponza,dove insieme ai suoi uominiliberò circa 300 detenuti chesi aggregarono alla spedi-zione.Il 28 Giugno i patrioti rag-giunsero Sapri, dove pensa-vano di essere accolti daicontadini che insieme a lorosi sarebbero dovuti ribellareal re Ferdinando II di Bor-bone.Il re, invece, aveva fatto sa-pere ai contadini che stavanoper sbarcare degli ergasto-lani e perciò li attesero con lefalci in pugno.Circondati, gli uomini di Pi-sacane vennero barbara-mente uccisi, e soloqualcuno, più fortunato, riu-scì a scampare al massacro evenne fatto prigioniero.Terminava così, in un bagno

L’unità nelle nostre radiciChe emozione scoprire gli eroi di

casa nostra!

LA SPIGOLATRICE DI SAPRI

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

Me ne andavo un mattino a spigolare

quando ho visto una barca in mezzo al mare:

era una barca che andava a vapore,

e alzava una bandiera tricolore.

All’isola di Ponza si è fermata,

è stata un poco e poi si è ritornata;

s’è ritornata ed è venuta a terra;

sceser con l’armi, e noi non fecer guerra.

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

Sceser con l’armi, e a noi non fecer guerra,

ma s’inchinaron per baciar la terra.

Ad uno ad uno li guardai nel viso:

tutti avevano una lacrima e un sorriso.

Li disser ladri usciti dalle tane:

ma non portaron via nemmeno un pane;

e li sentii mandare un solo grido:

Siam venuti a morir pel nostro lido.

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

Con gli occhi azzurri e coi capelli d’oro

un giovin camminava innanzi a loro.

Mi feci ardita, e, presol per la mano,

gli chiesi: – dove vai, bel capitano? -

Guardommi e mi rispose: – O mia sorella,

vado a morir per la mia patria bella. -

Io mi sentii tremare tutto il core,

né potei dirgli: – V’aiuti ‘l Signore! -

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

Quel giorno mi scordai di spigolare,

e dietro a loro mi misi ad andare:

due volte si scontraron con li gendarmi,

e l’una e l’altra li spogliar dell’armi.

Ma quando fur della Certosa ai muri,

s’udiron a suonar trombe e tamburi,

e tra ‘l fumo e gli spari e le scintille

piombaron loro addosso più di mille.

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

Eran trecento non voller fuggire,

parean tremila e vollero morire;

ma vollero morir col ferro in mano,

e avanti a lor correa sangue il piano;

fun che pugnar vid’io per lor pregai,

ma un tratto venni men, né più guardai;

io non vedeva più fra mezzo a loro

quegli occhi azzurri e quei capelli d’oro.

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

Luigi Mercantini

CommentoUna spigolatrice, un mattino, andò a spigolare e in mezzoal mare vide una nave a vapore che aveva una bandieratricolore. La nave si fermò all’isola di Ponza poi a Sapri etutti i patrioti scesero con le armi, ma non fecero guerra,anzi, si inchinarono a baciare la terra mentre sul visoavevano una lacrima e un sorriso. Tutti pensavano chefossero ladri, ma non rubarono neanche un po’ di pane egridarono che erano venuti a morire per la loro Terra. Laspigolatrice rimase affascinata da un giovane con occhiazzurri e capelli biondi; si fece coraggio, prese la manodel giovane e gli chiese dove stava andando. Il giovane lachiamò sorella e le rispose che andava a morire per lasua bella Patria. La ragazza tremò e gli augurò in guerral’aiuto del Signore. La spigolatrice quel giorno si dimen-ticò di spigolare e si mise in cammino dietro ai patriotiche per due volte si incontrarono con i gendarmi e spa-rarono con le loro armi. Ma quando arrivarono presso lemura della Certosa si sentirono suonare tamburi etrombe e tra le scintille, il fumo e gli spari arrivarono piùdi mille soldati. Tutti i trecento uomini non si arresero,ne sembrarono tremila e vollero morire con le armi inmano. La spigolatrice pregò per loro, ma poi non vide piùquegli occhi azzurri e quei capelli d’oro che l’avevano cosìtanto colpita.

A cura della redazione di SavaConsiderazioni La poesia di Luigi Mercantini si riferisce ad uno degli epi-sodi del Risorgimento italiano che colpì in maniera par-ticolare gli animi della popolazione di quel tempo. Ilpoeta ci parla della spedizione di Carlo Pisacane che, nel1857 sbarcò a Sapri, piccola cittadina oggi in provinciadi Salerno, nel tentativo di sollevare la popolazione delluogo contro i Borbone. La storia è narrata da una spigo-latrice del luogo che assiste allo sbarco di Pisacane e deisuoi 300 uomini. Lo vede e se ne innamora. La donnaspera nella riuscita della spedizione, ma assiste impo-tente al loro massacro da parte delle truppe borboniche.“La Spigolatrice di Sapri” è considerata tra le migliori te-stimonianze della poesia patriottica del nostro Risorgi-mento.

Mirko Campanella SavaPer saperne di piùLa città di Sapri ha origini molto antiche e viene consideratail cuore del Golfo di Policastro.E’ ammirata ed elogiata damolti visitatori.Sapri è nota anche per la tragica spedizionedi Carlo Pisacane, un rivoluzionario italiano che tentò unaspedizione con trecento uomini che, purtroppo, fallì. Peròaprì le strade alla Spedizione dei Mille. L’evento è stato ricor-dato con una famosa poesia “La spigolatrice di Sapri” scrittada Luigi Mercantini.Nella prima metà del secolo scorso, gliabitanti della ridente località della costiera cilentana, percommemorare la tragica spedizione hanno dedicato un mo-numento a Carlo Pisacane nella villa comunale e una statuaalla spigolatrice, che è stata messa sullo scoglio rivolta versola baia di Sapri quasi ad avvistare quei trecento giovani va-lorosi soldati. D’allora ogni anno, in estate viene ricordato erievocato l’evento storico in costumi d’epoca.

De Chiara Francesco Sava

di sangue, una delle spedi-zioni più celebri e tragichedel Risorgimento italiano.Il ricordo dell’impresa di Pi-sacane è nella poesia “LaSpigolatrice di Sapri” delpoeta Luigi Mercantini. La tradizione dice che Pisa-

cane fosse stato avvistato dauna giovane donna, la Spigo-latrice. Ogni anno a Sapri si svolge larievocazione storica dellosbarco dei Trecento.

Saturno Tullia Althea Capoluogo

Parlano le fonti storicheIl 1848 fu un anno decisivo per tutti coloro che combattevanola lunga guerra risorgimentale. Guerre e rivoluzioni, parla-menti e movimenti politici, canzoni e giornali trasformaronoil continente e sconvolsero il sistema conservatore. Salernoe la sua provincia furono coinvolte e per molti aspetti prota-goniste di quell’esperienza esaltante e drammatica in cuimolti scoprirono il gusto per la politica. Il Cilento fu al centrodella rivoluzione salernitana. Ma un ruolo importante ebberoil resto della provincia e il capoluogo, dove emersero perso-nalità politiche di primo piano nella battaglia costituzionalee liberale. Quando le truppe borboniche si dirigevano a Ca-paccio per reprimere la rivolta, a Salerno si tenne una grandedimostrazione, con una sfilata per la marina. La cavalleriaborbonica di stanza nel capoluogo rispose caricando il corteo,ferendo molti, tra cui il professore di diritto Francesco Ro-mano e Michele Pironti; molti fuggirono. Dieci anni dopo leparti si rovesciarono, iniziò la crisi finale del Regno delle DueSicilie. Gli esuli salernitani tornarono per completare il lavorointerrotto nel 1848, impegnandosi a sostituire le vecchie isti-tuzioni con le nuove. Tre salernitani, patrioti attivi nelle bat-taglie, dopo l’Unitá, furono esponenti di primo piano dellapolitica e dei parlamenti nazionali: Giovanni Avossa di Sa-lerno, Filippo Abignenti di Sarno e Michele Pironti di Mon-toro. Pironti era un avvocato di fama tra i più celebri del forodi Salerno, conosciuto anche per la vasta cultura letteraria ela collaborazione a riviste scientifiche di tutto il Regno. Anche Avossa era un avvocato popolarissimo a Salerno e inprovincia. Abignenti, invece, era insegnante di Letteratura la-tina e di filosofia. I tre erano stati in prima linea negli annipassati nella diffusione delle idee liberali ed ora vivevano ilsogno di trasformare il Regno di Napoli in uno Stato moderno.Pironti fondò a Salerno La Guida del Popolo, un giornale tra ipiù dinamici, capace anche di affrontare le questioni socialiche si svilupparono nelle campagne napoletane. Avossa orga-nizzò la Guardia Nazionale del capoluogo, Abignenti fu intran-sigente rinnovatore delle leggi ecclesiastiche. Furono espostialla dura repressione borbonica. Avossa fu arrestato ed iniziòa passare da un carcere all’altro, fino a quando riuscì a recarsiin esilio a Malta. Anche Pironti, processato e condannato, passò 10 anni nelleterribili carceri borboniche. Non mancano figure femminili ti-picamente salernitane, come Emma Ferretti, unica donna cheaccompagnò Garibaldi nella sua entrata a Napoli il 7 settem-bre 1860 e la giovane popolana Rosina Sessa di Porta Rotese,straordinaria figura di patriota che aspettò Garibaldi al suoarrivo a Salerno e riuscì a parlare con lui. Notizie precedentisi hanno quando nel Cilento scoppiò una rivolta della Carbo-neria, organizzata da Antonio Galotti, la moglie, Serafina Api-cella, fallita la ribellione, venne arrestata, torturata, econdannata a 25 anni di prigionia. Dopo qualche anno,quando riuscì a liberarsi, raggiunse il marito esule in Fran-cia.

La redazione

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STORIA DELLA BANDIERAITALIANA

La bandiera italiana ha un

passato glorioso, così come

tutta la storia del nostro

Paese.

Da quando a scuola ci siamo

dedicati ad uno studio più

approfondito dei simboli

dell’Italia, abbiamo scoperto

il vero significato del nostro

Tricolore ed abbiamo impa-

rato ad apprezzarlo e a valo-

rizzarlo maggiormente.

A noi piace accostare la no-

stra Bandiera al gioco del

“ruba bandiera”, perché lo si

gioca all’aperto, in spazi

ampi, in piena libertà, così

come nell’Ottocento veni-

vano considerate le bandiere

tricolori: simbolo della li-

bertà.

La sua storia ha avuto inizio

più di duecento anni fa il 7

gennaio 1797 a Reggio Emi-

lia, quando il Parlamento

della Repubblica Cispadana

votò l’adozione della ban-

diera a fasce orizzontali di

tre colori: verde, bianco e

rosso e fu nel 1831 Giuseppe

Mazzini a scegliere il Trico-

lore come bandiera, quando

fondò la “ Giovine Italia “.

Il notissimo Benigni ha ipo-

tizzato che Mazzini sia stato

ispirato nella sua decisione,

da un verso del Purgatorio

della Divina Commedia di

Dante Alighieri che parla

dell’apparizione di Beatrice:

<< sovra candido vel, cinta

d’uliva, donna m’apparve

sotto verde manto, vestita di

color di fiamma viva>>. Che

emozione!

Ma il nostro Tricolore ne ha

percorsa di strada e ne ha

vissuti di momenti gloriosi!

Nel 1848 venne adottata da

Carlo Alberto di Savoia come

bandiera del Regno di Sarde-

gna con le bande verticali.

L’anno successivo questo

vessillo, con il motto ”Dio e

Popolo “, sventolò dal bal-

cone del Campidoglio,

quando si costituì la Repub-

blica romana, dopo

un’estrema difesa dagli at-

tacchi dei francesi, capeg-

giata da Garibaldi e che vide

il sacrificio, tra gli altri,

anche di Goffredo Mameli,

autore dell’Inno Nazionale.

Nel 1860 un regio decreto

stabilì le esatte dimensioni

delle bandiere militari e … fi-

nalmente, nel 1861, divenne

la bandiera del Regno d’Ita-

lia!

Nel 1897 a Reggio Emilia si

festeggiò il primo centenario

della Bandiera Italiana con

un accorato intervento di

Giosuè Carducci che si ri-

volse alla bandiera con que-

ste parole: «Sii benedetta!

Benedetta nell'immacolata

origine, benedetta nella via

di prove e di sventure per cui

immacolata ancora procede-

sti, benedetta nella battaglia

e nella vittoria, ora e sempre,

nei secoli!

Non rampare di aquile e

leoni, non sormontare di

belve rapaci, nel santo ves-

sillo; ma i colori della nostra

primavera e del nostro

paese, dal Cenisio all’Etna;

le nevi delle Alpi, l'aprile

delle valli, le fiamme dei vul-

cani.

E subito quei colori parla-

rono alle anime generose e

gentili, con le ispirazioni e gli

effetti delle virtù onde la Pa-

tria sta e si augusta: il

bianco, la fede serena alle

idee che fanno divina

l’anima nella costanza dei

savi; il verde, la perpetua ri-

Fratelli d'ItaliaDobbiamo alla città di Genova “Il Canto degli Italiani”, meglio conosciuto come “Inno

di Mameli”. Scritto nell'autunno del 1847 dall'allora ventenne studente e patriota

Goffredo Mameli, musicato poco dopo a Torino da un altro genovese, Michele Novaro,

il Canto degli Italiani nacque in un intenso clima di fervore patriottico e divenne il

canto più amato dell'unificazione, risorgimentale. Non a caso Giuseppe aVerdi, nel

suo Inno delle Nazioni del 1862, affidò proprio al Canto degli Italiani - e non alla Mar-

cia Reale - il compito di simboleggiare la nostra Patria. Fu quasi naturale, dunque,

che il 12 ottobre 1946 l'Inno di Mameli divenisse l'inno nazionale della Repubblica

Italiana.

D’Arco Giovanna Rago Pasquale- CapasimoIl poetaGoffredo Mameli dei Mannelli nasce a Genova il 5 settembre 1827. Studente e poeta

precocissimo, di sentimenti liberali e repubblicani, aderisce alle idee del Mazzini nel

1847, partecipa alle rivolte e compone Il Canto degli Italiani. D'ora in poi, la vita del

poeta-soldato sarà dedicata interamente alla causa italiana: all’ insurrezione di Mi-

lano, e alla battaglia contro gli Austriaci sul Mincio col grado di capitano dei bersa-

glieri. Collabora con Garibaldi e, in novembre, raggiunge Roma, dove, il 9 febbraio

1849, viene proclamata la Repubblica. Nonostante la febbre, è sempre in prima linea

nella difesa della città assediata dai Francesi: il 3 giugno è ferito alla gamba sinistra,

che dovrà essere amputata per la sopraggiunta cancrena. Muore d'infezione il 6 luglio

a soli ventidue anni, e le sue spoglie riposano nel Mausoleo Ossario del Gianicolo.

Pastore Luigi- Capasimo Il musicistaMichele Novaro nacque il 23 ottobre 1818 a Genova, dove studiò composizione e

canto. Convinto liberale, offrì alla causa dell'indipendenza il suo talento compositivo,

musicando decine di canti patriottici e organizzando spettacoli per la raccolta di fondi

destinati alle imprese garibaldine. Di indole modesta, non trasse alcun vantaggio dal

suo inno più famoso, neanche dopo l'Unità. Tornato a Genova, fra il 1864 e il 1865

fondò una Scuola Corale Popolare, alla quale avrebbe dedicato tutto il suo impegno.

Morì povero, il 21 ottobre 1885, e lo scorcio della sua vita fu segnato da difficoltà fi-

nanziarie e da problemi di salute. Per iniziativa dei suoi ex allievi, gli venne eretto un

monumento funebre nel cimitero di Staglieno, dove oggi riposa vicino alla tomba di

Mazzini.

Ferrigno Davide Petta Raffaele- CapasimoCome nacque l'innoLa testimonianza più nota è quella resa, seppure molti anni più tardi, da Carlo Al-

berto Barrili, patriota e poeta, amico e biografo di Mameli. Siamo a Torino: "Colà, in

una sera di mezzo settembre, in casa di Lorenzo Valerio, fior di patriota e scrittore di

buon nome, si faceva musica e politica insieme. Infatti, per mandarle d'accordo, si

leggevano al pianoforte parecchi inni sbocciati appunto in quell'anno per ogni terra

d'Italia…In quel mezzo entra nel salotto un nuovo ospite, Ulisse Borzino, l'egregio

pittore che tutti i miei genovesi rammentano. Giungeva egli appunto da Genova; e

voltosi al Novaro, con un foglietto che aveva cavato di tasca in quel punto: - To' gli

disse; te lo manda Goffredo. - Il Novaro apre il foglietto, legge, si commuove. Gli chie-

dono tutti cos'è; gli fan ressa d'attorno. - Una cosa stupenda! -esclama il maestro; e

legge ad alta voce, e solleva ad entusiasmo tutto il suo uditorio. - Io sentii – mi diceva

il Maestro - dentro di me qualche cosa di straordinario, che non saprei definire

adesso, con tutti i ventisette anni trascorsi. So che piansi, che ero agitato, e non po-

tevo star fermo.” Il racconto di quei momenti emozionanti attraverso le parole del

musicista Michele Novaro: “Mi posi al cembalo, coi versi di Goffredo sul leggio, e

strimpellavo, assassinavo colle dita convulse quel povero strumento, sempre cogli

occhi all'inno, mettendo giù frasi melodiche, l'un sull'altra, ma lungi le mille miglia

dall'idea che potessero adattarsi a quelle parole. Mi alzai scontento di me; mi trattenni

ancora un po' in casa Valerio, ma sempre con quei versi davanti agli occhi della

mente. Vidi che non c'era rimedio, presi congedo e corsi a casa. Là, senza neppure

levarmi il cappello, mi buttai al pianoforte. Mi tornò alla memoria il motivo strimpel-

lato in casa Valerio: lo scrissi su d'un foglio di carta, il primo che mi venne alle mani:

nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo e, per conseguenza, anche sul

povero foglio; fu questo l'originale dell'inno Fratelli d'Italia."

La redazione

Tre colori, una sola bandiera!La storia intrecciata del Tricolore

e dell’Inno di Goffredo Mameli

fioritura della speranza a

frutto di bene nella gioventù

de' poeti; il rosso, la pas-

sione ed il sangue dei mar-

tiri e degli eroi.

E subito il popolo cantò alla

sua bandiera ch' ella era la

più bella di tutte e che sem-

pre voleva lei e con lei la li-

bertà».

Sarà nel 1948 la Costitu-

zione a stabilire con l’art.12

che” La Bandiera della Re-

pubblica Italiana è il Trico-

lore: verde, bianco e rosso a

tre bande verticali di uguale

dimensione”.

La redazione di Aiello

Il Tricolore nella musicaFamosissima è la canzone

risorgimentale scritta dal

patriota Dall’Ongaro e mu-

sicata da Cordigliani nel

1848 “La bandiera dei tre

colori”, fino a pochi decenni

fa cantata in tutte le scuole

elementari.

E la bandiera dei tre colori

sempre è stata la più bella,

noi vogliamo sempre quella,

noi vogliam la libertà,

noi vogliamo sempre quella,

noi vogliam la libertà,

la libertà, la libertà!

Tutti uniti in un sol fato

stretti intorno alla bandiera

griderem mattina e sera

viva viva il tricolor,

griderem mattina e sera

viva viva il tricolor,

il tricolor, il tricolor!

E la bandiera dei tre colori

sempre è stata la più bella,

noi vogliamo sempre quella,

noi vogliam la libertà,

noi vogliamo sempre quella,

noi vogliam la libertà,

la libertà, la libertà!

Tutti uniti in un sol fato

stretti intorno alla bandiera

griderem mattina e sera

viva viva il tricolor,

griderem mattina e sera

viva viva il tricolor,

il tricolor, il tricolor!

"...raccolgaci un'unica ban-

diera; una speme..." così

Goffredo Mameli scrisse nel

testo dell'Inno nazionale ita-

liano. Questo passaggio,

che si legge nella seconda

strofa, richiama all'unità

nazionale sotto un solo sim-

bolo: il Tricolore italiano.

La redazione di Aiello

Il Tricolore nella poesia

Molti poeti del Risorgimento

usarono la scelta dei colori

per scrivere versi e per dare

ad essi significati diversi:

« Su i limiti schiusi,

su i troni distrutti

Piantiamo i comuni

tre nostri color!

Il verde la speme

tant’anni pasciuta,

il rosso la gioia

d’averla compiuta,

il bianco la fede

fraterna d’amor»

Giovanni Berchet, All’armi all’armi!, 1831

« Noi pure l'abbiamo

la nostra bandiera

non più come un giorno

sì gialla, sì nera;

sul candido lino

del nostro stendardo

ondeggia una verde

ghirlanda d'allor:

de' nostri tiranni

nel sangue codardo

è tinta la zona

del terzo color»

Arnaldo Fusinato,

Il Canto degli Insorti,aprile 1848

La redazione di Antessano

« Se una rosa vermiglio

o un gelsomino

a una foglia d'allor

metti vicino

i tre colori avrai

più cari e belli

a noi che in quei

ci conosciam fratelli

i tre colori avrai

che fremer fanno

chi ancor s'ostina

ad essere tiranno»

Domenico Carbone, Sono Italiano, 1848

« I tre colori

della tua bandiera

non son tre regni

ma l'Italia intera:

il bianco l'Alpi,

il rosso i due vulcani,

il verde l'erba

dei lombardi piani»

Francesco Dall'Ongaro,Garibaldi in Sicilia,

maggio 1860

La redazione di Sava

IILL CCAANNTTOO DDEEGGLLII IITTAALLIIAANNII

FFrraatteell ll ii dd'' II ttaa ll iiaa,,ll '' II ttaall iiaa ss '' èè ddeessttaa,, ddeell ll '' eellmmoo ddii SScciipp iiooss'' èè cc iinnttaa llaa tteessttaa .. DDoovv''èè llaa VViitt ttoorr iiaa?? LLee ppoorrggaa llaa cchhiioommaa,, cchhee sscchhiiaavvaa dd ii RRoommaa IIddddiioo llaa ccrreeòò.. SSttrr iinnggiiaammccii aa ccoooorrttee,, ssiiaamm pprroonnttii aall llaa mmoorrttee .. SSiiaamm pprroonntt ii aall llaa mmoorrttee,, ll '' II ttaall iiaa cchhiiaammòò.. SSttrr iinnggiiaammccii aa ccoooorrttee,, ssiiaamm pprroonnttii aall llaa mmoorrttee .. SSiiaamm pprroonntt ii aall llaa mmoorrttee,, ll '' II ttaall iiaa cchhiiaammòò,, ss ìì!!

NNooii ffuummmmoo ddaa sseeccooll ii ccaa llppeessttii ,, ddeerr iissii ,, ppeerrcchhéé nnoonn ssiiaamm ppooppoollii ,, ppeerrcchhéé ss iiaamm ddiivviiss ii .. RRaaccccoollggaaccii uunn''uunniiccaa

bbaannddiieerraa,, uunnaaa ssppeemmee:: ddii ffoonnddeerrrccii iinnssiieemmeee ggiiàà ll ''oorraaa ssuuoonnòò..SSttrr iinnggiiaammcccii aa cccoooorrtttee,, ssiiaamm pprroonnnttiii aaall llaa mmoorrtttee .. SSiiaamm pprroonntt ii aaall llaa mmoorrttee,, ll '' II ttaall iiaa cchhhiiiaammòò,, ss ìì!!!

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DDaall ll ''AAllppee aa SSiiccii lll iiaa,, DDoovvuunnqquuuee èè LLeeggnnaannoo;; OOggnn''uuoomm dddii FFeeerrrruuccccciioo HHaa ii ll ccoorreee ee llaa mmaannoo;;

II bbiimmbbiii ddd'' III ttaaa llii aaSSiii cchhiiaammaaann BBaaa llii ll llaa ;;; II lll ssuuuooonnn dd''' oogggnniii sssqqquuuiii lll lllaaa II VVeessspprrr iii ssuuuoonnnòò..SStttrr iinnggiiiaammcciii aaa ccooooorrtteee,, ssiiaaamm ppprrroonnttt ii aalll lllaa mmooorrttee.. SSiiiaamm ppprroonntt ii aa lllllaa mmmoorrtteee,, ll '' II tttaaall iiaa cchhiiaammmòò,, ss ìì!!

SSooonnn gggiiuunnccchhii cchhee pppiiieeeggaannnooo LLee sssppaadddeee vveeennddduuuttteee;;GGiiàà lll '''AAqqquuii lllaa dd''AAuuusssttrrr iiaaLLee pppeennnnnee hhaaa ppeerrrddduuutttee ..II lll ssaaannggguuee ddd ''' III ttaall iiaaEE ii ll sssaaannggguuee PPoolllaaaccccooBBeevvvéé cccooll CCooossaaaccccoo,,MMaaa ii ll cccoorr llleee bb rruuuccciiòò..SStttrr iinnggiiiaammcciii aaa ccooooorrtteee,, ssiiaaamm ppprrroonnttt ii aalll lllaa mmooorrttee.. SSiiiaamm ppprroonntt ii aa lllllaa mmmoorrtteee,, ll '' II tttaaall iiaa cchhiiaammmòò,, ss ìì!!

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Italia, paese di arte

e cultura

Dopo� l’Unità�d’Italia�nello� “

Stivale”�sono�nati�grandi�ar-

tisti,�poeti,�filosofi,�cantanti,

scienziati� e� anche� Premi

Nobel.�Risorgimento,�spedi-

zioni,� missioni,� eroi� ecc.

Negli�ultimi�tempi�non�si�fa

altro�che�parlare�di�questo.

Penso� sia� giusto,� ma� do-

vremmo�anche�guardare�chi

ha� reso� famosa

l’Italia�dopo�esser

stata� unita.� Giu-

seppe�Verdi�(Ron-

cole� Verdi,� 10

ottobre�1813-�Mi-

lano,� 27� gennaio

1901)� è� stato� un

compositore� ita-

liano,� autore� di

melodrammi� co-

nosciuti�in�tutto�il

mondo.� Il� più� famoso� è� il

“Nabucco”.

Antonio�Meucci�(Firenze,�13

aprile� 1808-� Staten� Island,

18�ottobre�1889)�è�stato�un

inventore� italiano,� celebre

principalmente� per� l’inven-

zione�del�telefono.

Giosuè� Carducci� (Valdica-

stello,�27�luglio�1835-�Bolo-

gna,� 16� febbraio� 1907)� è

stato�un�poeta�e�uno�scrit-

tore�da�Nobel.

Alessandro� Manzoni� (� Mi-

lano,�7�marzo�1785-�Milano,

22� maggio� 1873),� fu� uno

scrittore,� poeta� e� dramma-

turgo.�Il�suo�più�celebre�la-

voro�è�il�romanzo�“I�Promessi

Sposi”.

Luciano�Pavarotti�(�Modena,

12�ottobre�1935-�Modena,�6

settembre�2007)�è�stato�un

celeberrimo�tenore.

Grazia�Deledda�(�Nuoro,�27

settembre� 1871-� Roma,� 15

agosto� 1936)� è� stata� una

scrittrice� e� traduttrice� ita-

liana,� nata� in� Sardegna� e

vincitrice� del� Premio� Nobel

per�la�letteratura�nel�1926,�il

secondo�dopo�Carducci�e�la

seconda�donna�al�mondo�a

riceverlo.

Enzo� Ferrari� (� Modena,� 18

febbraio�1898-�Modena,�14

agosto�1988)�fu�un�pilota�au-

tomobilistico�e�imprenditore

italiano,� fondatore� della

Casa� automobilistica� che

porta�il�suo�nome,

la� cui� sezione

sportiva,� la� Scu-

deria�Ferrari,�con-

quistò,�lui�vivente,

nove� campionati

del� mondo� piloti

di� Formula� 1� e

quindici�totali.

Umberto�Boccioni

(�Reggio�Calabria,

19� ottobre� 1882-

Verona,� 17� agosto� 1916)� è

stato� un� pittore� e� scultore

italiano.�Fu�teorico�e�princi-

pale� esponente� del� movi-

mento� futurista,� nonché

maggior�esponente�dell’arte

futurista�italiana.

Rita�Levi�Montalcini�(�Torino,

22�aprile�1909)�è�una�scien-

ziata�e�senatrice�italiana.�Ha

vinto�il�Premio�Nobel�per�la

medicina� nel� 1986.� Ancora

oggi,�alla�straordinaria�età�di

102�anni,�si�reca�nel�labora-

torio� della� sua� fondazione

per�proseguire�le�ricerche�sul

cervello.�Infatti,�in�una�delle

sue�più�recenti�interviste�ha

detto:<<� Il� mio� corpo� può

fare� quello� che� vuole.� Io

seguo�la�mia�mente>>.�Que-

sti�personaggi,�e�tanti�altri,

hanno� reso�e�continuano�a

rendere� famosa� e� piena� di

cultura�la�nostra�Italia,�man-

tenendo�alto�il�suo�lustro.

Catapano Alberto

Pasquale Antessano

IL� Brigantaggio:

eredità� del� pas-

sato…questione

meridionale�oggi!

Con�la�nascita�del

Regno�d’Italia,�nel

1861� iniziarono� a

sorgere� insurre-

zioni�popolari�con-

tro� il� nuovo

governo,� che� inte-

ressarono� le� cam-

pagne� del

Mezzogiorno.� Le

condizioni� econo-

miche� peggiorate,

l’incomprensione

della�nuova�classe

dirigente,� l’au-

mento�delle�tasse�e

dei�prezzi�dei�beni

di�prima�necessità,

l’aggravarsi� della

questione� dema-

niale�dovuta�all’op-

portunismo� dei

ricchi� proprietari

terrieri,� furono� le

cause� principali

del� Brigantaggio,

tra�cui,� la�miseria

quella�di�fondo.

L’agricoltura�del�Mezzogiorno�era�molto

arretrata�e�le�popolazioni�erano�vissute

fino�al�1860,�in�una�sorta�di�isolamento

culturale�ed�economico�con�la�creazione

di�un�mercato�nazionale�che�si�andò�af-

fermando�già�nel�1861.�L’economia�del

Sud�subì�un�crollo�provocato�sia�dall’abo-

lizione�delle�protezioni�doganali�borboni-

che,� che� permise� l’afflusso� di� beni� di

consumo�prodotto�dall’industria�capitali-

stica�del�Nord,�sia�dall’aumento�delle�im-

poste,� che� divennero� un� carico

insopportabile.�Tra�le�molteplici�ragioni�di

disagio�e�scontentezza�dei�contadini�del

Sud�incisero�pesantemente�l’imposta�sul

macinato,�che�gravava�in�modo�dramma-

tico�sull’economia�familiare,�e�il�problema

della�distribuzione�delle�terre�demaniali,

cioè�appartenenti�allo�Stato.�Secondo�le

promesse�e�le�intenzioni�dei�politici,�que-

ste�terre,�divise�in�piccoli�lotti,�dovevano

essere�vendute�ai�contadini�poveri,�ma�in

realtà�lo�Stato,�bisognoso�di�danaro,�non

potendo�rinviare�a� lungo� la� riscossione

dei�pagamenti�rateali,�preferì�vendere�a

chi� poteva� versare� subito� il� danaro,� e

quindi�le�terre�demaniali�finirono�con�l’es-

sere�acquistate�dai�già�ricchi�proprietari

terrieri,�che�in�tal�modo,�aumentarono�il

loro�potere�economico�e�politico.�Fu�isti-

tuito�il�servizio�militare�obbligatorio�che

toglieva�braccia�e�sostentamento�alle�fa-

miglie�dei�contadini�già�povere.

Allora,�braccianti,�soldati�borbonici,�gari-

baldini�e�decine�di�migliaia�di�ribelli�si�na-

scosero� nelle� zone� montuose� dando

inizio�a�una�guerriglia.�Da�un�lato�face-

vano�incursioni�per�sottrarre�beni�ai�ric-

chi� proprietari� terrieri,� dall’altro

combattevano�contro� l’esercito�piemon-

tese�che�governava�in�modo�molto�rigido.�

La�rivolta�esplose�violenta�tra�il�1861�e�il

1865,�fu�condotta�da�queste�bande�rite-

nute�di�“�briganti�“�e�non�può�essere�ri-

dotta�a�un�fatto�puramente�criminale:�il

Brigantaggio�fu�una�lotta�contro�i�proprie-

tari�terrieri�e�i�borghesi�del�Nord.

Il� Brigantaggio� trovò� un� aiuto� potente

nell’appoggio� dei� Borbone,� rifugiatisi� a

Roma,� sotto� la� protezione� pontificia.

Francesco�II�fornì�denaro�agli�uomini�nel

tentativo�di�trasformare�le�bande�di�bri-

ganti�in�un�vero�esercito�che�avrebbe�do-

vuto�riportarlo�sul�trono�di�Napoli.

Numerosi�furono�i�briganti�che�passarono

alla�storia.�Carmine�“Donatello”�Crocco,

che�con�circa�duemila�uomini�compì�scor-

ribande�tra�Basilicata,�Campania,�Molise

e�Puglia.�Da� ricordare:� il� campano�Co-

simo�Giordano,�Luigi�“Chiavone”�Alonzi�e

Michele�“Colonnello”�Caruso.�Essi�veni-

vano�considerati�dalle�masse�contadine

una�sorta�di�Robin�Hood.

Il�governo�considerò�il�Brigantaggio�una

minaccia�all’unità�del�paese,�di�cui�erano

responsabili�i�Borbone�e�il�Papa,�e�di�con-

seguenza�la�repressione�fu�molto�cruenta

e� fu� condotta� da� militari� come� Enrico

Cialdini,� Alfonso� La� Marmora,� Pietro

Fumel,�Raffaele�Cadorna,�che�destarono

polemiche�per�i�metodi�impiegati.

Ebbe�inizio�così�uno�dei�problemi�irrisolti

che�ancora�oggi�affligge�il�Sud:�la�“�Que-

stione�meridionale”,�punto�di�partenza�di

tutte�le�“mafie”.

Sica Domenico Clemente Dennis

Saturno Tullia Althea- Capoluogo

Unità oggi…tanti problemi, ma anche orgoglio di avere nomi illustriL’unità dello “Stivale” tra brigantaggio,

arte, cultura ed eroi “vecchi e nuovi”

Un vero partigiano

A�Baronissi�si�è�tenuta�una�conferenza�sull’Unità�d’Italia,

abbiamo�visto�un�video�e�ascoltato�l’Inno�nazionale,�poi�la

parola�è�passata�a�un�partigiano,�Mario�Zinna,�in�battaglia

“Pugno”.�Prima�che�parlasse�c’è�stato�un�“religioso”�silen-

zio,�nell’ascoltare�un�vero,�verissimo�testimone�di�un’altra

epoca!�Ci�ha�detto�che�le�donne�aiutavano�molto,�alcune

andavano�con�loro�sul�campo�di�battaglia,�erano�vere�e

proprie�partigiane.�Altre�portavano�cibo�e�acqua�e�notizie

sui�nemici.�Grande�è�stato�il�loro�contributo�nell’aiutarli�a

mantenere�i�contatti�con�la�famiglia.

Tra�le�tante�parole:-�E’�stato�proprio�grazie�ad�una�donna

che�ha�sfidato�il�pericolo�per�raggiungermi�e�portarmi�la

notizia�della�morte�di�mio�padre,�che�ho�potuto�dargli�l’ul-

timo�saluto.

Ha�parlato�con�rammarico�dei�giovani�di�oggi,�che�credono

che�tutto�sia�loro�dovuto�e�che�la�libertà�sia�facile�da�otte-

nere,�così�naturale�e�scontata!�Mentre�i�partigiani�hanno

combattuto�tanto�e�sono�morti�per�conquistarla.

E’�stato�molto�gentile�e�chiaro�e�mi�ha�permesso�di�capire

quanto�loro�siano�stati�importanti�per�noi,�infatti,�come

gli�eroi�del�Risorgimento�hanno�combattuto�in�nome�della

libertà�anche�se�in�situazioni�storiche�diverse.�Mi�hanno

colpito�le�sue�lacrime�all’ascolto�dell’inno�e�le�parole�usate

per�giustificare�il�suo�pianto:-�Per�me�cantare�l’inno�rap-

presenta�la�gioia�della�libertà�ottenuta�e�la�certezza�che�i

nostri�sacrifici�non�sono�stati�inutili.

Questa� commovente� testimonianza� resterà� sempre� nel

libro�dei�miei�ricordi!�

Adinolfi Renata Aiello.

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( MAGAZINE )

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Quattro eroi moderni fedeli ai valori della nostra ItaliaL’esempio di Peppino Impastato, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e don Giuseppe Diana, ammazzati dalla mafia e dalla camorra

Peppino ImpastatoFiglio e nipote di mafiosi, Peppino Impastato vive a cento passi

da Gaetano Badalamenti, boss di Cinisi. Peppino non sop-

porta il silenzio

imposto e non

sopporta la mafia.

Così si ribella al

padre, fondando

con l’aiuto di altri

ragazzi una radio.

L ’ e m i t t e n t e

“Radio Aut” tra-

sforma Cinisi in

“Mafiopoli” e Tano

Badalamonti in “

Don Tano” ed è

aperta al pubblico. Il padre cerca di zittirlo, ma non ci riesce,

allora lo caccia di

casa. Ma il 9 Mag-

gio del 1978 Pep-

pino Impastato

muore sui binari

della ferrovia Pa-

lermo - Trapani,

vicino Cinisi.

Muore con una

carica di tritolo

alla cintura e

viene subito con-

siderato “suici-

dio”. Però

vent’anni dopo il caso viene riaperto grazie alle insistenze

della madre, del fratello e degli amici del Centro Siciliano di

documentazione fondato da Umberto Santini. Così Don Tano

viene condannato, egli ne aveva deciso la morte perché attac-

cava il suo carisma di boss. Peppino Impastato andava punito

perché si era ribellato al padre mafioso. A Baronissi, la citta-

dina in cui vivo, è stata intitolata una biblio - mediateca in

onore di Peppino Impastato ed io ne sono molto orgogliosa.

Adinolfi Renata Aiello

Giovanni Falcone nasce a Palermo nel 1935, ultimo di tre figli, in una famiglia né

ricca né povera. Il padre Arturo è direttore del Laboratorio provin-

ciale di igiene e profilassi, la madre Luisa Bentivenga, casalinga.

Alle elementari fatica a stare seduto per tutto l’orario delle lezioni

e, nel tempo libero, gioca a ping pong nell’oratorio di padre Gia-

cinto alla Kalsa, il quartiere che lo vede crescere. Dopo il liceo clas-

sico, frequenta per pochi mesi l’Accademia Navale, poi passa a

Giurisprudenza, dove si laurea con il massimo dei voti. Nel 1964

vince il concorso in magistratura. E’ pretore a Lentini e sostituito

procuratore a Trapani. Quando arriva a Palermo, la mafia ha ap-

pena ucciso Cesare Terranova, un magistrato che, a metà degli

anni Settanta, descrive la mafia come un fenomeno dannoso per

le “ sottili infiltrazioni nella vita pubblica ed economica”. In quegli

anni, negli uffici giudiziari di Palermo ci sono anche magistrati ti-

morosi e prudenti e le condanne all’ergastolo, più che ai mafiosi,

vengono riservate ai relitti umani che trascinano la loro vita ai

margini della città. I collaboratori di giustizia ancora non esistono.

Le deposizioni dei testimoni sono

caratterizzate da reticenze e paure,

molti delitti restano a carico di

ignoti e un giudice come Cesare

Terranova diventa una persona in-

gombrante con il destino segnato.

Come segnato è il destino di Rocco

Chinnici, il magistrato che nel

1980 affida a Falcone l’incarico di

indagare su un mafioso che ha

contatti con gli Studi Uniti. Gio-

vanni Falcone comincia a seguire i

soldi, gli assegni che si spostano da

una banca all’altra e che i boss uti-

lizzano per acquistare ingenti par-

tire di eroina. Grazie a una

modalità investigativa nuova ed efficace che prevede accertamenti

patrimoniali e bancari, vengono arrestati i responsabili del traffico

di droga tra Italia e Stati Uniti e scovate le ricchezze di tanti ma-

fiosi. L’incontro con Tommaso Buscetta, un boss che nel 1984 de-

cide di collaborare con la giustizia, rappresenta un passo decisivo

nella conoscenza della mafia. Una scelta che Buscetta compie dopo

che, in una sanguinosa guerra di mafia, gli sono stati ammazzati

due figli, un fratello, un genero, un cognato e quattro nipoti.

Chiede di parlare proprio con Giovanni Falcone. A lui rivela tutti i

segreti di Cosa Nostra, una montagna di informazioni con cui viene

istituito il maxi-processo; il processo dei processi, che si svolge a

Palermo con ben quattrocentosettantacinque imputati. Dopo, nulla

è più come prima: Falcone comincia a essere temuto dentro e fuori

il palazzo di Giustizia e ci sono colleghi che cercano di screditarlo.

Il 21 giugno del 1989, la mafia prova a ucciderlo con cinquantasei

candelotti di tritolo sugli scogli dell’Addaura, davanti alla villa dove

è solito trascorrere le vacanze estive. Passano meno di tre anni e

Falcone lascia la Sicilia. Va a dirigere la sezione affari penali del

Ministero di Grazia e Giustizia, per incarico dell’allora ministro

Claudio Martelli. In questo modo è convinto di poter dare nuovo

impulso alla lotta contro la mafia. Sono gli anni in cui mette ap-

punto l’idea della Procura nazionale antimafia, un organismo di

raccordo nella lotta alla criminalità organizzata su tutto il territorio

nazionale. Un lavoro che non fa in tempo a completare. Viene uc-

ciso il 23 Maggio del 1992 durante un viaggio a Palermo. Con lui

perdono la vita la moglie e tre dei quattro agenti della scorta.

De Chiara Agnese Inverso Claudia

Riccardi Floriana Adinolfi Marika AIELLO

Paolo BorsellinoPaolo Borsellino nasce e cresce alla Magione, quartiere

popolare di Palermo.

Figlio di farmacisti, la sua vita gravita intorno a piazza

della Kasla, gli stessi luoghi frequentati da Giovanni Fal-

cone. Scrive:<< Per anni ho

pensato quanto fosse impal-

pabile in quel quartiere, il

confine che ci separava dalla

mafia. Come tanti altri ra-

gazzi che abitano alla ma-

gione avrei potuto imboccare

la strada di contrabban-

diere, di uomo d’onore, anzi-

ché quella di magistrato >>.

Dopo aver fatto il pretore a

Mazara del Vallo e a Mon-

reale, arriva all’ufficio istru-

zione del Tribunale di

Palermo dove, assieme a

Giovanni Falcone prepara il

maxi processo.

Tra i due magistrati si consolidano un’amicizia e una col-

laborazione contro la mafia che nel 1992 li porta alla

morte, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro.

Dopo la strage di Capaci, in cui persero la vita il suo

amico Giovanni Falcone, la moglie e parte della scorta,

Borsellino è consapevole dei rischi, ma continua la sua

lotta.

Racconta la moglie Agnese: << Paolo si aspettava di mo-

rire da un momento all’altro … Mi diceva - Mi uccide-

ranno. Non sarò una vendetta della mafia, la mafia non

si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che material-

mente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la

mia morte saranno altri>>.

Borsellino viene ucciso a cinquantasette giorni di di-

stanza da Falcone, sparato da un colpo di pistola del

boss Totò Riina, che i mafiosi chiamavano “il capo dei

capi”, in Via d’Amelio mentre stava andando a trovare la

madre con la sua scorta.

Un terribile boato: una voragine infernale si presenta agli

occhi del mondo, quel tragico 19 luglio del 1992.

Napoli Raffaele Aiello

Un vero padre…Don Peppe Diana

Quella di Don Giuseppe Diana è la storia di un prete speciale,

un’altra vittima di mafia. Un giorno, durante l’omelia, grida con

forza:- A me non importa sapere chi è Dio, a me importa sapere

da che parte sta.

Don Peppe Diana sta dalla parte giusta.

Promuove cortei e manifestazioni, so-

stiene liste civiche e appelli. “per amore

del mio popolo non tacerò” scrive in una

lettera sottoscritta da altri sacerdoti

della zona. E spiega:-Assistiamo impo-

tenti al dolore di molte famiglie che ve-

dono i figli finire miseramente vittime o

mandanti della Camorra. La Camorra è

oggi una forma di terrorismo che mette

paura, s’impone con violenza: armi in

pugno, regole inaccettabili, estorsioni,

tangenti, traffici illeciti. La mattina del 19 marzo 1994 è il suo

onomastico. Con un gruppo di amici si dirige verso la chiesa di

San Rosario, a Casal di Principe, paese avvelenato dalla Ca-

morra. Si trova davanti un uomo armato. Partono cinque colpi.

Così muore Don Giuseppe Diana. Ma non basta la morte! Co-

mincia subito una miserabile battaglia per infangare il suo

onore. I giornali scrivono che era legato alla Camorra, altri che

andava con donne. Solo due anni dopo giustizia è fatta: vengono

condannati il mandante e gli esecutori dell’omicidio.

L’impegno nel sociale di Don Peppe Diana faceva troppa paura

alla Camorra.

Farina Francesco Aiello

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( MagaZinE )

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oggi i libri di storia delle scuole primarie finiscono il programma

con la caduta dell’impero romano. negli anni novanta, invece, il

programma arrivava fino “ai giorni nostri” perciò gli alunni cono-

scevano la storia dei patrioti ai quali dobbiamo l’unità d’italia. a

molti di questi sono state dedicate alcune strade delle nostre città,

ma noi, purtroppo, non abbiamo alcuna idea di chi fossero questi

eroi del passato, proprio perché non li studiamo. a me dispiace

molto questa mancanza e sarebbe corretto ampliare il programma

scolastico per includere nuovamente anche questo periodo storico

molto importante e istruttivo.( Campanella Mirko)

oggi risulta molto grave che il risorgimento italiano, così impor-

tante, significativo per la formazione e la conoscenza civile di noi

ragazzi, stia lentamente scomparendo, dato che alle scuole elemen-

tari non viene più studiato, tralasciandolo solo all’ultimo anno delle

scuole medie e ai licei. il nostro risorgimento non merita di essere

trascurato, perché è ricco di eventi, di eroi della pace, di insegna-

menti preziosi sul valore della libertà e del bene comune.

(Citro Giulia)

Questa parte di storia che non si studia più io un po’ la conosco

perché la maestra ce ne ha parlato in modo molto approfondito. Ha

appassionato molto anche i miei compagni di classe perché è più

vicina ai nostri tempi a differenza di quella dei romani. noi ci scon-

triamo con essa quando attraversiamo strade o camminiamo in

piazze con i nomi degli eroi del risorgimento, come ad esempio

corso garibaldi, via Mazzini, piazza del risorgimento che si tro-

vano a Baronissi e in tanti altri paesi sparsi in tutta italia.

( Cavaliere Pasquale)

Fino a otto, nove anni fa, sui libri di storia dei bambini italiani,

c’era la storia dell’unità d’italia. oggi invece, la storia si studia fino

ai romani e questo noi bambini non lo consideriamo giusto. delle

volte quando usciamo con i nostri genitori, leggiamo: piazza ca-

vour, corso vittorio Emanuele, corso garibaldi, e tutte le centinaia

di nomi che ora non ricordo. chiediamo ai nostri genitori cosa si-

gnificano e loro ogni volta ci rispondono:-Questa è una storia lun-

ghissima che è avvenuta tanti e tanti anni fa. noi rimaniamo delusi

e con quel dubbio che ci tormenta:-che razza di italiani siamo se

non conosciamo neanche la nostra storia? (De Chiara Angela)

come mai il nostro programma di storia finisce al tempo dei ro-

mani? non è giusto! E invece eccoci qui, a non sapere nemmeno in

che anno Mameli ha scritto il nostro inno! io ne vorrei sapere un

po’ di più, soprattutto vorrei conoscere subito la storia degli angeli

che hanno reso bella la nostra italia. se lo so è grazie alla memoria

dei nonni! oppure grazie solo ai libri che leggo (Villani Martina)

sarebbe bellissimo studiare queste cose perché alcune volte

quando i miei familiari parlano di garibaldi, Mazzini, pisacane, …

mi sembra di stare su un altro pianeta, ancora non scoperto!

adesso la mia maestra a scuola ci sta spiegando un po’ cos’è l’unita

d’italia, ma ovviamente in alcune settimane si può solo riassumere,

e questo a me dispiace perché io e i miei amici siamo appassionati

della storia. ( Pastore Giulia)

anche a me non sembra giusto non studiare questo periodo storico

come facevano i nostri genitori e nonni da piccoli. nella mia scuola

le maestre, e soprattutto la maestra che insegna cittadinanza ci

sta facendo fare dei cartelloni, scrivere, copiare nomi delle vie da

una cartina e poi approfondire le notizie raccolte, ma mai come

negli anni passati. i tempi oramai sono cambiati! in passato ave-

vano libri giganti su cui c'era la storia dell’unità d’italia, e questo

lo so perché non solo ho chiesto in giro e anche a mia nonna, ma

ho fatto delle ricerche (De Chiara Agnese)

io penso che nelle scuole si debba studiare la storia dell’unità d’ita-

lia perché è il percorso che a noi “italiani” ha fatto diventare liberi.

credo che la dovremmo studiare anche per i tantissimi uomini

morti per liberare l’italia dal dominio degli stranieri. Hanno lottato

anche dei ragazzi come Mameli che ci ha regalato il bellissimo

“inno”nazionale che oggi portiamo nei nostri cuori (Liguori Serena)

alcune vie hanno nomi di persone famose che fanno parte della no-

stra storia. Faccio l’esempio di corso vittorio Emanuele. noi sap-

piamo che ha fatto qualcosa, ma la domanda è:- cosa avrà fatto

vittorio Emanuele? lo so grazie a una ricerca e non è giusto! Ho

saputo anche che corso vittorio Emanuele nacque nel 19° secolo

per volere di Ferdinando ii e fu progettato dall’architetto e urbani-

sta Errico alvino. (Amodio Marika)

noi bambini dobbiamo arrivare in terza media per poter studiare

gli eroi del risorgimento, ma noi siamo curiosi, anzi curiosissimi e

vogliamo sapere qualcosa di più già oggi. credo sia importante stu-

diarli perché rappresentano il nostro passato (Adinolfi Marika)

Mi chiedo:-perché a scuola non si studia la storia dell’unità d’italia?

E solo quest’anno che ricorrono i 150 anni si ricorda l’evento e si

festeggia.

Facendo un’analisi approfondita ho scoperto che tutte le persone

che, in questi ultimi anni, hanno già frequentato le scuole primarie

non sanno che cosa è “la spigolatrice di sapri” e altro… E’ un’in-

giustizia non conoscere la storia del proprio paese! (Inverso Clau-

dia)

noi bambini abbiamo il diritto di conoscere le nostre origini e sa-

pere chi furono i grandi uomini che riuscirono ad unire l’italia. non

è giusto sapere solo che l’italia è stata unita nel 1860. io pregherei

tutti i genitori di raccontare questa gloriosa storia ai propri figli o

fargli vedere qualche documentario. così saremmo ben informati e

insieme ne potremmo discutere e scambiarci le riflessioni (Villari

Simone.)

le mie emozioni sul risorgimento sono molto forti soprattutto

quando sento tutti i nomi degli eroi: giovani e vecchi, famosi e non

famosi, ricchi e poveri che sono morti per gli italiani di oggi, altri-

menti ora saremmo ancora sotto il dominio straniero.

Mi meraviglio molto anche quando percorro le strade perché vedo

che sono tanti i nomi di eroi che hanno dato la vita per l’italia (Rago

Pasquale)

Quando noi ragazzi giriamo per le varie piazze leggiamo quasi con

indifferenza i nomi: piazza Mazzini, piazza cavour, corso garibaldi,

corso vittorio Emanuele ecc... ma queste targhe raccontano una

storia che noi ragazzi purtroppo non conosciamo e per me, è molto

brutto saperne poco essendo essa la mia storia.( Baldi carmen)

Mi frulla per la testa questa domanda:- perché nelle classi quinte

delle scuole primarie di tutta l’italia non si studia più la storia fino

ai giorni d’oggi? Mi sono informato tramite una ricerca fatta su

google e ho scoperto che una legge recentissima ha stabilito che

gli alunni delle scuole primarie devono studiare la storia fino al-

l’impero romano. io non sono d’accordo perché così come impa-

riamo la storia dell’antichità, abbiamo il diritto di conoscere la

storia contemporanea e capire il significato della festa del 17

Marzo.(Napoli Raffaele)

noi studenti siamo un po’ rammaricati perché avremmo desiderato

studiare questo periodo anziché gli argomenti che vengono trattati.

con ricerche eseguite, abbiamo scoperto delle informazioni molto

interessanti sulla nostra storia e sui personaggi vissuti nel risor-

gimento. senza la ricerca avremmo dovuto aspettare di conoscerle

alle scuole medie o dare uno sguardo ai libri dei nostri genitori o

dei nostri zii e cugini perché fino a pochi anni fa, alle elementari si

trattavano. (Mazzariello Natalia Saturno Tullia Althea)

a me e ai miei amici dispiace che questa storia non si studi più. ci

piacerebbe fare un corso pomeridiano di storia per approfondire

l’argomento, così come facciamo con il giornalino per approfondire

e arricchire la lingua italiana (Napoli Raffaele, Ferrigno Davide,

Pappalardo Raffaele, Farina Francesco.)

Quando sono in giro con i miei genitori per la città, spesso mi capita

di imbattermi in targhe con scritto il nome della via, intitolate a

personaggi famosi che hanno contribuito all’unificazione dell’italia,

e quindi alla nascita del nostro paese. Ma chi sono queste famose

persone? Mi chiedo! vorrei tanto saperne di più perché oggi non si

studiano a scuola. per mia curiosità, ho fatto domande ai miei ge-

nitori, ai maestri e letto articoli. Questo argomento mi affascina

molto, e sarei contento se fosse possibile studiarlo anche a scuola

così come facevano i miei genitori.(Rescigno Pasquale)

E’ giusto privarci di studiarE

il nostro passato glorioso?