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24 ottobre 2003 Gino Attilio Di Vita La fusione semplificata nella riforma del diritto delle società I. Aspetti generali. L'azione del legislatore, nell'attuazione della riforma del diritto delle società in materia di procedure semplificate di fusione, è risultata limitata e circoscritta da un lato dalle indicazioni contenute nella Legge delega 3 ottobre 2001, numero 366, la quale, all'articolo 3, imponeva, come obiettivo principale della riforma, nell'ambito dell'istituto della fusione, quello di "semplificarne e precisarne il procedimento, nel rispetto, per quanto concerne le società di capitali, delle direttive comunitarie", e dall'altro dai principi contenuti nella Direttiva comunitaria numero 78/855/CEE in data 9 ottobre 1978, espressamente richiamata dalla Legge delega, parzialmente già recepiti nel nostro sistema per effetto del decreto legislativo numero 22/1991, modificativo dell'istituto della fusione quale originariamente previsto dall'impianto del codice civile. Si deve innanzi tutto precisare che il limite imposto dalla legge delega, con riferimento alle direttive comunitarie, non riguarda le società di capitali, come impropriamente indicato dal richiamato articolo 7 della legge medesima, bensì soltanto le società i cui capitali risultino espressi in azioni, alle quali soltanto, relativamente all'ordinamento italiano, risulta indirizzata la richiamata Direttiva comunitaria per espressa previsione contenuta nell'articolo 1. Nell'ambito dei limiti sopra cennati, il legislatore ha conseguentemente operato formulando: a) un'ipotesi di fusione semplificata per il caso in cui alla fusione partecipino soltanto società il cui capitale non sia rappresentato da azioni, in proposito dettando l'articolo 2505 quater del codice civile; b) e ipotesi di fusioni semplificate per le società il cui capitale risulti invece rappresentato da azioni, sfruttando, nel perseguire gli scopi imposti dalla Legge delega, margini consentiti dalla medesima Direttiva comunitaria e non utilizzati nell'ambito della sua prima applicazione. Occorre poi verificare se la disciplina dettata per le società azionarie sia estensibile anche alla nuova ipotesi di procedura semplificata di fusione alla quale non partecipino tali tipi di società o debba invece essere considerata normativa in contrapposizione all'altra. II. Il procedimento semplificato nel caso di partecipazioni di società non azionarie. Il legislatore della riforma, nell'evidenziato intento di perseguire la massima semplificazione imposta dalla Legge delega, ha introdotto, per le fusioni alle quali partecipano soltanto società che per azioni non siano, il nuovo articolo 2505 quater del codice civile, creando un procedimento di fusione semplificato ed accelerato, mediante l'introduzione di una serie di deroghe al procedimento di fusione delineato dalla Direttiva comunitaria, nella realtà italiana, per le società azionarie ed unitariamente recepito e concepito dal legislatore del 1991. La lettura piana dell'articolo in esame porta ad affermare che la relativa procedura semplificata deve ritenersi attuabile in tutti i casi in cui partecipano alla fusione società non azionarie, a prescindere dal tipo di società che, in ipotesi di fusione propria, venga a determinarsi, potendo tale procedimento semplificato dare vita, in tale ipotesi, ad una società il cui capitale sia rappresentato da azioni. Il nuovo articolo ha introdotto, per i casi di fusione in esame, la disapplicazione delle disposizioni contenute negli articoli 2501, secondo comma (in materia di partecipazione alla fusione di società in liquidazione), e 2501 ter, secondo comma (in materia di conguaglio in denaro ad integrazione del rapporto di cambio), la possibilità di derogare, con il consenso unanime di tutti i soci delle

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24 ottobre 2003

Gino Attilio Di Vita

La fusione semplificata nella riforma del diritto delle società

I. Aspetti generali.L'azione del legislatore, nell'attuazione della riforma del diritto delle società in materia diprocedure semplificate di fusione, è risultata limitata e circoscritta da un lato dalle indicazionicontenute nella Legge delega 3 ottobre 2001, numero 366, la quale, all'articolo 3, imponeva, comeobiettivo principale della riforma, nell'ambito dell'istituto della fusione, quello di "semplificarne eprecisarne il procedimento, nel rispetto, per quanto concerne le società di capitali, delle direttivecomunitarie", e dall'altro dai principi contenuti nella Direttiva comunitaria numero 78/855/CEE indata 9 ottobre 1978, espressamente richiamata dalla Legge delega, parzialmente già recepiti nelnostro sistema per effetto del decreto legislativo numero 22/1991, modificativo dell'istituto dellafusione quale originariamente previsto dall'impianto del codice civile.Si deve innanzi tutto precisare che il limite imposto dalla legge delega, con riferimento alledirettive comunitarie, non riguarda le società di capitali, come impropriamente indicato dalrichiamato articolo 7 della legge medesima, bensì soltanto le società i cui capitali risultinoespressi in azioni, alle quali soltanto, relativamente all'ordinamento italiano, risulta indirizzata larichiamata Direttiva comunitaria per espressa previsione contenuta nell'articolo 1.Nell'ambito dei limiti sopra cennati, il legislatore ha conseguentemente operato formulando:a) un'ipotesi di fusione semplificata per il caso in cui alla fusione partecipino soltanto società ilcui capitale non sia rappresentato da azioni, in proposito dettando l'articolo 2505 quater del codicecivile;b) e ipotesi di fusioni semplificate per le società il cui capitale risulti invece rappresentato daazioni, sfruttando, nel perseguire gli scopi imposti dalla Legge delega, margini consentiti dallamedesima Direttiva comunitaria e non utilizzati nell'ambito della sua prima applicazione.Occorre poi verificare se la disciplina dettata per le società azionarie sia estensibile anche allanuova ipotesi di procedura semplificata di fusione alla quale non partecipino tali tipi di società odebba invece essere considerata normativa in contrapposizione all'altra.

II. Il procedimento semplificato nel caso di partecipazioni di società non azionarie.Il legislatore della riforma, nell'evidenziato intento di perseguire la massima semplificazioneimposta dalla Legge delega, ha introdotto, per le fusioni alle quali partecipano soltanto società cheper azioni non siano, il nuovo articolo 2505 quater del codice civile, creando un procedimento difusione semplificato ed accelerato, mediante l'introduzione di una serie di deroghe alprocedimento di fusione delineato dalla Direttiva comunitaria, nella realtà italiana, per le societàazionarie ed unitariamente recepito e concepito dal legislatore del 1991.La lettura piana dell'articolo in esame porta ad affermare che la relativa procedura semplificatadeve ritenersi attuabile in tutti i casi in cui partecipano alla fusione società non azionarie, aprescindere dal tipo di società che, in ipotesi di fusione propria, venga a determinarsi, potendo taleprocedimento semplificato dare vita, in tale ipotesi, ad una società il cui capitale sia rappresentatoda azioni.Il nuovo articolo ha introdotto, per i casi di fusione in esame, la disapplicazione delle disposizionicontenute negli articoli 2501, secondo comma (in materia di partecipazione alla fusione di societàin liquidazione), e 2501 ter, secondo comma (in materia di conguaglio in denaro ad integrazionedel rapporto di cambio), la possibilità di derogare, con il consenso unanime di tutti i soci delle

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società partecipanti alle fusioni, alle disposizioni dell'articolo 2501 sexies (in materia di relazionedegli esperti) e la riduzione alla metà dei termini imposti dagli articoli 2501 ter, quarto comma(trenta giorni fra l'iscrizione del progetto di fusione e la decisione delle società), 2501 septies,primo comma (deposito di documenti presso la sede della società per trenta giorni antecedenti ladecisione in ordine alla fusione), e 2503, primo comma (sessanta giorni fra l'iscrizione delledecisioni sulla fusione e l'attuazione della fusione medesima).

IIa. Ammissibilità di partecipazione alla fusione di società in liquidazione.La prima disapplicazione richiamata, quella relativa alla disposizione del secondo commadell'articolo 2501 del codice civile, è la conseguenza della distinzione effettuata dalla Riforma frasocietà il cui capitale sia rappresentato da azioni e società da queste diverse, venendosi a limitare,quindi, soltanto alle prime il divieto imposto dall'articolo 3, punto 2, della Direttiva comunitaria78/855/CEE, articolo che, nel consentire agli Stati membri di prevedere che la fusione possaattuarsi anche quando una o più società a fondersi siano in liquidazione, ammette tale possibilitàsoltanto per le società che non abbiano ancora iniziato la distribuzione dell'attivo tra i propri soci.Nella vigenza, ante riforma, del cennato divieto per tutte le società partecipanti alla fusione,ampiamente dibattuto era stato il problema relativo alla individuazione del primo atto dellaprocedura di liquidazione classificabile come atto di distribuzione del residuo attivo; il nuovoarticolo 2505 quater pone, viceversa, il problema di individuare il momento ultimo della fase dellaliquidazione in cui sia ancora possibile attribuire alla società una valenza attiva, suscettibile di unavalutazione economica che consenta di quantificare un rapporto di cambio fra le società a fondersie, comunque, non abbia ad incidere su diritti ormai acquisiti dai soci alla distribuzione di unresiduo attivo sociale.Occorre in proposito valutare le finalità perseguite dalla Riforma nel consentire anche alle societànon azionarie in liquidazione, e in pratica a qualsiasi fase della liquidazione stessa, di parteciparead una fusione; se, cioè, tale possibilità debba intendersi comunque circoscritta alla condizioneche tutte le società a fondersi, anche se in liquidazione, siano suscettibili di una valutazioneeconomica che determini, per effetto della fusione, la nascita di un soggetto società operativo sulmercato, o invece allargata anche a semplice finalità di risparmio, nel senso che la fusione di piùsocietà in liquidazione, lungi dal dover determinare la nascita di un nuovo soggetto operativo sulmercato, possa invece essere determinata dalla opportunità di ridurre le spese, attraverso un unicoprocedimento di liquidazione per più società, una volta fusesi in un soggetto destinato non adoperare sul mercato, ma a continuare una fase di liquidazione in termini unitari, consentendo direalizzare risparmi tali da rendere distribuibili attività residue, in caso contrario magari nonconseguibili.La espressa previsione della possibilità che partecipino ad una fusione società in liquidazioneelimina la necessità che si proceda preventivamente, per la società in liquidazione, alla formalerevoca dello stato di liquidazione, in quanto, in questo caso, verrebbe a partecipare alla fusioneuna società non più in liquidazione, nuovamente operativa e nel pieno possesso delle propriefacoltà sul mercato, come tale idonea ad avvalersi della procedura di fusione, a prescindere daqualsiasi specifico riferimento normativo alle società in liquidazione; né la partecipazione ad unafusione per una società in liquidazione può determinare un'alterazione dei quorum costitutivi edeliberativi dell'assemblea che delibera appunto la fusione, dovendosi a tali quorum aversiriguardo, senza ipotizzare la necessità, nel caso in esame, di decisioni da adottarsi in assembleacon le maggioranze statutariamente o pattiziamente previste per le delibere di revoca dello stato diliquidazione.

IIb. Ammissibilità senza limiti di conguagli.Altra disapplicazione riguarda l'articolo 2501 ter, secondo comma, del codice civile, nel senso chenon è necessario, nell'ipotesi in oggetto, che il conguaglio, eventualmente previsto al fine di

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rendere più agevole la determinazione del rapporto di cambio, eliminando una complicatagestione di resti, sia inferiore al dieci per cento del valore nominale delle azioni o delle quoteassegnate, soglia questa imposta dalla richiamata Direttiva comunitaria all'articolo 3, primocomma, al fine precipuo di evitare che, attraverso la previsione di conguagli a percentuali elevate,si renda possibile, in pratica, l'estromissione, dalla partecipazione al nuovo soggetto scaturentedalla fusione, di soci delle società fusesi.La nuova normativa ha in proposito inteso privilegiare l'interesse a procedere speditamente nelladefinizione del rapporto di cambio e a consentire agli organi di amministrazione delle società afondersi di avvalersi della corresponsione di denaro al fine di evitare lunghe e penose discussioniin ordine al più equilibrato rapporto di valore e di cambio delle partecipazioni vantate nellesocietà a fondersi.E' intuitivo, comunque, che nella fattispecie in esame si deve sempre essere in presenza di unconguaglio, non ritenendosi possibile estendere la disapplicazione dell'articolo 2501 ter, secondocomma, al punto di prevedere la integrale liquidazione in denaro della partecipazione dei soci diuna delle società a fondersi; in questo caso, di integrale liquidazione in denaro di partecipazione disoci, non avremmo una fusione in senso tecnico, ma un procedimento più articolato, del tipoprevisto e regolato dall'articolo 2505 bis del codice civile, che troverebbe attuazione attraversol'acquisto della totalità delle partecipazioni ad una società da parte di un'altra e la successivaincorporazione di società interamente posseduta, laddove, diversamente operandosi e dandosi vitaunicamente ad una operazione di fusione, con liquidazione delle partecipazioni dei soci a fusioneavvenuta, avremmo acquisto di azioni proprie da parte della società incorporante o risultante dallafusione, assolutamente vietato dalla normativa vigente per le società diverse da quelle per azioni erigorosamente disciplinato per quelle azionarie.Nel caso in cui alla fusione partecipino società di persone, per le quali è possibile che lepartecipazioni dei soci non abbiano un riferimento nominale, in mancanza di autonoma previsionenormativa del legislatore della Riforma, il calcolo del conguaglio potrà essere riferito alla "paritàcontabile", al criterio sussidiario, cioè, stabilito dalla Direttiva comunitaria per tutti i casi in cuinon sussista un valore nominale delle partecipazioni societarie, ipotesi questa possibile nelsistema italiano, prima della riforma, soltanto per le società di persone ed ora, a seguito dellaRiforma, prevista, anche, per effetto dell'articolo 2346 del codice civile, in materia di società perazioni, ancorché non rilevi nella fattispecie in argomento.

IIc. Derogabilità alla relazione degli esperti.Nella fattispecie in esame risulta inoltre consentita la derogabilità delle disposizioni dettatedall'articolo 2501 sexies, purchè tale deroga sia deliberata all'unanimità da tutti i soci delle societàpartecipanti alla fusione; tale derogabilità riguarda la relazione degli esperti, elemento dellaprocedura di fusione che tutela, come si cercherà di dimostrare, esclusivamente gli interessi deisoci, in quanto tende ad assicurare il controllo della corrispondenza del rapporto di cambiodeterminato dagli organi di amministrazione alla realtà economica e di mercato delle società afondersi, restando assolutamente esclusa dalle finalità di tale relazione ogni e qualsiasi tutela diinteressi diversi, estranei, cioè, a quelli dei soci.La derogabilità della necessità della relazione degli esperti, normativamente consentita oggi con ilconsenso di tutti i soci per effetto di espressa previsione normativa nel procedimento di fusionefra società i cui capitali non siano rappresentati da azioni, elimina radicalmente, nella fattispeciein esame, i problemi già affrontati in dottrina circa la rinunziabilità in genere, sempreall'unanimità, alla relazione degli esperti, problema sul quale, appunto, prima della Riforma, ildibattito si era aperto sulla base della valutazione degli interessi effettivamente tutelati da tale faseprocedurale; oggi si pone, invece, il problema se la previsione normativa di tale derogabilitàsoltanto per l'ipotesi di fusione alla quale non partecipino società azionarie, non comporti, alcontrario, l'impossibilità di ritenere rinunziabile, con gli stessi procedimenti deliberativi, tale

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relazione anche nell'ipotesi di fusione ordinaria, per la quale non risulta sussistere in propositodisposizione alcuna, né di divieto, né di permesso.Prima dell'avvento della Riforma era stata inizialmente affermata la inderogabile necessità dellarelazione degli esperti, nel presupposto che fosse posta a tutela anche degli interessi dei creditoridelle società coinvolte, almeno sotto l'aspetto informativo; analoga posizione ebbe ad assumere ilTribunale di Milano con proprio decreto del 2 novembre 2000, in seno al quale venne ribadita laconsiderazione che la relazione degli esperti poteva essere omessa soltanto nei casinormativamente disciplinati dall'articolo 2504 quinquies ante riforma del codice civile, dovendoinvece considerarsi ineliminabile in ogni altro caso, in quanto prevista a tutela del diritto diinformazione dei soci, a garanzia dei creditori e delle società e del singolo socio e anche al fine dievitare spostamenti di ricchezza a titolo gratuito, contestandosi l'assunto che l'unanimità dei socisul progetto di fusione, e quindi anche sul rapporto di cambio, potesse escludere la necessità dellarelazione medesima.L'individuazione della funzione precipua della relazione degli esperti nella tutela degli interessidei soci di ciascuna società a fondersi, e soltanto di detti interessi, circa la congruità del rapportodi cambio indicato nel progetto di fusione redatto dagli organi di amministrazione, e quindi circala convenienza a stipulare la fusione nei termini proposti dagli organi di amministrazione, risultasostenuta dalla Corte d'Appello di Milano, la quale, riformando con proprio decreto del giorno 8gennaio 2001, depositato in cancelleria in data 12 gennaio 2001, il provvedimento sopra citato,ebbe a ritenere che le norme che impongono la relazione degli esperti sul concambio tutelanosoltanto la posizione del singolo socio, sotto il profilo di una sua adeguata informazione sulmantenimento del valore economico della sua partecipazione in società, e non risultano finalizzatealla tutela né dei creditori particolari del socio, estranei a qualsiasi coinvolgimento nelprocedimento di fusione, né dei creditori sociali, ai quali è dato lo specifico strumentodell'opposizione, né ad evitare trasferimenti di ricchezza a titolo gratuito.La redazione di tale relazione costituisce, quindi, un diritto disponibile rispetto al quale spetta alsingolo socio il potere individuale di valutare l'idoneità dei mezzi prescelti a presidio dei propriinteressi, mezzi che, come nel caso della relazione degli esperti, sono, invece, indisponibili dallamaggioranza assembleare; deve pertanto ritenersi necessario e sufficiente che tutti i soci, nellaloro individualità e, quindi, attraverso l'espressione di un consenso unanime, si determinino aderogare al procedimento valutativo disposto dalla legge, deliberando di poterne fare a menoqualora raggiungano la convinzione di essere in possesso di sufficienti indici di giudiziosull'argomento oggetto di delibera.Ai singoli soci compete una discrezionalità di valutazione assoluta, la quale consente l'incontrodelle loro volontà, in termini unanimi, al fine di pervenire all'accordo sulla determinazione delrapporto di cambio, indipendentemente dalla relazione dell'esperto e da qualsiasi riscontro dinatura contabile - estimativa, ma sulla base di valutazioni inerenti a nuovi equilibri aziendali o aprospettive legate al futuro diverso assetto societario.In termini siffatti ebbe ad esprimersi anche il Consiglio Notarile di Milano, in una sua massima,valida sia per le fusioni che per le scissioni, secondo la quale non è necessaria la relazionedell'esperto sulla congruità del rapporto di cambio, allorché tutti i soci delle società partecipantialla fusione o alla scissione vi abbiano rinunziato, e ciò si faccia constare nei relativi verbaliassembleari.La relazione degli esperti può, pertanto, ritenersi intesa a fornire ai soci un parere sulla congruitàdelle valutazioni e determinazioni effettuate dall'organo amministrativo, in funzione di attivitàprodromica e sintetizzatrice dei presupposti economici alla deliberazione di fusione, espressione,quest'ultima, di norma, del potere economico esercitato in forma collettiva e metaindividuale,idoneo, se totalitario ed unanime, a disporre anche dell'interesse alla tutela delle singolepartecipazioni dei soci all'attività economica.

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A detta relazione, pertanto, i soci possono non soltanto derogare, deliberando l'approvazione delprogetto di fusione anche in presenza di una relazione contraria, ma addirittura rinunziareall'unanimità, in quanto unici titolari, perché unici portatori del relativo interesse, del potere divalutazione dell'idoneità di mezzi prescelti a presidio dei propri interessi.Gli altri interessi che il Tribunale di Milano e i sostenitori dell'irrinunziabilità alla relazione degliesperti pretendono siano tutelati da detta relazione sono stati individuati nei creditori sociali, neicreditori del singolo socio e nell'Erario.Per la prima categoria risulta sostenuto che l'obbligo di procedere alla pubblicazione sia dellarelazione degli amministratori che della relazione degli esperti, unitamente alla deliberazione difusione e agli altri documenti prescritti dall'articolo 2502 bis ante riforma del codice civile, puòessere letto come disposizione che, attraverso una tale pubblicazione, intende dare anche aicreditori e ai terzi, sia pure indirettamente, un'informazione valida ai fini di un eventuale eserciziodei diritti di tutela loro riconosciuti.Tale lettura, però, sembra esclusa dal richiamato provvedimento della Corte d'Appello di Milanoche ha riconosciuto ai soci la possibilità di rinunziare, sia pure all'unanimità, alla relazione degliesperti, in quanto normativamente prevista nell'esclusivo interesse dei soci; uguali conclusionipossono trarsi in materia di relazione degli amministratori, dal momento che le finalità perseguiteda questa sono da considerarsi analoghe a quelle perseguite dall'altra, sulla base anche del datonormativo dell'articolo 2504 quinquies ante riforma del codice civile, che apparenta le duerelazioni sul piano della loro inutilità nel procedimento semplificato di fusione, inutilità nonaccettabile qualora dette relazioni fossero entrambe o singolarmente destinate alla tutela diinteressi diversi da quelli dei soci. Il deposito presso il registro delle imprese, unitamente alla deliberazione di fusione, deidocumenti indicati nell'articolo 2501 sexies ante riforma, ora septies, del codice civile risultaimposto, dall'articolo 2502 bis ante e post riforma del codice civile, al fine di realizzare unapubblicità notizia che coinvolga tutte le fasi e gli elementi della fusione, senza assumere unaspecifica funzione di tutela di interessi specifici, alla quale, almeno in relazione all'interesse deisoci ad una esauriente informazione, è piuttosto demandato il deposito presso la sede sociale aisensi del predetto articolo 2501 sexies ante riforma del codice civile.Gli interessi dei creditori personali dei soci, per i quali la disciplina della fusione non detta normaalcuna, devono trovare tutela negli istituti generali volti ad eliminare gli effetti di atti ecomportamenti idonei a determinare pregiudizi e lesioni del patrimonio del debitore; gli interessidei creditori sociali, come in prosieguo più articolatamente si evidenzierà, sono diversamentetutelati; e gli interessi dell'Erario, che si asseriscono lesi da eventuali spostamenti di ricchezza atitolo gratuito perseguibili e perseguiti con la fusione, ove ancora rilevanti sotto il profiloimpositivo a seguito dell'abolizione delle imposte sulle successioni e donazioni, trovano tutelanelle norme antielusive contenute nell'ordinamento tributario, che consentonoall'Amministrazione Finanziaria di effettuare, in presenza di effetti elusivi o evasivi, accertamentiidonei a recuperare l'imposta elusa o evasa, ma non in grado di incidere sulla validità delladeliberazione adottata.E' da rilevare inoltre che, in materia di scissioni, risulta disposto, all'articolo 2506 ter del codicecivile, quarto comma, che "con il consenso unanime dei soci e dei possessori di altri strumentifinanziari che danno diritto di voto, nelle società partecipanti alla scissione l'organoamministrativo può essere esonerato dalla redazione dei documenti previsti nei commi precedentidello stesso articolo", e cioè dalla redazione della situazione patrimoniale e relativa relazioneillustrativa, elementi questi della procedura e della scissione e della fusione che costituiscono ilpresupposto necessario ed insopprimibile della relazione degli esperti e senza i quali non èpensabile che esperti possano fornire pareri sulla congruità del rapporto di cambio esull'adeguatezza del metodo seguito per la determinazione di tale rapporto.

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Sembra, quindi, possibile concludere che il legislatore abbia dimenticato di inserire, fra glielementi procedurali della scissione rinunziabili con delibera unanime da parte dei soggettiindicati nella norma stessa, anche la relazione degli esperti, diversamente dando vita ad unasemplificazione che tale non sarebbe, in quanto la necessità della relazione degli esperticostringerebbe l'organo di amministrazione a fornire a questi ultimi tutte quelle notizie edinformazioni di norma contenute negli elementi procedurali rinunziabili, con l'effetto dideterminare la necessità di una identica attività che, invece di sfociare in elementi ufficiali, darendere pubblici e in grado di costituire elementi di valutazione anche per i soci ai quali èdemandato il voto deliberativo finale sull'ipotizzata scissione, rimarrebbe circoscritta nell'ambitodell'ufficiosità, in un rapporto di mera informazione interna fra organo di amministrazione edesperti.Alla luce della normativa qui richiamata in materia di scissione, i cui presupposti e finalità ditutela non sono dissimili rispetto alla fusione, e delle conclusioni dottrinarie e giurisprudenzialialle quali si è pervenuti sotto la vigenza del dettato normativo ante Riforma, può concludersi chenon sembrano sussistere, anche nella vigenza della nuova normativa, motivazioni che possanorendere inaccettabile la rinunziabilità alla relazione degli esperti e alla relazione degliAmministratori, purchè in ogni caso le relative decisioni siano totalitarie ed unanimi.

IId. Riduzione dei termini. Alla disapplicazione e alla derogabilità degli elementi procedurali sopra evidenziate segue anche,nell'attuazione della semplificazione del procedimento di fusione nell'ipotesi in oggetto, lariduzione dei termini dettati per l'ipotesi di fusione normale, tale intendendosi quella prevista dallaDirettiva comunitaria riferita, come più volte si è detto, ad ipotesi di fusione alla quale partecipinosocietà i cui capitali siano rappresentati da azioni; nell'ipotesi in argomento, la riduzione deitermini in appresso indicati segue alla considerazione che, trattandosi di società che non attingonoal mercato del risparmio di rischio in quanto costituite spesso nell'ambito familiare o in unaristretta cerchia di operatori economici, che risultano impossibilitate a ricorrere al detto mercatoanche per quanto riguarda eventuali finanziamenti, limitati soltanto ad investitori professionalisoggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali, e che operano per lo più in ambitieconomici circoscritti, appare possibile ridurre i tempi necessari ai soggetti coinvolti nelprocedimento di fusione per valutare debitamente tutte le opportunità che la legge assicura loro alfine di consentire, nelle sedi opportune, la tutela dei propri interessi.

IId1. Riduzione del termine di cui all'articolo 2501 ter, comma quarto, del codice civile.Il primo termine che appare ridotto è quello relativo al tempo che deve intercorrere fra l'iscrizionedel progetto di fusione nel competente Registro delle Imprese e la data fissata per adottare ladelibera di fusione, tempo determinato, per le fusioni alle quali partecipino società di capitali,dall'articolo 2501bis, comma quarto, del codice civile, quale modificato a seguito della Legge 24novembre 2000, numero 340, articolo 30, in trenta giorni; detto termine, confermato, a seguitodella Riforma, all'articolo 2501ter, ultimo comma, del codice civile, risulta essere derogabile daparte di tutti i soci della società purchè con deliberazione da adottarsi all'unanimità, dovendosi,pertanto, ritenere che il legislatore abbia valutato detto termine come posto esclusivamente asalvaguardia degli interessi dei soci.In effetti gli interessi dei soggetti diversi dalle società coinvolte nella fusione e dai soci dellesocietà medesime, e cioè quelli dei creditori, risultano salvaguardati, sempre nell'ipotesi di fusionenormale e al fine di consentire una idonea valutazione sulla opposizione alla fusione, dal termineimposto fra la iscrizione della delibera di fusione e l'esecuzione della fusione medesima, oraprevisto dall'articolo 2503 del codice civile.Il terzo comma dell'articolo 2501ter del codice civile dispone, infatti, che il progetto di fusione siareso conoscibile da chiunque attraverso il deposito e la conseguente iscrizione nel registro delle

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imprese del luogo ove hanno sede le società partecipanti alla fusione; detti elementi proceduralihanno funzione di pubblicità notizia, nel senso che svolgono una funzione essenzialmenteinformativa per i terzi coinvolti nelle vicende delle singole società a fondersi, in quantoconsentono loro di conoscere tutti quegli aspetti della deliberanda fusione che il legislatore, persua scelta, nell'elenco risultante dal primo comma dell'articolo 2501ter del codice civile, haritenuto essenziali e significativi allo scopo prefissosi.E' da sottolineare, però, che la pubblicazione del progetto di fusione costituisce anche il momentoal quale fare riferimento per individuare, fra i creditori delle società a fondersi, quelli il cuiconsenso o soddisfacimento, anche a mezzo di adeguate garanzie o formali assicurazioni da partedi terzi, con conseguente assunzione di responsabilità, costituisce presupposto necessario peranticipare i tempi di attuazione della fusione e che comunque hanno diritto ad opporsi alla fusionemedesima.Per effetto di tale momento, i creditori di ogni singola società risultano scissi in due categorie,anteriori e posteriori alla pubblicazione del progetto di fusione, con conseguente diversa tutela deirispettivi interessi, in quanto supposti non omogenei.

( in nota: L'esigenza della tutela dei creditori delle società coinvolte nella fusione risultachiaramente avvertita dal legislatore europeo, quando, nel sesto "considerando" relativo allaDirettiva comunitaria del 9 ottobre 1978, prescrive che i creditori devono ottenere adeguategaranzie, qualora la situazione finanziaria delle società partecipanti alla fusione renda necessariatale tutela e i creditori non dispongano già di adeguate garanzie.)

Occorre sottolineare che la valenza intersoggettiva della fusione determina un intreccio di rapportifra le società a fondersi e i rispettivi creditori, in quanto può verificarsi, nel caso di condizionipatrimoniali incerte di una o più società coinvolte, un effetto negativo per i creditori delle altresocietà, a fronte del quale può verificarsi, però, un corrispondente effetto positivo per i creditoridelle prime, i quali vengono a beneficiare, in termini di garanzia generica, di un più razionale econsistente assetto patrimoniale del nuovo previsto unico soggetto debitore; l'atto di fusione,tuttavia, si pone come atto dispositivo di un diritto proprio delle singole società coinvolte, idoneoa determinare modificazioni interne alla relativa struttura societaria, atteggiandosi come atto digestione, attinente allo svolgimento dell'attività sociale, di per sé non direttamente dispositivo didiritti altrui, ma potenziale fonte di pregiudizio per i terzi e per i creditori sociali in particolare, ilcui coinvolgimento nella fusione avviene indirettamente, costituendo effetto collaterale di unprocedimento autonomo.Nel procedimento di fusione si dispone concretamente dei diritti dei creditori soltanto quando, inconformità al disposto dell'articolo 2503 del codice civile, la società voglia anticipare l'attuazionedella fusione, caso questo in cui essa, con la propria attività, toglie ai creditori, almeno a quelliclassificati anteriori, la possibilità di tutelare i propri interessi facendo ricorso al giudizio diopposizione; proprio perché trattasi di disposizione diretta di un diritto di terzi, occorre, in questaipotesi, che i creditori abbiano prestato il proprio consenso, ovvero siano stati soddisfatti, o sianostate depositate somme sufficienti al loro soddisfacimento, o sia stata resa, dall'unica società direvisione che abbia redatto la relazione degli esperti, l'asseverazione prevista dall'articolo 2503 delcodice civile, elementi procedurali, questi, atteggiantesi per la società come un vero e proprioonere all'esercizio di un proprio diritto; nell'ipotesi ordinaria di fusione, cioè di rispetto dei terminidi sessanta giorni previsti dall'articolo sopra richiamato, non si ha disposizione alcuna dei diritti diterzi, ma semplice coinvolgimento degli interessi dei creditori anteriori, che rimangono tutelatidalla possibilità di attivare il giudizio di opposizione.Attraverso il procedimento giudiziario conseguente all'opposizione si perviene alla valutazione,nel merito, dell'effettiva diminuzione della garanzia generica apprestata dal patrimonio dellasocietà debitrice per effetto, esclusivamente, della confusione dei patrimoni delle società coinvolte

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nella fusione, non potendosi, in detto giudizio, tenere conto di eventuali altre ragioni estranee allafusione od eventualmente connesse all'attività economica e ai conseguenti rischi propri dellasocietà della quale è creditore l'opponente, quali il fatto che il normale rischio di mercato,connesso con la specifica attività imprenditoriale del soggetto debitore, risulti aggravato pereffetto del coinvolgimento dell'alea connessa con l'attività imprenditoriale svolta dalle altresocietà a fondersi, determinando, medio tempore, il riverberarsi dei relativi effetti sulla situazioneeconomica del soggetto che, a procedimento concluso, risulterà titolare di tutti i patrimoniconfusisi; e ciò in quanto un tale effetto è legato alle variabili proprie del mercato e del mondoeconomico e costituisce l'essenza del normale rischio di impresa, valutabile da ogni operatorefinanziario.Sembra, quindi, possibile affermare che alla base della tutela degli interessi dei creditori, qualiessi siano, anteriori o successivi, volontari o involontari, sia concretamente un unico comuneinteresse, quello a non vedere diminuita la generica garanzia offerta dal patrimonio della societàdebitrice per effetto della confusione del suo patrimonio con quelli delle altre società coinvolte.La tutela, quindi, ha riguardo al pregiudizio scaturente dagli elementi costituiti dall'identità e,quindi, dal numero e dal nome dei soggetti titolari dei patrimoni destinati a confondersi per effettodella fusione, in relazione alla composizione e all'entità che i patrimoni stessi presentano ai singolidiversi momenti in cui sorge la tutela medesima:- momento della pubblicazione della delibera di fusione, a norma dell'articolo 2502bis del codicecivile, per i creditori anteriori;- e momento della pubblicazione del progetto di fusione, a norma dell'articolo 2501ter del codicecivile, per i creditori successivi.A prescindere da una lettura, diversa da quella tradizionale, del termine individuato dall'articolo2503, primo comma, del codice civile, secondo la quale detto termine sarebbe imposto a tutela diun rilevante interesse della società, per limitare il numero dei controinteressati alla fusionelegittimati ad intervenirvi, promuovendo un procedimento di opposizione, può concludersi che lafusione avrebbe quindi una valenza diversa:- rispetto ai creditori anteriori, interessati ad evitare, attraverso il giudizio di opposizione, unevento giuridico pregiudizievole per le ragioni sostanziali che essi vantano come creditori, si ponecome elemento potenzialmente negativo;- e rispetto ai creditori successivi, interessati, esclusivamente sotto il profilo procedimentale, adimpedire una fusione difforme dal progetto pubblicato, sul quale hanno fatto affidamento almomento di contrarre con la società, può considerarsi in termini neutri di una eventualità daprendersi in considerazione per la composizione, potenzialmente pericolosa sotto il profiloeconomico, dei propri rapporti con la società.La conoscibilità del progetto di fusione e la regola dell'immodificabilità del progetto di fusione,almeno nei suoi elementi essenziali, tali ritenibili sicuramente quelli indicati al punto 1) del primocomma dell'articolo 2501 ter del codice civile e, per alcuni, l'ammontare del capitale della societàscaturente dalla fusione, (in nota: E' da rilevare che il capitale della società a risultare dallafusione può essere determinato in misura minore rispetto alla somma dei capitali delle societàcoinvolte, al netto delle partecipazioni eventualmente annullate, così determinandosi lacostituzione di una riserva da fusione, come tale disponibile; in tale ipotesi si ipotizza una lesione,che, però, è meramente eventuale e sicuramente futura, degli interessi dei creditori, tutelabile, aseconda se anteriori o successivi, tramite l'opposizione o l'immodificabilità, nel corso dellafusione, dell'ammontare del capitale determinato in progetto) immodificabilità ora notevolmenteattenuata per effetto del secondo comma dell'articolo 2502 del codice civile, dovrebbero quindiessere intese, per i creditori successivi, come sostitutive del potere di opposizione chel'ordinamento loro non riconosce, in quanto attribuito soltanto ai creditori, tali per effetto dirapporti anteriori alla pubblicazione del progetto di fusione, al fine, sopra delineato, di definire, se

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non limitare, con un riferimento temporale ben preciso, il numero e i soggetti aventi diritto aproporre opposizione.Per i creditori anteriori la tutela dei propri interessi risulta espressamente consentita attraverso lafacoltà loro attribuita di instaurare il procedimento di opposizione, del quale si è detto, neisessanta giorni successivi all'ultima delle iscrizioni, nelle forme di legge, delle delibere di fusione.Sono quindi i creditori successivi che, ancorché portatori del medesimo interesse tutelato per icreditori anteriori, risultano sprovvisti della forma di tutela assicurata a questi ultimi.La pubblicazione del progetto di fusione risulta allora strumento idoneo a generare nei terzi e, inparticolare, nei potenziali creditori della società, che ne abbiano preso conoscenza, un affidamentosui termini, le modalità e i prevedibili risultati concreti dell'operazione di fusione quali evidenziatidal relativo progetto, elementi sulla base dei quali il terzo si determina ad avere rapporti con lasocietà.Ne consegue che la prevista rinunziabilità del termine non impedisce ai terzi di valutare laconvenienza a contrarre con le società a fondersi, con riferimento a quanto evidenziato nelprogetto di fusione reso conoscibile attraverso la pubblicazione; soltanto la modifica deglielementi prima evidenziati, determinatasi successivamente alla pubblicazione, durante l'ulterioreiter procedimentale della fusione, può alterare i presupposti della determinazione del terzo acontrarre con una società coinvolta nel procedimento, potenzialmente pregiudicandone interessieconomici ormai contrattualmente composti.Occorre infine sottolineare che il termine, imposto nella procedura di fusione alla quale nonpartecipino società il cui capitale sia rappresentato da azioni, appare "prima facie" più rigoroso diquello rispetto al quale avrebbe dovuto costituire una deroga, in quanto detto termine di trentagiorni era, prima della Riforma, dettato dall'articolo 2501 bis del codice civile soltanto per lesocietà di capitali, non sussistendo invece per le società di persone obbligo alcuno di intervallotemporale fra la iscrizione del progetto di fusione e l'adozione della conseguente delibera.Nella situazione normativa successiva alla Riforma, il termine di quindici giorni risulta quindiimposto nella ipotesi in esame, sia pur in maniera derogabile, a tutte le società il cui capitale nonsia ripartito in azioni, e quindi anche alle società di persone che, prima della Riforma, per effettodella Legge 24 novembre 2000, numero 340, non subivano imposizione di termine alcuno, inconsiderazione del fatto che alla incorporazione di una società di persone in un'altra, sia essaindifferentemente di capitali o di persone, consegue, in quanto permane, fino all'ultima delleiscrizioni prescritte dall'articolo 2504 del codice civile, la responsabilità illimitata dei soci neiconfronti dei terzi e dei creditori sociali, oggi espressamente prevista dall'articolo 2504 bis, ultimocomma, del codice civile e, prima della Riforma, imposta, al fine di eliminare l'incongruenzaevidenziata dal sistema per il caso di fusione in società di capitali di una società di persone,laddove non prevedeva una norma di tutela uguale a quella dettata dall'articolo 2499 del codicecivile in materia di trasformazione di società di persone in società di capitali, dalla sentenzanumero 47 emessa dalla Corte Costituzionale in data 20 febbraio 1995, che subordinava laliberazione dei soci illimitatamente responsabili al consenso dei creditori, anche nell'ipotesi difusione eterogenea.Tuttavia la rinunziabilità del termine, e quindi anche la sua riducibilità, prevista in generale dalnuovo articolo 2501 ter, comma quarto, del codice civile, da adottarsi con deliberazione unanimedi tutti i soci, consente di non appesantire necessariamente il procedimento di fusione, rimettendo,in pratica, in tutte le società, e quindi anche nelle società di persone, l'eliminazione di dettointervallo temporale o la sua riduzione alla volontà unanime di tutti i soci, sulla base dellaconsiderazione che trattasi di un termine che, non incidendo sulla funzione di pubblicità notiziasvolta invece dall'iscrizione, non appare idoneo a disporre di interessi di terzi.Alla luce di quanto sopra sembra possibile affermare non solo che la riduzione del termine di cuiall'articolo 2501 ter del codice civile, prevista nella procedura di fusione fra società non azionarie,è compatibile con l'ambito di operatività che il legislatore ha supposto per detti tipi di società,

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oggi individuabili in società di persone, semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice, ein società a responsabilità limitata, per effetto della Riforma ridisegnate in ambito familiare ocomunque circoscritto, ma anche che la riducibilità o la rinunziabilità del termine stessoconsentita dall'ultimo comma dell'articolo 2501 ter del codice civile non incide in generale sullavalenza dell'iscrizione del progetto di fusione, sufficiente, detta forma di pubblicità, per le ragioniesposte, ad assicurare, di per sé, la tutela degli interessi dei creditori.

IId2. Riduzione del termine imposto dall'articolo 2501 septies, primo comma, del codice civile.Altro termine ridotto è quello imposto dall'articolo 2501 septies, primo comma, in materia dideposito in copia, presso la sede delle società partecipanti alla fusione, per trenta giorni almenoantecedenti la decisione in ordine alla fusione, del progetto di fusione, dei bilanci degli ultimi treesercizi sociali e delle situazioni patrimoniali delle società a fondersi, redatte a norma dell'articolo2501quater; anche il termine in oggetto è disponibile dai soggetti nel cui interesse esso risultaimposto, e cioè da parte di tutti i soci all'unanimità, in questo caso essendo condivisibile la tesiche tale deposito non tutela altri interessi oltre quelli dei soci, in quanto trattasi di deposito pressola sede della società, utilizzabile soltanto da soggetti coinvolti nella struttura societaria medesima.

IId3. Riduzione del termine imposto dall'articolo 2503, primo comma, del codice civile.Ultimo termine ridotto è quello imposto dall'articolo 2503, primo comma, del codice civile,termine questo rinunziabile soltanto dai creditori, così avvalorandosi la tesi, in precedenzasostenuta, della diversità degli interessi tutelati dai diversi termini imposti dalla legge nell'ambitodel procedimento di fusione.Anche in questo caso il termine stabilito, per l'attuazione della fusione nell'ambito delprocedimento normale, in due mesi, risulta ridotto alla metà, nel presupposto, già rilevato, che gliinteressi coinvolti e i creditori interessati dal procedimento di fusione, stante il tipo di società afondersi, non esorbitano di massima da un contesto territoriale di dimensioni talmente circoscritte,da consentire il rispetto dei detti interessi anche in un termine dimezzato.La riduzione del cennato termine ordinario in relazione agli interessi specificamente tutelabilinella singola fattispecie risultava già, e risulta ancora disposta, per venire incontro alle esigenze dispeditezza e tempestività proprie del mondo bancario, e in tale caso, probabilmente inconsiderazione anche della solvibilità dei soggetti coinvolti nel procedimento di fusione frabanche, all'interno del quale detto termine risulta ridotto a soli quindici giorni per effetto deldisposto dell'articolo 57, comma terzo, del Decreto Legislativo 385/1993.Sembra opportuno sottolineare che, probabilmente per un mero refuso, non risulta invece ridotto iltermine imposto, per l'opposizione alla esecuzione della fusione, da parte dei creditori dall'articolo2503, secondo comma, del codice civile, che, anche nell'ipotesi in esame, continuerebbeassurdamente ad essere fissato, nel caso in cui non ricorrano le condizioni genericamente previsteper la riducibilità del termine medesimo, in due mesi dall'ultima delle iscrizioni impostedall'articolo 2502 bis del codice civile, in palese contrasto con la riduzione, nel caso in oggetto,dei tempi di attuazione della fusione.

III. Ipotesi generali di fusioni semplificate.Esaurito così l'esame della nuova procedura di fusione semplificata disposta dalla Riforma inordine alle finalità stabilite dalla legge delega e al di fuori dei vincoli imposti dalla Direttivacomunitaria, e cioè con riguardo alle società i cui capitali non risultino rappresentati da azioni,occorre esaminare le ipotesi di procedure semplificate, da verificare, poi, se a valenza generale,previste dalla Riforma nel pieno rispetto dei limiti imposti dalla più volte richiamata Direttivacomunitaria.La cosiddetta fusione semplificata era già stata introdotta nell'ordinamento italiano dal DecretoLegislativo 22/1991, in ricezione parziale della Direttiva comunitaria; in sede di riforma, il

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legislatore ha inteso dare piena attuazione alla disciplina prevista dalla ripetuta Direttivacomunitaria, integrando le disposizioni allora dettate con ulteriori disposizioni che consentono direcepire nel nostro ordinamento anche quelle altre ipotesi che, per il fatto di risultare previste dallanormativa comunitaria, hanno, nel corso degli anni, alimentato la tesi di possibili applicazioniestensive delle norme codicistiche dettate in materia di fusione semplificata.Si intende fare riferimento sia all'ipotesi ora più articolatamente disciplinata dall'articolo 2505 delcodice civile, già regolata dall'articolo 2504 quinquies del vecchio testo del codice civile, cheall'ipotesi "ex novo" disciplinata dall'articolo 2505 bis, nuovo testo, del codice civile, in materia difusione per incorporazione di società possedute al novanta per cento, quest'ultima già prevista dalCapitolo IV della Direttiva comunitaria e non recepita dal legislatore italiano in sede di primaattuazione della medesima Direttiva.

IIIa. Competenza a deliberare dell'organo di amministrazione.L'articolo 2505 del codice civile, dopo avere lasciato immutato, al primo comma, il principio chealla fusione per incorporazione di una società in un'altra che possiede tutte le azioni o le quotedella prima non si applicano le disposizioni dell'articolo 2501 bis, primo comma, numeri 3), 4) e5), oggi articolo 2501 ter, primo comma, numeri 3), 4) e 5), e degli articoli 2501 quater e 2501quinquies, oggi 2501 quinquies e 2501 sexies, pone, come disposizione innovativa, la possibilitàche la fusione sia adottata, con atto pubblico, dai rispettivi organi di amministrazione.Le precedenti deroghe al normale iter procedurale sono rimaste invariate; nella fattispeciesemplificata in esame, infatti, non trovano applicazione le norme che nella fusione normaleimpongono la determinazione del rapporto di cambio e dell'eventuale conguaglio in denaro, dellemodalità di assegnazione delle azioni o delle quote della società che, sostituendosi a tutte o adalcune delle società a fondersi, abbia determinato od aumentato il proprio capitale al fine diredistribuire nuove partecipazioni in sostituzione di quelle già spettanti ai partecipanti alle societàche vengono ad estinguersi, e della data dalla quale le nuove azioni emesse partecipano agli utilidella società emittente, nonché quelle che impongono la redazione di una relazione da partedell'organo di amministrazione idonea ad illustrare e giustificare il rapporto di cambio,segnalandone i criteri di determinazione e le eventuali difficoltà incontrate in proposito, e larelazione degli esperti sulla congruità del rapporto di cambio determinato dagli organiamministrativi.E' stato correttamente individuato, alla base di una tale semplificazione, un principio generale dieconomia procedurale, che vuole la disapplicazione di certe regole laddove particolari circostanzele rendano inutili, non necessarie o inapplicabili; è stato appunto l'individuazione di dettoprincipio che ha portato la dottrina e la giurisprudenza ad affermare, nella vigenza della normativaante Riforma, la possibilità di un'applicazione estensiva e analogica del procedimento di fusionesemplificata, allargandone la disciplina a tutte le ipotesi di fusione per le quali sussista un' "eademratio" rispetto alla ipotesi codicistica.In pratica, quindi, rispetto alla precedente normativa, si è soltanto dato asilo e, conseguentemente,applicazione ad alcuni principi introdotti dalla Direttiva comunitaria nell'ambito della massimasemplificazione imposta dalla Legge delega, ed in particolare al principio posto dall'articolo 8della cennata Direttiva, il quale disponeva, per la fattispecie in esame, che gli Stati membripossono non imporre la deliberazione di approvazione della fusione da parte dell'assembleagenerale della società incorporante, purchè ricorrano le seguenti condizioni:- siano state soddisfatte le esigenze di pubblicità del progetto di fusione;- sia reso possibile ai titolari di partecipazioni della società incorporante di acquisire unaconoscenza esaustiva delle condizioni economiche delle società a fondersi e, in particolare, divalutare il rapporto di cambio e i presupposti economici ed i criteri che lo hanno determinato;

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- sia consentito anche ad una piccola parte dei titolari delle partecipazioni alla societàincorporante, non superiore al cinque per cento, di pretendere che comunque la deliberazione siarimessa alla assemblea generale dei soci.La riforma ha recepito, quindi, in attuazione dei criteri di semplificazione procedurali impostidalla Legge delega, la facoltà, riconosciuta agli Stati membri dalla Direttiva comunitaria, diattribuire all'organo di amministrazione il potere di dare attuazione alla fusione, ritenendo, nei casiin esame, che una tale deliberazione rientri nel "potere organizzativo - gestorio" rimesso ex legeall'organo amministrativo, trattandosi di una semplice diversa impostazione, nelle scritturecontabili della società incorporante, di parte della propria ricchezza patrimoniale, attuantesimediante inserimento dei valori dei singoli elementi del patrimonio della società incorporanda nelpatrimonio della società incorporante, in sostituzione del valore patrimoniale costituito dallapartecipazione totalitaria al capitale della società incorporanda, in una ipotesi di scelta di unadiversa impostazione economico - amministrativa, che, non alterando e non potendo alterare icontenuti economici della società incorporante, può effettivamente sottrarsi alla competenzedell'assemblea generale e rimettersi all'organo detentore del potere organizzativo - gestorio,sicuramente più qualificato a decidere e ad attuare forme semplificate di amministrazionedell'intera ricchezza societaria.E' stato rilevato che la riforma della disciplina della fusione, quale attuata dal Decreto Legislativo22/1991, aveva spostato i poteri relativi alle decisioni inerenti i contenuti della fusione dall'organoassembleare, e quindi dai soci, all'organo amministrativo, in quanto, a seguito di detto interventolegislativo, il volano della fusione veniva ad essere costituito dall'attività concordata dagli organidi amministrazione delle società interessate; ai soci, privati della facoltà di intervenire con idee esuggerimenti nella fase delle trattative, dalle quali hanno origine i contenuti sostanzialidell'accordo, l'ordinamento italiano aveva voluto, però, conservare il potere di decisione finale,ancorché esplicitabile, prima della Riforma attuale, soltanto nel potere di esprimere l'assenso e/o ildissenso all'intera operazione, pur ipotizzandosi, anche nella caducanda normativa, la possibilitàdi apportare modifiche al progetto di fusione, ora espressamente consentita e disciplinata, sia purein termini laconici, dall'articolo 2502, secondo comma, del codice civile.L'operazione di fusione, secondo il diritto comunitario, può e deve svolgersi lontano dal dibattitoassembleare, essendo riconducibile a valutazioni di ordine tecnico ed amministrativo checompetono solo agli amministratori, ai quali quindi viene ora riconosciuto, nelle ipotesiestremamente semplificate, anche il potere di deliberare la fusione, salvo che i soci, attraverso lecautele consentite a minoranze qualificate, si riapproprino della facoltà di "ratifica" finaledell'operato dell'organo di amministrazione, da attuarsi con i criteri propri dell'espressione dellavolontà in delibera assembleare, delegittimando una preesistente previsione statutaria.La conclusione appare, inoltre, in linea con le considerazioni effettuabili in relazione a realtàproduttive complesse, caratterizzate da organizzazioni di gruppo con società holding e sub-holding al vertice di numerose società operanti nel campo della produzione e del mercato dei benie dei servizi, all'interno delle quali le logiche e le ragioni che sussistono alla base della materialeoperatività del gruppo sono patrimonio del potere organizzativo - gestorio e sfuggono, o possonosfuggire, ai titolari delle partecipazioni societarie, diversamente chiamati a ratificaresemplicemente scelte operative decise in ambiti diversi, delle cui ragioni e motivazioni spesso nonrisultano a conoscenza. D'altra parte la nuova normativa appare coerente rispetto ad altra disposizione introdotta dallaRiforma in materia di patrimoni allo scopo, nel senso che il nuovo sistema generale, almeno nellesocietà per azioni, consente di raggiungere gli scopi economici una volta perseguibili e perseguitimediante la creazione di nuove forme societarie controllate o addirittura integralmente posseduteda una società, con forme alternative che escludono la proliferazione dei soggetti giuridici, il tuttorimesso, salvo diversa previsione statutaria, a determinazione del Consiglio di Amministrazione odi gestione, a maggioranza assoluta dei relativi componenti.

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La possibilità di rimettere, nella fattispecie in esame, la adozione della deliberazione di fusioneall'organo di amministrazione presuppone comunque il pieno rispetto, da parte di tutte le società afondersi, della procedura di fusione, anche per quanto attiene alle relative forme di pubblicità, equindi di conoscibilità esterna, riguardo al progetto di fusione, nonché, soltanto per la societàincorporante, anche relativamente ai tempi di deposito, presso la sede sociale, del progetto difusione medesimo e dei bilanci degli ultimi tre esercizi sociali delle società coinvolte, elementi,questi, la cui conoscibilità da parte dei soci di detta società è ritenuto comunque elementoessenziale per la tutela degli interessi del singolo socio, tanto è vero che entrambi detti termini,come si è visto, sono rinunziabili dalla totalità dei soci stessi all'unanimità, in conformità a quantodisposto dall'ultimo comma dell'articolo 2501 ter del codice civile e dal primo comma dell'articolo2501 septies del codice civile.La competenza a deliberare da parte dell'organo di amministrazione, ovvero da parte del consigliodi amministrazione nelle società per azioni che adottano il modello tradizionale, oggi dettomonistico, e da parte del consiglio di gestione nelle società per azioni che adottano il modellodualistico, deve essere prevista dall'atto costitutivo o dallo statuto, richiamo completo ad entrambii possibili contenitori delle norme che regolano l'organizzazione ed il funzionamento della società,dei quali il primo assolutamente necessario, in quanto portatore degli elementi indispensabili allacostituzione della società, ed il secondo meramente eventuale, sussistente nel caso in cui, all'attodella stesura del contratto societario, i costituenti abbiano voluto tenere distinte le norme relativeall'organizzazione ed al funzionamento della società, relegandole in un documento unitarioallegato al contratto, da quelle relative alla costituzione.Occorre rilevare che la Riforma, prevedendo la possibilità che la fusione sia deliberata in tutte lesocietà a fondersi dai rispettivi organi di amministrazione, è andata al di là di quantoesplicitamente consentito dalla Direttiva Comunitaria all'articolo 8 sopra richiamato, articolo,questo, che, invece, fa riferimento soltanto alla società incorporante; risulta però incomprensibile,almeno nell'ambito del diritto societario italiano, il mancato riferimento da parte della DirettivaComunitaria anche alla società incorporanda, a meno che non lo si voglia leggere comeconstatazione della assoluta inutilità di una sua espressa previsione, in quanto la fusione, nellafattispecie in esame, è comunque sostanzialmente rimessa soltanto alla volontà del soggettoincorporante, già espressamente manifestata dall'avvio della procedura di fusione.Il pedissequo rispetto dei termini usati all'articolo 8 della Direttiva porterebbe infatti all'assurdo diuna delibera di fusione considerata mero atto di organizzazione interna e di gestione nell'ambitodella società incorporante e atto rimesso alla valutazione del potere economico, ovveroall'assemblea dei detentori delle partecipazioni alla società, per la società incorporanda,integralmente posseduta dall'incorporante, assemblea il cui deliberato, secondo la normativaitaliana, è determinato esclusivamente dalla volontà e dal voto del rappresentante della societàincorporante, il quale è sicuramente espressione di quello stesso organo gestorio, unico idoneo adesprimere pienamente la valutazione dell'opportunità della fusione sia per la società incorporanteche per la società incorporanda.Ad una prima lettura sembrerebbe necessario che la previsione, in ambito statutario o di attocostitutivo, della competenza a deliberare da parte dell'organo di amministrazione debba sussistereper entrambe le società, condizione questa assolutamente ineccepibile sotto il profilo formale eletterale; le considerazioni che precedono e il letterale riferimento all'atto costitutivo o allo statuto,e non agli atti costitutivi e agli statuti, inducono tuttavia a ritenere che tale previsione possa anchesussistere, quale elemento necessario e sufficiente, soltanto per la società incorporante, potendosinon ritenere necessaria una espressa previsione anche nello statuto o nell'atto costitutivo dellasocietà incorporanda, per la quale, in ogni caso, la competenza a deliberare, sia essa espressa insede di organo di amministrazione che in sede assembleare, risulta sostanzialmente rimessa, comegià evidenziato, ad un soggetto che, comunque, costituisce espressione dell'organo diamministrazione della società incorporante.

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La semplice previsione nell'ambito delle norme organizzative della società incorporanda nonpotrebbe invece assolutamente determinare la derogabilità alla competenza ordinariadell'assemblea dei soci nell'ambito della società incorporante, in quanto verrebbe a mancare, inuna siffatta procedura, l'elemento fondamentale, e cioè la rinunzia preventiva alla diversamentenecessaria valutazione, da parte dell'assemblea, dell'opportunità di una fusione medianteincorporazione di società integralmente posseduta, valutazione che, fatta eccezione per le espressederoghe normative, non appare rinunziabile a posteriori.La necessità della presenza di una tale clausola nell'ambito dell'atto costitutivo o dello statutosociale può apparentarsi alla necessaria previsione, nello stesso ambito, della possibilità didelegare all'organo di amministrazione un aumento del capitale sociale, prevista dall'articolo 2443vecchio e nuovo testo del codice civile, ipotesi questa per la quale è sempre stato pacificamenteammesso che tale previsione debba sussistere al momento della delega effettiva, anche per effettodell'espressa previsione del secondo comma di detto articolo, il quale recita che "tale facoltà puòessere attribuita anche mediante modificazione dell'atto costitutivo" per un periodo massimo dicinque anni dalla data della deliberazione.In quest'ultima ipotesi la esistenza della norma consegue alla necessità di circoscrivere i limititemporali della delega; la mancanza di un'espressa previsione normativa non impedisce che, nellaipotesi di fusione semplificata in esame, non sussistendo problemi temporali, la clausola richiestaper l'attribuzione dei poteri deliberativi all'organo di amministrazione, alla luce anche dell'ultimoinciso dell'articolo 2365 del codice civile, possa essere validamente introdotta fin dallacostituzione della società o per modifica statutaria, in questo caso in qualsiasi tempo, sia comeipotesi astratta che nel momento dell'assunzione della partecipazione integrale al capitale diun'altra società o in espressa previsione della fusione a deliberarsi.Anche per la delibera di fusione adottata dall'organo di amministrazione, sicuramente daassoggettare, nonostante il silenzio in proposito della norma, alla pubblicità prevista per ledecisioni assembleari in materia di fusione, è imposta, in perfetto parallelo con la normadell'articolo 2443 sopra richiamato, la forma dell'atto pubblico, da riceversi da notaio, quale unicopubblico ufficiale abilitato a ricevere in forma pubblica verbali o atti societari da depositare nelRegistro delle imprese.

IIIb. Tutela dei soci di minoranza.La norma in esame prevede, infine, in accoglimento e nei limiti imposti dall'articolo 8 dellaDelibera comunitaria, il riconoscimento, comunque, di una tutela concessa ai soci di minoranzadella società incorporante, purchè complessivamente detentori almeno del cinque per cento delcapitale sociale; detti soci possono, collettivamente, pretendere ed ottenere, attivando ilprocedimento previsto dall'ultimo comma dell'articolo 2505 in esame, che comunque ladeliberazione in ordine alla fusione sia rimessa all'assemblea dei soci, nonostante ricorrano tutti ipresupposti perché tale deliberazione sia adottata dall'organo di amministrazione.A tale scopo i soci devono indirizzare apposita domanda alla società, e quindi all'organo diamministrazione, entro otto giorni dalla data di deposito del progetto di fusione;conseguentemente, rispettati i termini e le modalità della domanda, la deliberazione di fusionedell'incorporante dovrà necessariamente essere adottata, per essere valida ed efficace,dall'assemblea della società stessa.Una volta ritenuta sufficiente l'attribuzione del potere di deliberare in proposito all'organo diamministrazione, contenuta nello statuto o nell'atto costitutivo della società incorporante, perconsentire anche alla società incorporanda di deliberare tramite il proprio organo diamministrazione, non sembra sussistano motivi per escludere in questo caso la possibilità che ladeliberazione della società incorporanda possa comunque, ed anche in mancanza di una espressaprevisione all'interno del proprio statuto o del proprio atto costitutivo, essere adottata dall'organodi amministrazione, in quanto atto di mera organizzazione, come appunto è stato in precedenza

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qualificato, da decidersi, in pratica, dallo stesso soggetto unico detentore del relativo capitalesociale, purchè tale attribuzione di potere all'organo di amministrazione risulti almeno all'internodello statuto o dell'atto costitutivo della società incorporante.. La attribuzione ai soci, costituenti minoranza qualificata, del potere di delegittimare la previsionestatutaria che riconosce all'organo di amministrazione il potere di deliberare la fusione è stata dallegislatore della Riforma disposta con riferimento alle ipotesi più restrittive stabilite dall'articolo 8della Direttiva comunitaria, e cioè recependo il limite massimo del cinque per cento imposto dallaDirettiva e non sfruttando la possibilità, consentita da detto articolo, di non considerare nelcomputo, mirante a valutare il rispetto del detto limite del cinque per cento, le azioni prive didiritto di voto; non essendosi fatto alcun riferimento in proposito nella normativa della Riforma,deve concludersi che il raggiungimento del cinque per cento va calcolato in funzione dell'interocapitale sociale, senza esclusione dal computo dell'intero di qualsiasi tipo di partecipazione, e chela facoltà di cui al terzo comma dell'articolo 2505 del codice civile in esame compete a tutti i soci,anche se titolari di partecipazioni che non attribuiscono diritto di voto; si deve, quindi, registrarel'incongruenza fra la scelta di considerare rilevante, nel caso in esame, l'intero corpo sociale, nelpresupposto che esso è costituito da tanti soggetti i cui interessi economici devono trovareindividualmente tutela anche attraverso la possibilità di un dibattito assembleare, all'interno delquale soltanto è, in genere, consentito il sacrificio dell'interesse individuale del socio sull'altaredell'interesse metaindividuale dell'iniziativa economica collettivamente intrapresa, e laconseguente votazione in assemblea sulla decisione di fondersi rimessa soltanto ai soggetti aiquali compete il diritto di voto.Per assurdo, i soci titolari di partecipazioni senza diritto di voto, rappresentanti il cinque per centodel capitale sociale, possono delegittimare la norma statutaria e rimettere la decisione sullafusione ad un'assemblea alla quale non viene a partecipare alcuno dei soggetti che hanno invecedeterminato tale diversa attribuzione di competenza.

IV. Incorporazione di società posseduta al novanta per cento.La Riforma ha poi recepito, come ulteriore ipotesi di fusione semplificata, quella prevista dalCapitolo IV della Direttiva comunitaria, e cioè il caso di incorporazione di una società in un'altrache possiede almeno il novanta per cento delle azioni o quote della prima società.L'applicazione del procedimento di fusione semplificata anche a questa ipotesi è stato oggetto didiscussione sotto la vigenza delle norme in vigore prima della Riforma, come possibileapplicazione estensiva dell'ipotesi normativamente disciplinata dal vecchio testo dell'articolo 2504quinquies del codice civile, portandosi, quale argomentazione principale, il fatto che una taleforma procedurale semplificata, ancorché formalmente non recepita dall'ordinamento italiano, eraespressamente prevista dalla Direttiva comunitaria; coerentemente il legislatore della Riforma hacompletato il recepimento della Direttiva comunitaria introducendo il nuovo articolo 2505 bis delcodice civile, che ha fatto proprio il disposto del cennato Capitolo IV della Direttiva Comunitaria,al fine di dare piena attuazione ai principi di semplificazione imposti dalla Legge delega nelrispetto dei principi comunitari.Il presupposto per l'applicazione della procedura semplificata, in questo caso, è il possesso daparte della società incorporante di almeno il novanta per cento delle partecipazioni nella societàincorporanda, ragion per cui la fattispecie è applicabile a tutte le ipotesi in cui un tale controllo daparte della società incorporante oscilli fra il minimo del novanta e il massimo del novantanovevirgola nove periodico per cento, essendo, al raggiungimento del cento per cento di capitaleposseduto, applicabile la procedura semplificata prevista del nuovo articolo 2505 del codicecivile.Nella fattispecie in esame la deroga al procedimento ordinario di fusione riguarda lainapplicabilità delle disposizioni dell'articolo 2501 sexies del codice civile, in materia di relazionedegli esperti, e la possibilità, se prevista dall'atto costitutivo o dallo statuto, di attribuire, soltanto

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per la società incorporante, la competenza a deliberare all'organo di amministrazione; quest'ultimafacoltà, che ricalca quella prevista dall'articolo 2505 del codice civile, è correttamente limitata,però, in questa ipotesi, alla società incorporante, per la quale effettivamente la decisione diincorporare una società, quasi integralmente controllata per effetto di una partecipazioneestremamente qualificata, può costituire atto di mera organizzazione interna e, come tale,attribuibile al potere gestorio.La deliberazione della società incorporanda deve, invece, essere adottata necessariamentedall'assemblea dei soci, nel pieno rispetto della tutela dei relativi interessi individuali che deveesplicarsi attraverso la partecipazione dei soci al dibattito democratico assembleare, al fine di fareemergere posizioni ed opinioni possibilmente divergenti rispetto a quelle raggiunte e sostenutedall'organo di amministrazione, anche se poi disattese da una valutazione assemblearemetaindividuale.Anche in questa ipotesi la deliberazione da parte dell'organo di amministrazione della societàincorporante presuppone il rispetto dei contenuti e delle prescrizioni del nuovo articolo 2501septies, comma primo, numeri 1) e 2), del codice civile, e cioè del deposito, presso la sede dellasocietà, del progetto di fusione e dei bilanci degli ultimi tre esercizi delle società a fondersi per ilperiodo, disponibile, e quindi rinunciabile dalla totalità dei soci all'unanimità, di trenta giorniantecedenti quello dell'adozione della delibera di fusione, nonché del termine di trenta giorni,necessario perché possa adottarsi da parte della società incorporata la decisione di fusione, adecorrere dall'iscrizione del progetto di fusione per la società incorporante nel competenteRegistro delle imprese, qui ribadendosi che anche quest'ultimo termine è da ritenersi dispositivo, anorma dell'ultimo comma dell'articolo 2501bis del codice civile e, quindi, rinunziabile dallatotalità dei soci all'unanimità.Anche in questo caso è applicabile, con riferimento sempre alla società incorporante, per espressorichiamo normativo, l'ultimo comma dell'articolo 2505 del codice civile, e cioè la possibilità per isoci che rappresentino almeno il cinque per cento dell'intero capitale sociale della societàincorporante di pretendere che, comunque, la deliberazione sulla fusione, da parte della societàalla quale partecipano, sia adottata dall'assemblea dei soci, nel pieno rispetto della sua normalecompetenza.Elemento essenziale di questo procedimento di fusione semplificata è, però, la necessità chevenga concessa agli altri soci della società incorporata, rectius incorporanda, diversi quindi dallasocietà incorporante, detentrice di almeno il novanta per cento del capitale della societàincorporanda, il diritto di far acquistare le loro azioni o quote, in unico le loro partecipazioni, dallasocietà incorporante per un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per il recessodi un socio dalla società, normativamente espressi per le società azionarie, in termini peròstatutariamente derogabili, dall'articolo 2437 del codice civile riformato e per le società aresponsabilità limitata dall'articolo 2473 del codice civile riformato.

(In nota: La Borsa stabile s.p.a. ha segnalato, all'interno delle osservazioni espresse in data 2dicembre 2002, la necessità di coordinare la disciplina in esame con quella vigente in materia diofferta pubblica di acquisto obbligatoria per la società incorporanda quotata in borsa, perverificare se l'offerta obbligatoria di cui all'articolo 108 T.U.F. possa essere considerataequipollente, e quindi assorbente, rispetto a quella prevista dall'articolo 2505 bis del codicecivile.)

Il procedimento normale di fusione, senza acquisto, cioè, di dette partecipazioni, determinerebbe,al fine anche di rispettare il disposto dell'articolo 2504 ter del codice civile, rimasto invariato, inmateria di divieto di assegnazione di azione o quote e formulazione del principio di sterilizzazionedelle proprie partecipazioni, l'annullamento delle partecipazioni possedute dalla societàincorporante nella società incorporanda, conseguente all'incremento patrimoniale che si registra

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nella società incorporante per effetto dell'incorporazione, e l'emissione da parte dell'incorporantedi nuove partecipazioni conseguenti ad un aumento di capitale a deliberarsi, in maniera scindibile,in misura sufficiente ad assicurare, nel rispetto del rapporto di cambio determinato in sede difusione, ai soci della società incorporanda, diversi dalla società incorporante medesima,l'attribuzione di nuove partecipazioni in sostituzione di quelle vantate nella società incorporata.In relazione al momento in cui devono sussistere i presupposti per l'applicabilità della procedurasemplificata di fusione in esame, non può assolutamente considerarsi rilevante l'uso, nel dettatonormativo, della parola "incorporata" con riferimento alla società incorporanda, dovendosiconsiderare tale termine un semplice refuso, come tale non idoneo ad estendere il momento ultimosufficiente perché sia esperibile la procedura semplificata, e, in particolare, l'acquisizione,consentita soltanto in presenza di particolari condizioni, delle partecipazioni dei soci diminoranza, prevista dall'articolo in esame ad un momento successivo alla fusione stessa, comesembrerebbe desumibile dall'uso del termine "incorporata", riferibile ad una società già inglobatain un altro soggetto giuridico.Attraverso la disposizione dettata dal primo comma dell'articolo 2505 bis in esame, il legislatoreha dunque consentito di evitare la distribuzione di nuove partecipazioni ai soci dell'incorporandadiversi dalla società incorporante, rimettendo, però, la rinunzia a dette nuove partecipazioni allavolontà dei medesimi soci, ai quali deve essere offerta, ma non può essere imposta, la liquidazionein denaro della rispettiva partecipazione nella società incorporanda, esito questo in cui si risolve ildiritto per i soci di fare acquistare le proprie partecipazioni per un corrispettivo predeterminatonella delibera di fusione.La predeterminazione del detto corrispettivo deve avvenire alla stregua dei criteri previsti per ilrecesso, criteri ritenuti dal legislatore idonei a consentire al socio il giusto compenso per ilsacrificio della propria partecipazione societaria; sorge il problema di individuare i criteri al qualeil legislatore ha inteso fare rinvio nella fattispecie in esame, se a quelli normativamente indicatiagli articoli 2437ter e 2473 del codice civile o a quelli in concreto previsti nello statuto dellesocietà a fondersi.Per quanto riguarda le società per azioni, la derogabilità statutaria, in materia di criteri previsti peril recesso, consegue al disposto del quarto comma del cennato articolo 2437ter; è da ritenere cheanche nello statuto delle società a responsabilità limitata l'autonomia contrattuale possa consentiredi inserire criteri ritenuti dai soci più idonei di quelli previsti per legge, dal momento che ilrimborso della partecipazione in società è, per effetto dell'articolo 2473 del codice civile,determinato, in dette società, d'accordo fra le parti, con riferimento al patrimonio sociale e tenutoconto del valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso, nel caso specifico conriferimento, invece, al momento della adozione della decisione di fusione.La possibilità, consentita al socio, di aderire alla proposta di acquisto delle proprie azioni apparemodellata sul diritto di recesso che risulta, al di fuori del caso in esame, attribuito al socio disocietà a responsabilità limitata in ogni caso di fusione e al socio di società per azioni in tuttequelle ipotesi in cui, per il fatto che la società alla quale il socio partecipa confluisca, per effetto difusione, in una società di tipo diverso, si verifica in pratica una implicita trasformazione dellasocietà medesima, la quale continua in un tipo diverso, e si determina l'applicabilità dellanormativa del recesso espressamente consentito ai soci in caso di trasformazione della società.L'attribuzione, comunque, in sede di progetto di fusione e di decisione di fusione, ai soci diminoranza del cennato diritto costituisce elemento necessario e sufficiente perché la fusione vengaattuata con l'iter procedurale semplificato in esame, eliminandosi così la necessità della relazionedegli esperti; e ciò a prescindere dalla effettiva adesione dei detti soci di minoranza alla progettataliquidazione in denaro delle loro partecipazioni.Considerato, quindi, che è impossibile conoscere preventivamente quale sarà l'adesione alprogramma di liquidazione di tali partecipazioni societarie, il progetto di fusione dovrà comunqueprevedere anche il rapporto di cambio e l'eventuale conguaglio in denaro non superiore al dieci

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per cento, nel rispetto delle prescrizioni imposte dall'articolo 30 della Direttiva comunitaria,nonché ogni altra decisione, compreso l'aumento di capitale scindibile, atta a consentirel'acquisizione di nuove partecipazioni societarie da parte di tutti o alcuni dei soci di minoranzadella società incorporanda, a seconda dell'adesione di detti soci alla proposta di acquisto delle loropartecipazioni.Anche in questa ipotesi si pone la necessità di stabilire i criteri per determinare se la societàincorporante detenga la titolarità di almeno il novanta per cento dell'intero capitale della societàincorporanda, ovvero se l'intero debba essere costituito da tutte le partecipazioni, ed in particolareda tutte le azioni o quote in cui risulti suddiviso il capitale della società incorporante, e quindianche azioni senza diritto di voto, o semplicemente in funzione delle partecipazioni cheattribuiscono il diritto di voto in assemblea o nelle decisioni rimesse all'intero corpo sociale.Tenuto conto che l'articolo 27 della Direttiva comunitaria si riferisce alle azioni e agli altri titoliche conferiscono diritto di voto nell'assemblea generale, il fatto che il legislatore della Riformanon abbia effettuato riferimento alcuno alle sole partecipazioni attribuenti diritto di voto inassemblea sembrerebbe precludere la possibilità che dal computo dell'intero possano restareescluse le partecipazioni che comunque non attribuiscono il diritto di voto, in quanto appare piùrazionale ipotizzare, anche in questo caso, una scelta operata dal legislatore nel senso di ritenerenecessaria una partecipazione pari al novanta per cento non con riferimento alle maggioranzeassembleari, ma con riferimento alla totalità dei soci, singolarmente portatori di interessi ritenutidegni di tutela individuale, piuttosto che integrare la normativa con i principi comunitari e farequindi riferimento soltanto alle partecipazioni che attribuiscono diritto di voto in assemblea onelle decisioni del corpo sociale.Sembra possibile affermare, infatti, che il legislatore della Riforma ha effettuato, anche in questaseconda fase di ricezione dei principi dettati dalla Direttiva comunitaria più volte richiamata,scelte autonome, tralasciando di recepire nella normativa nazionale altre disposizioni permissivecontenute nella Direttiva medesima, come nel caso di questa seconda procedura semplificata,nella quale, secondo le previsioni dell'articolo 28 della Direttiva medesima, sarebbe stato possibileprevedere anche la disapplicazione delle disposizioni relative alla relazione dell'organo diamministrazione, di cui all'articolo 2501 quinquies del codice civile riformato; detta relazione èstata, invece, mantenuta nella fattispecie in esame, ferma restandone l'asserita rinunziabilità intermini totalitari ed unanimi, al fine, probabilmente, di consentire ai soci la possibilità di ritrovarvii presupposti di un'azione di responsabilità per la tutela dei propri interessi, eventualmente lesi,nel corso della procedura in esame, per effetto di incongrua determinazione del rapporto dicambio e/o del corrispettivo per la cessione delle partecipazioni dei soci di minoranza.Occorre infatti verificare cosa può accadere nell'ipotesi in cui gli organi di amministrazione dellesocietà a fondersi, che comunque, per la partecipazione qualificata di grandissima maggioranzadella società incorporante nella società incorporanda, sono espressione di una stessa maggioranza,in un caso, della società incorporante, diretta e nell'altro caso, della società incorporanda, mediatae filtrata attraverso l'organo di amministrazione della società incorporante medesima, abbiano adeterminare un corrispettivo per l'acquisto delle azioni dei soci di minoranza utilizzando criterinon esattamente conformi a quelli prescritti dalla legge o dallo statuto in materia di recesso e unrapporto di cambio non pienamente rispettoso dei contenuti economici patrimoniali delle società afondersi, in pratica non assicurando, dolosamente o per mero errore, la piena tutela e l'integralesalvaguardia degli interessi economici dei soci di minoranza.Per quanto riguarda le società a responsabilità limitata, in materia di recesso, si è determinataun'ipotesi di contraddittorio fra le parti per la determinazione del rimborso da riconoscersi al sociorecedente, sostituibile, in caso di disaccordo, dalla determinazione di un esperto nominato dalTribunale competente su istanza della parte più diligente; nella fattispecie di procedurasemplificata di fusione non appare verosimile che la determinazione del rimborso possa passareattraverso un tale iter procedurale, che appesantirebbe oltre misura una procedura che si cerca di

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semplificare, in quanto appare più plausibile ipotizzare una determinazione univoca da partedell'organo di amministrazione nell'ambito del progetto e della situazione patrimoniale e relativarelazione da redigersi per la fusione, soggetta all'approvazione dei soci della società incorporandain sede di decisione sulla fusione.Per quanto concerne le società azionarie la competenza alla determinazione è attribuita agliamministratori, i quali decidono sentito il collegio sindacale e il soggetto incaricato della revisionecontabile, tenuto conto, salvo diversa previsione statutaria, della consistenza patrimoniale dellasocietà e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni;nessun problema, invece, si pone per le società quotate in borsa, per le quali il riferimento è allamedia aritmetica dei prezzi di chiusura del mercato nei sei mesi che precedono la pubblicazione ola ricezione dell'avviso di convocazione dell'assemblea le cui deliberazioni legittimano il recessodel singolo socio.Per le società di persone, infine, l'articolo 2289 del codice civile prevede che la liquidazione dellaquota sia fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica loscioglimento con un procedimento, stante la natura della società, sicuramente in contraddittorio.E' da ritenersi che la determinazione del corrispettivo previsto dal primo comma dell'articolo2505bis del codice civile sia rimessa, nella fattispecie in esame, agli organi di amministrazionedelle società a fondersi che devono indicarlo nella redazione del progetto di fusione;l'impossibilità per il singolo socio di azionare nell'immediato i meccanismi di tutela dei propriinteressi, sacrificati in funzione dell'interesse societario a realizzare la fusione, non preclude, però,al socio stesso di attivare forme di tutela individuale al fine di far constare la responsabilità degliamministratori conseguente alla disapplicazione dei cennati criteri, in piena applicazione dellanorma dettata dal secondo comma dell'articolo 2504quater del codice civile.Non sembra infatti sostenibile, alla luce anche di quanto disposto, per le società a responsabilitàlimitata, dall'articolo 2476 del codice civile e, per le società per azioni, dall'articolo 2434 delcodice civile, in materia di approvazione del bilancio sociale, che l'approvazione della fusionepossa comportare liberazione degli amministratori e dei sindaci nei confronti dei soci, in ricezionedel principio sancito, in materia di bilancio, per le responsabilità incorse nella gestione sociale, edinibire conseguentemente l'azione individuale del socio a tutela dei propri interessi eventualmentelesi.E' da sottolineare infine che, attraverso l'analisi delle conseguenze applicative dei contenutinormativi dell'articolo 2505 bis del codice civile, si è portati a concludere che il legislatore abbiavoluto intraprendere con decisione la strada della depatrimonializzazione, determinando, sia pureper adesione del singolo socio, il fenomeno così detto del "cash-out mergers"; è stato rilevato(Scognamiglio) che la possibilità della integrale liquidazione delle partecipazioni di alcuni soci,oltre a costituire altro elemento di depatrimonializzazione della società risultante dalla fusione,che si aggiunge alla facoltà di conguaglio ammesso senza limiti dall'articolo 2505 quater delcodice civile, comporta anche la rinunzia, ovviamente per le fusioni fra società non azionarie, aquel principio di continuità e continuazione dei rapporti di partecipazione originari nella societàrisultante, che nella esperienza giuridica italiana era ormai acquisito come uno dei tratti salientidell'istituto della fusione, intesa quale vicenda estintiva della società come ente giuridico esoltanto modificativa, e non estintiva, della società come rapporto contrattuale interpersonale

V. Applicazione estensiva ed analogica della disciplina delle ipotesi di fusione semplificata.Esaminate le singole ipotesi di procedura semplificata di fusione, ora espressamente previste edisciplinate dagli articoli 2505 e 2505 bis del codice civile, occorre individuarne i problemicomuni, qui intendendosi fare riferimento sia al momento in cui devono sussistere le condizioniperché sia percorribile il singolo procedimento semplificato di fusione, che alla possibilità diindividuarne, e ritenerne quindi consentite, applicazioni estensive e/o analogiche.

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In relazione a tali applicazioni occorre verificare la possibilità di utilizzare, per le singole normein esame, i principi generali del nostro ordinamento, secondo i quali, ogni qualvolta si verificanogli stessi presupposti all'origine di una norma, è possibile utilizzarne i relativi contenuti perregolare anche fattispecie non espressamente disciplinate dalla norma medesima; l'ordinamentooffre all'interprete, oltre l'attività ermeneutica propria, anche il criterio dell'analogia, al fine diovviare alla difficoltà a racchiudere, in una regolamentazione preventiva, l'infinità varietà dirapporti, sempre mutevoli nel tempo, che la realtà dei fatti e degli atti giuridicamente rilevantipresenta.L'impiego del principio dell'analogia trova però un limite, oltre nel caso di espressa statuizione intal senso, quando la fattispecie normativamente disciplinata sia da considerare "singolare" o "afattispecie esclusiva", difettando in questa ipotesi il presupposto per un tale ricorso.Viceversa il ricorso all'analogia è consentito quando si tratti di norme soltanto relativamenteeccezionali, di norme cioè le quali, pur derogando a norme più generali, possono tuttavia ritenersi,a loro volta, esse stesse generali nell'ambito della materia per la quale risultano dettate.Occorre allora qualificare le norme in esame per acclarare se trattasi di norme eccezionali cheregolano ipotesi particolari di fusione in deroga alla normativa dettata per la fusione in genere, ose invece trattasi di semplici corollari introdotti nel sistema al fine di eliminare passaggi ritenutiinutili in ipotesi di fusione svincolate dai presupposti giuridico-formali ai quali risulta ancorata ladisciplina generale.

(In nota: E' doveroso richiamare il divieto normativo di estendere le procedure semplificate alleipotesi di fusione a seguito di acquisizione con indebitamento, ovvero ipotesi di "leveraged buyout", per espressa previsione all'articolo 2501bis, ultimo comma, del codice civile.).

Va. Ipotesi di applicazione estensiva ed analogica in relazione all'articolo 2505 del codice civile.La fattispecie ora normativamente disciplinata all'articolo 2505 del codice civile è quella dellafusione per incorporazione di una società in un'altra che possieda tutte le azioni o le quote dellaprima; in tale procedimento semplificato, che presenta, rispetto alla disciplina ante Riforma,l'elemento innovativo dell'attribuzione del potere decisionale agli organi di amministrazione,risultano esclusi alcuni elementi del procedimento ordinario; ciò per l'evidente ragione che lafusione, nel caso specifico, è diretta a sopprimere l'organizzazione economico-giuridica dellaquale la società, promotrice della fusione stessa, detiene la titolarità esclusiva, essendone l'unicosocio.La disposizione in esame, come può rilevarsi già dalla Relazione del Ministro al decretolegislativo 22/1991, non contempla una nuova e diversa fattispecie di fusione, che si aggiunge aquelle previste dal primo comma dell'articolo 2501 del codice civile, ma tiene conto soltanto delfatto che il possesso, da parte della società incorporante di tutte le azioni o le quote della societàincorporata, comporta "l'inapplicabilità", o meglio l'inutilità della applicazione, "di talune delleregole che disciplinano la fusione mediante incorporazione", e, in particolare, di tutte quelleregole riguardanti il rapporto di cambio e gli adempimenti connessi, escludendo che nellafattispecie siano da considerare necessarie la relazione degli esperti e quella degli amministratori,in considerazione del fatto che nella fattispecie in esame non può porsi il problema di evitareabusi a danno dei soggetti titolari di partecipazioni nella società incorporata, perché gli unicisoggetti potenzialmente danneggiati dalle consentite omissioni, e quindi nel cui interesse sonopredisposte le tutele ordinarie, sono gli stessi titolari della società a risultare dalla fusione, stanteche la società incorporante detiene nel proprio patrimonio l'intero capitale dell'incorporata.La fusione prevista e disciplinata dall'articolo 2505 del codice civile determina, in pratica, unprocedimento atipico rispetto a quello normale, in quanto diretto a sancire sul piano giuridicoun'unificazione economica di fatto già verificatasi ed esistente, sostanzialmente semplificando

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l'organizzazione dell'impresa, la quale, dopo la fusione, si baserà soltanto sulla struttura dellasocietà promotrice incorporante.Sotto la vigenza della normativa ante Riforma, per contestare l'ipotizzata eccezionalità dellanorma in esame rispetto al sistema, risulta affermato che "la norma potrebbe considerarsieccezionale soltanto se derogasse alla disciplina generale in presenza di caratteri idonei adindividuare un aspetto particolare del procedimento di fusione con riferimento, però, ad unafusione che mantenga inalterata la fisionomia di incorporazione di società non possedutainteramente dalla incorporante; nella fattispecie regolata dall'articolo 2505 del codice civile, cherisulta incastonato nel capo attinente la fusione in generale, il procedimento di fusione differisce,invece, da quello ordinario perché esso è diretto soltanto ad una semplificazionedell'organizzazione e non anche, come avviene nelle incorporazioni ordinarie, ad un mutamentoeconomico e giuridico della distribuzione delle partecipazioni rappresentative della consistenzapatrimoniale fra i soci".La norma dettata dall'articolo 2505 dl codice civile, traendo spunto anche dalla relazione delMinistro sul decreto legislativo 22/1991, costituirebbe semplice cristallizzazione, in un'espressaprevisione normativa, della circostanza che il possesso, da parte della società incorporante di tuttele azioni o quote dell'incorporata, determina l'inapplicabilità di talune delle regole chedisciplinano la fusione mediante incorporazione e, in particolare, di tutte quelle riguardanti ilrapporto di cambio e gli adempimenti ad esso connessi.Così ragionando, la norma in esame può essere letta come regola generale per tutte quelle ipotesidi fusione che realizzano i medesimi scopi di semplificazione dell'organizzazione economico-giuridica di un gruppo, con conseguente inutilità di attente valutazioni patrimoniali, finalizzate adeterminare la congruità del rapporto di cambio, e degli elementi di informazione che si ritengonoessenziali, ancorché in parte disponibili con il consenso unanime dei soci, nel procedimentoordinario di fusione; in tali ipotesi, che, nella sostanza economica e giuridica, riproducono lafattispecie espressamente prevista dal legislatore, anche se diverse da un punto di vistarigorosamente formale, non si pone, infatti, l'esigenza di tutelare i soci delle società partecipanti,ordinariamente assicurata, nel procedimento più complesso, dalle norme dettate in materia dirapporto di cambio, relazione degli amministratori e relazione degli esperti, e saranno pertantopossibili applicazioni estensive ed analogiche della norma in esame.

Vb. La competenza a deliberare dell'organo amministrativo.Per palesi motivi di brevità si tralascia di esaminare le possibili ipotesi di applicazione, siaestensiva che analogica, della norma dettata dall'articolo 2505 del codice civile, oggetto, sotto lavigenza del vecchio testo dell'articolo 2504 quinquies del codice civile, di accurate analisi, allequali si rinvia (* in calce allo scritto); occorre invece esaminare l'elemento innovativo dellaprocedura semplificata ora dettata dall'articolo 2505 del codice civile, e cioè la attribuzione agliorgani di amministrazione, in deroga al principio generale che rimette ai soci ogni decisionecomunque incidente sulla rispettiva partecipazione sociale, del potere di deliberare la fusione,dando ad essa concreta attuazione; si pone, pertanto, il problema di verificare se una taleapplicazione, estensiva ed analogica, possa essere sostenuta anche in relazione alla nuova regolaintrodotta dalla Riforma.La attribuzione del potere di decidere la fusione all'organo di amministrazione presuppone, comesi è avuto modo di rilevare, una espressa previsione formulata nell'atto costitutivo o nello statutoed è attenuata dalla facoltà, riconosciuta a minoranze qualificate, di delegittimare l'attribuzionemedesima, restituendo pieni poteri all'assemblea dei soci.Va sottolineato innanzi tutto che la pretesa di attribuire carattere eccezionale alla deroga allaordinaria competenza dei soci a deliberare la fusione non può consentire di estrapolare, purchèricorrano le condizioni di legge, dal procedimento semplificato dettato dall'articolo 2505 delcodice civile, al quale è stato riconosciuto, invece, carattere di norma non eccezionale, un aspetto

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particolare, quale appunto l'attribuzione del potere decisionale sull'attuazione della fusione, che,una volta inglobato nel procedimento semplificato, ne costituisce elemento integrante edinscindibile. Occorre quindi verificare se la semplice sussistenza del cennato elemento innovativo, debitamenteintrodotto dalla volontà dei soci nell'ordinamento della propria società, sia sufficiente adeterminare l'applicabilità integrale della disciplina dettata dall'articolo 2505 del codice civile aicasi di ulteriore applicazione della stessa norma.E' intuitivo che tale previsione sarà normalmente riproduttiva del disposto di legge, conriferimento quindi all'ipotesi esplicitamente prevista e disciplinata.Nulla vieta che la clausola contrattuale o statutaria preveda, ab origine, l'estensione della regola,sia in maniera generica che in maniera particolareggiata, anche alle ipotesi non previste dallegislatore, per le quali si può sostenere un'applicazione estensiva o analogica della norma inesame, con conseguente integrale applicazione della relativa disciplina; ma anche nel caso in cuidetta estensione non sia espressamente prevista, e sia quindi riprodotto semplicemente il dispostodi legge, non sembra sussistere motivo alcuno per non ritenere integralmente applicabile, anchealle cennate ulteriori ipotesi, in via estensiva o analogica, l'intero disposto normativo, compresa,necessariamente, la previsione codicistica di delegittimazione del potere dell'organo diamministrazione.Piuttosto è da sottolineare che anche in questo caso, come si è avuto in passato modo diriscontrare nelle ipotesi di applicazione estensiva o analogica della norma, nelle quali si rendenecessaria una ridistribuzioni di partecipazioni societarie, deve più precisamente parlarsi diapplicazione estensiva o analogica parziale della disciplina, in quanto, come nelle ipotesirichiamate si rende necessario predeterminare i criteri e le modalità di una tale ridistribuzione,nella fattispecie in esame si rende necessario assicurare la facoltà prevista dall'ultimo commadell'articolo 2505 del codice civile alla minoranza, che, all'interno della società, sia essaincorporante o incorporanda, che ne possiede un'altra o di entrambe le società, partecipate daglistessi soci nelle medesime proporzioni, voglia riappropriarsi della propria legittimazione adeliberare.

VI. Ipotesi di applicazione estensiva ed analogica in relazione all'articolo 2505 bis del codicecivile.Non sembra invece possibile prospettare un'applicazione analogica dell'ipotesi previstadall'articolo 2505bis del codice civile, di incorporazione di società possedute al novanta per cento,in quanto la norma appare di natura eccezionale, prevedendo presupposti specifici a tutela diinteressi ben individuati, che non consentono di utilizzare la stessa disciplina se non in ipotesi difusione inversa o propria, con un'applicazione quindi semplicemente estensiva della normamedesima, assicurando quanto previsto nell'articolo in esame per la società incorporante allasocietà che detiene il novanta per cento delle partecipazioni dell'altra società.Non appare infatti motivabile una tesi contraria che precluda la possibilità di attuare ilprocedimento semplificato in esame nelle ipotesi in cui la fusione abbia i medesimi presupposti,sotto i profili dei soggetti coinvolti e delle partecipazioni dell'uno nell'altro, ma diverga dallaipotesi normativamente disciplinata per il semplice fatto che la società possedente assuma, nelprocedimento di fusione, la posizione di incorporata nella partecipata o, nel caso di fusionepropria, nel terzo soggetto a determinarsi; anche in queste ipotesi si avrà, però, soltantoun'applicazione estensiva parziale della norma, in quanto dovranno essere assicurate ai soci dellasocietà possedente, e soltanto a questa, qualunque sia la posizione assunta nel procedimento difusione, le tutele e le cautele dettate dall'articolo 2505 bis del codice civile.

VII. Momento della sussistenza dei presupposti per applicare i procedimenti semplificati.

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Problema comune a tutte le ipotesi di fusione semplificata è l'individuazione del momento in cuideve sussistere il presupposto dell'applicabilità dei relativi procedimenti e, quindi, la titolarità, incapo ad una società, nelle ipotesi normativamente disciplinate incorporante, di una partecipazionetotalitaria o largamente qualificata al capitale di un'altra società, in dette ipotesi incorporanda; ilcennato problema di ordine temporale va esteso a tutte le fattispecie ritenute suscettibili di essereregolate dalla medesima normativa per effetto di una sua applicazione estensiva o analogica.E' assolutamente corretto affermare che tali situazioni debbano sussistere al momento in cui lesocietà si determinano alla fusione, dando vita ad un progetto di fusione che gli amministratori,nel prendere atto della sussistenza dei presupposti di legge, redigono avvalendosi della procedurasemplificata; è, tuttavia, possibile sia che i presupposti per la procedura semplificata sideterminino nel corso del procedimento di fusione, avviato nel pieno rispetto della proceduranormale, sia che i presupposti di una procedura semplificata, sussistenti al momento dell'avvio delprocedimento, vengano meno "in itinere".Sotto la vigenza della caducanda normativa è stato sostenuto che, in caso di modifica dellecondizioni economiche sulle quali risulta fondato il progetto di fusione, sarebbe necessarioavviare un nuovo procedimento che, tenendo conto delle mutate condizioni di partenza, si basi suun diverso progetto di fusione; è stata altresì affermata, pur in assenza di espressa previsione dilegge, la modificabilità del progetto di fusione nel presupposto che, in mancanza di lesione degliinteressi dei soci e dei creditori delle società coinvolte, l'assemblea possa, in sede di delibera difusione, determinarsi ad una operazione parzialmente diversa rispetto a quanto previsto nelprogetto originario.

(In nota: Deve porsi in risalto la differenza fra condizioni di legittimità della fusione e condizionidi legittimità del progetto; essendo il progetto di fusione un programma fondato su determinateaspettative future, oggetto di previsione, e quindi su eventi ancora da verificarsi, considerati, però,sussistenti dagli amministratori per l'elaborazione del progetto, è possibile che le condizioni dilegittimità del progetto non vengano ad esistenza e il progetto decada, laddove invece lecondizioni di legittimità della fusione si intendono realizzate quando, pur non sussistendo almomento della redazione del progetto, risultino verificatesi al momento dell'attuazione dellafusione. Per la modificabilità in itinere, ante Riforma, del progetto di fusione, con esclusionesoltanto degli elementi indicati al punto 1) dei contenuti necessari del progetto stesso, vediGiuseppe Ferri jr, ).

A seguito della Riforma risultano introdotte due novità:a) il nuovo articolo 2502 del codice civile consente espressamente che la decisione di fusionepossa apportare modifiche al progetto di cui all'articolo 2501 ter del codice civile, anche se taliconsentite modifiche risultano, nell'ambito della norma, laconicamente indicate come quelle chenon incidono sui diritti dei soci e dei terzi;b) e gli articoli 2505 e 2505 bis del codice civile consentono che, ricorrendo determinatipresupposti, la decisione sulla fusione sia adottata dall'organo di amministrazione.Nelle ipotesi regolate dall'articolo 2505 del codice civile, per quanto riguarda il punto b), nonsembrano sussistere motivi formali o sostanziali per non equiparare sul piano operativo, ladecisione dell'organo di amministrazione, ove avvenga nelle ipotesi consentite dalla legge, aquella dell'assemblea; non sul piano formale in quanto l'articolo 2502 del codice civile, al primocomma, in tema di modificabilità del progetto di fusione, fa generico riferimento alle decisionisulla fusione, per cui appare legittimo che l'organo di amministrazione, in presenza di una idoneaprevisione statutaria, si avvalga della propria competenza allorquando, durante l'iter di unafusione, si verifichino i presupposti di cui all'articolo 2505 del codice civile; e non sul pianosostanziale in quanto, una volta verificatisi i cennati presupposti, siano essi quelli della fattispecienormativamente regolata che quelli delle fattispecie analogicamente o estensivamente regolate

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dalla stessa norma, non occorre alcun contemperamento degli interessi dei titolari dellepartecipazioni nelle società a fondersi e la decisione finale può essere legittimamente sottratta aisoci stessi, i cui interessi patrimoniali non possono subire alcuna lesione.In ordine al punto a) appare ora legittimo che l'organo sociale, chiamato a decidere sulla fusionedopo che si siano concretizzati gli elementi necessari per dar vita ad un procedimento semplificatoa norma dell'articolo 2505 del codice civile, possa procedere all'approvazione dell'originarioprogetto predisposto dagli amministratori, estrapolando dal progetto stesso, e quindi nonapprovando, la parte relativa alla determinazione del rapporto di cambio e di quelle altre parti delprogetto a detto rapporto necessariamente collegate, rese inutili dalla mutata titolarità dellepartecipazioni alle società coinvolte, adottando, nei limiti consentiti dalla legge, una deliberazioneinnovativa che determini un atto di fusione sostanzialmente diverso da quello previsto nelprogetto originario.Una tale deliberazione non pone nella fattispecie in esame alcun pregiudizio per i soggetticoinvolti nella operazione di fusione; non per i creditori, sia anteriori che successivi, la cui tutela,come si è avuto modo di affermare, può considerarsi assicurata dalla immodificabilità soltanto dialcuni elementi del progetto di fusione, e non per i soci delle società coinvolte, la cuipartecipazione nella società risultante dalla fusione appare ora, a seguito della variazionedell'appartenenza delle partecipazioni ai capitali delle società a fondersi, predeterminata e quindisottratta ad una valutazione di congruità.Sul problema si era pronunciata, sotto la vigenza della normativa ante Riforma, la CommissioneSocietà del Consiglio Notarile di Milano pervenendo alla conclusione, cristallizzata in un'appositamassima in data 29 ottobre 2002, che sarebbe sufficiente, al fine di valersi delle semplificazioniprocedimentali previste e consentite dalla legge, il fatto che i relativi requisiti e presupposti siverifichino, e risultino quindi soddisfatti, in epoca antecedente solo il perfezionamento dellafusione e, dunque, anche successivamente alle decisioni sulla fusione medesima.Sotto il profilo formale pone, tuttavia, alcune perplessità l'ipotesi di un procedimento iniziatonell'integrale rispetto dei contenuti imposti dall'articolo 2501 bis del codice civile, e cosìapprovato dall'organo decidente, e concluso, invece, con un atto di fusione stipulato dai legalirappresentanti delle società come incorporazione di una società in un'altra, senza ragione dicambio, in quanto, nelle more della stipula, e comunque successivamente alla decisione, la societàincorporante abbia acquisito la titolarità dell'intero capitale dell'incorporanda.I dubbi sulla legittimità di tale procedura hanno origine sia dalla previsione normativa primarichiamata, introdotta dalla Riforma, che consente ora espressamente la modificabilità, nei limitievidenziati, del progetto di fusione in sede di decisione e non oltre, che dalla considerazione che ilrispetto delle condizioni necessarie per eliminare il rapporto di cambio sfuggirebbe in tal modo alcontrollo di qualsiasi organo deliberante delle società coinvolte, potendosene soltanto ipotizzare,nella fattispecie in esame, il relativo controllo in sede di iscrizione nel registro delle imprese, ovelo si ritenga compreso nei poteri di verifica di regolarità formale attribuiti al Conservatore delRegistro; devesi però riconoscere che, in una tale ipotesi, i soci non avrebbero interessi concretiall'impugnazione dell'atto di fusione prima della sua iscrizione nel Registro delle imprese o allarichiesta di risarcimento di danni consentita dall'articolo 2504 quater del codice civile, in quantoin realtà, nella fattispecie ipotizzata, non può per loro verificarsi danno alcuno venendo ad esserela ripartizione delle partecipazioni alla società risultante dalla fusione assolutamentepredeterminata.Appaiono viceversa conformi a legge quei casi in cui gli amministratori abbiano redatto unprogetto di fusione indirizzato alla realizzazione di una fusione semplificata, pur non ricorrendonei presupposti al momento della redazione del progetto; in una tale ipotesi è sufficiente che gliamministratori diano atto, in sede di decisione sulla fusione, dell'avveramento della condizione asuo tempo non sussistente, perché la decisione stessa possa legittimamente dar corso ad un atto di

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fusione che si avvalga di un procedimento semplificato, ancorché i relativi presupposti di legge sisiano verificati soltanto durante il relativo iter.Nell'ipotesi prevista e regolata dall'articolo 2505 bis del codice civile, sembra invece doverosa laconclusione dell'impossibilità di avvalersi di una tale procedura semplificata quando i relativipresupposti si siano verificati dopo la decisione sulla fusione; in questa ipotesi normativa, infatti,è strettamente collegato alla decisione sulla fusione l'ulteriore necessario elemento delriconoscimento agli altri soci della società partecipata del diritto di fare acquistare le loropartecipazioni dalla società possedente, elemento questo che, in presenza di una partecipazionealtamente qualificata di una società nell'altra, consente di disattendere il normale iter proceduraledisegnato dal legislatore in materia di fusioni.In relazione, invece, a tutte le fattispecie per le quali è consentito e risulti avviato un itersemplificato di fusione, nell'ipotesi in cui, medio tempore, siano venuti meno i presupposti legaliper un tale procedimento, la decisione, in questo caso, esclusivamente dei soci, dato atto delleavvenute modificazioni delle partecipazioni alle società a fondersi, potrebbe validamenteapportare, a norma dell'articolo 2502, ultimo comma, del codice civile, al progetto iniziale lemodifiche opportune per riportare la fusione nell'alveo del procedimento ordinario, altresìadottandosi, con decisione unanime e totalitaria, in detta sede le delibere necessarie per esprimereun rapporto di cambio, opportunamente svincolandolo dai suoi presupposti, quali relazione degliamministratori e relazione degli esperti, ritenute genericamente rinunziabili. VIII. Cumulabilità delle semplificazioni previste dagli articoli 2505 e 2505 bis del codice civilealla fusione alla quale non partecipino società azionarie.L'ultimo problema da affrontare è quello della possibilità o meno di applicare la disciplinasemplificata prevista dagli articoli 2505 e 2505bis del codice civile, inserita nel quadro delprocedimento di fusione fra società azionarie, alle ipotesi di fusione alle quali non partecipinosocietà di quei tipi.E' stato in proposito sottolineato che, in materia di società a responsabilità limitata, la mancatariproduzione del disposto del secondo comma dell'articolo 2365 del codice civile, "Lo statuto puòattribuire alla competenza dell'organo amministrativo o del Consiglio di sorveglianza o delConsiglio di gestione le deliberazioni concernenti la fusione nei casi previsti dagli articoli 2505 e2505bis del codice civile", potrebbe far presumere, anche alla luce dell'articolo 2479, commasecondo, punto quattro, del codice civile, che ogni decisione in materia di fusione debba essereinderogabilmente rimessa all'Assemblea dei soci, con la conseguenza che la deroga allacompetenza ordinaria dell'Assemblea, ammissibile per le società azionarie, non sarebbe invececonsentita per le società a responsabilità limitata.Tuttavia è da sottolineare che gli articoli 2505 e 2505 bis del codice civile fanno espressoriferimento, oltre che alle azioni, anche a partecipazioni in società espresse da quote, con laconseguenza che, almeno nella fattispecie di fusione in cui siano coinvolte società azionarie, èpossibile che anche nelle società che azionarie non sono la decisione sulla fusione sia rimessaall'organo di amministrazione.Tale espresso riferimento, consentendo la possibilità, in quanto testuale, che nelle cennate ipotesi,in cui sia comunque coinvolta almeno una società azionaria, la o le società a responsabilitàlimitata anch'esse coinvolte possono rimettere la decisione all'organo di amministrazione,conferma che nulla osta a che lo stesso procedimento, ricorrendone i presupposti, possa essereposto in essere anche nel caso in cui nel procedimento di fusione non risulti coinvolta societàazionaria alcuna; pertanto le ipotesi generali previste dagli articoli 2505 e 2505bis del codicecivile sono da considerarsi norme che possono sovrapporsi alle fattispecie previste dall'articolo2505 quater del codice civile, integrandola e determinando quindi una sovrapposizione di norme.Sembra sostenibile la tesi che il Riformatore ha tenuto presente e ha voluto applicare l'interoprocedimento semplificato sia alle società azionarie sia a quelle i cui capitali non siano

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rappresentate da azioni, dovendosi considerare l'intero dettato normativo soltanto carente diadeguato collegamento.Il mancato richiamo delle procedure semplificate nell'ambito della disciplina delle società aresponsabilità limitata può essere considerato conseguenza della volontà del Riformatore dirimettere alla volontà dei soci una tale possibilità, nel senso che i vuoti normativi, i qualideterminano una lettura incongrua delle norme sulla fusione, possono essere colmati utilizzandol'ampia autonomia statutaria prevista alla lettera b), punto 1, dell'articolo 3 della legge 3 ottobre2001, numero 366, la quale permette di concepire l'idea di uno statuto societario contenitore dinorme a regime contrattuale, idonee a plasmare quasi liberamente la organizzazione della societàe in particolare, a norma del richiamato articolo della Legge delega, le strutture organizzative e iprocedimenti decisionali della società stessa.

(*)Ipotesi di applicazione estensiva della norma dettata dall'articolo 2505 del Codice Civile sonoquelle nelle quali i soggetti coinvolti sono esattamente gli stessi ipotizzati dalla norma, e cioè duesocietà delle quali una risulti interamente posseduta dall'altra; le fattispecie divergono per il fattoche, pur volendosi conseguire un medesimo risultato economico - finanziario, si utilizzanoprocedimenti giuridici diversi, detti fusione propria e fusione inversa, i quali, comunque,determinano la stessa identica concentrazione algebrica di due diversi patrimoni, nel presuppostoche l'ipotesi disciplinata dall'articolo 2505 del codice civile non può assumere valore diindicazione indisponibile, da parte del legislatore, della forma necessaria per realizzare unaconcentrazione economica di quel tipo. E' da rilevare, però, che in dette ipotesi, pur riscontrandosil'inutilità, per non dire l'impossibilità di individuare un rapporto di cambio, si pone la necessità diuna ridistribuzione del capitale della società incorporante ai soci della società già possedenteincorporata, da regolarsi a seguito di un esauriente controllo della ragionevolezza dell'operazionealla luce dei contrapposti interessi dei singoli soci della società possedente incorporata,ipotizzandosi, nella fattispecie, la disapplicazione soltanto della necessità della relazione degliesperti e la permanente necessità degli altri elementi derogati dalla procedura semplificata, e inparticolare della relazione degli amministratori, in un'accezione di applicazione estensiva parzialedella norma, ricavabile da un'applicazione analogica dell'articolo 2504 novies vecchio testo, oggiarticolo 2506 ter, terzo comma, del codice civile, dettato in tema di scissione.La possibilità di un'applicazione analogica della norma in esame è connessa, invece, alla necessitàche, pur in presenza di presupposti diversi, ricorra comunque quell’”eadem ratio” che, si è visto,essere l’elemento intorno al quale ruota il cennato criterio di integrazione dell’ordinamentogiuridico e, quindi, sussista una concentrazione, già avvenuta sul piano economico-finanziario,che si intende attuare sul piano giuridico-formale.Una tale situazione è indubbiamente riscontrabile nelle qui di seguito elencate ipotesi:a) ipotesi di fusione fra due società partecipate dagli stessi soggetti nella medesima proporzione;b) ipotesi in cui con un unico procedimento di fusione si realizza l'incorporazione in una società diun'altra società, interamente posseduta dall'incorporante, e di un'ulteriore società, posseduta questadalla prima incorporanda;c) ipotesi in cui una società incorpora altre due società, quando la società incorporante detiene unapartecipazione non totalitaria in una società incorporanda e una partecipazione totalitaria al

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patrimonio dell'altra società incorporanda, la quale detiene la rimanente partecipazione al capitaledell'altra incorporanda;d) e ipotesi in cui la società incorporante detenga una partecipazione non totalitaria in entrambe lesocietà incorporande, le quali risultino per il resto partecipate una dall'altra società incorporanda el'altra dalla compagine sociale che detiene la titolarità del capitale della società incorporante,purchè le singole partecipazioni risultino, nell'uno e nell'altro caso, proporzionali.In tutte le ipotesi prospettate l'elemento comune è costituito dal fatto che non sussistono ragioniper la salvaguardia e la difesa degli interessi ai quali il procedimento ordinario di fusione intendeassicurare tutela e, in particolare, non sussiste alcuna ragione di determinare il rapporto di cambio;è da rilevare che, anche nelle ipotesi di applicazione analogica del procedimento semplificato difusione, si possono porre, con le conclusioni già evidenziate per le ipotesi di applicazioneestensiva della norma, i medesimi problemi di distribuzione delle nuove partecipazioni, emesse, incaso di aumento di capitale, dalla società risultante dalla fusione, per la presenza di soci di diversecategorie o per il fatto che si determinino raggruppamenti di partecipazioni.Per una accurata ricostruzione delle ipotesi di applicazione estensiva ed analogica dell'articolo2504 quinquies del codice civile ante Riforma, vedi: Francesco Di Vita in "Applicazioni estensivedel procedimento semplificato di fusione", tesi di laurea presentata alla "Luiss - Libera UniversitàInternazionale degli Studi Sociali" in Roma, relatore professor Gustavo Visentini, nel corsodell'anno accademico 2000/2001, in corso di pubblicazione.