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La fotografia in montagna Cesare Re: www.recesare.com Cesare Re è specializzato in fotografia di montagna nei suoi diversi aspetti. Ha pubblicato fotografie su Meridiani, Bell'Italia, Meridiani Montagne, Alp, Piemonte Parchi, Viaggi e Sapori, Parchi e Riserve, Case Country Class e testi e foto su Rivista della Montagna, Fotografia Reflex, Fotocine, Orobie, I Quaderni del Ticino, Itinerari Travel, Ambiente Duemila, Marcopolo, Viaggia l'Italia, l'Orso, Backcountry, Oltre, Rivista del CAI, Montebianco Outdoor, Foto Cult, Montagnard e Vivere la Montagna (rivista del Canton Ticino). Collabora, come corrispondente, per la Rivista del Trekking e come coordinatore della fotografia per Montagnard. Ha partecipato alla parte iconografica ed alla redazione del libro "Montagna per tutti", guida natura del Touring Club sull'arco alpino. Sue fotografie sono state utilizzate nel libro "Parchi di Lombardia" della Sesaab Editrice, nella guida Geo Mondadori su "Piemonte e Valle d'Aosta", nel libro del CAI e della Regione Lombardia "sentieri di Lombardia da rifugio a rifugio" e nella collana in 10 volumi "Le Nostre Montagne" del Touring Club. Ha scritto e illustrato le guide "Val d'Ossola" e "Valli Valdesi e Sestriere" per La Rivista del Trekking e le guide "Rifugi e Bivacchi della Val d'Aosta", "Sua maestà il Rosa", "Passo Passo Dolomiti", Camminare in Ossola", Val Gardena e Alpe di Siusi" e Ciaspolare in Val d’Aosta per Macchione Editore. Tiene corsi di fotografia in montagna, sua teorici che pratici. Fine conoscitore dell'Arco Alpino e amante dei grandi spazi africani, con la reflex e con la penna, rende indelebili le atmosfere e la bellezza di questi luoghi incantati. Sue ricerche sull'acqua e sul paesaggio sono state esposte in varie mostre personali.

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La fotografia in montagna

Cesare Re: www.recesare.com

Cesare Re è specializzato in fotografia di montagna nei suoi diversi aspetti. Ha pubblicato fotografie su Meridiani, Bell'Italia, Meridiani Montagne, Alp, Piemonte Parchi, Viaggi e Sapori, Parchi e Riserve, Case Country Class e testi e foto su Rivista della Montagna, Fotografia Reflex, Fotocine, Orobie, I Quaderni del Ticino, Itinerari Travel, Ambiente Duemila, Marcopolo, Viaggia l'Italia, l'Orso, Backcountry, Oltre, Rivista del CAI, Montebianco Outdoor, Foto Cult, Montagnard e Vivere la Montagna (rivista del Canton Ticino). Collabora, come corrispondente, per la Rivista del Trekking e come coordinatore della fotografia per Montagnard. Ha partecipato alla parte iconografica ed alla redazione del libro "Montagna per tutti", guida natura del Touring Club sull'arco alpino. Sue fotografie sono state utilizzate nel libro "Parchi di Lombardia" della Sesaab Editrice, nella guida Geo Mondadori su "Piemonte e Valle d'Aosta", nel libro del CAI e della Regione Lombardia "sentieri di Lombardia da rifugio a rifugio" e nella collana in 10 volumi "Le Nostre Montagne" del Touring Club. Ha scritto e illustrato le guide "Val d'Ossola" e "Valli Valdesi e Sestriere" per La Rivista del Trekking e le guide "Rifugi e Bivacchi della Val d'Aosta", "Sua maestà il Rosa", "Passo Passo Dolomiti", Camminare in Ossola", Val Gardena e Alpe di Siusi" e Ciaspolare in Val d’Aosta per Macchione Editore. Tiene corsi di fotografia in montagna, sua teorici che pratici. Fine conoscitore dell'Arco Alpino e amante dei grandi spazi africani, con la reflex e con la penna, rende indelebili le atmosfere e la bellezza di questi luoghi incantati. Sue ricerche sull'acqua e sul paesaggio sono state esposte in varie mostre personali.

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Introduzione

Lo scopo di questa rubrica è semplicemente quello di consentire a escursionisti e appassionati di montagna di tornare “al piano” con belle immagini, qualcosa in più delle pur preziose foto ricordo.

Alba invernale sul Monte Bianco - © Cesare Re. Commento dell'Autore: Colore limpido della stagione fredda. In una gelida mattina di dicembre, salendo al Rifugio Bertone (Val Ferret) trovo il coraggio di estrarre il treppiede e, battendo i denti, misuro l’esposizione sul cielo, intensificando il colore con l’uso di un polarizzatore. In questi casi, con ombre e luci, è sempre meglio togliere i sistemi d’esposizione automatica (a matrice) e misurare la luce. In questo modo si evita che le ombre vengano eccessivamente chiare.

(Nikon F 5, 80-200 2,8 afd, Velvia 50, treppiede, polarizzatore)

“ L’antipatico gingillo meccanico che rechiamo sui monti, legato alle spalle, è divenuto per noi un compagno utile e fedele che, ad un nostro cenno, guarda e ritiene con memoria più sicura della nostra; un compagno che malediciamo le cento volte nella salita, che pesa, ci preme il fianco o sbattacchia sulla schiena, squilibra i moti e c’impaccia nei movimenti difficili, ma che, al ritorno, benediciamo;……..La piccola scatola racchiude nel suo segreto alcune rapide visioni che sono tesori;…. Strana magia questa di fermare per sempre ciò che è stato un attimo fuggente della vita! “

Guido Rey “alpinismo acrobatico”: Fermare un attimo fuggente della vita, come diceva “il poeta” Guido Rey, può essere considerato, semplicisticamente, il fine essenziale della fotografia. Chi si reca in montagna con la macchina fotografica intende, in genere, documentare una gita, un’ascensione o semplicemente serbare il ricordo di un momento felice. Il fotografo di montagna deve essere in grado di comunicare emozioni, evidenziare impressioni e sensazioni, spesso personali, che devono essere estrapolate da un ambiente ricco di possibilità di espressione. I paesaggi di montagna, infatti, già belli di per se stessi, mutevoli e scenografici, offrono tantissime possibilità di immagini. A cospetto di un ambiente grandioso e

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spettacolare il rischio di ottenere foto banali e scontate è altissimo. E’ nell’occhio del fotografo la capacità di cogliere e comunicare all’osservatore la grandezza di una cima o la repulsione che suscita un dedalo di crepacci, l’austerità di un luogo o il senso bucolico di un prato fiorito, l’impeto di una fragorosa cascata o la pace di un placido lago, isolando alcuni particolari ed eleggendoli a singole immagini. Per ottenere risultati eccellenti sono necessari, oltre a nozioni tecniche e alla conoscenza dei luoghi, la capacità di sfruttare le varie tipologie di luce, l’attesa del momento giusto e tornare spesso sui propri passi, fino a che le condizioni ambientali siano proprio quelle più consone al tipo di risultato finale, in modo da ottenere così un’immagine “unica”. Unica per il colore, per la luce, e per le sensazioni che è in grado di trasmettere all’osservatore. Ciò non toglie che anche durante una breve e semplice escursione sia possibile scattare buone fotografie; e proprio questo è l’intento di questa rubrica. Fotografare in montagna è sempre frutto di compromessi, sia per le difficoltà insite nel percorso, che richiedono sempre un certo dispendio fisico, sia per il trasporto del materiale fotografico, peso che si aggiunge a quello dello zaino. E’, inoltre, determinante il tempo che, durante un’escursione, siamo disposti a dedicare alle soste necessarie per attendere le migliori condizioni di luce, comporre l’immagine, inquadrare e scattare. Alle difficoltà proprie della fotografia di paesaggio si sommano quelle delle avverse condizioni ambientali, dei repentini mutamenti climatici e del raggiungimento del luogo di ripresa più adatto. I soggetti che compongono l’ambiente alpino sono molteplici: il paesaggio e i suoi particolari, la flora, la fauna, l’acqua e il ghiaccio, l’elemento umano con l’architettura montana e la foto di denuncia. Ogni argomento presuppone la conoscenza di nozioni tecniche diverse ma complementari, indispensabili tanto in un genere quanto nell’altro. Vedremo, brevemente, l’utilizzo della macchina fotografica, degli obiettivi, la misurazione della luce, i tempi e i diaframmi, la profondità di campo, pellicole e sensori, il colore e il bianco/nero, l’uso di filtri, la luce ambiente e il flash, la fotografia panoramica, la macrofotografia, ecc. Procederemo parallelamente tra analogico e digitale, sfatando “miti e leggende”, soprattutto sulle “regole dei pixel”, che rendono semplice scattare fotografie solo in apparenza. Oltre alle basi tecniche ci saranno itinerari tematici sul campo, legati ad un singolo aspetto, con problemi pratici e soluzioni. Ottenere buoni risultati significa apprendere la tecnica e le regole della composizione, imparando ad applicarle nelle diverse situazioni, a seconda dei soggetti, ed essere assolutamente padroni del mezzo tecnico e , se si scatta in digitale, dei vari procedimenti di post produzione. Scattare delle fotografie è un modo di vivere la montagna, in tutti i suoi aspetti più spettacolari, consentendoci di rivivere successivamente gli spettacoli della natura, la sua bellezza e, soprattutto, le emozioni interiori che questo splendido mondo verticale è in grado di farci provare.

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La macchina fotografica

Parlare oggi di macchine fotografiche non è semplicissimo. Con l’avvento del digitale e la “nascita” di una nuova compatta ogni 30 secondi è anche complicato redigere un rapporto qualitativo tra i vari strumenti che offre il mercato o fare un raffronto tra fotocamere digitali e a pellicola (o analogiche, come sono impropriamente dette oggi).

Lo scopo di questa rubrica, però, non è quello di fornire delle mere nozioni tecniche, costruttive o merceologiche (nel caso basta comprare un libro di tecnica fotografica), ma quello di consentire a chi si reca in montagna di tornare a casa con immagini piacevoli, attraenti, qualche cosa in più delle “foto delle vacanze”. Per nozioni tecniche, calcoli matematici sui pixel e cose del genere, basta studiare i vari libretti d’istruzione delle fotocamere (Auguri !; ormai sono tomi enciclopedici di numerose pagine e diversi volumi ! . Consiglio vivamente, invece di ammattire sui libri, di fare un bel giretto “in alto”, in montagna insomma). Andiamo con ordine. Ci sono svariati tipi di macchine fotografiche che si distinguono, innanzitutto, per il formato della pellicola utilizzabile. Sono dette di “piccolo formato” le macchine fotografiche che utilizzano la classica pellicola da 35 mm, la cui superficie misura 24 x 36 mm. Il formato di pellicola superiore è detto “medio formato” e, in centimetri, misura: 4,5 x 6; 6 x 6; 6 x 7; oppure anche 6 x 9 cm. Ingombranti e molto costose le macchine fotografiche medio formato forniscono risultati eccellenti proprio per le dimensioni del negativo che garantiscono maggior ricchezza tonale, grana più fine e possibilità di ottenere ingrandimenti eccezionali. Basti pensare che una stampa 20 x 30 cm da un negativo di piccolo formato richiede un ingrandimento di circa 8,3 volte, mentre lo stesso risultato da un negativo medio formato si ottiene con un ingrandimento molto minore (se ingrandissimo un 4,5 x 6 di 8,3 volte avremmo, infatti, una stampa di 37,35 x 49,8 cm). Il tutto è valido anche per le digitali, nel senso che maggiori sono le dimensioni del sensore e il numero dei mega pixel, maggiore sarà l’ingrandimento possibile alla risoluzione canonica di 300 dpi (quella considerata qualitativamente idonea per la visione dell’occhio umano su stampa cartacea o tipografica). Classificare le digitali in base alla dimensione del sensore è, però, piuttosto complicato, nel senso che esistono sensori di moltissime dimensioni. Un primo criterio è quello dei mega pixel, anche se avere una compatta da 10 mega pixel, ma con un sensore di dimensioni minime, non

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garantisce automaticamente una qualità elevata; meglio una fotocamera con un sensore di buone dimensioni e qualche mega pixel in meno !. Alcune medio formato a pellicole dispongono, inoltre, di particolari caricatori per pellicole, detti magazzini, nei quali viene alloggiata la pellicola con la possibilità di sostituirli prima di aver finito gli scatti e di reinserirli successivamente. Si può, quindi, alternare immagini a colori e in bianco e nero, oppure caricare diversi magazzini con pellicole di diverse sensibilità, evitando di sobbarcarsi il peso di più corpi macchina. Col digitale questi vantaggi sono praticamente scontati, grazie all’utilizzo delle schede di memoria !. Infine meritano un cenno le macchine di grande formato (banco ottico) che costituiscono, infine, un mondo a sé. Pesanti, lente e ingombranti, non hanno, però, rivali dal punto di vista qualitativo e offrono notevoli vantaggi grazie alla mobilità dei loro componenti che consentono di raddrizzare le linee cadenti e di ottenere immagini con soggetti perfettamente a fuoco, dal primissimo piano sino all’infinito. Utilizzano pellicole piane in lastre singole, di 4 x 5 pollici in genere (ci sono anche il 5 x 7 e 8 x10 pollici). Pensate che ingrandendo la lastra più piccola per 8,3 si otterrebbe una stampa di qualità eccezionale di circa 83 x 100 cm. Le macchine fotografiche, sia analogiche sia digitali, si distinguono anche per la visione del soggetto nel mirino. Esistono fotocamere reflex e a telemetro. Le prime consentono di vedere l’effettiva scena inquadrata, grazie alla presenza di uno specchio posto tra obiettivo e mirino. Sono le più versatili e permettono di utilizzare tutti i tipi di obiettivo, dai super grandangolari a super tele. Lo svantaggio sta nel fatto che lo specchio, alzandosi dalla propria sede al momento dello scatto, oscura il mirino e provoca alcune vibrazioni che, con tempi lunghi possono creare problemi di mosso, o micromosso, all’immagine. Le macchine a telemetro non consentono la visione reflex: hanno, infatti, il mirino leggermente decentrato rispetto all’obiettivo. Ciò genera il così detto errore di parallasse: l’immagine inquadrata non è esattamente ciò che andrà a impressionare la pellicola. Non ci sono, però, assolutamente vibrazioni, visto che lo specchio non c’è. E’ possibile, quindi, scattare con tempi di posa più lunghi rispetto alle reflex. La visione del telemetro è, inoltre, sempre chiara e limpida, anche con poca luce. La mancanza dello specchio consente di ridurre notevolmente i pesi rendendo queste macchine eccellenti in casi particolari, come ascensioni o foto in parete quando limitare l’ingombro diventa esigenza determinante. D’altro canto la massima focale tele accoppiabile al telemetro è, generalmente, di soli 135 mm (nel formato 35 mm) e le riprese macro sono molto complicate per l’errore di parallasse, ulteriormente accentuato nelle riprese a distanza ravvicinata.

Scegliere la macchina fotografica

Il mercato propone macchine fotografiche di tutti i tipi e prezzi. Senza fare inutili discorsi, tipo calcio e politica da bar, riguardo a marche e modelli, si tenga ben presente che la macchina fotografica è uno strumento che serve per comunicare, è un mezzo per ottenere delle foto. Lo stesso discorso vale per la pellicola e il digitale, metodologie diverse per un fine unico. In linea di massima chi fotografa in montagna, con un certo impegno, dovrebbe orientarsi su una reflex, digitale o di piccolo formato, se analogica. Si consideri, inoltre, non solo il prezzo del corpo macchina, ma anche quello di eventuali futuri acquisti di cui si sentirà l’esigenza in futuro. In genere è sempre il costo degli obiettivi a fare la differenza. In definitiva, reflex o a telemetro, compatta o ad obiettivi intercambiabili, assicuratevi che la vostra fotocamera abbia la possibilità di disinserire gli automatismi, in modo da avere il pieno controllo di tempi, diaframmi e sensibilità, e di scegliere il tipo di misurazione della luce (spot, matrice, media). In caso di compatte considerate solo l’escursione dello zoom ottico e non quella dello “zoom digitale”, sempre di pessima qualità. Come reflex digitali possono andare bene i modelli dai 6 mega pixel e oltre, essendo sufficienti per la maggior parte degli impieghi. Personalmente non rinuncerei al controllo della profondità di campo, utile soprattutto per macro e close up.

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Mini Glossario

Autofocus: è vero che le montagne non corrono, però l’autofocus può aiutare soprattutto chi

ha problemi di vista ed è praticamente indispensabile nella fotografia di animali.

Esposimetro: Strumento in grado di misurare la quantità di luce presente in una determinata

scena. Gli esposimetri interni alle macchine fotografiche misurano la luce riflessa dai soggetti,

suggerendo il tempo di posa e il diaframma.

Meccanica: Nell’era del digitale una buona reflex meccanica (esistono solo analogiche) è in

grado di funzionare anche senza pile e con climi rigidissimi. Attenzione ! meccanica non

significa “non autofocus”, come spesso si sente dire. Si intende, invece, una reflex i cui

meccanismi non hanno componenti elettronici, esposimetro a parte.

Medio formato a Telemetro: Unisce i vantaggi della pellicola di medio formato, senza un

peso eccessivo.

Otturatore: Strumento che, alla pressione del pulsante di scatto, “apre” le tendine, o le

lamelle metalliche, consentendo alla luce di impressionare la pellicola o il sensore. Alcune

medio formato hanno, invece, l’otturatore all’interno dell’obiettivo (otturatore centrale), che è

in grado di utilizzare il flash con qualsiasi tempo di posa, senza necessità della

sincronizzazione.

Tasto di controllo della profondità di campo: Guardando nel mirino di una reflex si vede il

soggetto sempre a tutta apertura di diaframma. Il controllo della profondità di campo chiude il

diaframma al valore effettivo di scatto, consentendo di vedere, con una certa approssimazione,

le parti a fuoco del soggetto.

Tropicalizzazione: Un particolare trattamento di alcune macchine fotografiche di alta gamma

che hanno delle guarnizioni, in ogni spazio fessura, che proteggono da umidità, sabbia e

polvere. In montagna non è male!

Panoramiche: Meritano una breve citazione le macchine panoramiche (alle quali dedicheremo

una parte in seguito). Anche se oggi si creano immagini panoramiche unendo più immagini

singole con l’aiuto di appositi programmi informatici, esistono macchine fotografiche

panoramiche a pellicola che consentono di ottenere negativi particolarmente lunghi (da 24 per

58 mm a 6 per 17 cm).

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L'inverno nel torrente: l’effetto seta e il ghiaccio

Commento dell'Autore: Acqua e Ghiaccio: contrasto tra le due forme d’acqua: il ghiaccio statico e il saltello d’acqua in movimento. Il Sasso e il grafismo sulla roccia spiccano in un immagine altrimenti quasi monocromatica. Ho utilizzato un diaframma molto chiuso (f 16), per ottenere un estesa profondità di campo, e un tempo di posa lungo, in modo da rendere l’effetto mosso dell’acqua del torrente.

(Nikon F 90 x, Micro Nikkor 105 af d 2,8. Velvia 50. Treppiede)

L’inverno, il freddo, la neve e il ghiaccio. E’ il tempo dello sci-alpinismo, delle ciaspole, oppure il momento migliore per dilettarsi con prodotti eno-gastronomici vari, magari al tepore di un camino. Per il fotografo di montagna, però, gli spunti non mancano. L’argomento “acqua”, in particolare, diviene, in questo periodo, interessantissimo. Semplice da trovare, almeno sulle nostre Alpi, si presta a molte interpretazioni a seconda del suo stato, della sua forma e del suo colore, tutte caratteristiche che in Inverno divengono particolarmente mutevoli. Durante i mesi invernali nei corsi d’acqua di montagna spuntano, ovunque, interessanti e fotogeniche forme di ghiaccio, attorniate da cascatelle e giochi d’acqua: in pochi centimetri si concentrano una miriade di soggetti spesso irripetibili in quanto “nascono” di notte e, spesso, si sciolgono in breve, con l’innalzarsi della temperatura. E’ quindi necessario alzarsi di buon’ora e coprirsi, coprirsi molto (garantisco fa un freddo cane!). Si scatta, infatti, quasi sempre ad almeno qualche grado sotto lo zero, anche perché le forre dei torrenti sono quasi sempre in ombra o prendono sole, nella stagione fredda, solo nelle ore centrali della giornata. Sono, quindi, indispensabili guanti, giacca e scarponi con suola adeguata poiché, di frequente, ci si apposta su massi gelati o ricoperti di invisibile e infido verglass. Consiglierei anche bastoncini telescopici e un paio di ramponi (anche quelli leggeri da escursionismo), altrimenti gli scivoloni sono garantiti, soprattutto se si deve saltare il torrente da un sasso all’altro. Anni fa, in un tratto isolato del torrente Màrmore (Valtournenche – Val d’Aosta), sono scivolato sbattendo un

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ginocchio contro un macigno. Dopo essermi assicurato di non aver rotto o bagnato la reflex, ho cominciato a urlare tutto il mio dolore, pensando di dover uscire dal letto del fiume strisciando; una cosa alla Joe Simpson (La Morte Sospesa), insomma. Per fortuna non era nulla e dopo alcuni minuti mi sono ripreso !. E’ importante proteggere le lenti degli obiettivi, avvitando filtri Skylight od UV, per evitare di bagnare le lenti. E’ sempre utile portare batterie di scorta da tenere al caldo, poiché queste tendono ad esaurirsi temporaneamente a causa del freddo. Una volta in loco, per ottenere immagini che vadano al di là di quelle d’insieme, è necessario concentrarsi sui piccoli particolari come anfratti, cascatelle minori o forme e disegni delle rocce. Spesso i soggetti che ci accingiamo a fotografare sono molto piccoli, quindi, se vogliamo avere una sufficiente profondità di campo, sarà necessario diaframmare molto (f 11-16-22). I diaframmi chiusi consentiranno, inoltre, di avere un tempo di posa sufficientemente lungo per ottenere il mosso dell’acqua, ovvero l’effetto seta che contribuisce a creare immagini particolari e inconsuete. Visti i tempi di esposizione conseguentemente lunghi, a volte anche di alcuni secondi, sarà indispensabile utilizzare il cavalletto. L’effetto mosso dipende dalle dimensioni della cascatella, dalla quantità d’acqua e dalla lunghezza della posa fotografica. In linea di massima per piccoli salti d’acqua sarà necessario un tempo più lungo che per grandi cascate. Il treppiede, consente, inoltre, di controllare con più calma messa a fuoco e inquadratura. Il tipo di immagini, qui spiegato, richiede, infatti, accurata composizione. Uno scatto flessibile, o telecomando per le moderne reflex e per le digitali, ci aiuterà a ridurre le vibrazioni (in alternativa è possibile utilizzare l’autoscatto, anche se è necessario tener conto del maggior consumo delle batterie che provocherebbe). Interessanti sono poi le situazioni di luce particolari, come il controluce e la luce radente. Nel calcolo dell’esposizione è necessario ricordare che acqua e soprattutto ghiaccio sono superfici molto riflettenti, specie se in piena luce. Può capitare, quindi, che i dati dell’esposimetro causino una sottoesposizione. Quindi scattando con pellicola diapositiva sarà necessario fare degli scatti a forcella in sovraesposizione (a passi di 1/3 o di 1/2 di stop). D’altro canto, all’ombra si rischia di accentuare l’effetto “tutto azzurro” causato dai raggi UV (può anche essere un effetto interessante per trasmettere la sensazione di freddo). E’ possibile ovviare a tale inconveniente utilizzando filtri Sky od UV o, ancor meglio, i vari 81 A, B o C che donano al soggetto una dominante calda, eliminando l’effetto precedente. Utilizzando digitale, invece, buona parte di questi problemi si risolve in post produzione, soprattutto la correzione delle dominanti che rende superfluo l’utilizzo di quasi tutti i filtri, polarizzatore a parte. Il polarizzatore, infatti, è un filtro neutro (non crea o corregge dominanti di colore) e assolve alla duplice funzione di ridurre i riflessi ed aumentare i tempi di posa di uno o due stop, a seconda di come lo si orienta, e di ottenere, quindi, l’effetto mosso dell’acqua. Molto utili sono anche i filtri N. D. (Neutral Density). I Neutral Density servono per allungare i tempi di posa, senza causare dominanti cromatiche. Ne esistono di due diverse gradazioni: N.D. 2 ,4 , 8 (allungano i tempi di posa di vari stop a seconda del tipo e delle varie combinazioni con cui si sommano). Questi filtri risultano essere importantissimi con le digitali, in quanto molte hanno come minima sensibilità 200 ISO, un valore che rende difficile ottenere tempi di posa lunghi e, quindi, il tanto apprezzato effetto mosso. In pellicola sarà opportuna la scelta di emulsioni di bassa sensibilità, come le 50 ISO, non solo per aumentare le possibilità di ottenere l’effetto mosso, ma anche per ottenere maggior definizione e grana fine. Col digitale è opportuno impostare la sensibilità minore consentita dalla macchina fotografica in uso. Per questo tipo di immagini, nelle quali è difficile prevedere l’effetto visivo e il grado di mosso dell’acqua ottenuto, poter controllare sullo schermo della digitale il risultato conferisce un vantaggio enorme, rispetto alle reflex a pellicola, con le quali è necessario scattare molte immagini, con tempi di posa diversi, e scegliere poi quella che più sembra rappresentare l’effetto cercato in ripresa. E’ vero che l’esperienza aiuta, ma il controllo visivo su monitor è veramente un grandissimo vantaggio !. Lo svantaggio del digitale, in questo tipo di immagini, a mio avviso l’unico difetto, è la minor differenza di tonalità tra colori simili che i sensori riescono ad ottenere, rispetto alla pellicola. Una cascatella che passa sopra un sasso assume diverse sfumature a seconda dei colori della pietra; in genere la pellicola riesce meglio a individuare le differenze cromatiche tra tonalità simili dello stesso colore (per esempio tra un grigio chiaro e un grigio un po’ più chiare, ecc.). Gli obbiettivi migliori sono i tele zoom (70-210 / 70-300) con buone possibilità macro; sono abbastanza leggeri e consentono di scegliere l’inquadratura senza spostarsi (spesso muoversi nel greto di un torrente è praticamente impossibile). Anche se la luminosità non è importante perché si scatterà, in genere, con diaframmi chiusi, può essere utile perché consente una

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visione più chiara e nitida del soggetto attraverso le lenti, aiutandoci nella messa a fuoco. Ottimi anche i tele macro 105 e 200mm. Anche un 300 mm, con ridotta distanza minima di messa a fuoco, può essere utile per isolare qualche particolare. Utili accessori possono pure essere lenti addizionali e tubi di prolunga che consentono di ridurre la distanza di messa a fuoco, ottenendo, quindi, un buon ingrandimento. In definitiva che si scatti in macro, o poco più lontano, in ombra, luce o controluce, basta allungare o diminuire il tempo di posa per ottenere risultati diversi, particolari e inconsueti, basta provare! Ovviamente si può fotografare l’acqua non solo d’Inverno, ma anche in altre stagioni. In Primavera, grazie all’abbondanza d’acqua provocata dal disgelo, ci sono molte opportunità per buoni scatti, sfruttando l’impeto delle cascate, magari anche delle più grandi; In autunno può essere interessante includere foglie colorate nella composizione e, in caso di clima freddo, iniziano a formarsi anche piccole e interessanti parti di ghiaccio. In definitiva l’acqua è uno dei soggetti più belli e mutevoli per un fotografo di natura e, sicuramente, vi regalerà momenti di gioia e divertimento, soprattutto dopo aver fatto un po’ di pratica. Saluti e buon lavoro.

Commento dell'Autore: “Gocce”: un soggetto che ho “scovato” raramente. Vista la limitata dimensione delle gocce ho sistemato il treppiede nella sua posizione più bassa e ho scattato col macro da molto vicino. Per ottenere tutte le gocce a fuoco ho utilizzato il diaframma f 22. (Nikon FE 2, Micro Nikkor 60 af 2,8. Velvia 50. Treppiede)

Commento dell'Autore:“Altre Gocce”: anche i questo caso è stato necessario diaframmare molto. Il soggetto si trovava in ombra. Per avere una corretta esposizione ho deciso, quindi, di effettuare una serie di scatti a forcella in leggera sovraesposizione. L’effetto azzurro, dovuto alla dominante fredda originata dalla posizione del soggetto in piena ombra, conferisce all’immagine una sensazione di freddo. Volendo sarebbe possibile correggere, senza problemi, la dominante con un qualsiasi programma di fotoritocco, ma preferisco “rispettare” l’effetto ottenuto con la diapositiva. (Nikon FE 2, Micro Nikkor 60 af 2,8. Velvia. Treppiede)

Commento dell'Autore:“Cascatella”: è questo un esempio di come l’acqua possa cambiare radicalmente aspetto a seconda del tempo di posa utilizzato. Essendo una cascatella alta poche decine di centimetri, per ottenere un notevole effetto mosso, ho utilizzato un filtro ND allungando così il tempo di posa. E’ spesso opportuno scattare diverse immagini modificando i tempi di posa, in modo da potere poi scegliere l’effetto desiderato. Utilizzando il digitale, grazie al monitor, è molto più semplice controllare immediatamente il risultato. (Nikon F 90 x, Nikkor 70-210 af d 4/5,6. Sensia. Treppiede; filtro ND 4)

Commento dell'Autore: “Sasso al Tramonto”: a differenza delle foto precedenti, il punto forte di questa immagine è il colore dell’acqua che circonda il sasso. La dominante rossa è dovuta al riflesso della vegetazione ed alla luce radente di una sera d’Autunno. (Nikon F 5, Nikkor 80-200 af d 2,8. Elite 100. Treppiede, polarizzatore)

Commento dell'Autore: “Onda”: un soggetto piccolo e lontano dal punto di ripresa. Ho utilizzato, infatti, il 300 mm, fissato ad un robusto treppiede. Per ottenere un “effetto seta” così pronunciato era necessario avere un tempo di esposizione attorno al secondo. Ho, quindi, utilizzato il polarizzatore, sia per intensificare il colore, sia per allungare il tempo di posa. L’efficacia di questa foto è dovuta anche al disegno sulla roccia ed al colore che l’acqua ha assunto in quel momento, grazie anche alla luce primaverile. (Nikon F 5, Nikkor 300 af 4. Elite 100. Treppiede. Polarizzatore)

Commento dell'Autore: “Onda e Luce”: l’aspetto di questo piccolo saltello d’acqua era ben diverso da quello che vedete ora. L’utilizzo di un tempo lungo, attorno al secondo, e la forte luce primaverile “accendono” l’immagine e creano l’effetto particolare delle “linee di luce”, ben visibile in basso a destra. (Nikon F 801, Nikkor 80-200 af d 2,8. Velvia 50. Treppiede. Filtro ND)

Commento dell'Autore: “Acqua e Foglia”: immagine riuscita grazie al contrasto tra la foglia ferma e l’acqua in movimento. Mi ero recato in Valsesia per fotografare alcune forme di

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ghiaccio, ma il clima troppo caldo ha “eliminato” precocemente i miei soggetti. (Nikon F 5, micro Nikkor 105 af d 2,8. Velvia 50. Treppiede. Polarizzatore)

Commento dell'Autore: “Stalattiti e Acqua”: un soggetto effimero destinato a sciogliersi e a riformarsi di giorno in giorno, a seconda della temperatura. Essendo i candelotti molti piccolo e sul lato opposto del torrente hanno richiesto l’utilizzo di un teleobiettivo. (Nikon F 90 X, Nikkor 80-200 af d, 2,8. Velvia. Treppiede)

Commento dell'Autore: “Sasso e Acqua”: immagine semplicissima, un particolare di una cascatella e un piccolo sasso. Ancora una volta un soggetto in movimento ed uno fermo. E’ questa una foto scattabile in tutte le stagioni. (Nikon FE 2, micro Nikkor 105 af d 2,8. Velvia. Treppiede. Polarizzatore)

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Come trasportare reflex e obiettivi in montagna

Tutti i fotografi hanno “problemi di trasporto”, soprattutto chi deve muoversi su terreni accidentati o chi si appresta ad intraprendere un gita in montagna. Anche la più semplice delle uscite presuppone l’utilizzo di uno zaino, per riporre vestiti di ricambio, generi di conforto e tutto il necessario.

Se il trekking dura più giorni, o prevede ascensioni in quota, si devono necessariamente aggiungere altro: sacco a pelo, tenda, fornellino e materiale alpinistico vario (piccozza, ramponi, ecc.). Lo spazio per il trasporto dell’attrezzatura fotografica diviene, quindi, piuttosto limitato. I problemi sono numerosi: il peso, l’ingombro e il “contenitore”. Dopo anni di escursioni ho tragicamente dedotto che il modo migliore per trasportare l’attrezzatura non esiste, nel senso che ogni genere di borsa o zaino presenta vantaggi e svantaggi.

Borsa

Vantaggi: senza dubbio è il contenitore che consente l’accesso più immediato e veloce all’attrezzatura. Si sostituisce l’obiettivo o si estrae il necessario, senza fermarsi o appoggiarla a terra.

Svantaggi: la borsa poggia su una spalla sola; ad ogni passo oscilla, soprattutto in salita; rende difficile superare passaggi di roccia esposti o con corde fisse dove si impiglia e si incastra

Zaino fotografico

Vantaggi: possibilità di trasportare moltissima attrezzatura, anche pesanti teleobiettivi; il peso del carico è ben bilanciato sulle spalle

Svantaggi: dove riporre l’indispensabile per andare in montagna - giacca a vento, maglione, viveri, ecc.

Marsupio

Vantaggi: alcuni tipi sono leggeri e comodi da trasportare; se ben legati (con cinghie tese) non ostacolano la camminata

Svantaggi: la loro capienza è limitata e se eccessivamente riempiti pendono verso il basso

Personalmente ritengo che un buon modo per trasportare gli strumenti fotografici in ontagna sia quello di combinare i diversi metodi, a seconda delle esigenze e del materiale. Lo zaino da montagna è assolutamente indispensabile per qualsiasi escursione (questo esclude a priori l’utilizzo di quello fotografico). In un modello sufficientemente capiente trovano posto tutto l’equipaggiamento, il cibo necessario e, eventualmente, il materiale alpinistico. Esistono zaini con tasche laterali con una capienza tale da potervi riporre obiettivi, a volte anche tele (attenzione a bilanciare sempre il carico). Nei negozi specializzati sono in vendita custodie imbottite per obiettivi e macchine che consentono di mettere gli strumenti fotografici anche nel vano principale dello zaino, in assoluta sicurezza. Un’alternativa interessante può essere quella di avvolgere il materiale in maglioni e giacca e vento (attenzione se vi viene freddo!). Il cavalletto può essere legato alle fibbie esterne, utilizzate, in genere, per piccozza o sacco a pelo. In una borsa fotografica a spalla, o in un marsupio, riporremo la reflex, con l’obiettivo principale montato, e un paio di ottiche leggere (importante regolare cinghie e tracolle in modo che la reflex balli il meno possibile). Alcune borse, anche se costose e di marca, hanno i ganci che collegano gli spallacci al corpo centrale in plastica. Suggerirei di sostituirli con dei semplici moschettoni da montagna, in modo da evitare sorprese. Ideale sarebbe avere uno zaino

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sufficientemente capiente da consentire, in caso di passaggi difficili o di maltempo, di riporre al suo interno la borsa o il marsupio. Sconsiglio vivamente di portare la reflex al collo, senza protezione. Qualche anno fa, lungo un passaggio attrezzato con funi metalliche, non ho riposto la macchina nello zaino perché volevo scattare alcune foto ad amici impegnati ad arrampicare sulla roccia. La mia macchina è sbattuta contro la roccia, proprio dalla parte dell’obiettivo. Per farla breve ho rotto il filtro Sky (per fortuna che era montato!), salvando così le lenti dell’ottica. Ho scattato diverse immagini che sono risultate poi rigate a causa delle crepe formatesi sul filtro, non visibili attraverso il mirino. Stavo scattando in diapositiva; ho dovuto, quindi, scansire tutte le immagini ed eliminare i graffi: un lavoraccio ! . Volendo, per chi intenda tenere la reflex al collo esiste un sistema con ganci e fibbie che fissa la macchina al torace, aderendo perfettamente al corpo. A mio avviso, però, si crea qualche problema di respirazione, vista la naturale dilatazione del torace, soprattutto sotto sforzo. Merita, infine, una breve citazione il giubbotto fotografico. Di qualsiasi tipo o materiale è poco traspirante e crea un poco piacevole “effetto sauna”. Trovo sia comodo solamente in pieno inverno o in alta quota (quando la temperatura è sempre piuttosto bassa), per riporvi una macchina e un solo obiettivo. L’ingombro è comunque limitato e, oltretutto, indossando il giubbotto sotto la giacca a vento, si protegge l’attrezzatura dal freddo. In definitiva, se non avete a disposizione un mulo o un gruppo di portatori, conviene comunque utilizzare il buon vecchio zaino da montagna!

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Con le ciaspole... Gita fotografica nella Valle di Saint-Barthélemy

Commento dell'Autore: Mont Emilius: Scatto diverse immagini del Mont Emilius, vetta simbolo d’Aosta. La luna e il pennacchio, originato dal vento, impreziosiscono l’immagine. La cima si trova sul versante opposto rispetto alla Valle di Saint Barthélemy. Ho scelto di isolare il soggetto dalle altre cime, utilizzando l’80-200, accentuando il cielo bleu del primo mattino con un polarizzatore. (Nikon F 90 X, 80-200 af d 2,8. Velvia 50. Polarizzatore. Treppiede)

Una mattina presto nel Gennaio 2001. La mia auto arranca sulla rotabile della Valle di Saint-Barthélemy. Arranca è proprio la parola giusta ! la strada è imbiancata, il clima è gelido e lo spettacolo “tutto bianco” è straordinario, quasi irreale: cime, abeti e larici sono zeppi di neve ! In effetti ha nevicato tutta notte, per smettere solo un paio d’ore prima dell’alba. Vorrei arrivare in auto sino a Porliod, per poi proseguire con le ciaspole sino agli alpeggi di Tza Fontaney e, magari, anche oltre, anche se dubito che le condizioni del manto nevoso siano sicure fuori del bosco: c’è troppa neve. Ho scelto la Valle di Saint Barthélemy per un servizio di itinerari con le racchette per “La Rivista del Trekking”. Il luogo, visto precedentemente in periodo estivo, mi sembra l’ideale, non avendo impianti di risalita invasivi, a parte un mini skilift. Anche la conformazione orografica, con alcuni alpeggi e con strade agro-silvo-pastorali, sembrerebbe essere interessante per una serie di escursioni semplici per chi intenda provare a calzare le ciaspole, anche per la prima volta. Personalmente mi muovo con le ciaspole dal 1997, ma riviste ed editori hanno iniziato a considerare questo tipo d’escursionismo invernale solo dai primi mesi del 2000. Verso Lignan, “capoluogo” della valle, non posso fare a meno di fermarmi per ritrarre la splendida piramide del Mont Emilius, impreziosita dalla luna, ancora alta nel cielo. Fermo l’auto in un tratto in piano (occhio, altrimenti non riparte più su neve e ghiaccio !) e, nel gelo del mattino, estraggo il treppiede, la fida F90 X, lo zoom 80-200 e il polarizzatore. Scelgo un obiettivo tele per isolare il soggetto. Lo zoom in questo caso è comodissimo, in quanto cambiare l’ottica col freddo tremendo di questa mattina sarebbe proprio una sofferenza! Dopo una serie di scatti, al limite del congelamento, riparto per affrontare i tornanti e giungere, “quasi pattinando”, sino a Porliod ove parcheggio. Uno sguardo verso valle, per ammirare la dorsale orografica destra della Valle Centrale (o Valle

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della Dora) e già pregusto le foto di alberi e radici ammantate di bianco, vette innevate come fossimo nelle Ande… Invece arriva la nebbia. Nuvole ovattano il paesaggio. Non si vede più nulla. Addio servizio, ma soprattutto niente foto! Occasioni di scattare con tantissima neve sono piuttosto rare, soprattutto negli ultimi anni, visto che le precipitazioni nevose sembrano divenire sempre più rare. Parto comunque, sperando nella buona sorte e poi anche la nebbia ha il suo fascino, soprattutto per uno che vive nel Parco del Ticino e che è abituato anche a fotografarla (in futuro ne parleremo). Ripongo la borsa fotografica (105 af 2,8 macro, 80-200 af d 2,8, 15 2,8 fish eye e treppiede, una quindicina di Velvia 50) nello zaino da montagna, lasciando la F 90 X con il 20-35 mm a tracolla, protetta dalla borsa pronto (vedi il capitolo “problemi di trasporto”). Dopo una decina di minuti il sipario della Val d’Aosta si apre, il miracolo è compiuto: la nebbia e le nuvole si diradano lentamente, ma inesorabilmente; spuntano le vette imbiancate, prima, e le cime degli alberi, appena dopo; la nebbia si trasforma in un “mare di nubi” dal quale si ergono le vette della valle della Dora, tra le altre, l’Emilius, L’Avic e la Grivola. E’ d’obbligo una sosta fotografica. Lo scenario è tra i più suggestivi e fotogenici della mia attuale stagione invernale. Scatto molte foto, modificando l’esposizione (scatti a forcella a passi di 1/3 di stop) e l’inquadratura, sia utilizzando il 20-35, sia l’80-200. A volte scelgo di incorniciare il soggetto sfruttando come quinte naturali i larici bianchi, a volte evito di inquadrare la vegetazione per evidenziare il mare di nubi. Proseguo nel bosco, lungo la agro-silvo-pastorale imbiancata, o tagliando i tornanti, perché proprio gli alberi sono tra i soggetti più interessanti di questa giornata. La corteccia corrugata dei larici, impreziosita da muschi, licheni e arabeschi di neve, è il soggetto ideale per scatti ravvicinati, texture o immagini d’insieme. Queste sono immagini che è meglio scattare con la luce radente del mattino o della sera, in modo che si evidenzino le forme e la materia. Bellissime anche le immagini di rami adornati da forme di neve. Anche in questo caso la luce radente è importante. Per texture e forme di neve utilizzo il 105 macro, diaframma intorno a f11 / f16, ponendo l’ottica perpendicolarmente al soggetto, in modo da ottenere ottima profondità di campo ed evidenziare le forme. Ovviamente per macro e texture il treppiede è indispensabile. Immancabili per un servizio fotografico, ma anche per il ricordo di una gita tra amici, sono le inquadrature d’ampio respiro e le immagini con gli escursionisti lungo i sentieri che servono anche per far capire al lettore il tipo di gita che si sta affrontando. Gli alberi lasciano ora posto a docili pendii, sovrastati dal Monte Faroma, che conducono all’Alpe Tza Fontaney, con bella vista sul Mont Morion. I pendii successivi che conducono al Col Salve sono invitanti e candidi, troppo innevati per proseguire in sicurezza. Decido, quindi, di fermarmi, approfittando dei numerosi spunti fotografici che offre la zona, con l’idea di tornare nei prossimi giorni, con neve stabile e assestata, per percorrere altri itinerari e finire il servizio per la rivista. Lungo il percorso del ritorno in auto mi fermo nel paesino di Lignan e approfittando della neve che adorna i tetti e i pendii circostanti scatto alcune immagini.

Spunti Tecnici

Altri brevi spunti tecnici interessanti (in futuro saranno trattati analiticamente) per qualsiasi escursione al freddo o sulla neve possono essere: il bianco della neve, la misurazione spot e alcune precauzioni per proteggere le attrezzature dal freddo. Rendere il bianco della neve, con le digitali non è un problema; si può agire con interventi in post produzione, sui livelli e sulla luminosità. E’ possibile anche intervenire sul “bilanciamento del bianco”, il WB della macchina fotografica. Si può puntare la macchina su un soggetto neutro (il cielo azzurro in montagna va benissimo) e misurare la luce in questo modo, per poi ricomporre l’inquadratura e scattare. Personalmente lascio sempre, o quasi, il WB in auto e agisco poi (pochissimo in verità) in post produzione. In Diapositiva, invece, è necessario, spesso, sovresporre l’immagine, in modo da schiarire la foto e rendere la neve bianca. In realtà per un lavoro di qualità professionale sarebbe necessario tarare la propria reflex con gli obiettivi e le pellicole in uso, in modo da essere consapevoli di ottenere la tonalità di colore ricercata (si vedrà in un capitolo a parte). In linea di massima, però, già settando la reflex (digitale o analogica) con la lettura a matrice si dovrebbe ottenere comunque la neve bianca. In caso, però, ci siano scene con notevoli differenze di luminosità, con parti in luce e parti in ombra, è necessario sostituire la lettura a matrice con la lettura spot. La matrice, infatti, compie una media tra le varie luminosità della scena e tende spesso a schiarire le ombre, rendendo illeggibili e troppo chiare le alte luci. In spot si punta il centro del mirino nella parte della scena che si intende privilegiare, in genere la

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parte luminosa. Si ricompone, poi, l’inquadratura e si scatta. Per proteggere l’attrezzatura dal freddo è sufficiente tenere la macchina sotto la giacca a vento e avere delle batterie di scorta al caldo, visto che il freddo tende a renderle temporaneamente poco efficienti. Prestare attenzione anche quando dal freddo si entra in un luogo caldo, ad esempio un rifugio. E’ possibile, infatti, che si formi condensa sull’attrezzatura fotografica. Nel caso è sufficiente attendere qualche minuto, soprattutto per sostituire le ottiche, evitando così che sul sensore delle digitali si formi condensa.

Note: Itinerario: Alpe Tsa de Fontaney (2302 m): da Porliod (1876 m); + 426 m; 1,30 ore; semplice con neve battuta.

Accesso: Autostrada della Val d’Aosta Autostrada A5, uscita Nus, ove si seguono le indicazioni per Lignan e Porliod.

Commento dell'Autore: “Mare di nubi”:, “miracolo” dell’inversione termica. Uno scenario particolarmente suggestivo. Ho scattato molte immagini, concentrandomi su inquadratura ed esposizione. Per questo articolo ho scelto la foto con le punte dei larici ben in evidenza, in modo da creare una quinta naturale, comprendendo 4 piani distinti: alberi, nuvole, cime, cielo. (Nikon F 90 X, 80-200 af d 2,8. Velvia. Treppiede)

Licheni. Commento dell'Autore: “Licheni”: ho scelto un taglio verticale, evidenziando i licheni sulla corteccia. La risoluzione del web non permette di apprezzare la forma corrugata della corteccia e l’ottima messa a fuoco e profondità di campo del soggetto, aiutata anche dall’utilizzo di un diaframma molto chiuso. Piazzando il treppiede ho messo l’obiettivo perpendicolare al soggetto, in modo di ottenere buona profondità di campo. (Nikon F 90 X, 105 macro af d 2,8. Velvia 50. Treppiede)

Commento dell'Autore: “Lungo il sentiero”: altro modi di rappresentare la vegetazione. Uno scatto semplice, ma difficilmente si può resistere ad un bosco imbiancato, anche se il sole nell’inquadratura consente di variare un po’ l’immagine. Sia in diapositiva, sia in digitale è necessario “schiarire” l’immagine, vista le presenza contemporanea del controluce e della neve bianca. In Dia si compiono più scatti a forcella: con l’attrezzatura che ho utilizzato è stato sufficiente una sovraesposizione di 2/3 di stop. In digitale, ovviamente, si può schiarire in post produzione con il semplice comando luminosità / contrasto, oppure intervenendo sui livelli. (Nikon F 90 X, Sigma 15 Fish Eye 2,8 af d. Velvia)

Commento dell'Autore: “Forme di neve”: anche i particolari hanno il loro fascino, soprattutto quando sono effimeri, come questi arabeschi di neve che hanno vita limitata, sciogliendosi ai raggi del sole. Come scelta espressiva ho isolato una parte del soggetto, scegliendo, col medio tele 105 macro, un diaframma medio, in modo da non avere “il tutto a fuoco” che avrebbe, a mio avviso, reso l’immagine confusionaria. (Nikon F 90 X, 105 macro af d 2,8. Velvia 50. Treppiede)

Commento dell'Autore: “Ampio respiro”: la mole innevata del Monte Faroma, sovrasta i docili pendii nei pressi dell’Alpe Tza Fontaney. La traccia nella neve contribuisce a dare senso di profondità all’immagine. Ho scelto di includere i due escursionisti per dare un senso di proporzione, evidenziato anche dall’uso dello zoom grandangolare settato su 20 mm. Per rendere la neve bianca ho sovraesposto di 2/3 di stop. (Nikon F 90 X, 20-35 af d 2,8. Velvia)

Commento dell'Autore: “Camminare sulla neve”: le foto con escursionisti come soggetto principale servono per rendere l’idea del tipo di sentiero che si sta affrontando (semplice, ripido, scosceso, ecc.). E’ sempre meglio non mettere il soggetto al centro dell’inquadratura. In questo caso, però, ho scelto di non seguire la regola, per la presenza del ramo innevato che sembra quasi indicare l’escursionista e costituisce una sorta di linea guida. Il controluce evidenzia anche le ombre dei rami. Dal punto di vista tecnico è stato necessario sovresporre l’immagine, in modo da schiarirla, vista la presenza della neve e del sole nell’inquadratura. Per rendere il sole “a stella”, con i raggi in evidenza, si utilizza un diaframma chiuso, tipo f 16.

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occorre, però prestare attenzione ai flare (ombre fantasma a formo romboidale) che la luce crea a causa della forma delle lamelle del diaframma. (Nikon F 90 X, Sigma 15 Fish Eye af d 2,8. Velvia)

Commento dell'Autore: “Salendo alla Tsa de Fontaney”: gli alberi, le ombre e le tracce di una lepre in primo piano fanno da quinta al Monte Faroma. Utilizzando il grandangolo a 20 mm è sempre necessario includere un primo piano, in modo da conferire senso di profondità all’immagine. Anche in questo caso, vista la neve bianca e le ombre molto scure è stata necessaria una leggera sovraesposizione. (Nikon F 90 X, 20-35 af d 2,8. Velvia)

Commento dell'Autore: “Il Mont Morion dalla meta”: un po’ di colore non guasta ! Grandangolo, con primo piano e diaframma chiuso, intorno a f16, in modo da avere a fuoco sia le ciaspole che la vetta. Visto che stavo realizzando un servizio di escursioni con racchette, una foto agli attrezzi del mestiere è sempre pertinente. (Nikon F 90 X, 20-35 af d 2,8. Velvia)

Commento dell'Autore: “Lignan”: il caratteristico paese di Lignan rappresenta la fine della storia raccontata. Dopo la gita, volendo, si può fare una pausa al paesino, due passi, quattro chiacchere, una cioccolata calda o un paio di birre. (Nikon F 90 X, 80-200 af d 2,).

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Fotografare gli alberi

…Pini ed abeti senza aura di venti si drizzano nel sol che gli penetra… G. Carducci, (da Mezzogiorno Alpino)

L’Autunno è appena sopraggiunto. La vegetazione inizia ad assumere i colori tipici della stagione. Alle quote più basse le foglie cadono e in montagna i larici si colorano: giallo, con sfumature di arancio e diverse gradazioni di marrone. In questo periodo basta qualche giorno di freddo intenso perché gli alberi si “trasformino” e, per quanto effimeri, conferiscano alla montagna sgargianti tonalità. Gli alberi sono, in se stessi, un soggetto molto comune. Sono quindi le situazioni di luce e le forme particolari a rendere una foto diversa. E’ praticamente impossibile prevedere quando, in una giornata nuvolosa, un raggio di sole penetrerà attraverso le nubi illuminando un numero limitato di alberi, oppure individuare il momento in cui le nuvole si diraderanno lasciando intravedere le cime più alte. Si può, però, con vigile attesa, ricercare le occasioni migliori per rendere giustizia a questi splendidi soggetti o ragionare sulla posizione del sole, soprattutto in Autunno e Inverno, quando alcune vallate rimangono sempre in ombra, o sono illuminate solo poche ore al giorno. Si devono, quindi, considerare le stagioni, perché ognuna offre opportunità particolari: l’intenso verde in primavera, la galaverna o la neve che ammanta la vegetazione in inverno o la folta chioma estiva. La stagione migliore è però a mio parere l’Autunno che non solo colora in modo spettacolare la vegetazione, ma garantisce anche un’eccellente qualità di luce, radente e limpida, ottima per evidenziare le forme. In autunno, tra l’altro, la luce (il sole è più basso rispetto all’Estate) schermata dai rilievi, giunge prima in alcuni punti che in altri, disegnando così forme accattivanti e suggestivi insiemi di luci e ombre. Come per la fotografia di paesaggio, in genere, le ore migliori sono quelle del primo mattino e quelle poco prima del tramonto, quando la luce bassa e radente evidenzia le forme, esaltandone i colori. Nella magica stagione autunnale, però, se la giornata è soleggiata e tersa, avremo ottima qualità di luce per tutto il giorno, persino nelle ore vicino a mezzogiorno. Risultati interessanti si ottengono anche con il controluce che evidenzia le venature delle foglie e le forme degli aghi. Effetti interessanti si ottengono, pure, nelle giornate nebbiose, quando si diffonde una tenue luce che appiattisce le sagome, suggerendo immagini di altro genere. Come ottiche sono utilissimi i tele, per isolare il soggetto e schiacciare la prospettiva. I teleobiettivi,

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infatti, tendo a comprimere i soggetti della foto, rendendo minore la distanza tra un soggetto e l’altro (se fotografo alcuni alberi con un 300 mm, tutti i soggetti sullo sfondo sembreranno essere più vicini al primo piano. Fotografando un viale alberato la distanza tra un albero e l’altro sembrerà minore, rispetto alla realtà). Gli obiettivi grandangolari consentono di ottenere ottime immagini d’insieme e di esaltare o esasperare alcuni aspetti con inquadrature particolari, magari dal basso. Alcune inquadrature interessanti si ottengono con la reflex poggiata per terra, evidenziando così le radici. Proprio un’inquadratura particolare può conferire interesse ad un soggetto altrimenti “banale”. Non limitatevi ad un paio di scatti e a poche inquadrature, ma continuate a sperimentare !. Per curare maggiormente l’inquadratura consiglierei di utilizzare sempre il cavalletto che, oltre a rendere l’insieme reflex obiettivo più stabile, richiede più tempo per selezionare l’inquadratura, consentendo di lavorare in maniera più riflessiva. Se si intende concentrarsi sui particolari sarà utilissimo un obiettivo macro (tipo 60, 105 mm) che, scattando con luce bassa e radente, evidenzierà le forme e la materia (texture in gergo fotografico) di cortecce e foglie. In alcuni casi, visto i colori accesi e la differenza di illuminazione tra soggetto e sfondo sarà opportuno prestare attenzione alla misurazione dell’esposizione. Misureremo cioè la luce sul soggetto principale evidenziandolo dal contesto generale. In parole povere, è necessario togliere la misurazione a matrice e utilizzare il metodo di misurazione spot. Ovvero si sceglie il punto dove misurare l’esposizione (in genere il soggetto principale o comunque le zone più luminose dell’inquadratura). Una leggera sottoesposizione renderà il colore più saturo, scurendo magari lo sfondo; vero che esiste la post produzione, ma lavorare su un file ben esposto ed equilibrato rende più semplice qualsiasi tipo di elaborazione futura. Se vogliamo ottenere massima profondità di campo ricorriamo a diaframmi molto chiusi (f 16, f 22), tenendo però presente che la massima qualità delle ottiche, si ottiene, in genere coi diaframmi medi (f 5,6, f 8, f 11). Sarà quindi sempre opportuno scegliere in base alle situazioni, privilegiando la profondità di campo o la nitidezza, o meglio trovando il giusto equilibrio, in base alle nostre esigenze. Per isolare, invece, un soggetto, soprattutto utilizzando teleobiettivi, scegliamo un diaframma aperto, magari controllando l’effetto con il tasto di controllo della profondità di campo (non è precisissimo, ma può comunque dare idea del risultato finale). Scattando in pellicola sono utili i filtri sky, per eliminare la dominante azzurra dei raggi u.v. presente in montagna. Sia in pellicola, sia in digitale, potrà essere utile utilizzare il polarizzatore che elimina i riflessi rendendo i colori più saturi e vivaci, sia per la vegetazione sia per il cielo. Altro modo per ottenere colori vivaci è l’utilizzo di basse sensibilità, ovvero la minore regolazione iso, sia in digitale che in pellicola, in genere 50 o 100 iso.

Commento dell'autore: Nei pressi del Lago di Loie (Valle di Cogne): ero in cerca di camosci, in periodo autunnale. Improvvisamente vidi uno strano gioco di luce: per un attimo una nuvola sul sole creò questo particolare effetto che definirei di semi controluce. Pochi attimi… e la scena, repentinamente, mutò, giusto il tempo di girare la reflex, già sul treppiede, e di scattare un paio di diapositive. (Nikon F 90x, Nikkor 300 f 4, Velvia 50, treppiede)

Commento dell'autore: Ero in Val Troncea per realizzare un servizio per la Rivista del Trekking. Di buon mattino un netto controluce mise in evidenza le foglie. Con calma piazzai il treppiede e misurai la luce sulle foglie, sottoesponendo leggermente per accentuare il nero dello sfondo. (Nikon F 90x, Nikkor 80-200 f 2,8, Velvia 50, treppiede)

Commento dell'autore: Parco del Ticino in una giornata nebbiosa. In Inverno la nebbia è piuttosto frequente in pianura e può essere interessante per scattare immagini un po’ diverse dal solito. In questo caso, scattando con un obiettivo grandangolare si riesce a vedere bene il primo piano, mentre lo sfondo scompare nella coltre nebbiosa. In questo caso ho sovraesposto di 1 / 3 di stop, per schiarire leggermente il bianco della nebbia che, altrimenti, sarebbe venuto un po’ scuro. (Nikon F 90x, Nikkor 20-35 f 2,8, Velvia 50, treppiede)

Commento dell'autore: Una radice nel Parco Nazionale della Foresta Bavarese, in Germania. Dopo vari giorni avevo scattato parecchie immagini di alberi d’alto fusto e volevo una foto diversa, che rendesse l’idea dell’ambiente del parco naturale. Ho optato per questa radice, perché si vedono sullo sfondo anche altre piante. Tornato più volte nel punto prescelto, ho scattato parecchie immagini, scegliendo poi questa che, per luce, ritengo la migliore. Ho

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scattato a mano libera sdraiato per terra, diaframmando parecchio in modo da avere ottima profondità di campo. (Nikon F 5, Sigma 14 2,8, Velvia)

Commento dell'autore: Una composizione semplice e un soggetto comune, fotografato a pochi passi da casa. La presenza del sole, però, rende l’immagine interessante. Per rendere l’albero scuro ho sottoesposto leggermente. (Nikon D 100, Nikkor 80 – 400, ISO 200, treppiede)

Commento dell'autore: Chiudiamo con un particolare, una foglia ornata da galaverna. Per ottenere profondità di campo per avere tutto a fuoco ho diaframmato a f 16 l’obiettivo macro scegliendo una composizione in diagonale. (Nikon FE, Nikkor 105 micro, Velvia 50, treppiede)

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Primavera, tempo di i fiori

Commento dell'Autore: Gruppo di Pulsatille (Valmalenco, salendo al Passo Campagneda): una bella giornata di fine Aprile. Tra la neve molti sprazzi d’erba punteggiati da fiori. Dopo aver scattato molte immagini con inquadrature più selettive e con soggetti ravvicinati, decido per un’immagine d’insieme. Gironzolo per cercare un punto con la vegetazione folta e con un bello sfondo. Questa è l’immagine che preferisco, sia per il soggetto, sia per il tipo di composizione, con l’incrocio delle diagonali e il Pizzo Moro sullo sfondo. L’obiettivo grandangolare e il diaframma chiuso ocnsentono un’ottima messa a fuoco. Ho scelto, però, di rendere le cime sullo sfondo leggermente sfocate, per far sì che l’osservatore si concentri sui fiori in primo piano. (Nikon D 200, Sigma 15 af f 2,8; F 16; 1/125; luce ambiente)

I fiori. Quante volte si passa accanto, vicino, o anche sopra i fiori? A volte non ci si rende conto di quale bellezza rappresentino e dell’utilità che hanno nella vita e nell’ecosistema! C’è chi li ignora, chi li calpesta, chi li coglie, chi li ammira e, per fortuna, anche chi li fotografa. Fotografare un fiore è sicuramente il modo migliore per serbarne il ricordo. Ritrarre una specie particolare, o una comunissima margherita, vuol dire rendere indelebile un momento e, soprattutto, donare una sorta di vita eterna all’immagine di quel fiore che, se estirpato, morirebbe in breve tempo. La vostra ragazza, donna, moglie o amante vi chiede un fiore? portatele una bella stampa, ovviamente ben incorniciata, magari anche con un pass-partout e, sul retro, scrivetele una frase o una poesia; la natura ve ne sarà grata e anche io e tutti gli altri fotografi che potranno, così, scattare qualche bella immagine. Come? in quali luoghi e stagioni ? con quali obiettivi? A quale ora? Andiamo con ordine. Innanzitutto va ricordato che la fotografia di fiori può essere, in linea di massima, definita come fotografia di “close up”, una sorta di macro moderata. Si fotografano, infatti, soggetti piccoli, ma non piccolissimi e, difficilmente, ci si spinge ad un livello di ingrandimento eccessivo. Esistono poi specie floreali di generose dimensioni che non necessitano neanche dell’utilizzo di ottiche particolari, ma che ben si prestano ad essere fotografate anche con gli obiettivi standard, forniti a corredo delle fotocamere, oppure addirittura con le recenti compatte digitali. La fotografia di fiori, infatti, è probabilmente uno dei generi che ha tratto maggior giovamento dall’avvento del digitale.

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Questo testo, però, si rivolge soprattutto a chi voglia ottenere risultati fotografici che vadano oltre la semplice foto ricordo, immagini di qualità, quindi, che necessitano impegno, costanza, un minimo di preparazione ed un’attrezzatura adeguata, a volte anche l’utilizzo del treppiede, del flash e di alcuni mini pannelli di schiarita. Il tutto, ovviamente, deve essere rapportato alla scelta del peso che si intende portare nello zaino e del tempo di marcia. Visto la tipologia del portale “IN ALTO”, mi riferirò soprattutto alla fotografia di fiori in quota. Andando con ordine, iniziamo col parlare del periodo. Negli ultimi anni, visto le bizze metereologiche varie, non è semplicissimo stabilire un periodo preciso per la fotografia di fiori. In linea di massima, però, i mesi migliori sono, generalmente, da maggio a luglio, a seconda del clima, della quota e del momento del disgelo, tutte componenti variabili di anno in anno. Sono sufficienti, infatti, un momento di caldo improvviso o una nevicata primaverile abbondante per anticipare o ritardare il periodo di fioritura. Sovente a maggio o giugno, a bassa quota, ove è più caldo e la neve si è già disciolta, si trovano fiori presenti nel mese di luglio un po’ più in alta quota e così via. La stagione primaverile-estiva giunge, infatti, in montagna, a seconda della quota. Il primo strumento indispensabile per il fotografo di fiori è un buon manuale che descriva le varie specie botaniche, i luoghi, il periodo e le quote di fioritura. Esistono molteplici strumenti per la fotografia a distanza ravvicinata: obiettivi macro, zoom siglati macro, tubi di prolunga, soffietto, lenti addizionali, anelli d’inversione e vari flash. Non potendo scarpinare lungo i sentieri trasportando quintali di attrezzature senza l’ausilio di portatori, muli o volontari muscolosi, sarà necessario limitare il peso dell’attrezzatura all’essenziale. L’obiettivo macro è senza dubbio la scelta migliore sia per qualità che per semplicità d’uso. Costruiti per mettere a fuoco a distanza ravvicinata consentono di restituire su pellicola o sensore il soggetto anche al rapporto di 1:1 (una moneta verrà riprodotta alla sua grandezza naturale, cioè occuperà tutta la superficie della pellicola o del sensore). Pratici e di elevata qualità consentono anche di mettere a fuoco all’infinito. Possono, quindi, essere utilizzati anche come normali obiettivi. Esistono di diversa focale, in genere da 50, 105, 200 mm. Per la fotografia di fiori è ideale una focale vicina al 50 mm con un rapporto di riproduzione di 1:2. Gli zoom più moderni hanno una discreta capacità macro, alcuni sono in grado di raggiungere un livello di riproduzione interessante. Pur non ottenendo i livelli qualitativi dei “veri” macro consentono di scattare occasionalmente buone immagini e di non sobbarcarsi l’ulteriore peso di un obiettivo macro. La più grande limitazione di questi zoom è, a mio avviso, la scarsa luminosità (f 4/5,6 in genere) che rende l’immagine nel mirino piuttosto scura, creando qualche difficile nella messa a fuoco che, spesso, a distanza ravvicinata deve essere regolata manualmente. Tubi di prolunga e soffietti sfruttano il fatto secondo il quale gli obiettivi mettono a fuoco più da vicino aumentando la distanza tra ottica e piano pellicola o sensore. Frapponendo, quindi, tra reflex e obbiettivo, tubi o soffietti si diminuisce la distanza di messa a fuoco, ottenendo, così, maggior ingrandimento. I tubi sono pratici e leggeri ma non consentono di variare l’ingrandimento se non a passi fissi (a seconda del loro spessore e dell’aggiunta di un tubo sull’altro. Probabili problemi di compatibilità con le reflex digitali). Il soffietto, invece, accorciandosi e allungandosi, permette di ottenere ingrandimenti, facilmente variabili, di ogni tipo (anche 2:1, 3:1 ecc. ; il soggetto appare sulla pellicole 3 volte più grande). E’ però scomodo, ingombrante, costoso, impossibile da usare senza un solidissimo cavalletto e richiede sempre, o quasi, l’ausilio della luce artificiale. Tra l’altro, ormai, con la continua e indissolubile diffusione delle fotocamere digitali, strumenti del genere sono sempre meno utilizzati anche perché richiedono capacità tecniche e nozioni che il fotografo sembra sentire sempre meno l’esigenza di imparare (pochi soffietti mantengono le informazioni obiettivo – fotocamera. Diventa necessario calcolare l’esposizione con esposimetro esterno e scattare in stop down). Le lenti addizionali sono, invece, pratiche, comode, leggere ed economiche. Si avvitano, come un semplice filtro, sull’obiettivo, consentono però ingrandimenti moderati e qualità non proprio impeccabile a meno di non rivolgersi a modelli specifici, particolari e molto costosi. L’anello d’inversione, per finire, è sicuramente il metodo più economico per scattare fotografie ai fiori. Serve per montare l’obiettivo invertito sulla reflex perdendo, però, gli automatismi della fotocamera. In linea di massima chi intenda acquistare accessori macro si informi sempre sulla compatibilità con la propria reflex, soprattutto se digitale, e della perdita o meno della trasmissione del diaframma, dell’accoppiamento dell’esposimetro e di altre funzioni elettroniche o meccaniche. Spesso i principianti tendono a sottovalutare l’utilizzo di obiettivi grandangolari che consentono di ottenere ottime immagini ambientate, ovvero con il fiore e l’ambiente circostante, magari anche con una bella cima come sfondo. Interessante anche la possibilità di utilizzare

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teleobiettivi che consentono con semplicità di ottenere immagini con i fiori a fuoco e lo sfondo totalmente sfocato, in modo da far risaltare il soggetto principale; in questo caso è indispensabile l’uso del treppiede che, tra l’altro, andrebbe sempre utilizzato nella fotografia di fiori. L’illuminazione è importantissima. Personalmente non uso quasi mai il flash, anche se in alcuni casi può offrire alcuni vantaggi. La luce del sole dona, infatti, effetti più naturali e piacevoli. In montagna, poi, è così limpida e pulita che se opportunamente “ utilizzata “ consente tranquillamente di controllare le ombre. Il momento migliore per scattare è sicuramente la mattina. Oltre al tipo di luce, importante è pure la sua direzione: ottima quella bassa e laterale che dà forma e rilievo all’immagine (luce di prima mattina o illuminazione di tardo pomeriggio).Un altro effetto molto interessante è il controluce che, se opportunamente controllato, conferisce al soggetto un’atmosfera suggestiva, mettendo in risalto i profili di petali e stami. Un cartoncino bianco, posto vicino al fiore e sapientemente orientato, può essere utile per direzionare la luce del sole nella maniera che ci sembra più opportuna e schiarire così eventuali ombre. Per ottenere una elevata profondità di campo sono necessari diaframmi chiusi tipo f 11, f 16, f 22. Visti i corrispondenti tempi di posa lunghi è indispensabile il cavalletto. Meglio un modello che consenta di avvicinarsi notevolmente al suolo. Interessanti anche i modelli di treppiede detti “da tavolo”, alti una quindicina di centimetri, che consentono una visuale dei fiori piuttosto inusuale, dal basso o al loro stesso livello (ci sono diversi modelli di treppiedi da tavolo. Munitevi di un tipo robusto, in grado di reggere il peso dell’insieme, reflex più obiettivo). Chi intendesse, invece, isolare il soggetto dallo sfondo utilizzi diaframmi più aperti come f 4, f 5,6, f 8 in modo da ottenere il fiore a fuoco e il suolo sfocato. Altro problema, soprattutto utilizzando tempi lunghi, è il vento: in montagna c’è praticamente sempre e tende ad aumentare dopo le 11 circa. E’ necessario, quindi, sfruttare le prime ore della giornata e aspettare, obiettivo puntato, il momento propizio fra una folata e l’altra. Se il vento particolarmente calmo, tanto da consentirci di scattare con un paio di stop in meno, può essere utile un filtro polarizzatore in modo da saturare i colori. Sia per chi vuole ottenere il tutto nitido che per chi intenda isolare il soggetto dallo sfondo, può essere utile una reflex con il controllo della profondità di campo. Questo semplice tasto meccanico simula la chiusura del diaframma, mostrando le parti a fuoco del soggetto, dando un’idea di massima del risultato che si otterrà, anche se chi usa il digitale, in effetti, osservando il monitor può anche farne a meno. Se il soggetto è in ombra o il vento è troppo forte si possono ottenere buoni risultati utilizzando il flash che si sostituisce al sole, nel primo caso, e consente di bloccare il soggetto nel secondo. I risultati migliori si ottengono utilizzando il flash collegato alla fotocamera tramite un apposito cavetto (non con il flash sul contatto caldo della slitta). In questo modo si può orientare il fascio direzionale della luce a proprio piacimento. Sara bene utilizzare diaframmi chiusi, sia per ottenere estesa profondità di campo che per regolare la potenza del flash vicino ai suoi minimi, f 11, 16, 22 (in modo che la luce non sia troppo forte e “bruci” il soggetto: più i diaframmi sono chiusi, cioè vicini a 2,8, 4 ecc. più la luce del flash è forte e arriva lontano e viceversa). Altra importantissima nozione flash: attenzione ai tempi di posa della reflex. Supponiamo di impostare diaframma f 16 con l’automatismo a priorità di diaframmi; l’automatismo della nostra reflex imposterà, in genere, un tempo prefissato tra 1/60 e 1/250. Avremo quindi il fiore illuminato a dovere (f 16 è un diaframma chiuso per cui la luce flash arriva a pochi centimetri). Con 1/60 di tempo di posa avremo, però, lo sfondo nero. I tempi di posa, infatti, determinano in luce flash la luminosità dello sfondo. Se misuriamo l’esposizione della nostra reflex con f 16 il tempo corrispondente, a flash spento, supponiamo possa essere 1 sec. Quindi con f 16 e 1/60 del flash faremo sì che troppo poca luce naturale impressioni la pellicola (ne serve 1 sec ma noi ne diamo 1/60). Il soggetto sarà quindi illuminato dalla luce artificiale del flash (f 16 arriva a pochi centimetri quindi illumina solo il fiore ma non lo sfondo che è più lontano) ma non lo sfondo. Per far sì che luce flash, sul soggetto, e luce del sole, sullo sfondo, si equivalgano dovremo misurare l’esposizione della reflex in manuale (o con la funzione slow sync), impostando il tempo di posa idoneo, cioè quello della luce solare. Avremo così un illuminazione del soggetto con un mix, ben equilibrato, tra luce del sole e luce flash. Molto interessante può essere utilizzare il vento in maniera creativa, fotografando magari i fiori con un tempo lungo, in modo da averli mossi e sfumati, contro uno sfondo di cime, ovviamente immobili.

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Contro le regole: Visto che ci muoviamo in montagna, magari durante un lungo trekking e zavorrati da uno zaino smodatamente pesante, può essere che non si abbiano a portata di mano il cavalletto, tubi di prolunga e strumenti vari (a meno che non abbiate la fortuna di girare con amici robusti e generosi o con un simpatico mulo da soma). Vediamo come ovviare alla mancanza di attrezzi specifici e come si possano comunque ottenere immagini di fiori interessanti. Quindi, per fotografare i fiori col flash, ma senza portarsi tonnellate di materiali, senza accessori o cavi: contravvenendo a tutte le regole di base, per ingrandimenti non eccessivi (1:1, 1:2) si può lasciare il flash montato sulla macchina (con sempre impostato il TTL). Si imposta la reflex in manuale o in slow sync (automatismo mediante il quale la reflex imposta tempi di sincronizzazione lenti), utilizzando un diaframma molto chiuso f 16, 22. Si imposta sul flash la copertura grandangolare o un diffusore (in modo da allargare il fascio di luce e, di conseguenza, diminuirne la potenza), senza modificare la posizione della parabola. Il risultato finale sarà una buona immagine, con il fiore correttamente esposto e lo sfondo ben visibile. Ciò è possibile perché, vista la vicinanza del soggetto e l’orientamento della parabola, il fascio di luce centrale, più forte e potente, andrà a illuminare lo sfondo che è più lontano, mentre il fascio marginale inferiore, più debole, illuminerà il soggetto in primo piano. Quindi, meno potenza per il fiore, che è però più vicino, e più potenza per lo sfondo, che è più lontano. Il risultato finale sarà un’illuminazione uniforme per primo piano e sfondo. Chi possiede, inoltre, un flash con controllo manuale della potenza (consente di diminuirla a passi prefissati) può effettuare una serie di scatti variandone l’intensità di luce e scegliere il risultato che gli è più gradito. Scattando in digitale, consiglio vivamente di aspettare a cancellare i file che sembrano non corretti e di verificare a casa, con calma, davanti al monitor del computer, più grande ed efficace e, soprattutto, non influenzabile dalla luce ambiente che, essendo in montagna molto intensa, spesso tende ad influenzare il nostro giudizio.

Commento dell'Autore: “Pulsatilla in controluce” (Valtournenche, salendo al Rifugio Duca degli Abruzzi): stesso fiore dell’immagine precedente. Un “ritratto singolo”, però, in modo da mostrarvi la differenza con lo scatto d’apertura. Le caratteristiche di questa foto sono l’utilizzo di un teleobiettivo piuttosto lungo (300 mm) e il controluce. Ero in cerca di marmotte e non avevo il macro. Ho utilizzato, quindi, il 300, scegliendo un diaframma piuttosto chiuso (f 11), in modo da avere a fuoco il fiore e sfocare comunque lo sfondo. Ho scattato sdraiato a terra, appoggiando l’obiettivo alla giacca. Il controluce evidenzia le forme del fiore. Ho scattato 3 immagini, variando l’esposizione di mezzo stop, in modo che il controluce non rendesse troppo scuro il soggetto. (Nikon F 5, Nikkor 300 af f 4; Elite 100; luce ambiente)

Commento dell'Autore: “Alle falde del Leone” (Alpe Veglia) Mese di Giugno. Troppo vento per fotografare qualsiasi fiore. Scenario e inquadrature erano, però, ottimi. Ho scelto di “sfruttare” gli elementi e l’effetto mosso dei fiori, piazzando la reflex sul treppiede e regolando lo zoom su 24 mm. Ho scelto un diaframma molto chiuso, in modo da avere il conseguente tempo lungo e sfruttare l’effetto del vento e avere a fuoco il Monte Leone. (Nikon F 5, Nikkor 20-35 af 2,8; Velvia; treppiede)

Commento dell'Autore: “Petunia” (foto nel giardino di casa): Ma come? un sito che si chiama In Alto! , una rubrica di fotografa in montagna e tu ci fai vedere una foto scattata in giardino? ... E si… in giardino. Il giardino è una buona palestra d’allenamento, soprattutto adesso che col digitale si possono vedere subito gli scatti. Chi deve imparare ad usare tempi, diaframmi e diavolerie simili, può “allenarsi” e sbagliare a casa, invece di fallire miseramente lo scatto alla stella alpina tanto agognata! Ho scelto un diaframma aperto per sfocare lo sfondo e avere a fuoco solo una delle gocce. Un diaframma molto chiuso avrebbe radicalmente cambiato il tipo di immagine. (Nikon D 100, Nikkor 60 af f 2,8 macro; f 4,5; 1/350; luce ambiente)