LA FINANZA VISTA DA VICINO - veraonline.it

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n. 174 DOMENICA - 26 GIUGNO 2016 Il Sole 24 Ore 37 il romanzo dei banchieri italiani La finanza vista da vicino Fabio Innocenzi racconta 30 anni tra scandali e crolli intrecciandoli alle vicende vissute in prima persona di Giuseppe Schlitzer C onfesso di aver esitato a intra- prendere la lettura delle circa 500 pagine di Sabbie Mobili. Esiste un banchiere perbene? di Fabio Innocenzi. Un romanzo di azione o un saggio sulla fi- nanza etica? Niente di tutto questo. È la sto- ria autobiografica di un banchiere di succes- so lungo gli ultimi trent’anni della storia eco- nomica e finanziaria del nostro Paese. È solo un caso che l’autore, della mia stessa genera- zione, abbia anche lui mosso i primi passi della carriera al Credito Italiano. La «banca in doppiopetto grigio», come era sopranno- minato l’istituto guidato dal mitico Lucio Rondelli, è all’epoca una banca pubblica. Io, da poco laureato alla Federico II di Na- poli, affronto una dura gavetta venendo de- stinato ad attività di “sportello” in alcune agenzie della città. Innocenzi, che si è laurea- to alla Bocconi di Milano, viene proiettato al- l’Ufficio studi del Credit, unità che di lì a poco sarà affidata alla sapiente guida di Pietro Modiano. A metà degli anni 80 la finanza in Italia è ancora a uno stadio infantile. I fondi di investimento sono appena comparsi sulla scena e faticano ad affermarsi. Gli italiani non rinunciano facilmente agli amati BoT e agli strumenti più tradizionali del rispar- mio. Ricordo ancora le signore anziane veni- re allo sportello alla fine dell’anno col loro li- bretto al portatore e chiedere la liquidazione degli interessi: perché gli interessi li voleva- no vedere materialmente non percepirli co- me entità astratta. Ma i tempi stanno per cambiare repenti- namente. La svolta avviene nel ’92 con la sva- lutazione della lira e il governo Amato. Biso- gna salvare il Paese dal disastro dopo un ven- tennio di spesa pubblica allegra che ha fatto crescere il debito fin sopra il 100% del Pil. Si avviano, tra le altre cose, le privatizzazioni delle banche pubbliche e tra queste il Credito italiano, che vedrà presto l’avvento di Ales- sandro Profumo. È la svolta, forse inconsa- pevole, anche per Modiano e i suoi boys, che dagli studi vengono dirottati all’asset mana- gement, attività già sviluppata all’estero ma del tutto nuova per le banche italiane. Inno- cenzi si forma dunque come gestore di por- tafogli. Il suo inizio è nella finanza e il succes- so più importante è l’acquisizione di Pione- er, società con sede a Boston. Da lì inizia una carriera tutta in crescendo, segnata purtroppo da una disavventura. La grande occasione arriva nel 2001 con la Po- polare di Verona di Carlo Fratta Pasini, che gli offrirà il posto di amministratore delega- to. Innocenzi fa presto a trasformarsi da ge- store di fondi in banchiere e affronta una del- le prime operazioni di fusione che muteran- no nel profondo il nostro sistema bancario, quella con la Popolare di Novara. I primi del 2000 sono anni di grande tra- sformazione ma in Italia si naviga sempre in acque agitate. Sono anni segnati dallo scan- dalo Parmalat e dall’esplosione dei derivati, così come dall’ascesa inspiegabile di perso- naggi come Giampiero Fiorani e quei giovani immobiliaristi passati alla cronaca come i “furbetti del quartierino”. Sotto la guida effi- cace di Innocenzi, la Bpvn è protagonista in- discussa di alcune tra le più importanti ope- razioni di riassetto del sistema. Operazioni che hanno segnato la storia economica del- l’Italia e che coinvolgono in primis Bnl, An- tonveneta, Unipol. Il governatore della Banca d’Italia, Anto- nio Fazio, è impegnato a difendere l’italiani- tà delle nostre banche e spinge per un inter- vento di Bpvn su Bnl. Ma per la prima il boc- cone è troppo grosso e ne verrebbe snaturata la caratteristica di banca del territorio. Gli azionisti di Bpvn sono contrari all’operazio- ne e così non se ne farà nulla. Ma di lì a poco, nel 2006, alla banca di Innocenzi toccherà un boccone più amaro: il salvataggio della Po- polare di Lodi portata al dissesto da Fiorani. Nasce il Banco Popolare, per dimensioni la terza banca del Paese. Intanto però è iniziata la Grande Crisi, quella dei mutui subprime, di cui Innocenzi percepisce prima di altri i potenziali rischi dopo aver assistito al fallimento e poi alla nazionalizzazione della britannica Nor- thern Rock. Avvia subito un’opera di razio- nalizzazione e focalizzazione sul core busi- ness del Banco. Non si accorge però di quan- to sta succedendo in Italease, di cui il Banco è tra i maggiori azionisti. Questa è una brut- ta storia, dove l’amministratore delegato dell’ente, Massimo Faenza, con la compia- cenza di alcune banche estere ha celato ope- razioni speculative in derivati a proprio van- taggio e a danno della clientela per qualche miliardo di euro. Il Consiglio di amministrazione di Italea- se, sfiduciato dalla Banca d’Italia, viene sciolto. Innocenzi, che è vicepresidente in rappresentanza del Banco, viene indagato per falso in bilancio e aggiotaggio e nel 2008 si dimette da amministratore delegato del Banco. Rientrerà presto in gioco, chiamato a nuovi incarichi di responsabilità, prima dal gruppo Intesa e successivamente da Ubs co- me amministratore delegato per l’Italia, in- carico che ricopre ancora oggi con responsa- bilità allargate anche ad altri Paesi. Ma è co- me camminare sulle sabbie mobili. Sono questi infatti gli anni segnati dalla dolorosa vicenda processuale legata allo scandalo Ita- lease, dalla quale Innocenzi uscirà assolto con formula piena. Al percorso giudiziario sono dedicati gli ultimi capitoli del libro con dovizia di parti- colari sulla dinamica del dibattimento a te- stimonianza di quanto questa vicenda ab- bia segnato nel profondo la vita dell’autore e di un desiderio indomabile di riscatto. Sabbie mobili ha una prosa scorrevole e ac- cattivante dove l’autore inquadra molto bene gli avvenimenti nel contesto in cui si svolgono. Per chi è interessato alla storia fi- nanziaria dell’Italia il libro offre un punto di vista importante, quello di un manager che ha vissuto i fatti narrati in prima perso- na. Le vicende sono descritte da “di dentro” e non, come siamo normalmente abituati, viste dall’esterno. Si percepisce che non è un mondo facile quello della finanza. Sul lavoro c’è grande competizione. Gli stipen- di sono stellari ma sono anche tante le re- sponsabilità e le insidie di mercati divenuti sempre più complessi. Nel romanzo vi è un gran via vai di perso- naggi, più o meno noti e più o meno capaci, per ognuno dei quali l’autore offre un rapido ritratto. Si evince una grande abilità, innata più che acquisita, di inquadrare le diverse personalità, i loro pregi e difetti. Dote indi- spensabile per un bravo manager come In- nocenzi ma non necessariamente scevra da errori. Come dimostra, nel caso dello scan- dalo Italease, la sottovalutazione della per- sonalità di Faenza. Ma in fin dei conti dietro il brillante banchiere c’è l’uomo, con le sue am- bizioni e le sue debolezze, pronto a lottare contro le disavventure della vita, e c’è il padre e marito amorevole, per il quale la famiglia è l’ultimo approdo sicuro. È forse anche per questi motivi che ho letteralmente divorato le 500 pagine di questo libro. [email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA la grande scommessa | Steve Carrell nel film di Adam Mc Kay sulla crisi finanziaria del 2008

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n. 174 DOMENICA - 26 GIUGNO 2016 Il Sole 24 Ore 37

il romanzo dei banchieri italiani

La finanza vista da vicinoFabio Innocenziracconta 30 annitra scandali e crolliintrecciandoli alle vicende vissute in prima persona

tabaccai che vendono ai minori di anni 14. La prima è una sanzione più alta economicamente ma senza rilevanza penale. La seconda è un reato ma è pecuniariamente più bassa. Nessuna legge stabilisce quale delle due sanzioni va applicata prioritariamente. Punizione. Uno stesso fatto non può essere punito due volte.Dono. L’articolo 1 della legge n. 14 del 2015 dal titolo «Istituzione del Giorno del dono»: «La Repubblica italiana riconosce il 4 ottobre di ogni anno “Giorno del dono”, al fine di offrire ai cittadini l’opportunità di acquisire una maggiore consapevolezza del contributo che le scelte e le attività donative possono recare alla crescita della società italiana, ravvisando in esse una forma di impegno e di partecipazione nella quale i valori primari della libertà e della solidarietà affermati dalla Costituzione trovano un’espressione altamente degna di essere riconosciuta e promossa».Festività. Oltre ai giorni festivi, la legge regola anche le solennità civili, che prevedono comunque l’imbandieramento dei palazzi pubblici, per quanto siano sempre più in disuso presso la popolazione. Ricorrono nei seguenti giorni: 10 febbraio (Giorno del ricordo degli istriani, fiumani e dalmati), 11 febbraio (anniversario della stipulazione dei patti lateranensi), 28 settembre (anniversario dell’insurrezione di Napoli), 4 ottobre (San Francesco e Santa Caterina, patroni d’Italia), 12 novembre (in ricordo dei caduti nelle missioni di pace), 12 novembre (marinai scomparsi in mare). Giornate. Ulteriori ricorrenze che non sospendono l’attività lavorativa ma che servono a ricordare eventi celebrativi dei più vari e durante le quali gli organi pubblici organizzano eventi collegati alla circostanza che intendono celebrare: Giornata della Bandiera, della Memoria, degli stati vegetativi, del Braille, dell’Unità, del Teatro, della persona con lesione al midollo spinale, eccetera.Donne. L’articolo 8 del regio decreto del 1941 sull’ordinamento giudiziario prevedeva che «Per essere ammesso a funzioni giudiziarie è necessario: 1° essere cittadino italiano, di razza italiana, di sesso maschile e iscritto al P.N.F.». Malgrado il disposto dell’articolo 51 della Costituzione, soltanto nel 1963 una legge dispose l’espressa ammissione delle donne ai pubblici uffici e alle professioni.

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Notizie tratte da: Ciro Amendola, Non ci credo, ma è vero. Storie di ordinaria burocrazia, edizioni Historica, Cesena, pagg. 116, Ä 12

di Giuseppe Schlitzer

Confesso di aver esitato a intra-prendere la lettura delle circa500 pagine di Sabbie Mobili.Esiste un banchiere perbene? diFabio Innocenzi. Un romanzodi azione o un saggio sulla fi-

nanza etica? Niente di tutto questo. È la sto-ria autobiografica di un banchiere di succes-so lungo gli ultimi trent’anni della storia eco-nomica e finanziaria del nostro Paese. È soloun caso che l’autore, della mia stessa genera-zione, abbia anche lui mosso i primi passidella carriera al Credito Italiano. La «bancain doppiopetto grigio», come era sopranno-minato l’istituto guidato dal mitico Lucio Rondelli, è all’epoca una banca pubblica.

Io, da poco laureato alla Federico II di Na-poli, affronto una dura gavetta venendo de-stinato ad attività di “sportello” in alcuneagenzie della città. Innocenzi, che si è laurea-to alla Bocconi di Milano, viene proiettato al-l’Ufficio studi del Credit, unità che di lì a pocosarà affidata alla sapiente guida di PietroModiano. A metà degli anni 80 la finanza inItalia è ancora a uno stadio infantile. I fondidi investimento sono appena comparsi sullascena e faticano ad affermarsi. Gli italianinon rinunciano facilmente agli amati BoT eagli strumenti più tradizionali del rispar-mio. Ricordo ancora le signore anziane veni-re allo sportello alla fine dell’anno col loro li-bretto al portatore e chiedere la liquidazione

degli interessi: perché gli interessi li voleva-no vedere materialmente non percepirli co-me entità astratta.

Ma i tempi stanno per cambiare repenti-namente. La svolta avviene nel ’92 con la sva-lutazione della lira e il governo Amato. Biso-gna salvare il Paese dal disastro dopo un ven-tennio di spesa pubblica allegra che ha fattocrescere il debito fin sopra il 100% del Pil. Siavviano, tra le altre cose, le privatizzazionidelle banche pubbliche e tra queste il Creditoitaliano, che vedrà presto l’avvento di Ales-sandro Profumo. È la svolta, forse inconsa-pevole, anche per Modiano e i suoi boys, chedagli studi vengono dirottati all’asset mana-gement, attività già sviluppata all’estero madel tutto nuova per le banche italiane. Inno-cenzi si forma dunque come gestore di por-tafogli. Il suo inizio è nella finanza e il succes-so più importante è l’acquisizione di Pione-er, società con sede a Boston.

Da lì inizia una carriera tutta in crescendo,segnata purtroppo da una disavventura. Lagrande occasione arriva nel 2001 con la Po-polare di Verona di Carlo Fratta Pasini, chegli offrirà il posto di amministratore delega-to. Innocenzi fa presto a trasformarsi da ge-store di fondi in banchiere e affronta una del-le prime operazioni di fusione che muteran-no nel profondo il nostro sistema bancario,quella con la Popolare di Novara.

I primi del 2000 sono anni di grande tra-sformazione ma in Italia si naviga sempre inacque agitate. Sono anni segnati dallo scan-dalo Parmalat e dall’esplosione dei derivati,così come dall’ascesa inspiegabile di perso-naggi come Giampiero Fiorani e quei giovaniimmobiliaristi passati alla cronaca come i “furbetti del quartierino”. Sotto la guida effi-cace di Innocenzi, la Bpvn è protagonista in-discussa di alcune tra le più importanti ope-razioni di riassetto del sistema. Operazioniche hanno segnato la storia economica del-l’Italia e che coinvolgono in primis Bnl, An-tonveneta, Unipol.

Il governatore della Banca d’Italia, Anto-nio Fazio, è impegnato a difendere l’italiani-tà delle nostre banche e spinge per un inter-vento di Bpvn su Bnl. Ma per la prima il boc-cone è troppo grosso e ne verrebbe snaturata

la caratteristica di banca del territorio. Gli azionisti di Bpvn sono contrari all’operazio-ne e così non se ne farà nulla. Ma di lì a poco,nel 2006, alla banca di Innocenzi toccherà unboccone più amaro: il salvataggio della Po-polare di Lodi portata al dissesto da Fiorani.Nasce il Banco Popolare, per dimensioni laterza banca del Paese.

Intanto però è iniziata la Grande Crisi,quella dei mutui subprime, di cui Innocenzipercepisce prima di altri i potenziali rischi dopo aver assistito al fallimento e poi allanazionalizzazione della britannica Nor-

thern Rock. Avvia subito un’opera di razio-nalizzazione e focalizzazione sul core busi-ness del Banco. Non si accorge però di quan-to sta succedendo in Italease, di cui il Bancoè tra i maggiori azionisti. Questa è una brut-ta storia, dove l’amministratore delegatodell’ente, Massimo Faenza, con la compia-cenza di alcune banche estere ha celato ope-razioni speculative in derivati a proprio van-taggio e a danno della clientela per qualchemiliardo di euro.

Il Consiglio di amministrazione di Italea-se, sfiduciato dalla Banca d’Italia, viene

sciolto. Innocenzi, che è vicepresidente inrappresentanza del Banco, viene indagatoper falso in bilancio e aggiotaggio e nel 2008si dimette da amministratore delegato delBanco. Rientrerà presto in gioco, chiamato anuovi incarichi di responsabilità, prima dalgruppo Intesa e successivamente da Ubs co-me amministratore delegato per l’Italia, in-carico che ricopre ancora oggi con responsa-bilità allargate anche ad altri Paesi. Ma è co-me camminare sulle sabbie mobili. Sonoquesti infatti gli anni segnati dalla dolorosavicenda processuale legata allo scandalo Ita-lease, dalla quale Innocenzi uscirà assolto con formula piena.

Al percorso giudiziario sono dedicati gliultimi capitoli del libro con dovizia di parti-colari sulla dinamica del dibattimento a te-stimonianza di quanto questa vicenda ab-bia segnato nel profondo la vita dell’autoree di un desiderio indomabile di riscatto.Sabbie mobili ha una prosa scorrevole e ac-cattivante dove l’autore inquadra moltobene gli avvenimenti nel contesto in cui sisvolgono. Per chi è interessato alla storia fi-nanziaria dell’Italia il libro offre un puntodi vista importante, quello di un managerche ha vissuto i fatti narrati in prima perso-na. Le vicende sono descritte da “di dentro”e non, come siamo normalmente abituati,viste dall’esterno. Si percepisce che non èun mondo facile quello della finanza. Sullavoro c’è grande competizione. Gli stipen-di sono stellari ma sono anche tante le re-sponsabilità e le insidie di mercati divenutisempre più complessi.

Nel romanzo vi è un gran via vai di perso-naggi, più o meno noti e più o meno capaci,per ognuno dei quali l’autore offre un rapidoritratto. Si evince una grande abilità, innatapiù che acquisita, di inquadrare le diversepersonalità, i loro pregi e difetti. Dote indi-spensabile per un bravo manager come In-nocenzi ma non necessariamente scevra daerrori. Come dimostra, nel caso dello scan-dalo Italease, la sottovalutazione della per-sonalità di Faenza. Ma in fin dei conti dietro ilbrillante banchiere c’è l’uomo, con le sue am-bizioni e le sue debolezze, pronto a lottarecontro le disavventure della vita, e c’è il padree marito amorevole, per il quale la famiglia èl’ultimo approdo sicuro. È forse anche perquesti motivi che ho letteralmente divoratole 500 pagine di questo libro.

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botteghe oscure

La gabbia che chiudeva il Pcidi Piero Craveri

Il libro di Ugo Finetti, Botteghe Oscure, vertesulle vicende interne del partito comunista“di Berlinguer e Napolitano” e offre un con-tributo nuovo su questo tema, documen-

tandolo con un’attenta ricerca d’archivio. Una ricostruzione del dibattito comunista che ci mostra quanto divaricate fossero al suo internole opinioni. Dopo la morte di Togliatti tale di-scrasia si fece più intensa, polarizzandosi lungodue derive, molto divergenti, riassumibili in quella di Amendola e in quella di Ingrao. Berlin-guer le ricompose nella sintesi del “compro-messo storico”, che durò il breve tratto in cui questo parve plausibile, tornando poi ambi-guamente a un’alternativa di sistema, che ri-portava indietro di quarant’anni la linea del

partito e riapriva la polemica al suo interno.Per intendere la natura di questo dibattito va

considerato che esso non poteva contare su re-gole statutarie di tipo democratico, perché tale non era il così detto “centralismo democrati-co”, in cui le opposizioni interne non si espri-mevano politicamente come tali, dovendo tut-te in fine confluire nella linea ufficiale del parti-to. E questo era come una “gabbia”, dalla quale non si poteva uscire che con l’espulsione e nem-meno, se non raramente, con personali dimis-sioni. Questa rigida disciplina, che garantiva lostretto legame del partito con l’Internazionale comunista, non consentiva che il dibattito in-terno avesse le stesse caratteristiche di quello delle altre forze politiche italiane. Ciò non toglieche diversità di orientamenti si manifestasseronella direzione, con una certa nettezza di ap-procci, anche se i suoi esiti dipendevano dal-l’orientamento del segretario politico e da co-

me questo si rifrangessero sull’intero partito.Il legame ideologico che legava il Pci e la de-

mocrazia italiana era stato definito da Togliatticon la sua variante, concordata con i sovietici, della tradizionale dottrina della rivoluzione comunista, formulando una «via nazionale al socialismo», in cui delineava un percorso de-mocratico del partito nella lotta politica italianaper la conquista del potere. Ed a ciò il Pci si at-tenne, senza invero mai mettere in discussionele istituzioni democratiche (almeno fino all’ul-timo Berlinguer), anche se rimaneva irrisolta lavisione di quale modello di società socialista si sarebbe in fine dovuto attuare. Quella di To-gliatti fu soprattutto una lezione di metodo e il dibattito interno al Pci può dirsi che si sia con-centrato principalmente sul modo di agire ri-spetto alle altre forze politiche democratiche.

Naturalmente avrebbe contato molto sel’Unione sovietica avesse subito un’evoluzione

di tipo democratico. Non a caso, prima della de-finitiva sconfitta di Kruscev, che era sembrato avviarsi su questa strada, le posizioni si divarica-rono anche nel Pci. Amendola era per Kruscev, contrariamente a Togliatti che temeva si incri-nasse per quella via il mito dell’Urss, quale si erastabilito nel dopoguerra. Fu poi questo il limite invalicabile con cui dovette fare i conti anche Berlinguer. Rimaneva la prospettiva interna. E qui, dopo la morte di Togliatti, il dibattito tese a diversificarsi. Si potrebbe dire che per Amendo-la l’alternativa rimanesse quella classica tra leni-nismo e democrazia, alla ricerca di una con-giunzione possibile, attraverso l’alleanza con al-tre forze politiche, come i socialisti, nella pro-spettiva di un unico partito democratico della sinistra. Lo stalinismo aveva tuttavia già lasciatoun segno indelebile. L’estrema prassi del terro-rismo di Stato aveva cancellato ogni possibile ri-ferimento alla democrazia, di fatto soggiogata amero populismo. E da una prospettiva tipica-mente populistica Ingrao pretese incautamentedi costruire una linea democratica, che prese a denominare come nuovo “modello di sviluppo”e “democrazia dal basso”, che in realtà non pote-va altro che risolversi in un nuovo totalitarismo.Berlinguer tentò una sintesi che, come si è ac-

cennato, gli si sbriciolò nelle mani, facendolo, quanto a prospettiva politica, tornare indietro.

Nella direzione del partito nacque allora undibattito coeso. La stessa Nilde Iotti, che del to-gliattismo era un’accreditata vestale, in unadelle riunioni di quest’ultima, ebbe a notare co-me l’ultimo Berlinguer, con la sua tesi dell’ «ina-gibilità democratica» nella vita politica nazio-nale, avesse arroccato il Pci su di una posizioneautoreferenziale, facendolo salire «sul monte Sinai». Critici costanti di questa posizione, fu-rono Giorgio Napolitano, Gerardo Chiaromon-te ed Emanuele Macaluso, l’ala “migliorista” che si ispirava ad Amendola. La maggioranza del partito era invece su posizione avversa e ri-mase tale anche dopo lo scioglimento del Pci. Questo libro si ferma nella sua analisi al 1987. Ma con il 1989 sarebbe dovuto toccare ai sociali-sti di tentare la rottura della “gabbia” comuni-sta, ormai matura, con una nuova proposta di ricomposizione della sinistra italiana, ma an-che questa sollecitazione venne a mancare.

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Ugo Finetti, Botteghe Oscure, il Pci di Berlinguer e Napolitano, Edizioni Ares, Milano, pagg. 322, Ä 15

la grande scommessa | Steve Carrell nel film di Adam Mc Kay sulla crisi finanziaria del 2008

l’italia negli anni settanta

Luce sugli anni di piombodi Raffaele Liucci

«Ormai sappiamo tutto»: forsebasterebbero queste tre pa-role per riassumere il sensodel libro di Vladimiro Satta

sugli anni di piombo. Un lavoro che non rap-presenta soltanto un corposo profilo storico di quel periodo (dalla fine dei Sessanta ai primi Ottanta, pur se gli «anni di piombo» propria-mente intesi vanno dal 1977 al 1982 incluso), maanche una sorta di piattaforma contro ogni in-terpretazione dietrologica e complottistica di quegli eventi. Un tomo denso (quasi novecentopagine, corredate da un fitto apparato di note) eambizioso. Di recente, sono usciti altri libri su-gli anni Settanta (una biografia del lugubre Mi-chele Sindona, firmata da Marco Magnani, e una storia della «strategia della tensione», a opera di Mirco Dondi): però Satta resta l’unico aoffrire una sintesi generale, in grado di coprire tutti i principali risvolti dell’argomento, dalla lotta armata di sinistra all’eversione di destra.

Una sintesi che genera nel lettore sentimenticontrastanti. Da un lato, non si può non ammi-rare la padronanza della materia esibita da Sat-ta, la sua profonda conoscenza bibliografica e archivistica (solo per il caso Moro, il numero di

pagine complessive sfornate dalle varie com-missioni parlamentari ammonta a oltre un mi-lione), lo stile piano e scorrevole, l’equilibrio con cui esamina le tesi altrui. Senza dimentica-re le numerose questioni acutamente sviscera-te: la scarsa rappresentatività sociale dell’estre-ma sinistra, capace di riempire le piazze ma non le urne; il suo disinteresse verso le sorti del-la democrazia, che in realtà sognava di rove-sciare; la visione semplicistica e monolitica del-lo Stato allora imperante fra i contestatori; le memorie edulcorate di molti protagonisti di quella stagione; la violenza rossa, che iniziò ben prima di Piazza Fontana; l’illegalità diffusacome premessa della violenza organizzata; la povertà concettuale del sin troppo celebrato ar-ticolo del 1974 di Pasolini sulle stragi e i loro re-sponsabili («Io so, ma non ho le prove»); piazzaFontana che non comportò affatto una restau-razione moderata, bensì propiziò paradossal-mente una nuova fase di lotte progressiste; la non coincidenza di stragismo e golpismo. In di-verse circostanze, insomma, l’autore sfata bril-lantemente alcuni luoghi comuni duri a mori-re, alberganti soprattutto a sinistra.

Dall’altro lato, però, l’insistenza di Sattacontro i «falsi misteri» degli anni di piombo desta qualche perplessità. Ridotta all’osso, la sua opinione è che il terrorismo «comunista»,lo stragismo neofascista e lo spontaneismo

armato di destra siano stati fenomeni au-toctoni, mai infiltrati dai poteri occulti, dagliapparati statali e dai servizi segreti interna-zionali, come d’altronde confermano quasitutte le sentenze passate in giudicato. Soltantomantenendo questo punto fermo, secondo Satta, si può fornire una tomografia fedele dei«nemici della Repubblica». È un ragionamen-to che in passato Satta aveva esposto per il de-litto Moro e che ora estende, si può dire, all’in-tero periodo considerato.

Sia chiaro: l’autore ha senza dubbio ragionequando denuncia l’inconsistenza di certa die-trologia cervellotica ed esilarante, che scorge improbabili «grandi vecchi» o congiure della Cia o del Kgb dietro ogni battito d’ali. E tuttavia,a volte, Satta si lascia prendere sin troppo la mano, giungendo quasi a una teoria generale degli anni di piombo nella quale ogni ricostru-zione è subordinata alla sua ipotesi interpreta-tiva. Il rischio, in questo modo, è di cadere nel libro a tesi, ossia nella deriva che egli stesso rimprovera ai complottisti.

Soltanto così si spiega la sufficienza con cuiSatta accoglie le ricerche di Miguel Gotor sulla prigionia di Moro, che hanno viceversa segnatouna svolta netta, inducendoci a contemplare glianni Settanta sotto una luce inaspettata. Gotor,studioso dell’Inquisizione e della censura in etàmoderna, ha infatti avuto la sensibilità di stu-

diare uomini ancora vivi come fossero morti dasecoli e di maneggiare documenti pulsanti co-me fossero ormai ingialliti dal tempo. La sua «anatomia del potere italiano» non ha nulla a che vedere con il complottismo di giornata. Te-stimonia, piuttosto, quanto ha scritto un altro studioso, Carlo Fumian, ovvero che «la storia della violenza politica degli anni Settanta non appare comprensibile guardando unicamente alle sue dinamiche interne». Endogeno sin chesi vuole, il terrorismo italiano «è stato unico in Europa» per lunghezza, «forza destabilizzan-te» e «coinvolgimento di larghe fasce sociali». Difficile pensare che qualche «intruso» non vi abbia mai ficcato il naso.

Del resto, almeno in una circostanza, lostesso Satta non si accontenta della versioneufficiale. Ci riferiamo all’eccidio della stazio-ne di Bologna (2 agosto 1980). Secondo la giu-stizia italiana, la matrice è neofascista (tra icondannati all’ergastolo, Francesca Mambro e Giusva Fioravanti). Secondo Satta, invece, lastrage non è assimilabile a quelle che avevanocostellato la «strategia della tensione» dal 1969 al 1974. Per l’ecatombe di Bologna è in-fatti più credibile una pista palestinese, dovu-ta al tradimento, da parte italiana, del cosid-detto «lodo Moro». Il nostro autore firma al ri-guardo pagine suggestive e ricche di spunti, però congetturali.

Forse, allora, per scandagliare gli anni dipiombo non bastano le carte giudiziarie, pur fondamentali, ma occorre uno sguardo sto-riografico in grado di «immaginare» quelle connessioni e quegli aspetti indicibili che non potranno mai essere fissati su alcun docu-mento ufficiale. È quel che aveva provato a fare

lo studioso padovano Angelo Ventura, nei suoipionieristici studi sul «problema storico» del terrorismo italiano usciti nei primi anni Ot-tanta, quando il fenomeno non si era ancoraesaurito. Severo indagatore delle radici cultu-rali dell’estremismo rosso, Ventura non avevatuttavia sottovalutato, come invece sembra fare Satta, le forze più retrive e reazionarie del-la società italiana e la loro contiguità conl’eversione di destra.

La Padova di Ventura, «laboratorio dellestrategie e delle pratiche eversive» di ogni colo-re, è anche uno dei luoghi ricorrenti nella mo-nografia di Alessandro Naccarato sul «Pci con-tro la lotta armata». Una ricerca d’archivio che restituisce gli infuocati dibattiti di allora e atte-sta la posizione inflessibile presto assunta dal partito di Enrico Berlinguer contro il terrori-smo sorto alla sua sinistra. Un’intransigenza che risulterà decisiva per la vittoria dello Stato, ma che costerà al Pci i consensi del fronte ga-rantista, in cui s’identificava anche Norberto Bobbio (autore, fra l’altro, di studi fondamen-tali sulla democrazia e il «potere invisibile»).

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Vladimiro Satta, I nemici della Repubblica. Storia degli anni di piombo, Rizzoli, Milano, pagg. 894, Ä 28

Mirco Dondi, L’eco del boato. Storia della strategia della tensione 1965-1974, Laterza, Roma-Bari, pagg. 446, Ä 28

Alessandro Naccarato, Difendere la democrazia. Il Pci contro la lotta armata, Carocci, Roma, pagg. 330, Ä 37