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Osservatorio Assolombarda-Bocconi Milano 39 LA FINANZA DELLE NUOVE IMPRESE: il caso lombardo a cura di Giancarlo Forestieri, Giuliano Iannotta e Stefano Monferrà 1. Introduzione La creazione di nuove iniziative imprenditoriali rappresenta un fattore di importanza fondamentale nello sviluppo economico di una regione e più in generale di un paese (Storey, 1994). “Fast growing innovative small and medium-sised enterprises (SMEs) are one of the main engines for growth and employment creation across Europe. But these companies have specific financing needs” (Jallard, 1999). La esigenza di rafforzare la capacità di sviluppo delle imprese nuove e di quelle orientate all’innovazione tecnologica è diffusamente riconosciuta come una delle leve della competitività europea di fronte alla globalizzazione. In questo contesto, molta attenzione viene riservata alla ricerca dei meccanismi e degli strumenti finanziari più idonei per quella tipologia di imprese. La Commissione della UE ha sviluppato un vasto programma di interventi basato sul riconoscimento che un efficiente mercato del capitale di rischio è alla base delle politiche di creazione dell’occupazione e che, in particolare, le imprese nuove e tecnologiche devono essere sostenute da più ampi circuiti di venture capital (Commission of the European Communities, 1999). Gli ambienti finanziari europei, a loro volta, segnalano le carenze degli attuali circuiti di finanziamento delle PMI, tra le quali: la mancanza di pari opportunità di accesso ai finanziamenti e la grave mancanza di schemi finanziarie applicabili alle fasi dello start- up e del primo sviluppo. (Third Round Table of Bankers and SMEs, 2000). In Italia le problematiche connesse alle nuove imprese non hanno sinora ricevuto particolare attenzione. Sebbene l’importanza del tema sia in ogni caso destinata a crescere in relazione ad una serie concomitante di fattori tra quali la nascita, di un Nuovo Mercato per le PMI, il crescente interesse riservato alle capacità competitive del sistema Italia nel mercato unico europeo dopo l’Unione Monetaria, l’attenzione posta nell’individuazione dei fattori in grado spiegare i differenziali di crescita sperimentati dall’economia americana rispetto a quelle europee.

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LA FINANZA DELLE NUOVE IMPRESE:

il caso lombardo

a cura di Giancarlo Forestieri, Giuliano Iannotta e Stefano Monferrà

1. Introduzione

La creazione di nuove iniziative imprenditoriali rappresenta un fattore di importanza

fondamentale nello sviluppo economico di una regione e più in generale di un paese

(Storey, 1994). “Fast growing innovative small and medium-sised enterprises (SMEs)

are one of the main engines for growth and employment creation across Europe. But

these companies have specific financing needs” (Jallard, 1999).

La esigenza di rafforzare la capacità di sviluppo delle imprese nuove e di quelle

orientate all’innovazione tecnologica è diffusamente riconosciuta come una delle leve

della competitività europea di fronte alla globalizzazione. In questo contesto, molta

attenzione viene riservata alla ricerca dei meccanismi e degli strumenti finanziari più

idonei per quella tipologia di imprese. La Commissione della UE ha sviluppato un vasto

programma di interventi basato sul riconoscimento che un efficiente mercato del

capitale di rischio è alla base delle politiche di creazione dell’occupazione e che, in

particolare, le imprese nuove e tecnologiche devono essere sostenute da più ampi

circuiti di venture capital (Commission of the European Communities, 1999). Gli

ambienti finanziari europei, a loro volta, segnalano le carenze degli attuali circuiti di

finanziamento delle PMI, tra le quali: la mancanza di pari opportunità di accesso ai

finanziamenti e la grave mancanza di schemi finanziarie applicabili alle fasi dello start-

up e del primo sviluppo. (Third Round Table of Bankers and SMEs, 2000).

In Italia le problematiche connesse alle nuove imprese non hanno sinora ricevuto

particolare attenzione. Sebbene l’importanza del tema sia in ogni caso destinata a

crescere in relazione ad una serie concomitante di fattori tra quali la nascita, di un

Nuovo Mercato per le PMI, il crescente interesse riservato alle capacità competitive del

sistema Italia nel mercato unico europeo dopo l’Unione Monetaria, l’attenzione posta

nell’individuazione dei fattori in grado spiegare i differenziali di crescita sperimentati

dall’economia americana rispetto a quelle europee.

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Nell’insieme di variabili in grado di influenzare la sopravvivenza e lo sviluppo di una

nuova azienda, la componente finanziaria rappresenta sicuramente uno degli elementi

fondamentali (Cooper et altri, 1994). Proprio in questo ambito l’esperienza europea si

differenzia dalla realtà statunitense soprattutto in ragione di una spesso citata carenza di

capitali per lo sviluppo.

In Italia, in particolare, il dibattito sul tema dell’efficienza della struttura finanziaria

delle piccole imprese ha spesso sottolineato, contrapponendo le ragioni degli

imprenditori a quelle dei finanziatori, la carenza di cultura finanziaria e di apertura ai

capitali esterni, l’eccessivo indebitamento e le relative modalità di offerta.

L’analisi svolta si concentra sulle caratteristiche finanziarie delle nuove imprese

cercando di cogliere gli eventuali elementi di diversità che caratterizzano tali iniziative

rispetto a quelle di PMI già mature. Obiettivo specifico del lavoro è di indagare il

modello di sviluppo finanziario delle nuove imprese, di individuarne il ciclo evolutivo,

di evidenziare le principali differenze rispetto ad un campione di confronto di imprese

consolidate. I risultati possono aiutare nella valutazione dell’adeguatezza dei circuiti di

finanziamento delle imprese, con particolare riferimento a quelle di nuova costituzione,

e possono fornire indicazioni ai fini di un rafforzamento dei circuiti stessi.

2. Una rassegna della letteratura in tema di finanza delle nuove

imprese

2.1 Finance gap e imprese minori

Le imprese minori svolgono un ruolo significativo nel generare occupazione (Storey e

Johnson 1987), promuovere la concorrenza (Wilson 1979; Vesper 1984) e contribuire in

genere al dinamismo del sistema economico (Storey 1982; Binks e Vale 1990).

L’importanza riconosciuta a tali imprese ha indotto la ricerca all’approfondimento delle

problematiche finanziarie ad esse relative.

Uno degli aspetti indagati nella letteratura riguarda le differenze, in termini di struttura

finanziaria, tra imprese piccole ed in imprese maggiori. In particolare, da tempi non

recenti (Macmillan 1931), la ricerca solleva dubbi circa la capacità del sistema

finanziario di soddisfare adeguatamente i bisogni finanziari delle imprese minori. Tale

fenomeno, efficacemente sintetizzato con il termine finance gap (nelle sue componenti

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di debt gap ed equity gap), trova spiegazione nelle formulazioni teoriche relative al

fallimento del mercato dei capitali. Numerosi sono i riscontri empirici che confermano

l’esistenza di limitazioni delle imprese minori nell’accesso al mercato dei capitali (di

debito e di rischio) con conseguenti effetti penalizzanti sulle loro potenzialità di crescita

e sul loro equilibrio finanziario (Bovaird et al. 1995).

Sorprendentemente limitata risulta peraltro la letteratura in materia di struttura

finanziaria delle imprese di nuova costituzione. Se è vero infatti che quanto formulato

con riferimento alle imprese minori è in parte replicabile per quelle di nuova

costituzione, è altrettanto vero che la nuova iniziativa imprenditoriale è connotata da

talune peculiarità (alto tasso di mortalità, mancanza di performance storiche, elevato

tasso di crescita, ecc.) per le quali è lecito pensare all’esistenza di significative

differenze anche in termini di struttura finanziaria.

2.2 Debt gap e nuove imprese

Limitando l’attenzione al fenomeno del debt gap, sembra logico affermare che, se viene

riconosciuta l’esistenza del razionamento del credito per le imprese minori a seguito di

problemi di selezione avversa ed azzardo morale derivanti da asimmetrie informative

(Stiglitz e Weiss 1981), tale fenomeno debba esistere, e in misura maggiore, anche per

le imprese di nuova costituzione, per le quali il problema informativo risulta accentuato

(se non altro per la mancanza di un informazioni storiche). Indicazioni in tal senso

vengono da Weston e Brigham (1981): i due autori, ipotizzando una relazione inversa

tra età dell’impresa e grado di asimmetria dell’informazione, suggeriscono l’esistenza di

un gap finanziario per le nuove imprese, le quali sarebbero costrette a finanziare la

crescita attraverso l’autofinanziamento e l’indebitamento a breve (commerciale e

bancario) con grave pregiudizio dell’equilibrio finanziario. La logica sottostante il

modello proposto è chiara: il consolidamento dell’attività e la formazione di

performance storiche costituiscono elementi di disclosure e quindi di riduzione

dell’asimmetria informativa. Secondo Weston e Brigham, se la nuova impresa riesce a

superare il gap iniziale (finanziando la crescita con l’autofinanziamento ed

eventualmente limitando la crescita in modo da tenere il passo con le risorse generate

internamente), si verifica un progressivo ricorso alle risorse finanziarie stabili (debito a

lungo ed equity).

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In sostanza, nei primi anni di vita dell’impresa si verificherebbe un fallimento del

mercato a seguito dell’incapacità dei datori di fondi (le banche) di stimare correttamente

il grado di rischio associato a ciascuna iniziativa imprenditoriale. Come suggerito da

Stiglitz e Weiss (1981) e Bester (1987), le prestazione di una garanzia (specie se

personale) sul credito erogato potrebbe svolgere funzione segnaletica, facilitando

l’allocazione delle risorse finanziarie da parte dei datori, attraverso un meccanismo di

autoselezione delle iniziative. Peraltro, è stato anche osservato che l’orientamento da

parte delle banche verso una finanza garantita favorisce le imprese consolidate, con una

storia aziendale già espressa e con maggiori cespiti. Le nuove imprese, ad alto

potenziale, non essendo invece normalmente in grado di conferire beni in garanzia,

finiscono per essere penalizzate (Demattè 1996).

Un’ulteriore prospettiva sul punto è offerta da Binks e Ennew (1995), i quali sostengono

che le imprese caratterizzate da un maggior tasso di crescita (non necessariamente di

nuova costituzione) sarebbero particolarmente penalizzate nel ricorso al credito a lungo

termine garantito; i due autori presuppongono che esista una differenza tra costo per

l’impresa dell’attivo immobilizzato e ammontare di risorse erogate contro prestazione

dello stesso in garanzia. Sicchè Binks e Ennew suggeriscono che nelle imprese ad alta

crescita l’ammontare di assets necessario all’impresa per sostenere lo sviluppo cresca

più del valore degli stessi assets come garanzia.

Come sottolineato, i due autori considerano le imprese ad elevato tasso di crescita, le

quali non necessariamente sono di nuova costituzione. Tuttavia, nella verifica empirica

condotta a supporto delle argomentazioni proposte, Binks e Ennew riscontrano che le

imprese in forte crescita del campione estratto, sono tendenzialmente giovani (il 44% ha

meno di 5 anni). I risultati dell’analisi confermano l’esistenza di una correlazione

positiva tra tasso di crescita e garanzia richiesta da parte delle banche. Emerge inoltre

che le imprese con alto tasso di crescita garantiscono i propri prestiti in misura maggiore

con beni personali dell’imprenditore piuttosto che con cespiti aziendali. Tale

conclusione non fa che confermare l’idea che le imprese ad alto potenziale di crescita

(di cui molte giovani) dispongano di minori cespiti aziendali e debbano quindi ricorrere

al patrimonio personale dell’imprenditore come garanzia del proprio debito.

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2.3 Sistema bancario e relationship banking

Sembrerebbe quindi che l’accesso a forme di finanziamento a sostegno dello sviluppo

da parte di nuove imprese dipenda in misura significativa dal patrimonio personale

dell’imprenditore, piuttosto che dall’effettiva potenzialità di crescita dell’impresa. A

tale ultima considerazione si ricollega la rilevanza dei modelli di valutazione del merito

di credito prevalentemente adottati dalle banche nella determinazione dell’intensità del

debt gap per le imprese di nuova costituzione.

In linea generale, è possibile affermare che tali modelli si collocano lungo una

distribuzione continua ai cui estremi vi sono criteri reddituali-finanziari (orientati alla

redditività prospettica del prenditore) e criteri statico-patrimoniali (orientati all’attivo

patrimoniale e a strumenti di finanza garantita). L’orientamento ai modelli statico-

patrimoniali risulta evidentemente penalizzante per le nuove imprese, in considerazione

della mancanza di un performance storiche su cui fondare la valutazione e della minore

consistenza dei cespiti patrimoniali disponibili come garanzia (Ruozi e Forestieri 1987).

E’ inoltre possibile che il problema risulti accentuato dalla relazione positiva

intercorrente tra ammontare della garanzia richiesta e grado di rischio associato

all’iniziativa, dando per scontato che normalmente la nuova impresa sia caratterizzata

da un livello di incertezza più elevato.

Conferme in tal senso vengono da una serie di studi empirici che pongono in relazione

l’intensità del debt gap con l’orientamento prevalente del sistema bancario nella

valutazione del merito di credito (Bannock e Doran 1991; Binks et al. 1992; Yao-Su Hu

1984). In tali analisi si riscontra che in Paesi come la Germania e il Giappone,

tipicamente orientati a criteri finanziari e prospettici, il gap finanziario sofferto dalle

imprese minori è meno rilevante di quello riscontrato in sistemi caratterizzati da un

approccio statico-patrimoniale,quali il Regno Unito, in questo senso simile al modello

italiano (Forestieri 1992; Troiani et al. 1999). In particolare, secondo Charkham (1989)

vi sono ragioni teoriche che giustificano tali differenze; l’autore infatti, in un confronto

tra sistema tedesco e sistema inglese, sostiene che la minor concentrazione ed il maggior

numero di banche locali che caratterizzano il primo, sarebbero la causa di una relazione

banca- impresa di intensità e qualità superiori, con conseguenti benefici nel ricorso

all’indebitamento da parte delle imprese.

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In effetti altri autori (Boot e Thakor 1994; Petersen e Rajan 1994; Berger e Udell 1995;

D’Auria e Foglia 1997) confermano l’esistenza di un allentamento delle condizioni

contrattuali praticate dalle banche (in termini di tasso e di garanzia richiesta), in

presenza di relazioni durature e non frazionate tra banca e impresa. Di diverso avviso

sono peraltro Greenbaum et al. (1989) e Sharpe (1990) che invece suggeriscono che la

banca eroghi un sussidio nella fase iniziale del rapporto, successivamente rimborsato

attraverso l’applicazione di tassi superiori. Risulta comunque prevalente l’orientamento

teorico ed empirico che indica significativi benefici nel relationship lending a seguito

della riduzione dell'asimmetria informativa tra banca e impresa.

Concentrando l’attenzione sulle imprese nuove, la questione non sembra cambiare in

maniera rilevante: tuttavia è ipotizzabile che il beneficio derivante da intense e non

diversificate relazioni di clientela sia superiore rispetto alle imprese mature (benchè

piccole), poiché all’effetto disclosure conseguente al crearsi di intense relazioni con il

datore di fondi, si aggiunge, come suggerito da Weston e Brigham (1981), una

progressiva riduzione dell’asimmetria informativa al consolidarsi dell’attività ed al

formarsi di un track record.

Sempre in tema di rapporto tra finanza e nascita di nuove imprese, Charkham (1989)

evidenzia come, ad una minore concentrazione del sistema bancario e ad un maggior

numero di banche locali, è associata una più intensa relazione tra banca ed imprenditore,

con conseguenti effetti positivi nelle condizioni di accesso al credito. Trascurando il

carattere locale o meno del datore di fondi, Schaeffer e Pulver (1985) suggeriscono che,

nel caso di un mercato del credito concorrenziale, il nuovo imprenditore abbia un più

facile accesso alle risorse finanziarie; ad un superiore livello di concorrenza sarebbe

quindi legata una limitazione degli effetti del razionamento. L’idea di fondo è che il

nuovo imprenditore, in presenza di più datori di fondi, abbia una maggiore probabilità

di ottenere credito.

Petersen e Rajan (1995) pervengono ad un risultato opposto: in presenza di elevata

concorrenza del mercato del credito, i datori di fondi non possono attendersi di

beneficiare dei profitti futuri della nuova impresa, tipicamente superiori a quelli correnti

e caratterizzati da un elevato grado di incertezza. I datori, quindi, sono indotti a

praticare tassi più elevati in attesa del superamento della condizione di incertezza, o

addirittura a razionare il credito. Viceversa un datore di fondi monopolista, certo di

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partecipare ai profitti futuri della nuova impresa, può erogare il credito praticando tassi

più favorevoli all’inizio dell’attività ed ottenere un rendimento maggiore

successivamente. Sicchè, al diminuire del grado di concorrenza tra i datori, il nuovo

imprenditore avrebbe maggiori probabilità di ottenere il credito (e a condizioni

migliori). Tale indicazione teorica trova supporto empirico nell’analisi svolta sulle

imprese minori americane: i due autori rilevano che vi sono più imprese giovani che

ottengono credito nei mercati concentrati rispetto a quelli concorrenziali.

Un ulteriore aspetto indagato in letteratura è l’influenza del relationship banking nella

gestione di situazioni di crisi dell’impresa giovane/minore. In ottica macroeconomica,

Gilchrist et al. (1994) suggeriscono che il fenomeno del debt gap si accentui nelle fasi

cicliche negative; le fasi discendenti del ciclo economico colpirebbero in maniera più

accentuata le imprese maggiormente soggette a problemi informativi o con minori

garanzie, a causa di una riallocazione delle risorse del sistema bancario su imprese con

un migliore standing creditizio (flight to quality).

In particolare, Cowling et al. (1991) e Binks et al. (1992) riscontrano che, al

deterioramento delle condizioni dell’impresa minore, la banca, riducendo drasticamente

l’erogazione del credito, acceleri la crisi. Keasey e Watson (1995) sostengono che tale

atteggiamento da parte delle banche sia particolarmente penalizzante per l’impresa

giovane che, già caratterizzata da un maggior rischio operativo (minore diversificazione

di prodotto e/o di mercato, dipendenza da un limitato numero di clienti e fornitori) e

finanziario (squilibrio finanziario derivante dall’equity e debt gap), finirebbe per subire

in maniera amplificata gli effetti di un peggioramento delle condizioni

macroeconomiche. In precedenza Storey (1982), in uno studio sulla mortalità delle

nuove imprese, mostra che tale fenomeno deriva dalla diversa percezione del rischio tra

imprenditore (più propenso) e banca (più avversa). Longhofer e Santos (1998), più

recentemente, forniscono sul punto una diversa prospettiva: i due autori propongono

infatti un modello che suggerisce una maggiore propensione delle banche a limitare

l’impatto di una crisi sull’impresa affidata, al decrescere delle garanzie prestate sul

credito (al crescere della seniority). L’idea di fondo del modello è che, in presenza di

garanzie (specie se personali dell’imprenditore), il beneficio di un investimento

addizionale nell’impresa in difficoltà da parte della banca è limitato; viceversa, minori

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garanzie incentivano la banca ad intervenire, in attesa della ripresa. L’impresa nuova,

cui la banca chiede maggiori garanzie, sarebbe quindi penalizzata in caso di crisi.

2.4 Localizzazione e debt gap

E’ opinione diffusa che la localizzazione dell’impresa (geografica e distrettuale) non sia

fattore irrilevante nella determinazione dell’intensità del debt gap (Krugman 1991).

Limitatamente al contesto italiano, numerosi autori hanno evidenziato come le

differenze (in termini di struttura produttiva e finanziaria) tra aree territoriali,

influenzino il costo e la disponibilità del credito.

In particolare, alcune ricerche hanno riscontrato empiricamente che, a parità di

dimensioni e performance, le imprese localizzate al Sud hanno un costo del credito e

vincoli finanziari più elevati rispetto a quelle del Centro-Nord (Faini et al 1992.;

Focarelli e Gobbi 1995).

Più rilevante, ai fini del presente lavoro, sembra essere la letteratura teorica ed empirica

relativa agli effetti sul debt gap della localizzazione delle imprese nei sistemi

distrettuali.

Becattini (1990) osserva come il contesto distrettuale possa creare condizioni ambientali

favorevoli al finanziamento di nuove iniziative imprenditoriali; l’autore suggerisce che,

operando in una comunità ristretta, le banche possano acquisire con maggiore facilità

informazioni sulla qualità dei prenditori, limitando così i noti fenomeni di selezione

avversa. Sembra inoltre che la comunità distrettuale, al fine di disincentivare

comportamenti che produrrebbero esternalità negative per tutte le imprese, possa creare

un meccanismo di controllo e sanzione sociale che riduce i fenomeni di moral hazard,

abbassando i costi di monitoraggio del sistema bancario (Banerjee et al. 1994). Conti

(1997) sottolinea inoltre come la maggior presenza di banche locali nei sistemi

distrettuali, favorendo una relazione duratura e intensa tra datori e prenditori, possa

facilitare l’accesso al credito. Saba (1995) anzi, arriva a ipotizzare che il problema

principale dell’economia distrettuale, più che il debt gap delle imprese minori, sia una

eccessiva erogazione del credito, con conseguente maggior fragilità del sistema

bancario.

Di diverso avviso è Pagnini (1998): l’autore infatti, osserva come la forte interrelazione

tra imprese distrettuali possa rendere più difficoltosa la valutazione del merito di credito

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di un singolo prenditore da parte dell’intermediario, accentuando quindi il problema

informativo e, conseguentemente, il fenomeno del debt gap.

In effetti, Baffigi at al (1999) riscontrano empiricamente una maggior correlazione tra

investimenti e cash flow per le imprese distrettuali (rispetto alle imprese locali),

deducendo l’esistenza di un vincolo finanziario più intenso per tali imprese. Russo e

Rossi (1999) pervengono ad un risultato diverso, verificando che, rispetto alle imprese

isolate, le imprese distrettuali scontano un costo del debito inferiore ed una minore

probabilità di razionamento dell’offerta di fondi. Il risultato non sembra peraltro

riconducibile ad un migliore rapporto tra banca e impresa distrettuale. Gli autori infatti

avanzano l’ipotesi che l’intensa interrelazione tra imprese distrettuali, dando maggiore

forza contrattuale ai prenditori nei confronti del sistema bancario, si rifletta in migliori

condizioni di accesso al credito.

2.5 Finanza agevolata e imprese nuove

Si noti che, da un punto di vista teorico, la causa del debt gap e, più in generale, del

fallimento del mercato del credito, non risiede esclusivamente nel comportamento

dell’offerta (i datori di fondi). In effetti il gap finanziario delle imprese minori può

avere origine anche da un problema informativo della domanda (demand side market

failure): sarebbe quindi il prenditore, per scarsa capacità ed informazione, a non

utilizzare adeguatamente le risorse disponibili sul mercato. Carlesi (1990) parla in

proposito di vincolo finanziario endogeno, in contrapposizione con il gap derivante

dalle carenze dell’offerta (vincolo finanziario esogeno). Per la verità la letteratura ha

approfondito tale aspetto soprattutto relativamente al problema dell’equity gap,

rilevando più volte lo scarso orientamento del piccolo/nuovo imprenditore all’apertura

del capitale di rischio (Boldizzoni et al. 1993); nondimeno, alcuni autori (Boivard et al.

1995; Smith et al. 1988) riscontrano un’incapacità dell’imprenditore (specie se nuovo)

di ottenere credito, a seguito della limitata sua esperienza e competenza finanziaria.

Non trascurabile sembrano inoltre gli aspetti attinenti la finanza agevolata, la cui

influenza sulla struttura finanziaria della nuova impresa non è oggetto di particolare

attenzione da parte della ricerca. In proposito, Keasy e Watson (1995) mettono in

discussione l’efficacia delle politiche pubbliche di incentivo alla costituzione di nuove

imprese (con riferimento al contesto inglese), sostenendo che la finanza agevolata

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favorisce spesso iniziative imprenditoriali non competitive e quindi più esposte

all’andamento avverso del ciclo economico. Limitando l’attenzione al contesto italiano,

Maggioni et al. (2000) suggeriscono che le agevolazioni pubbliche per la nuova

imprenditorialità (il riferimento è alla legge 44/86) costituiscono un strumento

potenzialmente in grado di incrementare la competitività delle nuove imprese, a seguito

del maggior equilibrio finanziario perseguibile, dei maggiori/migliori investimenti e

della disponibilità di risorse umane più qualificate. Essi inoltre suggeriscono che la

superiorità dell’impresa agevolata deriva anche dalla preventiva approvazione, sulla

base di un business plan, cui è soggetta la nuova iniziativa. In effetti, Smith et al. (1988)

riscontrano che uno degli elementi di fragilità delle nuova impresa ha origine nel

processo mediante il quale i nuovi imprenditori verificano la fattibilità tecnica ed

economica dell’attività; tale processo risulta in molti casi debolmente strutturato e poco

razionale, con conseguenze negative anche sull’accesso alle risorse finanziarie (supply

side market failure). Se il problema principale della nuova impresa è una struttura

finanziaria sottocapitalizzata e sbilanciata sull’indebitamento a breve, è chiaro che il

ricorso a strumenti di finanza agevolata può essere una soluzione.

La verifica empirica svolta da Maggioni et al. (2000), finalizzata al confronto tra

imprese agevolate e imprese spontanee, presenta risultati interessanti: si riscontra infatti

un maggior tasso di sopravvivenza delle imprese agevolate rispetto a quelle spontanee,

oltre che un superiore utilizzo di impianti tecnologicamente avanzati delle prime

rispetto alle seconde, le quali si collocano tendenzialmente al livello tecnologico medio

di settore. Sorprendentemente non sono riscontrate significative differenze tra i due

campioni in termini di crescita del fatturato e dei dipendenti.

Se l’esistenza delle agevolazioni aiuta le aziende a sopravvivere, non sembra tuttavia

garantire tassi di crescita superiori. Mentre il primo risultato appare chiaro (la riduzione

o l’azzeramento del gap finanziario nelle imprese agevolate, le rende evidentemente

meno vulnerabili), il secondo merita qualche considerazione aggiuntiva. Gli

imprenditori agevolati (tipicamente giovani e con limitata esperienza), in caso di

approvazione del proprio business plan, procedono all’avvio dell’attività, ottenendo il

90% delle risorse finanziarie necessarie. Per contro, all’imprenditore spontaneo è

richiesto uno sforzo intenso per reperire finanziamenti ed in generale per creare un

network di relazioni (Lipparini 1995) con le controparti commerciali e finanziarie che,

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secondo i tre autori, aiuterebbe a potenziare le loro capacità organizzative, relazionali e

gestionali. Sarebbe quindi ipotizzabile che gli effetti positivi legati al facile ed

economico accesso alle risorse finanziarie per le imprese agevolate siano bilanciati,

nelle imprese spontanee, dallo sviluppo di capacità gestionali superiori

dell’imprenditore o da una selezione ex ante dello stesso.

2.6 Il fattore esperienza e la pianificazione del business

Il fattore esperienza (del nuovo imprenditore) risulta peraltro rilevante nello stesso

accesso alle fonti di finanziamento non agevolato. Carlesi (1990) verifica

empiricamente una relazione diretta tra grado di intensità del vincolo finanziario (debt

gap) dell’impresa nuova e grado di novità dell’imprenditore (in termini di precedenti

esperienze, inserimento nel mondo imprenditoriale, ecc.). Non è chiaro quanto tale

fenomeno dipenda dalla maggior capacità del nuovo imprenditore “esperto” di ottenere

risorse finanziarie (soluzione del fallimento dal lato della domanda) piuttosto che dalla

maggiore propensione dei datori di fondi di erogare credito ad un richiedente con un

back ground (soluzione del fallimento dal lato dell’offerta) o da entrambe le cose.

Si noti inoltre come il supposto vantaggio delle imprese agevolate derivante dalla

preventiva selezione in base al business plan non sia unanimemente condiviso. Infatti si

rileva da più parti (Drucker 1986; Smith et al. 1988) la notevole difficoltà per le nuove

imprese nel pianificare efficacemente il proprio business. La capacità di adeguamento

alle condizioni di mercato, in risposta ai primi risultati riscontrati, sembra essere

essenziale al processo di nascita (Boldizzoni 1993); la nuova impresa dovrebbe quindi

garantirsi la massima flessibilità e la facoltà di apportare modifiche a quanto

programmato ex ante (McGrath e MacMillan 1995). MacMillan et al. (1986)

propongono infatti una diversa logica di pianificazione per le nuove imprese, conosciuta

come flow building: in sostanza si tratta di limitare gli investimenti ad una soglia

minimale, evitando l’assunzione di impegni a lungo termine fino a che non siano

generati flussi di cassa sufficienti e stabili. Tale logica risponde peraltro alle

formulazioni teoriche di Weston e Brigham (1981), che, come visto in precedenza,

suggeriscono una limitazione dello sviluppo (e quindi degli investimenti), in base al

tasso di crescita dell’autofinanziamento: in quel caso però, tale limitazione è imposta

dal fallimento del mercato e non consigliata come fattore di successo. L’adozione di una

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strategia di contenimento dell’indebitamento a lungo termine garantirebbe alla nuova

impresa una maggiore flessibilità finanziaria negli anni immediatamente successivi alla

sua nascita. In base ad una logica di struttura finanziaria ottima pro-tempore, ossia

relativa al particolare stadio di vita attraversato, le scelte finanziarie effettuate in fase di

avvio dovrebbero avere la minore influenza1 possibile sulle scelte successive, di modo

da non vincolare il nuovo imprenditore ad una particolare struttura del passivo, definita

in situazione di notevole incertezza, quale è l’avvio dell’iniziativa imprenditoriale.

2.7 Conclusioni

In ipotesi di insufficienza del capitale proprio della nuova impresa (equity gap) e di

fallimento del mercato del credito (debt gap), rimane comunque il problema

dell’accesso a risorse finanziarie stabili, che può configurarsi alternativamente come

barriera all’entrata o come causa di squilibrio finanziario (e quindi di maggiore

vulnerabilità).

La barriera finanziaria alla nascita ed allo sviluppo della nuova impresa può essere

intesa da un lato come maggior costo per il finanziamento rispetto alle imprese già

esistenti e dall’altro come impossibilità di approvvigionarsi dei mezzi finanziari

necessari. Bain (1975) osserva che la barriera all’entrata derivante dalle peggiori

condizioni contrattuali (in termini di tasso di interesse e di garanzia richiesta) cresce di

intensità all’aumentare del fabbisogno finanziario di un’impresa che voglia entrare nel

settore in condizioni di efficienza. Esisteranno quindi settori nei quali tale barriera avrà

un’importanza rilevante (settori nei quali la dimensione minima efficiente è elevata) ed

altri nei quali risulterà trascurabile.

La letteratura esaminata precedentemente, induce peraltro ad ipotizzare l’esistenza di un

vero e proprio debt gap, ossia dell’impossibilità per la nuova impresa di ottenere

capitale di debito necessario per un efficiente ingresso nel mercato. Tale ipotesi, come

osservato da Forestieri (1993), consente di interpretare quegli interventi che, finalizzati

al rafforzamento dei circuiti creditizi, operano sul piano istituzionale (finanza agevolata;

società di garanzia collettiva fidi) e contrattuale (prestiti partecipativi).

D’altra parte, in ipotesi di accesso a risorse finanziarie stabili, è da valutare l’effettiva

convenienza del finanziamento dello start up con indebitamento bancario a lungo

1 In effetti Brugger (1984) sostiene che ogni decisione finanziaria in un’impresa condiziona le scelte

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termine, che, in effetti, condiziona le successive decisioni finanziarie dell’impresa e la

espone al rischio di sovradimensionamento in caso di condizioni di mercato avverse

(Storey 82).

In ipotesi di insufficienza del capitale di rischio (equity gap), il mancato ricorso

(imposto o perseguito) all’indebitamento a lungo termine nel finanziamento dello start

up e del primo sviluppo, comporta peraltro il rischio che il nuovo imprenditore si

finanzi con strumenti non idonei (tipicamente l’indebitamento a breve) in misura

eccessiva. Il conseguente squilibrio finanziario, si configura come elemento di fragilità,

sia in termini di eventuali tensioni di liquidità (Carlesi 1990), sia come freno al

potenziale trend di sviluppo (Weston e Brigham 1981).

Il problema sostanziale della nascita e dello sviluppo della nuova impresa sembra essere

quindi l’esistenza di un vincolo sul capitale di rischio, più che un debt gap. In caso di

insufficienza del capitale proprio dell’imprenditore, il ricorso a forme alternative di

capitale di rischio (es: start up funds o informal/formal venture capital) sarebbe una

soluzione ideale (Murray 1995). In effetti, Forestieri (1993) osserva che le istituzioni di

venture capital, a differenza degli intermediari tradizionali, riescono a bilanciare la forte

esposizione al rischio (implicita nel finanziamento di uno start up) con una accentuata

capacità di controllo dell’impresa finanziata.

Al di là dei positivi effetti nell’ingresso sul mercato, indotti da una maggiore

capitalizzazione, sono inoltre ipotizzabili ulteriori benefici derivanti dalla funzione

segnaletica che l’apertura del capitale di rischio a soci finanziari può svolgere (con

conseguente accesso facilitato anche al capitale di debito).

In realtà, Troiani et al. (1999) rilevano che, nonostante il mercato europeo degli

interventi nel capitale di rischio delle imprese di nuova costituzione abbia conosciuto un

intenso sviluppo (specie nel Regno Unito2), esso rappresenta ancora, per la maggior

parte dei sistemi (tra cui l’Italia), una componente molto limitata dei finanziamenti

complessivi concessi alle nuove imprese. Tale circostanza induce, in prima istanza, a

ritenere che, limitatamente al contesto italiano, il fenomeno del finance gap rappresenti

ancora un limite notevole alla nascita ed allo sviluppo delle nuove iniziative

imprenditoriali. Tuttavia, studi recenti (Hellmann-Puri, 1999) mostrano come vi sia

successive, in base a quello che l’autore definisce “fattore di ereditarietà”.2 Si noti che alcune ricerche empiriche (Bovaird et al. 1995) riscontrano una riduzione progressiva delfenomeno del finance gap nel Regno Unito.

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forte relazione tra innovazione, industrializzazione dell’innovazione e venture capital.

La debolezza dei circuiti di venture capital soprattutto in senso stretto, può dipendere

quindi non solo dalla inadeguatezza del sistema finanziario italiano, ma anche dal

minore peso dei progetti di innovazione tecnologica che rientrano nella finanziabilità di

venture capitalist.

3. La verifica empirica

3.1 La struttura produttiva della Lombardia

Al fine di verificare in che misura alcune delle formulazioni teoriche esaminate nella

precedente sezione trovano riscontro empirico nel caso delle nuove imprese lombarde,

sembra anzitutto necessaria una pur sintetica analisi della struttura produttiva della

Lombardia.

A fine ‘96, anno del censimento intermedio ISTAT, si registrano circa 636.000 imprese

con sede in Lombardia, che contano più di 3.167.000 addetti (5 addetti medi per

impresa). Sul territorio lombardo risultano inoltre operanti oltre 686.000 unità locali per

un totale di circa 3000.000 di addetti dipendenti da imprese, che possono avere sede

anche in altre regioni3. In termini di occupazione, il settore di gran lunga più rilevante

risulta quello manifatturiero con 1.271.000 addetti delle unità locali, pari al 42% del

totale (APP. Tab. 1). L’analisi per classi dimensionali indica che la struttura produttiva

lombarda è costituita in parte consistente da unità locali con meno di 10 addetti, che

risultano essere circa 637.000 (93%) con un numero di addetti pari al 43% del totale

(APP. Tab. 2).

La dinamica intercensuaria (91-96) del tessuto produttivo lombardo rivela andamenti

contrastanti. Nel complesso, le imprese sono aumentate di oltre 88.000 unità (il 16%

contro il 12,7% nazionale) con un incremento del 20% nei servizi e solo del 7,8%

nell’industria. In effetti la variazione parziale riscontrata nel comparto industriale è il

risultato di un considerevole aumento nel settore delle costruzioni (+24,8%) e di una

riduzione (-1,7%) delle imprese manifatturiere.

Per contro si registra una diminuzione degli addetti (50.757 unità pari al –1,7% contro il

-2,1% nazionale), risultante da una perdita di circa 145.000 addetti nell’industria, pari al

3 In sostanza, l’impresa viene attribuita al territorio ove è ubicata la sua sede; quando l’impresa èplurilocalizzata può avere unità locali in regioni diverse dalla sede.

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-8%, e un incremento di oltre 90.000 occupati nei servizi, pari al +6,4%, (APP. Tab. 3).

Si noti che sia le unità locali che gli addetti aumentano esclusivamente nelle imprese

con meno di 10 occupati che rappresentano, come visto, il 93% del tessuto produttivo.

Si conferma quindi il ruolo di propulsore dell’economia svolto dalla piccola impresa

(APP. Tab. 4). Il ricambio tra posti di lavoro persi dalle grandi imprese e quelli generati

dalle nuove imprese minori risulta tuttavia chiaramente insufficiente.

Dall’analisi dei dati Infocamere relativi al periodo 91-97 (APP. Tab. 5) si evince (pur

con qualche difficoltà)4 che la massima intensità di cessazioni aziendali è avvenuta nel

‘93 (con un tasso di mortalità dell’8,1%); la ripresa economica successiva ha attenuato il

fenomeno visto che, anche nel ‘96 (anno di recessione), il tasso di mortalità si riduce dal

6,5% al 6,4%, per risalire leggermente al 7% nel ‘97 (anno di ripresa).

La nascita di nuove impresa (al netto del settore agricolo) tocca il minimo nel ‘93. Il

tasso di natalità non cresce significativamente nei periodi successivi e rimane modesto

sia nel ‘96 (anno di recessione) che nel ‘97 (anno di ripresa).

E’ possibile stabilire quindi una pur debole relazione tra ciclo economico e tasso di

mortalità; la natalità delle imprese non sembra invece correlata all’andamento

congiunturale (rimanendo costantemente limitata).

3.2 I dati dell’analisi empirica

L’analisi5 utilizza un campione chiuso composto da quarantadue nuove imprese operanti

in Lombardia e che hanno avviato l’attività produttiva nel corso del 1993. Sebbene tutte

appartenenti al settore manifatturiero, le imprese sono state selezionate in rami di

attività diversi. I dati a disposizione comprendono oltre all’anagrafica aziendale (età,

area geografica, settore economico di attività) anche i bilanci opportunamente

riclassificati. Uno degli elementi di specificità dell’analisi deriva dalla disponibilità dei

4 L’analisi della nati-mortalità delle imprese nel periodo 91-97 è resa difficile a causa dei seguenti eventi:

- l’istituzione delle nuove provincie di Lecco e Lodi che, negli ultimi mesi del ‘94 ha comportato iltrasferimento delle relative imprese (circa 35.000) dalle provincie di provenienza (Milano, Como,Bergamo) a quelle di destinazione, registrato rispettivamente come avvio e cessazione di attività; neconsegue una sovrastima artificiale sia dei tassi di natalità che di mortalità relativi al ‘94

- l’avvio a fine ‘96 delle iscrizioni al Registro Imprese anche delle imprese agricole, con uninnalzamento del tasso di natalità (10.000 unità nel ‘96 e 50.000 unità nel ‘97)

I dati disponibili sono al netto del settore agricolo. Tuttavia non è stata eliminata la notevole distorsionerelativa alla nascita nelle nuove provincie (‘94).

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dati contabili anche con riferimento ai diversi rami di attività economica. Tali aggregati

(bilanci somma) non solo consentono un confronto omogeneo che sterilizza ciclicità ed

effetti legati alla componente settoriale ma, essendo composti esclusivamente da

imprese di piccole e medie dimensioni, rendono l’analisi comparata particolarmente

efficace anche sotto il profilo dimensionale.

La serie storica a disposizione copre il quadriennio che va dal 1995 al 1998 consentendo

una verifica, seppur limitata, anche dell’evoluzione temporale subita dalla struttura

finanziaria delle imprese selezionate.

Peraltro, la presenza nel campione di imprese ancora in attività a sei anni dalla nascita

presenta inevitabili elementi di specificità se si considera che in genere le analisi

evidenziano i maggiori tassi di mortalità nel secondo e terzo anno si vita delle imprese.

In Italia, in particolare, si stima che nei primi cinque anni di vita falliscano circa il 50%

delle nuove iniziative.

La disponibilità di imprese che hanno ormai superato la fase iniziale e più rischiosa

dello sviluppo consente di valutare caratteristiche ed evoluzione della struttura

finanziaria solo di aziende sopravvissute. La presenza di differenze e la loro eventuale

attenuazione nel tempo rispetto ai dati medi di settore sono, pertanto, riferibili solo ad

un insieme di casi eccellenti. Mancano, invece, riscontri circa le caratteristiche

finanziarie delle imprese cessate e la loro diversità rispetto ai dati settoriali.

3.3 La struttura finanziaria delle nuove imprese

L’obiettivo di questa sezione è quello di verificare empiricamente l’esistenza e

l’intensità di un eventuale vincolo finanziario per le imprese lombarde di nuova

costituzione. Le indicazioni teoriche esaminate lasciano supporre che tale vincolo

finanziario, seppur esistente per tutte le imprese minori, debba risultare quantomeno

accentuato nel caso delle nuove imprese e quindi emergere in un confronto tra dati

finanziari relativi alle nuove iniziative e valori medi riscontrati nel settore di attività. Gli

effetti sull’equilibrio e la struttura finanziaria della nuova iniziativa, dovrebbero altresì

risultare evidenti nei primi anni di attività dell’impresa (start up). In realtà è difficile

stabilire con certezza il momento in cui un’impresa può reputare definitivamente

5 I dati sono stati estratti dall’Osservatorio sulle Imprese di CEDACRI Nord.

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superata la fase di start up6, la cui durata, oltre a dipendere da fattori settoriali e

congiunturali, può evidentemente variare da caso a caso. Tuttavia, precedenti ricerche

(Carlesi 1990; Maggioni et al. 2000; Storey 1982) mostrano che il periodo di tempo in

cui una impresa industriale può essere considerata giovane (in particolare per quanto

riguarda le problematiche finanziarie) è indicativamente pari a 5 anni.

Le imprese del campione sono analizzate attraverso alcuni indicatori di bilancio, relativi

alla struttura e all’equilibrio finanziario di breve e lungo periodo per ciascuno dei 4 anni

di analisi. Tali indicatori sono quindi confrontati (attraverso t test) con i valori medi

riscontrati nel settore7.

Gli indicatori utilizzati per il confronto sono i seguenti:

- redditività del capitale proprio (ROE);

- quoziente di copertura delle immobilizzazioni (QCI);

- rapporto di indebitamento (PF/CN);

- rapporto di indebitamento a breve (PFB/CN);

- rapporto di indebitamento a lunga (PFL/CN);

- costo dell’indebitamento (OF/PF).

In particolare, si intende sottoporre a verifica l’ipotesi secondo cui l’impresa di nuova

costituzione presenti, rispetto ai valori medi di settore, uno squilibrio finanziario

derivante da un peso preponderante dell’indebitamento a breve termine, da un limitato

ricorso all’indebitamento a lungo termine (debt gap) e da una conseguente scarsa

copertura delle immobilizzazioni. E’ inoltre considerato il costo dell’indebitamento

(approssimato dal rapporto tra oneri finanziari e passività finanziarie), al fine di

appurare l’esistenza di un significativo spread tra i tassi di interesse praticati alle nuove

imprese ed i tassi medi di settore. L’ipotesi nulla è che non vi siano significative

differenze tra parametri relativi alle imprese nuove e parametri di settore. Il confronto è

effettuato mediante t-test.

Si è inoltre calcolato, per ognuno dei quattro anni, l’R2 tra cash flow e investimenti;

un’accentuata sensibilità degli investimenti alla dinamica del cash flow potrebbe in

effetti indicare una ridotta capacità di finanziamento esterno e quindi segnalare

l’esistenza di un gap finanziario.

6 Secondo Carlesi (1990) si considera conclusa la fase di start up di un’ impresa, quando questa supera inmodo non occasionale il punto di break even.7 Per settore si intende la popolazione di imprese minori (fatturato inferiore a Lit 10 miliardi).

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La redditività (APP. Grafico 1) delle imprese del campione presenta un andamento

altalenante, specie se comparata con quella di settore, la quale risulta nel complesso più

stabile ed in media inferiore in tutti gli anni, ad esclusione del ’96 (anno di recessione).

Le differenze rilevate nei valori medi del ROE tra settore e campione, risultano tuttavia

statisticamente significative soltanto nel ’95. Negli anni successivi, i valori t-Student

non consentono di escludere l’ipotesi di omogeneità tra imprese nuove e settore.

La marcata ciclicità riscontrata nei rendimenti delle nuove imprese è, in effetti, coerente

con l’ipotesi di elevata rischiosità operativa delle stesse, derivante da una scarsa

diversificazione di prodotto/mercato e da una accentuata dipendenza da un numero

limitato di clienti/fornitori. La conseguente maggior vulnerabilità delle imprese giovani,

sembra inoltre accentuata da un grado di indebitamento complessivo (APP. Grafico 2)

costantemente superiore al dato medio di settore, con una punta massima nel ’96

(PF/CN = 290,10%). Anche in questo caso tuttavia, l’ipotesi di non diversità del grado

di indebitamento tra imprese nuove e settore, non può essere rifiutata in nessun anno di

osservazione, con un livello di significatività decrescente. Tale circostanza induce a

ritenere che si verifichi, nel corso del tempo, un graduale allineamento del livello di

indebitamento delle imprese del campione verso il livello medio di settore e che,

comunque, vi sia alta disomogeneità all’interno del campione stesso.

La divergenza tra settore e imprese giovani risulta poi evidente nell’analisi

dell’indebitamento a breve scadenza (APP. Grafico 3), che risulta preponderante nel

passivo finanziario delle imprese del campione. Il t-test conferma tale risultato, poiché

l’ipotesi nulla può essere rifiutata con un livello di significatività elevato su tutto il

periodo di analisi.

Viceversa, il livello di indebitamento a lungo termine (APP. Grafico 4), pur

costantemente inferiore alla media di settore, non risulta significativamente diverso.

Sicchè, se da un lato l’ipotesi teorica di un maggior ricorso al debito a breve scadenza

da parte delle imprese giovani trova chiaro riscontro empirico, dall’altro, l’eventuale

inaccessibilità a forme di finanziamento stabile è tutt’altro che evidente, quantomeno

nel confronto con i dati medi di settore. In effetti, il limitato ricorso all’indebitamento a

lungo termine (imposto dal mercato o perseguito dall’imprenditore) sembra

caratterizzare in egual misura sia le imprese nuove del campione che il complesso delle

imprese minori del settore manifatturiero. Tale risultato non consente tuttavia di

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escludere l’esistenza di un debt gap; coerentemente con le formulazioni teoriche

esaminate nella precedente sezione, l’ipotesi più verosimile è che il razionamento

imposto dal mercato del credito sia invece rafforzato da un fallimento dal lato della

domanda, che giustificherebbe lo scarso peso dell’indebitamento a lungo termine

riscontrato nell’analisi del campione e del settore. In tale ottica, il maggior grado di

indebitamento complessivo e di indebitamento a breve termine rilevato nelle imprese

nuove, sarebbe quindi da interpretare come un equity gap, che il nuovo imprenditore

decide di colmare con l’unica fonte di fondi cui ha accesso, ossia l’indebitamento a

breve.

Tale interpretazione non sembra peraltro contrastare con il risultato dell’analisi sul costo

dell’indebitamento (APP. Grafico 5); non sorprende infatti, che il tasso medio

sopportato dalle imprese nuove risulti superiore a quello medio di settore. In effetti, il

divario è molto significativo solo nelle osservazioni del biennio 96-97. In particolare

nel ‘96, anno di recessione, si rileva un aumento del costo dell’indebitamento per le

nuove imprese, in contrasto con la diminuzione riscontrata nel settore e, più in generale,

con la dinamica dei tassi di interesse. Si noti che lo spread tra il dato del campione e

quello di settore continua a crescere anche nel ‘97, anno in cui il costo

dell’indebitamento delle imprese nuove inizia a diminuire. Il superiore costo

dell’indebitamento per le imprese giovani sembra quindi riflettere il maggior rischio

operativo e finanziario che caratterizza tali imprese e non può essere considerato,

necessariamente, un indicatore di razionamento del credito. Inoltre, come rilevato

nell’analisi del grado di indebitamento, emerge, pur non chiaramente, una tendenza nel

tempo, all’allineamento tra i valori del campione e quelli del settore. In effetti, nel ’98,

il t-test non consente di rifiutare l’ipotesi nulla, lasciando supporre una sostanziale

eguaglianza nei costi dell’indebitamento. E’ importante osservare, tuttavia, come la

dinamica dello spread tra i due tassi segnali una maggiore vischiosità del costo del

debito per le imprese nuove, il cui maggiore indebitamento a breve termine dovrebbe

invece favorire una aggiustamento più immediato alla tendenza dei tassi del mercato

monetario. Come è verosimile, la minore forza contrattuale dell’impresa di nuova

costituzione nei confronti del sistema bancario si riflette anche in più lento adeguamento

del costo del debito alle condizioni di mercato. Indicativo sembra essere anche il rialzo,

pur minimo, del tasso di interesse delle imprese nuove registrato nel ’96 (anno di

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recessione), che conferma l’ipotesi di peggioramento delle condizioni di accesso al

credito in fasi cicliche negative, da parte delle imprese più esposte al problema

informativo.

Al decrescere del costo del debito le imprese del campione mostrano un aumento

dell’indebitamento a lungo termine ed una diminuzione di quello a breve (APP. Grafico

6 e 7), mentre i dati di settore rivelano un aumento in entrambe le posizioni. La

progressiva sostituzione del debito a breve scadenza con finanziamenti stabili,

riscontrata nelle imprese giovani, sembrerebbe segnalare l’esistenza di un vincolo

finanziario di intensità decrescente, coerentemente con le indicazioni teoriche, per cui,

al crearsi di performance storiche, il debt gap scontato dalle nuove iniziative

imprenditoriali, dovrebbe ridursi. Tuttavia, l’elevata elasticità del debito a lungo termine

alle variazioni del tasso di interesse, riscontrata sia nel campione che nel settore,

avvalora l’ipotesi che, se il vincolo finanziario esiste, esso non sia significativamente

più intenso per le nuove iniziative imprenditoriali.

L’analisi dell’equilibrio finanziario (APP. Grafico 8) conferma tale congettura. Il

quoziente di copertura delle immobilizzazioni risulta infatti sempre minore di 1, tranne

che nell’osservazione del ’95 relativa al campione: il valore t-Student risulta tuttavia

debolmente significativo. Il t-test consente infatti di rifiutare l’ipotesi nulla con

significatività solo nelle osservazioni del ’98, le quali non presentano peraltro squilibri

finanziari patologici.

Si noti, infine, che il valore dell’R2 tra cash flow e investimenti (APP. Grafico 9) è

costantemente limitato (con un picco nella fase ciclica negativa del ’96) ed addirittura

prossimo allo zero nel ‘98. Per quanto l’evidenza sia parziale, essa avvalora l’ipotesi

che l’andamento del cash flow rappresenti una condizione permissiva degli

investimenti. Nelle fasi cicliche negative gli investimenti sono cioè sottoposti al vincolo

della disponibilità di una quota significativa di autofinanziamento. Se così è, le imprese

che sono maggiormente “razionate” per effetto della scarsità di finanziamenti e del

livello dei tassi subiscono maggiormente il condizionamento sulla politica degli

investimenti.

I risultati dell’analisi sembrano negare l’esistenza di un più accentuato debt gap a danno

delle imprese di nuova costituzione; quantomeno tale vincolo non emerge con chiarezza

dal confronto con i dati di settore.

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E’ evidente, tuttavia, che il marcato orientamento del sistema bancario verso una

finanza garantita (con conseguente minore rilevanza della tipologia ed età dell’attività

finanziata), unitamente alla scarsa propensione del piccolo/nuovo imprenditore al

ricorso a forme di finanziamento stabili, possono aver celato il problema.

Se vale tale considerazione, sembra logico dedurre che la barriera finanziaria alla

nascita ed allo sviluppo delle nuove imprese è forse poco evidente, ma certo non meno

grave. La stretta dipendenza tra risorse personali del nuovo imprenditore e accessibilità

al credito, può in effetti penalizzare iniziative imprenditoriali ad alto potenziale con

limitata disponibilità di garanzie. In tale contesto, si può arrivare a ipotizzare che il

fallimento dei circuiti creditizi favorisca la nascita e lo sviluppo di iniziative poco

competitive, ma dotate di garanzie, ed ostacoli l’ingresso sul mercato di quelle

potenzialmente vincenti, ma sprovviste di idonee garanzie. Se questa osservazione fosse

confermata in indagini più sistematiche, ne deriverebbero ovvie complicazioni circa i

modelli di finanziamento più appropriati per sollecitare e favorire la nascita delle nuove

iniziative.

L’insufficienza del capitale proprio dell’imprenditore può quindi configurarsi come

ostacolo insormontabile ex-ante all’avvio delle nuova impresa o come causa ex-post di

accentuata fragilità, se il gap è colmato con strumenti finanziari non idonei. In tale

ottica sembrerebbe ideale il ricorso a forme di capitale di rischio alternative

(formal/informal venture capital) che uniscono alla stabilità (necessaria per un

equilibrato avvio e sviluppo della nuova iniziativa) la flessibilità, elemento chiave per la

sopravvivenza della impresa giovane. L’esigenza di una maggiore capitalizzazione

dovrebbe in altri termini essere soddisfatta in maniera idonea da un punto di vista

qualitativo, oltre che quantitativo: cosa che, in sostanza, solo il capitale di rischio può

garantire.

3.4 La differenziazione della struttura finanziaria delle nuove imprese

In questa seconda parte l’analisi cerca di identificare la presenza di significativi

elementi di differenziazione nelle caratteristiche assunte dalla struttura finanziaria delle

nuove imprese rispetto al dato medio rappresentato dal rispettivo ramo di attività

economica.

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A tal fine la struttura finanziaria delle nuove imprese e le sue caratteristiche vengono

analizzate sia confrontando il peso relativo assunto da alcune poste di stato

patrimoniale, sia attraverso l’applicazione di una metodologia multivariata (analisi

discriminante) ad una serie di indicatori contabili volti ad evidenziare:

• la struttura delle fonti, valutando l’incidenza dell’indebitamento e del capitale

sul totale attivo (Capitale Netto/Totale Attivo)

• il livello dell’indebitamento (Leva = Totale Debiti/Capitale Netto)

• il costo dell’indebitamento (Oneri Finanziari/Debiti Finanziari) e la

composizione del debito per natura e scadenza (Debiti Finanziari/Totale Attivo)

– (Debiti Finanziari m.l./Debiti Finanziari) – (Debiti Finanziari b./Debiti

Finanziari) – (Obbligazioni/Debiti Finanziari)

• l’incidenza economica degli oneri finanziari (Oneri Finanziari/ Margine

Operativo Lordo)

• la capacità di copertura dell’indebitamento finanziario attraverso il margine

operativo lordo o l’autofinanziamento (rischio del debito) (MOL/Debiti

Finanziari) – (Autofinanziamento/Debiti Finanziari)

• la capacità dell’impresa di coprire gli investimenti fissi con l’autofinanziamento

(MOL/Investimenti) – (Autofinanziamento/Investimenti)

• l’equilibrio tra fonti e impieghi espresso dal rapporto tra attività correnti e

passività correnti (Attività Correnti/Passività Correnti).

Se si confronta la struttura dell’attivo delle nuove imprese con quella dell’aggregato

settoriale si può constatare come queste presentino evidenti elementi di differenziazione

(APP. Tab. 6). Tra gli altri, si sottolinea il minor peso assunto dalle immobilizzazioni

tecniche (materiali) e la quota rilevante dei crediti commerciali concessi (Crediti Netti)

rispetto al dato di settore.

Osservando poi la struttura del passivo emerge con evidenza il minore livello di

capitalizzazione delle nuove imprese e la loro maggiore dipendenza dal debito e, in

particolare, da quello a breve termine.

Tuttavia, ponendo in relazione la struttura del passivo con quella dell’attivo si può

notare come il rapporto tra le componenti finanziarie permanenti e componenti fisse

(capitale netto e passività differite vs immobilizzazioni nette e finanziarie) non risulti

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significativamente diverso tra nuove imprese e settore. Peraltro, nelle nuove imprese il

più elevato ricorso all’indebitamento di breve periodo si conferma coerente con il

maggior fabbisogno generato, nell’attivo, dall’elevata incidenza dei crediti verso clienti

(Crediti netti). La maggiore rilevanza della quota ricoperta dai crediti commerciali

risulta, infatti, solo in parte compensata da un maggior peso dei debiti verso i fornitori.

A causa della loro minore forza contrattuale e/o di una politica commerciale aggressiva

utilizzata come leva per lo sviluppo dimensionale e delle quote di mercato, le nuove

imprese presentano significative differenze rispetto al settore.

Pertanto, l’elevato indebitamento a breve delle nuove imprese appare in gran parte

giustificato dalle esigenze di copertura collegate al maggior fabbisogno di capitale

circolante. Costituito principalmente da finanziamenti bancari (sotto forma di anticipo

ma non di factoring che, al contrario del leasing utilizzato da diverse imprese del

campione e per tutti gli anni considerati, risulta praticamente inesistente)

l’indebitamento a breve consente un’elevata flessibilità all’impresa, soprattutto in

funzione della variabilità del fabbisogno e della disponibilità di fondi interni

(autofinanziamento).

Le precedenti considerazioni evidenziano come esista una sostanziale coerenza tra

caratteristiche del fabbisogno finanziario delle nuove imprese e le modalità di

finanziamento che queste adottano. Come già per le piccole e medie imprese (Iacobucci

1996), anche per le nuove aziende queste considerazioni sembrano in parte attenuare il

vincolo finanziario derivante dalla difficoltà di accesso al credito e, in particolare, a

quello di medio e lungo termine.

La letteratura in materia di struttura finanziaria non offre, a tutt’oggi, una teoria in grado

di spiegare compiutamente i comportamenti delle imprese in tema di decisioni

finanziarie (Venanzi, 1997). L’approccio per lo più induttivo delle analisi, che dai

risultati empirici ricavano la costruzione teorica, e la condivisione delle variabili

esplicative tra schemi teorici diversi sottolineano questa situazione (Lazzari 1998).

Sebbene carenti in termini comportamentali, teorie e verifiche empiriche consentono

comunque di individuare una serie di variabili in grado di influenzare la struttura

finanziaria di un’impresa.

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Tuttavia, se la sopravvivenza di una nuova attività produttiva dipende in misura

rilevante dalla disponibilità di risorse finanziarie, molto spesso squilibri nella sua

struttura finanziaria sono il risultato di cause che originano in altri ambiti della gestione

aziendale. E’, pertanto, doveroso parlare di un insieme concomitante di fattori

nell’ambito dei quali la variabile finanziaria partecipa nella duplice veste di fattore

determinante e di cartina di tornasole del contributo degli altri.

In ragione della difficoltà di individuare nessi causali stabili tra la variabile oggetto di

analisi e possibili variabili esplicative si è optato per l’impiego di una metodologia

multivariata che, attraverso un processo stepwise, consentisse di individuare, tra le

variabili selezionate, la migliore funzione discriminante per i gruppi di volta in volta

selezionati (discriminant analysis).

L’analisi è stata sviluppata su campioni diversamente organizzati ai fini della:

• individuazione di una funzione che consentisse di discriminante le nuove

imprese dai rispettivi rami di attività economica;

• individuazione della funzione discriminante tra i due gruppi di nuove imprese

che negli anni considerati hanno ottenuto rispettivamente le peggiori e le

migliori performance in termini di crescita del fatturato;

• individuazione della funzione discriminante nell’ambito dei soli rami di attività

tra i due gruppi che presentano rispettivamente i migliori ed i peggiori tassi di

sviluppo.

Il primo tipo di verifica è stata svolta per cercare di cogliere le variabili in grado di

discriminare tra le nuove imprese (gruppo 1) e i rispettivi rami di attività economica

(gruppo 2). I risultati ottenuti evidenziano la seguente funzione:

N.1: Funzione discriminante tra nuove imprese e dati medi di settore

Variabili DF/TA Obb/DF AC/PC ROA Sviluppo L. Diff AC PD PC

CoefficientiFunzione -0,376 -0,315 1,534 0,588 -0,406 0,381 -1,274 0,889 3,052

% di Varianza spiegata 100%

Chi – square 114,7

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Wilks’ Lambda Significativo (<0,001)

Date le variabili individuate dall’analisi statistica nonché i valori ed i segni dei

coefficienti della funzione, emerge come le nuove imprese trovino significativi elementi

di differenziazione rispetto ai relativi rami di attività in relazione alle attività e alle

passività correnti. In particolare, livelli crescenti nelle passività correnti, così come il

rapporto tra attività e passività correnti (AC/PC), corrispondono meglio al profilo delle

nuove imprese. Nella medesima direzione si muovono, sebbene con intensità minore,

Roa e passività differite. Al contrario, livelli crescenti di debiti finanziari (DF/TA) e al

loro interno dei prestiti obbligazionari tendono a corrispondere al profilo dei rami di

attività economica e cioè delle imprese consolidate.

L’analisi discriminante è stata poi ripetuta all’interno del solo campione relativo alle

nuove imprese, dopo aver raggruppato imprese attraverso l’impiego della cluster

analysis. L’analisi, effettuata sulla base dei tassi di crescita delle imprese nei quattro

anni disponibili, ha consentito di individuare sei diversi gruppi caratterizzati da

performance di sviluppo crescenti e da diversa numerosità.

Tra i clusters così ottenuti sono state poste a confronto le performance di crescita

evidenziate, in particolare, dai gruppi di nuove imprese che presentano rispettivamente i

migliori (gruppo 6) e i peggiori risultati (gruppo 1). L’analisi discriminante ha

consentito, in questo caso, di individuare la seguente funzione:

N.2 – Fattori di discriminazione tra le nuove imprese con i tassi di sviluppopiù elevati e quelle con i tassi più bassi

Variabili Liquidità immediate Attività Correnti FornitoriCoefficientiFunzione

0,534 1,015 -1,070

% di Varianza spiegata 100%Chi – square 30,88Wilks’ Lambda Significativo (<0,001)

Le indicazioni provenienti dalle elaborazioni segnalano, tra quelle impiegate, tre

variabili che meglio delle altre discriminano tra i due cluster. Nello specifico livelli

crescenti di liquidità immediate e di attività correnti ci spostano verso il gruppo delle

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imprese che registrano tassi di sviluppo più bassi, al contrario quote crescenti di credito

da fornitori ci avvicinano alle aziende di nuova costituzione caratterizzate da elevati

tassi di crescita. L’intensità della crescita influenza cioè l’equilibrio finanziario a breve:

la sua accelerazione assorbe liquidità dall’attivo ed espone all’utilizzo crescente di

finanza instabile (fornitori) dal lato del passivo.

Utilizzando il medesimo approccio l’analisi è stata sviluppata anche in relazione ai rami

di attività economica. Dal confronto tra i settori che hanno evidenziato i maggiori livelli

di crescita (gruppo 6) e quelli che hanno prodotto i risultati peggiori (gruppo 1) emerge

la seguente funzione discriminante:

N.2 – Fattori di discriminazione tra i rami di attività con i tassi di sviluppopiù elevati e quelle con i tassi più bassi

Variabili Debito Consolidato Passività CorrentiCoefficientiFunzione

-0,699 0,981

% di Varianza spiegata 100%

Chi – square 24,78

Wilks’ Lambda Significativo (<0,001)

I risultati ottenuti riconducono la diversità nelle performance di crescita evidenziate dai

due gruppi a due variabili rappresentative rispettivamente dei debiti consolidati e delle

passività correnti. In particolare, al diverso grado di sviluppo sperimentato dai rami

economici sembrerebbe contribuire positivamente una crescente presenza di debito

consolidato, cioè la disponibilità di finanziamenti a m/l termine e, negativamente, le

passività correnti.

In sintesi, dai risultati dell’analisi statistica trovano conferma alcune delle principali

considerazioni già emerse nella precedente analisi descrittiva. La struttura finanziaria

delle imprese di nuova costituzione sembra differenziarsi dal dato medio di settore (cioè

dall’aggregato che comprende le imprese consolidate) in ragione del diverso peso

ricoperto sia dalle passività correnti sia da quelle aventi scadenza protratta. A

quest’ultimo riguardo un ruolo rilevante sembrano giocare le emissioni obbligazionarie.

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Posto che nelle Pmi i prestiti obbligazionari sono generalmente sottoscritti dai soci e

quindi rappresentano una modalità alternativa di apporto di capitale, nelle nuove

iniziative tale fonte finanziaria risulta decisamente carente.

Ulteriori elementi di differenziazione derivano anche dal lato dell’attivo confermando

l’importanza, per le nuove imprese, del fabbisogno finanziario che origina dai crediti

commerciali (liquidità differite). Queste, peraltro, se da un lato risultano caratterizzate

da livelli di redditività superiori alla media delle imprese consolidate, dall’altro

sembrano presentare, in maniera inaspettata, tassi di sviluppo inferiori. Il segno meno

che caratterizza il coefficiente della variabile “Sviluppo” trova spiegazione nell’utilizzo

di un tasso medio di crescita che risente della volatilità molto più accentuata presente

nel campione delle nuove imprese rispetto al dato di settore.

Risultati interessanti si ottengono anche dall’applicazione dell’analisi discriminante

nell’ambito dei due campioni separatamente considerati (nuove imprese e settori) .

In particolare, tra le nuove imprese che evidenziano tassi di sviluppo elevati e quelle che

al contrario presentano gradi di crescita negativi le variabili discriminanti individuate

dall’analisi (fornitori, attività correnti e liquidità immediata) sottolineano,

indirettamente, l’importanza per una nuova impresa di attuare una efficiente gestione

del capitale circolante cioè di una delle componenti fondamentali da cui origina il

fabbisogno finanziario. La capacità di crescere a tassi di sviluppo elevati sembrerebbe,

infatti, fortemente condizionata dalla capacità della nuova impresa di accrescere la

quota di credito messa a disposizione dai fornitori e di manovrare le attività correnti.

Rispetto alle imprese di nuova costituzione per le quali l’effetto discriminante deriva sia

da componenti attive che passive dello stato patrimoniale, nel caso dei gruppi estratti dal

campione relativo ai rami di attività le sole variabili presenti risultano essere i debiti

consolidati e le passività correnti. In questo caso, in particolare, l’analisi evidenzia come

fattore discriminante la crescente disponibilità di finanziamenti a m/l termine piuttosto

che di passività correnti.

Una struttura finanziaria più stabile si associa cioè a livelli più elevati del tasso di

sviluppo. Se ne desume che la stabilità finanziaria funzioni come una condizione

permissiva dello sviluppo. Non altrettanto fondata appare, invece, l'ipotesi contraria e

cioè che il rapporto di influenza vada dallo sviluppo alla finanza; in particolare, che lo

sviluppo “ad ogni costo” porti ad un degrado della struttura finanziaria (eccesso di

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debiti a breve). Il riscontro empirico evidenzia la differenza rispetto alle nuove imprese

nelle quali tassi di sviluppo più elevati sono associati al peggioramento dell’equilibrio

finanziario. Dunque, per le nuove imprese la traiettoria della crescita sembra più

direttamente condizionata dai vincoli finanziari. Questi, assieme ai fattori esogeni di

mercato espressi nel mancato controllo del capitale circolante, contribuiscono a spiegare

l’alta volatilità del tasso di sviluppo.

4. Conclusioni

L’analisi svolta giustifica alcune considerazioni conclusive.

1. Le nuove imprese presentano un profilo economico e finanziario con differenziazioni

significative rispetto al campione di confronto:

Ø la struttura finanziaria è più indebitata e tende a normalizzarsi lungo il periodo di

sviluppo,

Ø il debito a breve è più elevato e permane nel tempo,

Ø l’equilibrio finanziario è, conseguentemente, più debole,

Ø il costo del debito è più elevato e più vischioso rispetto ai tassi di mercato,

Ø la redditività media più alta, ma con una variabilità accentuata (maggiore

esposizione ai fattori esogeni congiunturali e di mercato).

2. Le nuove imprese, rispetto al campione di confronto, sembrano quindi maggiormente

esposte ad un problema di equity gap. Data la sostanziale omogeneità di posizione in

termini di indebitamento a lungo termine, di deve concludere che l’equity gap delle

stesse imprese trova compensazione nel maggiore debito a breve. Viene cioè esaltata il

l’instabilità potenziale della struttura finanziaria.

3. Il completamento del ciclo dello start-up e del primo sviluppo è segnato da un

progressivo rafforzamento della struttura finanziaria o, quantomeno, da una crescente

uniformità rispetto al campione di confronto: riduzione del debito a breve,

razionalizzazione del capitale circolante, aumento delle fonti stabili tra le quali il “quasi

capitale” rappresentato da emissioni obbligazionarie di pertinenza degli stessi azionisti.

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4. Tuttavia, le anomalie e le debolezze della finanza delle imprese giovani meritano la

massima attenzione. Da un lato, infatti, l’osservazione empirica trascura, per mancanza

di dati, i casi di insuccesso, casi che presentano una frequenza elevata proprio nei primi

anni di vita delle imprese. Non è quindi possibile escludere che la debolezza della

finanza sia uno dei fattori che concorrono a determinare l’insuccesso. Dall’altro lato, le

stesse imprese del campione (che quindi hanno superato la fase critica dello start-up)

mostrano segnali evidenti del condizionamento finanziario.

5. Una prima manifestazione di questo condizionamento è rappresentata dalla

variabilità della performance economica delle imprese. L’esposizione più forte al

rischio finanziario viene innescato e produce una caduta di redditività soprattutto nelle

fasi di congiuntura negativa (1996). Il cumulo di rischi finanziario ed operativo esalta

naturalmente l’incertezza delle prospettive aziendali e contribuisce al tasso di

insuccesso.

6. Una ulteriore manifestazione del condizionamento finanziario la si osserva attraverso

la stima della relazione tra cash-flow e politica di investimento delle nuove imprese. La

relazione è debole in generale, ma molto forte (57%) proprio negli anni di congiuntura

economica negativa. Questo dato lascia supporre l’esistenza di un vincolo finanziario

(mancanza di fonti esterne) alla politica di investimento che si accentua nel corso delle

situazioni di crisi. In qualche misura, ciò significa che la politica di sviluppo delle nuove

imprese è condizionata dalla debolezza strutturale della loro finanza; si esalta così la

dipendenza da fattori esterni contingenti quali l’atteggiamento dei fornitori e la

congiuntura monetaria.

7. Strettamente correlata a quanto sopra è l’osservazione della variabilità dei tassi di

crescita nel corso dello sviluppo iniziale. In parte, si tratta di un dato fisiologico

connaturato alla incertezza dello start-up. Per un altro verso tuttavia, non si può

escludere che questa instabilità intrinseca (rischio d’impresa) sia accentuata dalla

fragilità finanziaria, si trasmetta sotto forma di discontinuità della politica di

investimento e trovi la sua espressione finale nella volatilità dei risultati economici.

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I punti sopra richiamati fanno emergere diverse implicazioni e, forse, giustificano

qualche linea di intervento correttivo.

L’analisi è stata svolta sulle imprese di un’area economica altamente sviluppata e,

verosimilmente, meno esposta ai problemi derivanti dalla inadeguatezza dei circuiti di

finanziamento. Ciò non ostante, sono evidenti i limiti ed i condizionamenti di natura

finanziaria alla crescita delle imprese.

L’osservazione dei gaps di capitale di rischio e di credito a lungo termine deriva da una

analisi troppo generale per sostenere conclusioni specifiche. Tuttavia, la scarsità di

“finanziamento stabile” osservata in generale ci si deve attendere che risulti amplificata

se si entra nel segmento particolare delle imprese che combinano alto sviluppo e

intensità tecnologica. In esse, la capacità di innovazione e di industrializzazione

dell'innovazione costituiscono i presupposti per essere candidabili all’intervento dei

venture capitalist. Il ruolo attivo di questi non è facilmente sostituibile e ciò rappresenta

un blocco al circolo virtuoso dall’innovazione, all’iniziativa imprenditoriale, alla

crescita economica.

Il modello di finanziamento delle nuove imprese incontra dunque due diversi ostacoli:

Ø in quelle tecnologiche, la mancanza di una spessa rete di investitori specializzati nel

capitale di rischio,

Ø nelle altre, comunque la deformazione dei circuiti di finanziamento verso il breve

termine.

Un secondo aspetto significativo emerso dall’analisi è quello del costo del debito e, in

particolare, il divario a svantaggio ancora delle nuove imprese. Su questo piano le

prospettive non sono positive per almeno due ordini di considerazioni. Da un lato, il

processo di concentrazione bancaria potrebbe indurre una ulteriore marginalizzazione

dei prenditori di fondi più rischiosi e, tra questi, le nuove imprese. Dall’altro lato, lo

sviluppo di procedure di internal risk assesment nelle banche ai fini dell’ottimizzazione

della politica del capitale potrebbe condurre al riconoscimento di un premio al rischio

più alto e, quindi, ad un conseguente rialzo dei tassi di interesse. Tra i prenditori di

fondi più esposti a questo pericolo, proprio per il cumulo di rischio che presentano, si

trovano ancora le nuove imprese.

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APPENDICE

Tabella 1 – Imprese, Unità locali e Addetti - (31/12/96)

Sezione ATECO 91 Imprese AddettiImprese

UnitàLocali

AddettiU.L.

A Agricoltura; Caccia, Silvicoltura 0 0 31 74B Pesca, Piscicoltura, Servizi Connessi 0 0 1 7C Estrazione di Minerali 557 10.290 846 11.365D Attività Manifatturiere 117.154 1.382.639 126.066 1.271.400E Prod. e Distr. Energia Elettrica, Gas,Acqua

387 20.674 903 26.781

F Costruzioni 82.565 258.358 88.238 250.618G Commercio 185.546 613.011 201.016 581.178H Alberghi e Ristoranti 30940 132.107 33.577 117.855I Trasporti, Magazzinaggio e Comunicazioni 26.832 127.408 31.629 182.285J Intermediazione Mon. e Fin. 13.149 159.123 19.018 134.029K Att. Immob, Noleggio, Informatica, Ricerca 144.439 380.081 149.165 370.358M Istruzione 0 0 5 8N Sanità e Altri Servizi Sociali 0 0 9 28O Altri Servizi Pubblici, Sociali e Personali 34.719 83.886 35.942 83.008TOTALE 636.288 3.167.577 686.446 3.028.994INDUSTRIA 200.663 1.671.961 216.053 1.560.164SERVIZI 435.625 1.495.616 470.361 1.468.749

Fonte: ISTAT

Tabella 2 – Unità locali e Addetti per classi dimensionali (valori assoluti e %) -(31/12/96)

Classi Dimensionali Unità Locali Addetti U.L.1- 9 addetti 636.901 92,8% 1.310.746 43,3%

10 – 49 addetti 43.305 6,3% 795.277 26,3%50 – 249 addetti 5.512 0,8% 530.663 17,5%

250 addetti e oltre 728 0,1% 392.308 13,0%Fonte: ISTAT

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Tabella 3 – Imprese, Unità locali e Addetti - (variazioni 91-96)

Sezione ATECO 91 Imprese Unità Locali Addetti ImpreseA Agricoltura; Caccia, Silvicoltura - - -B Pesca, Piscicoltura, Servizi Connessi - - -C Estrazione di Minerali 21 -27 -2.408D Attività Manifatturiere -1,992 -3.602 -147.772E Prod. e Distr. Energia Elettrica, Gas,Acqua

95 -19 -201

F Costruzioni 16.398 10.903 5.171G Commercio -6.608 -7.094 -34.235H Alberghi e Ristoranti -674 -945 1.214I Trasporti, Magazzinaggio e Comunicazioni 4.183 4.376 24.269J Intermediazione Mon. e Fin. 3.877 5.007 -5.157K Att. Immob, Noleggio, Informatica, Ricerca 69.461 69.332 94.854M Istruzione - - -N Sanità e Altri Servizi Sociali - - -O Altri Servizi Pubblici, Sociali e Personali 3.393 3.470 9.508TOTALE 88.154 81.401 -54.757INDUSTRIA 14.522 7.225 -145.210SERVIZI 73.632 74.146 90.453

Fonte: ISTAT

Tabella 4 – Unità locali e Addetti per classi dimensionali - (variazioni 91-96)

Classi Dimensionali Unità Locali Addetti U.L.1- 9 addetti +84.162 +15,2% +21.192 +1,6%

10 – 49 addetti -2.001 -4,4% -32.232 -3,9%50 – 249 addetti -236 -4,1% -22.496 -4,1%

250 addetti e oltre -22 -2,9% -6.182 -1,6%Fonte: ISTAT

Tabella 5 – Tassi di natalità e mortalità - (nati-mortalità 91-97)

Anno 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997Tassi di Natalità 7,14% 7,25% 6,76% 11,19% 7,28% 7,52% 7,12%Tassi di Mortalità 6,22% 7,20% 8,15% 10,52% 6,47% 6,42% 6,58%

Fonte: Infocamere

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Tab.6 Componenti dell’attivo e del passivo di imprese e settore

1995 1995 1996 1996 1997 1997 1998 1998

Settore Nuove Imp. Settore Nuove Imp. Settore Nuove Imp. Settore Nuove Imp.

ATTIVO

Immobilizz. Nette 20,0% 13,5% 20,2% 12,9% 20,0% 13,3% 16,5% 13,3%

Immobilizz. Fin. 7,8% 3,3% 8,4% 3,0% 8,1% 3,5% 7,3% 3,0%

Disponibilità 20,0% 13,5% 20,2% 12,9% 20,0% 13,3% 21,9% 15,7%

Crediti Netti 42,0% 59,2% 40,4% 58,9% 40,8% 57,2% 41,4% 57,6%

Liquidità Differite 43,1% 60,7% 41,6% 60,7% 41,8% 58,7% 42,3% 60,5%

Liquidità Immediate 5,3% 4,9% 6,0% 4,7% 5,3% 5,2% 5,4% 5,4%

Attività Correnti 70,2% 80,5% 69,0% 81,4% 69,2% 80,8% 69,6% 81,6%

PASSIVO

Capitale Netto 22,9% 10,3% 24,4% 10,7% 23,3% 11,3% 22,9% 13,1%

Debiti Consolidati 1,5% 1,5% 1,2% 2,2% 1,0% 0,7% 1,0% 1,3%

Passività Differite 16,9% 9,8% 19,3% 11,9% 18,8% 12,2% 19,5% 12,8%

Deb. vs Fornitori 30,7% 46,4% 27,7% 42,4% 28,9% 38,8% 28,8% 42,6%

Passività Correnti 60,2% 79,9% 56,3% 77,7% 57,9% 76,6% 57,5% 75,2%

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Redditività delle nuove imprese e del campione di confrontoGrafico 1

0,00%

5,00%

10,00%

15,00%

20,00%

25,00%

30,00%

35,00%

ROE

-0,700

-0,350

0,000

0,350

0,700

1,050

1,400

1,750

2,100

2,450

2,800

3,150

3,500

3,850

4,200

t-Student

ROE Settore ROE NuoveImprese t-Student

ROE Settore 11,72% 6,68% 3,94% 10,07%

ROE NuoveImprese 31,51% 3,98% 15,84% 30,66%

t-Student 3,713 -0,487 1,525 1,687

1995 1996 1997 1998

Grafico 2Indebitamento complessivo

0,00%

50,00%

100,00%

150,00%

200,00%

250,00%

300,00%

350,00%

PF

/CN

-0,096

0,104

0,304

0,504

0,704

0,904

1,104

1,304

1,504

1,704

1,904

2,104

2,304

2,504

2,704

t-S

tud

ent

PF/CN Settore PF/CN Nuove Imprese t-Student

PF/CN Settore 156,09% 157,19% 184,92% 187,48%

PF/CN Nuove Imprese 240,99% 290,10% 241,94% 264,81%

t-Student 2,468 2,502 1,690 1,754

1995 1996 1997 1998

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Milano 73

Grafico 3Indebitamento a breve termine

0,00%

50,00%

100,00%

150,00%

200,00%

250,00%

300,00%

PF

B/C

N

0,000

0,200

0,400

0,600

0,800

1,000

1,200

1,400

1,600

1,800

2,000

2,200

2,400

2,600

2,800

3,000

3,200

3,400

t-S

tud

ent

PFB/CN Settore PFB/CN Nuove Imprese t-Student

PFB/CN Settore 106,19% 101,79% 122,72% 125,25%

PFB/CN Nuove Imprese 194,20% 244,58% 193,36% 211,40%

t-Student 3,200 3,122 2,307 2,739

1995 1996 1997 1998

Grafico 4Indebitamento a lungo termine

0,00%

10,00%

20,00%

30,00%

40,00%

50,00%

60,00%

70,00%

PF

L/C

N

-2,704

-2,504

-2,304

-2,104

-1,904

-1,704

-1,504

-1,304

-1,104

-0,904

-0,704

-0,504

-0,304

-0,104

0,096

t-S

tud

ent

PFL/CN Settore PFL/CN Nuove Imprese t-Student

PFL/CN Settore 49,89% 55,40% 62,19% 62,23%

PFL/CN Nuove Imprese 46,79% 45,52% 48,15% 53,41%

t-Student -0,242 -0,616 -1,404 -0,534

1995 1996 1997 1998

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Milano 74

Grafico 5Costo dell’indebitamento

5,00%

7,00%

9,00%

11,00%

13,00%

15,00%

17,00%

19,00%

OF

/PF

0,00%

0,50%

1,00%

1,50%

2,00%

2,50%

3,00%

3,50%

4,00%

Spr

ead

Spread OF/PF Nuove Imprese OF/PF Settore

Spread 2,71% 3,48% 3,54% 0,84%

OF/PF Nuove Imprese 17,03% 17,05% 14,27% 9,66%

OF/PF Settore 14,33% 13,57% 10,73% 8,82%

1995 1996 1997 1998

Grafico 6

0,00%

50,00%

100,00%

150,00%

200,00%

250,00%

300,00%

PF

B/C

N

0,00%

2,00%

4,00%

6,00%

8,00%

10,00%

12,00%

14,00%

16,00%

18,00%

OF/

PF

PFB/CN Settore PFB/CN Nuove Imprese OF/PF Settore OF/PF Nuove Imprese

PFB/CN Settore 106,19% 101,79% 122,72% 125,25%

PFB/CN Nuove Imprese 194,20% 244,58% 193,36% 211,40%

OF/PF Settore 14,33% 13,57% 10,73% 8,82%

OF/PF Nuove Imprese 17,03% 17,05% 14,27% 9,66%

1995 1996 1997 1998

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Milano 75

Grafico 7

0,00%

10,00%

20,00%

30,00%

40,00%

50,00%

60,00%

70,00%

PF

L/C

N

0,00%

2,00%

4,00%

6,00%

8,00%

10,00%

12,00%

14,00%

16,00%

18,00%

OF/

PF

PFL/CN Settore PFL/CN Nuove Imprese OF/PF Settore OF/PF Nuove Imprese

PFL/CN Settore 49,89% 55,40% 62,19% 62,23%

PFL/CN Nuove Imprese 46,79% 45,52% 48,15% 53,41%

OF/PF Settore 14,33% 13,57% 10,73% 8,82%

OF/PF Nuove Imprese 17,03% 17,05% 14,27% 9,66%

1995 1996 1997 1998

Grafico 8

0,00%

20,00%

40,00%

60,00%

80,00%

100,00%

120,00%

140,00%

QC

I

-3,600

-3,300

-3,000

-2,700

-2,400

-2,100

-1,800

-1,500-1,200

-0,900

-0,600

-0,300

0,000

0,3000,600

0,900

1,200

1,500

1,800

2,100

t-S

tud

ent

QCI Settore QCI Nuove Imprese t-Student

QCI Settore 54,38% 56,44% 55,29% 55,50%

QCI Nuove Imprese 125,72% 51,64% 49,97% 45,00%

t-Student 1,770 -1,150 -1,405 -3,317

1995 1996 1997 1998

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Milano 76

19951996

1997

1998

R^2

0,00%

10,00%

20,00%

30,00%

40,00%

50,00%

60,00%

70,00%

80,00%

90,00%

100,00%

Grafico 9

R^2

R^2 5,14% 57,18% 17,91% 0,08%

1995 1996 1997 1998

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