LA FINANZA DELLE NUOVE IMPRESE: il caso lombardo · valutazione del merito di credito (Bannock e...
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LA FINANZA DELLE NUOVE IMPRESE:
il caso lombardo
a cura di Giancarlo Forestieri, Giuliano Iannotta e Stefano Monferrà
1. Introduzione
La creazione di nuove iniziative imprenditoriali rappresenta un fattore di importanza
fondamentale nello sviluppo economico di una regione e più in generale di un paese
(Storey, 1994). “Fast growing innovative small and medium-sised enterprises (SMEs)
are one of the main engines for growth and employment creation across Europe. But
these companies have specific financing needs” (Jallard, 1999).
La esigenza di rafforzare la capacità di sviluppo delle imprese nuove e di quelle
orientate all’innovazione tecnologica è diffusamente riconosciuta come una delle leve
della competitività europea di fronte alla globalizzazione. In questo contesto, molta
attenzione viene riservata alla ricerca dei meccanismi e degli strumenti finanziari più
idonei per quella tipologia di imprese. La Commissione della UE ha sviluppato un vasto
programma di interventi basato sul riconoscimento che un efficiente mercato del
capitale di rischio è alla base delle politiche di creazione dell’occupazione e che, in
particolare, le imprese nuove e tecnologiche devono essere sostenute da più ampi
circuiti di venture capital (Commission of the European Communities, 1999). Gli
ambienti finanziari europei, a loro volta, segnalano le carenze degli attuali circuiti di
finanziamento delle PMI, tra le quali: la mancanza di pari opportunità di accesso ai
finanziamenti e la grave mancanza di schemi finanziarie applicabili alle fasi dello start-
up e del primo sviluppo. (Third Round Table of Bankers and SMEs, 2000).
In Italia le problematiche connesse alle nuove imprese non hanno sinora ricevuto
particolare attenzione. Sebbene l’importanza del tema sia in ogni caso destinata a
crescere in relazione ad una serie concomitante di fattori tra quali la nascita, di un
Nuovo Mercato per le PMI, il crescente interesse riservato alle capacità competitive del
sistema Italia nel mercato unico europeo dopo l’Unione Monetaria, l’attenzione posta
nell’individuazione dei fattori in grado spiegare i differenziali di crescita sperimentati
dall’economia americana rispetto a quelle europee.
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Nell’insieme di variabili in grado di influenzare la sopravvivenza e lo sviluppo di una
nuova azienda, la componente finanziaria rappresenta sicuramente uno degli elementi
fondamentali (Cooper et altri, 1994). Proprio in questo ambito l’esperienza europea si
differenzia dalla realtà statunitense soprattutto in ragione di una spesso citata carenza di
capitali per lo sviluppo.
In Italia, in particolare, il dibattito sul tema dell’efficienza della struttura finanziaria
delle piccole imprese ha spesso sottolineato, contrapponendo le ragioni degli
imprenditori a quelle dei finanziatori, la carenza di cultura finanziaria e di apertura ai
capitali esterni, l’eccessivo indebitamento e le relative modalità di offerta.
L’analisi svolta si concentra sulle caratteristiche finanziarie delle nuove imprese
cercando di cogliere gli eventuali elementi di diversità che caratterizzano tali iniziative
rispetto a quelle di PMI già mature. Obiettivo specifico del lavoro è di indagare il
modello di sviluppo finanziario delle nuove imprese, di individuarne il ciclo evolutivo,
di evidenziare le principali differenze rispetto ad un campione di confronto di imprese
consolidate. I risultati possono aiutare nella valutazione dell’adeguatezza dei circuiti di
finanziamento delle imprese, con particolare riferimento a quelle di nuova costituzione,
e possono fornire indicazioni ai fini di un rafforzamento dei circuiti stessi.
2. Una rassegna della letteratura in tema di finanza delle nuove
imprese
2.1 Finance gap e imprese minori
Le imprese minori svolgono un ruolo significativo nel generare occupazione (Storey e
Johnson 1987), promuovere la concorrenza (Wilson 1979; Vesper 1984) e contribuire in
genere al dinamismo del sistema economico (Storey 1982; Binks e Vale 1990).
L’importanza riconosciuta a tali imprese ha indotto la ricerca all’approfondimento delle
problematiche finanziarie ad esse relative.
Uno degli aspetti indagati nella letteratura riguarda le differenze, in termini di struttura
finanziaria, tra imprese piccole ed in imprese maggiori. In particolare, da tempi non
recenti (Macmillan 1931), la ricerca solleva dubbi circa la capacità del sistema
finanziario di soddisfare adeguatamente i bisogni finanziari delle imprese minori. Tale
fenomeno, efficacemente sintetizzato con il termine finance gap (nelle sue componenti
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di debt gap ed equity gap), trova spiegazione nelle formulazioni teoriche relative al
fallimento del mercato dei capitali. Numerosi sono i riscontri empirici che confermano
l’esistenza di limitazioni delle imprese minori nell’accesso al mercato dei capitali (di
debito e di rischio) con conseguenti effetti penalizzanti sulle loro potenzialità di crescita
e sul loro equilibrio finanziario (Bovaird et al. 1995).
Sorprendentemente limitata risulta peraltro la letteratura in materia di struttura
finanziaria delle imprese di nuova costituzione. Se è vero infatti che quanto formulato
con riferimento alle imprese minori è in parte replicabile per quelle di nuova
costituzione, è altrettanto vero che la nuova iniziativa imprenditoriale è connotata da
talune peculiarità (alto tasso di mortalità, mancanza di performance storiche, elevato
tasso di crescita, ecc.) per le quali è lecito pensare all’esistenza di significative
differenze anche in termini di struttura finanziaria.
2.2 Debt gap e nuove imprese
Limitando l’attenzione al fenomeno del debt gap, sembra logico affermare che, se viene
riconosciuta l’esistenza del razionamento del credito per le imprese minori a seguito di
problemi di selezione avversa ed azzardo morale derivanti da asimmetrie informative
(Stiglitz e Weiss 1981), tale fenomeno debba esistere, e in misura maggiore, anche per
le imprese di nuova costituzione, per le quali il problema informativo risulta accentuato
(se non altro per la mancanza di un informazioni storiche). Indicazioni in tal senso
vengono da Weston e Brigham (1981): i due autori, ipotizzando una relazione inversa
tra età dell’impresa e grado di asimmetria dell’informazione, suggeriscono l’esistenza di
un gap finanziario per le nuove imprese, le quali sarebbero costrette a finanziare la
crescita attraverso l’autofinanziamento e l’indebitamento a breve (commerciale e
bancario) con grave pregiudizio dell’equilibrio finanziario. La logica sottostante il
modello proposto è chiara: il consolidamento dell’attività e la formazione di
performance storiche costituiscono elementi di disclosure e quindi di riduzione
dell’asimmetria informativa. Secondo Weston e Brigham, se la nuova impresa riesce a
superare il gap iniziale (finanziando la crescita con l’autofinanziamento ed
eventualmente limitando la crescita in modo da tenere il passo con le risorse generate
internamente), si verifica un progressivo ricorso alle risorse finanziarie stabili (debito a
lungo ed equity).
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In sostanza, nei primi anni di vita dell’impresa si verificherebbe un fallimento del
mercato a seguito dell’incapacità dei datori di fondi (le banche) di stimare correttamente
il grado di rischio associato a ciascuna iniziativa imprenditoriale. Come suggerito da
Stiglitz e Weiss (1981) e Bester (1987), le prestazione di una garanzia (specie se
personale) sul credito erogato potrebbe svolgere funzione segnaletica, facilitando
l’allocazione delle risorse finanziarie da parte dei datori, attraverso un meccanismo di
autoselezione delle iniziative. Peraltro, è stato anche osservato che l’orientamento da
parte delle banche verso una finanza garantita favorisce le imprese consolidate, con una
storia aziendale già espressa e con maggiori cespiti. Le nuove imprese, ad alto
potenziale, non essendo invece normalmente in grado di conferire beni in garanzia,
finiscono per essere penalizzate (Demattè 1996).
Un’ulteriore prospettiva sul punto è offerta da Binks e Ennew (1995), i quali sostengono
che le imprese caratterizzate da un maggior tasso di crescita (non necessariamente di
nuova costituzione) sarebbero particolarmente penalizzate nel ricorso al credito a lungo
termine garantito; i due autori presuppongono che esista una differenza tra costo per
l’impresa dell’attivo immobilizzato e ammontare di risorse erogate contro prestazione
dello stesso in garanzia. Sicchè Binks e Ennew suggeriscono che nelle imprese ad alta
crescita l’ammontare di assets necessario all’impresa per sostenere lo sviluppo cresca
più del valore degli stessi assets come garanzia.
Come sottolineato, i due autori considerano le imprese ad elevato tasso di crescita, le
quali non necessariamente sono di nuova costituzione. Tuttavia, nella verifica empirica
condotta a supporto delle argomentazioni proposte, Binks e Ennew riscontrano che le
imprese in forte crescita del campione estratto, sono tendenzialmente giovani (il 44% ha
meno di 5 anni). I risultati dell’analisi confermano l’esistenza di una correlazione
positiva tra tasso di crescita e garanzia richiesta da parte delle banche. Emerge inoltre
che le imprese con alto tasso di crescita garantiscono i propri prestiti in misura maggiore
con beni personali dell’imprenditore piuttosto che con cespiti aziendali. Tale
conclusione non fa che confermare l’idea che le imprese ad alto potenziale di crescita
(di cui molte giovani) dispongano di minori cespiti aziendali e debbano quindi ricorrere
al patrimonio personale dell’imprenditore come garanzia del proprio debito.
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2.3 Sistema bancario e relationship banking
Sembrerebbe quindi che l’accesso a forme di finanziamento a sostegno dello sviluppo
da parte di nuove imprese dipenda in misura significativa dal patrimonio personale
dell’imprenditore, piuttosto che dall’effettiva potenzialità di crescita dell’impresa. A
tale ultima considerazione si ricollega la rilevanza dei modelli di valutazione del merito
di credito prevalentemente adottati dalle banche nella determinazione dell’intensità del
debt gap per le imprese di nuova costituzione.
In linea generale, è possibile affermare che tali modelli si collocano lungo una
distribuzione continua ai cui estremi vi sono criteri reddituali-finanziari (orientati alla
redditività prospettica del prenditore) e criteri statico-patrimoniali (orientati all’attivo
patrimoniale e a strumenti di finanza garantita). L’orientamento ai modelli statico-
patrimoniali risulta evidentemente penalizzante per le nuove imprese, in considerazione
della mancanza di un performance storiche su cui fondare la valutazione e della minore
consistenza dei cespiti patrimoniali disponibili come garanzia (Ruozi e Forestieri 1987).
E’ inoltre possibile che il problema risulti accentuato dalla relazione positiva
intercorrente tra ammontare della garanzia richiesta e grado di rischio associato
all’iniziativa, dando per scontato che normalmente la nuova impresa sia caratterizzata
da un livello di incertezza più elevato.
Conferme in tal senso vengono da una serie di studi empirici che pongono in relazione
l’intensità del debt gap con l’orientamento prevalente del sistema bancario nella
valutazione del merito di credito (Bannock e Doran 1991; Binks et al. 1992; Yao-Su Hu
1984). In tali analisi si riscontra che in Paesi come la Germania e il Giappone,
tipicamente orientati a criteri finanziari e prospettici, il gap finanziario sofferto dalle
imprese minori è meno rilevante di quello riscontrato in sistemi caratterizzati da un
approccio statico-patrimoniale,quali il Regno Unito, in questo senso simile al modello
italiano (Forestieri 1992; Troiani et al. 1999). In particolare, secondo Charkham (1989)
vi sono ragioni teoriche che giustificano tali differenze; l’autore infatti, in un confronto
tra sistema tedesco e sistema inglese, sostiene che la minor concentrazione ed il maggior
numero di banche locali che caratterizzano il primo, sarebbero la causa di una relazione
banca- impresa di intensità e qualità superiori, con conseguenti benefici nel ricorso
all’indebitamento da parte delle imprese.
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In effetti altri autori (Boot e Thakor 1994; Petersen e Rajan 1994; Berger e Udell 1995;
D’Auria e Foglia 1997) confermano l’esistenza di un allentamento delle condizioni
contrattuali praticate dalle banche (in termini di tasso e di garanzia richiesta), in
presenza di relazioni durature e non frazionate tra banca e impresa. Di diverso avviso
sono peraltro Greenbaum et al. (1989) e Sharpe (1990) che invece suggeriscono che la
banca eroghi un sussidio nella fase iniziale del rapporto, successivamente rimborsato
attraverso l’applicazione di tassi superiori. Risulta comunque prevalente l’orientamento
teorico ed empirico che indica significativi benefici nel relationship lending a seguito
della riduzione dell'asimmetria informativa tra banca e impresa.
Concentrando l’attenzione sulle imprese nuove, la questione non sembra cambiare in
maniera rilevante: tuttavia è ipotizzabile che il beneficio derivante da intense e non
diversificate relazioni di clientela sia superiore rispetto alle imprese mature (benchè
piccole), poiché all’effetto disclosure conseguente al crearsi di intense relazioni con il
datore di fondi, si aggiunge, come suggerito da Weston e Brigham (1981), una
progressiva riduzione dell’asimmetria informativa al consolidarsi dell’attività ed al
formarsi di un track record.
Sempre in tema di rapporto tra finanza e nascita di nuove imprese, Charkham (1989)
evidenzia come, ad una minore concentrazione del sistema bancario e ad un maggior
numero di banche locali, è associata una più intensa relazione tra banca ed imprenditore,
con conseguenti effetti positivi nelle condizioni di accesso al credito. Trascurando il
carattere locale o meno del datore di fondi, Schaeffer e Pulver (1985) suggeriscono che,
nel caso di un mercato del credito concorrenziale, il nuovo imprenditore abbia un più
facile accesso alle risorse finanziarie; ad un superiore livello di concorrenza sarebbe
quindi legata una limitazione degli effetti del razionamento. L’idea di fondo è che il
nuovo imprenditore, in presenza di più datori di fondi, abbia una maggiore probabilità
di ottenere credito.
Petersen e Rajan (1995) pervengono ad un risultato opposto: in presenza di elevata
concorrenza del mercato del credito, i datori di fondi non possono attendersi di
beneficiare dei profitti futuri della nuova impresa, tipicamente superiori a quelli correnti
e caratterizzati da un elevato grado di incertezza. I datori, quindi, sono indotti a
praticare tassi più elevati in attesa del superamento della condizione di incertezza, o
addirittura a razionare il credito. Viceversa un datore di fondi monopolista, certo di
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partecipare ai profitti futuri della nuova impresa, può erogare il credito praticando tassi
più favorevoli all’inizio dell’attività ed ottenere un rendimento maggiore
successivamente. Sicchè, al diminuire del grado di concorrenza tra i datori, il nuovo
imprenditore avrebbe maggiori probabilità di ottenere il credito (e a condizioni
migliori). Tale indicazione teorica trova supporto empirico nell’analisi svolta sulle
imprese minori americane: i due autori rilevano che vi sono più imprese giovani che
ottengono credito nei mercati concentrati rispetto a quelli concorrenziali.
Un ulteriore aspetto indagato in letteratura è l’influenza del relationship banking nella
gestione di situazioni di crisi dell’impresa giovane/minore. In ottica macroeconomica,
Gilchrist et al. (1994) suggeriscono che il fenomeno del debt gap si accentui nelle fasi
cicliche negative; le fasi discendenti del ciclo economico colpirebbero in maniera più
accentuata le imprese maggiormente soggette a problemi informativi o con minori
garanzie, a causa di una riallocazione delle risorse del sistema bancario su imprese con
un migliore standing creditizio (flight to quality).
In particolare, Cowling et al. (1991) e Binks et al. (1992) riscontrano che, al
deterioramento delle condizioni dell’impresa minore, la banca, riducendo drasticamente
l’erogazione del credito, acceleri la crisi. Keasey e Watson (1995) sostengono che tale
atteggiamento da parte delle banche sia particolarmente penalizzante per l’impresa
giovane che, già caratterizzata da un maggior rischio operativo (minore diversificazione
di prodotto e/o di mercato, dipendenza da un limitato numero di clienti e fornitori) e
finanziario (squilibrio finanziario derivante dall’equity e debt gap), finirebbe per subire
in maniera amplificata gli effetti di un peggioramento delle condizioni
macroeconomiche. In precedenza Storey (1982), in uno studio sulla mortalità delle
nuove imprese, mostra che tale fenomeno deriva dalla diversa percezione del rischio tra
imprenditore (più propenso) e banca (più avversa). Longhofer e Santos (1998), più
recentemente, forniscono sul punto una diversa prospettiva: i due autori propongono
infatti un modello che suggerisce una maggiore propensione delle banche a limitare
l’impatto di una crisi sull’impresa affidata, al decrescere delle garanzie prestate sul
credito (al crescere della seniority). L’idea di fondo del modello è che, in presenza di
garanzie (specie se personali dell’imprenditore), il beneficio di un investimento
addizionale nell’impresa in difficoltà da parte della banca è limitato; viceversa, minori
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garanzie incentivano la banca ad intervenire, in attesa della ripresa. L’impresa nuova,
cui la banca chiede maggiori garanzie, sarebbe quindi penalizzata in caso di crisi.
2.4 Localizzazione e debt gap
E’ opinione diffusa che la localizzazione dell’impresa (geografica e distrettuale) non sia
fattore irrilevante nella determinazione dell’intensità del debt gap (Krugman 1991).
Limitatamente al contesto italiano, numerosi autori hanno evidenziato come le
differenze (in termini di struttura produttiva e finanziaria) tra aree territoriali,
influenzino il costo e la disponibilità del credito.
In particolare, alcune ricerche hanno riscontrato empiricamente che, a parità di
dimensioni e performance, le imprese localizzate al Sud hanno un costo del credito e
vincoli finanziari più elevati rispetto a quelle del Centro-Nord (Faini et al 1992.;
Focarelli e Gobbi 1995).
Più rilevante, ai fini del presente lavoro, sembra essere la letteratura teorica ed empirica
relativa agli effetti sul debt gap della localizzazione delle imprese nei sistemi
distrettuali.
Becattini (1990) osserva come il contesto distrettuale possa creare condizioni ambientali
favorevoli al finanziamento di nuove iniziative imprenditoriali; l’autore suggerisce che,
operando in una comunità ristretta, le banche possano acquisire con maggiore facilità
informazioni sulla qualità dei prenditori, limitando così i noti fenomeni di selezione
avversa. Sembra inoltre che la comunità distrettuale, al fine di disincentivare
comportamenti che produrrebbero esternalità negative per tutte le imprese, possa creare
un meccanismo di controllo e sanzione sociale che riduce i fenomeni di moral hazard,
abbassando i costi di monitoraggio del sistema bancario (Banerjee et al. 1994). Conti
(1997) sottolinea inoltre come la maggior presenza di banche locali nei sistemi
distrettuali, favorendo una relazione duratura e intensa tra datori e prenditori, possa
facilitare l’accesso al credito. Saba (1995) anzi, arriva a ipotizzare che il problema
principale dell’economia distrettuale, più che il debt gap delle imprese minori, sia una
eccessiva erogazione del credito, con conseguente maggior fragilità del sistema
bancario.
Di diverso avviso è Pagnini (1998): l’autore infatti, osserva come la forte interrelazione
tra imprese distrettuali possa rendere più difficoltosa la valutazione del merito di credito
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di un singolo prenditore da parte dell’intermediario, accentuando quindi il problema
informativo e, conseguentemente, il fenomeno del debt gap.
In effetti, Baffigi at al (1999) riscontrano empiricamente una maggior correlazione tra
investimenti e cash flow per le imprese distrettuali (rispetto alle imprese locali),
deducendo l’esistenza di un vincolo finanziario più intenso per tali imprese. Russo e
Rossi (1999) pervengono ad un risultato diverso, verificando che, rispetto alle imprese
isolate, le imprese distrettuali scontano un costo del debito inferiore ed una minore
probabilità di razionamento dell’offerta di fondi. Il risultato non sembra peraltro
riconducibile ad un migliore rapporto tra banca e impresa distrettuale. Gli autori infatti
avanzano l’ipotesi che l’intensa interrelazione tra imprese distrettuali, dando maggiore
forza contrattuale ai prenditori nei confronti del sistema bancario, si rifletta in migliori
condizioni di accesso al credito.
2.5 Finanza agevolata e imprese nuove
Si noti che, da un punto di vista teorico, la causa del debt gap e, più in generale, del
fallimento del mercato del credito, non risiede esclusivamente nel comportamento
dell’offerta (i datori di fondi). In effetti il gap finanziario delle imprese minori può
avere origine anche da un problema informativo della domanda (demand side market
failure): sarebbe quindi il prenditore, per scarsa capacità ed informazione, a non
utilizzare adeguatamente le risorse disponibili sul mercato. Carlesi (1990) parla in
proposito di vincolo finanziario endogeno, in contrapposizione con il gap derivante
dalle carenze dell’offerta (vincolo finanziario esogeno). Per la verità la letteratura ha
approfondito tale aspetto soprattutto relativamente al problema dell’equity gap,
rilevando più volte lo scarso orientamento del piccolo/nuovo imprenditore all’apertura
del capitale di rischio (Boldizzoni et al. 1993); nondimeno, alcuni autori (Boivard et al.
1995; Smith et al. 1988) riscontrano un’incapacità dell’imprenditore (specie se nuovo)
di ottenere credito, a seguito della limitata sua esperienza e competenza finanziaria.
Non trascurabile sembrano inoltre gli aspetti attinenti la finanza agevolata, la cui
influenza sulla struttura finanziaria della nuova impresa non è oggetto di particolare
attenzione da parte della ricerca. In proposito, Keasy e Watson (1995) mettono in
discussione l’efficacia delle politiche pubbliche di incentivo alla costituzione di nuove
imprese (con riferimento al contesto inglese), sostenendo che la finanza agevolata
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favorisce spesso iniziative imprenditoriali non competitive e quindi più esposte
all’andamento avverso del ciclo economico. Limitando l’attenzione al contesto italiano,
Maggioni et al. (2000) suggeriscono che le agevolazioni pubbliche per la nuova
imprenditorialità (il riferimento è alla legge 44/86) costituiscono un strumento
potenzialmente in grado di incrementare la competitività delle nuove imprese, a seguito
del maggior equilibrio finanziario perseguibile, dei maggiori/migliori investimenti e
della disponibilità di risorse umane più qualificate. Essi inoltre suggeriscono che la
superiorità dell’impresa agevolata deriva anche dalla preventiva approvazione, sulla
base di un business plan, cui è soggetta la nuova iniziativa. In effetti, Smith et al. (1988)
riscontrano che uno degli elementi di fragilità delle nuova impresa ha origine nel
processo mediante il quale i nuovi imprenditori verificano la fattibilità tecnica ed
economica dell’attività; tale processo risulta in molti casi debolmente strutturato e poco
razionale, con conseguenze negative anche sull’accesso alle risorse finanziarie (supply
side market failure). Se il problema principale della nuova impresa è una struttura
finanziaria sottocapitalizzata e sbilanciata sull’indebitamento a breve, è chiaro che il
ricorso a strumenti di finanza agevolata può essere una soluzione.
La verifica empirica svolta da Maggioni et al. (2000), finalizzata al confronto tra
imprese agevolate e imprese spontanee, presenta risultati interessanti: si riscontra infatti
un maggior tasso di sopravvivenza delle imprese agevolate rispetto a quelle spontanee,
oltre che un superiore utilizzo di impianti tecnologicamente avanzati delle prime
rispetto alle seconde, le quali si collocano tendenzialmente al livello tecnologico medio
di settore. Sorprendentemente non sono riscontrate significative differenze tra i due
campioni in termini di crescita del fatturato e dei dipendenti.
Se l’esistenza delle agevolazioni aiuta le aziende a sopravvivere, non sembra tuttavia
garantire tassi di crescita superiori. Mentre il primo risultato appare chiaro (la riduzione
o l’azzeramento del gap finanziario nelle imprese agevolate, le rende evidentemente
meno vulnerabili), il secondo merita qualche considerazione aggiuntiva. Gli
imprenditori agevolati (tipicamente giovani e con limitata esperienza), in caso di
approvazione del proprio business plan, procedono all’avvio dell’attività, ottenendo il
90% delle risorse finanziarie necessarie. Per contro, all’imprenditore spontaneo è
richiesto uno sforzo intenso per reperire finanziamenti ed in generale per creare un
network di relazioni (Lipparini 1995) con le controparti commerciali e finanziarie che,
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secondo i tre autori, aiuterebbe a potenziare le loro capacità organizzative, relazionali e
gestionali. Sarebbe quindi ipotizzabile che gli effetti positivi legati al facile ed
economico accesso alle risorse finanziarie per le imprese agevolate siano bilanciati,
nelle imprese spontanee, dallo sviluppo di capacità gestionali superiori
dell’imprenditore o da una selezione ex ante dello stesso.
2.6 Il fattore esperienza e la pianificazione del business
Il fattore esperienza (del nuovo imprenditore) risulta peraltro rilevante nello stesso
accesso alle fonti di finanziamento non agevolato. Carlesi (1990) verifica
empiricamente una relazione diretta tra grado di intensità del vincolo finanziario (debt
gap) dell’impresa nuova e grado di novità dell’imprenditore (in termini di precedenti
esperienze, inserimento nel mondo imprenditoriale, ecc.). Non è chiaro quanto tale
fenomeno dipenda dalla maggior capacità del nuovo imprenditore “esperto” di ottenere
risorse finanziarie (soluzione del fallimento dal lato della domanda) piuttosto che dalla
maggiore propensione dei datori di fondi di erogare credito ad un richiedente con un
back ground (soluzione del fallimento dal lato dell’offerta) o da entrambe le cose.
Si noti inoltre come il supposto vantaggio delle imprese agevolate derivante dalla
preventiva selezione in base al business plan non sia unanimemente condiviso. Infatti si
rileva da più parti (Drucker 1986; Smith et al. 1988) la notevole difficoltà per le nuove
imprese nel pianificare efficacemente il proprio business. La capacità di adeguamento
alle condizioni di mercato, in risposta ai primi risultati riscontrati, sembra essere
essenziale al processo di nascita (Boldizzoni 1993); la nuova impresa dovrebbe quindi
garantirsi la massima flessibilità e la facoltà di apportare modifiche a quanto
programmato ex ante (McGrath e MacMillan 1995). MacMillan et al. (1986)
propongono infatti una diversa logica di pianificazione per le nuove imprese, conosciuta
come flow building: in sostanza si tratta di limitare gli investimenti ad una soglia
minimale, evitando l’assunzione di impegni a lungo termine fino a che non siano
generati flussi di cassa sufficienti e stabili. Tale logica risponde peraltro alle
formulazioni teoriche di Weston e Brigham (1981), che, come visto in precedenza,
suggeriscono una limitazione dello sviluppo (e quindi degli investimenti), in base al
tasso di crescita dell’autofinanziamento: in quel caso però, tale limitazione è imposta
dal fallimento del mercato e non consigliata come fattore di successo. L’adozione di una
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strategia di contenimento dell’indebitamento a lungo termine garantirebbe alla nuova
impresa una maggiore flessibilità finanziaria negli anni immediatamente successivi alla
sua nascita. In base ad una logica di struttura finanziaria ottima pro-tempore, ossia
relativa al particolare stadio di vita attraversato, le scelte finanziarie effettuate in fase di
avvio dovrebbero avere la minore influenza1 possibile sulle scelte successive, di modo
da non vincolare il nuovo imprenditore ad una particolare struttura del passivo, definita
in situazione di notevole incertezza, quale è l’avvio dell’iniziativa imprenditoriale.
2.7 Conclusioni
In ipotesi di insufficienza del capitale proprio della nuova impresa (equity gap) e di
fallimento del mercato del credito (debt gap), rimane comunque il problema
dell’accesso a risorse finanziarie stabili, che può configurarsi alternativamente come
barriera all’entrata o come causa di squilibrio finanziario (e quindi di maggiore
vulnerabilità).
La barriera finanziaria alla nascita ed allo sviluppo della nuova impresa può essere
intesa da un lato come maggior costo per il finanziamento rispetto alle imprese già
esistenti e dall’altro come impossibilità di approvvigionarsi dei mezzi finanziari
necessari. Bain (1975) osserva che la barriera all’entrata derivante dalle peggiori
condizioni contrattuali (in termini di tasso di interesse e di garanzia richiesta) cresce di
intensità all’aumentare del fabbisogno finanziario di un’impresa che voglia entrare nel
settore in condizioni di efficienza. Esisteranno quindi settori nei quali tale barriera avrà
un’importanza rilevante (settori nei quali la dimensione minima efficiente è elevata) ed
altri nei quali risulterà trascurabile.
La letteratura esaminata precedentemente, induce peraltro ad ipotizzare l’esistenza di un
vero e proprio debt gap, ossia dell’impossibilità per la nuova impresa di ottenere
capitale di debito necessario per un efficiente ingresso nel mercato. Tale ipotesi, come
osservato da Forestieri (1993), consente di interpretare quegli interventi che, finalizzati
al rafforzamento dei circuiti creditizi, operano sul piano istituzionale (finanza agevolata;
società di garanzia collettiva fidi) e contrattuale (prestiti partecipativi).
D’altra parte, in ipotesi di accesso a risorse finanziarie stabili, è da valutare l’effettiva
convenienza del finanziamento dello start up con indebitamento bancario a lungo
1 In effetti Brugger (1984) sostiene che ogni decisione finanziaria in un’impresa condiziona le scelte
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termine, che, in effetti, condiziona le successive decisioni finanziarie dell’impresa e la
espone al rischio di sovradimensionamento in caso di condizioni di mercato avverse
(Storey 82).
In ipotesi di insufficienza del capitale di rischio (equity gap), il mancato ricorso
(imposto o perseguito) all’indebitamento a lungo termine nel finanziamento dello start
up e del primo sviluppo, comporta peraltro il rischio che il nuovo imprenditore si
finanzi con strumenti non idonei (tipicamente l’indebitamento a breve) in misura
eccessiva. Il conseguente squilibrio finanziario, si configura come elemento di fragilità,
sia in termini di eventuali tensioni di liquidità (Carlesi 1990), sia come freno al
potenziale trend di sviluppo (Weston e Brigham 1981).
Il problema sostanziale della nascita e dello sviluppo della nuova impresa sembra essere
quindi l’esistenza di un vincolo sul capitale di rischio, più che un debt gap. In caso di
insufficienza del capitale proprio dell’imprenditore, il ricorso a forme alternative di
capitale di rischio (es: start up funds o informal/formal venture capital) sarebbe una
soluzione ideale (Murray 1995). In effetti, Forestieri (1993) osserva che le istituzioni di
venture capital, a differenza degli intermediari tradizionali, riescono a bilanciare la forte
esposizione al rischio (implicita nel finanziamento di uno start up) con una accentuata
capacità di controllo dell’impresa finanziata.
Al di là dei positivi effetti nell’ingresso sul mercato, indotti da una maggiore
capitalizzazione, sono inoltre ipotizzabili ulteriori benefici derivanti dalla funzione
segnaletica che l’apertura del capitale di rischio a soci finanziari può svolgere (con
conseguente accesso facilitato anche al capitale di debito).
In realtà, Troiani et al. (1999) rilevano che, nonostante il mercato europeo degli
interventi nel capitale di rischio delle imprese di nuova costituzione abbia conosciuto un
intenso sviluppo (specie nel Regno Unito2), esso rappresenta ancora, per la maggior
parte dei sistemi (tra cui l’Italia), una componente molto limitata dei finanziamenti
complessivi concessi alle nuove imprese. Tale circostanza induce, in prima istanza, a
ritenere che, limitatamente al contesto italiano, il fenomeno del finance gap rappresenti
ancora un limite notevole alla nascita ed allo sviluppo delle nuove iniziative
imprenditoriali. Tuttavia, studi recenti (Hellmann-Puri, 1999) mostrano come vi sia
successive, in base a quello che l’autore definisce “fattore di ereditarietà”.2 Si noti che alcune ricerche empiriche (Bovaird et al. 1995) riscontrano una riduzione progressiva delfenomeno del finance gap nel Regno Unito.
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forte relazione tra innovazione, industrializzazione dell’innovazione e venture capital.
La debolezza dei circuiti di venture capital soprattutto in senso stretto, può dipendere
quindi non solo dalla inadeguatezza del sistema finanziario italiano, ma anche dal
minore peso dei progetti di innovazione tecnologica che rientrano nella finanziabilità di
venture capitalist.
3. La verifica empirica
3.1 La struttura produttiva della Lombardia
Al fine di verificare in che misura alcune delle formulazioni teoriche esaminate nella
precedente sezione trovano riscontro empirico nel caso delle nuove imprese lombarde,
sembra anzitutto necessaria una pur sintetica analisi della struttura produttiva della
Lombardia.
A fine ‘96, anno del censimento intermedio ISTAT, si registrano circa 636.000 imprese
con sede in Lombardia, che contano più di 3.167.000 addetti (5 addetti medi per
impresa). Sul territorio lombardo risultano inoltre operanti oltre 686.000 unità locali per
un totale di circa 3000.000 di addetti dipendenti da imprese, che possono avere sede
anche in altre regioni3. In termini di occupazione, il settore di gran lunga più rilevante
risulta quello manifatturiero con 1.271.000 addetti delle unità locali, pari al 42% del
totale (APP. Tab. 1). L’analisi per classi dimensionali indica che la struttura produttiva
lombarda è costituita in parte consistente da unità locali con meno di 10 addetti, che
risultano essere circa 637.000 (93%) con un numero di addetti pari al 43% del totale
(APP. Tab. 2).
La dinamica intercensuaria (91-96) del tessuto produttivo lombardo rivela andamenti
contrastanti. Nel complesso, le imprese sono aumentate di oltre 88.000 unità (il 16%
contro il 12,7% nazionale) con un incremento del 20% nei servizi e solo del 7,8%
nell’industria. In effetti la variazione parziale riscontrata nel comparto industriale è il
risultato di un considerevole aumento nel settore delle costruzioni (+24,8%) e di una
riduzione (-1,7%) delle imprese manifatturiere.
Per contro si registra una diminuzione degli addetti (50.757 unità pari al –1,7% contro il
-2,1% nazionale), risultante da una perdita di circa 145.000 addetti nell’industria, pari al
3 In sostanza, l’impresa viene attribuita al territorio ove è ubicata la sua sede; quando l’impresa èplurilocalizzata può avere unità locali in regioni diverse dalla sede.
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-8%, e un incremento di oltre 90.000 occupati nei servizi, pari al +6,4%, (APP. Tab. 3).
Si noti che sia le unità locali che gli addetti aumentano esclusivamente nelle imprese
con meno di 10 occupati che rappresentano, come visto, il 93% del tessuto produttivo.
Si conferma quindi il ruolo di propulsore dell’economia svolto dalla piccola impresa
(APP. Tab. 4). Il ricambio tra posti di lavoro persi dalle grandi imprese e quelli generati
dalle nuove imprese minori risulta tuttavia chiaramente insufficiente.
Dall’analisi dei dati Infocamere relativi al periodo 91-97 (APP. Tab. 5) si evince (pur
con qualche difficoltà)4 che la massima intensità di cessazioni aziendali è avvenuta nel
‘93 (con un tasso di mortalità dell’8,1%); la ripresa economica successiva ha attenuato il
fenomeno visto che, anche nel ‘96 (anno di recessione), il tasso di mortalità si riduce dal
6,5% al 6,4%, per risalire leggermente al 7% nel ‘97 (anno di ripresa).
La nascita di nuove impresa (al netto del settore agricolo) tocca il minimo nel ‘93. Il
tasso di natalità non cresce significativamente nei periodi successivi e rimane modesto
sia nel ‘96 (anno di recessione) che nel ‘97 (anno di ripresa).
E’ possibile stabilire quindi una pur debole relazione tra ciclo economico e tasso di
mortalità; la natalità delle imprese non sembra invece correlata all’andamento
congiunturale (rimanendo costantemente limitata).
3.2 I dati dell’analisi empirica
L’analisi5 utilizza un campione chiuso composto da quarantadue nuove imprese operanti
in Lombardia e che hanno avviato l’attività produttiva nel corso del 1993. Sebbene tutte
appartenenti al settore manifatturiero, le imprese sono state selezionate in rami di
attività diversi. I dati a disposizione comprendono oltre all’anagrafica aziendale (età,
area geografica, settore economico di attività) anche i bilanci opportunamente
riclassificati. Uno degli elementi di specificità dell’analisi deriva dalla disponibilità dei
4 L’analisi della nati-mortalità delle imprese nel periodo 91-97 è resa difficile a causa dei seguenti eventi:
- l’istituzione delle nuove provincie di Lecco e Lodi che, negli ultimi mesi del ‘94 ha comportato iltrasferimento delle relative imprese (circa 35.000) dalle provincie di provenienza (Milano, Como,Bergamo) a quelle di destinazione, registrato rispettivamente come avvio e cessazione di attività; neconsegue una sovrastima artificiale sia dei tassi di natalità che di mortalità relativi al ‘94
- l’avvio a fine ‘96 delle iscrizioni al Registro Imprese anche delle imprese agricole, con uninnalzamento del tasso di natalità (10.000 unità nel ‘96 e 50.000 unità nel ‘97)
I dati disponibili sono al netto del settore agricolo. Tuttavia non è stata eliminata la notevole distorsionerelativa alla nascita nelle nuove provincie (‘94).
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dati contabili anche con riferimento ai diversi rami di attività economica. Tali aggregati
(bilanci somma) non solo consentono un confronto omogeneo che sterilizza ciclicità ed
effetti legati alla componente settoriale ma, essendo composti esclusivamente da
imprese di piccole e medie dimensioni, rendono l’analisi comparata particolarmente
efficace anche sotto il profilo dimensionale.
La serie storica a disposizione copre il quadriennio che va dal 1995 al 1998 consentendo
una verifica, seppur limitata, anche dell’evoluzione temporale subita dalla struttura
finanziaria delle imprese selezionate.
Peraltro, la presenza nel campione di imprese ancora in attività a sei anni dalla nascita
presenta inevitabili elementi di specificità se si considera che in genere le analisi
evidenziano i maggiori tassi di mortalità nel secondo e terzo anno si vita delle imprese.
In Italia, in particolare, si stima che nei primi cinque anni di vita falliscano circa il 50%
delle nuove iniziative.
La disponibilità di imprese che hanno ormai superato la fase iniziale e più rischiosa
dello sviluppo consente di valutare caratteristiche ed evoluzione della struttura
finanziaria solo di aziende sopravvissute. La presenza di differenze e la loro eventuale
attenuazione nel tempo rispetto ai dati medi di settore sono, pertanto, riferibili solo ad
un insieme di casi eccellenti. Mancano, invece, riscontri circa le caratteristiche
finanziarie delle imprese cessate e la loro diversità rispetto ai dati settoriali.
3.3 La struttura finanziaria delle nuove imprese
L’obiettivo di questa sezione è quello di verificare empiricamente l’esistenza e
l’intensità di un eventuale vincolo finanziario per le imprese lombarde di nuova
costituzione. Le indicazioni teoriche esaminate lasciano supporre che tale vincolo
finanziario, seppur esistente per tutte le imprese minori, debba risultare quantomeno
accentuato nel caso delle nuove imprese e quindi emergere in un confronto tra dati
finanziari relativi alle nuove iniziative e valori medi riscontrati nel settore di attività. Gli
effetti sull’equilibrio e la struttura finanziaria della nuova iniziativa, dovrebbero altresì
risultare evidenti nei primi anni di attività dell’impresa (start up). In realtà è difficile
stabilire con certezza il momento in cui un’impresa può reputare definitivamente
5 I dati sono stati estratti dall’Osservatorio sulle Imprese di CEDACRI Nord.
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superata la fase di start up6, la cui durata, oltre a dipendere da fattori settoriali e
congiunturali, può evidentemente variare da caso a caso. Tuttavia, precedenti ricerche
(Carlesi 1990; Maggioni et al. 2000; Storey 1982) mostrano che il periodo di tempo in
cui una impresa industriale può essere considerata giovane (in particolare per quanto
riguarda le problematiche finanziarie) è indicativamente pari a 5 anni.
Le imprese del campione sono analizzate attraverso alcuni indicatori di bilancio, relativi
alla struttura e all’equilibrio finanziario di breve e lungo periodo per ciascuno dei 4 anni
di analisi. Tali indicatori sono quindi confrontati (attraverso t test) con i valori medi
riscontrati nel settore7.
Gli indicatori utilizzati per il confronto sono i seguenti:
- redditività del capitale proprio (ROE);
- quoziente di copertura delle immobilizzazioni (QCI);
- rapporto di indebitamento (PF/CN);
- rapporto di indebitamento a breve (PFB/CN);
- rapporto di indebitamento a lunga (PFL/CN);
- costo dell’indebitamento (OF/PF).
In particolare, si intende sottoporre a verifica l’ipotesi secondo cui l’impresa di nuova
costituzione presenti, rispetto ai valori medi di settore, uno squilibrio finanziario
derivante da un peso preponderante dell’indebitamento a breve termine, da un limitato
ricorso all’indebitamento a lungo termine (debt gap) e da una conseguente scarsa
copertura delle immobilizzazioni. E’ inoltre considerato il costo dell’indebitamento
(approssimato dal rapporto tra oneri finanziari e passività finanziarie), al fine di
appurare l’esistenza di un significativo spread tra i tassi di interesse praticati alle nuove
imprese ed i tassi medi di settore. L’ipotesi nulla è che non vi siano significative
differenze tra parametri relativi alle imprese nuove e parametri di settore. Il confronto è
effettuato mediante t-test.
Si è inoltre calcolato, per ognuno dei quattro anni, l’R2 tra cash flow e investimenti;
un’accentuata sensibilità degli investimenti alla dinamica del cash flow potrebbe in
effetti indicare una ridotta capacità di finanziamento esterno e quindi segnalare
l’esistenza di un gap finanziario.
6 Secondo Carlesi (1990) si considera conclusa la fase di start up di un’ impresa, quando questa supera inmodo non occasionale il punto di break even.7 Per settore si intende la popolazione di imprese minori (fatturato inferiore a Lit 10 miliardi).
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La redditività (APP. Grafico 1) delle imprese del campione presenta un andamento
altalenante, specie se comparata con quella di settore, la quale risulta nel complesso più
stabile ed in media inferiore in tutti gli anni, ad esclusione del ’96 (anno di recessione).
Le differenze rilevate nei valori medi del ROE tra settore e campione, risultano tuttavia
statisticamente significative soltanto nel ’95. Negli anni successivi, i valori t-Student
non consentono di escludere l’ipotesi di omogeneità tra imprese nuove e settore.
La marcata ciclicità riscontrata nei rendimenti delle nuove imprese è, in effetti, coerente
con l’ipotesi di elevata rischiosità operativa delle stesse, derivante da una scarsa
diversificazione di prodotto/mercato e da una accentuata dipendenza da un numero
limitato di clienti/fornitori. La conseguente maggior vulnerabilità delle imprese giovani,
sembra inoltre accentuata da un grado di indebitamento complessivo (APP. Grafico 2)
costantemente superiore al dato medio di settore, con una punta massima nel ’96
(PF/CN = 290,10%). Anche in questo caso tuttavia, l’ipotesi di non diversità del grado
di indebitamento tra imprese nuove e settore, non può essere rifiutata in nessun anno di
osservazione, con un livello di significatività decrescente. Tale circostanza induce a
ritenere che si verifichi, nel corso del tempo, un graduale allineamento del livello di
indebitamento delle imprese del campione verso il livello medio di settore e che,
comunque, vi sia alta disomogeneità all’interno del campione stesso.
La divergenza tra settore e imprese giovani risulta poi evidente nell’analisi
dell’indebitamento a breve scadenza (APP. Grafico 3), che risulta preponderante nel
passivo finanziario delle imprese del campione. Il t-test conferma tale risultato, poiché
l’ipotesi nulla può essere rifiutata con un livello di significatività elevato su tutto il
periodo di analisi.
Viceversa, il livello di indebitamento a lungo termine (APP. Grafico 4), pur
costantemente inferiore alla media di settore, non risulta significativamente diverso.
Sicchè, se da un lato l’ipotesi teorica di un maggior ricorso al debito a breve scadenza
da parte delle imprese giovani trova chiaro riscontro empirico, dall’altro, l’eventuale
inaccessibilità a forme di finanziamento stabile è tutt’altro che evidente, quantomeno
nel confronto con i dati medi di settore. In effetti, il limitato ricorso all’indebitamento a
lungo termine (imposto dal mercato o perseguito dall’imprenditore) sembra
caratterizzare in egual misura sia le imprese nuove del campione che il complesso delle
imprese minori del settore manifatturiero. Tale risultato non consente tuttavia di
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escludere l’esistenza di un debt gap; coerentemente con le formulazioni teoriche
esaminate nella precedente sezione, l’ipotesi più verosimile è che il razionamento
imposto dal mercato del credito sia invece rafforzato da un fallimento dal lato della
domanda, che giustificherebbe lo scarso peso dell’indebitamento a lungo termine
riscontrato nell’analisi del campione e del settore. In tale ottica, il maggior grado di
indebitamento complessivo e di indebitamento a breve termine rilevato nelle imprese
nuove, sarebbe quindi da interpretare come un equity gap, che il nuovo imprenditore
decide di colmare con l’unica fonte di fondi cui ha accesso, ossia l’indebitamento a
breve.
Tale interpretazione non sembra peraltro contrastare con il risultato dell’analisi sul costo
dell’indebitamento (APP. Grafico 5); non sorprende infatti, che il tasso medio
sopportato dalle imprese nuove risulti superiore a quello medio di settore. In effetti, il
divario è molto significativo solo nelle osservazioni del biennio 96-97. In particolare
nel ‘96, anno di recessione, si rileva un aumento del costo dell’indebitamento per le
nuove imprese, in contrasto con la diminuzione riscontrata nel settore e, più in generale,
con la dinamica dei tassi di interesse. Si noti che lo spread tra il dato del campione e
quello di settore continua a crescere anche nel ‘97, anno in cui il costo
dell’indebitamento delle imprese nuove inizia a diminuire. Il superiore costo
dell’indebitamento per le imprese giovani sembra quindi riflettere il maggior rischio
operativo e finanziario che caratterizza tali imprese e non può essere considerato,
necessariamente, un indicatore di razionamento del credito. Inoltre, come rilevato
nell’analisi del grado di indebitamento, emerge, pur non chiaramente, una tendenza nel
tempo, all’allineamento tra i valori del campione e quelli del settore. In effetti, nel ’98,
il t-test non consente di rifiutare l’ipotesi nulla, lasciando supporre una sostanziale
eguaglianza nei costi dell’indebitamento. E’ importante osservare, tuttavia, come la
dinamica dello spread tra i due tassi segnali una maggiore vischiosità del costo del
debito per le imprese nuove, il cui maggiore indebitamento a breve termine dovrebbe
invece favorire una aggiustamento più immediato alla tendenza dei tassi del mercato
monetario. Come è verosimile, la minore forza contrattuale dell’impresa di nuova
costituzione nei confronti del sistema bancario si riflette anche in più lento adeguamento
del costo del debito alle condizioni di mercato. Indicativo sembra essere anche il rialzo,
pur minimo, del tasso di interesse delle imprese nuove registrato nel ’96 (anno di
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recessione), che conferma l’ipotesi di peggioramento delle condizioni di accesso al
credito in fasi cicliche negative, da parte delle imprese più esposte al problema
informativo.
Al decrescere del costo del debito le imprese del campione mostrano un aumento
dell’indebitamento a lungo termine ed una diminuzione di quello a breve (APP. Grafico
6 e 7), mentre i dati di settore rivelano un aumento in entrambe le posizioni. La
progressiva sostituzione del debito a breve scadenza con finanziamenti stabili,
riscontrata nelle imprese giovani, sembrerebbe segnalare l’esistenza di un vincolo
finanziario di intensità decrescente, coerentemente con le indicazioni teoriche, per cui,
al crearsi di performance storiche, il debt gap scontato dalle nuove iniziative
imprenditoriali, dovrebbe ridursi. Tuttavia, l’elevata elasticità del debito a lungo termine
alle variazioni del tasso di interesse, riscontrata sia nel campione che nel settore,
avvalora l’ipotesi che, se il vincolo finanziario esiste, esso non sia significativamente
più intenso per le nuove iniziative imprenditoriali.
L’analisi dell’equilibrio finanziario (APP. Grafico 8) conferma tale congettura. Il
quoziente di copertura delle immobilizzazioni risulta infatti sempre minore di 1, tranne
che nell’osservazione del ’95 relativa al campione: il valore t-Student risulta tuttavia
debolmente significativo. Il t-test consente infatti di rifiutare l’ipotesi nulla con
significatività solo nelle osservazioni del ’98, le quali non presentano peraltro squilibri
finanziari patologici.
Si noti, infine, che il valore dell’R2 tra cash flow e investimenti (APP. Grafico 9) è
costantemente limitato (con un picco nella fase ciclica negativa del ’96) ed addirittura
prossimo allo zero nel ‘98. Per quanto l’evidenza sia parziale, essa avvalora l’ipotesi
che l’andamento del cash flow rappresenti una condizione permissiva degli
investimenti. Nelle fasi cicliche negative gli investimenti sono cioè sottoposti al vincolo
della disponibilità di una quota significativa di autofinanziamento. Se così è, le imprese
che sono maggiormente “razionate” per effetto della scarsità di finanziamenti e del
livello dei tassi subiscono maggiormente il condizionamento sulla politica degli
investimenti.
I risultati dell’analisi sembrano negare l’esistenza di un più accentuato debt gap a danno
delle imprese di nuova costituzione; quantomeno tale vincolo non emerge con chiarezza
dal confronto con i dati di settore.
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E’ evidente, tuttavia, che il marcato orientamento del sistema bancario verso una
finanza garantita (con conseguente minore rilevanza della tipologia ed età dell’attività
finanziata), unitamente alla scarsa propensione del piccolo/nuovo imprenditore al
ricorso a forme di finanziamento stabili, possono aver celato il problema.
Se vale tale considerazione, sembra logico dedurre che la barriera finanziaria alla
nascita ed allo sviluppo delle nuove imprese è forse poco evidente, ma certo non meno
grave. La stretta dipendenza tra risorse personali del nuovo imprenditore e accessibilità
al credito, può in effetti penalizzare iniziative imprenditoriali ad alto potenziale con
limitata disponibilità di garanzie. In tale contesto, si può arrivare a ipotizzare che il
fallimento dei circuiti creditizi favorisca la nascita e lo sviluppo di iniziative poco
competitive, ma dotate di garanzie, ed ostacoli l’ingresso sul mercato di quelle
potenzialmente vincenti, ma sprovviste di idonee garanzie. Se questa osservazione fosse
confermata in indagini più sistematiche, ne deriverebbero ovvie complicazioni circa i
modelli di finanziamento più appropriati per sollecitare e favorire la nascita delle nuove
iniziative.
L’insufficienza del capitale proprio dell’imprenditore può quindi configurarsi come
ostacolo insormontabile ex-ante all’avvio delle nuova impresa o come causa ex-post di
accentuata fragilità, se il gap è colmato con strumenti finanziari non idonei. In tale
ottica sembrerebbe ideale il ricorso a forme di capitale di rischio alternative
(formal/informal venture capital) che uniscono alla stabilità (necessaria per un
equilibrato avvio e sviluppo della nuova iniziativa) la flessibilità, elemento chiave per la
sopravvivenza della impresa giovane. L’esigenza di una maggiore capitalizzazione
dovrebbe in altri termini essere soddisfatta in maniera idonea da un punto di vista
qualitativo, oltre che quantitativo: cosa che, in sostanza, solo il capitale di rischio può
garantire.
3.4 La differenziazione della struttura finanziaria delle nuove imprese
In questa seconda parte l’analisi cerca di identificare la presenza di significativi
elementi di differenziazione nelle caratteristiche assunte dalla struttura finanziaria delle
nuove imprese rispetto al dato medio rappresentato dal rispettivo ramo di attività
economica.
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A tal fine la struttura finanziaria delle nuove imprese e le sue caratteristiche vengono
analizzate sia confrontando il peso relativo assunto da alcune poste di stato
patrimoniale, sia attraverso l’applicazione di una metodologia multivariata (analisi
discriminante) ad una serie di indicatori contabili volti ad evidenziare:
• la struttura delle fonti, valutando l’incidenza dell’indebitamento e del capitale
sul totale attivo (Capitale Netto/Totale Attivo)
• il livello dell’indebitamento (Leva = Totale Debiti/Capitale Netto)
• il costo dell’indebitamento (Oneri Finanziari/Debiti Finanziari) e la
composizione del debito per natura e scadenza (Debiti Finanziari/Totale Attivo)
– (Debiti Finanziari m.l./Debiti Finanziari) – (Debiti Finanziari b./Debiti
Finanziari) – (Obbligazioni/Debiti Finanziari)
• l’incidenza economica degli oneri finanziari (Oneri Finanziari/ Margine
Operativo Lordo)
• la capacità di copertura dell’indebitamento finanziario attraverso il margine
operativo lordo o l’autofinanziamento (rischio del debito) (MOL/Debiti
Finanziari) – (Autofinanziamento/Debiti Finanziari)
• la capacità dell’impresa di coprire gli investimenti fissi con l’autofinanziamento
(MOL/Investimenti) – (Autofinanziamento/Investimenti)
• l’equilibrio tra fonti e impieghi espresso dal rapporto tra attività correnti e
passività correnti (Attività Correnti/Passività Correnti).
Se si confronta la struttura dell’attivo delle nuove imprese con quella dell’aggregato
settoriale si può constatare come queste presentino evidenti elementi di differenziazione
(APP. Tab. 6). Tra gli altri, si sottolinea il minor peso assunto dalle immobilizzazioni
tecniche (materiali) e la quota rilevante dei crediti commerciali concessi (Crediti Netti)
rispetto al dato di settore.
Osservando poi la struttura del passivo emerge con evidenza il minore livello di
capitalizzazione delle nuove imprese e la loro maggiore dipendenza dal debito e, in
particolare, da quello a breve termine.
Tuttavia, ponendo in relazione la struttura del passivo con quella dell’attivo si può
notare come il rapporto tra le componenti finanziarie permanenti e componenti fisse
(capitale netto e passività differite vs immobilizzazioni nette e finanziarie) non risulti
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Milano 61
significativamente diverso tra nuove imprese e settore. Peraltro, nelle nuove imprese il
più elevato ricorso all’indebitamento di breve periodo si conferma coerente con il
maggior fabbisogno generato, nell’attivo, dall’elevata incidenza dei crediti verso clienti
(Crediti netti). La maggiore rilevanza della quota ricoperta dai crediti commerciali
risulta, infatti, solo in parte compensata da un maggior peso dei debiti verso i fornitori.
A causa della loro minore forza contrattuale e/o di una politica commerciale aggressiva
utilizzata come leva per lo sviluppo dimensionale e delle quote di mercato, le nuove
imprese presentano significative differenze rispetto al settore.
Pertanto, l’elevato indebitamento a breve delle nuove imprese appare in gran parte
giustificato dalle esigenze di copertura collegate al maggior fabbisogno di capitale
circolante. Costituito principalmente da finanziamenti bancari (sotto forma di anticipo
ma non di factoring che, al contrario del leasing utilizzato da diverse imprese del
campione e per tutti gli anni considerati, risulta praticamente inesistente)
l’indebitamento a breve consente un’elevata flessibilità all’impresa, soprattutto in
funzione della variabilità del fabbisogno e della disponibilità di fondi interni
(autofinanziamento).
Le precedenti considerazioni evidenziano come esista una sostanziale coerenza tra
caratteristiche del fabbisogno finanziario delle nuove imprese e le modalità di
finanziamento che queste adottano. Come già per le piccole e medie imprese (Iacobucci
1996), anche per le nuove aziende queste considerazioni sembrano in parte attenuare il
vincolo finanziario derivante dalla difficoltà di accesso al credito e, in particolare, a
quello di medio e lungo termine.
La letteratura in materia di struttura finanziaria non offre, a tutt’oggi, una teoria in grado
di spiegare compiutamente i comportamenti delle imprese in tema di decisioni
finanziarie (Venanzi, 1997). L’approccio per lo più induttivo delle analisi, che dai
risultati empirici ricavano la costruzione teorica, e la condivisione delle variabili
esplicative tra schemi teorici diversi sottolineano questa situazione (Lazzari 1998).
Sebbene carenti in termini comportamentali, teorie e verifiche empiriche consentono
comunque di individuare una serie di variabili in grado di influenzare la struttura
finanziaria di un’impresa.
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Tuttavia, se la sopravvivenza di una nuova attività produttiva dipende in misura
rilevante dalla disponibilità di risorse finanziarie, molto spesso squilibri nella sua
struttura finanziaria sono il risultato di cause che originano in altri ambiti della gestione
aziendale. E’, pertanto, doveroso parlare di un insieme concomitante di fattori
nell’ambito dei quali la variabile finanziaria partecipa nella duplice veste di fattore
determinante e di cartina di tornasole del contributo degli altri.
In ragione della difficoltà di individuare nessi causali stabili tra la variabile oggetto di
analisi e possibili variabili esplicative si è optato per l’impiego di una metodologia
multivariata che, attraverso un processo stepwise, consentisse di individuare, tra le
variabili selezionate, la migliore funzione discriminante per i gruppi di volta in volta
selezionati (discriminant analysis).
L’analisi è stata sviluppata su campioni diversamente organizzati ai fini della:
• individuazione di una funzione che consentisse di discriminante le nuove
imprese dai rispettivi rami di attività economica;
• individuazione della funzione discriminante tra i due gruppi di nuove imprese
che negli anni considerati hanno ottenuto rispettivamente le peggiori e le
migliori performance in termini di crescita del fatturato;
• individuazione della funzione discriminante nell’ambito dei soli rami di attività
tra i due gruppi che presentano rispettivamente i migliori ed i peggiori tassi di
sviluppo.
Il primo tipo di verifica è stata svolta per cercare di cogliere le variabili in grado di
discriminare tra le nuove imprese (gruppo 1) e i rispettivi rami di attività economica
(gruppo 2). I risultati ottenuti evidenziano la seguente funzione:
N.1: Funzione discriminante tra nuove imprese e dati medi di settore
Variabili DF/TA Obb/DF AC/PC ROA Sviluppo L. Diff AC PD PC
CoefficientiFunzione -0,376 -0,315 1,534 0,588 -0,406 0,381 -1,274 0,889 3,052
% di Varianza spiegata 100%
Chi – square 114,7
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Wilks’ Lambda Significativo (<0,001)
Date le variabili individuate dall’analisi statistica nonché i valori ed i segni dei
coefficienti della funzione, emerge come le nuove imprese trovino significativi elementi
di differenziazione rispetto ai relativi rami di attività in relazione alle attività e alle
passività correnti. In particolare, livelli crescenti nelle passività correnti, così come il
rapporto tra attività e passività correnti (AC/PC), corrispondono meglio al profilo delle
nuove imprese. Nella medesima direzione si muovono, sebbene con intensità minore,
Roa e passività differite. Al contrario, livelli crescenti di debiti finanziari (DF/TA) e al
loro interno dei prestiti obbligazionari tendono a corrispondere al profilo dei rami di
attività economica e cioè delle imprese consolidate.
L’analisi discriminante è stata poi ripetuta all’interno del solo campione relativo alle
nuove imprese, dopo aver raggruppato imprese attraverso l’impiego della cluster
analysis. L’analisi, effettuata sulla base dei tassi di crescita delle imprese nei quattro
anni disponibili, ha consentito di individuare sei diversi gruppi caratterizzati da
performance di sviluppo crescenti e da diversa numerosità.
Tra i clusters così ottenuti sono state poste a confronto le performance di crescita
evidenziate, in particolare, dai gruppi di nuove imprese che presentano rispettivamente i
migliori (gruppo 6) e i peggiori risultati (gruppo 1). L’analisi discriminante ha
consentito, in questo caso, di individuare la seguente funzione:
N.2 – Fattori di discriminazione tra le nuove imprese con i tassi di sviluppopiù elevati e quelle con i tassi più bassi
Variabili Liquidità immediate Attività Correnti FornitoriCoefficientiFunzione
0,534 1,015 -1,070
% di Varianza spiegata 100%Chi – square 30,88Wilks’ Lambda Significativo (<0,001)
Le indicazioni provenienti dalle elaborazioni segnalano, tra quelle impiegate, tre
variabili che meglio delle altre discriminano tra i due cluster. Nello specifico livelli
crescenti di liquidità immediate e di attività correnti ci spostano verso il gruppo delle
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imprese che registrano tassi di sviluppo più bassi, al contrario quote crescenti di credito
da fornitori ci avvicinano alle aziende di nuova costituzione caratterizzate da elevati
tassi di crescita. L’intensità della crescita influenza cioè l’equilibrio finanziario a breve:
la sua accelerazione assorbe liquidità dall’attivo ed espone all’utilizzo crescente di
finanza instabile (fornitori) dal lato del passivo.
Utilizzando il medesimo approccio l’analisi è stata sviluppata anche in relazione ai rami
di attività economica. Dal confronto tra i settori che hanno evidenziato i maggiori livelli
di crescita (gruppo 6) e quelli che hanno prodotto i risultati peggiori (gruppo 1) emerge
la seguente funzione discriminante:
N.2 – Fattori di discriminazione tra i rami di attività con i tassi di sviluppopiù elevati e quelle con i tassi più bassi
Variabili Debito Consolidato Passività CorrentiCoefficientiFunzione
-0,699 0,981
% di Varianza spiegata 100%
Chi – square 24,78
Wilks’ Lambda Significativo (<0,001)
I risultati ottenuti riconducono la diversità nelle performance di crescita evidenziate dai
due gruppi a due variabili rappresentative rispettivamente dei debiti consolidati e delle
passività correnti. In particolare, al diverso grado di sviluppo sperimentato dai rami
economici sembrerebbe contribuire positivamente una crescente presenza di debito
consolidato, cioè la disponibilità di finanziamenti a m/l termine e, negativamente, le
passività correnti.
In sintesi, dai risultati dell’analisi statistica trovano conferma alcune delle principali
considerazioni già emerse nella precedente analisi descrittiva. La struttura finanziaria
delle imprese di nuova costituzione sembra differenziarsi dal dato medio di settore (cioè
dall’aggregato che comprende le imprese consolidate) in ragione del diverso peso
ricoperto sia dalle passività correnti sia da quelle aventi scadenza protratta. A
quest’ultimo riguardo un ruolo rilevante sembrano giocare le emissioni obbligazionarie.
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Milano 65
Posto che nelle Pmi i prestiti obbligazionari sono generalmente sottoscritti dai soci e
quindi rappresentano una modalità alternativa di apporto di capitale, nelle nuove
iniziative tale fonte finanziaria risulta decisamente carente.
Ulteriori elementi di differenziazione derivano anche dal lato dell’attivo confermando
l’importanza, per le nuove imprese, del fabbisogno finanziario che origina dai crediti
commerciali (liquidità differite). Queste, peraltro, se da un lato risultano caratterizzate
da livelli di redditività superiori alla media delle imprese consolidate, dall’altro
sembrano presentare, in maniera inaspettata, tassi di sviluppo inferiori. Il segno meno
che caratterizza il coefficiente della variabile “Sviluppo” trova spiegazione nell’utilizzo
di un tasso medio di crescita che risente della volatilità molto più accentuata presente
nel campione delle nuove imprese rispetto al dato di settore.
Risultati interessanti si ottengono anche dall’applicazione dell’analisi discriminante
nell’ambito dei due campioni separatamente considerati (nuove imprese e settori) .
In particolare, tra le nuove imprese che evidenziano tassi di sviluppo elevati e quelle che
al contrario presentano gradi di crescita negativi le variabili discriminanti individuate
dall’analisi (fornitori, attività correnti e liquidità immediata) sottolineano,
indirettamente, l’importanza per una nuova impresa di attuare una efficiente gestione
del capitale circolante cioè di una delle componenti fondamentali da cui origina il
fabbisogno finanziario. La capacità di crescere a tassi di sviluppo elevati sembrerebbe,
infatti, fortemente condizionata dalla capacità della nuova impresa di accrescere la
quota di credito messa a disposizione dai fornitori e di manovrare le attività correnti.
Rispetto alle imprese di nuova costituzione per le quali l’effetto discriminante deriva sia
da componenti attive che passive dello stato patrimoniale, nel caso dei gruppi estratti dal
campione relativo ai rami di attività le sole variabili presenti risultano essere i debiti
consolidati e le passività correnti. In questo caso, in particolare, l’analisi evidenzia come
fattore discriminante la crescente disponibilità di finanziamenti a m/l termine piuttosto
che di passività correnti.
Una struttura finanziaria più stabile si associa cioè a livelli più elevati del tasso di
sviluppo. Se ne desume che la stabilità finanziaria funzioni come una condizione
permissiva dello sviluppo. Non altrettanto fondata appare, invece, l'ipotesi contraria e
cioè che il rapporto di influenza vada dallo sviluppo alla finanza; in particolare, che lo
sviluppo “ad ogni costo” porti ad un degrado della struttura finanziaria (eccesso di
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Milano 66
debiti a breve). Il riscontro empirico evidenzia la differenza rispetto alle nuove imprese
nelle quali tassi di sviluppo più elevati sono associati al peggioramento dell’equilibrio
finanziario. Dunque, per le nuove imprese la traiettoria della crescita sembra più
direttamente condizionata dai vincoli finanziari. Questi, assieme ai fattori esogeni di
mercato espressi nel mancato controllo del capitale circolante, contribuiscono a spiegare
l’alta volatilità del tasso di sviluppo.
4. Conclusioni
L’analisi svolta giustifica alcune considerazioni conclusive.
1. Le nuove imprese presentano un profilo economico e finanziario con differenziazioni
significative rispetto al campione di confronto:
Ø la struttura finanziaria è più indebitata e tende a normalizzarsi lungo il periodo di
sviluppo,
Ø il debito a breve è più elevato e permane nel tempo,
Ø l’equilibrio finanziario è, conseguentemente, più debole,
Ø il costo del debito è più elevato e più vischioso rispetto ai tassi di mercato,
Ø la redditività media più alta, ma con una variabilità accentuata (maggiore
esposizione ai fattori esogeni congiunturali e di mercato).
2. Le nuove imprese, rispetto al campione di confronto, sembrano quindi maggiormente
esposte ad un problema di equity gap. Data la sostanziale omogeneità di posizione in
termini di indebitamento a lungo termine, di deve concludere che l’equity gap delle
stesse imprese trova compensazione nel maggiore debito a breve. Viene cioè esaltata il
l’instabilità potenziale della struttura finanziaria.
3. Il completamento del ciclo dello start-up e del primo sviluppo è segnato da un
progressivo rafforzamento della struttura finanziaria o, quantomeno, da una crescente
uniformità rispetto al campione di confronto: riduzione del debito a breve,
razionalizzazione del capitale circolante, aumento delle fonti stabili tra le quali il “quasi
capitale” rappresentato da emissioni obbligazionarie di pertinenza degli stessi azionisti.
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4. Tuttavia, le anomalie e le debolezze della finanza delle imprese giovani meritano la
massima attenzione. Da un lato, infatti, l’osservazione empirica trascura, per mancanza
di dati, i casi di insuccesso, casi che presentano una frequenza elevata proprio nei primi
anni di vita delle imprese. Non è quindi possibile escludere che la debolezza della
finanza sia uno dei fattori che concorrono a determinare l’insuccesso. Dall’altro lato, le
stesse imprese del campione (che quindi hanno superato la fase critica dello start-up)
mostrano segnali evidenti del condizionamento finanziario.
5. Una prima manifestazione di questo condizionamento è rappresentata dalla
variabilità della performance economica delle imprese. L’esposizione più forte al
rischio finanziario viene innescato e produce una caduta di redditività soprattutto nelle
fasi di congiuntura negativa (1996). Il cumulo di rischi finanziario ed operativo esalta
naturalmente l’incertezza delle prospettive aziendali e contribuisce al tasso di
insuccesso.
6. Una ulteriore manifestazione del condizionamento finanziario la si osserva attraverso
la stima della relazione tra cash-flow e politica di investimento delle nuove imprese. La
relazione è debole in generale, ma molto forte (57%) proprio negli anni di congiuntura
economica negativa. Questo dato lascia supporre l’esistenza di un vincolo finanziario
(mancanza di fonti esterne) alla politica di investimento che si accentua nel corso delle
situazioni di crisi. In qualche misura, ciò significa che la politica di sviluppo delle nuove
imprese è condizionata dalla debolezza strutturale della loro finanza; si esalta così la
dipendenza da fattori esterni contingenti quali l’atteggiamento dei fornitori e la
congiuntura monetaria.
7. Strettamente correlata a quanto sopra è l’osservazione della variabilità dei tassi di
crescita nel corso dello sviluppo iniziale. In parte, si tratta di un dato fisiologico
connaturato alla incertezza dello start-up. Per un altro verso tuttavia, non si può
escludere che questa instabilità intrinseca (rischio d’impresa) sia accentuata dalla
fragilità finanziaria, si trasmetta sotto forma di discontinuità della politica di
investimento e trovi la sua espressione finale nella volatilità dei risultati economici.
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Milano 68
I punti sopra richiamati fanno emergere diverse implicazioni e, forse, giustificano
qualche linea di intervento correttivo.
L’analisi è stata svolta sulle imprese di un’area economica altamente sviluppata e,
verosimilmente, meno esposta ai problemi derivanti dalla inadeguatezza dei circuiti di
finanziamento. Ciò non ostante, sono evidenti i limiti ed i condizionamenti di natura
finanziaria alla crescita delle imprese.
L’osservazione dei gaps di capitale di rischio e di credito a lungo termine deriva da una
analisi troppo generale per sostenere conclusioni specifiche. Tuttavia, la scarsità di
“finanziamento stabile” osservata in generale ci si deve attendere che risulti amplificata
se si entra nel segmento particolare delle imprese che combinano alto sviluppo e
intensità tecnologica. In esse, la capacità di innovazione e di industrializzazione
dell'innovazione costituiscono i presupposti per essere candidabili all’intervento dei
venture capitalist. Il ruolo attivo di questi non è facilmente sostituibile e ciò rappresenta
un blocco al circolo virtuoso dall’innovazione, all’iniziativa imprenditoriale, alla
crescita economica.
Il modello di finanziamento delle nuove imprese incontra dunque due diversi ostacoli:
Ø in quelle tecnologiche, la mancanza di una spessa rete di investitori specializzati nel
capitale di rischio,
Ø nelle altre, comunque la deformazione dei circuiti di finanziamento verso il breve
termine.
Un secondo aspetto significativo emerso dall’analisi è quello del costo del debito e, in
particolare, il divario a svantaggio ancora delle nuove imprese. Su questo piano le
prospettive non sono positive per almeno due ordini di considerazioni. Da un lato, il
processo di concentrazione bancaria potrebbe indurre una ulteriore marginalizzazione
dei prenditori di fondi più rischiosi e, tra questi, le nuove imprese. Dall’altro lato, lo
sviluppo di procedure di internal risk assesment nelle banche ai fini dell’ottimizzazione
della politica del capitale potrebbe condurre al riconoscimento di un premio al rischio
più alto e, quindi, ad un conseguente rialzo dei tassi di interesse. Tra i prenditori di
fondi più esposti a questo pericolo, proprio per il cumulo di rischio che presentano, si
trovano ancora le nuove imprese.
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APPENDICE
Tabella 1 – Imprese, Unità locali e Addetti - (31/12/96)
Sezione ATECO 91 Imprese AddettiImprese
UnitàLocali
AddettiU.L.
A Agricoltura; Caccia, Silvicoltura 0 0 31 74B Pesca, Piscicoltura, Servizi Connessi 0 0 1 7C Estrazione di Minerali 557 10.290 846 11.365D Attività Manifatturiere 117.154 1.382.639 126.066 1.271.400E Prod. e Distr. Energia Elettrica, Gas,Acqua
387 20.674 903 26.781
F Costruzioni 82.565 258.358 88.238 250.618G Commercio 185.546 613.011 201.016 581.178H Alberghi e Ristoranti 30940 132.107 33.577 117.855I Trasporti, Magazzinaggio e Comunicazioni 26.832 127.408 31.629 182.285J Intermediazione Mon. e Fin. 13.149 159.123 19.018 134.029K Att. Immob, Noleggio, Informatica, Ricerca 144.439 380.081 149.165 370.358M Istruzione 0 0 5 8N Sanità e Altri Servizi Sociali 0 0 9 28O Altri Servizi Pubblici, Sociali e Personali 34.719 83.886 35.942 83.008TOTALE 636.288 3.167.577 686.446 3.028.994INDUSTRIA 200.663 1.671.961 216.053 1.560.164SERVIZI 435.625 1.495.616 470.361 1.468.749
Fonte: ISTAT
Tabella 2 – Unità locali e Addetti per classi dimensionali (valori assoluti e %) -(31/12/96)
Classi Dimensionali Unità Locali Addetti U.L.1- 9 addetti 636.901 92,8% 1.310.746 43,3%
10 – 49 addetti 43.305 6,3% 795.277 26,3%50 – 249 addetti 5.512 0,8% 530.663 17,5%
250 addetti e oltre 728 0,1% 392.308 13,0%Fonte: ISTAT
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Tabella 3 – Imprese, Unità locali e Addetti - (variazioni 91-96)
Sezione ATECO 91 Imprese Unità Locali Addetti ImpreseA Agricoltura; Caccia, Silvicoltura - - -B Pesca, Piscicoltura, Servizi Connessi - - -C Estrazione di Minerali 21 -27 -2.408D Attività Manifatturiere -1,992 -3.602 -147.772E Prod. e Distr. Energia Elettrica, Gas,Acqua
95 -19 -201
F Costruzioni 16.398 10.903 5.171G Commercio -6.608 -7.094 -34.235H Alberghi e Ristoranti -674 -945 1.214I Trasporti, Magazzinaggio e Comunicazioni 4.183 4.376 24.269J Intermediazione Mon. e Fin. 3.877 5.007 -5.157K Att. Immob, Noleggio, Informatica, Ricerca 69.461 69.332 94.854M Istruzione - - -N Sanità e Altri Servizi Sociali - - -O Altri Servizi Pubblici, Sociali e Personali 3.393 3.470 9.508TOTALE 88.154 81.401 -54.757INDUSTRIA 14.522 7.225 -145.210SERVIZI 73.632 74.146 90.453
Fonte: ISTAT
Tabella 4 – Unità locali e Addetti per classi dimensionali - (variazioni 91-96)
Classi Dimensionali Unità Locali Addetti U.L.1- 9 addetti +84.162 +15,2% +21.192 +1,6%
10 – 49 addetti -2.001 -4,4% -32.232 -3,9%50 – 249 addetti -236 -4,1% -22.496 -4,1%
250 addetti e oltre -22 -2,9% -6.182 -1,6%Fonte: ISTAT
Tabella 5 – Tassi di natalità e mortalità - (nati-mortalità 91-97)
Anno 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997Tassi di Natalità 7,14% 7,25% 6,76% 11,19% 7,28% 7,52% 7,12%Tassi di Mortalità 6,22% 7,20% 8,15% 10,52% 6,47% 6,42% 6,58%
Fonte: Infocamere
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Tab.6 Componenti dell’attivo e del passivo di imprese e settore
1995 1995 1996 1996 1997 1997 1998 1998
Settore Nuove Imp. Settore Nuove Imp. Settore Nuove Imp. Settore Nuove Imp.
ATTIVO
Immobilizz. Nette 20,0% 13,5% 20,2% 12,9% 20,0% 13,3% 16,5% 13,3%
Immobilizz. Fin. 7,8% 3,3% 8,4% 3,0% 8,1% 3,5% 7,3% 3,0%
Disponibilità 20,0% 13,5% 20,2% 12,9% 20,0% 13,3% 21,9% 15,7%
Crediti Netti 42,0% 59,2% 40,4% 58,9% 40,8% 57,2% 41,4% 57,6%
Liquidità Differite 43,1% 60,7% 41,6% 60,7% 41,8% 58,7% 42,3% 60,5%
Liquidità Immediate 5,3% 4,9% 6,0% 4,7% 5,3% 5,2% 5,4% 5,4%
Attività Correnti 70,2% 80,5% 69,0% 81,4% 69,2% 80,8% 69,6% 81,6%
PASSIVO
Capitale Netto 22,9% 10,3% 24,4% 10,7% 23,3% 11,3% 22,9% 13,1%
Debiti Consolidati 1,5% 1,5% 1,2% 2,2% 1,0% 0,7% 1,0% 1,3%
Passività Differite 16,9% 9,8% 19,3% 11,9% 18,8% 12,2% 19,5% 12,8%
Deb. vs Fornitori 30,7% 46,4% 27,7% 42,4% 28,9% 38,8% 28,8% 42,6%
Passività Correnti 60,2% 79,9% 56,3% 77,7% 57,9% 76,6% 57,5% 75,2%
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Milano 72
Redditività delle nuove imprese e del campione di confrontoGrafico 1
0,00%
5,00%
10,00%
15,00%
20,00%
25,00%
30,00%
35,00%
ROE
-0,700
-0,350
0,000
0,350
0,700
1,050
1,400
1,750
2,100
2,450
2,800
3,150
3,500
3,850
4,200
t-Student
ROE Settore ROE NuoveImprese t-Student
ROE Settore 11,72% 6,68% 3,94% 10,07%
ROE NuoveImprese 31,51% 3,98% 15,84% 30,66%
t-Student 3,713 -0,487 1,525 1,687
1995 1996 1997 1998
Grafico 2Indebitamento complessivo
0,00%
50,00%
100,00%
150,00%
200,00%
250,00%
300,00%
350,00%
PF
/CN
-0,096
0,104
0,304
0,504
0,704
0,904
1,104
1,304
1,504
1,704
1,904
2,104
2,304
2,504
2,704
t-S
tud
ent
PF/CN Settore PF/CN Nuove Imprese t-Student
PF/CN Settore 156,09% 157,19% 184,92% 187,48%
PF/CN Nuove Imprese 240,99% 290,10% 241,94% 264,81%
t-Student 2,468 2,502 1,690 1,754
1995 1996 1997 1998
Osservatorio Assolombarda-Bocconi
Milano 73
Grafico 3Indebitamento a breve termine
0,00%
50,00%
100,00%
150,00%
200,00%
250,00%
300,00%
PF
B/C
N
0,000
0,200
0,400
0,600
0,800
1,000
1,200
1,400
1,600
1,800
2,000
2,200
2,400
2,600
2,800
3,000
3,200
3,400
t-S
tud
ent
PFB/CN Settore PFB/CN Nuove Imprese t-Student
PFB/CN Settore 106,19% 101,79% 122,72% 125,25%
PFB/CN Nuove Imprese 194,20% 244,58% 193,36% 211,40%
t-Student 3,200 3,122 2,307 2,739
1995 1996 1997 1998
Grafico 4Indebitamento a lungo termine
0,00%
10,00%
20,00%
30,00%
40,00%
50,00%
60,00%
70,00%
PF
L/C
N
-2,704
-2,504
-2,304
-2,104
-1,904
-1,704
-1,504
-1,304
-1,104
-0,904
-0,704
-0,504
-0,304
-0,104
0,096
t-S
tud
ent
PFL/CN Settore PFL/CN Nuove Imprese t-Student
PFL/CN Settore 49,89% 55,40% 62,19% 62,23%
PFL/CN Nuove Imprese 46,79% 45,52% 48,15% 53,41%
t-Student -0,242 -0,616 -1,404 -0,534
1995 1996 1997 1998
Osservatorio Assolombarda-Bocconi
Milano 74
Grafico 5Costo dell’indebitamento
5,00%
7,00%
9,00%
11,00%
13,00%
15,00%
17,00%
19,00%
OF
/PF
0,00%
0,50%
1,00%
1,50%
2,00%
2,50%
3,00%
3,50%
4,00%
Spr
ead
Spread OF/PF Nuove Imprese OF/PF Settore
Spread 2,71% 3,48% 3,54% 0,84%
OF/PF Nuove Imprese 17,03% 17,05% 14,27% 9,66%
OF/PF Settore 14,33% 13,57% 10,73% 8,82%
1995 1996 1997 1998
Grafico 6
0,00%
50,00%
100,00%
150,00%
200,00%
250,00%
300,00%
PF
B/C
N
0,00%
2,00%
4,00%
6,00%
8,00%
10,00%
12,00%
14,00%
16,00%
18,00%
OF/
PF
PFB/CN Settore PFB/CN Nuove Imprese OF/PF Settore OF/PF Nuove Imprese
PFB/CN Settore 106,19% 101,79% 122,72% 125,25%
PFB/CN Nuove Imprese 194,20% 244,58% 193,36% 211,40%
OF/PF Settore 14,33% 13,57% 10,73% 8,82%
OF/PF Nuove Imprese 17,03% 17,05% 14,27% 9,66%
1995 1996 1997 1998
Osservatorio Assolombarda-Bocconi
Milano 75
Grafico 7
0,00%
10,00%
20,00%
30,00%
40,00%
50,00%
60,00%
70,00%
PF
L/C
N
0,00%
2,00%
4,00%
6,00%
8,00%
10,00%
12,00%
14,00%
16,00%
18,00%
OF/
PF
PFL/CN Settore PFL/CN Nuove Imprese OF/PF Settore OF/PF Nuove Imprese
PFL/CN Settore 49,89% 55,40% 62,19% 62,23%
PFL/CN Nuove Imprese 46,79% 45,52% 48,15% 53,41%
OF/PF Settore 14,33% 13,57% 10,73% 8,82%
OF/PF Nuove Imprese 17,03% 17,05% 14,27% 9,66%
1995 1996 1997 1998
Grafico 8
0,00%
20,00%
40,00%
60,00%
80,00%
100,00%
120,00%
140,00%
QC
I
-3,600
-3,300
-3,000
-2,700
-2,400
-2,100
-1,800
-1,500-1,200
-0,900
-0,600
-0,300
0,000
0,3000,600
0,900
1,200
1,500
1,800
2,100
t-S
tud
ent
QCI Settore QCI Nuove Imprese t-Student
QCI Settore 54,38% 56,44% 55,29% 55,50%
QCI Nuove Imprese 125,72% 51,64% 49,97% 45,00%
t-Student 1,770 -1,150 -1,405 -3,317
1995 1996 1997 1998
Osservatorio Assolombarda-Bocconi
Milano 76
19951996
1997
1998
R^2
0,00%
10,00%
20,00%
30,00%
40,00%
50,00%
60,00%
70,00%
80,00%
90,00%
100,00%
Grafico 9
R^2
R^2 5,14% 57,18% 17,91% 0,08%
1995 1996 1997 1998
Osservatorio Assolombarda-Bocconi
Milano 77
Bibliografia
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