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La famiglia nel pensiero di Durkheim
Sociologia della famiglia
A.A. 2014/15
Aprile 2015
Lavoro di gruppo a cura di
Paolo Chiappini
Roberto De Angelis
Giada Galieti
Maria Cristina Pollari
Ilenia Raso
Alessia Tito
La famiglia nel pensiero di Durkheim 1
Sommario
Il pensiero di Durkheim ................................................................................................................... 2
Fatto sociale, solidarietà meccanica e organica ........................................................................... 2
Coscienza collettiva ..................................................................................................................... 2
La famiglia per Durkheim ............................................................................................................... 3
La funzione della famiglia ........................................................................................................... 3
Dalla divisione del lavoro alla famiglia coniugale ...................................................................... 4
Sistema di relazioni e struttura familiare ..................................................................................... 5
La fragilità familiare nella società moderna .................................................................................... 7
Rischi derivanti dall’introduzione del divorzio consensuale ....................................................... 7
La funzione sociale del matrimonio ............................................................................................ 8
L’instabilità coniugale oggi ........................................................................................................... 10
Separazioni e divorzi in Italia in base all’Istat .......................................................................... 10
Conclusioni .................................................................................................................................... 13
Bibliografia di riferimento ............................................................................................................. 14
Appendice ...................................................................................................................................... 15
Grafici delle tabelle del saggio “il divorzio consensuale” ........................................................ 15
Presentazione del Report ISTAT “Separazioni e divorzi in Italia” (dati al 2012) .................... 15
Collegamenti con il film “La Famiglia” di Ettore Scola (1987) ............................................... 15
La famiglia nel pensiero di Durkheim 2
Il pensiero di Durkheim
Fatto sociale, solidarietà meccanica e organica
Come nel resto delle sue opere, anche negli studi sulla famiglia Durkheim utilizza la teorizzazione dei due tipi di solidarietà: meccanica e organica. In particolare si parla di:
Solidarietà meccanica: caratteristica delle società semplici in cui la divisione del lavoro è scarsa. È dovuta, infatti, alla similarità delle coscienze, alla comunità delle idee e dei sentimenti. Gli individui hanno funzioni lavorative scarsamente differenziate e hanno poche possibilità di sviluppare personalità autonome. La coscienza collettiva prevale sulla coscienza individuale. Si definisce meccanica perché le parti sono simili tra loro, sia nella realtà, che nelle loro funzioni.
Solidarietà organica: è propria delle società complesse, nel senso che vi è, una più alta differenziazione dei ruoli lavorativi. Con la divisione del lavoro, ognuno ha la sua sfera d’azione, pur essendo inseparabile dagli altri. Le diverse funzioni lavorative sono tutte utili al mantenimento e al funzionamento dell’insieme. In questo tipo di solidarietà si sviluppa, in modo esponenziale, la coscienza individuale che permette il processo di differenziazione.
Alla solidarietà meccanica corrisponde un corpo di regole giuridiche e morali legate all’agire umano, detto “fatto sociale”. Dunque, per fatto si intende il modo d’agire, di pensare, esterno all’individuo. La causa di un fatto sociale deve essere cercata in altri fatti sociali e non tra gli stati della coscienza individuale, ed essi vanno spiegati in riferimento alle funzioni che essi svolgono nella società, seguendo lo sviluppo attraverso tutte le specie sociali. Infine, secondo Durkheim, il fatto sociale dipende da singole società o meglio da singoli “tipi sociali”.
Coscienza collettiva
Gli studi di Durkheim si concentrano in particolar modo sul fenomeno del suicidio, connesso, secondo egli, a situazioni extra oggettive che riguardano la società, i suoi ambienti e i suoi gruppi, in cui l’uomo si riscontra quotidianamente.
La famiglia, come la società politica e le confessioni religiose, risultano degne di grande osservazione per Durkheim; queste istituzioni giocano un ruolo dominante nel suo pensiero.
Nel “Suicidio”, affronta i problemi derivanti dalla debolezza del concetto di “Solidarietà organica”, anche in relazione al nucleo familiare. L’anomia, che si collega alla divisione del lavoro, si manifesta maggiormente negli scambi come il deficit della solidarietà organica. Infatti, la famiglia è attraversata dalla divisione del lavoro, ma non ha alcuna influenza su di essa, ne subisce solo gli effetti. Inoltre, con la nuova divisione del lavoro, si ha un radicale capovolgimento nel rapporto individuo-famiglia-società. Non è più la famiglia che influenza la sorte dei suoi membri, ma sono, invece, questi che gestiscono il loro successo sociale. Durkheim,
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quindi, studia il processo di individualizzazione all’interno della famiglia, uno sviluppo e un cambiamento, reso possibile dalla divisone del lavoro ma anche dai mutamenti interni della famiglia. Analizziamo in primis il cambiamento imposto dalla divisione del lavoro.
Durkheim afferma che nell’essere umano è connaturata una antitesi di anima e corpo, di coscienza e istinto, di sacro e profano. Il quadro teorico del sociologo, si evolve dalla concettualizzazione del passaggio dalla solidarietà meccanica a quella organica fino alla concettualizzazione della formazione della “coscienza collettiva”, intesa come insieme di coscienze multiple che perdono la loro individualità per omologarsi al pensiero comune. Questo risultato è possibile in quanto la coscienza è il risultato stesso del sistema rappresentativo del mondo, quindi della coscienza universale.
La coscienza collettiva fa sì che l’ordine sociale esista in relazione a un insieme di credenze. Quello che Durkheim intende precisare è che c’è un contratto che stabilisce gli accordi tra gli individui e i gruppi, al fine di risolvere i problemi di sopravvivenza e di benessere. La contrattazione si impone ai singoli individui attraverso la coscienza collettiva. Essa preesiste al contratto, anzi ne permette la realizzazione. L’obiettivo della socializzazione è proprio la formazione della coscienza individuale, ove attraverso un processo di dominio, gli elementi della coscienza collettiva, si immettono all’esterno. Per Durkheim la socializzazione viene a coincidere con l'educazione e gli obiettivi del processo educativo sono la creazione, la riproduzione ed il mantenimento dell'ordine sociale. Ad una prima concezione di tipo costrittivo Durkheim aggiunge una concezione del sociale per la quale l'ordine deriva anche da una base negoziale. Il contratto sociale serve a stabilire accordi tra gli individui e i gruppi per risolvere i problemi di sopravvivenza e di benessere. La negoziazione sociale si basa sul consenso. Nella teoria durkheimiana viene a mancare un vero interesse verso il soggetto da educare e da socializzare; questo passa in secondo piano rispetto al problema di fondare l'ordine sociale.
La famiglia per Durkheim
La funzione della famiglia
La famiglia, è la prima agenzia di socializzazione.
La socializzazione, è il processo mediante il quale un individuo entra a far parte della società in cui è nato.
Pur non ancora riferendosi al processo di socializzazione, Durkheim attribuisce alle istituzioni un ruolo prioritario e di massima importanza, in particolare all’educazione egli attribuisce il fine di riprodurre l’ordine all’interno del sistema sociale.
Tra le più importanti istituzioni vi sono: la famiglia (socializzazione primaria) e la società stessa.
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Alle istituzioni sociali, il compito di trasmettere al soggetto: norme, valori, credenze e atteggiamenti socialmente condivisi. Al soggetto, il compito di interiorizzare quanto le agenzie di socializzazione insegnano, per garantire l’ordine.
L’ ordine sociale, costituisce il tema centrale della sociologia durkheimiana, egli infatti, si fece assertore di una sociologia concepita come una scienza empirica ed esatta.
Nel pensiero durkheimiano le istituzioni hanno un ruolo fondamentale anche nella costruzione della soggettività (che solo apparentemente, viene dall’autore negata, egli parla infatti di “culto dell’individuo”).
Ricollegandosi alla tradizione del Positivismo comtiano, Durkheim, si oppone all’individualismo e vede nella solidarietà sociale, un valore superiore a quello del singolo e a cui quest’ultimo, si deve sottomettere.
Una delle critiche mosse a Durkheim è il seguente paradosso: egli riconosce l’autonomia individuale, ma al tempo stesso, sostiene il determinismo sociale e culturale.
In Durkheim non esiste la cultura concepita come luogo in cui l’individuo può esprimere il proprio sé. La cultura, in quanto fatto collettivo, indipendente e distinto dagli stati psicologici individuali, assume una consistenza sua propria, che rende inutile o accessoria l’analisi delle motivazioni, interessi, ossia, del significato soggettivo che l’attore sociale attribuisce.
Anche la cultura quindi, ha una funzione ordinatrice e regolativa!
Dalla divisione del lavoro alla famiglia coniugale
Gli individui per sopravvivere hanno bisogno di differenziarsi e ognuno, all'interno della famiglia e della società, deve avere il proprio compito. Ciò porta inevitabilmente ad una differenziazione dei ruoli e ad una specializzazione, quindi si verrà a creare una divisione anche in ambito lavorativo che porterà alla disuguaglianza sociale e questo si ripercuoterà anche sul nucleo famigliare.
La divisione del lavoro definisce la distribuzione delle responsabilità e l’assegnazione degli incarichi di lavoro all’interno di un’organizzazione. Questa assume per Durkheim il valore di "condizione primaria dell'equilibrio sociale": essendoci una divisione la competizione sarà presente in maniera esigua.
Per Durkheim la famiglia doveva essere unita perché gli uomini avevano bisogno di organizzazione e protezione cosi da potersi raggruppare attorno ad un principio unificatore. Con il nascere di una vita aggregata, l'uomo ha prodotto forme di organizzazione sociale. Vediamo di seguito come sono nati i primi tipi di famiglia e le trasformazioni che hanno subito nel passare degli anni.
La sostanza della famiglia risiede nella morale comune e in un principio mistico che all'origine fonda questa morale. Il clan, prima specie familiare, non ha come principio mistico la consanguineità ma la condivisione di uno stesso totem da parte dei membri del clan, quindi i
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legami di sangue sono emersi in un secondo momento. Un secondo tipo di specie familiare è quella agnatica ovvero una famiglia allargata matrilineare o patrilineare formata da più famiglie. In questo tipo di aggregazione il principio è la conservazione del patrimonio familiare, mentre nella famiglia patriarcale romana, in cui è presente un complesso di persone che fanno capo al pater familias, il totem é rappresentato dal principio stesso dell'autorità. Con la famiglia paterna germanica si ha una riduzione dalle relazioni larghe arrivando all'essenziale dei coniugi e dei figli ma il totem non cambia dalla famiglia romana. L'ultimo tipo di famiglia, la più recente, è quella moderna o coniugale e l'elemento che la differenzia da tutte le altre è l'intervento dello Stato all'interno della famiglia, che pone i legami di parentela sotto la propria tutela e li rende indissolubili.
Sistema di relazioni e struttura familiare
Ci si è chiesti quali sarebbero dovuti essere i legami che uniscono gli uomini tra di loro e si è verificato che ci sono due tipi di solidarietà sociale. L’una, la solidarietà meccanica, dovuta alla similarità delle coscienze, alla comunità di idee e sentimenti, l’altra, la solidarietà organica, fatta da differenziazione delle funzioni e divisione del lavoro. Nella prima troviamo un’unione che va a creare una massa nella quale la coscienza dell’individuo si fonde nella coscienza collettiva, nell’altra c’è una divisione e una specializzazione nella quale l’individuo viene ad affermarsi pur mantenendo l’unità del tutto.
Facendo derivare la solidarietà dal come si struttura il rapporto tra due fattori, le "persone" e le "cose", egli individua nella famiglia coniugale un mutamento nella forma di questo rapporto. Nei modelli anteriori, precisa Durkheim, «i legami che derivano dalle cose primeggiavano su quelli che derivavano dalle persone», nel tipo di famiglia più recente, quella coniugale, invece, noi «teniamo alla nostra famiglia, perché teniamo alle "persone" che la compongono» (Durkheim, 1999, p. 105).
Per studiare al meglio questi legami si analizzano i rapporti tra le persone e tra le persone e le cose (beni). In particolare vengono analizzati i rapporti tra i coniugi e quelli di ciascun coniuge con i propri genitori e figli. Oltre ai coniugi e ai figli bisogna inserire nell’analisi i consanguinei, cioè quello che resta dell'antica gens, e lo Stato che, in determinati casi, interferisce nella vita domestica.
Per Durkheim la nascita dalla famiglia nucleare è stata garantita soprattutto dall’intervento dello Stato che tutela i membri della famiglia regolando i rapporti tra le persone.
La presenza dello Stato porta ad una cristallizzazione dei legami interni della famiglia in forme giuridiche più strette che si occupano di coniugi e figli; possiamo prendere come esempio l’educazione dei figli, l’indissolubilità del matrimonio e la condivisione dei beni. Intorno a questo nucleo centrale (formato dai coniugi e dai loro figli) sussistono delle zone secondarie che la completano ma il ruolo di quest’ultime è, rispetto alle forme di famiglie anteriori, quasi nullo.
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Durkheim parla, al riguardo, di legge di contrazione progressiva nel senso che la famiglia deve via via contrarsi nella misura in cui l’ambiente sociale si estende sempre di più.
Ciascun individuo acquista sempre più una fisionomia propria, un modo personale di sentire e di pensare. La solidarietà familiare diventa completamente personale. La famiglia si fonda sempre più sulle relazioni tra persone e così il matrimonio tende ad essere la condizione unica di parentela. Il matrimonio fonda la famiglia e allo stesso tempo ne deriva. Per Durkheim ogni unione sessuale che non sia contratta nella forma matrimoniale è perturbatrice del dovere, del legame domestico, e, dal giorno in cui lo Stato stesso è intervenuto nella vita della famiglia, essa disturba anche l'ordine pubblico. Difatti nell’unione libera i membri non hanno gli uni verso gli altri, degli obblighi giuridici e questo fatto per Durkheim produce una società immorale. «Così, nella misura in cui il legislatore e la morale si occupano di questo problema, la tendenza non è di fare di ogni matrimonio un'unione libera, ma di fare di ogni unione, anche libera, un matrimonio, anche se inferiore» (Durkheim, 1999, p. 112).
Durkheim fa un’analisi del sistema di relazioni che però non è una spiegazione, questa quindi non è necessaria per conoscere con esattezza la struttura familiare perché l’unico modo per conoscerla è “ raggiungerla in se stessa”.
Per fare ciò bisogna analizzare i costumi, il diritto e le usanze in quanto sono pratiche costanti e acquisite da più generazioni.
Il costume è la struttura stessa della famiglia, un modo di agire obbligatorio per tutti i membri della società. Ciò che lo distingue non è la sua frequenza più o meno alta; è la sua virtù imperativa. Il costume non rappresenta semplicemente ciò che si fa più spesso, ma ciò che si deve fare.
Per analizzare i costumi in maniera scientifica (attraverso l’induzione) Durkheim utilizza l’etnografia, la storia e la demografia della famiglia. E’ proprio dalle analisi dei dati messi a disposizione dalla demografia che derivano i saggi sul suicidio e sul divorzio consensuale.
Anche oggi la raccolta dei dati effettuata dall’Istat sulle separazioni e i divorzi in Italia, di cui parleremo nel seguito, consente di individuare i mutamenti avvenuti nel corso degli anni.
Ci si chiede, infine, se la famiglia di oggi sia inferiore o superiore a quella di una volta ma non c’è una risposta perché la famiglia di oggi è solo diversa, le circostanze sono diverse ed è più complessa perché l’ambiente è più complesso.
Con la famiglia coniugale sorgono quindi nuovi problemi a causa della sua complessità, uno di questi è l’individualità che ha come conseguenza la fragilità.
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La fragilità familiare nella società moderna
Rischi derivanti dall’introduzione del divorzio consensuale
Abbiamo visto come la fragilità familiare nella società moderna sia stata già trattata da Durkheim nei lavori del 1888 e 1892, ma nel 1906 scrive il saggio “il divorzio consensuale”, questo per rispondere al dibattito scaturito dalla proposta di legge presentata in Parlamento da Paul e Victor Margueritte, circa l’introduzione della modifica alla legge sul divorzio. La riforma prevedeva l’introduzione del divorzio consensuale, ovvero della possibilità di ridurre i tempi della richiesta di scioglimento del matrimonio, favorendo quelle coppie che consensualmente giungevano a questa decisione. Si trattava non solo di ridurre i tempi previsti, ma soprattutto di escludere la discrezionalità del giudice non trattandosi più di divorzio giudiziale. Questa proposta di modifica, ad una legge su cui Durkheim aveva già ampiamente espresso i propri dubbi, lo costringe a ribadire la grave preoccupazione che nutre in merito a questa proposta, tanto da doverne spiegare le ragioni in questo saggio.
In Francia la legge sul divorzio era presente da più di 30 anni, e Durkheim non la contesta, ma questa prevedeva solo casi come ad esempio il tradimento o le ingiurie e si configurava quindi come divorzio giudiziale, nelle mani appunto di un giudice che doveva decidere se accordarlo oppure no.
Durkheim crede che l’introduzione del divorzio consensuale avrà delle ricadute pericolose sull’istituto del matrimonio e sulla sua funzionalità sociale.
Separarsi e divorziare è una scelta che i coniugi fanno nel momento in cui vengono meno il senso e le ragioni della loro unione. Né i valori della famiglia né la presenza dei figli possono impedire il verificarsi del venir meno dell’unione. La famiglia coniugale regge sino a quando il nucleo, i coniugi appunto, è in grado di mantenere l’unità e la coesione familiare; venuti meno il senso comunitario della famiglia e le logiche economiche della scelta nulla si può opporre alla deliberazione dei coniugi. Il matrimonio, non riuscendo più a svolgere la propria funzione regolatrice, non sarà più in grado di dare sostegno morale agli uomini e alle donne che vi ricorreranno. Durkheim è molto critico e ribadisce con forza i danni che potranno derivare dalla legge. Elenca ragioni gravi, riferibili soprattutto all’indebolimento ulteriore di quella fragile famiglia coniugale, ormai ridotta nelle dimensioni ed incapace di reagire alle spinte contrarie della società.
Questa nuova proposta appare in un clima culturale tendenzialmente favorevole, con l’opinione pubblica e alcuni letterati schierati da questa parte.
Come abbiamo detto, il nostro Autore è sostanzialmente contrario al divorzio consensuale e il principio ispiratore del suo pensiero lo possiamo trovare ne Il suicidio, dove consapevole che bisognerebbe prima realizzare uno studio approfondito sulle cause della crisi del matrimonio coniugale, afferma che «per il momento dobbiamo solo occuparci dei rapporti tra divorzio e
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suicidio». E’ quindi dal suo fondamentale lavoro del 1897 che parte la sua riflessione, prendendo spunto dalla legge statistica enunciata da Bertillon nel 1882 nei seguenti termini: in tutt’Europa il numero dei suicidi varia come quello dei divorzi. Questa legge viene verificata quando si confrontano sia i diversi paesi d’Europa, gli uni con gli altri, sia le diverse d’uno stesso paese. La Svizzera è un esempio particolarmente significativo. Vi si trovano cantoni di tutte le religioni e di tutte le nazionalità, e si sa che la tendenza ai suicidi varia secondo le confessioni religiose e le popolazioni. Ora, in Svizzera, c’è un fattore che domina le stesse influenze confessionali così come quelle etnico-nazionali; è il divorzio. Sia che si tratti di cantoni protestanti, cattolici o misti, che la popolazione sia francese, tedesca o italiana, dove ci sono più divorzi, ci si uccide di più, dove ci sono pochi divorzi, ci si uccide di meno, e lo stesso parallelismo si ritrova in tutte le gamme intermedie.
Bertillon , quando scoprì e formulò la sua legge, aveva creduto di poter dare una semplice spiegazione: ci sono tanti più divorziati in un paese in cui si trovano più persone incostanti, più nevrotici, più individui dal carattere instabile e irragionevole; poiché l’incostanza e l’instabilità fanno i cattivi sposi, tali caratterialità portano anche al suicidio.
Durkheim questo semplicismo non lo condivide e ne dà spiegazioni nel suo libro Il suicidio.
La funzione sociale del matrimonio
Fondamentale è la distinzione fra i sessi, che riguarda sia i coniugati che no, e che mostra che l’uomo, il maschio, è maggiormente vittima delle spinte suicidogene, inoltre il matrimonio è capace d’esercitare, soprattutto sul sesso maschile, un’influenza morale positiva, di cui beneficiano gli individui stessi.
Qui, specialmente nel capitolo dedicato al “suicidio anomico”, possiamo trovare i collegamenti maggiori, infatti si parla di anomia coniugale, anomia che è intesa come mancanza di norme sociali, ma soprattutto come mancanza di regolazione morale.
Partendo dal presupposto che all’uomo va riconosciuta la naturale debolezza della sua passionalità, istintiva e biologica, questa deve essere contenuta e appunto il matrimonio è il luogo migliore, dove questo può avvenire.
Il concetto che Durkheim ha dello scapolo è che «potendo legittimamente ricercare quel che vuole, aspira a tutto e nulla lo soddisfa. […] Se avviene che si sia percorso tutto il circuito del possibile, si sogna l’impossibile, si è assetati di ciò che non esiste. […] Da tutto ciò risulta lo stato di disordine, di agitazione, di scontentezza che accresce necessariamente la probabilità di suicidio» (Durkheim, 1969, pp. 328-329). Mentre la nubile per Durkheim riesce meglio nella regolazione delle passioni e giungere ad una maggiore stabilità personale.
Per l’autore il matrimonio è «una disciplina dei rapporti tra i sessi che si estende non soltanto agli istinti fisici che il contatto mette in gioco, ma anche ai sentimenti di varia specie che la civiltà, a poco a poco, ha innestato sulla base degli appetiti materiali» (Durkheim, 1969, pp. 327-328).
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Queste passioni «non essendoci nulla nell'organismo atto a contenerle, occorre che siano contenute dalla società» (Durkheim, 1969, pp. 327-328). Quindi la funzione sociale del matrimonio è di regolare la vita passionale, creando un orizzonte chiuso che soprattutto per l’uomo genera stabilità, una felicità data dal mantenimento di un equilibrio.
Ritorniamo all’anomia, Durkheim ne Il Suicidio ci spiega che oltre a derivare da profondi e rapidi cambiamenti economici è anche determinata dalle condizioni dello stato civile, parlando nel 1893 nella Divisione del lavoro sociale dei divorziati e dei vedovi introduce la categoria dell’“ anomia coniugale”, ed è questo specifico caso quello che interessa il saggio del 1906.
Dai dati si determina che gli uomini separati e divorziati sono tendenzialmente più portati al suicidio e questo a prescindere da fattori come religione o appartenenza linguistica, come il caso della Svizzera dimostra, la donna invece sembra essere maggiormente immune a queste spinte e mantenere meglio una propria stabilità personale e familiare.
Le cause che possono portare al suicidio anomico, per Durkheim, sono riconducibili alla perdita dei riferimenti sociali e contemporaneamente nel non averne di nuovi, l’instabilità coniugale rientra quindi in questa problematica sociale, nei Paesi dove vige una legislazione favorevole al divorzio l’istituto del matrimonio viene indebolito e diviene così un “matrimonio minimo” non più in grado di assolvere alla sua funzione stabilizzatrice.
In base ai principi sopra esposti e considerando le tabelle 1 e 2 (slide 1) possiamo esporre la tesi dell’autore che evidenziando attraverso l’analisi dei dati e dei coefficienti di preservazione, che i coniugati si suicidano meno dei celibi/nubili, se ne deduce un effetto calmierante delle spinte suicidogene da parte dell’istituto matrimoniale. Ora considerando le altre due tabelle (slide 2) riguardanti le sole donne, si deduce che quanto detto sopra è praticamente trasportato al solo sesso maschile, infatti al già basso impatto delle donne sul totale si aggiunge che quest’ultime non sembrano essere influenzate dalla condizione della stato civile. Altro dato non irrilevante è che le famiglie con figli mostrano un coefficiente di preservazione maggiore.
Oltre a costatare la maggiore forza del genere femminile rispetto alla fragilità coniugale, Durkheim, non dà una risposta definitiva ma ipotizza varie ragioni fra cui che è «possibilissimo che il matrimonio agisca in senso inverso sul marito e sulla moglie, perché se come parenti hanno gli stessi obiettivi, come coniugi hanno interessi diversi e spesso antagonistici» (Durkheim, 1969, p. 326).
Quindi Durkheim giunge ad alcune conclusioni, partendo dall’affermazione che «l'unico modo di diminuire il numero dei suicidi dovuti all'anomia coniugale è di rendere il matrimonio più indissolubile» (Durkheim, 1969, p. 452) e che in un contesto sociale in cui è possibile il divorzio legale, e che quindi chi si sposa sa di poterlo “non fare” per tutta la vita, questo mina la capacità e il valore del contenimento morale e passionale a cui il “ matrimonio intero ” era deputato.
Infine chiude il lavoro considerando che essendo il matrimonio un contratto che coinvolge anche terzi andrebbero trovati strumenti legislativi in modo che il giudice non sia “disarmato”
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nell’intento di preservare l’istituto matrimoniale nella sua funzione sociale. Strumenti tali da dissuadere “collusioni tra coniugi”, due sposi che vogliono divorziare possono facilmente dare alla loro richiesta un pretesto legale davanti al quale il giudice è obbligato ad inchinarsi, ad esempio quando si simula un adulterio.
Si potrebbe concludere con il seguente quesito: se si riuscisse ad intervenire diminuendo il numero dei suicidi nei mariti, vedremmo crescere quello delle mogli; «è dunque necessario sacrificare uno dei due sessi scegliendo come soluzione il minore dei due mali?» (Durkheim, 1969, p. 453). Certamente no!
L’instabilità coniugale oggi
Separazioni e divorzi in Italia in base all’Istat
La pubblicazione periodica
L'indagine dell’Istat si pone come obiettivo l'effettuazione di un monitoraggio del fenomeno dell'instabilità coniugale ufficializzata attraverso la separazione legale e il divorzio.
La rilevazione avviene a cura dei Tribunali civili attraverso la compilazione di due distinti moduli: uno per i procedimenti di separazione e uno per quelli di divorzio.
La raccolta delle schede compilate viene effettuata con cadenza trimestrale e la pubblicazione della rilevazione è annuale.
Per ogni procedimento esaurito con una separazione e con un divorzio vengono rilevati: aspetti procedurali e giudiziari, provvedimenti economici, sesso, età e affidamento dei figli minori ed alcune notizie di carattere demo-sociale.
Le informazioni raccolte attraverso le due rilevazioni permettono di far luce sulle modifiche strutturali e sulle tendenze emerse negli ultimi anni relativamente al fallimento dei matrimoni formalizzato a seguito di un iter giudiziario, nonché forniscono importanti elementi per studiare le situazioni di rottura dell'unione coniugale e il contesto socio-economico in cui si verificano.
L’ISTAT ha sul proprio sito una specifica sezione tematica dedicata alle separazioni e ai divorzi al seguente indirizzo http://www.istat.it/it/archivio/separazioni+e+divorzi.
L’ultimo report disponibile, relativo all’anno 2012, è stato pubblicato dall’ISTAT in data 23 giugno 2014 all’indirizzo internet http://www.istat.it/it/archivio/126552.
I dati rilevati sono resi disponibili dall’Istituto nella sezione datawarehouse I.Stat all’indirizzo http://dati.istat.it/.
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Commento dei dati rilevati
L’istituzione familiare ha subito grandi cambiamenti, in rapporto all’emergere di nuovi fenomeni demografico-sociali e di nuovi modelli comportamentali, che si presentano con intensità diversa secondo il territorio, le aree culturali e le fasce sociali. Le modifiche riguardano le forme e le strutture familiari: crescono le famiglie ricostituite, i genitori soli e i single non vedovi, le unioni libere.
Tali mutamenti sono stati accompagnati da diversi interventi normativi, tra i quali: la legge sul divorzio, la riforma del diritto di famiglia, la legge sull’adozione e affidamento dei minori, fino alla disciplina inerente l’affidamento condiviso dei figli introdotta nel 2006.
Va evidenziato che negli ultimi anni è possibile avviare la procedura di scioglimento del matrimonio anche in altri paesi della UE con la possibilità che la sentenza emessa all’estero sia poi riconosciuta anche in Italia senza bisogno di altri procedimenti (Istat, 2014, nota n. 2).
L’instabilità coniugale, misurata attraverso il numero di separazioni e divorzi concessi è, negli ultimi anni, in forte aumento. La rottura dell’unione coniugale contribuisce alla diffusione delle seconde nozze e delle famiglie ricostituite composte da almeno una persona che ha vissuto una precedente esperienza matrimoniale, generando, come si è pocanzi detto, nuove tipologie familiari.
Osservando il numero medio di separazioni ufficiali per regione si osserva una distribuzione non omogenea del fenomeno: l’instabilità coniugale risulta maggiore nelle regioni del Centro-Nord rispetto alle regioni del Sud.
Dal raffronto dei tassi rilevati nel 2012 con quelli del 1995 si nota che tale distribuzione è ancora confermata ma va evidenziato che le regioni del Sud presentano un incremento del fenomeno più marcato rispetto a quelle del Centro-Nord: nelle regioni del Sud si è più che raddoppiato!
In generale per ottenere una misura efficace della propensione alla rottura dell’unione coniugale occorre rapportare le separazioni o i divorzi registrati in un anno di calendario all’ammontare iniziale dei matrimoni della coorte di riferimento (anno in cui si sono celebrate le nozze). A partire dalla metà degli anni ‘90 questi indicatori fanno registrare una progressiva crescita della propensione a interrompere una unione coniugale: nel 1995 si verificavano in media circa 158 separazioni e 80 divorzi ogni 1.000 matrimoni, nel 2012 le separazioni sono 311 ed i divorzi 174.
Tuttavia, anche in questo caso si nota un arresto nella crescita della propensione a separarsi e un’inversione di tendenza in quella a divorziare rispetto al 2011.
Dalla lettura dei dati rilevati è possibile far emergere alcuni aspetti interessanti. In particolare si evidenzia che:
➔ la durata media del matrimonio al momento dell’iscrizione a ruolo del procedimento risulta pari a 16 anni per le separazioni e a 19 anni per i divorzi;
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➔ negli ultimi anni si è verificato un aumento dello scioglimento di matrimoni “maturi” (dopo il settimo anno): confrontando i matrimoni celebrati nel 1985 con quelli del 2005, le unioni interrotte dopo sette anni da una separazione sono raddoppiate, passando dal 4,5% al 9,3%;
➔ i matrimoni religiosi presentano una maggiore stabilità: a sopravvivere alla “crisi del settimo anno”: nel 2012, sono 933 matrimoni religiosi su 1.000 celebrati nel 2005 contro 880 su 1.000 matrimoni della stessa coorte celebrati con rito civile;
➔ nelle regioni con forti valori tradizionali si riscontra una maggiore stabilità dell’unione coniugale (si confrontino al riguardo i dati della Lombardia e della Sicilia): altra conferma che «la progressiva adozione di comportamenti meno tradizionali nella formazione della
famiglia sembra incidere anche sulla scelta di porre fine all’unione coniugale» (Istat, 2014, p. 4);
➔ nelle regioni del Sud e nelle Isole il ricorso a procedimenti giudiziali è più alto rispetto al Centro: questo conferma ancora una volta che nelle regioni meno “tradizionali” dove le costrizioni sociali si sono allentate si ricorre di più ad una forma di scioglimento “moderna”;
➔ il titolo di studio dei coniugi sembra incidere sulla scelta del procedimento di separazione, in particolare si rileva che:
● nelle coppie con titolo di studio elevato si ricorre maggiormente al procedimento consensuale;
● le mogli con un titolo di studio alto (titolo universitario) mostrano una maggiore propensione alla separazione: 4,5 per 1.000 contro un valore del 2,0 per 1.000 registrato tra le donne che hanno al massimo la licenza elementare;
➔ la legge 54/2006, che ha introdotto come modalità ordinaria l’istituto dell’affidamento condiviso dei figli minori tra i coniugi, ha chiaramente modificato la situazione relativa alla scelta di affidamento dei figli minori in caso di separazione (in precedenza risultava essere maggiormente adottata quello esclusivo alla madre), falsando così la rilevazione. Dai dati rilevati emerge comunque un dato significativo: l’età del minore non sembra mostrare una particolare influenza sulle scelte dei coniugi e del giudice con riferimento alla tipologia di affidamento;
➔ la stessa legge sull’affido condiviso non sembra invece aver inciso sulla distribuzione dell’assegnazione della casa ai coniugi che è rimasta abbastanza stabile nel tempo;
➔ per quanto riguarda il riconoscimento del mantenimento economico è interessante notare che non sempre quando ci sono figli affidati viene corrisposto un contributo economico da parte dei genitori: nel 16,7% dei casi, infatti, l’assegno non è previsto (era circa il 12% nel 2010).
La famiglia nel pensiero di Durkheim 13
Conclusioni
Il nostro autore nel saggio “Il divorzio consensuale” paventava il rischio che l’introduzione del procedimento consensuale (con l’abdicazione dello Stato al ruolo di protettore dell’istituzione) potesse provocare un indebolimento della famiglia coniugale: tale previsione sembra confermata dai numeri attuali delle separazioni e dei divorzi!
L’idea dell’autore che l’intervento dello Stato avesse un forte impatto nei rapporti tra persone e tra persone e cose all’interno della famiglia coniugale risulta evidente nel caso della norma che ha stabilito l’affidamento condiviso dei figli minori.
Il nostro autore chiude il saggio “La famiglia coniugale” asserendo che «la tendenza non è di fare di ogni matrimonio un'unione libera, ma di fare di ogni unione, anche libera, un matrimonio, anche se inferiore»: la nascita di nuove tipologie di famiglia (convivenze, patti di solidarietà) evidenziano il tentativo da parte della società di regolare nuove forme di unioni basate non più sul contratto matrimoniale ma su altri tipi di contratti con maggiori caratteristiche di flessibilità. La tendenza dello Stato di normare, con forme di contratto più o meno rigide, tutte le unioni libere resta quindi confermata.
La famiglia nel pensiero di Durkheim 14
Bibliografia di riferimento
Censi A., 2014, Famiglia e sociologia - Dai classici al pensiero contemporaneo, Pearsons Italia, Milano.
Censi A., 2013, Percorsi di socializzazione e identità, FrancoAngeli, Milano.
Durkheim E., 1969, Il Suicidio, UTET, Torino.
Durkheim E., 1999, Per una sociologia della famiglia, Citarrella F. (a cura di), Armando, Roma.
Durkheim E., 2009, Il divorzio consensuale, Fornari S. (a cura di), Armando, Roma.
Istat, 2014, Separazioni e divorzi in Italia - Anno 2012, Istituto nazionale di statistica, Roma.
La famiglia nel pensiero di Durkheim 15
Appendice
1. Grafici delle tabelle del saggio “il divorzio consensuale”
2. Presentazione del Report ISTAT “Separazioni e divorzi in Italia” (dati al 2012)
3. Collegamenti con il film “La Famiglia” di Ettore Scola (1987)
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suicidi per un milione di coniugate
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Da 30-40
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Da 40-50
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Da 50-60
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Da 60-70
anni
Da 70-80
anni
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Collegamenti con il film “La Famiglia” di Ettore Scola (1987)
La visione sociologica di Emile Durkheim sulla famiglia, per vastità, qualità e direi anche per lungimiranza lo fa considerare il maggior “classico” iniziatore della sociologia della famiglia.
L’idea-madre è che la famiglia procede dalla forma del “clan esogeno amorfo” (la tribù che cerca le sue spose al di fuori di se stessa) alla moderna famiglia nucleare ristretta (che nel nostro caso è la famiglia coniugale) attraverso un processo di riduzione progressiva che è conosciuta come “legge di contrazione progressiva” della famiglia.
Questa legge la possiamo in qualche modo riscontrare nel film dove appunto si parte con la famiglia allargata ai figli, zii e nipoti (compresa la governante, cosa non di poco conto nella storia) tutti conviventi nella stessa casa.
Certo il tempo considerato è ristretto, solo otto decadi, ma la finzione cinematografica lo rende bene e in maniera plausibile.
Si evidenzia anche l’aspetto della famiglia patriarcale, e della relativa perdita di importanza del ruolo paterno attraverso le generazioni, il regista in un intervista del 27 luglio 1986 su “La Stampa”, dal titolo “Famiglia all’italiana” la definisce come “il luogo della separazione dagli altri e della rinuncia degli ideali, di una complicità malsana; un luogo di vigliaccherie, di riflussi, di astensione dalle responsabilità; il luogo deputato degli egoismi di sangue. Proprio questa ha determinato la fine della vecchia famiglia patriarcale; ed è un bene che sia morta.”
Infine le diverse tipologie di famiglia che attraversano la narrazione mostrano come la fragilità coniugale sia più di una teoria di Durkheim, concetto che vale anche per ciò che è detto nel saggio sul divorzio consensuale, ma questa è una mera evidenza.