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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 9 FEBBRAIO 2014 NUMERO 466 CULT La copertina MARIO PERNIOLA e GABRIELE ROMAGNOLI Icona ribelle Perché piace la figura dell’oppositore Il libro GIANCARLO DE CATALDO I colpevoli smascherati nel romanzo delle stragi All’interno Straparlando ANTONIO GNOLI Il teatro RODOLFO DI GIAMMARCO “Non si sa come” Pirandello si trasforma in graphic theatre La serie WALTER SITI La Poesia del mondo L’amore di Pasolini per la madre Arturo Brachetti “La mia casa delle meraviglie” Spettacoli MAURIZIO CROSETTI L’Atleta di Lisippo sta per finire il suo lungo viaggio L’attualità JENNER MELETTI R imarreste stupiti se veniste a sapere di essere sospet- tati di terrorismo? Forse ricorderete quell’ambienta- lista fanatico, Unabomber. Rabbioso, spietato, certo di essere nel giusto, intelligente ma fatalmente inca- pace di mantenere il senso delle proporzioni e di di- stinguere. Ripugnante. Le sue lettere bomba otten- nero come unico risultato quello di creare paura, dolore, odio. Quando lo catturarono, fui tutt’altro che dispiaciuto. Bene. In seguito a un mio ricorso un giorno ho finalmente ricevu- to il mio fascicolo Fbi (due faldoni di carte messe alla rinfusa, più un mucchio di duplicati) e ho scoperto di essere stato l’indiziato nu- mero S-2047 proprio per il caso Unabomber: «S-2047 William T. Vol- lman. Basato su segnalazione di un cittadino. Le indagini hanno ap- purato che Vollman, scrittore di professione, ha viaggiato molto: i da- ti disponibili sui suoi viaggi, tuttavia, non lo eliminano dalla lista dei possibili indiziati». (segue nelle pagine successive) WILLIAM T. VOLLMANN U n tempo, molto tempo fa, era un onore, addirittura un privilegio, avere un faldone con il proprio nome in qualche archivio dell’Fbi, della Cia, della Dia, del Dipartimento di Stato, della Nsa e dell’altra dozzina di agenzie governative americane che si sgomitano per la mia sicurezza e per il loro stipendio. Ho semi- nato troppe impronte digitali per pass e badge, fissato rancorosa- mente troppi obbiettivi per foto tessera, riempito troppi formulari per visti e cittadinanza, scritto e detto troppe parole per non sapere che qualcuno, dall’altra parte dello specchio trasparente, mi ha ascoltato, guardato, investigato e poi, a differenza di Vollmann, ignorato e scartato come una perdita di tempo. Ti assaliva un piccolo brivido di orgoglio quando, negli anni felici dei dossier cartacei e dei coccodrillini sulle linee telefoniche di rame, avvertivi il clic seguito da una perdita di segnale quando comincia- va l’intercettazione. (segue nelle pagine successive) VITTORIO ZUCCONI DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI Franco Maria Ricci “Geologo fallito mi sono dedicato alla bellezza” Il giorno in cui ho scoperto di essere un terrorista L’Fbi iniziò a spiarlo nel ’95 e non ha ancora smesso Uno scrittore americano racconta come è facile diventare l’eterno sospettato WILLIAM T. VOLLMANN Repubblica Nazionale

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 9 FEBBRAIO 2014

NUMERO 466

CULT

La copertina

MARIO PERNIOLA

e GABRIELE ROMAGNOLI

Icona ribellePerché piacela figuradell’oppositore

Il libro

GIANCARLO DE CATALDO

I colpevolismascheratinel romanzodelle stragi

All’interno

Straparlando

ANTONIO GNOLI

Il teatro

RODOLFO DI GIAMMARCO

“Non si sa come”Pirandellosi trasformain graphic theatre

La serie

WALTER SITI

La Poesiadel mondoL’amore di Pasoliniper la madre

Arturo Brachetti“La mia casadelle meraviglie”

Spettacoli

MAURIZIO CROSETTI

L’Atleta di Lisipposta per finireil suo lungo viaggio

L’attualità

JENNER MELETTIR

imarreste stupiti se veniste a sapere di essere sospet-tati di terrorismo? Forse ricorderete quell’ambienta-lista fanatico, Unabomber. Rabbioso, spietato, certodi essere nel giusto, intelligente ma fatalmente inca-pace di mantenere il senso delle proporzioni e di di-stinguere. Ripugnante. Le sue lettere bomba otten-

nero come unico risultato quello di creare paura, dolore, odio.Quando lo catturarono, fui tutt’altro che dispiaciuto.

Bene. In seguito a un mio ricorso un giorno ho finalmente ricevu-to il mio fascicolo Fbi (due faldoni di carte messe alla rinfusa, più unmucchio di duplicati) e ho scoperto di essere stato l’indiziato nu-mero S-2047 proprio per il caso Unabomber: «S-2047 William T. Vol-lman. Basato su segnalazione di un cittadino. Le indagini hanno ap-purato che Vollman, scrittore di professione, ha viaggiato molto: i da-ti disponibili sui suoi viaggi, tuttavia, non lo eliminano dalla lista deipossibili indiziati».

(segue nelle pagine successive)

WILLIAM T. VOLLMANN

Un tempo, molto tempo fa, era un onore, addiritturaun privilegio, avere un faldone con il proprio nomein qualche archivio dell’Fbi, della Cia, della Dia, delDipartimento di Stato, della Nsa e dell’altra dozzinadi agenzie governative americane che si sgomitanoper la mia sicurezza e per il loro stipendio. Ho semi-

nato troppe impronte digitali per pass e badge, fissato rancorosa-mente troppi obbiettivi per foto tessera, riempito troppi formulariper visti e cittadinanza, scritto e detto troppe parole per non sapereche qualcuno, dall’altra parte dello specchio trasparente, mi haascoltato, guardato, investigato e poi, a differenza di Vollmann,ignorato e scartato come una perdita di tempo.

Ti assaliva un piccolo brivido di orgoglio quando, negli anni felicidei dossier cartacei e dei coccodrillini sulle linee telefoniche di rame,avvertivi il clic seguito da una perdita di segnale quando comincia-va l’intercettazione.

(segue nelle pagine successive)

VITTORIO ZUCCONI

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Franco Maria Ricci“Geologo fallitomi sono dedicatoalla bellezza”

Il giornoin cuiho scopertodi essereun terrorista

L’Fbi iniziòa spiarlo nel ’95e non ha ancora smessoUno scrittoreamericanoraccontacome è facilediventarel’eternosospettato

WILLIAM T.VOLLMANN

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LA DOMENICADOMENICA 9 FEBBRAIO 2014

asato sulla segnalazione diun cittadino»: sì, sono statodenunciato da un mio concittadino, una persona che ha espostola propria tesi sottoponendo all’Fbi, fra le altre cose, cinque deimiei libri. Chi potrà essere stato questo patriota? Come disseSteinbeck: «Il desiderio e la voglia di spiare, denunciare, minac-ciare e punire non sono una tendenza americana, ma un ragguar-devole numero di americani ne è affetto». Questo tizio, che d’orain poi chiamerò lo Spione, dev’essersi dato molto da fare, consi-derando che «ha creato un “fascicolo” su VOLLMANN che ha con-segnato agli investigatori e che consiste in 27 allegati qui acclusi».

Inizialmente, non ho paura ad ammetterlo, ero elettrizzato peril fatto di avere qualcosa di nuovo da riferire ai miei amici. Nessunaltro della nostra cerchia era mai stato scambiato per Unabomber.Le loro espressioni di stupore solleticavano la mia vanità, quasi fi-nivo per credere di essere qualcuno di importante. Di lì a poco peròho cominciato a sentirmi offeso, e quando ho scoperto che mi te-nevano sotto osservazione da anni, che avevano addirittura mes-so sotto sorveglianza la mia casa, mi sono sentito — come dice lagente quando gli entra un ladro — violato.

Perché lo Spione è andato a denunciarmi, e perché hanno spe-so i soldi dei contribuenti per tenermi sotto sorveglianza da allo-ra? Perché una persona il cui nome è stato cancellato, o lo Spionestesso o il funzionario dell’Fbi di New Haven (New Haven d’ora in

poi nel testo,ndr) da cui andò a spifferare isuoi segreti «ha sottolineatoche le tematiche anticresci-ta e antiprogresso sonouna costante in tutto il la-voro di VOLLMANN».

Questa mi giungeva nuova.Nei miei romanzi storici su amerindi ed

europei certamente ho espresso la mia tristez-za per la violazione dei Trattati e il genocidio, ma que-

sto significa essere «antiprogresso»? Lo Spione mi ha denun-ciato alle autorità sulla base del contenuto dei miei romanzi e rac-conti (nessuna delle mie opere di saggistica compare fra i testiprodotti): in pratica, era una questione di critica letteraria.

Ma l’Fbi aveva anche un altro elemento plausibile contro di me,o almeno così pensavano: «Anche se l’aspetto di VOLLMANN va-ria negli anni, New Haven nota una forte somiglianza fisica con gliidentikit di UNABOMBER». Se assomigliavo a come doveva esse-re secondo loro Unabomber, dovevano osservarmi molto atten-tamente. Quanto fosse forte questa somiglianza, lascio a voi giu-dicare. Mi radevo solo quando mi andava; e nel famoso identikit,anche Unabomber ha la barba non fatta. Indossa occhiali scuri;io a volte indossavo occhiali da sole.

E ora sentite un po’ cosa dice un informatore, presumibilmen-te lo Spione: «Suggerisce che VOLLMANN ha un desiderio di mor-te [.?.?.] Quando aveva nove anni, la sorella più piccola di VOLL-MANN (sei anni) sarebbe annegata in una pozza nel cortile di ca-sa, nel New Hampshire, mentre lui era incaricato di sorvegliarla. Ilsenso di colpa originato da quell’episodio potrebbe aver avuto uneffetto profondo su VOLLMANN».

In un’altra versione, raccontano così la mia storia: «Era un ra-gazzino debole e timido, tormentato dai bulli, che forse ora si staprendendo la sua rivincita».

Si sottolinea anche che avevo frequentato il Deep Springs, uncollege esclusivo, e che mi ero diplomato summa cum laude allaCornell. Di qui il commento di New Haven: «Individui così bril-lanti sono capaci quasi di qualsiasi cosa, anche di rimanere nel-l’ombra per diciassette anni». Questa osservazione mi ha riempi-

to d’or-goglio, come anche la se-

guente: «A detta di tutti, VOLLMANN è straor-dinariamente intelligente e dotato di un ego smisurato». Altro ma-teriale per i testi promozionali per il mio prossimo libro, per gen-tile concessione di New Haven: «Gode a immergersi nel lato sor-dido dell’esistenza. Avrebbe fatto largo uso di droghe (crack). Sa-rebbe in possesso di numerose armi e di un lanciafiamme». (Mipiacerebbe possedere un lanciafiamme). «La natura meticolosadi VOLLMANN, come descritto in precedenza, è coerente con la ma-nifattura e l’aspetto esterno degli ordigni di UNA-BOM. Diversi te-stimoni hanno commentato che i pacchi di UNA-BOM appariva-no “impeccabili”, “troppo belli per aprirli”». E adesso il gran fina-le: «Quante sfide rimangono per WILLIAM T. VOLLMANN? Atten-tati esplosivi seriali, forse? Come strumento per cambiare il mon-do?». E così, l’11 maggio 1995, aprirono un fascicolo indiziario tut-to per me.

Ci sono delle volte che New Haven prende le fattezzedi uno zio benevolo, specialmente nel mio periodoUnabomber; mi sta abbastanza simpatico, comequando si meraviglia di tutte le esperienze che hofatto nella mia (allora) breve vita. In altri momenti,però, scava nelle mie tragedie private in un modo

che trovo sgradevole. Confesso di essermi sentito molto offesoquando ho letto il suo resoconto sulla morte dei miei colleghi inBosnia, nel 1994: «Subito dopo l’attacco trascina i corpi dei due cor-rispondenti morti per terra e scatta foto esplicite dei cadaveri». Inrealtà tirai fuori i miei amici dall’auto perché speravo che fosseroancora vivi e potessero essere salvati: dopo pensai che se ci fossestata un’inchiesta sulla loro morte, per aiutare la “giustizia” o ma-gari per dare pace ai loro cari, delle foto sarebbero state utili. (Inseguito pubblicai le foto meno macabre fra quelle che avevo scat-tato: ero un corrispondente di guerra, e quello a cui avevo assisti-to era un atto di guerra). Sono orgoglioso di aver avuto la presen-za mentale per fare quelle foto, nonostante lo shock e il dolore. Do-po aver letto quel passaggio ho provato il desiderio di sedermi aun tavolo con il mio agente segreto di New Haven, offrirgli da be-re e dirgli: «È così che è andata in realtà. Per questa volta passi, macerca di essere più rispettoso con gli altri tuoi indiziati». Ma NewHaven aleggia intorno a me come un fantasma che infesta il miotelefono e la mia casella di posta, non si materializza mai in un es-sere in carne e ossa al pari mio.

La copertina

Io, Unabomber(secondo l’Fbi)

WILLIAM T. VOLLMANN

(segue dalla copertina)

«B

William T. Vollmannha letto il fascicolo che il Bureautiene aperto su di luida quasi vent’anni Sospettandolo di tutto,11 settembre inclusoEcco il surrealeracconto della sua vitainventata da altri

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DOMENICA 9 FEBBRAIO 2014

Unabomber fu catturato nell’aprile del 1996. Più diun mese dopo, il 22 maggio 1996 l’ufficio Fbi diChicago interruppe le indagini preparatorie su dime. Significa che ero stato scagionato? O sempli-cemente che Chicago con me aveva finito?Nel 1990, senza un mandato, l’Fbi aveva fatto ir-

ruzione nella casa del fotografo Jock Sturges, sospettato di esse-re in possesso di materiale pedopornografico. Ventidue anni do-po gli ho telefonato. Lui mi ha detto: «Mi ricordo un momento, lìnell’aula di giustizia (che è un po’ un ossimoro), quando mi re-stituirono le mie cose, portandole dentro un carrello. Le mie fo-to erano tutte schiacciate — credo di averne salvata una sola — eil mio computer era distrutto. Io ero incazzatissimo. Il mio avvo-cato dovette trattenermi, pretesi di parlare con il procuratore ge-nerale. Lui disse: “Di che si lamenta questo tizio? Il sistema hafunzionato”. Il sistema ha funzionato, va bene, ma il problema èche ne esci distrutto. Gli incubi, la paranoia ogni volta che le po-ste perdono qualcosa… Mi è costato centomila dollari avere ache fare con tutti questi avvocati. A un certo punto hanno co-minciato daccapo a interrogare tutti quanti su di me. Io ho chie-sto: “Ma perché stanno facendo questo?”. Il mio avvocato mi hadetto che su di me avevano speso probabilmente un paio di mi-lioni di dollari. È venuto fuori che avevano perso il mio fascicolooriginale. Perché lo avevano perso? Perché mi scagionava».

Quand’è che un’indagine legittima si tramuta in vessazione?Non è successo nel mio caso, o perlomeno non ancora. Ma se ilfratello di Unabomber non lo avesse denunciato, forse non loavrebbero mai catturato (non era fra gli indiziati). Naturalmen-te lui alla fine è stato arrestato, processato e condannato (si di-chiarò colpevole nel 1998), mentre io sono ancora a piede libero.Ma ciò vuol dire che «il sistema ha funzionato?».

Come scrisse Steinbeck a proposito del Ku KluxKlan: «Il totem ha certe regole, quasi delle leggi na-turali. Dev’essere segreto, esclusivo, misterioso,crudele, timoroso, pericoloso e mostruosamenteignorante». A mio parere questo descrive perfet-tamente, ancor più che la mentalità dei docu-

menti precedenti, le procedure a cui io e due mie accompagna-trici siamo stati sottoposti alla frontiera di Calexico nel 2002 enel 2005, cioè a distanza di anni dalla cattura e condanna diUnabomber. La prima volta ci trattennero per un paio d’ore. Auno degli agenti non piaceva la mia espressione e me lo dissepiù volte. Gli altri con cui avemmo a che fare più che sgarbatierano indifferenti, senza sentimenti. Probabilmente erano abi-tuati a separare famiglie, far piangere bambini: è così che si gua-dagnano da vivere. Noi, per loro, non eravamo nulla. Quandofinalmente si procurarono qualche informazione o altro su dime — all’epoca pensai che fosse l’elenco dei miei andirivieni in-ternazionali, ma ora che ho letto il fascicolo dell’Fbi ho un’ideaun po’ più chiara — una poliziotta disse, sgomenta, «Sembra unromanzo!», facendomi ingenuamente inorgoglire per tutti imiei viaggi. Quando ci rilasciarono, pensai che si fosse trattatodi un errore in buona fede. Nel 2005 furono più sgradevoli. Citrattennero per quasi sette ore.

Pensavo comunque di essere uscito anche da quell’episodioscagionato da ogni sospetto. Il mio fascicolo, che include do-cumenti dell’Ice, il servizio di immigrazione e controllo dellefrontiere del governo degli Stati Uniti, racconta però un’altrastoria. Il 14 gennaio 2005, il giorno dopo il fermo di sette ore aCalexico, un agente speciale di El Centro, California, spedì unpromemoria a Sacramento, San Diego e San Francisco. Il titoloera «INFORMAZIONE SU ATTIVITÀ TERRORISTICHE». Osser-vava che ero stato un «indiziato nel caso Unabomber» e dopoun rettangolo di testo cancellato compariva l’inquietante pa-rentesi «caso pendente». Dal momento che eravamo già stati ri-lasciati, posso concluderne soltanto che avessero deciso dispiarci e vedere che cosa facevamo poi. Dai documenti che mihanno consegnato, nulla sembra indicare che si fossero resiconto che eravamo due persone innocue e avessero deciso dichiudere la faccenda. Forse questo spiega il disgusto o la rilut-tanza del capo della stazione di polizia, che all’epoca interpre-tai come semplice arroganza, quando gli porsi la mano: ai suoiocchi, noi non eravamo per nulla innocenti. Da quella INFOR-MAZIONE SU ATTIVITÀ TERRORISTICHE ho capito che peressere sospettati è sufficiente essere stati sospettati ingiusta-mente in passato.

Il promemoria era accompagnato da un foglietto con diversecancellazioni, recante la data del 13 gennaio 2005, il giorno in cuieravamo stati fermati. Comincia a metà frase e cita un libro cheho scritto sui miei viaggi in Afghanistan insieme ai mujaheddin,e dopo osserva che un’informatrice di sesso femminile (il nomeè cancellato) ha «dichiarato che VOLLMANN l’8 maggio 2002 leha mostrato una copia di una patente californiana […]». Il restoè cancellato. La cosa inquietante in questo caso è la data. Una-bomber era stato spedito in galera sei anni prima: a quanto pa-re l’Fbi continuava a interrogare la gente sul mio conto. E per co-sa potevo essere indiziato nel maggio del 2002? Una possibilità— che stessero valutando mie eventuali implicazioni nell’11 set-tembre — non posso escluderla, dato che fra gli altri documen-ti dell’Ice (stampati alle ore 6.07 del giorno in cui eravamo statifermati) trovo un’indicazione che dice: «Il 1° maggio 2002, l’a-gente federale speciale [cancellato] ha interrogato DOB», epoi tutto cancellato fino a «William VOLLMANN». Il nu-mero identificativo dell’inchiesta è cancellato, natural-mente, ma il titolo lo hanno lasciato: «INCHIESTA AME-RI-THRAX 184». Ero salito di livello: da indiziato per il ca-so Unabomber a indiziato per l’antrace.

Le lettere all’antrace arrivarono poco dopo l’11 set-

tembre. Cinque persone morirono e diciassette si ammalaro-no. All’epoca un mio amico entrò quasi nel panico perché lescorte dell’antidoto, la ciprofloxacina, erano limitate. Volevaprocurarsi a tutti i costi una bottiglia formato famiglia, per ognieventualità. Ricordo di aver creduto, come i miei vicini, chequelle lettere avvelenate fossero state spedite da al-Qaida. Evi-dentemente avrei dovuto sospettare di me stesso.

Grazie alla causa che ho intentato sulla base della legge sulla li-bertà d’informazione alla fine sono riuscito a ottenere qualcheinformazione in più sulla faccenda. Obbligato a rispondere da untribunale, l’Fbi ha rimandato fino all’ultimissimo secondo e poi,come la Cia, ha presentato istanza di summary judgment controdi me senza possibilità di appello o di ricorso. A differenza dellaCia, però, l’Fbi non poteva semplicemente rifiutarsi di mostrar-mi tutti i dati su Vollmann che aveva accumulato. Il capo della Se-zione divulgazione dei documenti e informazioni della Divisio-ne gestione documenti di Winchester, in Virginia, un certo Da-vid M. Hardy, che viene dalla Marina, è stato costretto a deposi-tare una «dichiarazione» di trentanove pagine relativa a quelloche mi stava nascondendo e perché. Fra i pochi dettagli interes-santi di questo documento c’era la notizia che anni dopo la de-nuncia ai miei danni presentata dallo Spione, qualche altro bra-vo cittadino aveva telefonato allo show televisivo America’s Mo-st Wanted per fare lo stesso, e a seguito di quella chiamata «l’Fbiaveva contattato la persona in questione per ottenere informa-zioni aggiuntive». Suppongo che la persona interrogata fosse ladonna che avevano interpellato riguardo al mio libro sull’Afgha-nistan. Sono abbastanza sicuro di sapere chi sia. Sono deluso dalei, avrei pensato che mi conoscesse meglio, ma la perdono:«Questa fonte ritiene che la calligrafia del ricorrente assomiglia aquella contenuta nelle lettere all’antrace».

In ogni caso anche adesso mi stanno addosso. O è questoo il servizio postale americano è diventato una vera schi-fezza. Sono anni che le lettere da altri Paesi mi arrivanoaperte, e a volte non arrivano proprio. Una volta le copieomaggio del mio editore francese sono arrivate con ildorso di ogni copia tagliato di netto: le ho buttate nella

spazzatura. Una bozza di questo articolo è arrivata con la bustaaperta e richiusa con lo scotch.

Non sono un indiziato particolarmente facile da sorvegliare,ho scoperto. Rebecca Jeschke, direttrice delle relazioni con imedia della Electronic Frontier Foundation, un’organizzazio-ne con sede a San Francisco che si batte per la tutela della pri-vacy, una volta mi disse: «La mia idea è che ci sono molti menodati in circolazione su di te che su altre persone. Se pensi allascia di dati che ti lasci dietro nel mondo, se non usi una carta dicredito e non hai un cellulare ne fai di strada». Eppure sono giàdiversi anni che sento vari rumorini ed echi al telefono, cosa chenon mi era mai capitata negli Stati Uniti, mentre mi era capita-ta a Belgrado, Kabul, Bagdad. Certo, questi fenomeni potreb-bero essere dovuti unicamente al degrado delle linee di telefo-nia fissa. È possibile. Ma come mi ha spiegato un investigatoreprivato: «Una volta che sei stato indiziato e sei nel sistema, nonne esci più. Ogni volta che c’è un’inchiesta sul terrorismo, il tuonome salterà fuori».

Quando è arrivato il mio fascicolo dell’Fbi, invece diessere inorridito ho avvertito semplicemente undeprimente senso di spossatezza. C’era un tempoin cui credevamo in un certo concetto chiamato«processo con una giuria». Forse ne avrete sentitoparlare. Tre aspetti di questa pittoresca procedura

mi sembrano particolarmente significativi: il primo è che l’im-putato doveva essere giudicato da suoi pari, e non da qualchefunzionario misterioso; il secondo è che aveva il diritto di guar-dare in faccia il suo accusatore, o qualcuno che lo rappresenta-va; il terzo è il fermo ammonimento impartito dal giudice ai do-dici cittadini seduti tra i banchi della giuria: «L’imputato è inno-cente fino a che non sia dimostrata la sua colpevolezza».

Io sono stato accusato in segreto. Io sono stato spiato. Conogni probabilità lo sono ancora, considerando questa interes-sante ammissione: «Sono state prese in esame 785 pagine di do-cumenti e sono state consegnate all’interessato 294 pagine». Nonho avuto nessun risarcimento.

Certo, io non sono una vittima: non è per me che mi preoccu-po, è per l’American Way of Life. Mentre questo articolo va instampa, gli americani continuano a scuotere la testa di fronte al-le nuove rivelazioni sulla diffusione dei metodi di data mining ela generalizzazione quasi universale delle intercettazioni te-lefoniche.

Se qualcuno mi dimostrerà in modo accurato e dettagliatoperché era necessario che venissi tenuto sotto sorveglianza, for-se per il resto della mia vita potrei riuscire ad accettare queste in-vasioni della mia privacy in nome del bene comune. Lo scopopresunto di questa sorveglianza è proteggere noi, e le nostre li-bertà, dai terroristi. Quello che resta incerto, perché segreto, èquanto pericolosi siano al momento i terroristi, e in che misura

si possano minare i diritti e le li-bertà per salvarci da costoro.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

© 2013 by Harper’s MagazineAll rights reserved

Reproduced from the September issue

by special permission

(segue dalla copertina)

n’emozione scomparsa con l’avvento dicomputer, microonde e fibra ottica, che per-mettono di ascoltare tutti in silenzio, come fa

la Nsa, e dunque di non ascoltare nessuno. Essere indagati da un tentacolo di quel polipo del-

la sicurezza, dello spionaggio e del controspionag-gio americani aggiungeva, alla mostrina della pro-pria presunta importanza, il senso di essere comun-que parte di una biblica battaglia fra le forze del Be-ne (noi) e le forze del Male (loro). Vivere in America,diventare americani significava anche accettare difare la propria parte involontaria, come oggetto disorveglianza, non come attore, di questa lotta. Esa-geravano, con le loro indagini, ma in fondo in fondo,ci si consolava, lo fanno anche per me, per proteg-germi da chi volesse distruggere l’American Way ofLife, e spegnere la luce nella “luminosa città sulla col-lina” come Ronald Reagan definiva gli Stati Uniti.Quando le cimici del Kgb nel mio appartamento diMosca captavano la vita della mia famiglia, sapevoche lo facevano per attaccarci. Quando gli agentidell’ Fbi o della Cia frugavano nella mia vita sapevo— o speravo — che lo facessero per difendermi.

Poi sarebbero arrivate le follie demenziali degliesportatori della democrazia a cannonate e a missi-late create dalla psicosi post 11 settembre e dalla set-ticemia della paranoia. Avremmo visto la foto di AbuGrahib, i droni, Guantanamo, Assange e Snowden,l’invadenza onnivora della Nsa e dei suoi fratellastrie sorellastre, la ottusità dei fabbricanti di armi priva-te, a insinuare il dubbio che si potesse essere orgo-gliosi di essere americani, ma non sempre. Che mol-ti vicoli bui e mal frequentati ci fossero in quella “cittàluminosa” e dunque la superiorità morale e civiledell’America, schiacciante nei confronti dell’indi-scusso Impero del Male, fosse non più assoluta, co-me avevano creduto generazioni, ma relativa.

Ora che il mio faldone polveroso si è metamorfiz-zato in un asettico file di computer, al quale sarà au-tomaticamente aggiunto, senza neppure la grazia diun intervento umano, anche questo pezzetto, ci sideve accontentare di pensare, da americani: menomale che gli altri sono peggio.

The American Way

VITTORIO ZUCCONI

U

L’AUTORE

Nato a Los Angeles, 55 anni, scrittore

e giornalista, nel 2005 William

T. Vollmann ha vinto il National Book

Award con Europe CentralIl suo ultimo libro pubblicato in Italia

è La zona proibita (Mondadori, 2012

trad. Gianni Pannofino)

I DOCUMENTI

A sinistra, alcuni fogli contenuti nel fascicolo dell’Fbi su Vollmann

Accanto alla foto dello scrittore anche un identikit di Unabomber

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA■ 30

DOMENICA 9 FEBBRAIO 2014

Fu trovata cinquant’anni fa sul fondo del mare AdriaticoDa allora la statua greca di Lisippo ne ha fatta di strada:da un campo di cavoli vicino a Fano a una nave direttain Brasile, da una bottega di Monaco al Getty di MalibùTra pochi giorni sapremo se potràfinalmente tornare a casa

L’attualitàOdissee

FANO

«Era seduto pro-prio lì, RomeoPirani, coman-dante del pe-

schereccio “Ferri Ferruccio”. Sul diva-no dove adesso è seduto lei. Io gli mo-strai la prima e unica foto della statuatrovata in mare ventuno anni prima,ancora coperta dalle incrostazioni, e luidisse: “È lia, è lia”, è lei, è lei. Al mio fian-co c’era il procuratore della RepubblicaGaetano Savoldelli Pedrocchi. Avven-ne qui, nel mio salotto, alla fine del 1985,il primo incontro fra la magistratura e ipescatori che il 14 agosto 1964 avevanotrovato una statua bellissima davanti almare di Fano. Per la prima volta non siparlava più di una leggenda. C’era laprova che una statua era stata trovatadavvero. E si poteva partire da lì per ri-costruire il suo viaggio in mezzo mon-do». Alberto Berardi, classe 1943, pro-fessore di italiano e storia alle superiorie di storia del teatro all’università di Ur-bino, è l’uomo che ha cercato la statua— sarà chiamata poi l’Atleta Vittoriosoo l’Atleta di Fano, opera del grande scul-tore e bronzista greco Lisippo — comefosse un figlio perduto. «Un figlio da ri-portare a casa, perché è figlio nostro, diFano e dell’Italia». L’Atleta oggi è anco-ra lontano, nel Paul Getty Museum diMalibù, in California. La magistratura

italiana ne ha ordinato la confisca e il ri-torno in Italia, il museo ha fatto ricorsoin Cassazione e la Corte deciderà il 28febbraio.

«Mi prendevano in giro — racconta ilprofessore — quando cercavo di capirese la storia della statua fosse verità o leg-genda. Nel 1985 ero stato nominato as-sessore alla cultura, qui a Fano. Del ri-trovamento avevo sentito parlare maquando chiedevo informazioni la rispo-sta era sempre la stessa: lascia perdere, èpassato tanto tempo e poi in mare chitrova porta a casa. E nel nostro mare tan-ti “portavano a casa”. I pescatori, con lereti a strascico, tiravano su decine, cen-tinaia di anfore, e i fanesi, offrendo loroun bottiglione di rum o di cognac, siprendevano l’anfora e la mettevano nelloro giardino. Io stesso ho trovato ungiorno una spada picena e tutti si sonomeravigliati perché, invece di metterlasotto vetro in salotto, l’ho consegnata al-la Sovrintendenza».

Ci vogliono anni per ricostruire i pri-mi passi dell’Atleta. «Sul peschereccio“Ferri Ferruccio”, all’alba di quel 14agosto di cinquant’anni fa, ci sono il co-mandante Romeo Pirani, il motoristaDerno Ferri, il mozzo Athos Rosato e imarinai Durante Romagnoli, Valenti-no Caprara e Nello Ragaini. Portano ariva la statua coperta da incrostazioni diconchiglie e con un carretto la portanoa casa della proprietaria della barca, Va-lentina Magi. La nascondono in un sot-toscala. Qualcuno sa che in mare è sta-

ta trovata una «cosa» importante, la vo-ce comincia a girare fra i collezionisti. Eallora, su una Fiat 600 Multipla, l’Atletaviene portato a pochi chilometri, a Car-rara di Fano, e lì sepolto in un campo dicavoli, di proprietà dell’amico DarioFelici». La statua è senza piedi, forse ri-masti in fondo al mare quando le retil’hanno strappata da rocce e sabbia.L’Atleta è anche senza occhi e c’è chiracconta che furono tolti dagli stessi pe-scatori, perché «guardavano in modocattivo e facevano paura». Arrivano iprimi compratori, i cugini Pietro, Fabioe Giacomo Barbetti di Gubbio, impren-ditori del cemento. Prendono dal lororicco portafogli tre milioni e mezzo di li-re e se ne vanno con la statua.

«Una bella cifra, per quei tempi. Con3,5 milioni — dice il professor Berardi— si comprava una casa. Ma a dividerei soldi erano in sei, e le percentuali era-no diverse: 25 per cento al capitano, 10per cento ai marinai… come nella sud-divisione del pescato». Dopo il campodi cavoli, l’Atleta viene nascosto nellacanonica di un sacerdote di Gubbio,don Giovanni Nargni. Lo mettono inuna vasca da bagno, coperto da undrappo rosso. Dopo qualche mese se neperdono le tracce. «Lo abbiamo com-prato — raccontarono i cugini Barbetti,ora tutti defunti, ai carabinieri — da pe-scatori che non conosciamo, l’abbia-mo venduto a un milanese di cui nonsappiamo il nome».

Così, dopo le brevi trasferte, inizia il

lungo viaggio dell’Atleta. Due le piste daseguire. Una parte da Gubbio, fa sosta inun porto dell’Adriatico e poi riprende ilviaggio verso il Brasile. L’Atleta è dentrouna cassa, assieme a libri e viveri (secon-do un’altra versione libri e medicine) de-stinata a un certo padre Leone, origina-rio di Gubbio e missionario nel conven-to dei Cappuccini ad Alagoimbas, nello

Stato di Salvador. L’altra pista parte sem-pre da Gubbio ma passa da Monaco diBaviera, fa sosta a Londra e arriva primaal museo Denver in Colorado, poi alGetty di Malibù.

Già nel 1965, iniziano i guai giudiziariper alcuni pescatori e per i primi acqui-renti, i Barbetti. I carabinieri entranonella canonica di don Giovanni Nargni,ma trovano solo il drappo rosso che co-priva il bronzo. Partono le denunce perricettazione e sottrazione di beni delloStato. Ma non ci sono prove. Non si sadove la statua sia stata trovata, non ci so-no prove nemmeno della sua esistenza.Gli accusati vengono assolti, condanna-ti in appello e nuovamente assolti dallaCorte di appello di Roma nel novembre1970. «Solo dopo anni — racconta il pro-fessor Berardi — sono riuscito a trovarealcune prove importanti. Invitato a unacena — ero già assessore — un convita-to mi dice che a un geometra di Fano, ElioCelesti, era stato regalato un pezzo diconcrezione che si era staccata nel mo-mento in cui l’opera di Lisippo era statadissotterrata, a colpi di zappa, dal cam-po di cavoli. Convinsi il geometra a con-segnare il pezzo alla Procura. Le analisiconfermarono che la concrezione erastata a contatto con una lega di stagno erame, cioè bronzo. Venni poi a sapereche un commerciante di Imola, RenatoMerli, aveva scattato una foto alla scul-tura già nel 1964. I carabinieri del nucleoTutela patrimonio artistico ne erano ve-nuti in possesso nel novembre 1977. Ma

JENNER MELETTI

Il lungo viaggio dell’Atleta

COM’ERA

Quando fu pescata nel 1964 la statua

era ricoperta di conchiglie. Non aveva

i piedi, mentre leggenda narra che

gli occhi le furono tolti dai pescatori

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 9 FEBBRAIO 2014

solo nel 1985, nel mio salotto, il coman-dante della barca, Romeo Pirani, diede laconferma che si aspettava. “È lia, è lia”.Così il procuratore Savoldelli Pedrocchiseppe che la statua (la quale nel frattem-po era già arrivata in America) era quellapescata nel 1964 davanti a Fano».

Non vuole troppi meriti Alberto Be-rardi. «Certo, mi sono dato da fare. Ma sel’Atleta potrà tornare in Italia — noi ov-viamente lo vogliamo a Fano — dovre-mo dire grazie a due donne coraggiose eintelligenti, il pubblico ministero SilviaCecchi e il giudice Lorena Mussoni».Non è stato facile, il lavoro di questi ma-gistrati. Il bronzo riappare ufficialmentea Monaco nel 1972, presso il negozio diun antiquario, Heinz Herzer, che lo offrein vendita ai musei americani. I carabi-nieri, nel 1973, vanno nel negozio ma illegale di fiducia e la segretaria rifiutanodi mostrare l’Atleta. Non ne consegnanonemmeno una fotografia. I militari fan-no però rapporto al pretore di Gubbioche avvia un procedimento per esporta-zione clandestina. Intanto, al bronzo so-no interessati sia il Metropolitan Mu-seum di New York che il Paul Getty Mu-seum di Malibù. Una società — l’Artemis— compra l’Atleta dall’antiquario diMonaco e lo mette sul mercato. Nel 1973la statua viene portata a Londra per unanno, poi rimandata a Monaco al Museoper le Antichità classiche, per un restau-

ro che dura due anni. Paul Getty senior,da parte sua, ha chiesto chiarimenti sul-l’origine del «bronzo greco». Vuole il cer-tificato di proprietà, mai presentato, e lasicurezza che il bene non sia richiestodallo Stato italiano. Documenti mai per-venuti, ma Paul Getty senior muore nelgiugno 1976: l’Atleta viene acquistatodal Getty Museum per 3,8 milioni di dol-lari e trasportato via nave a Boston in da-ta 8 agosto 1977.

Le due piste — da Gubbio al Brasile oda Gubbio alla Germania, all’Inghilterraper poi arrivare negli Stati Uniti — a uncerto punto sembrano incontrarsi. Se-condo i legali di Artemis, infatti, nel di-cembre 2009 il «bronzo greco» è stato ac-

quistato da un loro cliente «in Brasile, daun gruppo di venditori italiani». «Ciò cheè certo — scrive il giudice Lorena Mus-soni nella sua ordinanza di confisca il 10febbraio 2010 — è che il bene provienedall’Italia, è stato esportato clandestina-mente e in assenza di qualsiasi autoriz-zazione. Il museo di Malibù non ha nem-meno rispettato le precise direttive del-lo stesso J. P. Getty senior».

Se la Corte di Cassazione darà ragioneai giudici di Pesaro la statua dell’Atleta,dopo tanto viaggio, tornerà sulla rivadell’Adriatico. E Athos Rosato, l’unicofra i pescatori ancora in vita, potrà con-fermare: «È lia, è lia».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LA STATUA

Qui accanto

l’Atleta di Fano,

opera dello scultore

greco Lisippo

Vissuto nel IV

secolo a.C. fu

il ritrattista ufficiale

di Alessandro

Magno. L’opera

si trova oggi

presso

il Paul Getty

Museum

di Malibù,

in California

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Repubblica Nazionale

È passato alla storiaper una torre a Parigi In realtà nella sua lunga vital’ingegnere francese ha costruitoovunque di tutto: viadotti, cavalcavia,stazioni, aeroplani, chiese...E anche la Statua della LibertàUn giro del mondoora riscopertograzie a un libroscrittodal trisnipote

che ha raccoltocarte di famigliae documentiinediti

LA DOMENICA■ 32

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La storiaUomini d’acciaio

PARIGI

al momentoin cui ho inco-minciato adavere una re-

putazione, grazie ai miei sforzi e al miolavoro, sono sempre stato vittima dipersecuzioni e gelosie». Pochi mesiprima di morire, Gustave Eiffel ricordacon amarezza i tanti attacchi subiti du-rante la sua lunga, avventurosa vita.L’Uomo-Torre sente di essere statosconfitto dall’invidia degli uomini do-po aver vinto contro le insidie della na-tura. Ponti, cavalcavia, viadotti. Ognivolta che c’era da edificare sul vuoto,sfidando vento e legge di gravità, luic’era. Dal Cile alle Filippine, dalla Ca-lifornia all’Ungheria, Eiffel ha girato ilmondo, lasciando tracce del suo genioingegneristico in oltre quindici paesi.Ha avuto onori e gloria, ma anche falli-menti e accuse infamanti, come loscandalo di corruzione per il Canale diPanama che esplode proprio nel 1889,l’anno in cui s’inaugura sul Campo diMarte la “Tour de 300 mètres”, all’epo-ca si chiamava ancora così.

«Non mi è stato perdonato il succes-so» scrive l’ingegnere nelle sue memo-rie, pubblicate adesso in un libro (Eif-fel par Eiffel, Michel Lafon editore) cheraccoglie anche documenti e lettere

ANAIS GINORI

IL PLANETARIO

A sinistra, la Tour Eiffel

e il progetto

del planetario di Nizza

A destra, il disegno

della Statua della Libertà

Tutte le immagini

di queste pagine

sono tratte dal libro

Eiffel par Eiffel,Michel Lafon éditions

inedite. Rimasto vedovo precocemen-te, padre di cinque figli e con ottanta ni-poti quando muore all’età di novantu-no anni, nel 1923, Eiffel ha lasciatoun’eredità materiale e spirituale che siè rapidamente dispersa. I veti incro-ciati dei molti discendenti hanno im-pedito che ci fosse un ricordo condivi-so. «A Parigi non esiste neppure un pic-colo museo che gli renda omaggio» no-ta Philippe Couperie-Eiffel, trisnipotee da qualche anno in prima linea per di-fendere l’onore perduto del suo ante-nato. Nell’introduzione al nuovo volu-me racconta che nessun membro del-la famiglia fu invitato dalle autorità pa-rigine per il centenario della Torre, nel1989. «È allora che ho capito che era ne-cessario mantenere viva la memoria eil nome di Eiffel».

Le critiche di intellettuali e avversa-ri politici contro il folle pinnacolo dighisa costruito per l’Esposizione Uni-versale sono nulla in confronto alloscandalo finanziario del Canale di Pa-nama. Processi per corruzione, seque-stri di beni, suicidi tra i piccoli rispar-miatori. «E dire che fu tra i pochi inge-gneri a votare contro il sistema di disli-velli, poi rivelatosi fallimentare, ap-provato durante il famoso congressointernazionale della Società di Geo-grafia del 1879» ricorda il trisnipote.L’idea difesa dall’imprenditore del Ca-nale di Suez, Ferdinand de Lesseps, ri-sulta poi impossibile da realizzare. A

«D

Più che altroamavosfidareil vento

Repubblica Nazionale

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© RIPRODUZIONE RISERVATA

I PONTI

A destra, il Maria Pia a Oporto

(1890) e la tessera dei “Travailleurs

du Livre”. Sotto, Eiffel

con le tre figlie in mongolfiera

e al centro, in posa sulle scale

della sua torre

In basso un altro ponte

in Guadalupa (1904)

I PROGETTI

Il viadotto di Garabit

in Francia (1880-1884)

comparato con il profilo

della cattedrale

di Notre Dame di Parigi

I DISEGNI

In alto, lo stato

dei lavori

del ponte

di Saigon (1905)

Qui a sinistra,

un progetto

per un aereo

(1917)

Sotto, il dossier

su un ponte

da realizzare

in Senegal (1883)

bile dell’opinione pubblica» scrivel’ingegnere nelle sue memorie a pro-posito delle polemiche per la Tour. Asessantadue anni, deve abbandonarel’azienda di Levallois-Perret per dedi-carsi alla scienza. Un ripiego insoppor-tabile per quest’uomo basso e vanito-so, con l’inseparabile pizzetto. A Parigilo chiamano “Il Ministro” perché nellasua casa di rue Rabelais organizza festedanzanti nelle quali spartirsi affari delSecondo Impero. Appassionato di artedrammatica, ha voluto per sé un teatroprivato. Nelle occasioni mondaneelenca le sue opere. Come i ponti, la suaspecialità: dal primo a Bordeaux,quando aveva solo venticinque anni, aquelli in zone più remote. Portogallo,Bolivia, Egitto, Russia, Filippine. Eiffelrammenta aneddoti sull’inaugurazio-ne della “sua” stazione di Budapest in-sieme all’imperatore Francesco Giu-seppe, oppure di quando ha fattosmontare la chiesa di Santa Barbara,esposta vicino alla Tour Eiffel, per tra-sferirla a Santa Rosalia, Baja California.È lui che concepisce la struttura dellaStatua della Libertà, fatta con fogli dirame. «Resisterà a tutto» assicurò alloscultore Auguste Bartholdi. E un pen-siero di ringraziamento è andato a Eif-fel quando l’anno scorso l’uraganoSandy ha devastato la baia di New York.

Il vento è la sua ossessione. Nemicoe alleato, a seconda delle situazioni.Una delle tante residenze di villeggia-

tura della famiglia Eiffel si chiama KerAwell, che in bretone significa “casadel vento”. Quando deve abbandona-re gli affari per la ricerca, l’ingegnerecostruisce una galleria del vento sulCampo di Marte per studiare legge digravità e aerodinamica, s’inventa unmonoplano militare. S’interessa an-che alla meteorologia, facendo allesti-re la prima stazione di previsioni deltempo. Le autorità gli chiedono di la-sciare il Campo di Marte, e allora Eiffelorganizza il suo laboratorio a Auteuil,vicino Parigi, dove lavora in un isola-mento autoimposto.

È rimasto vedovo presto. Nel nuovolibro c’è una lettera del giovane Eiffelche traccia il profilo della sua sposaideale: «Avrei bisogno di una donna dicasa che non mi faccia arrabbiare trop-po, che mi tradisca il meno possibile eche mi faccia dei bambini sani e davve-ro miei». La moglie Marie corrispondeall’identikit ma muore di tubercolosinel 1877. Eiffel sceglie di non risposar-si. La primogenita Claire, che ha soloquattordici anni, diventa la capofami-glia. Da allora e fino alla fine dei suoigiorni, Eiffel sarà riservatissimo sullavita privata. «Non abbiamo trovatonessuna lettera né documento che di-mostri una qualche relazione senti-mentale» racconta il trisnipote. La suavera Signora era alta 300 metri e per for-tuna si è rivelata indistruttibile.

quel punto viene chiamato insoccorso Eiffel e la proposta al-

ternativa: un sistema di chiuse.«La voragine nei conti era già tale

che il cantiere si fermò» ricordaPhilippe Couperie-Eiffel. La ver-

sione storica parla invece di unatruffa ai danni dei piccoli investitori

e di un gigantesco giro di tangenti aipolitici. Nella sua battaglia per una ria-bilitazione tardiva, l’erede di Eiffel haottenuto che sia costruito adesso un fa-ro intitolato all’ingegnere francese inoccasione del centenario del Canale diPanama.

Proprio nel momento del trionfo,con milioni di persone che salgono perla prima volta sulla Torre, la società diEiffel è costretta a depositare i libri intribunale. Alla fine, viene assolto nelprocesso ma rovinato per sempre nel-la sua immagine di eroe nazionale. «Ilmio progetto aveva il sostegno degliuomini di scienza e della forza irresisti-

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SpettacoliL’isola di Arturo

chetti, Brachet-ti è ovunque, appa-re e scompare e riappa-re, cambia forma e sostanzainseguendo lo stupore degli altri.

«Le seggiole sono quelle del palchet-to reale del Teatro Carignano, ci si è se-duto anche Mussolini». Perché le cose,qui dentro, sono un repertorio trasmi-grante. «Quel copricapo l’ho ciulato ioalle Folies Bergère, anzi è stato un recu-pero protettivo, sapeste quante cosevengono abbandonate, sapeste quan-ta roba compro per due lire nei merca-tini di tutto il mondo, tipo questo cosoqui»: e indica un grammofono che in-vece della tromba d’ottone ha un violi-no, è da lì che escono suoni e parole. Ar-turo fa una piroetta, giocando al giocodi casa sua, accarezza l’enorme tigreMoira («Fai cuccia!», intima al sontuo-so peluche), poi spalanca la porta del

quello spiazzamento, costruisco ununiverso».

Si entra in un altro bagno, quello instile Keith Haring, dove dal rubinettoesce acqua colorata, rossa la calda, blula fredda, questa è proprio una mera-viglia. «Mavalà, è un aggeggio di unaditta di Biella, puoi comprarlo anchetu, dopo ti do l’indirizzo». Sulla lavatri-

ce dorme un piccolo Pinocchio, ac-canto alla cucina di Nonna Abelar-

da (banane di marmo, finte mar-mellate rovesciate) dove una

vecchia tv trasmette solo Caro-selli. «Forza, trovate il frigo»,dice Arturo e davvero non èfacile, il nascondimento è laprima regola qui. La manodell’artista apre uno spor-tello, estrae un uovo, lolancia sul pavimento equello rimbalza invece dispiaccicarsi. Lo spettaco-lo continua, si passa dallaporta al contrario che siapre sul battente e nonsulla maniglia, si beve unsucco d’uva dentro unatazza che sembrava un te-leobiettivo, del resto il te-lefono è una bottiglietta di

ketchup. Invece la stanza daletto è una zattera, e dietro la

testiera c’è un affresco in sti-le Flandrin con Arturo nudo

che dorme su uno scoglio. Mol-ti giornaletti di Topolino in uno

scatolone, e sul comodino un li-bro, I segreti del linguaggio del cor-

po, più chiaro di così si muore. «Datemi un attimo, torno subito».

E un’altra porta si spalanca sul bagnomistico, una specie di cappella in stileCodice Da Vinci, i led nella vasca, cro-cifissi ovunque, false e vere candele suun pavimento di finti sassi. E ancorarestano da vedere il gabinetto dellemeraviglie, dove Arturo sotto una cu-pola trasparente esce da un baule, ve-stito da Pulcinella, tra un piccolo cai-mano e una farfalla finta che davverovola in un vaso di vetro. «Amo il falso el’arte che occorre per realizzarlo». Poiil padrone di casa invita a scoprire l’ul-tima stanza invisibile, che si manifestadietro un porta-asciugamani («C’èsempre l’opzione B per risolvere qua-lunque problema, però bisogna saperguardare, saper cercare»).

Resterebbe un’ultima scena, ma èun paesaggio, è il panorama di tetti,chiese e palazzi che si spalanca dallevetrate, quassù al secondo piano. «De-vo stare attento a non uscire in mutan-de sul balcone, altrimenti dal campani-le del Duomo mi potrebbero vedere».Anche il più grande trasformista almondo sa che l’ultimo costume, o for-se l’unico, è un corpo nudo.

TORINO

L a casa di Arturo Brachettiè uno spettacolo d’arte va-ria, un teatro delle meravi-glie. È un costume fatto di

mattoni, giocattoli e trucchi. Una casadove niente è vero perché tutto è ve-ro. Una casa che quasi non è, masembra. L’isola di Arturo è un pez-zo di Arturo, è il suo stile, il suo di-vertimento, persino la sua biz-zarra malinconia che improv-visamente appare e scomparein qualche armadio dell’ani-ma, laggiù nel profondo.

«Vedi questo raggio di so-le finto che si posa sulla ser-ratura finta di una cantinafinta?» domanda lui, men-tre armeggia con la chiave.Si volta all’improvviso e tiguarda con quel sorrisouscito dal manifesto, qua-si un logo, come il famosociuffetto. Il volto è appenaombreggiato di stanchez-za dopo centodieci repli-che a Parigi e settantamilaspettatori, mai fermarsi, ègià pronta la prossima av-ventura con debutto a marzo.Per ora, si conosce solo il tito-lo: Brachetti che sorpresa!

La finta cantina è invece un ve-ro appartamento su due livelli nelPalazzo Chiablese, accanto a dovevivevano i Savoia, nel cuore del cuo-re di Torino. Sarabanda di oggetti, re-pertorio di curiosità da mercatino: ilvalore commerciale è basso, quello af-fettivo ed emotivo è inestimabile. «Mispiace sempre quando parto, e devo la-sciare la casa in mano ad altri».

Arturo apre un armadio, oddio, ades-so sparisce. E invece è l’unico angolonormale di tutta la casa, Brachetti si levagli stivali come se li leverebbe chiunque,poi comincia lo show. «Guarda dentroquella cornice senza quadro, cosa vedinel muro?», chiede. Niente, solo matto-ni. «Concentrati, dai!». E il quadro di col-po si apre, la parete si sposta, non eranomattoni, era cartongesso, c’era sotto unbinario, ecco la casa che si muove e sci-vola di lato. Come fa lo sguardo, come faogni pupilla rotolante quando Arturo vasu e giù, mai quieto un attimo, tu parli elui segue un altro filo di pensieri, Arturonon è qui, non è di questo mondo pe-sante. Lui vola. «Ecco la mia cow-para-de, la collezione di mucche travestite: lamucca ape, la mucca zebra, la mucca ti-gre, la mucca tagliata in due dal mago, lamucca in levitazione». Il salone è gran-de, il divano rosso, sul bracciolo è ap-poggiato un Arturo marionetta che sor-ride, quel viso, quel ciuffo. In casa Bra-

MAURIZIO CROSETTI

questo viaggiatore delle metamorfosi,i muri sono del 1703, il resto appartie-ne al tempo della fantasia: «Ogni pez-zo e angolo della casa li ho pensati io,ci abbiamo lavorato due anni, dentroun cantiere che non finiva mai. Il fintorecupero strutturale di quell’arco lì,vedi?, è in un posto dove non c’entre-rebbe niente, infatti non c’era». Comein una tana di Alice, gli specchi molti-plicano immagine e illusione, chissàdove mai sarà il confine, o magari so-no due parole per definire la stessissi-ma cosa. «Tutto il mio lavoro, forse tut-ta la mia vita si appoggia sul punto divista. Per andare da A a B si può passa-re da M, nessuno ci pensa ma io, su

Pareti che si muovono, passaggi segreti, porte che si aprono al contrario,

collezioni di mucche, frigoriferi fantasma, zattere per dormire e bagni mistici Èqui che abita il re dei trasformisti

“Benvenuti nel mio teatro delle meraviglie”

“bagno di Magritte” dove tutto è nuvo-le nel cielo azzurro. Apre un passaggiosegreto nella libreria ed ecco il suo uffi-cio, ecco la foto di Arturo con Woody Al-len che lo abbraccia, ecco il cannonenero che spara aria (Arturo lo aziona eti fa “bum!” in piena faccia), ecco l’a-crobata azionato dalla monetina, lemarionette di Praga, l’angolo di Frego-li, il buddha nella nicchia, il prete conl’orecchino di Carmen Miranda, il te-lefono che invece è una lampada, il ci-lindro minuscolo: «È per il mio ciuffo»,dice Brachetti mentre lo indossa, spa-lancando un sorriso da Pierrot.

La macchina scenica domestica ri-sponde perfettamente alle esigenze di © RIPRODUZIONE RISERVATA

Repubblica Nazionale

LE IMMAGINI/2

Dall’alto: il telefono-lampada tra scarpe e cappelli;

Brachetti di fronte alla porta a scomparsa (la parete di mattoni)

che dà sullo studio; la cow-parade di mucche travestite

Nella fascia centrale (dall’alto): Arturo vestito da Pulcinella

esce da un baule in una teca di vetro: la statuetta è opera

di artigiani napoletani; il manichino assemblato da due manichini

diversi; alcuni pezzi dalla sua collezione di radio e telefoni

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DOMENICA 9 FEBBRAIO 2014

LE IMMAGINI/1

Dall’alto: l’enorme tigre Moira accucciata sul divano rosso

davanti alla libreria di casa Brachetti

L’artista in camera da letto: dietro la testiera, l’affresco

con lui nudo che dorme su uno scoglio; le marionette di Praga

Nella pagina accanto, il trasformista nel suo salotto

Sopra, una carrellata di personaggi interpretati

nei suoi spettacoli: il diavolo, il pagliaccio, il burattino e il fiore

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FalsoVedi questo raggiodi sole finto che si posasulla serratura fintadi una cantina finta?Amo il falso e l’arte di realizzarlo

VeroTutto il mio lavoro,e forse la mia vita,si poggia su un teorema:per andare da A a Bsi può passare da MScoprendo un universo

Repubblica Nazionale

IP

Icommessitendono a vedere il mondo con lelenti rosa. Il commercio non vuole pensieri.Il televisore in esposizione promette, conqualche enfasi, lo screen mirroring. Significache puoi proiettare foto e video del tuosmartphone sullo schermo più grande.

Chiedo espressamente: «Funziona con l’iPhone?».E lui: «Eccerto, che ci vuole?!». Sempre dubitare deisedicenti giochi da ragazzo. Infatti non funziona af-fatto. Perché la Sony usa una tecnologia che si chia-ma Miracast e la Apple una che si chiama AirPlay pertrasmettere immagini senza fili. Due lingue diverseche, inevitabilmente, non comunicano.

Il wi-fi, che doveva liberarci dalle catene dei cavi,finisce spesso con il costringerci a una nuova schia-vitù. Quella dei forum online di gente che è già pas-sata dalle nostre traversie e che, nel migliore dei ca-si, le ha risolte. Al massimo con una sbornia di sigle,codici e acronimi stordenti per il profano. Ma i ri-venditori non potrebbero essere più chiari da subi-to, facendoci risparmiare tempo e frustrazione?

Il wi-fi non è esattamente l’ultima novità. È l’a-cronimo di Wireless Fidelity, nome breve per quel-le reti senza fili (Wlan) che comunicano tra loro at-traverso una delle varianti del protocollo 802.11.Ieri c’erano i cavi, antiestetici e di lunghezza pursempre limitata. Oggi ci si collega a piacimento,via radio sulla banda 2.4 Ghz, nel raggio di unatrentina di metri. In teoria, almeno (e al netto del-la vaga inquietudine di vivere a mollo in un cam-po elettromagnetico). Perché la prassi è sempremeno indolore.

Per esempio quando decido di sostituire la tv conun videoproiettore. Faccio le mie belle ricerche,chiedo agli esperti e mi oriento su un Benq model-lo GP10. Ha vari vantaggi: è leggero, luminoso e conun’infinità di interfacce. Ci si può collegare il pc, unatv via Hdmi (che è un tipo di cavetto), una chiavettaUsb ed è tra i pochi (a un prezzo ragionevole) con

una connessione wi-fi. Il sogno è il seguente: scari-co — o vedo in streaming — dal pc in una stanza evisualizzo quel film sulla parete sgombra della stan-za accanto. Il videoproiettore ha una specie di chia-vetta, il dongle (che crea una sua piccola rete priva-ta wireless). Il problema è che se dal computervedi un video su YouTube attraverso la tuaabituale rete wi-fi non puoi, contempo-raneamente, collegarti alla wi-fiprivata del videoproiettore.Quindi niente streaming eproiezione simulta-nee. Avrei dovutoc h i e d e r em e g l i o .Però si po-trà senz’al-tro proiet-tare senzafili un filmscaricatosul com-puter. Sì,tranne se haiun Mac con un si-stema operativo nonnuovo di zecca: in quel casodevi aggiornare, con le perdite ditempo ed eventuali danni collateraliche ciò può comportare. Il sogno di unrimpiazzo completo per il televisore si in-frange così in un ingorgo di canali. Quello di anti-cipare la dipartita del piccolo schermo è ormai untopos letterario. Nel ’95, nell’esplicito Life after tele-vision, il futurologo George Gilder ne parlava già damorta («disconosce la rigogliosa diversità dei suoiutenti»). Mi arrendo. Ma c’è il problemino accen-nato all’inizio. Cui supplire parzialmente installan-do su iPhone o iPad l’applicazione iMediaShare,che funziona bene per visualizzare le foto ma è len-tissima per i video. La soluzione esiste, si chiama

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NextWe have a stream

Senza filo da torcereperipezie dell’inquilino hi-tech

Wi-fi Hotspot

RICCARDO STAGLIANÒ

Ho un iPhone 4 e un iPad Air

Problema: a volte gli apparecchi

non riescono a navigare sul web

(“impossibile connettersi”

è la dicitura). “Vedono” la rete

casalinga del wireless,

nell’elenco delle reti disponibili,

eppure non si allacciano

Soluzione: a volte basta riavviare

solo il router. Altre volte

bisogna “disassociare la rete”

e riconnettersi di nuovo

Lease

CHE COS’È COME FUNZIONA GLI INGORGHI

Proiettare un film dal pco stampare dallo smartphone sarà un gioco da ragazziMagnifico. Quando peròdalle parole passiamo ai fattic’è spesso qualcosache non va. Perché?E soprattutto: che fare?

Wi-fi sta per Wireless Fidelity

È una tecnologia

che consente a vari

apparecchi elettronici

di collegarsi senza fili

tra loro e/o a internet

Gli apparecchi comunicano

tra di loro attraverso lo standard

IEEE 802.11. A sua volta la rete

locale può allacciarsi a internet

tramite un router connesso

a un service provider (Tim e altri)

Certi provider limitano il numero

dei dispositivi da connettere al wi-fi

simultaneamente. Una velocità

di download di 10Mbs in ogni caso

va divisa tra tutti gli apparecchi:

più sono e più scaricano lentamente

TABLET

TASTIERA

Ho una Apple Wireless Keyboard,

un Apple Wireless Mouse

e una tastiera pieghevole

iGo Stowaway

Problema: una volta “accoppiati”

gli apparecchi dovrebbero

vedersi e comunicare da soli

A volte ciò non accade

Soluzione: un cordless vicino

potrebbe disturbare

la connessione (opera

con la stesse frequenza 2,4 Ghz)

In genere indica un luogo con connessione

internet aperta al pubblico. Ma si può trasformare

il proprio smartphone in hotspot privato

È il “rapporto” tra l’apparecchio e la rete senza fili

Se la connessione non funziona puoi “rinnovare

il lease”, ovvero cercare un nuovo indirizzo IP

STAMPANTE

Ho una HPLaserjetP1102w,

della sua categoria il modello

più venduto su Amazon

Problema: per attivarla

la prima volta si deve andare

su una pagina web che funziona

come pannello di controllo

Ma la pagina non si apre

Soluzione: il browser Chrome

è l’unico che non può aprire

questa pagina. Ma sulle istruzioni

non viene mai specificato

GL

OSSA

RIO

Acronimo di Wireless Fidelity, cioè quelle reti

senza fili (Wlan) che comunicano tra loro

attraverso una delle varianti del protocollo 802.11

GL

I E

SE

MP

I

Repubblica Nazionale

A p -pleTv e,

collegata allatv, stabilisce una

connessione privilegia-ta con il computer. Ottimo, se

non fosse che costa un altro centi-naio di euro. Per concludere che non

c’era altro da fare avrò impiegato unamezz’ora di ricerche online. La stessa accetta-

zione con il videoproiettore matura al termine dialmeno un’ora di frequentazione di forum, senzacalcolare il tempo che prenderebbe (ancora nonme la sono sentita) aggiornare il sistema operati-vo. Se non fosse che è tutto materiale per articoli,sarei davvero inferocito.

Per rilassarsi serve un po’ di musica. Parlano mol-to bene delle casse amplificate della Sonos. Faccio isoliti compiti pre-acquisto e opto per una coppia diPlay1, piccole, belle e con un realistico effetto ste-reo. La configurazione è semplice come da marke-ting. Attaccate al router (l’aggeggio che attaccato al-la presa del telefono diffonde il segnale wi-fi in ca-sa) un bridgeSonos, che fa da ponte con le casse wi-reless da disporre in qualsiasi stanza. Poi andate vi-cino con lo smartphone, le “appaiate” ed è fatta: iltelefonino diventa il telecomando con cui sceglierela musica (fisicamente immagazzinata nel vostrocomputer) e trasmetterla alle casse. Tutto bene, an-che troppo. Sino a quando, l’indomani, le casse di-

■ 37

DOMENICA 9 FEBBRAIO 2014

LA DIFFUSIONE

OGGI

I PIÙ USATI

Una persona su dieci nel mondo utilizza

la tecnologia wireless (dati aggiornati al 2013)

Si stima che siano

10 miliardi i dispositivi

in uso basati

su tecnologia wi-fi,

più del totale

della popolazione

mondiale

Saranno 30 miliardi

i dispositivi

di questo tipo

in uso tra 6 anni

per un totale

di 8 miliardi

di persone

Secondo uno studio

del 2011 condotto

da“Pew Research

Center”, negli Usa

è il cellulare

il dispositivo wi-fi

più utilizzato

dalla popolazione,

mentre il tablet

si colloca

all’ultimo posto

Dongle Bluetooth

NEL 2020

CASSE

TELEVISORE

Ho un Sony Bravia W65

Problema: a sentire il commesso

lo screen mirroring, cioè vedere

foto o video dell’iPhone

sullo schermo della tv doveva

essere un gioco da ragazzi

Invece usano protocolli

incompatibili

Soluzione: o si usa la app

iMediaShare (ok per le foto,

lenta per i video) oppure bisogna

comprare il dispositivo AppleTv

VIDEOPROIETTORE

Ho un BenqGP10

Problema: il mio computer Mac

non lo “vede”. Inoltre non si può

fare contemporaneamente

lo streaming dai siti tv

e usare il canale wi-fi dedicato

del videoproiettore

Soluzione: aggiornare il sistema

operativo. E se si fa lo streaming

dai siti tv ci si deve poi collegare

al videoproiettore

con il cavo Hdmi o altri cavi

Alla lettera “chiavetta”. È una specie di spina

che crea un campo wi-fi che permette ad altri

apparecchi di interagire con il vostro senza fili

È l’accoppiamento di due apparecchi

che interagiscono senza fili. Un apparecchio

mostra un codice che va scritto sull’altro

È lo standard di trasmissione dati per reti

personali senza fili (Wpan) attraverso

una frequenza radio sicura a corto raggio

Pairing

Cellulari

Portatili

Lettore MP3

Lettore e-book

Tablet

83%

56%

44%

12%

8%

ventano mute. Almanacco un bel po’ sul web. Lacolpa è del telefono cordless, il primo “coso” senzafili entrato nelle nostre case, che qualcuno ha spo-stato troppo vicino albridge. Usa la stessa banda delwi-fi ed entra in collisione. Ma che gli costava scri-verlo, a caratteri di scatola, sulla confezione?

Mentre cerco lumi, voglio stampare una pagina.Ho una nuova HPLaserjetP1102w. L’ho scelta conun’euristica facile facile: è il modello più venduto suAmazon della sua categoria, così tante persone nonpossono avere torto. Sbagliato. Per attivarla la pri-ma volta c’è da andare su una pagina web che fun-ziona da pannello di controllo. Peccato che la pagi-na non si apra. Una, due, dieci volte. Compulso i fo-rum. La sezione troubleshooting prende in consi-derazione ogni eventualità tranne la mia. È il colmo:l’apparecchio più banale dà i problemi più inestri-cabili. Infine la forza della disperazione indica la via.Se la pagina non si apre potrebbe essere colpa delbrowser. Con il motore di ricerca Chrome è già suc-cesso che certi siti si imbizzarriscano solo con lui. Edè proprio quello.

Questa nota a pie’ di pagina sarà il mio contribu-to all’umanità afflitta dalle stampanti. Un po’ poco,lo so, ma l’antidoto all’omertà dei produttori è or-ganizzarsi dal basso.

1) Se non funziona a te, non avrà funzionato già aqualcun altro nel mondo.

2) Copiate esattamente quel che il computer vidice, il codice di errore, la risposta letterale, e incol-latela su Google.

3) Evitate per quanto possibile le risposte italia-ne: sono meno numerose, più prolisse e spesso in-concludenti. Sui problemi tecnici, americani e in-glesi sono imbattibili. Il problema semmai è nuota-re disinvolti nel gergo tecnico di una lingua stranie-ra. Poca fuffa, comunque. A differenza del com-messo, quello per il quale l’iPhone bastava avvici-narlo al telecomando e faceva tutto da solo: «Losfiora, è un attimo». Sto ancora aspettando.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ho una coppia di altoparlanti

Play1 della Sonos

Problema: la configurazione

è semplicissima e si controllano

dal pc e dallo smartphone

Ma ogni tanto perdono il segnale

Soluzione: se il “bridge” Sonos,

cioè il dispositivo che riceve

i comandi on air, è troppo

vicino a un telefono cordless,

le frequenze possono entrare

in conflitto. Basta allontanarlo

apparecchi per persona1,43

apparecchi per persona3,75

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA■ 38

DOMENICA 9 FEBBRAIO 2014

Dall’aperitivo al dessert, dal Camparialla crostata coi frutti di bosco

Per il menù di San Valentinoci siamo lasciati guidare

solo da un colore

I saporiIn alto i cuori

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’amore ai tempi della cromoterapia

LICIA GRANELLO

Red Passion recita la pub-blicità, identificando co-lore ed emozione (e an-che un drink). Se il rossoè sinonimo di passione,fin troppo facile asso-

ciarlo a San Valentino e ai suoi rituali:cena occhi negli occhi, piatti amorevo-li e sfiziosi, bicchieri giusti per vini spe-ciali, e naturalmente candele, il tuttoinondato di rosso fuoco.

Ma il rosso sa essere protagonista an-che e soprattutto nei piatti. E non soloper ragioni legate a sesso e cuore. Daiprimi studi di cromoterapia alla dietadei cinque colori, passando per la sem-piterna dieta mediterranea, l’indicato-re rosso firma piatti e bevande necessa-ri al nostro star bene, anche e soprattut-to d’inverno. Questione di temperatu-re. Primavera ed estate, infatti, assom-mano una produzione di frutta e verdu-ra tanto rutilante, che quasi non ciaccorgiamo di quanti colori — tradottiin vitamine, micronutrienti eccetera...— introduciamo nel nostro menù quo-tidiano. Mangiamo così, senza parere,la pasta col pomodoro fresco e la pepe-ronata, facciamo scorpacciate di cilie-gie, ci dissetiamo con sorbetti di fruttirossi e fette d’anguria.

Quando fa freddo, tutto si complica.Un po’ perché l’orto d’inverno è decisa-mente meno ricco, e un po’ perché ilcorpo chiede cibi caldi, cucinati, che

confortino mentre nutro-no. Insalate e macedoniesmarriscono molto del lo-ro appeal, e se anche deci-diamo di bypassare i co-mandamenti della stagio-nalità nel modo più indo-lore possibile, gli alimentisurgelati richiedono co-munque una qualche at-tenzione in più rispetto ailoro corrispettivi crudi.Eppure, mai come in que-sto momento abbiamo bi-sogno di irrobustire il no-stro sistema immunitario,per alzare la soglia oltre laquale l’influenza ci atter-ra, o — se succede — perguarire rapidamente, sen-za trascinarci appressofebbriciattole e mal di golaper settimane.

Il rosso d’inverno in ta-vola è semplicemente per-

fetto, grazie alla quantità di antociani-ne e carotenoidi che lo determinano:due famiglie formate da centinaia dimolecole, che colorano foglie, fiori efrutti in tutte le sfumature comprese trail rosa e il blu, con fenomenali proprietàantiossidanti e protettive. Uno dei loroappartenenti più prestigiosi, il licopene— ben presente nei pomodori, inclusiovviamente quelli conservati — dà ilmeglio di sè dopo la cottura, che lo ren-de biodisponibile, a maggior ragione seveicolato da un grasso, come l’olio ex-travergine. In più, il licopene risulta rac-comandabile perfino per la linea, vistal’azione drenante dei tessuti e stimo-lante della produzione di noradrenali-na, che accelera il metabolismo dellecellule adipose.

Così, la tavola di San Valentino ha tut-te le ragioni per indossare il rosso, acominciare da qualche fetta di pro-sciutto crudo e culatello (niente for-chette), accompagnata da un bic-chiere di vino rigorosamente rosso,eccezion fatta per un rosé, purchébuonissimo. Chiusura d’obbligo conuna ciliegia candita tuffata in una cio-tola di cioccolato fondente sciolto abagnomaria. Se non basta per sentir-vi almeno un po’ innamorati, abban-donate temporaneamente il rosso ededicatevi al blu meditazione.

Festeggia 30 anni

ma non li dimostra:

I Just Called To Say I Love You,

di Stevie Wonder,

colonna sonora

di La signora in rosso (1984)

La colonnasonora

Repubblica Nazionale

Dove mangiare

TORINO

CONTESTO ALIMENTARE

Via Accademia Albertina 21

Tel. 011-8178698

PIOZZO (CN)

CASA BALADÌN

Piazza 5 Luglio 1944, 34

Tel. 0173-795239

MILANO

PANE E ACQUA

Via Matteo Bandello 14

Tel. 02-48198622

VENEZIA

AL VECIO FRITOLIN

Calle della Regina 2262, Rialto

Tel. 041-5222881

BOLOGNA

SCACCO MATTO

Via Broccaindosso 63

Tel. 051-263404

FIRENZE

IO PERSONALE

Borgo San Frediano 167

Tel. 055-9331341

ROMA

PRIMO

Via del Pigneto 46

Tel. 06-7013827

NAPOLI

PALAZZO PETRUCCI

Piazza San Domenico Maggiore 4

Tel. 081-5524068

CUTROFIANO (LE)

IL CHIOSTRO

Provinciale Noha-Collepasso

Tel. 0836-542848

DONNALUCATA (RG)

IL CONSIGLIO DI SICILIA

Via Casmene 79

Tel. 0932-938062

■ 39

DOMENICA 9 FEBBRAIO 2014

Per i pomodori:Scottare in acqua i pomodori, raffreddare, pelare e conservare le pelli. Da otto pomodorigrappolo ricavare 24 spicchi, conservandol’interno. Infornare a 160° C per 40’ spicchi e datterini con sale, un pizzico di zucchero un cucchiaio d’olio, uno spicchio d’aglioe metà basilico. Affettare i due pomodori grappolo rimasti, condire come un carpacciocon olio e basilico

Per lo scoglio:Scaltrire le vongole con aglio, gambodi prezzemolo e vino bianco, sgusciare,filtrare il liquido di cottura, aggiungendo peperoncino. Scottare per 4’ le capesantenel liquido di cottura delle vongole

Per la gelatina di pomodoro:Frullare bucce, semi, i ritagli di pomodoro, 15 datterini e 4 cucchiai di liquidodelle vongole, un cucchiaio di fondodei pomodori infornati e uno di condimentodel carpaccio di pomodori. Filtrare,aggiungere la colla di pesce ammollata, disporre su quattro piatti 5 fette di carpaccio,ricoprire con la gelatina e raffreddare

Per il cuore di pomodoro:Con 4 cerchietti da pasticceria,formare 4 corone con gli spicchidi pomodoro, farcirecon le vongole, il polpo affettato,chiudendo con la capasanta a fette

Presentazione:Sistemare i “cuori”sopra il carpaccio, rifinirecon un pezzo di polpo, una fettadi patata lessata e abbrustolitasulla fiamma e una foglia di lattugadi mare dorata in padella

✃Davide Scabin guida

la cucina del Combal.Zero,

dove ogni piatto

nasce per stupire,

come la ricetta ideata

per i lettori di Repubblica

Cuore di pomodoro di scoglio

Ingredienti per 4 persone

10 pomodori grappolo maturi20 pomodori datterini10 vongole veraci2 tentacoli di polpo lessato4 capesante4 foglie di lattuga di mare50 g. di vino bianco5 g. di colla di pesce10 foglie di basilico1 patata

PRIMI E SECONDI PIATTI

DESSERT

Abbattuto a -18 gradi

per uccidere il parassita

anisakis, poi scongelato,

battuto al coltello e condito

con erbe, senape dolce,

olio extravergine,

gocce di limone

Tartaredi tonno

Trito di capperi,

peperoncino, prezzemolo,

mollica bagnata nell’aceto

e poi strizzata,

polpa di pomodoro,

olio extravergine. Un’ora

di riposo in frigorifero

Crostinopiccante

Rosso fuoco l’aperitivo

che unisce la spremuta

di sanguinelle con il più

classico dei vermouth,

in proporzione tre a uno

Una fetta d’arancia

per guarnire il tutto

CampariOrange

Soffritto, pomodoro,

poco vino bianco

Una volta addensato

il tutto, si uniscono

i molluschi con il loro

sughetto filtrato

Prezzemolo per rifinire

Zuppettadi molluschi

APERITIV0

Insalata stufata

con olio e cipolla,

in parte frullata,

aggiunta al riso

fatto lucidare

con olio e sfumato

con vino rosso

Carne frollata

e a temperatura ambiente

per una cottura al sangue

senza perdita di liquidi,

da finirsi con qualche

minuto in forno

Fiocchi di sale a parte

Sciroppo di acqua

e zucchero

in cui miscelare l’ortaggio

cotto e ridotto in purea

Profumare con aceto

balsamico tradizionale

prima di mettere in freezer

Sorbettodi barbabietola

Frolla con farina integrale,

da infornare coperta

con carta da forno e fagioli

secchi. Sopra, a freddo,

crema inglese leggera,

ribes, mirtilli e scaglie

di cioccolato fondente

Crostataai frutti rossi

Dai petali rosso scarlatto

dell’Hibiscus Sabdariffa,

una tisana lievemente

acidula, piacevole

sia calda che fredda

Aggiungere miele e gin

per renderla irresistibile

Infusoal karkadè

Il peggior San Valentino che io ricordi, in realtà, è l’unico degnodi memoria. Appartengo a quella triste categoria di persone checrede che l’amore non abbia bisogno di ricorrenze per essere ce-

lebrato, e la festa sia solo una scusa per ricevere il regalino. Ma infondo a me sarebbe sempre piaciuta una cena di San Valentino. Ciandai vicino verso la fine degli anni Novanta, ero appena stato mol-lato, e pensavo solo a «mi-suicido-con-i-Radiohead-o-con-Ba-glioni?».

Si avvicinava il 14 febbraio, e quelle cioccolaterie torinesi pienedi cuori mi mettevano malinconia. Anche il mio amico Giuseppo-ne era appena stato mollato, e ci telefonavamo a vicenda per con-solarci, ma eravamo così patetici da non riuscire a concludere undiscorso. Così decidemmo di unire i dolori e le forze, e di andare acena fuori proprio quella sera. Avremmo affrontato di petto l’amo-re ipocrita, esibito e stucchevole, e avremmo compreso che non ciera andata poi così male. Prenotai uno di quei ristoranti che sognidi frequentare solo con la persona amata. Si affacciava sul Po, eraaccogliente, e per l’occasione proponeva un menù amoroso allapiemontese: carne cruda, acciughe, agnolotti, arrosti, tomini, conaglio diffuso qua e là. Ma noi non ci saremmo dovuti baciare, quin-di ci abbandonammo a quel rito sempre consolatorio che è una sa-crosanta abbuffata. Entrammo nell’indifferenza generale, e solo lasignora cui avevo telefonato ci guardò perplessa. Per fortuna i pie-montesi sono di poche parole. Presto, però, restai senza parole an-ch’io, perché Giuseppone alla fine degli antipasti venne interrottoda una telefonata. Lunga, lunghissima, che lo trascinò fuori dal lo-cale. Rientrò sorridente, e con innocenza mi disse che doveva an-dare via. La sua ragazza lo aspettava, e lui non poteva lasciarlascappare. Venni lasciato di nuovo solo. Dopo gli agnolotti, pagai ilconto e tornai a casa.

(Autore di La cena di Natalee Io che amo solo te,

Mondadori, 2013)

Io e Giusepponesenza obbligo di bacio

LUCA BIANCHINI

© RIPRODUZIONE RISERVATA

A tavolaLA RICETTA

Risottoal radicchio

Costatadi manzo

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA■ 40

DOMENICA 9 FEBBRAIO 2014

Suo padre era una guardia di Batista,lei a due anni lasciò l’Avana per MiamiStar della latin music, ha vendutocento milioni di dischi e duettatocon Sinatra e Pavarotti. Icona gay,

ha in testa solo i nipotiniReginadella disco,non era tipo da discoteca(“Mai fatto partedella cricca dello Studio 54”)

Ovviamente ha ancora un sogno: “Voglio cantarein una Cuba libera”

LONDRA

Ma quale Madonnalatina. Gloria Este-fan è l’antidiva pereccellenza, una te-

lenovela ambulante. Madonna è unamangiatrice di uomini pluridivorzia-ta, Gloria è fedele da trentacinque an-ni al suo Emilio. Madonna aspira al-l’Olimpo delle Marilyn e delle Marle-ne, Gloria all’abbraccio della gente co-mune. Madonna irrita il Vaticano, Glo-ria chiede udienza. «Sono stata in Ita-lia per incontrare Papa Francesco, unleader straordinario, l’uomo di cui laChiesa aveva bisogno», racconta po-che ore prima di un trionfale concertoalla Royal Albert Hall di Londra, unadelle sue rare apparizioni live. «E ades-so ho una famiglia italiana perché miofiglio Nayib ha sposato Lara DiamanteCoppola De Dominicis, una ragazza diorigine milanese che viveva in Vene-zuela con i genitori». Nonna a cin-quantaquattro anni. «È una benedi-zione», mormora. «Sasha Argento hadue anni, è un bambino biondo, occhichiari, forte senso del ritmo. Sto ore agattonare, cantare e ballare con lui. Sache il suo bisnonno era un cantanted’opera? Camillo Coppola De Domi-nicis». Inevitabilmente il pensiero vo-la a quella volta che arrivò a Modenaper duettare con Big Luciano al Pava-rotti & Friends: «Cantammo Fiorin fio-rello, la canzone che aveva accompa-gnato le nozze dei suoi genitori. Hocollaborato anche con Carreras, Do-mingo… sono stata un’artista fortuna-ta. E con Sinatra! Frank aveva alloggia-to all’hotel Cardozo di Miami, ora dinostra proprietà; in quell’albergo giròUn uomo da vendere del 1959. Ricordoil giorno in cui incidemmo il nostroduetto con l’orchestra, io ero incinta diEmily, la nostra secondogenita. Ce-nammo insieme, io lui e mia madre. Èsempre stata una sua fan».

Quando Sinatra girava a Miami conFrank Capra, la piccola Gloria MaríaMilagrosa Fajardo aveva due anni e vi-veva all’Avana con i suoi genitori.Troppo piccola per capire quel che sta-va accadendo nell’isola; la fuga a Mia-mi era già un progetto concreto. Primadella rivoluzione, suo padre era un mi-litare, guardia del corpo del dittatoreFulgencio Batista; in patria fu prigio-niero politico per aver combattutocontro Castro nella Baia dei Porci, ne-gli Usa subito arruolato e spedito inVietnam. «Mia madre gli inviava cas-sette registrate con le mie canzoncine,lui a sua volta ci faceva recapitare lun-ghi e affettuosi messaggi vocali. Nonvoleva che mia sorella e io dimenticas-simo la sua voce. A Cuba non c’era sta-to molto tempo di stare insieme. Il pae-se era in fermento e mio padre, semprefuori casa, intuiva molto chiaramentequel che stava accadendo. Così fui af-fidata alle cure della nonna. Mia sorel-la, che ha sei anni meno di me, nacquea Miami quando avevamo iniziato a vi-vere come una vera famiglia. Papà l’a-dorava, restava a casa a cullarla la do-menica, mentre io e la mamma anda-vamo a messa. Durante il tour di Unw-rappedcantai un duetto virtuale con laGloria che aveva nove anni, la canzoneera Cuando salí de Cuba che cantavoper mio padre — secondo molti fanquello è stato il momento più emozio-nante della mia carriera». Si commuo-ve. «Ho preso tutto da lui. Tranquilla,introversa, timida, più interessata aosservare che a essere guardata, unospiccato interesse per la musica.Ascoltavo i long playing mentre ero inbraccio a mia madre, non sapevo an-cora leggere ma guardavo incantata lecopertine. Adoravo Joselito, il cantan-te-bambino spagnolo — che cotta!».

José Fajardo morì di sclerosi multi-pla nel 1980, quando Gloria era già mo-glie del produttore Emilio Estefan econ i Miami Sound Machine muovevai primi passi della gloriosa carriera cheavrebbe trasformato la famiglia in unpotentato della latin music. «Non cre-do si rendesse più conto di niente,neanche riconosceva i familiari. Ilgiorno delle nozze andai a trovarlo inospedale con l’abito da sposa — quel-la fu la prima volta in tre anni che pro-nunciò il mio nome». A Gloria restò lapaura. Divenne ipocondriaca e ap-prensiva. Cominciò a temere per la sa-lute della madre, che ora ha ottanta-cinque anni, di Emilio, dei suoi figli,

persino degli amici. «Vedevo pericoliovunque. Immaginavo i miei caricoinvolti in incidenti stradali, rapi-menti, malori. Per dieci anni sono sta-ta la creatura più infelice e pessimistadella terra. Non immaginavo chequelle premonizioni fossero indiriz-zate a me». Il 20 marzo del 1990, du-rante il tour di Cut both ways, il bus cona bordo l’artista e la sua band fu inve-stito da un camion durante una tem-pesta di neve nei pressi di Scranton,Pennsylvania — fratture multiple allaspina dorsale: pericolo di vita, diecimesi per recuperare la mobilità. «Pau-ra? No. Il risveglio in ospedale fu la ri-nascita, la fine dell’ossessione. Ero iola vittima! Ormai era successo, nonavevo più nulla da temere».

Disco queen e icona gay con i Mia-mi Sound Machine, esponente dispicco del Cuban sound post-CeliaCruz (nel ’93 il pluripremiato Mi tierrarinnovò il patto di sangue con l’isola),raffinata interprete di evergreen ame-ricani celebrati nel recente cd Thestandards, Gloria Estefan ha vendutoin tre decenni oltre cento milioni di di-

schi. «La Gloria cubana e quella ameri-cana vanno piuttosto d’accordo»,scherza. «Vivere in bilico tra due cultu-re mi ha arricchito. Sono venuta a Mia-mi a due anni e mezzo, pensavamo chesaremmo tornati a casa molto presto,quindi abbiamo mantenuto saldi icontatti con le radici. Quanto a me, hoimparato a parlare e a cantare con-temporaneamente, con l’aiuto di miamadre, che aveva la musica nella pelle.Ascoltava i dischi che si era portata daCuba — Celia Cruz, Javier Solís, LosPanchos — ma anche Nat King Cole(che era stato a Cuba e aveva inciso di-versi dischi in spagnolo), Frank Sinatrae Dean Martin. Ho un vocabolario mu-sicale che va ben oltre il pop america-no. Sono cresciuta con i Beatles e Gerry& the Pacemakers, avevo una sorta diadorazione per il brano Ferry cross theMerseyche orecchiai a sei anni mentreero con la mamma in una lavanderia agettone; sento ancora quell’odore dibiancheria pulita ogni volta che lo ria-scolto. Solo più tardi avrei capito per-ché: Ferry Cross the Mersey aveva mol-ti elementi di musica cubana, mara-cas, bongos, l’andamento di un bolero— non dimentichiamo che uno deiprimi brani incisi dai Beatles fu Besa-me mucho. Ora The standardsè la chiu-sura del cerchio, una celebrazione del-la musica che amo. Non a caso ho in-serito nel repertorio anche El dia queme quieras, la canzone che cantai ilgiorno delle nozze con Emilio. Ma an-cheWhat the Difference a Day Makes, ilprimo brano che ho cantato in inglese;Smile, una canzone che cantavo a miopadre accompagnandomi con la chi-tarra, e piangevo e piangevo tradendoil significato stesso delle parole; Em-braceable You, la melodia con cui cul-lavo mia figlia».

Alla fine, la priorità è sempre la fa-miglia. Non c’è modo di indurla al gos-sip, di provocarla con aneddoti suglianni folli in cui faceva ballare i febbri-citanti del sabato sera. «Mi piaceva ladisco, all’inizio suonavamo cover diDonna Summer e Thelma Houston,ma non eravamo tipi da discoteca», ta-glia corto. «Lavoravamo come pazzi,stavamo dall’altra parte, e sincera-mente non ho mai rimpianto di nonaver fatto parte della cricca dello Stu-dio 54. All’epoca Emilio mi spingeva acrearmi un’immagine. Fin da quandoeravamo fidanzati mi diceva “comedonna sei perfetta ma come performerpuoi migliorare del novantacinque

per cento”. E io sconsolata: allora ti seiinnamorato solo del cinque per cento?Se siamo insieme da una vita è perchénessuno dei due ha mai mancato di ri-spetto all’altro. Sono cresciuta con l’i-dea che l’amore è per la vita, anche trapersone dello showbusiness. Ci sonoaltri esempi: Paul Newman e JoanWoodward hanno avuto uno splendi-do matrimonio. Mio padre dicevasempre, cada persona es un mundo,ogni persona è un mondo a sé — anchetra la gente comune i matrimoni van-no a rotoli piuttosto spesso».

Ha perso una patria ma ne ha trova-ta un’altra che l’ha riempita di atten-zioni e d’affetto, eppure non ha maismesso di sentirsi in esilio. «Mai. Piùche di esilio parlerei di nostalgia perl’assenza di una patria, quella che miamadre ha conosciuto e io ho cercato dionorare attraverso le canzoni e il busi-ness della ristorazione. Il mio bisnon-no lavorava nel Palacio, la Casa Biancadell’Avana, ha cucinato per due presi-denti. E mia nonna, che è morta nel1985 qui a Miami, cominciò ad affian-carlo quando aveva dodici anni, du-rante la Grande Depressione. Il sognoè sempre quello di tornare. Mi piace-rebbe esibirmi in una Cuba libera, perfesteggiare il futuro di un nuovo paese.Noi esuli non siamo i nemici, comesempre hanno fatto credere, né ingor-di capitalisti che vogliono riprenderepossesso di quel che hanno lasciato.Tornerei solo se potessi essere di qual-che aiuto o per festeggiare una nuovaera. I cubani vivono male, isolati dalmondo, non hanno internet, la gio-ventù è depressa, poche speranze,nessuna motivazione. Continuano asognare la fuga — neanche loro voglio-no più aspettare che quei condiziona-li diventino presenti, non voglionosciupare una vita intera sperando nelcambiamento, vogliono sentirsi partedel mondo. Dicono che il momento èvicino. Non mi faccio illusioni, è unavita che lo sento dire».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’incontroEstrellas

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Per anni sono statauna creatura infeliceVedevo solo pericoliFinché davveronon ho rischiatola vitaed è stato allorache sono rinata

Gloria Estefan

GIUSEPPE VIDETTI

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Repubblica Nazionale