La Divina Commedia tradotta in Brasile da un emigrante di Taio · grale brasiliana della Divina...

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35 MERCOLEDÌ 1 GIUGNO 2011 TRENTINO LA STORIA Giovanni Francesco Ziller sbarcò in Sudamerica nel 1902: fu a lungo pastore metodista, poi si sposò La Divina Commedia tradotta in Brasile da un emigrante di Taio di Alessandro Dell’Aira N el bel volume di Ateliê Editorial, curato dall’Università di Campi- nas, stato di San Paolo, il ritrat- to del traduttore supera per dimensioni quello che Botticelli dedicò a Dante. L’e- dizione moderna riproduce le tavole su- perstiti dell’originale commissionato da Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici alla fine del Quattrocento, oggi divise tra il Kupferstichkabinett di Berlino (85) e la Biblioteca Vaticana (7). Il ri- tratto di João Trentino Zilller, del 1980, si deve al suo erede Zilmar Ziller Mar- cos, cui spettano anche i diritti del testo. Zilmar, docente a riposo della Scuola di Agricoltura Luiz de Queiroz (Esalq) di Piracicaba, autore di un’Ode alla sua scuola e baldo interprete dell’inno dell’Esalq su Youtube, è un teorico del sapere accumulato. Ha fondato un circo- lo di pensionati che non ha nulla degli scontati “club di pantere grigie”. Giovanni Francesco Ziller, nato a Taio il 27 dicembre 1878 ed emigrato in Brasile nel 1902, disegnato dal polie- drico Zilmar guarda oltre gli occhiali montati in tartaruga e ha un naso importante ma non adunco come quello del- l’Alighieri. Questa terza edizione inte- grale brasiliana della Divina Commedia tradotta da Ziller è in circolazione da qualche giorno. La prima e la secon- da uscirono a Belo Horizonte nel 1953 e nel 1978. È la prima in lingua portoghese intera- mente illustrata dai disegni del grande artista fiorentino. Costa 280 reais, centoventi eu- ro circa. In Europa varrebbe più del doppio. Le terzine so- no impaginate in orizzontale, formato landscape. Dante in pagine pari, João Trentino in pagine dispari. Chi arriva in fondo all’Inferno deve capo- volgere il volume, così come Dante e Virgilio si girarono per scalare il corpo di Lucife- ro, il primo avvinghiato al collo del secondo, diretti in Purgatorio. Questa formula riproduce la soluzione adotta- ta da Botticelli, che ideò 102 scene associandone una a cia- scun canto, più due disegni sciolti: Lucifero al centro del codice e l’Inferno in apertu- ra. In altre parole, se per leg- gere l’Inferno si scende, per leggere Purgatorio e Paradi- so si sale fino all’«amor che move il sole e l’altre stelle». Considerate le pose disinvol- te dei lettori di oggi, ciò può rivelarsi scomodo, oltretutto perché il volume va sfogliato come i calendari, facendo at- tenzione a non gualcire le 558 pagine formato quarto gran- de. Noblesse, o meglio, Botti- celli oblige. Il librone va aper- to su un piano di lettura, pos- sibilmente inclinato, e non sulle ginocchia o sul tavolino basso del salotto. Giovanni Francesco Ziller nacque a Taio il 27 dicembre 1878 ed emigrò in Brasile nel 1902, informa Zilmar. Erano tempi in cui «gli italiani e gli austriaci si alternavano nella preponderanza numerica e politica della regione». Figlio di genitori austriaci, la lin- gua in cui imparò ad espri- mersi «era un dialetto misto di un tedesco snaturato e di un distante latino». Studiò nelle migliori scuole della provincia, specializzandosi nelle materie incluse in un buon curriculum letterario e filosofico. E «fece della cultu- ra italiana la sua cultura». Continuando, si apprende che Giovanni Francesco stu- diò anche a Roma, in semina- rio. Lette in Trentino, queste notizie suonano un po’ va- ghe. Si apprende un po’ di più sulle origini di Ziller con- sultando il sito web dei nati in Trentino, che raccoglie un milione e duecentomila no- mi. Giovanni Francesco era figlio di Vittore Ziller e Leo- polda Perenthaler. Secondo Zilmar, giunse in Brasile da Taio a ventiquattro anni e vi iniziò «la carriera sacerdota- le col nome di fra’ Giustino». Non vi sono altri dati sull’or- dine o la famiglia religiosa di appartenenza. Quando si na- turalizzò brasiliano, da none- so che era, volle chiamarsi João e scambiò Francesco con Trentino, in omaggio alla terra d’origine. Questa sua scelta, forse, è un indizio del- l’abbandono del saio del Pove- rello di Assisi. João Trentino Ziller iniziò un lungo ministe- ro di pastore della Chiesa me- todista del Brasile. Quando morì, dopo sessantaquattro anni di magistero, si presu- me nel 1966 all’età di 88 anni, aveva rinunciato anche allo stato di pastore metodista. Ziller si sposò ed ebbe mol- ti figli. Insegnò portoghese, latino, storia e geografia a Juiz de Fora, nello stato di Minas Gerais, quindi nella ca- pitale Belo Horizonte, poi an- che nello stato di San Paolo. In un sito web brasiliano, ma il dato non è sicuro, risulta che insegnò anche a Leopoldi- na, nel Rio Grande do Sul, che la moglie si chiamava Luigia Gazzoni e che ebbe due figlie di nome Angelina (1913) e Abigail (1914). Acqui- sì buona familiarità con la lingua portoghese, tanto che nel 1925 pubblicò un agile te- sto di filologia. Tenne confe- renze sui Lusiadi di Camões e su vari argomenti letterari. Nel frattempo, fino all’età di 75 anni, si dedicò alla Divina Commedia, resa in terzine di decasillabi a rima concatena- ta. Nella metrica lusitana, in- fatti, il nostro endecasillabo è detto decasillabo: l’ultima sillaba non conta perché non accentata. Come dicono i teorici, il bi- lancio del traduttore è fatto di perdite e guadagni. Secon- do Umberto Eco, che “nego- zia” col testo se l’autore è pas- sato a miglior vita, tradurre è «dire quasi la stessa cosa». È arduo salvare il testo origi- nale e nello stesso tempo la metrica, tanto è vero che sem- pre si è fatta dell’ironia sul traduttore-traditore. Ciò che conta davvero, in ogni caso, è mantenersi distanti e non ag- giungere nulla di proprio, o di gratuito. L’edizione è impegnativa e iperdidascalica. Prima di ogni canto, come in tutte le edizioni commentate, c’è una sintesi a cura di João Adolfo Hansen. Nel primo verso, tut- tavia, c’è un di più che avreb- be infastidito l’Alighieri. «À meia idade da terrena vi- da...». Letteralmente: «A mez- za età della vita terrena...». Passi per il cammin trasfigu- rato in età, ma quel «terre- na» Dante non lo aveva scrit- to. C’era un modo più sempli- ce di salvare il verso, la rima e la metrica: «No meio do ca- minho desta vida...». Forse a Ziller sembrò un calco trop- po fedele all’originale. Direb- bero i puristi: la fedeltà non è mai troppa. Non è questo il problema. I guai cominciano quando il traduttore compete col testo di partenza e via via negoziando aggiunge cose che gli suonano dentro, e che nel testo non ci sono. In coda ai canti c’è un saggio pregevo- le: “Note alla Commedia di Botticelli”, di Henrique Picci- nato Xavier. Per i nostri dan- tisti, e non solo per loro, un’e- dizione di tanto valore è un orgoglio. Alla fine della fiera, come si direbbe a Taio, una Divina Commedia così, “co- ver” del codice mediceo, non potrà mancare sugli scaffali dei bibliofili. RIPRODUZIONE RISERVATA La «Divina Commedia» in portoghese; a destra, una delle preziose illustrazioni È la prima edizione in lingua portoghese interamente illustrata dalle tavole originali di Botticelli La pagina con il profilo (e il ritratto) di João Trentino Ziller U no dei casi letterari del- l’ultimo decennio è sta- ta la pubblicazione di «2666», il grande romanzo di Roberto Bolano. Una delle cin- que parti della sterminata ope- ra è intitolata «La parte dei de- litti» e racconta la sconvolgen- te violenza che da anni domi- na a Ciudad Juarez (che Bola- no nel romanzo chiama Santa Teresa), una grande città al confine tra Messico e Stati Uni- ti, forse la più violenta al mon- do: da 3000 a 4000 omicidi l’an- no, la maggior parte a causa della guerra tra bande di nar- cotraffico. Centinaia di donne violentate e uccise, forze del- l’ordine assediate (quando non complici), e in più il dramma dell’emigrazione verso il Te- xas. L’ombra della violenza di Ciudad Juarez arriva ora in tutta la sua dirompenza anche a Bolzano con la mostra «Fron- tera» della messicana Teresa Margolles, aperta fino al 28 agosto. La Margolles non si fer- ma davanti a niente, e se que- sto da un lato spinge l’arte in territori pericolosamente vici- ni alla cronaca e al nudo reali- smo, dall’altro produce opere di fortissimo impatto. Le instal- lazioni centrali dell’allestimen- to sono due muri, provenienti dal Messico e ricostruiti al mu- seo. Contro uno di questi muri (faceva parte di una scuola) so- no stati uccisi quattro giovani dai 15 ai 25 anni. Contro l’altro sono stati trucidati a colpi di mitragliatrice due poliziotti. Sulle pareti sono ancora visibi- li i buchi dei proiettili, ma an- che i graffiti e il filo spinato originali, e anche i segni lascia- ti dalle indagini della polizia. Pezzi di paesaggio urbano che diventano testimonianze di vio- lenza, ma che trasportati in un museo diventano anche scultu- re. E lo spettatore, a sua volta, diventa testimone degli omici- di. Una terza installazione è «Plancha»: una lunga piastra di acciaio incandescente sul quale cadono dall’alto, lenta- mente, gocce d’acqua che al contatto con l’acciaio evapora- no con un sibilo, lasciando un- ’alone indelebile. Ma quella è l’acqua con cui sono lavati i ca- daveri all’obitorio. Altre instal- lazioni - come una lunga inci- sione lungo una parete del mu- seo che viene riempita di gras- so di cadaveri - e video raccon- tano la violenza di Juarez, tra- sfigurandola artisticamente. RIPRODUZIONE RISERVATA BOLZANO Al Museion la mostra di Teresa Margolles Il video proiettato in questi giorni sulla facciata del Museion L’arte racconta l’orrore di Ciudad Juarez Grasso di cadaveri e muri con i fori delle esecuzioni LA POLEMICA Il Dolomiten accusa: barbarie «T eresa Margolles lavora con le tracce concrete della sofferenza: la trasposizione di un oggetto in un con- testo espositivo e il coinvolgimento della collettività fanno parte dei linguaggi dell’arte contemporanea». Lo affer- ma Letizia Ragaglia, direttrice del Museion di Bolzano, in me- rito alle polemiche sulla mostra sollevate ieri dal quotidiano di lingua tedesca “Dolomiten”, che ha parlato di «barbarie». Ragaglia ricorda la performance “Balkan Baroque” di Marina Abramovich, Leone d’Oro alla Biennale di Venezia 1997, in cui la Abramovich lavava scheletri su una pila di ossa anima- li come atto di purificazione per la guerra dei Balcani: «Il lavo- ro di Teresa Margolles - aggiunge - non si esaurisce con l’ope- ra esposta, ma è un processo che lascia segni di speranza. “Dar voce” al dolore è quello che l’artista fa ogni giorno con il suo lavoro, che vede il coinvolgimento della collettività. Sono infatti gli stessi familiari delle vittime a cercarla, a raccontar- le le storie, a portarle le testimonianze delle morti».

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35MERCOLEDÌ 1 GIUGNO 2011TRENTINO

LA STORIA Giovanni Francesco Ziller sbarcò in Sudamericanel 1902: fu a lungo pastore metodista, poi si sposò

La Divina Commediatradotta in Brasile

da un emigrante di Taio

di Alessandro Dell’Aira

Nel bel volume di Ateliê Editorial,curato dall’Università di Campi-nas, stato di San Paolo, il ritrat-

to del traduttore supera per dimensioniquello che Botticelli dedicò a Dante. L’e-dizione moderna riproduce le tavole su-perstiti dell’originale commissionatoda Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medicialla fine del Quattrocento, oggi divisetra il Kupferstichkabinett di Berlino(85) e la Biblioteca Vaticana (7). Il ri-

tratto di João Trentino Zilller, del 1980,si deve al suo erede Zilmar Ziller Mar-cos, cui spettano anche i diritti del testo.Zilmar, docente a riposo della Scuoladi Agricoltura Luiz de Queiroz (Esalq)di Piracicaba, autore di un’Ode allasua scuola e baldo interprete dell’innodell’Esalq su Youtube, è un teorico delsapere accumulato. Ha fondato un circo-lo di pensionati che non ha nulla degliscontati “club di pantere grigie”.

Giovanni Francesco Ziller,nato a Taio il 27 dicembre1878 ed emigrato in Brasilenel 1902, disegnato dal polie-drico Zilmar guarda oltre gliocchiali montati in tartarugae ha un naso importante manon adunco come quello del-l’Alighieri.

Questa terza edizione inte-grale brasiliana della DivinaCommedia tradotta da Zillerè in circolazione da qualchegiorno. La prima e la secon-da uscirono a Belo Horizontenel 1953 e nel 1978. È la primain lingua portoghese intera-mente illustrata dai disegnidel grande artista fiorentino.Costa 280 reais, centoventi eu-ro circa. In Europa varrebbepiù del doppio. Le terzine so-no impaginate in orizzontale,formato landscape. Dante inpagine pari, João Trentino inpagine dispari. Chi arriva infondo all’Inferno deve capo-volgere il volume, così comeDante e Virgilio si giraronoper scalare il corpo di Lucife-ro, il primo avvinghiato alcollo del secondo, diretti inPurgatorio. Questa formulariproduce la soluzione adotta-ta da Botticelli, che ideò 102scene associandone una a cia-scun canto, più due disegnisciolti: Lucifero al centro delcodice e l’Inferno in apertu-ra. In altre parole, se per leg-

gere l’Inferno si scende, perleggere Purgatorio e Paradi-so si sale fino all’«amor chemove il sole e l’altre stelle».Considerate le pose disinvol-te dei lettori di oggi, ciò puòrivelarsi scomodo, oltretuttoperché il volume va sfogliatocome i calendari, facendo at-tenzione a non gualcire le 558pagine formato quarto gran-de. Noblesse, o meglio, Botti-celli oblige. Il librone va aper-to su un piano di lettura, pos-sibilmente inclinato, e nonsulle ginocchia o sul tavolinobasso del salotto.

Giovanni Francesco Zillernacque a Taio il 27 dicembre1878 ed emigrò in Brasile nel1902, informa Zilmar. Eranotempi in cui «gli italiani e gliaustriaci si alternavano nellapreponderanza numerica epolitica della regione». Figliodi genitori austriaci, la lin-gua in cui imparò ad espri-mersi «era un dialetto mistodi un tedesco snaturato e diun distante latino». Studiònelle migliori scuole dellaprovincia, specializzandosinelle materie incluse in unbuon curriculum letterario efilosofico. E «fece della cultu-ra italiana la sua cultura».Continuando, si apprendeche Giovanni Francesco stu-diò anche a Roma, in semina-rio.

Lette in Trentino, questenotizie suonano un po’ va-ghe. Si apprende un po’ dipiù sulle origini di Ziller con-sultando il sito web dei natiin Trentino, che raccoglie unmilione e duecentomila no-mi. Giovanni Francesco erafiglio di Vittore Ziller e Leo-polda Perenthaler. SecondoZilmar, giunse in Brasile daTaio a ventiquattro anni e viiniziò «la carriera sacerdota-le col nome di fra’ Giustino».Non vi sono altri dati sull’or-dine o la famiglia religiosa diappartenenza. Quando si na-turalizzò brasiliano, da none-so che era, volle chiamarsiJoão e scambiò Francesco

con Trentino, in omaggio allaterra d’origine. Questa suascelta, forse, è un indizio del-l’abbandono del saio del Pove-rello di Assisi. João TrentinoZiller iniziò un lungo ministe-ro di pastore della Chiesa me-todista del Brasile. Quandomorì, dopo sessantaquattroanni di magistero, si presu-me nel 1966 all’età di 88 anni,aveva rinunciato anche allostato di pastore metodista.

Ziller si sposò ed ebbe mol-ti figli. Insegnò portoghese,latino, storia e geografia aJuiz de Fora, nello stato diMinas Gerais, quindi nella ca-pitale Belo Horizonte, poi an-che nello stato di San Paolo.

In un sito web brasiliano, mail dato non è sicuro, risultache insegnò anche a Leopoldi-na, nel Rio Grande do Sul,che la moglie si chiamavaLuigia Gazzoni e che ebbedue figlie di nome Angelina(1913) e Abigail (1914). Acqui-sì buona familiarità con lalingua portoghese, tanto chenel 1925 pubblicò un agile te-sto di filologia. Tenne confe-renze sui Lusiadi di Camõese su vari argomenti letterari.Nel frattempo, fino all’età di75 anni, si dedicò alla DivinaCommedia, resa in terzine didecasillabi a rima concatena-ta. Nella metrica lusitana, in-fatti, il nostro endecasillaboè detto decasillabo: l’ultimasillaba non conta perché nonaccentata.

Come dicono i teorici, il bi-lancio del traduttore è fattodi perdite e guadagni. Secon-do Umberto Eco, che “nego-zia” col testo se l’autore è pas-sato a miglior vita, tradurreè «dire quasi la stessa cosa».È arduo salvare il testo origi-nale e nello stesso tempo lametrica, tanto è vero che sem-pre si è fatta dell’ironia sultraduttore-traditore. Ciò checonta davvero, in ogni caso, èmantenersi distanti e non ag-giungere nulla di proprio, odi gratuito.

L’edizione è impegnativa e

iperdidascalica. Prima diogni canto, come in tutte leedizioni commentate, c’è unasintesi a cura di João AdolfoHansen. Nel primo verso, tut-tavia, c’è un di più che avreb-be infastidito l’Alighieri. «Àmeia idade da terrena vi-da...». Letteralmente: «A mez-za età della vita terrena...».Passi per il cammin trasfigu-rato in età, ma quel «terre-na» Dante non lo aveva scrit-to. C’era un modo più sempli-ce di salvare il verso, la rimae la metrica: «No meio do ca-minho desta vida...». Forse aZiller sembrò un calco trop-po fedele all’originale. Direb-bero i puristi: la fedeltà non èmai troppa. Non è questo ilproblema. I guai comincianoquando il traduttore competecol testo di partenza e via vianegoziando aggiunge coseche gli suonano dentro, e chenel testo non ci sono. In codaai canti c’è un saggio pregevo-le: “Note alla Commedia diBotticelli”, di Henrique Picci-nato Xavier. Per i nostri dan-tisti, e non solo per loro, un’e-dizione di tanto valore è unorgoglio. Alla fine della fiera,come si direbbe a Taio, unaDivina Commedia così, “co-ver” del codice mediceo, nonpotrà mancare sugli scaffalidei bibliofili.

A RIPRODUZIONE RISERVATA

La «Divina Commedia» in portoghese; a destra, una delle preziose illustrazioni

È la primaedizione in lingua

portoghese interamenteillustrata dalle tavoleoriginali di Botticelli

La pagina con il profilo (e il ritratto) di João Trentino Ziller

Uno dei casi letterari del-l’ultimo decennio è sta-ta la pubblicazione di

«2666», il grande romanzo diRoberto Bolano. Una delle cin-que parti della sterminata ope-ra è intitolata «La parte dei de-litti» e racconta la sconvolgen-te violenza che da anni domi-na a Ciudad Juarez (che Bola-no nel romanzo chiama SantaTeresa), una grande città alconfine tra Messico e Stati Uni-ti, forse la più violenta al mon-do: da 3000 a 4000 omicidi l’an-no, la maggior parte a causadella guerra tra bande di nar-cotraffico. Centinaia di donneviolentate e uccise, forze del-l’ordine assediate (quando noncomplici), e in più il drammadell’emigrazione verso il Te-xas. L’ombra della violenza diCiudad Juarez arriva ora in

tutta la sua dirompenza anchea Bolzano con la mostra «Fron-tera» della messicana TeresaMargolles, aperta fino al 28agosto. La Margolles non si fer-ma davanti a niente, e se que-sto da un lato spinge l’arte interritori pericolosamente vici-ni alla cronaca e al nudo reali-smo, dall’altro produce operedi fortissimo impatto. Le instal-lazioni centrali dell’allestimen-

to sono due muri, provenientidal Messico e ricostruiti al mu-seo. Contro uno di questi muri(faceva parte di una scuola) so-no stati uccisi quattro giovanidai 15 ai 25 anni. Contro l’altrosono stati trucidati a colpi dimitragliatrice due poliziotti.Sulle pareti sono ancora visibi-li i buchi dei proiettili, ma an-che i graffiti e il filo spinatooriginali, e anche i segni lascia-

ti dalle indagini della polizia.Pezzi di paesaggio urbano chediventano testimonianze di vio-lenza, ma che trasportati in unmuseo diventano anche scultu-re. E lo spettatore, a sua volta,diventa testimone degli omici-di. Una terza installazione è«Plancha»: una lunga piastradi acciaio incandescente sulquale cadono dall’alto, lenta-mente, gocce d’acqua che alcontatto con l’acciaio evapora-no con un sibilo, lasciando un-’alone indelebile. Ma quella èl’acqua con cui sono lavati i ca-daveri all’obitorio. Altre instal-lazioni - come una lunga inci-sione lungo una parete del mu-seo che viene riempita di gras-so di cadaveri - e video raccon-tano la violenza di Juarez, tra-sfigurandola artisticamente.

A RIPRODUZIONE RISERVATA

BOLZANO

Al Museion la mostradi Teresa Margolles

Il video proiettato in questi giorni sulla facciata del Museion

L’arte racconta l’orrore di Ciudad JuarezGrasso di cadaveri e muri con i fori delle esecuzioni

LA POLEMICA

Il Dolomiten accusa: barbarie

«Teresa Margolles lavora con le tracce concrete dellasofferenza: la trasposizione di un oggetto in un con-testo espositivo e il coinvolgimento della collettività

fanno parte dei linguaggi dell’arte contemporanea». Lo affer-ma Letizia Ragaglia, direttrice del Museion di Bolzano, in me-rito alle polemiche sulla mostra sollevate ieri dal quotidianodi lingua tedesca “Dolomiten”, che ha parlato di «barbarie».Ragaglia ricorda la performance “Balkan Baroque” di MarinaAbramovich, Leone d’Oro alla Biennale di Venezia 1997, incui la Abramovich lavava scheletri su una pila di ossa anima-li come atto di purificazione per la guerra dei Balcani: «Il lavo-ro di Teresa Margolles - aggiunge - non si esaurisce con l’ope-ra esposta, ma è un processo che lascia segni di speranza.“Dar voce” al dolore è quello che l’artista fa ogni giorno con ilsuo lavoro, che vede il coinvolgimento della collettività. Sonoinfatti gli stessi familiari delle vittime a cercarla, a raccontar-le le storie, a portarle le testimonianze delle morti».