La Divina Commedia e l'Economia - Prima puntata: Della moltiplicazione della moneta

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Page 1: La Divina Commedia e l'Economia - Prima puntata: Della moltiplicazione della moneta

di Nicola C. Salerno

-LA DIVINA COMMEDIA E L'ECONOMIA-

Prima puntata: Della moltiplicazione della moneta

La Divina Commedia è uno scrigno senza fondo: metafore, pensieri, riflessioni che

attirano riflessioni, satira, comicità, sagacia, ironia, risate plautine assieme a moniti

universali. Divina e Comedìa per appunto. Bene fece il Botticelli a disegnarla su delle

strisce che oggi chiameremmo comics, dei divini comics.

C'è anche dell'economia nella Divina Commedia. E questa serie di piccoli spunti

danteschi comincia oggi con i falsari di monete.

La falsità è uno degli attributi peggiori che l'inclinazione umana può assumere. Chi

la pratica finisce per farla propria e per non poterne fare più a meno. Entra nel

sangue e si impadronisce dei pensieri e delle parole. I falsi sono falsi con loro stessi e

poi col mondo.

I falsari sono giù giù, quasi sul fondo dell'Inferno, a due passi da Lucifero. Decima

Bolgia dell'ottavo Cerchio (Canti XXIX e XXX). Sono suddivisi in quattro gruppi, a

seconda che abbiano mistificato i metalli, la parola, la persona, la moneta.

I contrapassi di Dante contengono

sempre il concentrato estremo della

riflessione. I falsari di moneta, coloro

che stampano moneta allo scopo di

impadronirsi di valore che non hanno

prodotto e che non esiste, scontano

una pena tanto sanguigna quanto

esplicativa anche da un punto di vista

economico.

Si gonfiano, si gonfiano, si gonfiano.

Sono dei malati di idropisia estrema,

tanto da assomigliare a dei liuti con

casse armoniche deformate. La pelle si

tende, scricchiola, si screpola e fa

male. L'abbondanza che hanno tentato

di creare per via fittizia diviene la loro

stesa condanna. Non riescono a

smaltirla, ne sono sopraffatti.

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di Nicola C. Salerno

Volume senza sostanza, peso

senza valore, dimensioni senza

equilibrio. Esattamente quello che

succede nel sistema economico

quando si abusa della leva

monetaria e ci si illude che la

"libertà" di stampare moneta

possa da sola risolvere i problemi

del mondo reale

Purtroppo si assiste spesso, di

questi tempi, a retoriche

invocazioni alla sovranità

monetaria, come riconquista della

possibilità di autodeterminare il

proprio livello di ricchezza, il

proprio successo, la fortuna di un popolo e di una Nazione. L'Euro - si sente dire - ha

limitato la nostra possibilità di emettere moneta, di stamparla senza limiti e di farla

circolare per sistemare le cose, di distribuirla ai cittadini.

Si ignora del tutto che stampare moneta al di fuori di una regola chiara che raccordi

l'emissione alla produzione di ricchezza reale è, di fatto, falsificare. Una

falsificazione su scala Paese o addirittura su scala continentale.

Può darsi clemenza per coloro che non sanno quello che dicono e che parlano al bar

(<<Ah, la Lira! Quella sì che era una moneta!>>).

Sicuramente un bel biglietto di sola andata verso la decima Bolgia dell'ottavo

Cerchio lo meritano quelli che simili infondati messaggi lanciano in qualità di tecnici

o in posizioni istituzionali e di responsabilità.

Illusione monetaria, inflazione, incertezza dei cambi tra valute, incertezza

contrattuale, tasse occulte dovute all'erosione dei valori reali dei redditi e dei

risparmi, corti circuiti di redditi che si rincorrono l'un l'altro in termini nominali

senza schiodarsi di un mm in termini di potere d'acquisto, etc. etc.

Sarebbero tutti contrapassi, questi, che non tarderebbero a far sentire la loro dura

morsa.

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Nell’immagine: “I falsari di moneta”, di Giovanni Stradano (1523–1605), pittore fiammingo attivo soprattutto

a Firenze nella seconda metà del XVI secolo. Ha dedicato numerosi lavori all’illustrazione della Divina

Commedia

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Io vidi un, fatto a guisa di lëuto, pur ch'elli avesse avuta l'anguinaia tronca da l'altro che l'uomo ha forcuto. La grave idropesì, che sì dispaia le membra con l'omor che mal converte, che 'l viso non risponde a la ventraia, faceva lui tener le labbra aperte come l'etico fa, che per la sete l'un verso 'l mento e l'altro in sù rinverte.

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Divina Commedia

Inferno, Canto XXX, terzine 17, 18, 19