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Banca San Paolo Collegiata dei Santi Nazaro e Celso Associazione Artisti Bresciani Vincenzo Gheroldi Valeria Leoni La Disciplina dei Santi Nazaro e Celso nel cinquecentesimo anniversario della fondazione QUADERNI DELL’AAB 1

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Banca San PaoloCollegiata dei Santi Nazaro e CelsoAssociazione Artisti Bresciani

Vincenzo GheroldiValeria Leoni

La Disciplinadei Santi Nazaro e Celsonel cinquecentesimoanniversario della fondazione

QUADERNIDELL’AAB 1

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Banca San PaoloCollegiata dei Santi Nazaro e CelsoAssociazione Artisti Bresciani

Vincenzo GheroldiValeria Leoni

La Disciplinadei Santi Nazaro e Celsonel cinquecentesimoanniversario della fondazione

QUADERNIDELL’AAB 1

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Cinquecento anni fa, il 28 marzo 1498, di mercoledì, fu inaugura-to l’oratorio dei disciplini della collegiata dei Santi Nazaro e Celso, at-tuale sede dell’Associazione degli artisti bresciani -A.A.B.-.

L’Associazione ha inteso commemorare la ricorrenza in modo noncelebrativo, ma con un’opera di sicura validità scientifica e culturale,affidando a due esperti studiosi, la dottoressa Valeria Leoni, paleografae archivista, e il dottor Vincenzo Gheroldi, storico dell’arte, il compitodi ricostruire le vicende storiche – sociali, religiose e artistiche – dellaconfraternita e dell’oratorio e di tradurre le conclusioni della loro ricer-ca nel presente volume.

Il lavoro compiuto dagli studiosi incaricati ha conseguito risultatidi alto interesse. Valeria Leoni ha ripercorso, sulla base di una riccadocumentazione archivistica, la storia della Disciplina, che godette diparticolare prestigio e importanza tra le confraternite bresciane, collo-candola nel più ampio contesto della storia generale, e ha ricostruito sufonti in gran parte inedite le vicende successive alla soppressione delleconfraternite decretata nel settembre 1797 dal governo giacobino dellaRepubblica bresciana. Vincenzo Gheroldi ha svolto un’accurato analisidelle scelte artistiche dei disciplini, che commissionarono opere neglianni Venti e Trenta del Cinquecento al Romanino, al Moretto e a Paoloda Caylina il Giovane e nel 1620 a Pietro Giacomo Barucco, propo-nendo nuovi elementi per ricomporre il quadro dell’attività artisticabresciana nelle età contrassegnate dalle istanze della Riforma e dellaControriforma, con novità e profondità d’indagine.

Per dare maggior risalto all'iniziativa, l’Associazione ha convenutodi inaugurare proprio con il volume dedicato alla Disciplina dei SantiNazaro e Celso una sua nuova collana editoriale, a cui è stato assegna-to il titolo di “Quaderni dell’AAB”.

La pubblicazione è stato resa possibile per il contributo della Ban-ca San Paolo di Brescia e l’interessamento di monsignor Osvaldo Min-gotti, prevosto della collegiata dei Santi Nazaro e Celso. Alla Banca, amonsignor Mingotti e ai due autori va il più vivo apprezzamento e sin-cero ringraziamento dell’Associazione.

Vasco Fratipresidente dell’Associazione artisti bresciani

Brescia, 28 marzo 1998

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Valeria Leoni

La storia della Disciplina

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ABBREVIAZIONI

ASB: Archivio di Stato di BresciaASC: Archivio Storico Civico, depositato presso l’Archivio di Stato di BresciaAVB: Archivio Vescovile di Brescia.Le altre abbreviazioni seguono l’uso corrente.

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Il movimento dei disciplinati e l’origine delle prime confraternite dei disciplini(*)

L’origine del movimento dei disciplinati viene fatta risalire dallatradizione1 all’iniziativa di Raniero Fasani, un laico borghese di Peru-gia, che, dopo aver praticato privatamente per diciotto anni la discipli-na, cioè la fustigazione penitenziale2, nel 1258 aveva cominciato a fu-stigarsi pubblicamente, raccogliendo intorno a sé un gran numero di se-guaci: in seguito alla sua predicazione gruppi di devoti percorrevano inprocessione la città flagellandosi ed implorando la misericordia divina3.La storicità della figura di Raniero e della sua opera è confermata dagliatti del Comune di Perugia: il 4 maggio 1260 il Consiglio generale delComune, infatti, deliberò che venissero concessi quindici giorni diastensione dal lavoro, secondo quanto richiesto dal Fasani, per permet-tere lo svolgimento delle pratiche devote dei flagellanti4.

Quindi la pratica delle processioni da Perugia si diffuse verso Ro-ma e verso Imola, Bologna e l’Italia settentrionale, come è attestato daalcuni cronisti anonimi del XIII secolo di Padova, Bologna e Piacenza5.

L’espansione del movimento fu osteggiata nelle città e nei territoriin cui vigeva un regime signorile; in particolare i Visconti ed i Pelaviciniimpedirono l’ingresso dei processionanti nei loro domini, in quanto ve-devano in queste manifestazioni una possibile fonte di destabilizzazionepolitica6.

Il rapporto tra il movimento dei flagellanti e la nascita delle con-fraternite dei disciplinati è una delle questioni più discusse dagli storiciche si sono occupati di questo argomento: sicuramente vi è una nettadistinzione tra il movimento, caratterizzato dalla pratica delle proces-sioni e dalla pubblica fustigazione, a cui i cittadini partecipavano spon-taneamente e che era privo di una struttura istituzionale, e le confrater-nite, i cui membri si riunivano sempre in uno stesso luogo ed osservava-no le norme previste dal loro statuto; tuttavia il legame tra i due feno-meni è molto stretto: i disciplinati stessi nei loro statuti o comunquenella loro tradizione citano spesso il movimento penitenziale e la figuradi Raniero Fasani7.

Sembra molto probabile che Raniero Fasani nel 1266 avesse fon-dato a Perugia una confraternita di disciplinati e che questa avesse sede

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in un edificio, adattato ad oratorio, nel quale venivano anche ospitatipoveri e viandanti8.

A Padova la presenza di una confraternita di disciplinati è docu-mentata dal 1265: i disciplini avevano un piccolo ospizio cui era annes-so un oratorio, nel quale un sacerdote da loro eletto celebrava gli ufficiper i confratelli9; a Bologna la disciplina più antica è documentata daglianni 1261-1262: a quest’epoca i “battuti” bolognesi avevano già unapropria sede ed a questi anni risale la redazione del nucleo primitivo delloro statuto10.

Oltre alla pratica della fustigazione penitenziale, quindi, le attivitàche qualificarono fin dalla loro istituzione le confraternite dei discipli-nati furono l’assistenza e la carità a poveri e bisognosi.

L’istituzione delle prime discipline bresciane

A Brescia il movimento dei disciplinati si diffuse con un certo ritar-do per l’ostilità del marchese Oberto Pelavicino, signore della città dal1259 al 126611. La più antica confraternita fu istituita presso SantaMaria de Dom: della sua esistenza abbiamo testimonianze a partire dal127412, quando Brescia era sotto il dominio del guelfo Carlo d’Angiò.

La stretta connessione esistente tra l’istituzione delle discipline bre-sciane ed il movimento dei flagellanti è chiaramente espressa nel proe-mio al Liber statutorum et ordinamentorum omnium disciplinarum civi-tatis et districtus Brixie, redatto nel 1412, durante la signoria di Pan-dolfo Malatesta: in esso si afferma che alcuni cristiani in ricordo dellapassione di Cristo cominciarono a praticare la disciplina, dapprima insegreto, quindi, divenuti più numerosi, nelle chiese; in seguito sorseromolte congregazioni di persone che si frustavano, chiamate discipline ededicate al nome del santo cui era intitolata la parrocchia, nella qualeciascuna confraternita si trovava. Nel margine della pagina sulla qualeè scritto il proemio è riportata da mano diversa una versione della “leg-genda” di Raniero Fasani13.

La Disciplina dei Santi Nazaro e Celso

La prima menzione della Disciplina dei Santi Nazaro e Celso è con-tenuta nell’Istrumentario di San Cristoforo14, in apertura del quale ven-gono riportati in forma abbreviata i privilegi di indulgenza concessi daautorità ecclesiastiche alle discipline cittadine: tra di essi è citato in for-ma di regesto il privilegio concesso ai disciplinati bresciani il 20 aprile

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1341, in Avignone, da un arcivescovo ed otto vescovi e confermato daRaimondo, vescovo di Brescia, il 28 luglio dell’anno successivo; il docu-mento era conservato presso la Disciplina dei Santi Nazaro e Celso15.Nel 1349 frate Genesio, generale dei frati predicatori, concesse ai con-fratelli della Disciplina dei Santi Nazaro e Celso il privilegio di poterpartecipare alle orazioni ed agli uffici e godere dei benefici propri deifrati dell’ordine16.

Dalla lettura degli statuti della Disciplina si apprende che gli scopifondamentali dell’istituzione erano la pratica penitenziale e le opere diassistenza e di carità ai poveri; per amministrare il patrimonio dellaconfraternita e distribuire le elemosine la congregazione eleggeva an-nualmente tra i propri membri un ministro, un subministro ed un mas-saro17. La Disciplina era aperta anche alla partecipazione delle donne,che venivano iscritte in una matricola distinta da quella degli uomini18.Le norme statutarie non specificano se le donne partecipassero anchealle assemblee dei disciplini, ma dall’esame dei documenti che conten-gono i “sindacati generali”, cioè i verbali delle riunioni convocate pereleggere i procuratori della confraternita, si deduce che esse eranoescluse dalle attività economiche ed amministrative.

Non ci sono pervenuti, peraltro, i libri della matricola, in cui dove-vano essere anno per anno registrati i nomi dei disciplinati; le notiziesull’entità numerica e sull’estrazione sociale dei confratelli, ricavabilidalla lettura dei documenti che contengono i “sindacati” della Discipli-na19 e dalle polizze d’estimo, non sono quindi sistematiche.

Per il periodo dal 1417 al 1530 risulta che i disciplini, molto nu-merosi tra la prima metà del XV secolo20 e l’inizio del XVI21, diminuiro-no nel secondo decennio del XVI secolo22 ed aumentarono nuovamentenegli anni tra il 1522 ed il 153023.

Dal 1568, data della più antica polizza d’estimo in cui viene indi-cato il numero degli uomini e delle donne iscritti alla Disciplina, al1722, data della polizza più recente, la tendenza al decremento del nu-mero degli iscritti divenne irreversibile: nel 156824 gli uomini iscrittierano 45 e le donne 97; nel 158825 gli uomini erano 30 e le donne 140;Giovanni Da Lezze, podestà di Brescia, nella relazione presentata al Se-nato veneto nel dicembre 1610, nota con il titolo di Catastico brescia-no, afferma, senza contare probabilmente le consorelle, che la Discipli-na era composta da 30 persone26; nel 163727 e nel 168528 i disciplinatierano costituiti da 16 uomini e 50 donne, mentre nel 172229 erano or-mai ridotti a 8 uomini e 13 donne.

Se si guarda al numero degli iscritti, i periodi di massima prospe-rità della Disciplina sono collocabili tra l’inizio del XV secolo ed il pri-mo decennio del XVI e tra il terzo decennio e la metà del XVI secolo e

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coincidono con i momenti di maggior impegno della confraternita perl’edificazione e la decorazione della propria sede.

I dati che possediamo sull’estrazione sociale dei disciplini sono asi-stematici e non consentono di formulare considerazioni definitive: sipuò solo affermare che le professioni, indicate talvolta accanto al nomedei membri, sono nella maggior parte dei casi legate al mondo dell’arti-gianato e del commercio.

Nei verbali della visita apostolica del cardinale Carlo Borromeo,svoltasi nel 1580, si afferma che la Disciplina godeva di un’entrata an-nua di 1000 lire, che impiegava per la celebrazione di messe, per distri-buire alimenti ai poveri e per compiere opere di carità30. Dalle polizzed’estimo si deduce che il reddito della confraternita proveniva perlopiùdai beni immobili, costituiti da case e terreni situati in città e nelleChiusure31.

La prima sede

Durante il XIV secolo si ebbe una ripresa del movimento peniten-ziale, che raggiunse momenti di particolare vigore negli anni tra il 1347ed il 1349, quando divampò l’epidemia di peste; e verso la fine del se-colo, in coincidenza con il grande scisma della Chiesa latina: attraversole pratiche pubbliche della predicazione e della penitenza i laici espres-sero in questo caso le loro istanze di rinnovamento e pacificazione dellaChiesa32. Nel 1399 si diffuse con molta rapidità nell’Italia settentrionalee centrale la devozione detta “dei Bianchi”, dal colore della veste indos-sata dai penitenti. Le discipline vissero in questo periodo un momentodi grande sviluppo, che comportò la nascita di nuove confraternite, ilrafforzamento organizzativo ed istituzionale delle discipline esistenti ela nascita di concentrazioni di tipo confederativo fra le confraternitedella stessa diocesi33.

A Brescia verso la metà del XIV secolo le discipline bresciane, unitein congregazione, fondarono l’ospedale di San Cristoforo, la cui esisten-za è documentata dal 134434, quando Brescia era sotto il dominio deiVisconti, mentre nel 1412, nel periodo in cui la città era sottoposta allasignoria di Pandolfo Malatesta, la congregazione delle discipline si riunìper stabilire le norme per l’amministrazione del patrimonio dell’ospe-dale35.

In occasione della riunione della congregazione venne letto lo statu-to precedentemente redatto da Francesco Cortesi, confratello della Di-sciplina dei Santi Nazaro e Celso e console generale della congregazionedelle discipline di Brescia, ad uso della sua Disciplina e l’assemblea dei

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rappresentanti delle discipline propose l’adozione di esso alle confrater-nite che non si erano ancora dotate di propri ordinamenti. Il contenutodella deliberazione è riportato nel Register librorum, instrumentorum etscripturarum quarumcumque spectantium et pertinentium hospitali di-sciplinarum seu civitatis Brixie e ad esso segue lo statuto omnium disci-plinarum civitatis et districtus Brixie che si può ritenere sia stato esem-plato sul testo presentato da Francesco Cortesi: è quindi possibile ipo-tizzare che lo statuto della Disciplina dei Santi Nazaro e Celso fosse di-venuto la norma comune a tutte le confraternite disciplinate36.

Il ruolo di primo piano svolto dalla Disciplina dei Santi Nazaro eCelso in occasione della congregazione delle discipline induce a pensareche essa godesse di particolare prestigio ed importanza tra le confrater-nite disciplinate bresciane.

Con la compilazione del proprio statuto si può affermare che la Di-sciplina dei Santi Nazaro e Celso avesse raggiunto la maturità istituzio-nale. In quegli stessi anni la confraternita si dotò di una sede propria,costituita da una casa, ora non più esistente, situata presso la chiesa diSan Nazaro, nella zona occidentale del borgo di San Nazaro, la cui esi-stenza è attestata dal 141437. Era dipinta con immagini di Gesù Cristo edei santi ed in essa era posto un altare, sul quale venivano celebrati gliuffici divini per i membri della confraternita38. L’edificio, inizialmentedi proprietà dei frati della regola di santa Maria dell’Osservanza dell’or-dine di sant’Agostino, residenti nel monastero di Sant’Alessandro, nel1438 venne ceduto in piena proprietà alla Disciplina39.

Nella nuova situazione politica, conseguente alla dedizione di Bre-scia a Venezia (1426), la Disciplina acquisì verosimilmente una mag-giore libertà di organizzazione e di attività: tra la seconda metà del XVsecolo ed i primi decenni del XVI essa accrebbe, infatti, notevolmente ilproprio patrimonio. Nel 1446 Zaccarino Bulgari, procuratore della Di-sciplina, acquistò da Guglielmino, figlio di Luigi da Lograto, una casacontigua alla sede, in cui vi erano una cantina ed una cucina40.

Nel 1448 quello stesso Zaccarino Bulgari, che abbiamo appena ci-tato come procuratore, dettò il proprio testamento, nel quale lasciavaalla Disciplina appezzamenti di terreno nelle Chiusure ed una casa, sitapresso il monastero di Santa Croce, “in contrata Fontis Bovis”, a condi-zione che i disciplini facessero celebrare quotidianamente una messa al-l’altare di San Celso nella parrocchiale. Nel 1456 Zaccarino con un co-dicillo stabilì invece che alla morte della moglie la casa fosse data in af-fitto dalla Disciplina dei Santi Nazaro e Celso ad una o due famiglie dipoveri41. Altri lasciti importanti furono effettuati nel 1505 da don Luigida Lograto, nipote di quel Luigi da Lograto padre di Guglielmino ri-cordato in precedenza42, e da Taddeo Segalani, cappellano della parroc-

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chiale43, con l’obbligo per la confraternita di celebrare messe e di distri-buire pane e vino ai poveri. In anni più tardi, nel 1575, il mercanteGiovanni Battista Soncinelli lasciò alla Disciplina 1000 lire planette acondizione che i disciplinati celebrassero alcune messe e distribuisserocibo ai bisognosi, secondo, come afferma il Soncinelli nel testamento,gli esempi di Luigi da Lograto e Taddeo Segalani; il Soncinelli chieseinoltre di essere seppellito nel sepolcro della Disciplina, contiguo all’al-tare di San Celso, situato nella chiesa parrocchiale, che era l’altare dellaDisciplina perlomeno a partire dal 144844.

La celebrazione della messa quotidiana nella parrocchiale, secondoquanto richiesto da Zaccarino Bulgari nel suo testamento, fu all’originedi un contrasto con il preposito della parrocchiale. Zaccarino aveva in-fatti prescritto che il sacerdote che doveva celebrare le messe da lui ri-chieste fosse eletto dai disciplini e non dovesse essere uno dei sacerdotiche avevano la propria residenza nella chiesa di San Nazaro. I confratellinominarono Francesco Nicoletti, incontrando l’opposizione di GiovanniDucco, preposito della parrocchiale; il contrasto si concluse con il decre-to emesso nel 1493 dal vicario episcopale Giacomo Ricci, che approvò lascelta dei disciplini e concesse loro la possibilità di celebrare le messe45.

Il nuovo oratorio

L’esigenza di mantenere la propria autonomia rispetto alla parroc-chia, caratteristica delle confraternite dei flagellanti, che emerge dallavicenda cui si è fatto riferimento, è forse all’origine della costruzionedella nuova sede della confraternita46.

L’edificazione dell’oratorio venne completata nel 1498, come testi-monia l’iscrizione scolpita sull’architrave del portale marmoreo:

DEO MAX. [IMO] SACRAEQUE AEDISORNAMENTO NAZAREAE SCOLAE

IMPENSA PIENTISS.[IME] F.[ACTUM] IIII K[A]L.[ENDAS] APRILESMIID

(piamente edificato in onore di Dio massimo e ad ornamento della sa-cra sede a spese della scuola di San Nazaro il 29 marzo 1498).

L’edificio, ancora esistente ed attualmente sede dell’AssociazioneArtisti Bresciani, è situato presso la chiesa di Santa Maria dei Miracoli,ad una certa distanza quindi dalla parrocchiale di San Nazaro.

Le fonti documentarie non danno alcuna informazione riguardo al-la costruzione dell’edificio47; tuttavia si può pensare che i disciplini pre-

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sero questa iniziativa in un momento in cui godevano di particolareprosperità, essendo proprio in quegli anni entrati in possesso dei cospi-cui lasciti previsti dal testamento di Zaccarino Bulgari48.

Nella prima metà del XVI secolo, nel clima di particolare vivacitàdel dibattito religioso, determinato dallo sviluppo del movimento dellariforma cattolica, in un primo tempo, e, successivamente, dalla neces-sità di reagire alla penetrazione delle influenze luterane49, la Disciplinadei Santi Nazaro e Celso, in accordo con una tendenza di carattere ge-nerale, visse una fase di positiva evoluzione, come testimonia anche l’e-levato numero dei confratelli ad essa iscritti50.

L’oratorio è costituito da un edificio a pianta rettangolare a duepiani; sia il piano inferiore sia quello superiore sono formati da un’uni-ca aula rettangolare, che misura m 6,54x16,5951. In ciascuno dei duelocali era posto un altare ligneo52; Carlo Borromeo nel 1581 ordinò cheuno degli altari di legno fosse sostituito con un altare di pietra53. Il de-creto del cardinale si riferiva probabilmente all’altare del locale sito alpiano inferiore, nel quale si può ipotizzare che avessero abitualmenteluogo le celebrazioni e le pratiche religiose; le riunioni convocate per di-scutere dell’amministrazione della Disciplina dovevano invece svolgersial piano superiore54.

Le due aule vennero decorate ad affresco probabilmente nello stes-so periodo, collocabile intorno agli anni Trenta del Cinquecento55: nel-l’aula inferiore, sulla parete settentrionale, la stessa davanti alla qualeera posto l’altare, il Romanino dipinse Cristo in croce tra i due ladroni,affresco che presenta ora vaste lacune; mentre, al piano superiore, ri-

Iscrizione scolpita sull’architrave della porta d’ingresso dell’oratorio, nella quale viene ricordata la data di fondazione dell’edificio.

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mangono solo alcuni frammenti della decorazione ad affresco, attribui-bile a Paolo da Caylina il Giovane56, composta da uno zoccolo a fascepolicrome e da figure di sibille e profeti.

Nella parete settentrionale del piano superiore vi è un’apertura chedoveva costituire l’antica porta dell’aula superiore della Disciplina, allaquale si accedeva attraverso una scala esterna, appoggiata al muro del-l’edificio prospiciente la parete nord dell’oratorio57. Probabilmente ilmuro faceva parte dell’”oratorio piccolo” della Disciplina, che nel 1561venne alienato alla chiesa di Santa Maria dei Miracoli per permettere lacostruzione del coro della stessa chiesa58; nei capitoli del contratto infat-ti si fa riferimento ad un piccolo cortile in parte coperto da una tettoia,nel quale era situata una scala59.

Accanto alla sala inferiore dell’oratorio era collocato un locale60, adi-bito a cucina61, ma utilizzato talvolta anche per le riunioni dei disciplini62.

Della decorazione della volta e delle pareti dell’aula inferiore, adesclusione della parete settentrionale, venne incaricato il pittore PietroGiacomo Barucco, con il quale i rappresentanti della Disciplina stipula-rono in data 8 novembre 1620 un contratto molto articolato e preciso63.Degli affreschi eseguiti dal Barucco non rimane più alcuna traccia.

Dopo l’opera del Barucco non vi sono altre testimonianze di com-missioni affidate dalla confraternita ad artisti per l’abbellimento dellasede: l’intervento del quadraturista Giovanni Battista Sorisene, sospet-tato da alcuni studiosi64, non è documentato dalle fonti archivistiche65.

L’altare della Disciplina in San Nazaro

La prima testimonianza della presenza nella parrocchiale di un al-tare di competenza dei disciplini risale al 1448, quando nel suo testa-mento Zaccarino Bulgari richiese che, dopo la sua morte, venisse cele-brata una messa quotidiana sull’altare di San Celso66. Esso era collocatoin capo alla navata destra e, successivamente, venne denominato anchealtare del Redentore, del Crocifisso o della Passione67; accanto ad essoera situata la sepoltura della confraternita68.

Nel 1585 i disciplini stipularono con il preposito della parrocchialeuna convenzione, in virtù della quale essi potevano utilizzare la terzacampana della chiesa in occasione delle loro celebrazioni e godere dellametà dei diritti su di essa, mentre dovevano collaborare in egual misuracon il preposito alla sua manutenzione69.

Nel 1581 Carlo Borromeo ordinò che l’altare venisse recintato70.Nel 1635 il vescovo Vincenzo Giustiniani impose ai confratelli di do-

tare l’altare di un’immagine decorosa di san Celso, pena l’interdetto, di

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quattro candelabri e di altri arredi sacri71, mentre, in seguito alla sua visitapastorale, che ebbe luogo nel 1645, il vescovo Gian Francesco Morosiniprescrisse di procedere al rifacimento delle decorazioni dipinte dell’altare72.

Non sappiamo se le prescrizioni vennero osservate; nei decretiemessi successivamente alla visita pastorale del 1656 il vescovo PietroOttoboni si limitò tuttavia ad ingiungere ai disciplinati di dotare l’altaredi alcuni candelabri e di altri arredi73, mentre nelle visite effettuate dalvescovo Bartolomeo Gradenigo nel 168374 e dal vescovo Marco Dolfinnel 170175 non venne espressa alcuna osservazione sulla decorazione esull’arredo dell’altare.

La soppressione della Disciplina

Nel 1796 le truppe francesi guidate da Napoleone Bonaparte occu-parono la Lombardia. Sotto l’influenza di questo avvenimento fuprofondamente modificata la situazione politica degli stati italiani: aBrescia il 18 marzo 1797 ebbe termine il plurisecolare dominio dellaRepubblica di Venezia, che aveva avuto inizio nel 1426, e fu istituito ilGoverno Provvisorio Bresciano, che concluse la sua attività il 30 no-vembre dello stesso anno, quando la città fu unita alla Repubblica Ci-salpina. Tra i provvedimenti da esso promulgati vi fu il decreto che sta-bilì l’abolizione delle confraternite e delle discipline76. La Disciplina deiSanti Nazaro e Celso, quindi, venne soppressa ed i suoi beni divenneroproprietà demaniale. Nel decreto di soppressione si determinava che ibeni delle istituzioni soppresse dovessero essere utilizzati in particolarea beneficio delle scuole primarie da istituirsi.

Negli anni successivi alla soppressione l’edificio e la sua decorazio-ne subirono gravi danni: gli affreschi delle due aule vennero copertidall’intonaco e nella parete settentrionale della stanza inferiore venneroaperte una finestra ed una porta, provocando così la perdita di partedell’affresco del Romanino77.

È probabile che gli affreschi dell’aula superiore siano stati ulterior-mente danneggiati dall’azione degli agenti atmosferici, cui rimaseroesposti in seguito al crollo della copertura dell’edificio.

Nel 1807, quando Brescia era ormai parte del Regno d’Italia, il sin-daco della città fece richiesta alla Direzione Dipartimentale del Demaniodi potere adibire a scuola il locale della soppressa Disciplina78: nell’anticooratorio ebbe sede durante l’Ottocento la scuola elementare dei Miracoli79.

Tra la fine dell’Ottocento ed i primi anni del Novecento la Discipli-na fu destinata a luogo di culto della comunità evangelica valdese80.

Dal 1911 al 1935 l’aula inferiore venne data in affitto prima al Circo-

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lo Filodrammatico “Gerolamo Rovetta” e successivamente, in epoca fasci-sta, all’Opera Nazionale Dopolavoro e venne utilizzata come sala teatrale81.

In questo periodo vennero apportate al locale alcune modifiche,volte soprattutto ad allontanare il pericolo dello scoppio di un incendioche avrebbe potuto facilmente propagarsi alla vicina chiesa dei Miracoli:nel 1917 la Soprintendenza ai Monumenti di Lombardia osservava chesarebbe stato opportuno adottare alcune precauzioni per evitare, in casodi incendio, possibili danni al santuario dei Miracoli; in particolare con-siderava opportuno eliminare la possibilità del passaggio dall’oratorioalla chiesa attraverso il cortiletto comune82. Dalla descrizione contenutanel verbale di consegna del locale, redatto nel 1924, in occasione delrinnovo del contratto di affitto, risulta infatti che per adempiere le ri-chieste furono aperte due porte “di soccorso” nella parete occidentale83.

Nel 1932 la Commissione di Vigilanza sui locali di pubblico spetta-colo, in seguito alla visita dell’ambiente, espresse parere favorevole sullasua agibilità; fece tuttavia notare che le due strette scalette, poste ai latidel portone di entrata, che consentivano l’accesso alla galleria del tea-tro, costituivano un mezzo di sfollamento inadeguato e invitò il Comunea trovare una soluzione al problema84. Gli ingegneri del Comune Fanto-ni e Fioretto non riuscirono ad elaborare una proposta soddisfacente enel 1933 la Commissione suggerì la costruzione di un balcone lungo lafacciata dell’edificio, di lunghezza corrispondente a quella della galleria;esso avrebbe dovuto essere accessibile sia dall’interno del locale sia dal-l’esterno per favorire l’uscita degli spettattori in caso di incendio85.

Gli ingegneri Fantoni e Fioretto elaborarono due progetti, nei qualil’edificio viene presentato in prospetto ed in sezione86, e li illustrarononella relazione comunicata al podestà: secondo il primo progetto il bal-cone avrebbe coperto quasi totalmente la larghezza della facciata, ta-gliando le due finestre situate ai lati del portone, che avrebbero dovutoessere tamponate dall’esterno; nel secondo caso, il balcone avrebbe oc-cupato solamente la parte della facciata compresa tra le due finestre,evitando così la necessità di ricorrere alla tamponatura. La prima solu-zione soddisfaceva completamente alle richieste avanzate dalla Com-missione di Vigilanza, ma si riteneva che la sua realizzazione fosse di-spendiosa e compromettesse fortemente l’assetto originario della faccia-ta; l’attuazione della seconda proposta sarebbe stata più economica edesteticamente più valida87.

Nessuno dei due progetti venne attuato88; nel 1934, tuttavia, laCommissione di Vigilanza concesse l’agibilità a condizione che venisseridotto il numero degli spettatori che potevano accedere alla galleria89.

In seguito al parere negativo espresso nell’agosto del 1935 dallaSoprintendenza all’arte medievale e moderna delle province lombarde

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riguardo all’opportunità di continuare ad utilizzare il locale come salateatrale90, nel settembre del 1935 il Comune comunicò all’Opera Nazio-nale Dopolavoro la risoluzione del contratto91.

Nel 1937 l’edificio venne ceduto in affitto dal Comune alla Fabbri-ceria della chiesa dei Miracoli, che lo adibì a magazzino per il depositodi banchi ed arredi sacri92. Nel 1954 vi è documentata la presenza dellasede della “Cooperativa Piccolo Teatro Città di Brescia”93.

Nel 1977 è stato effettuato un intervento di recupero dell’edificio edi restauro della decorazione pittorica: è stato rifatto il tetto, mentre at-traverso un’opera di consolidamento strutturale si è garantita la stabi-lità alla copertura voltata del piano inferiore ed allo stesso tempo l’agi-bilità della stanza superiore94.

Dal 1990 la Disciplina è divenuta sede dell’Associazione ArtistiBresciani.

Progetto per la costruzione del balcone lungo la facciata dell’oratorio, all’epoca sededel Teatrino “Rovetta”, 1933 - I soluzione - II soluzione.

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(*) Ringrazio per la disponibilità e la collaborazione Vasco Frati, presidente del-l’Associazione Artisti Bresciani, Francesca Manola e Silvia Gozzetti, Vincenzo Gherol-di, Ida Gianfranceschi, Mariella Annibale ed il personale dell’Archivio di Stato diBrescia, monsignor Masetti Zannini, dell’Università Cattolica di Brescia, ed il perso-nale della Biblioteca Civica Queriniana.

NOTE

1 Gli elementi della tradizione sono forniti principalmente da un testo narrativoanonimo intitolato La lezenda di fra Raniero Faxano, nella quale vengono raccontatela vita e le opere di Raniero Fasani, riportato da numerosi codici. Il testimone più an-tico, che risale ai primi decenni del Trecento, è contenuto in un codice provenientedall’ospedale dei Battuti di Bologna ed è stato pubblicato da G. MAZZATINTI, Lezen-da de fra Raniero Faxano, in “Bollettino della società umbra di storia sacra”, II,(1896), pp. 561-563. Per altre notizie su Raniero Fasani e la “leggenda” legata allasua opera si veda: E. ARDU, Frater Raynerius Faxanus, in Il movimento dei discipli-nati nel settimo centenario dal suo inizio (Perugia 1260), Convegno internazionale:Perugia 25-28 settembre 1960, Perugia, 1962, pp. 84-98.

2 Il termine “disciplina” indicò inizialmente lo strumento usato dai devoti perpercuotersi, quindi, per estensione, la confraternita laicale che riuniva i disciplinati,cioè coloro che praticavano la flagellazione penitenziale, e, successivamente, anchel’oratorio, sede della confraternita.

3 G. G. MEERSSEMANN, Ordo fraternitatis. Confraternite e pietà dei laici nelMedioevo, Roma, 1977, pp. 453-454.

4 V. ANSIDEI, Regestum reformationum comunis Perusini ab anno 1256 ad an-num 1300, I, Perugia, 1935, p. 180. Il regesto della riformanza o delibera del Comu-ne di Perugia è citato in MEERSSEMANN, Ordo fraternitatis ...cit., p. 454.

5 MEERSSEMANN, Ordo fraternitatis ...cit., pp. 458-460.6 G. ANGELOZZI, Le confraternite laicali. Un’esperienza cristiana tra Medioevo

ed età moderna, Brescia, 1978, p. 28.7 ANGELOZZI, Le confraternite laicali ...cit., p. 29.8 MEERSSEMANN, Ordo fraternitatis ...cit., pp. 466-468.9 MEERSSEMANN, Ordo fraternitatis ...cit., pp. 464-467.10 MEERSSEMANN, Ordo fraternitatis ...cit., p. 468.11 C. VIOLANTE, La chiesa bresciana nel Medioevo, in Storia di Brescia, I, Dal-

le origini alla caduta della signoria viscontea (1426), 1963, p. 1100.12 VIOLANTE, La chiesa bresciana ...cit., p. 1107.13 ASB, Archivio Ospedale Maggiore, n. 99, Istrumentario dell’Ospedale di San

Cristoforo, c. 99r. Si veda la nota 1.14 ASB, Archivio Ospedale Maggiore, n. 99. Il Register librorum, instrumentorum

et scripturarum quarumcumque spectantium et pertinentium hospitali disciplinarumseu civitatis Brixie venne compilato nel 1412 dal notaio Francesco Cortesi, consolegenerale della congregazione delle discipline bresciane e confratello della Disciplinadei Santi Nazaro e Celso.

15 ASB, Archivio Ospedale Maggiore, n. 99, c. 5r: Ҥ Primum privilegium, quodest in Disciplina Sanctorum Nazarii et Celsi civitatis Brixie, continet quod unus ar-chiepiscopus et octo episcopi pro quolibet eorum contulerunt dies quatraginta indul-

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gentie cuilibet de quavis disciplina civitatis et districtus Brixie existat pro qualibet vi-ce qua iverit ad congregationem ad faciendam disciplinam vel associaverit vel de suisbonis aliquid contulerit vel auxilium, conscilium, favorem prebuerit. Et hoc vere peni-tentibus et confessis dummodo hoc procederet de beneplacito diocesim Brixiensis epi-scopi. Datum Avinioni, die vigesimo aprilis MCCCXLprimo.

Quod privilegium fuit confirmatum et approbatum per dominum Raymundum,episcopum Brixiensem, die XXVIII iulii, MCCCLXsecundo, qui dominus episcopusetiam addidit dies XL de indulgentia. Et patet in registro cartarum membranarum(capet in summa dies CCCC). Et est munitum dictum privilegium novem sigillis pen-dentibus”.

I privilegi furono emanati nel periodo in cui il papato aveva fissato la propria se-de ad Avignone, mentre, dal 1337, a Brescia, dominavano i Visconti.

16 ASB, Archivio Ospedale Maggiore, n. 99, c. 5r. I privilegi sono citati anche inVIOLANTE, La chiesa bresciana ... cit., p. 1107.

17 ASB, Archivio Ospedale Maggiore, n. 99, cc. 99v-100r.18 ASB, Archivio Ospedale Maggiore, n. 99, c. 102r.19 In questi atti vengono indicati solo alcuni dei disciplinati che si erano riuniti

per eleggere i propri procuratori e viene specificato quale percentuale essi rappresen-tano rispetto alla totalità dei membri; non vengono comunque mai nominate le donneiscritte alla Disciplina, che dovevano essere molto numerose.

20 Nei “sindacati” del 18 aprile 1417 e del 3 dicembre 1431 (ASC, 1798, mazzo3, n. 15 e n. 6) vengono nominati 43 iscritti, corrispondenti a circa i due terzi del to-tale, che doveva essere quindi indicativamente di 64 uomini; nel 1452 (ASC, 1798,mazzo 3, n. 19) sono menzionati 40 disciplini, corrispondenti a circa i tre quarti deltotale, costituito quindi da un numero vicino ai 52 individui maschi.

21 Nel 1509 il totale degli uomini iscritti alla Disciplina doveva essere di circa 51persone (ASC, 1798, mazzo 4, n. 1).

22 Nel 1514 e nel 1517 gli uomini iscritti alla Disciplina erano circa 36 (ASC,1798, mazzo 3, n. 14 e mazzo 4, nn. 7 e 10).

23 Nel 1522, 1528 e 1529 il numero totale dei disciplini, escluse le donne, è atte-stato intorno a 55 (ASC, 1798, mazzo 4, nn. 29, 17 e 19).

24 ASC, Polizze d’estimo, b. 150, n. 278.25 ASC, Polizze d’estimo, b. 150a, n. 119.26 Il catastico bresciano di Giovanni da Lezze con prefazione di Carlo Pasero, I,

Brescia, 1969, p. 75.27 ASC, Polizze d’estimo, b. 150a, n. 317 e ASB, Polizze e petizioni d’estimo, b.

6, n. 141.28 ASC, Polizze d’estimo, b. 150a, n. 101.29 ASC, Polizze d’estimo, b. 150a, n. 159.30 Archivio Segreto Vaticano, Sacra Congregatio Concilii, Visitatio Apostolica, 65,

Visita di san Carlo Borromeo, c. 131r.31 In città la Disciplina possedeva, secondo quanto denunciato nelle polizze del

1565 e 1568 (ASC, Polizze d’estimo, b. 150a, n 41 e b. 150, n. 278), l’oratorio eduna casa sita “in contrata Fontis Bovis”, presso il monastero di Santa Croce; nel 1637(ASC, Polizze d’estimo, b. 150a, n. 317) a questi edifici si aggiunse una casa in con-trada San Nazaro, mentre nella polizza del 1685 (ASC, Polizze d’estimo, b. 150a, n.101) vengono descritte anche due botteghe presso il Broletto ed una casa in contrada“dei Cappuccini” (ora via Gezio Calini); quest’ultima non è più elencata nella dichia-razione rilasciata nel 1722 (ASC, Polizze d’estimo, b. 150a, n. 159).

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32 Per questi fenomeni di carattere generale si veda: G. ALBERIGO, Contributialla storia delle confraternite dei disciplinati e della spiritualità laicale nei secc.XV-XVI, in Il movimento dei disciplinati ...cit., pp. 173-175 e ANGELOZZI, Le confrater-nite laicali ...cit., pp. 34-38.

33 ALBERIGO, Contributi alla storia ...cit., p.187.34 VIOLANTE, La chiesa bresciana ...cit., p. 1109.35 ASB, Archivio Ospedale Maggiore, n. 99, c. 96r: Ҥ Capitulum provisionum et

ordinamentorum congregationis disciplinarum Brixie pro bono regimine bonorum ho-spitalis earum. In nomine domini nostri Iesu Christi anno a nativitate eiusdem millesi-mo quatringentesimo duodecimo, indictione quinta, die decimo mensis iullii, in civitateBrixia, in sala magna, sita in solario super canipam domorum hospitalis predicti.

Convocatis et congregatis infrascriptis confratribus infrascriptarum disciplina-rum mandato Iohannini de Cogolis preconis comunis Brixie, ministri generalis om-nium disciplinarum Brixie, qui est de disciplina Sancte Marie”.

36 ASB, Archivio Ospedale Maggiore, n. 99, c. 98r: “§ Preterea omnes predicticonvocati et congregati ut supra, audito tenore statutorum scriptorum et dictatorumper me Francischum de Cortesiis confratrem Discipline Sancti Nazarii et Celsi civitatisBrixie pro usu virorum et mulierum ipsius Discipline presentium et futurorum, provi-derunt, statuerunt et ordinaverunt quod quelibet disciplina civitatis et districtusBrixie que non habeat aliqua statuta per se aut non curet componere per se debeat deipsis infrascriptis statutis et ordinamentis accipere copiam ad beneplacitum suum, utsciant in suis negociis omnes de disciplinis cum ordine se habere, relinquentes ipsicongregati arbitrium et potestatem cuilibet ipsarum disciplinarum possendi alia statu-ta sibi condere quandocumque sibi videbitur et placuerit; et hoc, quia licet omnia ipsastatuta sint laudabilia et perfecta, tamen in aliquibus locis videbantur nimis arduaaliquibus eorum”; c. 99r: “Incipit liber statutorum et ordinamentorum omnium disci-plinarum civitatis et districtus Brixie”.

Il testo dello statuto è pubblicato da R. NAVARRINI, Lo statuto della Congrega-zione delle Discipline di Brescia, in “Postumia”, anno 3 (1992), n. 3, pp. 64-75.

37 ASC, 1798, mazzo 3, n. 14, 1414 marzo 20: “In Disciplina Sancti Nazarii, po-sita in tresanda Sancti Nazarii ”.

38 ASC, 1798, mazzo 3, n. 15, 1417 aprile 18: “In Disciplina Sanctorum Nazariiet Celsi seu domo picta figuris Iesu Christi et sanctorum, in qua est altare et fit offi-cium divinum per homines ipsius Discipline, sita a sero parte burgi Sancti Nazarii”.

39 ASC, 1798, mazzo 3, n. 8, 1438 giugno 21. Dall’atto risulta che la casa si tro-vava nella contrada di San Nazaro, “in tresanda de Ceresariis”.

40 ASC, 1797 1/2, filza ottava n. 1, 1446 aprile 7: “Istromento come Zaccarinode Bulgaro sive la Disciplina compra da Guielmino, filio del quondam Alovisio da Lo-grado, una casa contigua alla Disciplina, qual è la caneva et la cucina per il pretio delire 250 planette”.

41 ASC, 1797 1/2, filza prima, n. 1, 1448 luglio 1 e 1456 marzo 31.42 ASC, 1797 1/2, filza prima, n. 4, 1505 agosto 1.43 ASC, 1797 1/2, filza prima, n. 4, 1538 dicembre 28.44 ASC, 1797 1/2, filza prima, n. 4, 1575 agosto 11.45 ASC, 1797 1/2, filza settima, n. 16, 1493 marzo 22.46 Si veda a questo proposito C. BLACK, Le confraternite italiane del Cinquecen-

to, Milano, 1992, pp. 300-301: “L’ambiente, in quanto insieme di costruzione e deco-razione, entro cui i membri delle confraternite operavano, è per molti aspetti legato alculto ed alle attività sociali da loro svolte. Nei casi in cui le confraternite possedevano

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sedi proprie, separate ed indipendenti dalle parrocchie e dai monasteri, riuscirono amantenere il proprio carattere di iniziative laiche [...]. La grandezza e le caratteristi-che dell’ambiente materiale in cui operava la confraternita indicano in sostanza il gra-do di autonomia o, viceversa, di dipendenza di quella compagnia, lo spirito di coesio-ne e di fratellanza, il potere sociale e politico del gruppo, e a volte anche di singolimembri e protettori”.

47 L’unico accenno è contenuto in un documento del 1497, nel quale si dice chela somma di denaro di 120 lire planette, ricevute dalla Disciplina a conclusione dellavertenza con Giovanni Pietro Adobati, marito di una delle figlie di Zaccarino Bulga-ri, per il possesso dell’eredità di Zaccarino, sarebbero state utilizzate “ad fabricamdicte Discipline et ad modum et utilitatem dicte Discipline” (ASC, 1797 1/2, filzaprima, n. 1).

48 Il testatore aveva infatti stabilito che la Disciplina entrasse in possesso dei suoibeni solo alla morte delle figlie; quindi, sebbene Zaccarino fosse morto nel 1456, laDisciplina potè godere dell’eredità solo dal 1493 (ASC, 1797 1/2, filza prima, n. 1).

49 ALBERIGO, Contributi alla storia ... cit., pp. 202-209.50 Per gli orientamenti culturali dei disciplini dei Santi Nazaro e Celso testimo-

niati dalle scelte che essi fecero per la decorazione della loro sede si veda, qui di segui-to, il saggio di Vincenzo Gheroldi, cap. I, par. 2.

51 La struttura su due piani a pianta rettangolare dell’oratorio è tipica delle sediindipendenti delle confraternite: si veda BLACK, Le confraternite italiane ...cit., p.307. L’autore, citando gli esempi di alcune confraternite, pensa che nel locale inferioreoltre alle celebrazioni religiose più solenni avessero luogo le assemblee dell’intera fra-tellanza e le distribuzioni di cibo ai poveri e che la stanza superiore fosse destinata al-le funzioni religiose meno importanti ed alle riunioni durante le quali venivano presedecisioni riguardanti la vita della Disciplina.

52 Archivio segreto vaticano, Sacra Congregatio Concilii, Visitatio apostolica, 65,Visita di san Carlo Borromeo, c. 131r: “Oratorium disciplinatorum Sanctorum Nazariiet Celsi intra moenia civitatis, pulchrum et ornatum cum domo annexa. Altare habetassideum. Ibi quandoque celebratur. Desuper adest locus magnus, ubi pariter estaliud altare assideum, ubi scholares conveniunt ad recitandum officium et disciplinamsuam exercendam. Schola haec est antiqua habetque regulas antiquas”.

53 AVB, Visite pastorali, 8/1, Decreti della visita apostolica di san Carlo Borro-meo, c. 122v: “In oratorio disciplinatorum Sanctorum Nazarii et Celsi. Altare ligneumtollatur ibidemque lapideum aliud lateritiumve construatur”.

54 ASC, 1798, mazzo 5, n. 17: “Convocata et congregata la honoranda compa-gnia [...] nell’oratorio superiore conforme il solito”.

55 L’esame delle fonti documentarie non ha consentito di reperire nessuna infor-mazione sugli interventi del Romanino e di Paolo da Caylina il Giovane; per la rico-struzione della decorazione pittorica e la sua datazione si veda il saggio di VincenzoGheroldi, cap. I.

56 Anche per l’attribuzione degli affreschi dell’aula superiore a Paolo da Caylinail Giovane si veda il saggio di Vincenzo Gheroldi, cap. II.

57 Per la ricostruzione della scala e la decorazione della parete prospiciente la Di-sciplina si veda il saggio di Vincenzo Gheroldi, cap. II, par 2.

58 ASC, 1797 1/2, filza ottava, n. 6: in data 15 maggio 1561 i procuratori incari-cati dal consiglio della Disciplina ed autorizzati dal consiglio generale delle disciplinedi Brescia vendettero ai rappresentanti della chiesa di Santa Maria dei Miracoli, per1000 lire planette, “locum vel situm partim fabricatum in quo de presenti fit orato-

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rium parvum”. Si veda il testo completo del documento pubblicato in Appendice, do-cumento I.

59 ASC, 1797, filza ottava, n. 6: “Item quod tectum seu cuppi cum lignaminibusexistentibus supra curticellam seu scalam dictorum disciplinatorum manere debeantin eo statu prout reperiuntur ad beneficium tamen dictorum disciplinatorum”.

60 Nella polizza d’estimo datata 5 marzo 1637 (ASC, Polizze d’estimo, b. 150a,polizza n. 317) i disciplini dichiarano di possedere : “Una casa sita [...] in contrada diMiracoli di una stanzia teranea et un oratorio con doi corti, un oratorio superiore ”.

61 Nei decreti emessi successivamente alla visita apostolica svoltasi nel 1580 ilcardinale Carlo Borromeo ordinò che non si potessero più tenere banchetti nel localeannesso all’oratorio (AVB, Visite pastorali, 8/1, Decreti della visita apostolica di sanCarlo Borromeo, c. 122v: “Nullae item in posterum in aedibus huic oratorio annexiscomessationes quovis praetextu fiant”).

62 Il “sindacato” della Disciplina , svoltosi il 7 marzo 1646 (ASC, 1798, mazzo 5,n. 30), ad esempio, ebbe luogo “nella cucina teranea, sita nelle case dell’infrascrittidomini confratelli annexa alla Disciplina di Santi Nazzaro e Celso”.

63 Per il contratto tra i disciplini ed il pittore Pietro Giacomo Barucco si veda ildocumento II dell’Appendice ed il saggio di Vincenzo Gheroldi; il documento è citatoed edito anche in R. PRESTINI, Il borgo dei Nazariani tra cronaca e storia, p. 180 eDocumenti, pp. 278-279, documento IV, in AA. VV., La collegiata insigne dei SantiNazaro e Celso in Brescia, Brescia, 1992. Di R. PRESTINI si veda anche Disciplinadei Santi Nazaro e Celso, in AA.VV., Nel lume del Rinascimento. Dipinti, sculture edoggetti della Diocesi di Brescia, pp. 39-41, Brescia, 1997.

64 V. VOLTA, Le vicende edilizie della collegiata insigne dei Santi Nazaro e Cel-so, in La collegiata insigne ...cit., pp. 48 e 52, nota 107.

65 L’atto notarile del notaio Giovanni Piovanelli, datato 6 marzo 1666 (ASB, No-tarile, filza 6685), riferisce di un debito della Disciplina nei confronti di GiovanniBattista Sorisene senza specificare il motivo e rimanda ad un atto del notaio MarinoMarini, datato 8 marzo 1662 (ASB, Notarile, filza 5949), in cui è contenuta la senten-za pronunciata da Paolo Calini, prevosto di Sant’Agata, a soluzione della vertenza traGiovanni Battista “Sorizeno” ed i disciplini per l’eredità di Pietro Pezzolo, con la qua-le veniva prescritto ai disciplini di pagare a Giovanni Battista “Sorizeno”, fratello del-la seconda moglie di Pietro Pezzolo, 1550 lire planette a lui spettanti in virtù del te-stamento fatto dal figlio di Pietro Pezzolo, Giovanni Battista.

66 ASC, 1797 1/2, filza prima, n. 1, 1448 luglio 1: “et predicta omnia cum modis,conditionibus et pactis infrascriptis, videlicet quod dicta universitas et congregatio aceius offitiales teneantur [...] semper et imperpetuum celebrari facere unam missam om-ni die ad altare Sancti Celsi positum in ecclesia Sancti Nazarii et non ad aliud altare”.

67 Nelle fonti documentarie l’altare viene generalmente indicato come altare deiSanti Nazari e Celso, o semplicemente dei disciplinati; nella visita pastorale del vesco-vo Marino Giorgi viene denominato “altare confraternitatis disciplinatorum sub tituloredemptoris Domini” (AVB, Visite pastorali, 50, c. 2r); nel 1673 dalla visita pastoraledel vescovo Marino Giorgi risulta che i disciplinati avevano un altare nella chiesa col-legiata “sub titulo et invocatione sanctissimi Crucifixi” (AVB, Visite pastorali, 50, c.29r), mentre nella polizza d’estimo viene citato con il nome di “altar della Pasione”(ASC, Polizza d’estimo, b. 150a, n. 159).

68 Il “sepulchrum Disciplinae” viene citato nel testamento dettato in data 11 ago-sto 1575 da Giambattista Soncinelli che chiede di esservi seppellito (ASC, 1797 1/2,filza prima, n. 4).

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69 ASC, 1797 1/2, filza ottava, n. 5, 1585 gennaio 7.70 AVB, Visite pastorali, 8/1, “Decreti della visita apostolica di san Carlo Borro-

meo”, c. 210r.71 AVB, Visite pastorali, 20, c. 60r.72 AVB, Visite pastorali, 25, c. 83r.73 AVB, Visite pastorali, 34, c. 39r.74 AVB, Visite pastorali, 56, c. 14v.75 AVB, Visite pastorali, 67, c. 25r.76 Raccolta dei decreti del Governo Provvisorio Bresciano e di altre opere pubbli-

cate a quell’epoca colle stampe, Brescia, 1804, III, pp. 240-241, decreto n. 691, 30settembre 1797:

“Libertà Virtù EguaglianzaIn nome del sovrano popolo bresciano.Il Governo ProvvisorioConsiderando, che in ogni ben regolato Democratico Governo tutte le unioni di

peculiari corporazioni sotto qualunque denominazione introdotte o dal pregiudizio odalla superstizione, molte volte ancora dall’interesse, non siano che tanti piccoli ostaco-li, che s’oppongono costantemente alla marcia ferma de’ lumi, ed interesssi, che condu-cono al vero punto di una stabile, e semplice Democrazia, che ammetter non deve pe-culiari interessi, che portano insensibilmente ad una specie di piccolo federalismo, mache nell’unità del Popolo non si devono conoscere altre distinzioni, che quelle, che ac-corda la legge che tutto dirige, e mira alla comune felicità; il Governo perciò decreta:

Che da qui avanti restino sopprese, ed abolite tutte le corporazioni esistenti nelloStato sotto qualunque denominazione di Discipline, Confraternite ec.

Che sia dato ordine a tutti li Commissari Nazionali ond’abbiano nelle rispettiveMunicipalità de’ Cantoni ad ordinare la pubblicazione del decreto, e commettere a’ Mu-nicipalisti di prendere a nome della Nazione il possesso de’ beni stabili, ed effetti appar-tenenti alle stesse corporazioni, facendone un pronto esatto rapporto, con indicare qualipesi vi siano annessi, onde presa in esame la materia, e lasciate stabili quelle disposizio-ni, che fossero giudicate utili al pubblico bene, possa il rimanente di detti effetti desti-narsi a benefizio delle Scuole Primarie da stabilirsi nelle rispettive Municipalità”.

77 L. F. FÈ D’OSTIANI, Storia, tradizione, arte nelle vie di Brescia, Brescia,1927, p. 34.

78 Intendenza di Finanza, Soppressioni, b. 106, fascicolo “Oratorio dei discipli-ni”, Bovegno, 1807 novembre 3: “Questo signor sindaco comunale, conosciuto che illocale in cui per l’addietro si sono aperte e fatte le scuole pubbliche normali non è aportata per tutte le contrate di questa Comune, mi prega di procurare dalla di leicompiacenza, signor direttore, il permesso a favore di questa Comune medesima diaprire le scuole pubbliche suddette nel locale chiamato la Disciplina ora soppresso edavvocato (così) a questa Direzione Dipartimentale del Demanio ”.

79 La presenza della scuola elementare “dei Miracoli”, istituita probabilmente inanni vicini al 1808, è documentata fino al 1861 (Archivio del Comune, Rubrica XV,bb. 21/5A e 21/5b).

80 Nella richiesta, datata 7 novembre 1916, rivolta dalla Fabbriceria della chiesadei Miracoli al Comune che le venisse concesso in affitto il locale, si afferma che la lo-cazione alla Chiesa Evangelica aveva avuto termine nel 1905 (Archivio del Comune,secondo versamento, Rubrica XVIIIB, b. 830, fascicolo “Circolo Filodrammatico “G.Rovetta”, Affittanza locale vicolo delle Stelle”).

81 Con la delibera della Giunta municipale del 29 dicembre 1911 il Comune ce-

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dette in affitto all’associazione culturale “Gerolamo Rovetta” il locale situato in vicolodelle Stelle “denominato chiesa evangelica”; con la delibera del podestà del 18 marzo1927 la locazione del locale passò all’Opera Nazionale Dopolavoro della quale la So-cietà Filodorammatica “Gerolamo Rovetta” era entrata a far parte (Archivio del Co-mune, secondo versamento, Rubrica XVIIIB, b. 830, fascicolo “Circolo Filodrammati-co “G. Rovetta”, Affittanza locale vicolo delle Stelle”).

82 Archivio del Comune, secondo versamento, Rubrica XVIIIB, b. 830, fascicolo“Circolo Filodrammatico “G. Rovetta”, Affittanza locale vicolo delle Stelle”, 1917giugno 9.

83 Archivio del Comune, secondo versamento, Rubrica XVIIIB, b. 830, fascicolo“Circolo Filodrammatico “G. Rovetta”, Affittanza locale vicolo delle Stelle”, 1924giugno 3.

84 Archivio del Comune, secondo versamento, Rubrica XVIIIB, b. 831, fascicolo“1934”, 1932 marzo 18.

85 Archivio del Comune, secondo versamento, Rubrica XVIIIB, b. 831, fascicolo“1934”, 1933 marzo 22. Da un lato la Commissione si limitava a suggerire la costru-zione del balcone, dall’altro, tuttavia, prescrisse che “la galleria [rimanesse] inservibi-le fino all’espletamento dell’opera”.

86 Si vedano le illustrazioni a pag. 17.87 Archivio del Comune, secondo versamento, Rubrica XVIIIB, b. 831, fascicolo

“1934”: 1933 aprile 13.88 Il prefetto infatti accettò non la seconda, come proposto dal Comune, ma la

prima soluzione e impose comunque una forte riduzione del numero degli spettatori(Archivio del Comune, secondo versamento, Rubrica XVIIIB, b. 831, fascicolo“1934”, 1933 maggio 11); gli ingegneri del Comune, quindi, non ritennero opportunoche si desse corso all’opera, date la spesa elevata, richiesta dalla sua attuazione, la li-mitazione dei posti comunque imposta e la “prospettata bruttura” dell’intervento (Ar-chivio del Comune, secondo versamento, Rubrica XVIIIB, b. 831, fascicolo “1934”,1933 maggio 22).

89 Archivio del Comune, secondo versamento, Rubrica XVIIIB, b. 831, fascicolo“1934”, 1934 gennaio 18.

90 Archivio del Comune, secondo versamento, Rubrica XVIIIB, b. 830, fascicolo“Circolo Filodrammatico “G. Rovetta”, Affittanza locale vicolo delle Stelle”, 1935 ago-sto 13: la Soprintendenza all’arte medievale e moderna delle province lombarde ritenne“che non [fosse] opportuno continuare l’affittanza del locale adiacente alla chiesa diSanta Maria dei Miracoli, di patronato di codesto Comune, ad uso di teatro, per il gra-ve pericolo d’incendio che ne [poteva] derivare all’insigne edificio monumentale”.

91 Archivio del Comune, secondo versamento, Rubrica XVIIIB, b. 830, fascicolo “Cir-colo Filodrammatico “G. Rovetta”, Affittanza locale vicolo delle Stelle”, 1935 settembre 9.

92 Archivio del Comune, secondo versamento, Rubrica XVIIIB, b. 830, fascicolo“Circolo Filodrammatico “G. Rovetta”, Affittanza locale vicolo delle Stelle”, 1937gennaio 1.

93 Dalla lettera inviata all’Ufficio Tecnico del Comune, in data 12 novembre1954, con la quale la Cooperativa Piccolo Teatro “Città di Brescia” comunicava il car-tellone per la stagione in corso, si deduce che la Cooperativa aveva la propria sede invicolo delle Stelle, 4 ed allestiva i propri spettacoli al Teatro Grande (Archivio del Co-mune, secondo versamento, Rubrica XVIIIB, b. 830).

94 Archivio della Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici di Bre-scia, fascicolo n. 374, Ex Teatrino Rovetta.

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APPENDICE

Documenti

I.

1561 maggio 15, Brescia.

Giovanni Andrea da Calino, Giovanni Acini, Alessandro da Quinzano,Battista da Cadignano, procuratori della Disciplina dei Santi Nazaro e Celso,su autorizzazione del consiglio generale delle discipline bresciane, vendono aGiovanni Battista Girello, Giacomo Lana e Bartolomeo Marino, deputati allafabbrica della chiesa di Santa Maria dei Miracoli, al prezzo di mille lire pla-nette, il luogo in cui sorge l’oratorio piccolo della Disciplina per permettere lacostruzione del coro della chiesa di Santa Maria dei Miracoli.

Originale, ASC, 1797 1/2, filza ottava, n. 6 [A].

In Christi nomine. Anno Domini a nativitate eiusdem millesimo quingen-tesimo sexagesimo primo, indictione quarta, die Xmo quinto maii. In oratorioparvo infrascriptorum disciplinatorum Disciplinae Santi Nazarii, in contrataburgi Santi Nazarii. Presentibus domino Marcello Ugonio, domino IohannePaulo Ducco, domino Petro Zacardino et Paulo de Santo Peregrino, civibus ethabitatoribus Brixiae, testibus rogatis, notis et ad haec vocatis.

Ser Ioannes Andreas de Calino, minester Disciplinae Santi NazariiBrixiae, ser Ioannes de Acinis massarius, ser Alexander de Quintiano, serBaptista de Cadegnano, mercator lignaminum, cives et habitatores Brixiae,sindici ad hoc specialiter per universitatem et congregationem disciplinato-rum Santi Nazarii praedicti, ut de dicto sindicatu assertum fuit constare in-strumento rogato per ser Stephanum de Blasiis notarium sub die 26 ianuariiproximi decursi, nec non ex libertate et authoritate quam asseruerunt haberea consilio generali omnium disciplinatorum civitatis Brixiae, prout assertumfuit constare instrumento rogato per ser Christophorum de Galliciolis nota-rium sub die ***************, agentes nomine et vice Disciplinae praedictaeSanti Nazarii et pro qua et agentibus pro ea de ratho in propriis bonis eorumin solidum promiserunt et obligaverunt et de ratificari faciendo presentemvenditionem cum omnibus in ea contentis absque aliqua interpellatione perconsilium dictae Disciplinae quam per consilium generalem dictorum om-nium disciplinatorum civitatis Brixiae in forma valida, a qua promissione dic-ti sindici non liberentur nisi sequuta effectuali rathificatione prout supra, de-derunt, vendiderunt et tradiderunt ac dant, vendunt et tradunt iure propriodicto nomine ad liberum allodium absque onere vel servitute aliqua, salvo utinfra, domino Iohanni Baptistae Girello, Iacobo Lanae et Bertholomeo Mari-no, omnibus civibus et habitatoribus Brixiae, deputatis fabricae ecclesiae

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maioris Santae Mariae Miraculorum et ad fabricas et questas SantorumBertholomei et Bernardi, presentibus et stipulantibus nomine et vice magnifi-cae civitatis Brixiae ac dominorum Leandri Averoldi et Ludovici Bergognini,eorum collegarum, nominatim locum vel situm, in presentiarum partim fabri-catum, in quo de presenti fit oratorium parvum praedictorum disciplinato-rum Sancti Nazarii tabularum duarum vel quantaconque sit infra infrascrip-tas coherentias, situm a sero ecclesiae Santae Mariae praedictae Miraculorum;cui coheret: a meridie partim iura dictae ecclesiae et partim oratorium ma-gnum dictae Disciplinae, a monte illi de Santo Peregrino, a mane dicta eccle-sia Santae Mariae Miraculorum, a sero dicta Disciplina seu eius iura, salvisomnibus aliis verioribus coherentiis, si quae forent veriores. In quo loco prae-dicti domini deputati agentes ut supra intendunt construi facere chorum ec-clesiae praedictae Santae Mariae ad habendum, tenendum, gaudendum etpossidendum quicquid deinceps de dictis bonis praedictis magnificis dominisdeputatis agentibus ut supra perpetuo placuerit faciendum una cum omnibuset singulis quae intra praedictos continentur confines vel alios si qui forentveriores, accessibus quoque ingressibus et egressibus suis superioribus et infe-rioribus undique usque in vias publicas et cum omnibus et singulis aliis quaedicta bona ut supra vendita habent supra se, infra, intra et extra se in inte-grum omnique iure, ratione et actione, usu, honore seu requisitione et iuri-sdictione, viis, usibus, usantiis, aquis, aquaeductis, terminis et confinibus suiset cum omnibus et singulis aliis iuribus dictis bonis ut supra venditis modoaliquo spectantibus et pertinentibus et quae modo aliquo spectare et pertinerepossent, poterant aut potuissent tam de iure quam de facto vel ex consuetudi-ne; dantes, cedentes et mandantes ac dederunt, cesserunt et mandaveruntpraedicti venditores agentes ut supra praedictis dominis deputatis acquirenti-bus nomine quo supra omnia iura omnesque rationes et actiones, reales etpersonales, utiles, directas, mixtas et hippotecarias et alias et alia quascum-que et quaecumque praedictis disciplinatis ut supra agentibus aut dictis bonisvenditis ut supra modo aliquo spectantes et pertinentes, spectantia et perti-nentia et quae quovis modo spectare et pertinere possent, poterant aut potuis-sent tam de iure quam de facto vel ex consuetudine, ponentes ac posueruntpraedictos dominos deputatos emptores et agentes ut supra in omnem locum,ius et statum in praedictis ut in rem suam propriam et vere propriam et con-stituerunt ipsos magnificos dominos deputatos emptores et agentes ut suprasuos certos nuntios, missos et legitimos procuratores irrevocabiles ad praedic-ta perpetuo duraturos tam in agendo quam in deffendendo et hoc pro pretioet finito mercato librarum mille planetarum; pro quibus libris mille planetispraedicti domini deputati agentes ut supra omni meliori modo, iure, via, for-ma et causa quibus melius et validius de iure fieri potest dederunt, cesseruntet in solidum assignaverunt ac dant praedictis sindicis agentibus ut suprapresentibus et acceptantibus, nominatim dominium directum et proprietatemunius domus cum iure exigendi quolibet anno a ser Ioanne de Palinis merca-tore, cive et habitatore Brixie, libras quinquaginta planetas, in quolibet mensemaii, incipiendo exigere dictum livellum in mense maii proximi futuri et sic

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successive singulo anno totum et integrum dictum livellum, una etiam cumaffrancatione librarum mille planetarum debito iuxta tenorem instrumenti ro-gati per quondam dominum Christophorum de Sancto Gervasio notarium subdie 27 maii 1527, cui quatinus opus sit relatio habeatur; quem ser Ioannemdebitorem et livellarium ut supra praedicti domini deputati agentes ut suprapromiserunt manutenere bonum, verum et exigibilem debitorem et livella-rium tam pro ipsis annuis livellis quam pro dicta sorte et affrancatione dicta-rum librarum mille planetarum ad terminos predictos. Et promiserunt dictisindici dictae Disciplinae agentes ut supra praedictis dominis deputatis agen-tibus ut supra de evitione et legitima deffensione dicti loci venditi ut supra inomni casu et causa et tam in toto quam in parte et tam in proprietate quamin possesione et tam si vinceret quam si vinceretur omnemque litem, questio-nem, causam seu controversiam quae exinde dictis magnificis dominis depu-tatis agentibus ut supra modo aliquo moveretur in se suscipere illique supe-resse, instare et sollicitare eamque fine debito, propriis sumptibus et expensisterminari facere, vacuamque liberam et expeditam possessionem dictorumbonorum ut supra dictis magnificis dominis deputatis agentibus ut supra ven-ditas tradere et ipsos in eis omnibus aliis facere potiores. Item reficere, resti-tuere et emendare omnia et singula damna, expensas et interesse quae occa-sione praedicta sequerentur pactis tamen inter praedictos contrahentes ut su-pra agentes solemniter factis, firmatis, sine quibus presens instrumentum nonfecissent et cum quibus fecerunt ut supra, quod feriate affixe in muris dictiloci venditi et vedriate site super finestris dicti loci omnes sint et esse debeantpraedictorum disciplinatorum quas sibi reservaverunt et reservant. Item quodmurus existens a sero parte dicti loci venditi tantum quantum se extendit cur-ticella dictorum disciplinatorum sita inter ipsos contrahentes agentes ut supracomunis et quod dictus murus non possit deprimi seu abassari, pacto tamenquod murus ipse possit quandoconque elevari per praedictos dominos depu-tatos agentes nomine praedicti communis Brixie et per praedictos disciplina-tos, reliquum vero dicti muri existentis a sero parte dicti loci, segregantis dic-tum locum venditum ab oratorio magno usque ad tegulas, sit proprium dicto-rum disciplinatorum et finestre existentes in ipso muro et lucem dantes dictooratorio magno et alteri loco existenti supra dictum oratorium magnum re-manere debeant in ipso muro nec obturari possint per ipsos dominos deputa-tos agentes ut supra, pacto tamen quod ampliari non possint ipse fenestre necalia foramina vel fenestre in ipso muro fieri possint. Item quod praedicti do-mini deputati ut supra agentes teneantur et obligati sint obturari facere et ob-turata tenere ipsa hostia et fenestras existentes in ipso loco vendito eorumpropriis expensis. Item quod tectum seu cuppi cum lignaminibus existentibussupra curticellam seu scalam dictorum disciplinatorum manere debeant in eostatu prout reperiuntur ad beneficium tamen dictorum disciplinatorum. Itempraedicti domini deputati agentes ut supra defluere facere non possint stellici-dia seu aquas ex ipsis stellicidiis descendentes ex cuppis dicti loci venditi necaliis cuppis in curiam praedictorum disciplinatorum, sed teneantur eas de-fluere facere et gubernare super solo proprio dictorum dominorum deputato-

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rum agentium ut supra. Item quod si contingeret praedictos disciplinatosemere locum et situm existentem a monte parte dicti loci venditi pro eorumnecessitate quod eo casu possint ipsi disciplinati construere duas fenestras inipso muro existente a monte parte dicti loci venditi ut supra, dummodo nonrespiciant in dicto choro construendo, sed tamen respicere possint in loco va-cuo, tunc existente circumcirca dictum chorum. Promittentes dictae partes etquaelibet earum agentium ut supra perpetuo habere et tenere praedicta om-nia firma, ratha et grata et eis non contrafacere nec contravenire aliqua ratio-ne, causa vel ingenio, directe nec per indirectum, per se nec per interpositampersonam nec alio quovis quaesito colore sub refectione et emendatione om-nium et singulorum damnorum, expensarum et interesse litis et extra uniipsarum partium culpa vel deffectu alterius incurrentis pro praemissis nonservatis et eorum causa et occasione, stipulatione praemissa, obligantes adhaec sese per se et omnia eorum bona presentia et futura pignori et hippothe-cae et maxime praedicti domini deputati bona comunis Brixiae quae bonamutuis precariis nominibus ad invicem possidere constituerunt et renuntiave-runt exceptioni non sic factae presentis venditionis, numerationis, promissio-num et obligationum de quibus supra et non sic ut supra fuisse verum omni-busque statutis, consiliis, decretis, ordinibus, provisionibus et reformationibuscommunis et populi Brixiae ac alibi factis et faciendis in contrarium ad prae-dicta quovismodo operantibus, de quibus omnibus rogatus fui ego GabrielFaita comunis Brixiae causidicus ad laudem sapientis.

(SN) Ego Gabriel Faita quondam domini Augustini, civis et habitatorBrixiae ac aliter praedictae magnificae comunitatis Brixiae causidicus, supra-scriptis interfui et de eis rogatus extiti, exinde aliis implicitus per alterumtranscribere feci et cum originali concordare inveni et in fide me subscripsi.

Capitoli fati per li dusuplini de Santo Nazario et Santo Celso dati ali ma-gnifici signori deputati sopra ala fabrica de Santa Maria de li Miracoli.

Prima li ditti dusuplini voleno de detto horatorio del fondo fin a la cimareservandose tute le mobeli che se gli ritrova al presentea lire mille de planete evoleno gli sia pagato il livello a cinque per cento chon termino de francarse deanni treii.

Item li ditti dusuplini voleno tutte le ferate che sono nel muro devisoriotra la Madona et ditti dusuplini et che ditti agenti de la Madona siano obligatia far chavar fora ditte ferate e far murar suso ditte buse a sue spese così de leferate chomo de le altre cose, ciové de ussi, et se reservemo tute le ante de lefenestre e usseb.

Item li ditte dusiplinec voleno tutte le invidriate et armate che se ritrova-no su le dette finestre.

Item li ditti dusuplini voleno che tutte le aque che chascarano extra dittomuro che sarà divisorio deba esere governato sun quello de la Madonna.

Item li diti dusuplini se reserva tutto il covertume qual se ritrova sopra lacorte de ditti dusuplini.

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Item li ditti dusuplini se reserva li luce varda verso doman de lo oratoriode soto e di sopra, ciovè el primo et quelo de sopra grandi.

Item ditti dusuplini voleno che ’l murad sarà divisorio stia in libertà suade diti dusuplini di alzarlo et basarlo secondo parerà e piacerà a essi dusuplini.

Il loco de la dusuplina de Santo Nazario e Santo Celso qual se tratta devendere ala Madona de li Miracoli sonoe stà stimato L. 1000, che montarianosecondo la legge L. 2000, ge ne avemo dimandato L. 1500 per che volemoche la Madona abia avantazo, con questo patto che volemo le feradi et invi-dreadi che se li rittrova nel muro et che ’l sia stopado le fenestri et che ‘l muroresta ne l’altezza dove si ritrova al presente, et che le aque de la Madona siagovernate ne suo e volemo che li feradi che sono nel’oratorio de sotto et de so-pra grando romanga cholle ferate aperte, restino per beneficio de li ditti orato-rie; et che tutti li ussi che se gli ritrova, li faciano murar suso a soi spese; etche li copi che se ritrova sopra la corte, restino in noi chon li legnami; et chevolemo el livello a cinque per cento; e siano obligati afrancarse ad ogni nostrarequisicione, promitedoge de darge tutte quelle sigurezi che sarano doman-darf; el qual livello debba scominciar al primo dì de aprile 1561; et che ’l mu-ro verso la cortesella verso sera sia murog comun; et per caso ditti dusuplinicomprasseh el logo verso a monte per suo bisogno posano far far nel muro doiferate.

(a) del fondo-al presente nel margine sinistro (b) tute-usse nel margine sinistro (c) duspline:così in A (d) mura: così in A (e) sono: così in A (f) domandar: così in A (g) segue depennatociovè divisorio (h) crompasse in A.

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Primo

II.

1620 novembre 8, Brescia.

Prospero Gentili, Lorenzo Pregnacca, Giovanni Maria Battaglia e Giovan-ni Battista Comenda, rappresentanti eletti dalla confratenita della Disciplinadei Santi Nazaro e Celso, stipulano con il pittore Pietro Giacomo Barucco ilcontratto per la decorazione dell’oratorio inferiore e per la dipintura dei ban-chi che si trovano in esso.

Originale, ASC, 1797 1/2, filza ottava, n. 8.Edizione: R. PRESTINI, Documenti, pp. 278-279, documento IV, in AA. VV., La

collegiata insigne dei Santi Nazaro e Celso in Brescia, Brescia, 1992.

Adì 8 novembre 1620.

Si dichiara per la presente qualmente è fato achordio et conventione tradomino Prospero di Gentili et il signor Lorenzo Pregniacha, domino GiovanniMaria Battalia et me Giovanni Battista Comenda, tutti quatro eleti dalla hono-randa confraternita dela Disiplina de Santi Nazaro et Celso di questa cità, condomino Petro Iacomo di Baruc pictore citadino et habitante in Brescia presen-te et che fa per sé etc. de dipingere l’oratorio teraneo et banchi che si ritrova-no in eso de esa disiplina dela vita et martirio de esi santi et come nel infra-scritti capitoli, ciovè:

che esso pictore che fa ut supra sia tenuto et obligato et così convene,promette et obliga de dipingere detto oratorio a frescho de buoni, belli et finicolori et deli meliori che se posano trovare con queli misteri dela vita et marti-rio deli sudetti santi Nazaro et Celso che più parerano et piacerano ali sudettieletti et anchora dipingere esi banchi conforme ala sudetta pictura;

che parimente sia obligato a dipingere il volto de esso oratorio facendo indetto volto trei quadri come più piacerà ali sudetti eletti et parimente nelicampi così deli cantoni come dalle bande et altre, altri misterii et figure comedi sopra con li suoi religamenti a chiaro et schuro con filetti de oro dove riche-demo così del volto come dale bande et alla porta in buona, bella et laudabilforma;

che esi misterii et figure da farsi debano corispondere a quelle sono almuro a monte parte dove è lo altare et continuar eso principio;

che parimente sia obligato et così si obliga dar compita essa opera in ter-mine de uno anno continuo prosimo futuro de buoni, belli et fini colori comedi sopra, altramente detto termine pasato et non compita esa opera et anchorain caso che esso domino Pietro Iacomo pasase a milior vita, che il Signore fa-cia la sua santa volontà, che in detti casi esi eletti ut supra posono far fare etcompire esa opera a danno et interesse de eso pictore et suoi eredi et susesori;

che parendo ali sudetti eletti de far extimar detta opera come sarà compi-5º

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ta da periti in simil arte et esendo extimata magior pretio del infrascritto acor-dio, eso domino Pietro Iacomo non ne vole, nè pretende benefitio alchuno sal-vo detto acordio et esendo extimata de mancho de eso acordio se contenta re-lasare ognii dieci schudi fuse stimata de mancho schuti trenta sotto pena utsupra;

che essi eletti ut supra et che fanno a nome de essa Disiplina siano obli-gati a far fare li ponti de legniami afin esso pictore posa far detta opera et pa-rimente siano obligati ala spesa dela calzina, sabion, maristranza et altro perinfreschar per far detta opera;

che esi eletti et che fano come di sopra siano tenuti et obligati et così pro-meteno et obligano dar et pagar ada esso domino Pietro Iacomo che fa come disopra liri novecento planetti de esere pagati a questo modo, ciovè liri doi centocinque planetti subito et quali eletti ut supra dano et pagano ad eso dominoPietro Iacomo in tanti buoni dinari d’oro et argento ala presentia deli infra-scritti testimonii, quali sono dinari per essi eletti auti in prestito da dominoTomaso Ferini, fratelo di casa, come apar per scritto del dì 4 corenteb, et que-sto a buon conto de essa opera, et altri liri doi cento cinque planetti compitaesa opera et il residuo qual è di liri quatrocento novanta planetti essi eletti, etche fano come di sopra, prometeno et obligano neli beni de esa Disiplina darliet pagarli ad eso domino Pietro Iacomo in termine de anni quatroc continuiiprosimi futuri potendo però esi obligati pagare in più fiate durando eso termi-ne soto pena deli dani et interesi potese patir eso domino Pietro Iacomo etc.

Promitentes etc., obligantes etc. et maxime deti eleti come di sopra obli-gano li beni de esa Disiplina renontiantes etc. et in fedi io Giovanni BattistaComenda ho scritto il presente de comisione de li sudetti parti quali si soto-scrivirano ala presentia de li infrascritti testimonii.

Et di più eso domino Pietro Iacomo si obliga a netar et recomodar et re-misticare le figure che sono sopra il muro al altare dove è di bisognio in buonaet laudabil forma soto pena etc. ut supra.

Io Pietro Giacomo Baruccho affermo ut supra.Io Lorenzo Pregnaccha affermo ut supra.Io Horatio Berna fuii presente per testimonio.Io Pietro di Pini fui presente per testimonnio.Io Giovanni Maria Battalia afermo quanted di sopra.Io Prospero di Gentili afermo quanto di sopra.Il medemo Giovanni Battista Comenda.

(a) segue depennato ed (b) come-corente: nel margine interno (c) segue depennato continuii(d) quante: così in A.

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Vincenzo Gheroldi

Le scelte artistiche dei disciplini

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Due grandi frammenti e alcuni piccoli lacerti di dipinti murali cin-quecenteschi, un contratto seicentesco per opere perdute e qualche bre-ve notizia nelle guide locali del Settecento e dell’Ottocento: il quadrodei documenti che possediamo per ricostruire l’aspetto delle due auledella sede della Disciplina bresciana dei Santi Nazaro e Celso e gliorientamenti delle commesse artistiche dei disciplini fra Cinquecento eSeicento è piuttosto scoraggiante. Ma la rarefazione documentaria puòanche diventare uno stimolo per lo studio, perché invita a lavorare conmolta attenzione sulle poche testimonianze disponibili, a formulare ipo-tesi e a verificarle ragionando sui dettagli, allargando in modo imprevi-sto le prospettive dei confronti. Il piacere della mia ricerca è spesso di-peso da questi percorsi, attraverso i quali ho provato a ricostruire gliaspetti e i significati di alcuni dipinti perduti.

Lo studio che segue è diviso in tre parti. La prima è dedicata allaCrocefissione del Romanino, la seconda alla ricostruzione di un cicloche attribuisco a Paolo da Caylina il Giovane, la terza alle opere perdu-te del Moretto e di Pietro Giacomo Barucco. Si tratta, in fondo, di unavicenda di commissioni artistiche fatta di due poli distanziati di circanovant’anni, che coincidono, secondo la mia conclusione, con un mo-mento di sviluppo e col rilancio della Disciplina. Per questa ragione lostudio degli investimenti artistici ha impegnato contemporaneamente laricerca su due fronti di ricostruzione: da una parte i manufatti, le lorotecniche e i loro aspetti, dall’altra le preferenze e le culture. Ma si trattadi due facce che interagiscono a tal punto che non è possibile studiarleseparatamente (*).

I.

[I.1] Dal portale d’ingresso, datato dall’iscrizione DEO MAX. SA-CRAEQUE AEDIS/ ORNAMENTO NAZAREAE SCOLAE/ IMPENSAPIENTISS. F. IIII KL. APRILES/ M II D, si entra nell’ambiente a pianoterra che costituiva l’aula della nuova Disciplina dei Santi Nazaro eCelso. Di quest’aula originaria si riconosce solo la struttura architetto-nica tardoquattrocentesca, mentre, sulla parete di fondo, restano iframmenti della Crocefissione del Romanino. 1

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Si tratta di un testo difficile, che richiede ispezioni molto ravvicina-te, ricuciture mentali dei lacerti e valutazioni sugli stati delle superfici.La Crocefissione è infatti molto lacunosa: manca l’intera parte centrale,dove era stato dipinto il Cristo crocefisso, e le due porzioni laterali con iladroni sono in parte abbattute. Inoltre l’intera superficie, già scialbataa calce, è stata ulteriormente danneggiata dai lavori di discialbo1. Maancora nel 1760 la Crocefissione del Romanino era integra. La guida Lepitture e sculture di Brescia di Giovanni Battista Carboni cita infattiquesti dipinti murali: “Li freschi dietro l’Altare sono di Girolamo Ro-manino, e rappresentano Cristo innalzato in Croce in mezzo ai due La-droni”2. L’insieme figurativo era comunque più complesso. Esistevanoad esempio le donne dolenti che erano state descritte nella guida del1747 e del 1751 di Francesco Maccarinelli: “Dietro l’Altar [dell’orato-rio] rappresentò Girolamo Romanino a fresco il monte Calvario su cuivedesi compianto dalle Donne addolorate crocefisso, tra due ladronj, ilRedentore”3. Francesco Paglia, inoltre, verso il 1680-90, notava una fi-gurazione affollata: “Il Crocifisso al Monte Calvario con molte figure vi-vaci colorite a fresco di Girolamo Romani”4. Questa stessa zona, dietrol’altare, è chiamata anche la parete “a monte”.

L’altare si trovava quindi sulla parete N esattamente opposta allaparete S dove era collocato l’ingresso principale dell’aula a piano terradella Disciplina, e il dipinto del Romanino occupava perciò una posizio-ne dominante nella percezione dello spazio interno, dove la Crocefissio-ne era stata pensata come una quinta illusiva dietro all’altare. Questazona, al momento dell’intervento del Romanino, conservava infatti unatipologia caratteristica dell’architettura bresciana tardoquattrocentesca:una conformazione a tre volticelle unghiate impostate su archi a tuttosesto, con le due vele allungate nella zona inferiore. Probabilmente, inorigine, queste due vele partivano da due peducci scolpiti infissi nelmuro. Infatti gli intonaci dipinti dal Romanino collocati fra la termina-zione delle vele e i due capitelli dipinti mostrano, se osservati a luce ra-dente, un paio di chiusure simmetriche che fanno pensare alle tampo-nature eseguite per colmare i fori lasciati dalla rimozione di due ele-menti architettonici inseriti nella muratura.

Possiamo quindi pensare che l’ambiente, inaugurato, come indical’iscrizione sull’architrave del portone d’ingresso, nel 1498, fosse statocostruito secondo una tipologia architettonica tardoquattrocentesca.Non si trattava perciò di un ambiente acquisito e poco riadattato, ma diuna nuova costruzione, o almeno della radicale trasformazione di unedificio preesistente. Il Romanino era stato quindi costretto ad interve-nire in uno spazio così connotato. Ciò spiegherebbe la particolare solu-zione adottata dal pittore nella progettazione del suo dipinto: una tra-

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sformazione della struttura a volticelle tardoquattrocentesca in un fintologgiato che poggia su colonne dipinte, con la finzione di una profon-dità laterale ottenuta con il prolungamento dipinto delle pareti reali.Uno sfruttamento, insomma, delle presenze architettoniche tardoquat-trocentesche per la realizzazione di uno spazio illusivo più coerente conle esigenze della pittura della prima metà del Cinquecento.

È facile immaginare come questo intervento dipinto fosse più este-so di quanto si è conservato. Ciò che oggi vediamo imbiancato e decisa-mente slegato dall’insieme doveva infatti essere, in origine, dipinto eraccordato all’illusività spaziale della Crocefissione. Possiamo ipotizzarel’esecuzione di una quinta illusiva: con le tre volticelle e le vele coloratecon un finto marmo simile a quello delle colonne dipinte, con all’inter-no dello spazio frontale delle due vele qualche elemento figurato. Inve-ce, nella parte bassa, la figurazione della Crocefissione non poteva certoarrivare fino a terra ed essere quindi coperta dall’altare, ma dovevapiuttosto prevedere uno zoccolo marmoreo alto almeno quanto l’altaresul quale poggiavano le due colonne dipinte.

Esiste infatti un frammento della Crocefissione del Romanino chenon è mai stato rilevato, e che può essere utile per ricostruire a quale li-vello arrivassero le figure e quindi per capire la necessità di una fasciadi zoccolatura. Si tratta di un lacerto alto 95 cm. posizionato a 21 cm.sotto la figura dell’uomo con l’armatura della porzione destra del dipin-to, che rappresenta un dettaglio di un costume maschile: un piede cal-zato e una parte di polpaccio coperta da una calza a bande gialle ebianche verticali. Il piede poggia sul terreno, e il frammento dista 180cm. dall’attuale quota pavimentale. Ciò lascia supporre che l’area figu-rata del dipinto terminasse non più di una quarantina di centimetri piùsotto. Restava quindi circa un metro e quaranta per la zoccolatura: giu-sto lo spazio che poteva occupare un altare in altezza, dalla predella si-stemata a terra al limite estremo del tabernacolo poggiato sulla mensa.

La nostra ipotesi relativa alla presenza di un’alta zoccolatura di-pinta a finto marmo è quindi aiutata da questo indizio. Un indizio cheacquista una particolare concretezza se viene considerato all’interno delparticolare contesto degli interessi personali del Romanino per i para-menti a finti marmi che strutturano le inquadrature architettoniche del-le scene dipinte. È un’attenzione che si manifesta specialmente fra laseconda metà degli anni Venti e la metà degli anni Trenta del Cinque-cento, quando nella progettazione del dipinto murale il pittore mostrauna speciale predilezione per l’elaborazione di specchiature marmoree,di mensole illusive, di scansioni di architetture dipinte che raccordanospazio reale e figurazione. Basta pensare alle relazioni fra architetturareale e architettura dipinta nel ciclo di Sant’Obizio in San Salvatore a

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Brescia, o all’importanza che devono avere avuto queste realizzazioninell’organizzazione dei dipinti dell’ambiente (che credo fosse l’origina-rio refettorio dei forestieri5) ubicato al piano terra del lato occidentaledel chiostro dell’abbazia olivetana di Rodengo. Oppure si possono ricor-dare le soluzioni che caratterizzano la spazialità dipinta della loggia edella scala del Castello del Buonconsiglio a Trento, l’interno della chiesadi Santa Maria della Neve a Pisogne, o ancora l’organizzazione dellaparete di fondo del coro di Sant’Antonio a Breno. I paramenti a fintimarmi della cappella di Sant’Obizio, quelli del ciclo di Pisogne, o iframmenti delle impaginazioni architettoniche dipinte di Rodengo, pos-sono probabilmente fornirci qualche supporto concreto per immaginarequanto poteva essere stato realizzato intorno alla Crocefissione nella Di-sciplina dei Santi Nazaro e Celso.

Questa attenzione del Romanino all’impaginazione architettonica ètestimoniata sia dalle tracce di costruzione dell’impianto dei capitelli edelle finte architetture incise con una punta nell’intonaco fresco, chedall’organizzazione delle pezzature degli intonaci. Anche se la conti-nuità delle superfici è spesso interrotta da grandi e frequenti lacune, èinfatti abbastanza semplice individuare a luce radente la coincidenzafra gli attacchi delle diverse falde dell’intonacatura e le partiture dellearchitetture dipinte. Gli intonaci seguono in più punti il profilo delledue colonne e dei loro capitelli, e corrispondono agli stacchi fra il cielo egli archi interni del loggiato. Ciò significa che il Romanino aveva trac-ciato con una certa precisione sull’arriccio una sinopia con l’intero im-pianto architettonico, e che queste partiture erano state rispettate giànella fase di intonacatura. Anche le parti figurative avevano una sino-pia, in quanto più volte gli intonaci ritagliano i profili con una certaprecisione: ad esempio, nel frammento di sinistra, l’intonaco scontornail piede del ladrone e il muso del cavallo, mentre, sulla porzione di de-stra, due attacchi di intonaco seguono il profilo superiore della testa delsoldato in armatura e i limiti del capo e delle spalle del soldato arram-picato sulla scala. È una tecnica di distribuzione degli intonaci presentein modo meno diffuso nei casi romaniniani della seconda metà neglianni Trenta del Cinquecento di Breno e, intorno al 1540, di Bienno, èpresente sporadicamente verso la fine della prima metà degli anni Tren-ta nelle vele e nell’Andata al Calvario di Pisogne, ma è abbastanza si-mile a quella usata nel ciclo di Sant’Obizio in San Salvatore a Brescia,collocabile nella seconda metà degli anni Venti. L’esistenza di una sino-pia sotto la Crocefissione della Disciplina è d’altronde confermata daalcune cadute dell’intonaco in diverse aree del dipinto, che mettono inevidenza un disegno grigio eseguito sull’arriccio con un pigmento nerodiluito in acqua applicato con tratti larghi di pennello. È una tecnica di

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esecuzione della sinopia molto vicina a quella che è possibile studiarenel caso dei dipinti strappati della cappella di San Rocco a Villongo SanFilastrio6.

[I.2] Questa ricerca della continuità illusiva fra architettura reale earchitettura dipinta non era probabilmente percepita dai destinataridell’opera solo come un interessante virtuosismo artistico: forse costitui-va ai loro occhi anche una scelta di rappresentazione che definiva il si-gnificato stesso della Crocefissione. A questo proposito va tenuto pre-sente che il frammento di destra sopra l’uomo in armatura permette diricostruire la prospettiva e l’illusione di profondità del loggiato dipinto,e consente quindi di immaginare la rappresentazione del Cristo croce-fisso non nel paesaggio retrostante, ma sotto l’arcata della finta archi-tettura. La prosecuzione dipinta dello spazio reale, la collocazione dellasacra storia sotto un loggiato chiuso da finte pareti che continuavanoquelle vere della Disciplina, era un modo piuttosto trasparente per si-gnificare la vicinanza del momento culminante della passione, la suapresenza dietro all’altare reale dove si celebrava l’eucarestia e nellarealtà dell’aula dove i disciplini praticavano proprio la meditazione sulsacrificio di Cristo.

Lo spazio figurativo poteva quindi veicolare un contenuto checoincideva con il particolare orientamento della devozione dei discipliniverso la pietà cristocentrica e i temi imperniati sul legame fra passionee redenzione. I disciplini erano in grado di leggere questo messaggiodell’attualità della passione di Cristo nel dipinto del Romanino, non so-lo perché si trattava di un contenuto religioso che faceva parte dellatradizione culturale della loro confraternita7, ma anche perché i temidella pietà cristocentrica avevano assunto un ruolo importante negli in-teressi religiosi più generali fra la metà degli anni Venti e gli anni Tren-ta del Cinquecento. Lo sviluppo quantitativo della letteratura di pietàin volgare fra il terzo e il quarto decennio del Cinquecento registra co-me un sismografo l’accendersi di una simile attenzione8, e contempora-neamente, come notava Delio Cantimori, l’interesse per i temi dellapietà cristocentrica attraversava sia l’ortodossia cattolica che gli am-bienti più apertamente ereticali9. I disciplini erano sicuramente attrattida questa letteratura di pietà fatta di testi ortodossi, libri sospetti e ope-re proibite10, che creava, a seconda delle ricezioni, una sincera devozio-ne ortodossa o un particolare terreno di coltura per le idee ereticali e leadesioni ai contenuti della Riforma. Non è infatti un caso se negli anniTrenta del Cinquecento i sospettati di simpatie “luterane” erano piùfrequenti proprio fra gli adepti delle confraternite11.

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Di fronte all’impostazione della Crocefissione del Romanino, laquestione potrebbe quindi spostarsi dal problema della capacità dei di-sciplini d’interpretarne il significato a quello del diretto coinvolgimentodei disciplini nella sua progettazione. L’idea di rappresentare il conte-nuto dell’attualità della passione con l’artificio della continuità dell’am-biente reale nello spazio dipinto può, insomma, essere stata ragionata,insieme al pittore, dai disciplini stessi. La posizione passiva dei com-mittenti cinquecenteschi delle grandi opere religiose è d’altronde deltutto inverosimile. Mi sembra molto significativo che in Torricella, undialogo di Oto Lupano ambientato nel 1531 in prossimità di Casale12, ildibattito sulle opere d’arte sia condotto da un teologo francescano, unsoldato tedesco “luterano” e un intellettuale, mentre l’assenza dell’opi-nione dell’artista non interessa lo scrittore cinquecentesco e può invecescandalizzare il lettore moderno, che è abituato a pensare i manufattiartistici non come prodotti funzionali, ma come realizzazioni collocatesolo sul versante dell’espressione individuale e dello stile personale. Maanche dal punto di vista della mentalità religiosa, la commissione di undipinto come la Crocefissione del Romanino poteva essere vissuta daidisciplini come un’attività che assumeva contemporaneamente il signi-ficato di un investimento devoto e di una manifestazione di ortodossiacattolica. L’associazione fra “luterani” e iconoclasti era infatti moltoimmediata nella cultura cattolica degli anni Venti e degli anni Trentadel Cinquecento. E proprio nell’area lombarda si erano verificati episo-di di iconoclastia “luterana”13, che, a quanto pare, avevano trovato an-che un certo consenso popolare14.

Essere committenti di opere d’arte di contenuto devoto significavaquindi, in questi anni, essere dei buoni cattolici. L’acquisto della qualitàe dello stile, l’espressione delle scelte di gusto, erano, certamente, anco-ra fatti importanti. Sicuramente lo erano per committenti dell’estrazio-ne sociale dei disciplini, che possedevano gli strumenti culturali per in-cardinare le loro scelte anche sulla valutazione qualitativa e sull’aggior-namento dello stile. Ma i nuovi contenuti del confronto religioso nelmomento della rottura dell’unità confessionale e i dibattiti sulle imma-gini sacre e sul loro uso nella devozione facevano evidentemente affio-rare anche altre consapevolezze nei committenti e altre attenzioni nelpubblico.

Bisogna quindi chiedersi se i committenti disciplini, in un similecontesto, oltre alle questioni riguardanti i contenuti iconografici, si po-nevano anche il problema dell’efficacia dello stile. Non tutti gli artisti,d’altronde, davano gli stessi prodotti. E la scelta di affidare al Romani-no l’esecuzione della Crocefissione poteva essere stata meditata anche inbase a una valutazione sull’utilità del suo stile. Sicuramente i disciplini

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avevano giudicato il modo di dipingere del Romanino prima di affidar-gli l’incarico, e probabilmente lo avevano trovato non solo adatto alsoggetto commissionato, ma anche efficace per ottenere dalle rappre-sentazioni dipinte quegli effetti che portavano al coinvolgimento devotoche desideravano. Infatti, già per tradizione culturale, i disciplini posse-devano una speciale attenzione per la contemplazione attiva delle im-magini di pietà durante la preghiera15. E l’attenzione, si noti bene, nonera rivolta alla sola iconografia, ma riguardava anche la resa dei sog-getti e le tecniche delle raffigurazioni dolenti che risultano capaci dimuovere una partecipazione emotiva durante le pratiche di devozione.Di fronte a un’immagine di pietà, Giovanni di Pagolo Morelli pregava“ragguardando nondimeno continuamente la immagine e figura del di-voto Crocifisso, fermando gli occhi [...] nelle sue preziose piaghe”; equindi, rivolgendosi all’immagine di Giovanni evangelista, aveva “gliocchi [...] fermi alla sua figura, la quale alla sinistra mano della prezio-sa croce era figurato con tanto dolore e tanta tristizia quanto in corpoumano è possibile dimostrare”16. E ancora due o tre decenni prima dellacommissione al Romanino si metteva in evidenza il ruolo fondamentaledell’osservazione visiva dettagliata delle opere d’arte religiose “ad exci-tandum devotionis affectum”17. D’altronde questi concetti erano presen-ti nella produzione a stampa di opere di pietà della prima metà del Cin-quecento, dove comparivano moltissimi testi originali, ma anche edizio-ni di opere medievali che i destinatari cinquecenteschi leggevano proba-bilmente con lo stesso spirito col quale si accostavano ai prodotti con-temporanei18.

Nelle immagini tardomedievali di pietà la resa polimaterica di al-cuni dettagli, come il sangue, le lacrime, le piaghe19, aveva probabil-mente lo scopo di attirare lo sguardo e quindi serviva a incentivare lapartecipazione devota. Nei dipinti di pietà dei primi decenni del Cin-quecento bisognerà invece cercare questi agganci al coinvolgimento de-voto non più nell’evidenza polimaterica dei dettagli salienti, ormai cul-turalmente scaduta, quanto, piuttosto, nella resa partecipata degli af-fetti e nelle stesse tecniche di esecuzione. Non è forse un caso se le evi-denze di una tecnica sprezzante si congiungono alla resa affettiva deicontenuti pietistici e all’iconografia tutta incentrata sui temi della pas-sione di Cristo nel grande ciclo di dipinti murali, databile intorno al1533-34, del Romanino di Santa Maria della Neve a Pisogne. E anchese questa impresa, probabilmente, non era stata una commissione deidisciplini20, è evidentissima la direzione pietistica del suo programmaiconografico, sostenuta anche dal costante riferimento alla passione ealla croce come strumento di redenzione espresso dalle scritte di tutti icartigli mostrati dai profeti e dalle sibille delle vele delle volte21. Il tutto,

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poi, culmina nella figura della Maddalena abbracciata alla croce nellagrande Crocefissione in controfacciata, col volto dipinto proprio al cen-tro dell’arco e rivolto direttamente ai fedeli: il suo ruolo è dunque quel-lo di mostrare la scena e svolgere quindi la funzione di intermediaria22.Ma contemporaneamente la Maddalena è rivolta ai fedeli che si accin-gono ad uscire, come per invitarli a seguire il suo esempio di conversio-ne e di penitenza.

Per queste ragioni, il ciclo del Romanino a Pisogne costituisce unatestimonianza di un contesto culturale del principio degli anni Trentadel Cinquecento, in cui si misurano non solo le attenzioni diffuse ai te-mi legati alla pietà cristocentrica23, ma anche i linguaggi figurativi etecnici che rendevano efficaci questi contenuti. Bisogna quindi pensareche le trasformazioni che coinvolgono la tecnica del Romanino intornoalla metà degli anni Venti del Cinquecento, che sono indubbiamente le-gate alla sua adesione alla sprezzatura24, potevano essere state incenti-vate e avere successo presso i contemporanei anche in relazione aldiffondersi degli interessi religiosi in cui i disciplini erano direttamentecoinvolti. Per leggere questi cambiamenti tecnici possiamo certamentepensare alla reazione alla pittura diligente che interessa diversi pittoridell’area padana orientale nei primi decenni del Cinquecento25, ma con-temporaneamente possiamo fare nostra anche un’osservazione di CarloGinzburg, che aveva notato come l’emergere “di una pittura inquieta,agitata, anticlassica [...] si spiega probabilmente alla luce di queste esi-genze nuove della pietà religiosa, e non di motivazioni esclusivamenteformali”26. In questo caso il discorso ruotava su Rosso e Pontormo, macredo che possa centrare anche gli intrecci fra committenza, orienta-menti religiosi e modificazioni tecniche di cui ci stiamo occupando aproposito dei disciplini e del Romanino.

[I.3] Per cogliere questo nesso dobbiamo ritornare a lavorare suldipinto del Romanino: tentare anzitutto di ricostruire il suo aspetto ori-ginario, e datarlo con la maggiore precisione possibile. È necessario in-fatti capire quale prodotto avessero acquistato i disciplini, e quando:perché pochi anni di differenza possono istituire prospettive interpreta-tive molto diverse per il significato assunto dallo stile e dalla tecnica diquesto dipinto murale.

Abbiamo già cercato di ricostruire l’impianto illusivo dell’architet-tura dipinta. Ma dentro la finta architettura, la sacra storia apparivamolto diversa da come la vediamo attualmente. Infatti sotto ai residuidi scialbo dimenticati sul dipinto si trovano ancora le tracce delle stesu-re che altrove sono state rimosse insieme alla scialbatura. Così, oggi, in

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diverse parti, vediamo solo le basi, sulle quali il Romanino aveva spessolavorato a calce, a tempera e a colla. Il cielo, ad esempio, ha una stesu-ra di intonaco nella parte superiore e una coloritura violacea a frescosottostante: sopra ad entrambe si trovano però dei residui di un com-pletamento di smaltino probabilmente dato a colla e asportati duranteil discialbo, in quanto si trovano sotto i frammenti di scialbatura tra-scurati dal restauratore27. Ho trovato questi frammenti vicino al ginoc-chio del ladrone della porzione sinistra, e inoltre, in qualche punto, igranelli azzurri sono visibili direttamente sulla superficie aggrappati al-le asperità dei dislivelli degli attacchi degli intonaci. Il cielo della partebassa intorno ai ladroni era stato quindi realizzato con una rifinitura dismaltino a secco dalla quale affioravano zone della base viola, mentrela zona superiore del cielo era stata invece dipinta sulla base chiara del-l’intonaco. Evidentemente la Crocefissione si stagliava su un cielo illu-minato dall’alto: e quindi il dipinto commissionato dai disciplini nonrappresentava l’agonia di Cristo in croce, ma il momento dell’aperturadel cielo nell’istante della morte di Cristo.

Il significato del dipinto non era quindi legato alla contemplazionedella sofferenza di Cristo, ma alla manifestazione di Dio nel momentofinale del sacrificio sulla croce, che dimostrava così la natura divina diCristo. Un significato perfettamente coerente con la collocazione dellaCrocefissione dietro l’altare su cui si celebrava l’eucarestia.

Possiamo solo immaginare l’effetto di questo cielo. Alcuni fram-menti permettono però di ricostruire qualcosa della vivacità della rap-presentazione alla quale alludeva la descrizione di Francesco Paglia.Contro il cielo, davanti al ladrone di destra, svolazzava ad esempio ungrande vessillo verde intenso, dipinto a malachite, del quale restano po-chi granelli e il disegno preparatorio eseguito, come consueto, a fresco apennello in rosso28. E contro il cielo e il vessillo si stagliava il colore delcorpo del ladrone, che resta oggi una delle cose meglio conservate. Masono soprattutto i lacerti della parte inferiore, con frammenti di costu-mi, panneggi, copricapi, armature, che conservano in alcune zone dellesuperfici o sotto i residui di scialbo le tracce dei completamenti colorati,che danno un’idea di quelle “molte figure vivaci colorite a fresco” cheavevano colpito Francesco Paglia. Per l’armatura del soldato in primopiano nel frammento di destra, il Romanino aveva realizzato un’imita-zione virtuosistica dei riflessi metallici con una lumeggiatura moltosciolta a calce, che oggi è completamente caduta lasciando sulla super-ficie del dipinto solo una serie di strappi. Dietro era collocata una figu-ra barbuta ammantata di rosso. Dall’altra parte della colonna il piu-maggio verde sul cappello dell’uomo in primo piano si stagliava sull’a-bito giallo ombreggiato di arancio e di rosso del soldato arrampicato

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Romanino, cappella di Sant’Obizio. Brescia, chiesa di San Salvatore in Santa Giulia.Flagellazione di Cristo.

sulla scala, mentre sulla scena di sinistra il soldato posto di spalle con-sentiva l’esibizione di riflessi di luce colorata sull’armatura contrastatacon gli sbuffi del costume giallo, e più a destra, sul cavallo bianco, sta-va un soldato vestito in giallo che teneva un grande scudo rosa.

Questi pochi appunti su quanto è ancora piuttosto leggibile dannomaggiore concretezza alla descrizione di Francesco Paglia. E se possia-

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Romanino, Ciclo della Passione. Pisogne, Santa Maria della Neve. Particolare del la-drone nella Crocefissione in controfacciata.

Romanino, Crocefissione. Brescia, ex Disciplina dei Santi Nazaro e Celso. Particolaredel ladrone nella porzione destra.

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mo solo sospettare l’aspetto di quanto è andato perduto con le grandilacune, la ricucitura paziente di tutti i frammenti abrasi e dei piccoli re-sidui dei materiali originali ci mette di fronte a un complesso coerentedi dati, che permette di ricostruire l’aspetto originario di un dipintomurale caratterizzato dalla particolare attenzione del Romanino per ilcolore e gli effetti cromatici complessi, per la varietà dei riverberi colo-rati e della luce sulle materie rappresentate. Ma prima di raccoglierequeste indicazioni, e giocarle nell’elaborazione di una proposta di data-zione della Crocefissione, dobbiamo ancora insistere nell’indagine dellepoche aree più integre: eseguite direttamente sull’intonaco a fresco solocon pochi tratti colorati a pennello (come il piede del ladrone di sini-stra), oppure realizzate a latte di calce sull’intonaco stanco e che con-servano ancora i completamenti a tratteggio. Ne sono un esempio i trat-teggi liquidi neri decisi che completano il braccio nudo del soldato ar-rampicato sulla scala, o meglio ancora le finiture delle ginocchia del la-drone di sinistra e del torace di quello di destra: dove la volumetria èrealizzata con un tratteggio liquido dato con un piccolo pennello tondomorbido a tratti decisi e non molto lunghi prima con un colore rossiccioe poi col nero. Queste parti rappresentano le zone del dipinto stratigra-ficamente meglio conservate e, nel contesto di una filologia della tecni-ca romaniniana, le pratiche di finitura delle superfici a tratteggio costi-tuiscono uno dei dati più importanti per ordinare la cronologia delleopere murali del pittore. In ogni caso è lo stato stesso dei frammentidella Crocefissione che obbliga alla lettura dei dettagli più integri conuna paziente osservazione ravvicinata.

Prima di imboccare questa strada, va però ricordato che i fram-menti della Crocefissione del Romanino hanno oscillato fra due estremeproposte cronologiche: una prima indicazione che puntava sugli anni1520-25, avanzata da Gaetano Panazza al momento dello scoprimentodel dipinto29, e una proposta cronologica più favorevole a una datazioneintorno al 1532-35 avanzata da Alessandro Nova30, che però contieneanche un suggerimento a favore di una data di qualche anno più tar-da31. La tendenza più diffusa è comunque quella di ancorare la Croce-fissione della Disciplina dei Santi Nazaro e Celso alla fase dell’attivitàromaniniana di Pisogne32, e collocarla subito dopo la conclusione del ci-clo di Santa Maria della Neve. Si tratta di un accostamento che posizio-na il dipinto romaniniano intorno al 1535: a volte con un equivocoscambio fra elementi iconografici e dati di stile usciti dal confronto frala Crocefissione della controfacciata di Santa Maria della Neve e i fram-menti della Crocefissione della Disciplina bresciana33.

Le indicazioni cronologiche si scalano quindi nell’arco di quasi unventennio. Si tratta di un ventaglio di datazioni che è la spia di una dif-

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ficoltà filologica: legata evidentemente allo stato dei frammenti, ma an-che al fatto che è impossibile ricondurre i dettagli osservati a una lettu-ra strutturata dell’insieme. Quanto si vede e ciò che si riesce a ricostrui-re permettono comunque di scartare subito le proposte più favorevolialle date precoci: 1520 significa infatti solo l’anno dopo i dipinti, diver-sissimi, del Duomo di Cremona34, mentre non sappiamo molto delle tra-sformazioni della tecnica di pittura murale romaniniana fin verso lametà degli anni Venti. Sono però fissati al 1526 i dipinti murali dellavolta che sostiene l’organo di Asola, che probabilmente seguono di pocole vele e le lunette del coro di San Francesco a Brescia. L’intreccio disprezzatura e pordenonismo35 che caratterizza questa fase non consenteconfronti con la Crocefissione della Disciplina.

Più interessante è invece il confronto con il gruppo di opere che so-litamente viene collocato negli anni immediatamente seguenti, nella se-conda metà del terzo decennio del Cinquecento, quando il Romaninosembra rivedere le sue scelte stilistiche. Forse avranno pesato i controllidi committenti meno arrischiati, forse il Romanino avrà cercato di ga-rantirsi un maggiore consenso adottando soluzioni più convenzionali equindi meno orientate verso le arditezze della sprezzatura, forse il cre-scente successo delle soluzioni morettesche può avere aiutato questa re-visione, ma sta di fatto che lo stile di un’opera come il ciclo di Sant’O-bizio, databile fra il 1526 e il 152736, pone una questione molto interes-sante su una fase particolare del percorso del Romanino. Questo proble-ma diventa ancora più stimolante se si collocano in un simile contestoanche gli strappi del ciclo di San Rocco a Villongo San Filastrio37: rovi-natissimi, e a mio modo di vedere pressoché perduti, anche se le vecchiefotografie e i pochissimi brandelli meglio conservati lasciano intuire chepotrebbe trattarsi di un’opera del Romanino appena successiva al ciclodi Sant’Obizio. Ma questa indicazione è solo un’ipotesi, perché lo statodi questi strappi non consente un giudizio sicuro sulla cronologia e hafatto sorgere qualche dubbio persino sull’attribuzione38. Comunque lacontroprova di questa frenata romaniniana posteriore alla metà deglianni Venti può essere data da un’analoga virata compiuta dal più gio-vane Callisto Piazza, che durante il proprio soggiorno bresciano, forsetrascorso anche accanto al Romanino, passa da un’opera percorsa dasuggestioni anticlassiche come l’anta con la Madonna adorante il Bam-bino e i santi Stefano e Antonio proveniente da San Clemente e ora inPinacoteca a Brescia, datata 1524, ai dipinti murali più controllati, dipochissimi anni successivi, come il ciclo in Santa Maria del Restello aErbanno e la lunetta con la Madonna in trono fra i santi Rocco, Anto-nio da Padova, Giovanni Battista e Martino vescovo nell’oratorio diSant’Antonio a Borno. Callisto stava seguendo il Romanino? Stava con-

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dividendo le ragioni della revisione del più anziano maestro orientando-si verso gli stessi modelli? Le domande restano aperte. Sta di fatto,però, che il parallelismo cronologico fra le due vicende di revisione stili-stica è impressionante, e lascia intuire non solo una vicinanza fra i duepittori, ma anche l’esistenza di una particolare scena culturale per i fat-ti della pittura bresciana della seconda metà degli anni Venti.

Infatti al principio degli anni Trenta il Romanino ritornerà sui pro-pri passi: imboccando la strada che dallo stile di Trento porterà a Piso-gne e quindi, in prospettiva, al ciclo di Breno. Ma il caso della revisionedella seconda metà degli anni Venti mi sembra molto istruttivo per con-traddire chi pensa alle trasformazioni stilistiche come a una regolareevoluzione collocata astrattamente fuori della storia, e per mettere inve-ce in campo il problema concreto dell’articolazione complessa di unastoria sociale dello stile. Inoltre il preconcetto relativo alle trasformazio-ni stilistiche lineari e coerenti non regge neppure in sede filologica, dovegli stili non possono essere studiati che nelle loro relazioni reciproche:misurando adesioni, contatti, resistenze, rifiuti, ma anche recuperi dalpassato. Il Romanino al principio degli anni Trenta abbandona grada-tamente la propria fase stilistica della seconda metà degli anni Ventianche recuperando il suo precedente sprezzante pordenonismo del tem-po delle vele e delle lunette di San Francesco a Brescia. I dipinti del-l’ambiente dell’abbazia di Rodengo e le opere del Castello del Buoncon-siglio di Trento sono un esempio di questa progressione stilistica che av-viene anche guardando indietro.

Occorre quindi domandarsi in che modo giochino tutti questi ele-menti anche sul piano dei procedimenti operativi, quando ad esempio sinota una scarsa coerenza nella stessa tecnica di finitura delle operetrentine. Così di fronte alla finitura a puntini e a trattini rossi della te-sta della suonatrice di liuto nella lunetta col Concerto di strumenti acorda, il completamento a tratti neri e veloci di altri incarnati e quello apennellate smazzate dei nudi virili, ci si deve chiedere quanto pesino glistacchi fra le fasi realizzative, le oscillazioni tecniche di un Romaninoche sta tornando alla sprezzatura, il confronto con lo stile di Dosso eBattista, l’apporto degli aiuti e gli adattamenti alle esigenze figurative39.

È un esempio che ci aiuta a capire il pericolo che si corre quando,durante il lavoro filologico, si seziona un grande dipinto murale in det-tagli, scegliendo poi, in modo più o meno conscio e onesto, quelli chemeglio si adattano alla verifica delle nostre ipotesi. Questa avvertenzatocca precisamente, e in modo anche più complesso, il caso dei fram-menti della Crocefissione della Disciplina: che, evidentemente, restrin-gono il campo delle scelte, ma in modo pressoché univoco, in quantol’integrità della stratificazione pittorica si è conservata solo nei fram-

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menti dipinti con una particolare tecnica, e quindi quanto è rimasto èmolto insidioso perché costituisce il risultato di una selezione materialeper niente casuale. Ad esempio, non sappiamo se le finiture tratteggiatenere molto liquide a tratti dritti e non molto lunghe, a volte date sutratti liquidi rossicci, che si sono conservate su qualche frammento diincarnato, rappresentano l’unico modo in cui era finita la Crocefissione.Se così fosse, dovremmo osservare come le proposte di datazione piùavanzate della nostra Crocefissione, orientate sulla metà degli anniTrenta, o un poco più tardi, non attirino confronti convincenti. Nellafase documentata dal ciclo del presbiterio di Santa Maria Annunciata aBienno (che si lega alla produzione del 1539-41 delle ante del DuomoNuovo di Brescia e a quelle di San Giorgio in Braida a Verona) la pittu-ra del Romanino è ormai caratterizzata dall’uso limitato di un tratteg-gio nero che rifinisce un’esecuzione largamente condotta con impasticorposi di pittura a calce. Mentre nella fase di pochissimi anni prima,esemplificata dal ciclo di Sant’Antonio a Breno, le parti meglio conser-vate mostrano una scioltezza dei disegni e dei completamenti neri atratti lunghi molto diversa dai tratti liquidi e brevi dei frammenti dellaCrocefissione della Disciplina40. Anche retrocedendo verso i nudi di Pi-sogne collocabili intorno al 1533-34 non si trovano degli agganci deci-sivi per i nostri tratteggi: inoltre i frammenti della Crocefissione hannomaggiore lentezza e controllo dei dettagli, mentre anche le figurazionipiù contorte, come il corpo del ladrone della porzione destra, che si sa-rebbero facilmente prestate alle deformazioni anatomiche, non presen-tano quelle dilatazioni e quelle caricature formali che si osservano aTrento e che caratterizzano fortemente l’impresa di Pisogne.

Per giudicare il momento appena successivo al ciclo di Pisogne,quel fatidico 1535 a cui generalmente si tende ad ancorare la Crocefis-sione della Disciplina, penso che possano servire i due grandi strappicon i Magi provenienti dalle pareti coperte del portico che già esistevasulla fiancata N della chiesa di Santa Maria della Neve, ora collocati al-l’interno dell’edificio. Credo che questa sia la loro datazione corretta, inquanto costituiscono il miglior aggancio stilistico fra il ciclo di Pisognee quello di Breno. I dettagli di pittura meglio conservati su questi strap-pi mostrano uno stile ben diverso da quello della nostra Crocefissione.Alla fase stilistica dei Magi è invece possibile accostare un dipinto mu-rale frammentario con un grande San Pancrazio a cavallo realizzatoverso la fine della parete sinistra della chiesa di San Pancrazio a Monti-chiari, e coperto quasi completamente nel 1724 dal monumento fune-bre dell’abate Fracassino. Per questa ragione il dipinto del Romanino èsfuggito agli studi41, e solo nell’ottobre del 1993, durante il temporaneosmontaggio del monumento settecentesco, mi è stato possibile studiarlo

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Romanino, pala di S. Antonio da Padova. Salò, Duomo. Dipinto firmato e datatoHIERONIMI ROMANY BRIXIANI OPUS 1529.

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e documentarlo42. Certo, rispetto ai Magi, il frammento di Montichiariappare lavorato in modo più immediato, con una maggiore predilezioneper l’intonaco lasciato a vista. Ma in ogni caso i dati tecnici e stilisticievidenziati da questi pezzi non permettono di inserire nel loro contestocronologico i frammenti della Crocefissione della Disciplina.

Da tutto questo gioco di confronti e negazioni credo che possa usci-re una sola indicazione di probabilità cronologica: la Crocefissione dellaDisciplina è stata realizzata dal Romanino fra il 1528 e il 1529, al cul-mine della fase stilistica della seconda metà degli anni Venti e primadella ripresa attestata dal ciclo di Trento. Si tratta di una particolare fa-se della tecnica romaniniana che si può datare anche con un riferimentoesterno, in quanto appare tradotta con una versione più lenta e diligen-te nella pratica di finitura adottata da Callisto Piazza soprattutto nel ci-clo di Erbanno e in misura minore in quello di Borno. D’altra parteCallisto Piazza è con ogni probabilità il pittore che sullo scorcio deglianni Venti è più vicino al Romanino e forse è anche suo socio in qual-che impresa. Sta di fatto che nel 1529 Callisto Piazza è ancora a Bre-scia, e nel 1530, quando rientra a Lodi, trasmette l’affitto di “una salagrande cum la camara appresso” nella canonica di San Lorenzo proprioal Romani-no43. È un passaggio di consegne che lascia intuire un rap-porto abbastanza stretto fra i due pittori esattamente negli anni in cuicredo possa cadere la nostra Crocefissione. In ogni caso il rientro di Cal-listo Piazza a Lodi nel 1530 costituisce un termine ante quem per data-re i dipinti murali camuni, dove il pittore lodigiano rielabora proprioquel tipo di finitura romaniniana che abbiamo riscontrato su alcuni in-carnati della Crocefissione della Disciplina.

Lo stato della tecnica di pittura murale di Callisto Piazza poco pri-ma dello scadere degli anni Venti può così fornire un altro piccolo tas-sello alla nostra ricostruzione cronologica. La data che si profila per laCrocefissione del Romanino permette perciò di stringere con maggioreprecisione le nostre prime osservazioni sul significato della scelta dei di-sciplini. La loro commissione verrebbe quindi a cadere nel momentoimmediatamente successivo a quello in cui i documenti registrano unnotevole aumento dei confrantelli nella Disciplina dei Santi Nazaro eCelso, in concomitanza forse non casuale con la crescita anche nell’am-biente bresciano degli interessi religiosi per la pietà cristocentrica. Sonogli anni in cui in tutta l’area padana si accendono i dibattiti intorno aquesto tema, in un contesto religioso ormai demarcato dalla rottura del-l’unità confessionale ma ancora estraneo alla riorganizzazione contro-riformata. Sul piano delle scelte artistiche possiamo invece immaginarecome i committenti disciplini avessero maturato l’intenzione di affidareal Romanino il dipinto principale della loro sede: osservando, confron-

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tando e valutando quanto era disponibile sul mercato dell’arte brescia-no nella seconda metà degli anni Venti del Cinquecento. È quindi pro-babile che i disciplini abbiano compiuto la loro scelta convinti dallo sti-le del Romanino attestato dal ciclo di Sant’Obizio in San Salvatore aBrescia e dalle opere che intorno ad esso si possono raggruppare. Infondo si trattava di realizzare il dipinto che doveva occupare la posizio-ne saliente nell’ambiente principale della loro Disciplina, e verosimil-mente i responsabili di queste scelte artistiche venivano selezionati fra iconfratelli più acculturati, che sapevano giudicare le qualità dei pittorie che erano in grado di gestire una trattativa piuttosto complessa. D’al-tra parte, la formula di acquisto diretto, senza procuratori o interme-diari, emerge, circa un secolo dopo, ancora dal contratto meticoloso sti-pulato fra i disciplini dei Santi Nazaro e Celso e il pittore Pietro Giaco-mo Barucco44.

II.

[II.1] Quando si entra nella sala superiore della Disciplina, colpisceanzitutto la grande estensione della superficie arricciata. Si tratta delmaggiore esempio conservato nel Bresciano di un’interessante tecnicache è attestata localmente da diversi casi concentrati cronologicamentesoprattutto fra la metà degli anni Venti e il principio degli anni Qua-ranta del Cinquecento. Questa tecnica di arricciatura consiste in unaserie di graffiture generalmente arcuate e parallele eseguite con la pun-ta della cazzuola (spesso realizzate senza irrigidire il polso per favorirel’esecuzione di tacche alternate prodotte dai salti dell’attrezzo) su unintonaco di calce e sabbia di media granulometria smaltato e compressocol piano della cazzuola.

Nell’aula superiore della Disciplina la stuccatura delle lacune im-pedisce la misurazione dello spessore di questo arriccio e non consentedi valutare se la superficie sottostante è costituita da un altro intonaco,una malta di rizaffo, o soltanto dalla muratura. Non è quindi possibileverificare l’eventuale presenza di intonaci precedenti. Le vaste porzionidelle superfici arricciate visibili permettono comunque di capire che lastesura dell’arricciatura è stata eseguita a grandi pontate e senza inter-ruzioni, in quanto gli intonaci delle diverse falde sono spesso legati fraloro. L’arricciatura era stata realizzata su un intonaco fresco, che nonha impronte di frattazzatura ma solo di schiacciature a cazzuola, ese-guendo con la punta arrotondata della cazzuola delle tracce arcuateorizzontali parallele larghe circa 70 cm., praticate in serie, e in qualchecaso separate da alcune linee verticali o da due serpentine incrociate o

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accostate. Più volte gli esecutori si sono divertiti ad incidere dei disegnifloreali (parete E, alla destra del frammento col profeta Osea; parete E,a 5 m. dallo spigolo SE), oppure a tracciare un lungo tronco potato(parete E, a 4 m. dallo spigolo NE), o motivi circolari concentrici e spi-raliformi (parete W, in prossimità dello spigolo SW).

Un’arricciatura eseguita con la stessa pratica è usata anche per lapreparazione della Crocefissione del Romanino dell’aula sottostantedella Disciplina. Le differenze tecniche fra quanto è stato realizzato neidue ambienti sono tutto sommato poco significative: consistono essen-zialmente nella profondità delle incisioni, che appaiono più incise nel-l’arricciatura dell’aula superiore, e sono meno profonde nella prepara-zione della Crocefissione romaniniana. Si tratta di un’identità tecnicache può esserci utile per stabilire una prima indicativa associazione cro-nologica fra il dipinto del Romanino al piano terra e l’intervento sull’in-tera aula del primo piano. Questo contesto cronologico si definisce ulte-riormente grazie a tutta una serie di esempi che mostrano l’uso dellamedesima tecnica di arricciatura nell’area culturale bresciana. Si posso-no ricordare ad esempio le preparazioni eseguite strisciando la puntaflessibile e arrotondata della cazzuola dei dipinti murali del Morettorealizzati intorno al 1525 per le stanze di Mattia Ugoni, o quelle realiz-zate usando la punta della cazzuola di taglio dei dipinti murali del Ro-manino dell’interno del campanile di Santa Maria della Neve a Pisognedatabili fra il 1532 e il 1534.

Questa tecnica di arricciatura ha lo scopo di favorire l’aggrappag-gio dell’intonachino destinato alla pittura sopra a una preparazione co-stituita da un intonaco compresso e quindi poco assorbente. Una prepa-razione di questo tipo prolunga infatti i tempi di asciugatura dell’into-nachino, e soprattutto non assorbe velocemente l’acqua di calce conte-nuta nell’intonachino che tende, invece, a rimanere nell’intonachinostesso, e che può essere recuperata durante la fase della pittura sempli-cemente comprimendo l’intonachino col piano della cazzuola o del frat-tazzo45.

Se ordiniamo cronologicamente i vari esempi di queste arricciatureche si sono conservate localmente, possiamo capire come il sistema ap-plicato per preparare le pareti della Disciplina dei Santi Nazaro e Celsosoppianti nell’area geografica bresciana quello più in uso fra gli anniNovanta del Quattrocento e gli anni Dieci del Cinquecento, che consistenell’uso di un’intonacatura lisciata e scialbata a calce, disegnata a pen-nello e quindi picchettata, sulla quale verrà poi steso lo strato dell’into-naco che sarà dipinto46. È la tecnica che si vede ad esempio sotto i di-pinti tardoquattrocenteschi della parete sinistra della navata diSant’Antonio a Breno, nella lunetta con la Madonna col Bambino fra i

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santi Sebastiano e Rocco di Santa Maria delle Consolazioni a Bresciadatabile intorno al 1510, e costituisce il metodo di preparazione dei di-pinti perduti delle vele del presbiterio di Santa Maria della Neve a Piso-gne. Queste ultime sono generalmente ritenute delle sinopie del Roma-nino47, ma ragioni tecniche e stilistiche e la stessa stratigrafia degli into-naci le collocano invece su un piano cronologico più precoce e permet-tono di considerarle le preparazioni di quei dipinti del tardo Quattro-cento che avevano preceduto l’intervento del Romanino. Il Romanino,d’altronde, come mostrano anche i pezzi di arriccio rimasti in vista nel-la Crocefissione della Disciplina, non fa sinopie con contorni precisi efiliformi, ma lavora disegnando e abbozzando con segni larghi di pen-nello.

La presenza di questo tipo di arricciatura nell’aula superiore èquindi molto utile per orientare la cronologia dell’intervento di decora-zione fra gli anni Venti e gli anni Quaranta. Non è certo su un dato tec-nico come questo che possiamo fissare una datazione sicura: ma è evi-dente che, in area bresciana, una simile lavorazione dell’arriccio può es-sere utile per definire almeno un contesto di probabilità cronologica.

Quando è possibile ragionare direttamente sullo stile, le indicazionicronologiche di questo tipo possono essere indizi secondari. Ma nel no-stro caso non si tratta di un elemento di poco conto, in quanto non soloci aiuta a ordinare lacerti molto frammentari, ma permette di collegareapprossimativamente la storia dell’ambiente superiore a quella dell’aulaa piano terra, dove, come abbiamo visto, il Romanino aveva usato lastessa metodologia di arricciatura. Il dato più interessante è quindi co-stituito dalla distribuzione di questo modello di arriccio: su tutte equattro le pareti dell’aula superiore48 e nella zona dell’aula inferiore oc-cupata dalla Crocefissione del Romanino. Non sappiamo se in quest’ul-timo ambiente l’arricciatura fosse più estesa rispetto alla parete di fon-do, ma ciò che si è conservato visibile ci permette di concludere chel’intera aula superiore era stata preparata per un intervento unitario, eche, molto probabilmente, fra la Crocefissione del Romanino dell’aula apiano terra e la decorazione dell’aula al primo piano non era trascorsomoltissimo tempo. Si era trattato di lavori inseriti in un unico progettodi trasformazione degli ambienti?

[II.2] Per verificare questo sospetto dobbiamo cercare di datare iframmenti dei dipinti superstiti dell’aula superiore. Ma per impostarequesta ricerca è anzitutto necessario avviare un minuzioso lavoro di ri-cucitura dei dati disponibili, per tentare la ricostruzione dell’aspettooriginario della decorazione di questo ambiente.

Sulla parete S esistono solo due frammenti verticali di arriccio col-

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locati fra le due finestre attuali. Non ci sono attacchi fra l’arriccio dellaparete S e gli spigoli delle pareti E e W: ma, come abbiamo già osserva-to, l’arriccio è lo stesso, e le arricciature delle due pareti maggiori arri-vano in prossimità degli angoli SE e SW, confermando così l’apparte-nenza delle pareti S, E e W alla medesima fase di decorazione. La per-tinenza della parete N è invece direttamente provata dalla continuitàdell’arriccio e di alcuni frammenti di intonaco dipinto che rivestono gliangoli NW e NE. In queste zone, sia sulla parete W che sulla parete E,compaiono i lacerti di due colonne a finto marmo bianco con l’ombreg-giatura grigia scura collocata dalla parte opposta rispetto allo spigolo.Entrambe le colonne conservano le tracce di una decorazione a racemifogliati d’edera avvolti a spirale: i frammenti di questo decoro vegetalesono realizzati con terra bruno-rossastra, e quindi erano, molto proba-bilmente, le basi che tradizionalmente si usavano in quest’area cultura-le per la stesura di completamenti di verdeterra o di malachite49. Le la-cune non ci permettono di capire come terminasse la parte superiore diqueste colonne, e che cosa sostenessero. Forse su di esse appoggiavasemplicemente una mensola o un fregio dipinto parallelo a un soffittopiano. Non abbiamo però dati positivi per ricostruire la forma di questasoffittatura: possiamo solo immaginarla realizzata con una carpenterialignea piana sorretta da travi o con capriate a vista, anziché eseguitacon una muratura ampiamente voltata o con un complesso sistema divolte a crociera, solo perché la prima soluzione era la più adatta a chiu-dere un piano superiore di queste dimensioni. Certo, è piuttosto difficile(ma non impossibile) pensare all’uso di travi di queste dimensioni. Inalternativa, allora, possiamo solo sospettare l’esistenza di un sistemaleggero in mattoni di volticelle unghiate raccordate a un soffitto pianosempre in mattoni, mentre ragioni di peso e di altezza portano ad esclu-dere l’adozione di soluzioni voltate più grandi e complesse.

Un indizio materiale consente però di dare più peso all’ipotesi dellatravatura, e in misura forse anche maggiore a quella delle volticelle. Seinfatti consideriamo i frammenti superstiti dei dipinti nel loro insieme,possiamo osservare come le loro forme e le loro ubicazioni rispettino al-cune costanti che ben difficilmente sono soltanto casuali. I frammentidipinti sono spesso di forma verticale molto allungata e in più di un ca-so hanno cadenze regolari. Questa forma di conservazione a volte è do-vuta al semplice appoggio di tramezze senza scasso di muratura. Nelnostro caso, però, l’ipotesi non funziona: in quanto la larghezza mediadei frammenti intorno ai 50 cm. esclude un addossamento di muri diun tale spessore. La forma che abbiamo descritto è invece piuttosto ti-pica degli intonaci (e naturalmente anche degli intonaci dipinti) che,dopo un crollo delle coperture, sono rimasti protetti dalle piogge dall’e-

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Paolo da Caylina il Giovane, Storie della Vergine. Brescia, San Salvatore in Santa Giu-lia. Matrimonio della Vergine, Gesù fra i dottori, Gesù e il Battista fanciulli.

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sistenza di alcune strutture superstiti di una copertura originale sorrettada elementi posizionati a distanze regolari. Questi potevano essereframmenti di grandi travi rimasti infissi nel muro, oppure residui divolticelle eseguite con cadenze costanti. Infatti, quando una copertura avolticelle crolla, si conservano meglio quelle parti più agganciate allamuratura verticale che vanno dalla partenza all’imposta dell’arco, chesvolgono quindi, con il loro aggetto, una funzione protettiva sugli into-naci sottostanti.

I dati materiali ci orientano verso l’ipotesi della travatura (di unsoffitto piano o con capriate a vista), o meglio ancora delle volticelle: inogni caso di un soffitto non molto più alto della quota attuale. Ciò si-gnifica che sopra le finte colonne degli angoli non esistevano figurazionivaste e complesse. Possiamo infatti notare che la colonna dell’angoloNW arriva fino a 60 cm. dall’attuale quota di soffitto e quindi iniziauna lacuna: verosimilmente nell’area di questa caduta era dipinto uncapitello, e perciò, se la nostra ricostruzione relativa alla quota del sof-fitto è esatta, non c’era molto spazio per l’esecuzione di grandi elementifigurativi o finto-architettonici. Sappiamo invece con sicurezza che laparte inferiore delle colonne poggiava su una mensola grigia dipintacon una serie di modanature orizzontali posizionata a 175 cm. dall’at-tuale quota del pavimento: sull’angolo NE, infatti, si vede ancora unframmento di questa mensola dipinta sotto la base della colonna, ed èverosimile che la stessa soluzione fosse stata ripetuta anche per la co-lonna simmetrica dello spigolo NW. Il frammento conservato permettedi ricostruire mentalmente l’esistenza di una mensolatura dipinta. Ilnome di Paolo da Caylina il Giovane si impone immediatamente per lostile di questi elementi architettonici, che sono pressoché identici aquelli su cui poggiano i finti pilastri delle cappelle dipinte nel 1527 daPaolo da Caylina il Giovane sul lato N del Coro delle Monache di SantaGiulia a Brescia, o a quelli che, sempre Paolo da Caylina il Giovane,utilizza sotto le lunette della prima cappella sinistra del monastero diSan Pietro in Lamosa a Provaglio d’Iseo.

La simmetria della decorazione finto-architettonica di queste duearee prossime agli angoli NE e NW è d’altronde testimoniata dai lacerticonservati dello zoccolo. La zoccolatura era alta 135 cm., partiva diret-tamente dal piano di calpestio e terminava sotto il profilo modanatoposto sotto la colonna. Aveva una spaziatura e un ruolo visivo simile aquello testimoniato dai dipinti murali di Paolo da Caylina il Giovane inSan Salvatore e nel Coro delle Monache di Santa Giulia o da quelli diFloriano Ferramola nello stesso Coro di Santa Giulia e in Santa Mariain Solario. L’altezza di questa fascia è inoltre garantita da un dato ma-teriale: dal fatto che le volticelle sopra la Crocefissione del Romanino e

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il loro raccordo con l’attuale soffitto dell’aula del piano inferiore testi-moniano come l’attuale quota pavimentale dell’aula superiore corri-sponde con discreta approssimazione alla quota originale del piano dicalpestio.

I modelli di zoccolatura che abbiamo appena ricordato aiutano acontestualizzare l’esito dello zoccolo dell’aula superiore della Disciplina.Si tratta di soluzioni culturalmente piuttosto conservatrici: che mesco-lano qualche intento aggiornato con un gusto ancora decisamenteorientato verso la decorazione pensata come rivestimento policromoambientale. Se confrontiamo le grandi finte lastronature marmoree re-golari e quasi monocrome che chiudono le scene dello zoccolo del Ro-manino in Santa Maria della Neve a Pisogne con le strette losanghesghimbesce a finti marmi policromi alternati senza un ordine precisoche fanno la zoccolatura delle cappelle di Paolo da Caylina il Giovanedel Coro delle Monache di Santa Giulia a Brescia, abbiamo subito lamisura delle due diverse mentalità che svolgono il tema del paramentofinto-architettonico di uno zoccolo.

Nei frammenti superstiti della zoccolatura dell’aula superiore dellaDisciplina si individua ancora più evidentemente la temperatura diquesto conservatorismo. Se sull’angolo NE della parete E si conservasolo un lacerto con un decoro floreale dipinto a ocra rossa su una baseleggermente scialbata e due bande verticali dello stesso colore, sulla pa-rete opposta, in prossimità dell’angolo NW, è possibile vedere un fram-mento ben più ampio, piuttosto consunto, ma utilissimo per ricostruirela tipologia decorativa di questa zoccolatura. Si trattava di una struttu-ra a fasce verticali che seguivano la sequenza verde-bianco-rosso-bian-co-giallo-bianco, dove ogni coppia composta da una fascia colorata euna bianca aveva al centro un rombo allungato spartito verticalmentein due colori, con la metà destra che ripeteva il colore della fascia sini-stra e con la metà sinistra colorata come la fascia destra; la sequenzaera a volte spartita anche da bande verticali rosse, e i rombi erano com-pletati da una decorazione rossa vegetale vagamente grottesca, che, perintenderci, doveva essere molto simile a quella che Paolo da Caylina ilGiovane aveva utilizzato intorno agli oculi con i profeti del Coro delleMonache di Santa Giulia. Un motivo decorativo diverso era invece pre-sente sulla parete E, come testimonia il frammento ubicato a destradell’attuale porta di accesso. In questo caso si trattava di una superficiebianca riquadrata da bande rosse, entro la quale erano realizzati motivivegetali bianchi in un campo lobato giallo, e altri motivi vegetali deiquali restano solo i contorni leggermente incisi, ma nessun frammentodi colore.

Il paramento decorativo che abbiamo provato a ricostruire a parti-

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re dai frammenti della zoccolatura della parete W è identico a un altroparamento: quello realizzato da Paolo da Caylina il Giovane per lo zoc-colo dipinto sotto le Storie della Vergine del primo ambiente a N di SanSalvatore nel complesso di Santa Giulia. Quasi tutto coincide in modoimpressionante: altezza, modelli, partitura dei colori nell’alternanzasimmetrica fra fondi e semirombi, racemi vegetali colorati in contrap-posizione con le basi. La discreta conservazione di questa decorazionedi Paolo da Caylina il Giovane ci permette quindi di immaginare imme-diatamente l’effetto visivo che era stato ottenuto con la zoccolatura dal-l’aula superiore della Disciplina. Ma la coincidenza quasi perfetta fra ledue esecuzioni può essere giocata non solo sul tavolo delle attribuzioni,ma anche su quello delle indicazioni cronologiche: sappiamo infatti chel’attività di Paolo da Caylina il Giovane per le monache benedettine diSanta Giulia ruota, anno più anno meno, intorno al 1527, quando ilpittore è documentato nel Coro50, ed è quindi plausibile che il doppioimpiego di uno stesso modello decorativo tanto caratterizzato non possacollocarsi troppo distante da questa data. C’è anche da aggiungere che iracemi posti al centro dei semirombi sono ottenuti con l’uso di masche-rine identiche, che vengono usate in entrambi i cantieri.

Certo, come si può capire dalla nostra ricostruzione, la soluzionedella zoccolatura dell’aula superiore della Disciplina impegnava modellidecorativi piuttosto sorpassati, che comunque il caso delle commissionidelle monache benedettine di Santa Giulia, che ruotano intorno al1527, permette di vincolare ad una data precisa. D’altra parte, propriocontemporaneamente, la scelta di una decorazione di migliore qualitàma non molto diversa nelle intenzioni, realizzata con un finto intarsiomarmoreo a losanghe orizzontali fortemente policrome, era sfruttata inun contesto culturalmente ben più sofisticato: quello dell’attività dellabottega di Giulio Romano nella Camera di Ovidio e nella Camera delleimprese in Palazzo Te a Mantova. Esiti attardati e gusti d’avanguardiapotevano così avere una paradossale somiglianza. Ma nel caso dei deco-ri di Paolo da Caylina il Giovane nell’ambiente di San Salvatore e dellazoccolatura dell’aula superiore della Disciplina, che abbiamo cercato diricostruire, ci troviamo di fronte a una scelta che presuppone soprattut-to il favore e il gusto di un pubblico un po’ conservatore, saldamenteancorato alla presentazione di un dipinto murale secondo schemi tradi-zionali e ampiamente collaudati. Il risvolto più sconcertante di questecommissioni non è quindi collegato solo alla scelta dei modelli decorati-vi, quanto, piuttosto, alla preferenza visiva per una decorazione forte-mente policroma, caratterizzata da contrapposizioni cromatiche ele-mentari spartite in fascioni verticali di gusto neo-medievale, che dovevarivestire una grande superficie ambientale.

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Bisogna però considerare che lo spazio dipinto non era monotona-mente segnato dalla sequenza di questa alta zoccolatura policroma. Al-meno sulla parete N, alcuni indizi rimandano a qualcosa di più articola-to. A 195 cm. dall’angolo NE e a 355 cm dall’angolo NW si trova un’a-pertura, che parte dalla quota del pavimento, chiusa da un arco ribassa-to larga 125 cm e alta 175 cm. da terra, che esisteva già al momentodell’intervento del pittore in quanto sopra il suo spigolo destro è presen-te un frammento di modanatura dipinta monocroma che segue il latoverticale e profila, ma con un andamento rettilineo, la curvatura dellaparte superiore. Questa apertura era stata praticata in un muro spesso46 cm., che quindi era una struttura portante, verosimilmente, comeoggi, perimetrale. Credo che questa apertura originale si possa spiegaresolo se messa in rapporto con il muro dell’edificio prospiciente, che sivede, oltre il cortile, dalla piccola finestra attuale. Su questo muro com-paiono infatti alcuni frammenti di dipinti posizionati in modo molto si-gnificativo: esiste anzitutto un intonaco rettangolare verticale con un di-pinto che, visto da lontano, mi sembra di ambito vagamente ferramolia-no, databile intorno agli anni Trenta del Cinquecento, con Cristo nel se-polcro che mostra le piaghe fra due figure dolenti, un soggetto, quindi,tipico della devozione dei disciplini, e che perciò va collegato allo spaziodella loro Disciplina. Sopra di esso si nota, anche se con un po’ di fatica,una decorazione con due grandi bande verticali colorate in giallo e inrosso spartite da un fondo bianco lasciato in vista; più sopra esiste anco-ra la traccia di un profilo rosso orizzontale, rettilineo in corrispondenzadelle bande e del dipinto, ma inclinato verso il basso di circa 40° a sini-stra; sopra questa traccia sono rimaste le tracce graffite della parte infe-riore di una teoria di putti genuflessi orientati a destra che si appoggia-vano sopra il profilo rosso. Tutto ciò ha l’aspetto di una decorazione cheseguiva una scala e che è sopravvissuta alla perdita della scala stessa. Siimmagina facilmente l’alzata degli scalini parallela al profilo rosso e l’e-sistenza di un pianerottolo sotto al dipinto col Cristo nel sepolcro. Il fat-to che quest’area del prevedibile pianerottolo è perfettamente allineatacon l’apertura sulla parete N della Disciplina ed è più bassa rispetto alpiano di calpestio dell’aula della Disciplina, non sembra proprio un fat-to casuale: è possibile infatti ricostruire mentalmente una scala che par-tiva a sinistra da terra dall’attuale cortile, seguiva il muro dell’edificioprospiciente, aveva un discreto pianerottolo con dipinto sulla parete difondo il Cristo nel sepolcro, e quindi finiva contro l’esterno della pareteN della Disciplina. Qui esisteva una porta di accesso, con uno scalino in-serito nello spessore del muro perimetrale che abbassava di una ventinadi centimetri l’altezza dell’apertura attuale di 175 cm., fornendo perciòuna porta con una luce di circa due metri.

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Sulla parete N dell’aula superiore della Disciplina era stata quindidipinta una mensola marmorea come una bordatura che riquadravaesattamente il profilo interno di questa porta di accesso al piano supe-riore. L’esistenza di questa apertura può spiegare anche un altro ele-mento apparentemente anomalo della pittura di questa parete N. Sitratta di un piccolo frammento con la punta di due dita (di mano o dipiede?) circondate da una stesura verde ombreggiata che verso l’altosfuma su un intonaco molto lungo non colorato ma segnato da traccegrigie a imitazione delle venature di un marmo, posizionato a sinistradell’originale porta di accesso all’altezza di 165 cm. da terra. Questo la-certo è collocato esattamente al centro della parete N, e non può essereinquadrato nella partitura di tutte le altre tracce della figurazione, inquanto, pur essendo dipinto sotto la linea delle finte mensole, non èspartito dalla mensolatura. Evidentemente si trattava di una figura a séstante, che occupava esattamente il centro della parete di passaggio e sitrovava quindi di fronte a chi, attraverso la scala, usciva dalla Discipli-na. In questa posizione poteva quindi essere prevista una figurazioneslegata da quella che rivestiva le altre pareti: una rappresentazione che,possiamo immaginare, fosse particolarmente adatta a ricordare, attra-verso un richiamo alla pietà, la continuità dell’impegno ai confratelliche stavano per uscire dall’ambiente della Disciplina. Il frammento ètroppo piccolo per suggerire delle ipotesi iconografiche. A scanso diequivoci, e per rimuovere eventuali dubbi relativi alla sua appartenenzaal contesto operativo che stiamo studiando, vale comunque la pena disottolineare che si tratta senza dubbio di un lacerto autografo del Cayli-na: l’intonaco ha la stessa composizione degli altri frammenti, si trova,rispetto all’arricciatura, nell’identica posizione stratigrafica, ed è dipin-to con la manualità e col tratteggio liquido tipico della fase operativa diPaolo da Caylina il Giovane che ruota intorno al 153051.

D’altra parte i pochi frammenti che si trovano sopra la linea dellemensole monocrome che, come abbiamo visto, chiudeva la zoccolaturapolicroma a un’altezza che oscilla intorno ai 170 cm., si attribuisconofacilmente a Paolo da Caylina il Giovane e si decifrano senza difficoltà.Al centro della parete E è conservato un frammento lungo con la metàdestra di una figura calva e barbuta che regge un cartiglio: sulla parteche tiene fra le mani si legge “. OSSEA .”, sulla parte che svolazza in al-to c’è la scritta mutila “[...] LIUM”. È quindi una figura identificabilecon il profeta Osea. Va comunque segnalato il fatto che, sulla stessa pa-rete E, non abbiamo tracce della linea di separazione fra zoccolo e figu-razione, in quanto l’unico lacerto che si trova a destra dell’attuale portadi ingresso è alto solo 135 cm. e manca perciò della finta mensolatura. Ilsuo motivo decorativo è inoltre diverso da quello che abbiamo ricostruito

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sulla base di pezzi della parete W, perché è composto dalle tracce di unariquadratura rossa, dentro alla quale c’è una base bianca che contieneun motivo con fogliami bianchi su fondo giallo e un’incisione per altrimotivi identici che hanno però perso il colore. Non è comunque possibileritenere che in quest’area fosse stata realizzata una figurazione diversada quella che caratterizzava la parete opposta: infatti, proprio sopra aquesto frammento di zoccolatura è presente un pezzo di intonaco moltoconsunto, su cui si riconosce un cartiglio con la scritta “PROFET [...]”.

Sulla parete N, sopra il frammento di finta mensola prossimo al-l’angolo NE, è presente un lacerto di una figura vestita in rosso e dalmantellino verde, che reca fra le mani un cartiglio mutilo con la scritta“[...] CAPUT.”. Sulla parete W abbiamo, sulla destra, in prossimitàdell’angolo NW, solo un cartiglio con la scritta “[...] MA TUTINIS”.Proseguendo verso sinistra, a circa due metri da terra, troviamo solo ilframmento di una mano che regge un mantello verde scuro posto suuna veste rossa: è un piccolo lacerto, ma essendo una delle cose meglioconservate tornerà molto utile per datare il ciclo di Paolo da Caylina ilGiovane. Sempre sulla parete W, più al centro, sopra la finta mensola, èdipinta una figura barbuta di profilo, vestita di verde, con copricapo emantello giallo, con un cartiglio con l’iscrizione mutila “[...] TULLIT F[...]”. Alla sua destra, sul sullo stesso pezzo di intonaco, compare ilframmento di un cartiglio: ma non siamo in grado di stabilire se appar-teneva ad un altro profeta andato distrutto, oppure se era il prolunga-mento del cartiglio tenuto da questo stesso profeta.

Un indizio per decifrare questi cartigli come riferimenti alla passio-ne di Cristo è fornito dal frammento di scritta “[...] MA TUTINIS” pre-sente sulla parete W presso l’angolo NW: questa iscrizione è infatti,quasi sicuramente, una citazione dal Salmo 73 [72], versetto 14, che ri-porta “et fui flagellatus tota die et castigatio mea in matutinis”. D’altraparte va notato che la citazione di questo versetto era familiare al parti-colare indirizzo della devozione dei disciplini. Lo troviamo infatti utiliz-zato anche in un’altra decorazione commissionata dagli aderenti allastessa confraternita: nel cartiglio tenuto da una Sibilla del registro su-periore dei dipinti murali dell’oratorio romano del Gonfalone si legge“ET / CASTIGA / TIO MEA / IN / MATU / TINIS”52.

Sicuramente il significato di questa rappresentazione era affidatoai versetti e alle iscrizioni riportate sui cartigli, che, come abbiamo vi-sto, erano probabilmente riferiti alla meditazione sul tema della passio-ne di Cristo. In un ciclo omogeneo era infatti indispensabile la significa-zione unitaria e la coerenza dei contenuti dei cartigli. Ciò era stato ri-cercato ad esempio nel corso della progettazione del ciclo del Romaninoin Santa Maria della Neve a Pisogne dove, in un contesto dedicato alla

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passione, tutte le scritte dei cartigli dei profeti e delle sibille dei sottar-chi e delle vele della volta alludevano alla funzione salvifica del legnodella croce53. È possibile che la significazione dei cartigli di Paolo daCaylina il Giovane fosse anche legata alla destinazione dell’ambienteposto al piano superiore: alcuni ritengono, ma senza fondamento docu-mentario, che questa stanza fosse riservata alla riunione delle donne54,mentre i documenti reperiti durante questa ricerca fanno capire che sitrattava della parte dell’edificio destinata alle riunioni, ed era perciò di-stinta dall’aula al piano terra, dove si svolgevano le funzioni liturgiche.Ciò nonostante anche al piano superiore era presente un altare (ricor-dato nei documenti come secondo altare), che forse era ubicato proprioal centro della parete N. È probabile, quindi, che le scritte dei cartiglifossero in relazione con la figurazione che era stata posta sopra questoaltare al centro della parete N, e che purtroppo è andata quasi comple-tamente perduta.

[II.3] L’aula superiore era quindi caratterizzata da un alto zoccolofortemente policromo, sopra cui correva una finta mensolatura grigiadalla quale si affacciavano profeti e sibille raffigurati a mezzo busto. Idati che abbiamo raccolto permettono quindi di immaginare delle figu-razioni pressoché identiche a quelle realizzate da Paolo da Caylina ilGiovane nelle lunette coi profeti e le sibille della prima cappella sinistradel monastero di San Pietro in Lamosa a Provaglio d’Iseo. La coinci-denza con quest’ultimo ciclo non è limitata solo alle parti figurate, mariguarda, con un’identità quasi perfetta, anche gli elementi finto-archi-tettonici. I dipinti di Provaglio possono perciò aiutarci ad integrarementalmente alcune parti perdute della decorazione della Disciplina.Le mensole dipinte e gli inquadramenti finto-architettonici delle lunettesono identici a quanto è testimoniato dai frammenti presenti nell’auladella Disciplina. Inoltre è improbabile che il fondo sul quale si staglia-vano i profeti e le sibille della Disciplina fosse uniformemente biancocome appare attualmente: se non era tutto trattato con pennellate cheaccennavano a una marezzatura marmorea (come appare dal frammen-to posto nella parte alta al centro della parete N), poteva essere lavoratocon una decorazione a tratti rettangolari gialli alternati, come si è con-servato in parte sul fondo della Sibilla Libica, del Profeta Giona e delProfeta Geremia della cappella di Provaglio. Questa decorazione è peròsparita dalle altre lunette di Provaglio perché era stata realizzata a cal-ce a secco con una mascherina, e quindi, se fosse stata eseguita con lastessa tecnica nella Disciplina non avrebbe avuto la possibilità di con-servarsi. È facile ricostruire anche la soluzione testimoniata dai lacerti

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della parete N vicini agli spigoli NE e NW dell’aula superiore della Di-sciplina: dove i frammenti conservati con le colonne marmoree avvolteda una spirale d’edera si sovrappongono perfettamente al motivo utiliz-zato da Paolo da Caylina il Giovane sul fronte esterno del presbiteriodella chiesa di Sant’Antonio a Bormio. La decorazione dello zoccolo èinvece, come abbiamo visto, identica a quella utilizzata da Paolo daCaylina il Giovane nella cappella N di San Salvatore in Santa Giulia aBrescia.

Ma rispetto all’intervento del Romanino nell’aula inferiore, come sidata la commissione da parte dei disciplini di questo ciclo a Paolo daCaylina il Giovane? La soluzione di questo problema è evidentementecomplicata dal fatto che Paolo da Caylina il Giovane è un pittore mura-le abbastanza facile da riconoscere ma con scarsi punti fermi nella cro-nologia produttiva55. Inoltre lo stato disperato dei frammenti su cui sia-mo costretti a lavorare consiglia di mantenere qualsiasi proposta crono-logica nel campo delle ipotesi probabili. Penso comunque che una pri-ma idea di datazione dei lacerti della Disciplina debba appoggiarsi sullecoincidenze che abbiamo già segnalato fra gli apparati decorativi e fin-to-architettonici del ciclo di San Pietro in Lamosa a Provaglio d’Iseo, diquello del presbiterio di Sant’Antonio a Bormio e della cappella di SanSalvatore in Santa Giulia a Brescia. Perciò, anche se i dipinti di Prova-glio e di Bormio non sono datati, l’eccezionale coincidenza che abbiamogià valutato con il paramento decorativo dello zoccolo del primo am-biente a N di San Salvatore del 1527 può costituire un primo indizioper escludere tentazioni di date molto precoci o eccessivamente tardeper il ciclo della Disciplina dei Santi Nazaro e Celso.

Se il legame con i modelli della decorazione di San Salvatore fun-ziona, ci si dovrà quindi orientare verso quella fase dell’attività brescia-na di Paolo da Caylina il Giovane che a mio parere si può circoscriverefra due termini: un ante quem dato dal soggiorno in Valtellina, e un po-st quem costituito dal grande ciclo tutt’ora ignoto della chiesa della Tri-nità di Olfino di Monzambano56. Questi ultimi lavori sono sfuggiti aglistudi forse solo perché collocati fuori dal contesto geografico dove abi-tualmente si cerca Paolo da Caylina il Giovane, ma hanno uno stile tal-mente riconoscibile che, per una volta, ci possiamo risparmiare la se-quenza dei confronti attributivi. I dipinti di Olfino di Monzambano mo-strano scelte stilistiche molto più avanzate rispetto al nucleo che si rac-coglie intorno ai lavori dell’ex chiesa di San Rocco di Botticino Sera del1517, ma un po’ più arcaiche di quelle che caratterizzano l’impresa del1527 in Santa Giulia, e perciò credo che possono essere datati, orienta-tivamente, poco prima della metà degli anni Venti. Per questa ragionecostituiscono un tassello importante per il nostro lavoro. Infatti, se te-

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niamo come punto fermo la relazione che abbiamo già stabilito fra ilprimo ambiente a N di San Salvatore in Santa Giulia e i frammenti del-la Disciplina dei Santi Nazaro e Celso, i dipinti di Olfino di Monzamba-no ci aiutano a capire quale fosse la tecnica di pittura murale di Paoloda Caylina il Giovane un poco precedente l’intervento in Santa Giulia, equindi, grazie ad essi, possiamo cominciare a posticipare i lavori per laDisciplina rispetto all’impresa in Santa Giulia57. Per quanto riguardainvece l’altro estremo cronologico, c’è da osservare che la presenza val-tellinese di Paolo da Caylina il Giovane deve essere stata piuttosto sta-bile poco prima della metà degli anni Trenta: è molto probabile che lapala col Martirio di Santa Caterina di San Giorgio a Grosio del 1534fosse stata eseguita sul posto, in quanto il pittore era certamente pre-sente in Valtellina per realizzare il ciclo di dipinti murali del presbiteriodi Sant’Antonio a Bormio, non datati, ma legati stilisticamente alla paladi Grosio. A proposito di quest’ultimo ciclo, va anche osservato che gliassaggi eseguiti sulle due pareti della navata attigue al presbiterio e sul-le volticelle soprastanti hanno rivelato l’esistenza di dipinti murali cheper stile e per impianto decorativo continuano il ciclo di Paolo da Cay-lina il Giovane, e testimoniano quindi una presenza locale del pittoreben più lunga di quella ipotizzata sulla base delle scene visibili. E forsePaolo da Caylina il Giovane aveva eseguito altri cicli di dipinti muraliin Valtellina58.

Da Olfino di Monzambano a Santa Giulia a Bormio si segue unatrasformazione della tecnica di finitura murale di Paolo da Caylina ilGiovane. Da un’esecuzione più cruda a una finitura molto elaborata ditratteggi liquidi a punta di pennello rossicci bruni e neri associata atratti grigi usati a velatura, fino alla realizzazione con tratti neri liquidiinsistiti per ottenere una resa profonda e fusa delle ombre. Le finiturepresenti sui frammenti della Disciplina dei Santi Nazaro e Celso si asso-ciano con più facilità a quelle caratteristiche di Santa Giulia (incarnatodel profeta Osea della parete E, dito al centro della parete N) e di Bor-mio (profeta e frammento con la mano al centro della parete W). L’o-scillazione fra le due scelte operative si può probabilmente spiegare conuna collocazione intermedia del ciclo della Disciplina: e se questa puòessere la soluzione più semplice del problema, sembra anche quella chetutto sommato coincide con le osservazioni cronologiche uscite dai con-fronti fra le realizzazioni degli apparati decorativi dell’aula superioredella Disciplina. Questa conclusione, insomma, ci consente di indirizza-re meglio la proposta di datazione, restringendo la forbice cronologicafra i due termini 1528 e 1534. Ma si tratta di un’indicazione che puòessere ulteriormente limitata se ipotizziamo che nel ’28 Paolo da Cayli-na il Giovane è probabilmente ancora assorbito dalla grande impresa di

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Santa Giulia e che, forse, la pala di Grosio, del ’34, può essere statapreceduta, ma di pochissimo, dai dipinti murali di Bormio. Da questoquinquennio non emergono opere datate, ma è probabilmente il mo-mento in cui Paolo da Caylina il Giovane entra in contatto con la par-rocchia dei Santi Nazaro e Celso alla quale era legata la Disciplina:penso infatti che le due ante a tempera su tela della chiesa dei SantiNazaro e Celso, con la Flagellazione e la Decapitazione dei due santi,che portavano un’incredibile datazione sul 1520, e oggi sono fatte oscil-lare fra la metà degli anni Venti e lo scadere degli anni Trenta59, vannocollocate intorno alla pala di Grosio del 1534. Lo stile di Paolo da Cay-lina il Giovane ben più avanzato rispetto alle ante della chiesa dei SantiNazaro e Celso e alle opere valtellinesi va invece visto negli strappi conle Scene della passione di Cristo del Museum of Fine Arts di Boston,che, considerato anche il soggetto, possono provenire da qualche disci-plina cittadina60, e che non hanno nulla da spartire con i frammenti sucui stiamo lavorando. Forse, dunque, le ante della chiesa dei Santi Na-zaro e Celso sono state realizzate immediatamente prima della partenzadi Paolo da Caylina il Giovane per la Valtellina. Da una parte il gustoper le ombre scure tornite e sfumate degli astanti fa pensare alle analo-ghe soluzioni dei profeti del sottarco di Bormio e della pala di Grosio,dall’altra la stessa intonazione grigia ottenuta con velature liquide sulletempere coincide con certi sistemi di finitura che caratterizzano la pro-duzione di Paolo da Caylina il Giovane della fine degli anni Venti: sinota infatti in un dipinto murale sopravvissuto alle puliture come l’A-dorazione di Cristo eucaristico del Coro delle Monache di Santa Giulia,che conserva ancora parte della finitura originale a tratteggi e velaturegrigie ad acqua di calce61.

E proprio a proposito del tratteggio di finitura va osservato che nelnostro contesto di indagine le ante a tempera su tela costituiscono spes-so un importante termine di confronto con i dipinti murali. Il completa-mento tratteggiato era infatti praticato per entrambi i prodotti: e spessoil tratteggio possiede un’evidenza tale da fare pensare non solo a unacaratteristica tecnica, ma a una vera e propria esibizione. Probabilmen-te queste finiture non erano percepite come fatti puramente strumentali,ma erano osservate come dati di stile, e quindi erano soggette alle stessevariazioni e agli stessi aggiornamenti che caratterizzavano le parti piùsorvegliate della pittura. Per questa ragione, come abbiamo già visto, letrasformazioni dei tratteggi del Romanino sono perfettamente coerenticon la scansione delle sue opere datate. Anche per Paolo da Caylina ilGiovane è possibile realizzare dei raggruppamenti tipologici dei modi difinitura. Nell’ambito del nostro studio, ad esempio, è possibile raccoglie-re degli esempi che ruotano intorno ai frammenti della Disciplina: te-

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nendo presenti le finiture a tratteggio rimaste sul lacerto con la manoavvolta nel manto rosso e sul frammento con le dita della parete N, e so-prattutto sulla mano con il panneggio verde e rosso della parete W, pos-siamo facilmente vedere come il metodo di finitura adottato da Paolo daCaylina il Giovane stia a cavallo fra quanto si è mantenuto sull’Adora-zione di Cristo eucaristico del Coro di Santa Giulia, e i particolari di fi-nitura degli incarnati meglio conservati nelle ante della chiesa dei SantiNazaro e Celso, come, per fare un esempio, il tratteggio nero sul piededel martire a destra nella scena della Flagellazione. Il lacerto con lamezza testa del profeta Osea al centro della parete E va considerato conmolta cautela in quanto è molto consumato e un po’ ritoccato, ma peralcuni dettagli, come le ombre tratteggiate nell’area dell’occhio e del na-so e la definizione a punta di pennello delle ombreggiature dell’orecchio,sembra rientrare in pieno nel contesto che si è cercato di delineare.

Le dimensioni dei frammenti impongono questa micro-filologia enon permettono di imboccare la strada dei confronti fatti su una confi-gurazione stilistica più organica. Il ragionamento sul dettaglio può con-sentire, in effetti, confronti illuminanti, ma nel nostro caso è l’impedi-mento a non potere scegliere i dettagli che possiamo giudicare significa-tivi e l’imposizione a non potere risalire dai dettagli alle strutture d’in-sieme che definisce il limite della ricerca. Solo un pezzo più ampio, mapurtroppo molto abraso, il profeta conservato al centro della parete W,consente, nonostante tutto, qualche considerazione sulla dilatazionemonumentale del braccio e l’imponenza del panneggio che ci orientanoverso una datazione più tarda rispetto ai cicli di santa Giulia, almenocollegata con la diffusione di scelte analoghe nella pittura bresciana in-torno al 1530: basta pensare, a titolo d’esempio, alla tela del Morettocon il Profeta Isaia, oggi all’Escorial di Madrid, ma che in origine, in-sieme alla Sibilla Eritrea dello stesso Museo, era probabilmente un late-rale della Strage degli innocenti di San Giovanni Evangelista62.

Anche il tipo di finitura a tratteggio nero che si segue a frammentisull’incarnato e sul panneggio verde di questo profeta pende, più chedalla parte dei dipinti di Santa Giulia, da quella delle ante della chiesadei Santi Nazaro e Celso. Per questa ragione credo che la data dell’in-tervento di Paolo da Caylina il Giovane nella Disciplina vada collocataaccanto all’esecuzione delle ante, in una vicinanza cronologica tale dasuggerire anche l’eventualità di un rapporto non casuale di commissio-ne fra i lavori per la chiesa dei Santi Nazaro e Celso e quelli per la Di-sciplina ad essa collegata.

È solo un’ipotesi. Ma se la nostra ricostruzione è corretta, la data-zione dei dipinti di Paolo da Caylina il Giovane dell’aula superiore se-gue di pochissimi anni quella della Crocefissione del Romanino dell’am-

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biente al piano terra. Prima i disciplini avranno sistemato l’aula piùimportante, destinata alle funzioni, commissionando la Crocefissione alRomanino, poi avranno investito per la sistemazione dell’aula sopra-stante destinata alle riunioni. Non c’è quindi una perfetta sincronia fragli interventi. Ma la distanza cronologica è limitata, al punto che è pos-sibile delineare un’unica grande impresa legata al rinnovamento dei lo-cali e alla realizzazione dell’intero apparato figurativo della Disciplina.La cronologia di questi interventi viene perciò a coincidere perfetta-mente con il momento immediatamente successivo alla notevole crescitanumerica dei confratelli mostrata dalla ricerca archivistica di ValeriaLeoni. È una crescita che si spiega anche col diffondersi contemporaneodegli interessi per i temi della pietà cristocentrica che abbiamo provatoa ricostruire. Alcuni tasselli della nostra ricerca finiscono così per com-baciare: l’attenzione per particolari contenuti religiosi porta a un forteaumento dei confratelli, quindi alla disponibilità di capitali e all’esigen-za di investirli nel rinnovamento degli ambienti, commissionando pri-ma il dipinto dell’aula principale al Romanino e poi la decorazione del-la sala superiore a Paolo da Caylina il Giovane. All’interno di questi in-vestimenti forse entravano anche le ante col martirio dei due santi pa-troni, che potevano essere un dono dei confratelli alla chiesa dei SantiNazaro e Celso dalla quale dipendevano.

Nelle preferenze dei committenti disciplini si erano perciò associatidue pittori diversissimi. Ma per i gusti degli anni Venti e Trenta delCinquecento l’unione delle due scelte, che noi fatichiamo a capire, nondoveva essere poi tanto sconcertante. Già pochi anni prima, a Brescia,per le monache benedettine di Santa Giulia, Paolo da Caylina il Giova-ne e il Romanino avevano lavorato in ambienti attigui e probabilmenteall’interno dello stesso progetto decorativo gestito dal medesimo com-mittente. Mentre Paolo da Caylina il Giovane è, come abbiamo visto, ri-cordato attivo nel 1527 nel Coro delle Monache di Santa Giulia, e quin-di anche in San Salvatore, il Romanino sta eseguendo proprio in que-st’ultimo ambiente le Storie di Sant’Obizio nella cappella situata allabase del campanile: ponendo nel celetto della finestra l’aquila dellostemma Martinengo, probabilmente in relazione alla commissione diAdeodata Martinengo badessa del convento fra il 1526 e il 152763.

III.

[III.1] Se le commissioni al Romanino e a Paolo da Caylina il Gio-vane, pochissimo distanziate, hanno fatto verosimilmente parte di unsolo progetto di trasformazione dei locali della Disciplina, è probabile

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che la chiusura dei due cantieri di pittura murale abbia coinciso con al-tri investimenti necessari per dotare gli ambienti rinnovati degli arredi edelle suppellettili. L’altare tardoquattrocentesco sarà stato verosimil-mente rifatto con una foggia più adeguata alla Crocefissione del Roma-nino che era stata realizzata sulla parete retrostante, saranno stati ac-quistati gli arredi lignei e le panche indispensabili alle riunioni dei di-sciplini al piano inferiore e a quello superiore, e saranno stati acquisiti icorredi liturgici. È quindi probabile che in questo contesto la compa-gnia dei disciplini dei Santi Nazaro e Celso abbia investito parte del ca-pitale anche per dotarsi di un nuovo stendardo processionale.

Poteva essere il gonfalone del Moretto. Questo stendardo, infatti,nel 1760 faceva ancora parte dei beni della Disciplina, quando Giovan-ni Battista Carboni lo descriveva come un dipinto su tela con raffigura-ta su una faccia “la Vergine dolente, S. Giovanni, e la Maddalena”, esull’altra “i due Santi martiri [Nazaro e Celso] laterali al santo Sepol-cro, da cui risorge il Redentore”64. La precisa descrizione iconograficadel Carboni lascia intendere che lo storico bresciano avesse effettiva-mente visto lo stendardo nel 1760 nei locali della Disciplina. D’altraparte l’attendibilità di questa fonte è sostenuta anche da una notizia ri-portata nel 1895 dal Fè d’Ostiani. Questi non aveva più visto lo sten-dardo, ma citava una testimonianza dell’abate Bono che ricordava co-me il gonfalone del Moretto esistesse ancora nel 1797 all’epoca dellasoppressione della Disciplina65.

D’altra parte le iconografie ricordate dal Carboni sono chiaramenteconnesse con la commissione dei disciplini dei Santi Nazaro e Celso: itre dolenti, da una parte, e dall’altra i due santi martiri patroni dellaDisciplina che assistono alla resurrezione di Cristo dal sepolcro. È peròprobabile che la descrizione del Carboni fosse incompleta: la Madonna,san Giovanni evangelista e la Maddalena, secondo la consuetudine ico-nografica, non potevano essere rappresentati soli, ma in compianto in-torno al Cristo morto o comunque in atto di dolenza sul sepolcro o suglistrumenti della passione. In questo modo sulle due facce dello stendar-do si poteva articolare il tema della morte e della resurrezione: della re-surrezione contemplata dai due santi patroni della Disciplina che eranostati martirizzati ad imitazione del Cristo.

Il termine gonfalone usato dal Carboni per descrivere questo ma-nufatto non permette di immaginare perfettamente la tipologia tecnicadel dipinto del Moretto66. Negli anni Trenta del Cinquecento, infatti, imateriali e le forme dei gonfaloni non erano costanti, anche se le va-rianti si riducevano a pochi modelli. Molto raramente un gonfalone eracomposto da due tele montate su un unico telaio o di una tela dipintasu entrambe le facciate tesa su un telaio. Generalmente queste due si-

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tuazioni riflettono un adeguamento espositivo moderno. Più frequente-mente, invece, uno stendardo dei primi decenni del Cinquecento era co-stituito da una tela dipinta su entrambe le facciate non intelaiata masolo rinforzata sui bordi con una fettuccia cucita e incollata: i gonfalonipiù pesanti, che non svolazzavano, avevano generalmente un solo pen-none fissato con bullette sul lato superiore, ai cui estremi erano legati icapi di una corda che era collegata ad un’asta centrale che veniva im-pugnata durante le processioni. Accanto a questo modello più diffusoesisteva la tipologia dello stendardo processionale tenuto da due aste dilegno fissate sui due lati opposti, che dava origine a due diverse forme:se le aste erano fissate ai lati verticali, venivano impugnate da due por-tatori che procedevano paralleli; oppure le aste erano applicate ai duelati orizzontali, e lo stendardo era condotto da un solo portatore che im-pugnava una terza asta verticale collegata con lacci o corde a quellaorizzontale superiore.

Negli anni della commissione dei disciplini al Moretto i gonfaloni atempere ad acqua erano rari, e comunque non destinati agli usi proces-sionali. Generalmente si trattava di dipinti a tempera grassa o a olioeseguiti sulle due facce di una tela preparata con una mestica sottilepiuttosto elastica. L’uso di supporti di tela sottilissima o di seta colora-ta, preparati con solo un appretto a colla per difendere i tessuti dall’aci-dità dei leganti oleosi, non era impossibile, ma si sarebbe diffuso nellaseconda metà del secolo per incontrare maggiore fortuna soprattutto fraSeicento e Settecento67. Contemporaneamente venivano prodotti anchegonfaloni con spesse stesure oleose su tele di canapa fitta preparate conuna mestica68.

Le superfici dei gonfaloni del tempo del Moretto erano con ogniprobabilità caratterizzate da un aspetto piuttosto lucido e saturo, inquanto la destinazione processionale consigliava una verniciatura pro-tettiva per i manufatti a olio e la imponeva per quelli, più in uso nel se-colo precedente, a tempera. Questi ultimi, prima di essere verniciati,dovevano essere prima isolati con una mano che generalmente era dialbume o di gomma stemperata in acqua zuccherata che impedivaun’imbibizione non omogenea di vernice causata del diverso assorbi-mento delle stesure a tempera. Per ovviare l’inconveniente si dovevarealizzare il dipinto con tempere molto coprenti69: ma ciò creava super-fici rigide, che quindi non potevano essere di grandi dimensioni e chesoprattutto erano poco adatte alla funzione di oggetti mobili rispetto aiprodotti a tempera grassa o a olio.

Se è verosimile che il gonfalone del Moretto sia stato commissiona-to dai disciplini almeno dopo l’esecuzione della Crocefissione del Roma-nino, per dotare di un nuovo stendardo la rinnovata sede della confra-

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ternita, e se è corretta la nostra ricostruzione della cronologia dei dipin-ti murali del Romanino e di Paolo da Caylina il Giovane, lo stendardodel Moretto dovrebbe essere stato realizzato nell’arco di tempo fra ilprincipio e la metà degli anni Trenta del Cinquecento. Possiamo perciòimmaginare che il suo stile non doveva essere molto distante da quellotestimoniato dalla tavola di San Francesco datata 1530 con i SantiMargherita d’Antiochia, Girolamo e Francesco d’Assisi, dalla tavola oratrasportata su tela di San Giovanni evangelista del 1531-32 con laStrage degli innocenti, o dalla tavola della parrocchiale dei Santi Naza-ro e Celso databile intorno al 1534 con l’Incoronazione della Vergine e isanti Michele arcangelo, Giuseppe, Francesco e Nicola da Bari.

[III.2] La doppia iconografia dello stendardo del Moretto descrittadal Carboni, e soprattutto il suo riferimento alle due facce dipinte conda una parte, “la Vergine dolente, S. Giovanni, e la Maddalena”, e dal-l’altra “i due Santi martiri [Nazaro e Celso] laterali al santo Sepolcro,da cui risorge il Redentore”, è quindi perfettamente coerente con la suadestinazione processionale.

Solitamente, all’interno delle discipline, questo tipo di gonfaloneera tenuto esposto. Oppure, più raramente, i manufatti di minor pregiosi arrotolavano intorno alle aste che li reggevano. La principale funzio-ne di questi prodotti era comunque costituita dall’esibizione itinerantedurante le processioni. Si trattava di vere e proprie insegne, la cui origi-ne è legata alla fondazione stessa delle confraternite dei disciplini, chel’avevano mutuata dall’uso dei gonfaloni delle milizie70. La stessa costi-tuzione di confraternite che si autodefinivano “del gonfalone” permettedi capire come questo manufatto fosse considerato un elemento caratte-rizzante dell’aggregazione dei confratelli71.

La commissione del gonfalone del Moretto si contestualizza perciòall’interno di questa pratica tradizionale che caratterizza le confraterni-te dei disciplinati, anche se negli anni Trenta del Cinquecento il parcel-lizzarsi della devozione riservata a santi particolari e il moltiplicarsidelle processioni dedicate ai santi patroni delle singole confraternite ac-quistano un particolare significato religioso e assumono connotati aper-tamente antiluterani. I comportamenti devozionali esibiti in pubblicodurante le processioni, le processioni con gli stendardi dei santi patronie le sculture lignee policrome e vestite, sono infatti un terreno di scontrofra riformati e cattolici. La misura dell’intensità di questo scontro ci èfornita ad esempio dall’attacco sferrato dal veronese Guido Zonca (unfuoriuscito, che aderisce alla riforma e si rifugia in territorio grigione),in una predica pronunciata il 15 agosto 1552 a Bondo in Val Brega-

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glia72, pubblicata poi in un libello dal titolo Delle statue et imaginiscritto “Di Casaccia tra’ Signori Grisoni, a 15 di settembre 1552”73, do-ve si stigmatizzano le pratiche devote esibite quando le immagini deisanti sono portate “a torno nelle solenni processioni”74. Ma anche daparte cattolica certe manifestazioni dei disciplini che presupponevanoun forte coinvolgimento emotivo dei partecipanti erano tenute a freno.Si incentivavano le devozioni processionali e il culto dei santi patroni75,ma per ragioni di ordine pubblico e soprattutto per la volontà di istitu-zionalizzare i comportamenti devoti si tendeva a vietare proprio quelleprocessioni che assumevano i connotati delle sacre rappresentazionicruente della passione. Queste pratiche, gestite tradizionalmente dalleconfraternite dei disciplinati, che le sostenevano attivamente ancora neiprimi decenni del Cinquecento, negli anni della controriforma cattolicae della normalizzazione istituzionale delle devozioni saranno semprepiù spesso giudicate “stravaganze da praticarsi in terra d’infedeli”76.

[III.3] Lo stato attuale dei frammenti del ciclo di Paolo da Caylinail Giovane offre ancora qualche indizio per ragionare sulla storia suc-cessiva degli ambienti. Le tracce che si osservano sulle superfici degliintonaci dipinti e delle stesure dell’arriccio testimoniano infatti che i la-vori di Paolo da Caylina il Giovane erano già in uno stato molto fram-mentario, abbastanza simile all’attuale, quando vennero coperti da unnuovo intonaco. Ciò è documentato dal fatto che le picchettature ese-guite con la martellina più larga interessano contemporaneamente iframmenti dipinti e l’arriccio a loro circostante.

Si tratta di un dato importante, in quanto consente di escludere ilfatto che i dipinti di Paolo da Caylina il Giovane siano stati abbattutivolontariamente, e inoltre non consente di identificare nella loro reinto-nacatura quel vasto intervento di decorazione documentato dal contrat-to stipulato fra i disciplini e il pittore Pietro Giacomo Barucco il giorno8 novembre 162077. Considerata l’attività della Disciplina fra gli anniTrenta del Cinquecento e il secondo decennio del Seicento, è infatti im-possibile pensare che i dipinti di Paolo da Caylina il Giovane dell’aulasuperiore fossero, nel 1620, in queste condizioni disastrose, che, comeabbiamo visto, sono state probabilmente causate da un crollo delle co-perture e dalla mancata riparazione di questi danni.

D’altra parte il contratto fra i disciplini e il Barucco è piuttostoesplicito sull’ubicazione del lavoro del pittore seicentesco: si indica in-fatti come luogo di intervento di Pietro Giacomo Barucco “l’oratorio te-raneo”, cioè l’aula al piano terra, e quindi si specifica che parte delle fi-gurazioni “debano corispondere a quelle sono al muro a monte parte

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dove è lo altare et continuar eso principio”. Il “muro a monte” è la pa-rete N, dove, infatti, esisteva, al piano terra, l’altare. Dietro l’altare, co-me abbiamo visto, era stata realizzata dal Romanino la grande Croce-fissione, che chiudeva la parete N, mentre l’ingresso principale era ov-viamente sulla parete opposta S, dove ancor’oggi si conserva il portalecon l’architrave datata 1498. I disciplini, nel 1620, si erano quindipreoccupati non solo di conservare la Crocefissione del Romanino, marichiedevano esplicitamente a Pietro Giacomo Barucco di adattare lapropria pittura a questa importante presenza, per mantenere un’unitànella presentazione dell’ambiente.

Al Barucco si chiedevano sostanzialmente due diversi interventi. Dieseguire, anzitutto, dei dipinti murali nell’ambiente del piano terra, equindi di dipingere i banchi che si trovano in questo locale. Il soggettorichiesto per i dipinti era, ovviamente, “queli misteri dela vita et marti-rio deli sudetti santi Nazaro et Celso”, mentre per gli arredi si richiedevapiù semplicemente di “dipingere esi banchi conforme ala sudeta pictu-ra”. Questa prima richiesta di dipinti murali era, quasi certamente, re-lativa alle pareti, perché nel capitolo successivo del contratto si davanoaltre disposizioni relative alla pittura del soffitto dello stesso ambiente,che viene chiamato “volto”, specificando: “che parimente [Barucco] siaobligato a dipingere il volto de esso oratorio facendo in detto volto treiquadri come più piacerà ali sudetti eletti et parimente neli campi cosìdeli cantoni come dalle bande et altre, altri misterii et figure come di so-pra con li suoi religamenti a chiaro et schuro con filetti de oro dove ri-chedemo così del volto come dale bande et alla porta in buona, bella etlaudabil forma”. È una precisa e interessante descrizione preventivadell’aspetto di questi dipinti, che quindi immaginiamo strutturati in trescene con episodi della vita e del martirio dei santi Nazaro e Celso, conaltre figurazioni monocrome e quadrature lumeggiate d’oro. Secondo ilgusto della quadratura monocroma di quegli anni, le parti decorative di“chiaro et schuro” erano probabilmente dipinte a bruno e ocra e filetta-te con fogliette d’oro a missione (“con filetti de oro”) nelle lumeggiature(“dove richedemo”). Vengono in mente, ad esempio, le lumeggiature deidecori dipinti e a rilievo della volta di Santa Maria del Carmine databileintorno al 1628, o la spettacolare lumeggiatura a filetti d’oro delle qua-drature realizzate intorno alle Storie di Cleopatra di Pietro Marone nel1601 nell’ex salone Calini a Calino, dove si sono eccezionalmente con-servate anche le velature di lacca a olio che accordavano le lumeggiatu-re dorate alle volumetrie dipinte delle quadrature. Il documento specifi-ca inoltre che questi apparati decorativi sono estesi fino ai “cantoni”:cioè alle parti marginali che corrispondevano agli spigoli delle volticelle.Questo richiamo ai “cantoni” è perciò un altro tassello che va a posto

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nella nostra ricostruzione, in quanto costituisce la conferma che la for-ma architettonica del “volto” era identica a quella attuale.

Tutto ciò, come abbiamo già anticipato, doveva “corispondere” aquanto aveva lasciato il Romanino. Si può sospettare, però, che questadesiderata corrispondenza non fosse tanto relativa alla Crocefissionepresente sulla parete, quanto, piuttosto, alle parti di decoro finto archi-tettonico che, come abbiamo cercato di ricostruire, il Romanino avevaprobabilmente eseguito a corredo del proprio dipinto. È verosimile,quindi, che i disciplini abbiano chiesto a Pietro Giacomo Barucco di“corispondere” con queste presenze.

Ma il contratto di Barucco contiene anche altre indicazioni sullaforma e sullo stato dell’ambiente in cui si trovava la Crocefissione delRomanino. L’affermazione più interessante riguarda il fatto che nel se-condo capitolo del contratto di Barucco si richiedono esplicitamente di-pinti da realizzarsi sul “volto”. L’aula del piano terra aveva quindi unsoffitto con un’unica volta? Oppure si trattava di una copertura voltatapiù complessa, costituita, ad esempio, da crociere ribassate, e il termine“volto” era usato, più semplicemente, nell’accezione di soffitto? Le evi-denze attuali confermano senza dubbio questa seconda interpretazione.L’ambiente possiede infatti ancor’oggi un soffitto con una tipica strut-tura tardoquattrocentesca, fatta di due campate centrali con grandicrociere ribassate e due campate estreme con la soluzione a due vele etre volticelle unghiate che si raccordava a una semicampata sempre acrociera ribassata. Ma in origine, comunque, le crociere dovevano fram-mentare lo spazio con gli spigoli vivi delle loro coste, mentre oggi sonoconservate solo le partenze degli archi e lo spazio al centro delle crocie-re appare spianato. Una simile trasformazione è piuttosto tipica dei sof-fitti tardoquattrocenteschi trasformati in epoca barocca per accoglieredipinti e decori. Si ricostruisce ad esempio nel soffitto della chiesa del-l’abbazia di Rodengo, dove la struttura frammentata degli anni Novan-ta del Quattrocento è stata smussata negli spigoli e livellata al centrointorno alla metà degli anni Venti del Settecento per accogliere i dipintidi Giovanni Battista Sassi. È quindi probabile che una simile trasfor-mazione sia stata approntata anche sul soffitto tardoquattrocentescodell’aula a piano terra della Disciplina: e l’occasione poteva essere stataofferta proprio dalla necessità di preparare lo spazio necessario al gran-de intervento del pittore Pietro Giacomo Barucco.

Infatti il richiamo fatto nel contratto fra Barucco e disciplini ai “treiquadri” da dipingersi nel “volto” fa pensare a una struttura decorativaspartita in tre parti, con tre scene figurate con le storie dei due santimartiri inserite in una quadratura. Si tratta, quindi, di un insieme chenon poteva distribuirsi sull’impianto frammezzato dalle coste delle cro-

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ciere tardoquattrocentesche, e che invece richiedeva almeno uno spaziopiù aperto, come quello visibile attualmente. Possiamo immaginare unascena al centro della navata (nello spazio appianato fra le due crociere)e le altre due agli estremi (nella zona di raccordo fra le semicrociere e levolticelle). Certo, a rigor di logica, è anche possibile che l’ambiente fossestato controsoffittato con una volta che è andata distrutta: in questo ca-so il termine “volto” presente nel contratto del 1620 indicherebbe, dun-que, questa nuova struttura. Ma non si capisce come questa ipoteticavoltatura si potesse attaccare alla conformazione architettonica dell’areacol dipinto del Romanino, che pure si voleva salvare e al quale Barucco,per esplicita disposizione contrattuale, doveva raccordare il proprio in-tervento. Inoltre le pareti e il soffitto non offrono alcun appiglio mate-riale all’ipotesi di questa supposta voltatura perduta.

Va poi notato che il documento contrattuale del 1620 non fa riferi-mento a dipinti che, eventualmente, potevano essere demoliti dall’inter-vento commissionato a Barucco. In un contratto non si era tenuti a spe-cificare queste cose. Ma anche al di là del silenzio del documento, èl’ampiezza dell’impresa che investe pareti e soffitti a farci sospettareche, probabilmente, queste parti dell’aula non avevano decorazioni dirilievo. Forse, prima del 1620, l’ambiente inferiore non era totalmenterivestito da dipinti come era invece l’aula superiore decorata da Paoloda Caylina il Giovane.

Il contratto di Barucco testimonia così un radicale intervento ditrasformazione dell’ambiente principale a piano terra avvenuto nel1620. Non sappiamo se contemporaneamente si sia intervenuti conqualche adeguamento sull’aula superiore, dove doveva essere ancora vi-sibile l’intera decorazione di Paolo da Caylina il Giovane. Il documentodel 1620 tace a questo proposito e, a ben vedere, non ci sono dati posi-tivi che confermano o che fanno sospettare un simile intervento.

Non credo, d’altronde, che si possano ipotizzare altre opere di pit-tura negli ambienti. È infatti senza fondamento il sospetto relativo al-l’attività di Pietro Antonio Sorisene per i disciplini nel 1666. È stato ci-tato un documento del 1666 che testimonierebbe un debito dei discipli-ni nei confronti del decoratore Pietro Antonio Sorisene, specificandoanche che la cifra dovuta era piuttosto alta e che quindi i lavori avreb-bero potuto essere di una certa importanza. La rilettura delle carted’archivio non permette però di confermare questa notizia. Pietro Anto-nio Sorisene (documentato come decoratore e quadraturista accanto apittori di figura come Francesco Paglia o Pompeo Ghitti) ha sì un cre-dito coi disciplini dei Santi Nazaro e Celso, ma questo credito, di 1500lire planete, è relativo soltanto a una questione di eredità e non riguar-da quindi la sua professione78.

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Ma intorno al rapporto dei disciplini con Pietro Antonio Sorisenepotrebbe nascere un altro equivoco dovuto a una confusione che ancorariguarda la biografia di questo quadraturista. Nella descrizione della Di-sciplina dei Santi Nazaro e Celso di Giovanni Battista Carboni del 1760si ricordano dei dipinti murali con “La Vita dei detti SS. Martiri dipintaa fresco è di Camillo Rama”79. Si tratta di una notizia che richiede uncommento un po’ articolato, in quanto, qualche volta, sono stati citatidei dipinti murali perduti in San Cristoforo a Brescia dove Soriseneavrebbe eseguito le quadrature intorno alle figure di Camillo Rama80. Lafonte da cui è ricavata questa notizia che si è diffusa nella storiografialocale è la guida pubblicata nel 1700 da Giulio Antonio Averoldo: maletta male, in quanto l’Averoldo prima scrive dei dipinti con le Storie diSanta Chiara di Camillo Rama, e quindi va a capo e accenna alla voltarealizzata “poch’anni fa” dal Sorisene, “bravo prospettico”81. D’altraparte Camillo Rama non ha opere che possono oltrepassare la fine deglianni Venti del Seicento (è attivo intorno al 1628 in Santa Maria delCarmine, e forse, contemporaneamente, esegue il dipinto con I martirifrancescani in Giappone per la chiesa di San Giuseppe, che si data dopola canonizzazione dei martiri avvenuta nel 1627, e che verosimilmente èstato realizzato per celebrare questo evento). Sorisene è invece docu-mentato attivo a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta del Sei-cento ed è ancora operante nel 1683. L’ipotesi di una collaborazione fraSorisene e Rama è quindi totalmente sbagliata.

Camillo Rama è invece un pittore che nel terzo decennio del Sei-cento si trova associato a Pietro Giacomo Barucco in alcune imprese de-corative in chiese bresciane, come le volte di Santa Maria del Carmine ein San Domenico82. Si tratta di un’associazione che spesso ha portato auna confusione fra i due pittori. È quindi probabile che nel 1760 Gio-vanni Battista Carboni abbia semplicemente scambiato lo stile di Ba-rucco con quello del Rama, e abbia attribuito a quest’ultimo le decora-zioni del “volto” eseguite nel 1620 dal Barucco. I soggetti ricordati dalCarboni (“La Vita dei detti SS. Martiri [Nazaro e Celso]”) coincidonoinfatti con quelli richiesti nel contratto del 1620 fra i disciplini e Baruc-co. Oppure, è anche possibile che Giovanni Battista Carboni non si siadel tutto sbagliato: forse nel 1620 Barucco si era assunto tutti gli onericontrattuali di fronte ai rappresentanti dei disciplini, e poi si era asso-ciato per l’esecuzione dei lavori a Camillo Rama, il pittore che negli an-ni successivi sarebbe stato suo compagno in altre grandi imprese bre-sciane83. Se nel 1620 Barucco, da solo o con Camillo Rama, avesse ri-chiesto l’aiuto di un quadraturista, la sua scelta sarebbe caduta conogni probabilità su Tommaso Sandrini, o più difficilmente su OttavioViviani84.

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Alla fine di questo processo di trasformazioni interne del principiodegli anni Venti del Seicento, la Disciplina dei Santi Nazaro e Celsocontinuava a conservare, accanto ai nuovi dipinti di Pietro GiacomoBarucco, il patrimonio d’arte che era stato acquisito col grande investi-mento di quasi un secolo prima. Il ciclo con le sibille e i profeti di Paoloda Caylina il Giovane era in vista al piano superiore, la Crocefissionedel Romanino, presente dietro l’altare al piano terra, era considerata undipinto pregiato da rispettare, il gonfalone del Moretto esisteva ancora eforse continuava ad essere usato nelle processioni. Come abbiamo visto,secondo una testimonianza dell’abate Bono riportata dal Fè d’Ostiani,questo stendardo era “ancora ben conservato” nel 1797 all’epoca dellasoppressione della Disciplina.

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(*) Vasco Frati ha promosso questa ricerca e insieme a Francesca Manola e aSilvia Gozzetti ha reso piacevole e facilitato in ogni modo lo studio negli attuali am-bienti dell’antica Disciplina e la redazione finale del testo, Valeria Leoni ha generosa-mente confrontato gli esiti delle sue ricerche sui documenti d’archivio con le mie con-siderazioni sui documenti materiali, con Alessandra De Santis ho discusso alcuni con-tenuti del mio lavoro, mentre, durante i controlli sulla bibliografia locale, ho potutocontare sull’esperienza e sulla consueta amichevole collaborazione di Ugo Spini. Liringrazio, insieme a tutti gli altri amici che mi hanno aiutato nella realizzazione diquesto lavoro.

NOTE

1 L’intervento di discialbo è stato eseguito nel 1977 da Giuseppe Battista Simoni.Lo scoprimento, finanziato dal Comune di Brescia, è pubblicato da G. PANAZZA, Ag-giunte al catalogo delle opere di G. Romanino e di V. Foppa, in “Brixia Sacra”, XII, 3-4, 1977, pp. 11-12. Durante la discialbatura tutte le stesure eseguite a latte di calcesull’intonaco stanco sono state segnate dalle tacche delle lame usate nel discialbo (adesempio il braccio interno del ladrone della porzione sinistra), molte zone sono stateabrase e sono velate con ritocchi. La testimonianza dei danni causati dal discialbo ècostituita dal fatto che sotto i residui di scialbo dimenticati dal restauratore sulla su-perficie si conservano ancora le stesure che altrove sono state rimosse insieme allascialbatura. Gli abbattimenti che hanno interessato il dipinto di Romanino e l’imbian-catura sono invece piuttosto antichi: FÈ D’OSTIANI, Storia, tradizione ed arte nellevie di Brescia, Brescia, 1895, pp. 40-41, scriveva che dopo la soppressione napoleoni-ca del 1797 “l’oratorio fu ceduto al Municipio, si deturpò il muro ove stava il lavorodel Romanino e si imbiancarono le altre pitture”. Per la documentazione fotograficarelativa allo scoprimento del dipinto del Romanino: Brescia, Archivio fotografico deiMusei Civici di Arte e Storia, nn. A 504, 5199; A 505, 5200-5206.

2 G.B. CARBONI, Le pitture e sculture di Brescia che sono esposte al pubblicocon un’appendice di alcune private gallerie, Brescia, 1760, p. 60.

3 F. MACCARINELLI, Le glorie di Brescia raccolte dalle pitture che nelle sueChiese, Oratorii, Palazzi, ed altri luoghi pubblici sono esposte, Brescia, BibliotecaQueriniana, ms. G.IV.8, ed. a cura di C. BOSELLI, in “Supplemento ai Commentaridell’Ateneo di Brescia per l’anno 1959”, p. 47.

4 F. PAGLIA, Il giardino della pittura, Brescia, Biblioteca Queriniana, ms. Di Ro-sa 88, c. 253. Ed. a cura di C. BOSELLI, in “Supplemento ai Commentari dell’Ateneodi Brescia per l’anno 1967”, p. 295.

5 La mia ipotesi relativa all’identificazione della destinazione dell’ambiente del-l’abbazia di Rodengo come refettorio dei forestieri si basa sia sull’ubicazione (fuoridall’area destinata ai religiosi e accessibile da un passaggio collegato all’esterno) e sul-le dimensioni della stanza, che sulle iconografie del ciclo romaniniano basate sui temidella mensa e dell’ospitalità (Cena in Emmaus, Cena dal fariseo, Samaritana al poz-zo).

6 La somiglianza tecnica delle sinopie fra il ciclo con la Madonna col Bambinofra i Santi Rocco, Sebastiano, San Gerolamo, San Rocco mendicante che riceve il pa-ne e San Filastrio di San Rocco a Villongo San Filastrio e le sinopie della Crocefissio-ne della Disciplina è un dato utile ma che non può costituire una prova per un’attri-buzione o una datazione. Va comunque osservato che il ruolo esclusivamente stru-mentale della sinopia fa sì che la sua tecnica di esecuzione non sia sottoposta ai con-

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trolli dello stile, e quindi il suo modo di esecuzione può essere in grado di tradire abi-tudini individuali e tic operativi meglio del dipinto visibile. Non si tratta, quindi, dicondurre un’attribuzione in base alle sinopie, e neppure di ridurre sul piano dei con-fronti operativi la complessa strutturazione di dati che dovrebbe invece caratterizzareil lavoro storico del procedimento attributivo. Si tratta, più semplicemente, di ricono-scere, all’interno di un quadro più ampio di elementi, anche una vicinanza relativa adun’abitudine di lavoro. E proprio in questa prospettiva occorre segnalare la possibilitàdi stabilire una periodizzazione di queste abitudini: pensando, così, che la somiglian-za tecnica fra le sinopie costituisce un ulteriore tassello a sostegno di una propostacronologica, quando questa somiglianza si inserisce in un contesto più ampio e coe-rente di dati. Ma nel caso specifico dei dipinti di Villongo - pressoché perduti dopouno strappo disastroso eseguito nel 1967 da Giuseppe Arrigoni e confusi da un este-sissimo lavoro di ritocco e ricucitura- l’indizio della sinopia va utilizzato insieme aipochissimi dettagli conservati della superficie dei dipinti, mentre, per la ricomposizio-ne stilistica generale, è necessario ritornare a una serie di vecchie fotografie in biancoe nero depositate presso l’Archivio parrocchiale, che mi sono state gentilmente mo-strate dal parroco.

7 Sugli interessi religiosi dei disciplini si vedano anzitutto gli atti del convegno diPerugia del 1960: Il movimento dei Disciplinati nel settimo centenario del suo inizio(Perugia, 1260), in “Deputazione di Storia Patria per l’Umbria”, Perugia, 1962; equindi Risultati e prospettive della ricerca sul movimento dei Disciplinati, Centro diDocumentazione sul Movimento dei Disciplinati, Perugia, 1972. La storia delle con-fraternite disciplinate parte da G.A. CASTIGLIONE, Gli honori de gli antichi Disci-plinati instituiti da principio in Toscana, e poi [...] in tutte l’altre parti d’Italia, Mila-no, G.B. Bidelli, 1622. Per le confraternite nel medioevo: G.G. MEERSSEMAN, Ordofraternitatis. Confraternite e pietà dei laici nel medioevo, Roma, 1977; e per un tagliod’insieme: G. ANGELOZZI, Le confraternite laicali. Un’esperienza cristiana tra me-dioevo e età moderna, Brescia, 1978. Su questi argomenti rimane fondamentale siacome taglio interpretativo che come strumento bibliografico (per il rimando a parec-chi studi di carattere particolare o locale) il saggio di R. RUSCONI, Confraternite,compagnie e devozioni, in “Storia d’Italia”, Annali 9, Torino 1986, pp. 469-506.

8 Sulla circolazione di questa letteratura, si veda C. GINZBURG e A. PROSPERI,Giochi di pazienza. Un seminario sul “Beneficio di Cristo”, Torino, p. 155 e sgg.

9 D. CANTIMORI, Le idee religiose del Cinquecento, in Storia della letteraturaitaliana, V, Milano 1967, p. 7.

10 GINZBURG e PROSPERI, Giochi... cit. Si veda anche C. DE FREDE, Tipo-grafi, editori, librai italiani del Cinquecento coinvolti in processi d’eresia, in “Rivistadi Storia della Chiesa in Italia”, 23, 1969.

11 RUSCONI, Confraternite... cit., p. 490. Al contempo, però, gli appartenenti al-le confraternite potevano percepire in questa loro collocazione una scelta di campoesplicitamente antiluterana. Lutero, infatti, aveva mandato alle stampe nel 1519 ilSermone del venerabile Corpo di Cristo (lo si veda in Scritti religiosi, a cura di V. VI-NAY, Torino, 1967, pp. 297-322), che conteneva un preciso attacco alle confraternitetedesche: è vero che queste istituzioni erano molto diverse da quelle italiane, ma è an-che vero che ai lettori italiani non si poteva chiedere di andare troppo per il sottile nelconfronto fra una situazione che conoscevano e una realtà sconosciuta, e perciò il Ser-mone di Lutero poteva essere utilizzato fuori del proprio contesto e interpretato nelsenso di una bocciatura generale dell’istituto delle confraternite.

12 O. LUPANO, Torricella. Dialogo di Otho Lupano, nel quale si ragiona dellestatue e miracoli, i quali per quelle far si veggono, e parimenti de’ demoni e spiriti,che in varie forme a noi alle volte si dimostrano, degli angioli altresì a ciascun na-

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scente attribuiti. Nel fine che cosa sia dell’anima nostra dopo l’uscita dalla presentevita, Milano, Calvo, 1540. Testo in forma di dialogo al quale partecipavano tre diffe-renti interlocutori: un soldato tedesco (che portava il punto di vista dei riformati), unfrate (rappresentante delle posizioni cattoliche) e un intellettuale “professore di seco-lari lettere” (che mostrava l’atteggiamento dei laici colti di parte cattolica). L’intentodi propaganda cattolica di questo piccolo volume è già nella precisazione compresanel titolo nel quale si ragiona di statue e miracoli. Il testo, in 40 ff. è stato edito par-zialmente (ff. 1-5v e 24v-27v) in P. BAROCCHI, Scritti d’arte del Cinquecento, V,Scultura, Milano-Napoli, 1973, vol. II, pp. 1177-1195. Sul Lupano, originario di Ca-sale, insegnante di greco e latino, vedi T. VALLAURI, Storia della poesia in Piemonte,Torino, 1841, I, p. 310.

13 Ricostruisco un episodio di iconoclastia in Due note indiziarie. La cappella delMonzeglio a Ispra, intorno al 1535 e nel 1551, in “Rivista Storica della Società Vare-sina”, XX, 1995, pp. 35-52. Un documento del 1549 accusa di iconoclastia due uo-mini (definiti “lutherani”) di Casalmaggiore per avere “sparato un archibuso per unoin una imagina di Sancto Antonio, pinta sopra una porta d’un sedime in una villa,cioè uno ne la barba, l’altro nel campanelo” (Milano, Arch. St., Doc. Dipl. 106 (II), f.94, trascritto in F. CHABOD, Per la storia religiosa dello Stato di Milano durante ildominio di Carlo V. Note e documenti, in Opere, III, 1. Lo Stato e la vita religiosa aMilano nell’epoca di Carlo V, Torino, 1971, Doc. 53). Nel quindicennio fra il 1535 eil 1550 in cui, in area padana, avviene il passaggio dalle dispute religiose dei riforma-ti alle azioni iconoclaste, i documenti testimoniano che i reati di iconoclastia sonocommessi solo da maschi soprattutto di età matura, e che una simile accelerazioneverso l’atto distruttivo plateale è avvenuta nella seconda metà degli anni Quarantadel Cinquecento come conseguenza del diffondersi di alcuni contenuti della riformapresso il ceto medio-basso. CHABOD, op. cit., pp. 345-346, ricorda altri episodi diiconoclastia della metà del Cinquecento nel basso Milanese: l’incendio doloso del1543 di alcuni arredi lignei di un edificio religioso a Codogno (p. 342); la frantuma-zione di un crocifisso ligneo e lo sfiguramento di una Madonna dipinta a Rivarolo nel1548 (p. 342); un caso di accusa “de imagini guaste” a Casalmaggiore (p. 338, n. 2);Doc. 48, Doc. 53: la rottura e la bruciatura di “una imagina di Nostra Dona pinta sula carta” a Casalmaggiore nel 1547. I responsabili di questi atti sono definiti “luthe-rani”. La paternità degli atti iconoclasti è attribuita in una predica veneziana del1552 del minorita F. VISDOMINI: “chi ai nostri giorni ha profanato i tempii, desolatigli altarii, scolorito le sacre imagini [...] se non Lutero ?” (Homelie dello Spirito San-to, Venezia, 1552, c. 10v).

14 Dai processi dell’inquisizione emergono pochi riferimenti alla pratica dell’ico-noclastia, mentre sono molto frequenti le dichiarazioni contrarie al culto delle imma-gini dei santi: si vedano, ad esempio, i casi dell’orologiaio Lorenzo Vex (Venezia,1566) e del fabbro Ambrogio Castenario (Udine, 1568) citati da S. SEIDEL MENCHIin AA.VV, Lutero in Italia. Studi storici nel V centenario della nascita, Casale Mon-ferrato, 1983, pp. 126-127 e p. 131, e del mugnaio friulano Menocchio, citato inGINZBURG, Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del Cinquecento, Torino,1976, p. 15. Si noti che il mugnaio Menocchio rilascia agli inquisitori una dichiarazio-ne giustificatoria dell’iconoclastia: “Abram buttò in terra tutti gli idoli et tutte le ima-gini, et adorò il solo Iddio”. Questo atteggiamento verso le immagini è stigmatizzatonella letteratura religiosa in volgare antiluterana della metà del Cinquecento: “Questamaligna setta biasima [...] l’uso delle imagini” (L. DAVIDICO, Il vittorioso trionphodi Maria V contra lutherani, Firenze, 1550). Per la disputa teorica sulle immagini (ela relativa bibliografia), vedano P. PRODI, Ricerche sulla teorica delle arti figurativenella Riforma Cattolica, in “Archivio Italiano della Pietà”, VI, 1962, pp. 123-212, e

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G. SCAVIZZI, Arte e architettura sacra. Cronache e documenti sulla controversia frariformati e cattolici (1500-1550), Reggio Calabria-Roma, 1981. Si pensi anche alcontenuto della predica antiluterana di fra Angelo Castiglioni da Genova tenuta nelduomo di Milano nell’ottobre 1553 (pubblicata dal discepolo fra Aurelio da Milano;Milano, MDLIII, 24 novembre): “[chi sta diventando luterano] comincia a dire che iSanti non priegano più per noi e che è pazzia invocargli”. Sulla diffusione popolaredella letteratura in volgare contro i luterani, vedi S. CAVAZZA, “Luthero fidelissimoinimico di Iesu Christo”, in AA.VV, Lutero in Italia [...], 1983, pp. 67-94. I predicato-ri attingono da trattati che sostengono il culto dei santi e l’uso delle loro immagini ascopi devoti pubblicati negli anni Quaranta del Cinquecento, quali A. CATHARINUS,De certa gloria invocatione ac veneratione Sanctorum, Lyon, 1542 e C. BRUNUS, Deimaginibus, Augsburg, 1548. La questione delle immagini è discussa dal concilio tri-dentino solo nell’ultima sessione del 1563 (Canoni e decreti, sess. XXV, tit. 2).

15 Sulle immagini di pietà e i comportamenti della preghiera devota, v. il bel sag-gio di H. BELTING, Das bild und sein publikum im Mittelalter: form u. funktionfruher bildtaf. d. passion, Berlin, 1981; trad. it. L’arte e il suo pubblico. Funzione eforme delle antiche immagini della passione, Bologna, 1986.

16 Giovanni di Pagolo Morelli, Ricordanze, IV (1400-1401: nell’anniversario del-la morte del figlio Alberto); le cit. sono dall’ed. a cura di V. BRANCA, Mercanti scrit-tori, Milano, 1986, rispettivamente p. 307 e p. 309.

17 BELTING, Das Bild... cit., trad. it. p. 61, e i riferimenti bibliografici nella n.34. La cit. nel testo è presa dal Catholicon di Giovanni Balbo, Venezia, 1497.

18 L’osservazione è in GINZBURG e PROSPERI, Giochi... cit., p. 155 e sgg.19 A titolo di esempio, basta ricordare la cimasa con la Pietà del polittico di Jaco-

pino della Pinacoteca di Bologna, dove il sangue è realizzato a olio sul dipinto a tem-pera, il Compianto di Giovanni da Milano delle Gallerie dell’Accademia di Firenze,con le lacrime realizzate con vernice rilevata, o il Cristo nel sepolcro di Michele Giam-bono del Metropolitan Museum di New York con la corona di spine e il sangue cheesce dal costato e dalle stigmate in rilievo e le ferite incavate.

20 L’ipotesi di collegare questa impresa a una commissione di disciplinati è in B.PASSAMANI, Romanino in Santa Maria della Neve, Brescia, 1990, pp. 9-15. È veroche qualche chiesa con questa dedicazione è stata utilizzata dai disciplini. A Verona,ad esempio, la chiesa di Santa Maria della Misericordia (dove operava una confrater-nita che assisteva i condannati a morte a partire dal 1360) passerà il proprio incaricoai flagellanti di Santa Maria della Neve (chiesa conosciuta come Santa Maria della Di-sciplina, o anche come Santa Maria della Giustizia). Cfr. A. GAGLIARDI, Le confra-ternite dei Flagellanti a Verona, in “Quaderni di Vita Veronese”, serie storica, n. 8. Bi-sogna però notare che un edificio con le dimensioni della chiesa di Pisogne dovrebbepresupporre un enorme raggruppamento locale di disciplini che verosimilmenteavrebbe dovuto lasciare tracce documentarie. Inoltre questo gruppo avrebbe dovutoavere a disposizione un enorme capitale da investire nell’impresa. Per stimare la por-tata dell’investimento economico, non bisogna infatti dimenticare che l’impresa delRomanino a Pisogne era stata preceduta e accompagnata da una serie di opere edilizieche avevano trasformato l’edificio tardoquattrocentesco con la tamponatura dei fine-stroni del lato N, e che i dipinti del Romanino, che andavano a distruggere tutti i di-pinti tardoquattrocenteschi, si estendevano non solo all’interno dell’aula, ma occupa-vano il portico esterno, l’interno del campanile e l’ambiente attiguo.

21 I cartigli sono trascritti e giustamente interpretati in questo senso in PASSA-MANI, Romanino... cit., pp. 14-15.

22 Non conosco studi su questa funzione intermediaria della figura della Madda-lena nell’iconografia della Crocefissione. Esistono invece diversi contributi sulla fun-

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zione intermediaria della Madonna che espone alla venerazione le piaghe di Cristomorto nelle immagini di pietà, ad es. T. DOBRZENIECKI, Medieval sources of thePietà, in “Bulletin de Musée National de Varsovie”, 8, 1967, p. 5; R. SUCKALE, Ar-ma Christi. Uberlegungen zur zeichenhaftigkeit mittelalterlicher andachtsbilder, in“Stadel Jahrbuch”, 6, 1977, p. 177; BELTING, Das Bild... cit., trad. it. pp. 96-101.

23 Si nota, nel Cinquecento bresciano, la forte emergenza quantitativa delle dedi-cazioni delle chiese alla Croce, al Crocifisso, alla Deposizione, al Sepolcro, rispetto alledediche all’Ascensione, al Redentore e al Salvatore. I dati numerici che consentonoquesta stima sono riportati in A. FAPPANI, Religiosità popolare e pietà, in A. CA-PRIOLI, A. RIMOLDI, L. VACCARO (a cura di), Storia religiosa della Lombardia.Diocesi di Brescia, Brescia, 1992. p. 382. Va però osservato che una semplice stimaquantitativa può risultare fuorviante, in quanto occorrerebbe considerare sia l’ubica-zione territoriale degli edifici che la loro importanza. Inoltre sarebbe necessario di-sporre di un’indagine diacronica sulle titolazioni di ciascun edificio e formare un qua-dro comparativo, per valutare quanto incidono i cambiamenti rispetto alle conserva-zioni. Per lo sviluppo delle iconografie legate ai temi della pietà cristologica e dellapassione, vedi V. GUAZZONI, Moretto. Il tema sacro, Brescia, 1981; ID., L’iconogra-fia di san Francesco come “alter Christus” in area bresciana, in Il francescanesimo inLombardia. Storia e arte, Milano, 1983, pp. 217-231; ID., Temi religiosi e contenutidevozionali, in M. GREGORI (a cura di), Pittura del Cinquecento a Brescia, Milano,1986, pp. 17-31. Sicuramente si può parlare di consenso per questi temi religiosi nel-la prima metà del Cinquecento. Anche se ciò non deve essere interpretato come un’au-tomatica sovrapposizione fra gli ideali dei disciplini e quella che si è soliti definire,quasi sempre impropriamente, religiosità popolare. Questa coincidenza è invece pre-supposta da buona parte della storiografia cattolica, che, per l’ambito bresciano, puòessere esemplificata da FAPPANI, Religiosità... cit. A questo proposito credo che siapiù corretto valutare il problema anche in rapporto ai conflitti e agli scambi fra le cul-ture, come indica C. GINZBURG, Folklore, magia, religione, in Storia d’Italia, Torino,1972, 1, pp. 650-651; dello stesso si vedano anche le osservazioni nella prefazione a Ilformaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del Cinquecento, Torino, 1976, pp. XI-XXXI, con un appropriato richiamo al modello interpretativo della cultura popolarecinquecentesca elaborato da Michail Bachtin. Ma per rimanere nel contesto degli at-tuali approcci storiografici al tema della devozione e della pietà, spunti di riflessionepossono essere forniti dal bel saggio di A. PROSPERI, Storia della pietà, oggi, in “Ar-chivio Italiano per la Storia della Pietà”, IX, 1996, pp. 2-29. La cultura religiosa delleclassi popolari della prima metà del Cinquecento non può essere infatti assimilata alledevozioni, e in ogni caso va ripensata, anche in ambito bresciano, nella separazionefra le culture dei ceti urbani e le realtà culturali delle campagne, per le quali CarloGinzburg ha parlato di “conquista” operata dagli ordini religiosi della Controriforma:“La conquista religiosa delle campagne italiane, che gli anabattisti avrebbero forsetentato se non fossero stati stroncati quasi immediatamente dalla repressione religiosae politica, fu effettuata alcuni decenni dopo, sotto un segno ben diverso, dagli ordinireligiosi della Controriforma -i gesuiti, in primo luogo. Ciò non significa che durante ilCinquecento le campagne italiane ignorassero del tutto le forme d’inquietudine reli-giosa. Ma dietro il tenue velo che apparentemente riecheggiava temi e termini delle di-scussioni contemporanee, s’intravede la presenza massiccia di tradizioni diverse, mol-to più antiche” (GINZBURG, Il formaggio... cit., p. 25). In ogni caso l’interesse cin-quecentesco per i temi pietistici non doveva presupporre un’automatica condivisionedelle confraternite, in quanto le attività economiche gestite dai disciplini, il loro pesopolitico, la frammentazione delle diverse compagnie secondo la divisione dei quartierio delle parrocchie, finivano per realizzare una particolare posizione élitaria per le sin-

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gole confraternite dei disciplinati, che come nota Roberto Rusconi “mantennero nelcorso del tempo la fisionomia di un organismo élitario esteso all’intera città” (RU-SCONI, Confraternite... cit., p. 477).

24 Per la sprezzatura del Romanino, vedi i miei lavori: Una ricerca sui livelli delfinito, in Romanino in Sant’Antonio a Breno, Breno, 1992, pp. 77-105, e soprattuttoRomanino. Un percorso ravvicinato, in “Franciacorta Magazine”, 13, Dicembre 1992,pp. 15-43.

25 Ho affrontato questo tema in Lime painting and sprezzatura in Dosso s’fate:painting and court culture in Renaissance Italy, The Getty Institute, Malibu, 1988 (incorso di pubblicazione).

26 GINZBURG, Folklore... cit., p. 658.27 Su questo pigmento B. MUHLETHALER e J. THISSEN, Smalt, in “Studies

in Conservation”, XIV, 1969, pp. 47-61. Sui particolari usi dello smaltino da partedel Romanino, vedi le mie osservazioni in Note su alcune pratiche di pittura murale,in Romanino in Santa Maria della Neve, Brescia, 1990, pp. 87-100, in particolarepp. 91-93.

28 Anche per quest’uso congiunto del disegno rosso e della malachite nel Romani-no, rimando alle mie descrizioni in Note... cit., in particolare pp. 93-94; ho aggiuntoaltre osservazioni in Una Ricerca... cit., pp. 90-91.

29 PANAZZA, Aggiunte... cit., pp. 11-12.30 A. NOVA, Girolamo Romanino, Torino, 1994, pp. 285-286.31 NOVA, Girolamo... cit., p. 286: “Se dubbi dovessero sorgere sulla cronologia

del dipinto, questi dovrebbero riguardare l’eventualità di una datazione ancora piùtarda poiché la frammentaria figura del centurione mostra delle analogie col D’Avalosdi Tiziano”.

32 B. PASSAMANI, Romanino... cit., p. 11, p. 70 n. 10, pensa al momento imme-diatamente successivo a Pisogne, intorno al 1535. P.V. BEGNI REDONA, in La colle-giata insigne dei Santi Nazaro e Celso in Brescia, Brescia, 1992, p. 180, lega il dipin-to della Disciplina alla Crocefissione della controfacciata di Pisogne, che data però1530 c. e non agli anni 1533-1534, come più probabile. Personalmente (Note..., cit.,pp. 90-100, n. 7) avevo pensato a una datazione della Crocefissione della Disciplinaal 1530 c.

33 Si veda ad es. la scheda di BEGNI REDONA, in La collegiata... cit., p. 180.34 Sulla tecnica di tratteggio del Romanino a Cremona vedi il mio Finiture murali

di Paolo da Caylina il Giovane. Tre note tecniche sull’Adorazione di Cristo eucaristicodel Coro delle Monache di Santa Giulia a Brescia, in “Museo Bresciano”, n.s., 5,1995, pp. 47-62, in part. p. 50 e p. 58, fot. 4c.

35 Anche per questa tecnica di Pordenone, vedi il mio Finiture murali... cit., inpart. p. 50 e p. 58, fot. 4d.

36 Il ciclo non è datato. NOVA, Girolamo... cit., p. 259 nota come nel celetto po-sto sopra al gruppo di monache rappresentate su un lato della finestra compare l’a-quila araldica della famiglia Martinengo: ciò è messo in relazione con la commissionedi Adeodata Martinengo, badessa del convento fra il 1526 e il 1527. Anche se non esi-stono prove che legano con certezza lo stemma Martinengo alla badessa Adeodata, eanche se Adeodata è stata badessa in anni precedenti, la proposta di Nova è verosimi-le: sia per la cronologia stilistica romaniniana, che per il contesto di commissioni nelquale l’esecuzione della cappella di Sant’Obizio viene ad inserirsi. La data è infatticoerente con la serie dei lavori di pittura murale eseguiti nel complesso del monastero,documentati nel 1527 per l’aula del Coro di Santa Giulia (cfr. più avanti alla n. 49) eproseguiti verosimilmente nell’area di San Salvatore.

37 Cfr. n. 6.

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38 Per questa ragione Sara Marazzani, nella sua tesi Callisto Piazza in Valcamo-nica. Una revisione alla luce della tecnica, Università degli Studi di Milano, a.a.1996-97 (relatrice Fiorella Frisoni), notando le differenze fra i pochi frammenti leggi-bili di Villongo e i dipinti murali di Asola, ha proposto di attribuire il ciclo di Villongoa un momento fortemente romaniniano di Callisto Piazza (pp. 103-114) e ha solleva-to anche qualche dubbio sull’attribuzione al Romanino del ciclo di Sant’Obizio (p.112, n. 15). Lo stato degli strappi di Villongo non permette un giudizio sicuro, per cuila proposta va prudentemente tenuta in sospeso. Ma a proposito del ciclo di Sant’Obi-zio credo che il problema sia legato a un temporaneo aggiustamento stilistico romani-niano che forse coinvolge anche il caso di Villongo. Gli scambi attributivi fra il Roma-nino e Callisto sono comunque avvenuti altre volte, e credo che possano spiegarsi sto-ricamente anche alla luce di un documento del 1530 relativo al passaggio d’affitto fraCallisto e il Romanino (cfr. n. 43), che sembra suggerire come nell’avanzare della se-conda metà degli anni Venti (e quindi durante la particolare fase stilistica romaninia-na che ho cercato di delineare) Callisto Piazza possa anche essere collaboratore o sociodel maestro più anziano.

39 Gli studi sui cicli romaniniani del Castello del Buonconsiglio eludono questiproblemi, a mio giudizio importanti e sui quali sarebbe necessario avviare una ricercaspecifica. Intanto ho già accennato alla questione delle oscillazioni tecniche del Roma-nino a Trento in Lime painting... cit, (in corso di stampa).

40 Sulla tecnica del Romanino a Breno, v. il mio Una ricerca... cit., pp. 77-105.41 Solo Gaetano Panazza, che aveva osservato un frammento scoperto, aveva

parlato, di passaggio, di un’opera del Romanino o di scuola romaniniana.42 Lo smontaggio del monumento del 1724 era stato deciso nell’autunno del

1993 per favorire un suo migliore consolidamento. In quell’occasione avevo seguito,per conto della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici, i lavori di sal-vaguardia dell’intonaco dipinto dal Romanino, studiando e documentando i fram-menti. Il ritrovamento era stato segnalato dal “Giornale di Brescia” il 23 aprile 1994.

43 Il documento è cit. da B. PASSAMANI, L’affermazione di Callisto, in G.C.SCIOLLA (a cura di), I Piazza da Lodi. Una tradizione di pittori nel Cinquecento,Milano, 1989, p. 173.

44 Per il contratto fra i rappresentanti dei disciplini e Pietro Giacomo Barucco,datato 8 novembre 1620: ASC, 1797 1/2 filza VIII n. 8; lo si veda ora trascritto daValeria Leoni in appendice al suo saggio pubblicato nella prima parte di questo vo-lume.

45 Per il riconoscimento dei segni di queste compressioni, rimando alle mie osser-vazioni in Note su alcune pratiche... cit., p. 88. In altri casi, il Romanino rallenta l’a-sciugatura dell’intonaco applicando delle tele di sacco bagnate fra una fase e l’altradella pittura: su questa pratica vedi la macrofotografia che pubblico in Una ricerca...cit., p. 96, fot. 9, e le osservazioni a p. 88.

46 Su questa tecnica di arricciatura non esiste bibliografia. È anzi sempre scam-biata come la presenza di una finitura scialbata precedente, e quindi non consideratauna parte della tecnica del dipinto. Devo perciò rimandare al mio lavoro Una schedatecnica per Gian Giacomo Barbelli a Quintano, in “Insula Fulcheria”, XXVI, 1996,pp. 9-33, dove, studiando la ripresa di questa tecnica dell’arricciatura scialbata nelprimo Seicento, inserisco in nota (pp. 32-33, n. 4) alcuni esempi di riferimento tardo-quattrocenteschi e del primissimo Cinquecento.

47 G. PANAZZA e A. BERTOLINI, Arte in Valcamonica. Monumenti e opere, Bre-scia, 1994, III, 2: Pisogne. S. Maria della Neve.

48 L’unità del trattamento delle superfici delle pareti W, N e E è palese. Per la pa-rete S rimangono solo due frammenti verticali di intonaco arricciato posizionati fra le

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attuali finestre: la loro arricciatura è eseguita con strisciature di cazzuola più verticalidi quelle visibili sulle altre pareti, ma la differenza non mi sembra significativa.

49 Sulle basi per le applicazioni della malachite nella pittura murale brescianadegli anni Trenta del Cinquecento, vedi le mie osservazioni in Note... cit., pp. 93-94.

50 La presenza di Paolo da Caylina il Giovane nel Coro delle Monache di SantaGiulia è datata al 1527 sulla base di una notizia di Pandolfo Nassino: Registro di mol-te cose seguite scritte da domino Pandolfo Nassino nobile di Bressa, Brescia, Bibliote-ca Queriniana, ms. C.I.15, f. 142; per questo documento, vedi S. FENAROLI, Dizio-nario degli artisti bresciani, Brescia, 1877, p.121; il passo è cit. in S. Salvatore diBrescia. Materiali per un museo, Brescia, 1978, I, 2, p. 95.

51 Su questa tecnica, vedi il mio Finiture... cit., pp. 47-62.52 Per questa decorazione, v. C. STRINATI, Marcantonio dal Forno nell’Oratorio

del Gonfalone a Roma, in “Antichità viva”, XV, 3, 1978, pp. 14-22.53 Per la trascrizione e l’intepretazione di questi cartigli vedi PASSAMANI, Ro-

manino... cit., pp. 14-15.54 La destinazione alle donne delle aule superiori delle discipline è ricordata in A.

FAPPANI, Discipline, in Enciclopedia bresciana, III, Brescia, 1978, pp. 178-179. Nonsono però citate le fonti sulle quali è basata questa affermazione. Dallo spoglio dellanotevole documentazione d’archivio riguardante la Disciplina dei Santi Nazaro e Cel-so sono emersi invece indizi a favore di una destinazione a sala di riunioni dell’aulasuperiore.

55 Per l’indicazione delle opere datate, v. F. FRANGI, Biografia [di Paolo da Cay-lina il Giovane] in M. GREGORI (a cura di), Pittura in alto Lario e in Valtellina dal-l’Alto Medioevo al Settecento, Milano, 1995, p. 259. Paolo da Caylina il Giovane, natointorno al 1485 e morto dopo il 1566, è un pittore documentato attivo in un ampioarco temporale: non credo però praticabile il tentativo di riempire questo tempo lungocon una distribuzione a pioggia delle diverse opere rimaste.

56 I dipinti murali di Paolo da Caylina il Giovane attualmente visibili sono sullavolta del presbiterio (partiture decorative e quattro specchiature monocrome finto-bronzo con Angioletti musicanti), sull’arco trionfale (Dio fra l’Angelo annunciante e laMadonna annunciata, un Profeta e una Sibilla), nella cappella di Santa FrancescaRomana (Madonna e San Giuseppe in adorazione del Bambino) e nella cappella diSan Leonardo (i santi Lorenzo, Benedetto, Luigi e Stefano). Dietro le due statue instucco poste sulla facciata dell’arcone sono visibili i frammenti di due figure svestite, asinistra un flagellato, a destra un piede stigmatizzato: forse due rappresentazioni dellapassione di Cristo, alla quale sembra alludere l’iscrizione posta sotto la figura a sini-stra. I dipinti di Paolo da Caylina il Giovane rivestono probabilmente buona partedell’edificio, in quanto continuano sotto gli stucchi delle cappelle e sotto i dipinti mu-rali delle lunette del presbiterio.

57 Anche se non è un fatto determinante, va comunque segnalato che a Monzam-bano esisteva un convento benedettino che può aver fatto da tramite con la commis-sione del 1527 delle suore benedettine bresciane di Santa Giulia.

58 Bisogna osservare che i dipinti murali di Sant’Antonio a Bormio erano attri-buiti da Francesco Paglia ad Antonio Canclini, e Paglia riferiva allo stesso autore an-che i dipinti murali oggi perduti di San Vitale a Bormio e di San Martino a Pedenosso:F. PAGLIA, Il giardino della pittura, II, Brescia, Biblioteca Queriniana, ms. A.IV.9(1692-1694), ed. a cura di C. BOSELLI, Supplemento ai “Commentari dell’Ateneo diBrescia per l’anno 1958”, Brescia, 1958, pp. 136-137. Per F. FRANGI, Scheda in M.GREGORI (a cura di), Pittura in Alto Lario... cit., p. 259. Paglia può avere confuso,per assonanza, Caylina con Canclini: il che può fare pensare ad un circuito di com-missioni più vasto, e quindi a una presenza stabile di Paolo da Caylina il Giovane in

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Valtellina. Va comunque osservato che esiste un pittore di nome Antonio Canclini, do-cumentato attivo proprio a Bormio ma alla fine del Cinquecento.

59 C. BOSELLI, Il Moretto da Brescia di G. Gombosi, in “Arte Veneta”, 1947, p.28, le data intorno al 1518; G. PANAZZA, La pittura nei secoli XV e XVI, in Storia diBrescia, II, Brescia, 1963, p. 990 le colloca fra il terzo e il quarto decennio del Cin-quecento (accostandole però al ciclo di Edolo che data 1530-32); la stessa datazione èproposta da BEGNI REDONA, La collegiata... cit., p. 101. Per F. FRANGI, Biografia[di Paolo da Caylina il Giovane] in M. GREGORI (a cura di), Pittura del Cinquecentoa Brescia, Milano, 1986, p. 187, si datano dopo la pala col Martirio di Santa Cateri-na di San Giorgio a Grosio del 1534; più oltre (p. 188), nella scheda relativa aglistrappi del Museum of Fine Arts di Boston con scene della Passione, lo stesso autorepone la cronologia delle due ante in prossimità di questo ciclo, che data “alle sogliedegli anni Quaranta”.

60 FRANGI, Scheda in Pittura del Cinquecento... cit., p. 188, come già accennatonella nota precedente, li mette invece in relazione con le ante e li data allo scadere delquarto decennio, ipotizzando una provenienza da San Cassiano a Brescia insieme aglistrappi di dimensioni simili depositati nella Pinacoteca di Brescia. Non conosco glistrappi di Boston dal vero: a giudicare dalle fotografie mi sembrano però un poco piùtardi rispetto alla proposta di Francesco Frangi. A. BAYER, Un documento su Paoloda Caylina il Giovane e la Disciplina di San Faustino Maggiore, in “Museo Brescia-no”, 5, 1995, pp. 113-117, osserva però che l’episodio con Cristo davanti a Caifa èpresente nei due gruppi, e propone una provenienza dalla Disciplina di San Faustinocollegandoli, ma solo ipoteticamente, ai documenti del 1562 che pubblica. La Bayerriporta anche una comunicazione orale di Valerio Guazzoni, che sospetta invece unaloro provenienza dalla chiesa delle Consolazioni.

61 Espongo i dati che provano l’originalità di questo completamento a tratteggivelati grigi in Finiture murali... cit., 1995, pp. 47-62, in particolare pp. 47-50. I trat-teggi oggi sono conservati solo sull’Adorazione di Cristo Eucaristico e sul Sant’Antoniodel pilastro attiguo. Vale la pena di ricordare che nel 1989 il ciclo di Paolo da Caylinail Giovane era tutto nell’identico stato di conservazione, e che l’attuale differenzacoincide con un radicale cambiamento dei metodi di intevento legato allo stacco fra ilprimo e il secondo lotto dei restauri.

62 La proposta relativa a questa ricostruzione del complesso è in V. GUAZZONI,Moretto. Il tema sacro, Brescia, 1981, p. 34, n. 11.

63 Per la datazione di questo ciclo romaniniano, v. sopra n. 36.64 CARBONI, Le pitture... cit., 1760, p. 60.65 FÈ D’OSTIANI, Storia... cit., 1895, p. 40.66 Sui gonfaloni sacri, v. in generale J. BRAUN, Handbuch der paramentik, Fri-

burg, 1912, in part. pp. 271-275.67 È il caso dei frammenti di Francesco Guardi del Seminario vescovile di Vittorio

Veneto: cfr. F. VALCANOVER, Un nuovo stendardo di Francesco Guardi, in Studi diStoria dell’Arte in onore di Antonio Morassi, Venezia, 1971, pp. 317-319; in questoesempio la seta è lavorata a motivi floreali: si tratta quindi molto probabilmente diuna seta tardocinquecentesca di recupero. Per un caso bresciano precedente, v. G.SCICOLONE, Restauro del supporto senza ricorso alla foderatura: l’impiego di unadesivo poliuretanico, in “Kermes”, 8, 1990, pp. 3-9.

68 Ad esempio il gonfalone di Prato del 1746: M. PARLATORE MELEGA, Lostendardo di Santa Caterina de’ Ricci, in “OPD Restauro”, 3, 1993, pp. 62-64. Cfr.inoltre: M.G. ANTONELLI TRENTI (a cura di), Lo stendardo della canonizzazionedi Santa Caterina de’ Ricci, Firenze, 1992.

69 Il consiglio relativo all’uso di tempere coprenti in previsione della verniciatura

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dei gonfaloni è già nel Libro dell’arte di Cennino di Andrea Cennini (cap. CLXII):“colorendo, vuole essere molte volte campeggiato i colori, assai più che in tavola, per-chè la tela non ha corpo come l’ancona, e nel vernicare poi dimostra non bene, quan-do è campeggiata male”. La stessa fonte ricorda anche la necessità di verniciare i gon-faloni processionali a fini protettivi: “convienti poi, perchè alcuna volta questi palii,che si fanno alle chiese, sono portati di fuora, piovendo; e per tanto bisogna provedered’avere una vernice ben chiara”.

70 Particolarmente studiata è la commissione di gonfaloni dell’area umbra, segui-ta alla costituzione della prima compagnia dei disciplini a Perugia nel 1260. In parti-colare si vedano: W. BOMBE, Gonfaloni umbri, in “Augusta Perusia”, 1907, II, pp. 1-7; U. GNOLI, I gonfaloni, in L’arte umbra alla mostra di Perugia, Bergamo, 1908,pp. 45-47; F. ZERI, Reintegrazione di uno stendardo di Spinello Aretino nel Metropo-litan Museum, in “Paragone”, IX, 105, 1958; F. SANTI, Gonfaloni umbri del rinasci-mento, Perugia, 1976.

71 È il caso della più antica confraternita romana, descritto da L. RUGGERI,L’arciconfraternita del gonfalone, Roma, 1866; A. VANNUGLI, C. TILIACOS e C.MASTRANTONIO, Oratorio del Gonfalone, in Oltre Raffaello. Aspetti della cultura fi-gurativa del Cinquecento romano, Roma, 1984, pp. 143-171.

72 La chiesa parrocchiale di Bondo, inaugurata il 30 gennaio 1250 e dedicata asan Martino, è riformata per opera di Pier Paolo Vergerio il 15 agosto 1552. La predi-ca di Guido Zonca è dunque scritta per questa occasione. Vergerio, già vescovo di Ca-podistria, aderisce alla riforma e si stabilisce in Valtellina: sostiene il movimento ico-noclasta. Ciò spiega il tema scelto da Guido Zonca per la propria predica, e il fattoche in questa occasione, la chiesa è trasformata: l’altare viene rimosso e i dipinti mu-rali sono coperti. La chiesa è stata interessata da trasformazioni architettoniche nelSeicento. È tutt’ora evangelica. Nel corso di un restauro degli anni Sessanta sono statirimessi in luce i dipinti murali databili fra la fine del XV e il principio del XVI sec.coperti nel 1552 e sopravvissuti alle trasformazioni seicentesche (Cristo pantocrator eevangelisti nell’abside, Ultima cena sulla parete destra, San Cristoforo e altri santisulla facciata esterna).

73 Il testo di G. ZONCA, Delle statue et imagini, è stato pubblicato nel 1553 sen-za l’indicazione del luogo e dello stampatore; è un rarissimo libello di 14 pp., per ilquale si veda l’edizione in P. BAROCCHI, Scritti d’arte del Cinquecento. V, Scultura,Milano-Napoli, 1973, vol. II, pp. 1201-1210. Lo scritto, datato “Di Casaccia tra’ Si-gnori Grisoni, a 15 di settembre 1552”, è dedicato a “M. Odorico Teofanio da Capodi-stria”.

74 ZONCA, Delle statue... cit., ed. BAROCCHI, p. 1207.75 Per l’importanza dell’attività processionale e il coinvolgimento delle confrater-

nite, vedi R.C. TEXLER, Pubblic life in Renaissance Florence, New York - London,1980. Per gli apparati e le organizzazioni delle processioni cinquecentesche in Lom-bardia: G.B. SANNAZZARO, Per San Carlo a Milano: note sulle processioni con par-ticolare riferimento al Duomo, in San Carlo Borromeo in Italia (Studi offerti a CarloMarcora), Brindisi, s.d.. Per l’area bresciana, vedi le indicazioni in G. FERRI PICCA-LUGA, Tra liturgia e teatralità. Consuetudini sociali ed immagini dal Medioevo allaControriforma, in Il confine del Nord, Boario Terme, 1989, pp. 137-164.

76 A Roma, ad esempio, Paolo III vieta nel 1539 la rappresentazione della passio-ne dopo che i partecipanti avevano tentato di linciare gli attori che impersonificavanoi carnefici di Cristo. Il divieto è ricordato in VANNUGLI, TILIACOS e MASTRANTO-NIO, Oratorio... cit., in Oltre Raffaello... cit., p. 146. Pio VI, nel 561, conferma il di-vieto: segno che esistevano pressioni a favore della ripresa della tradizionale rappre-sentazione. Nel Bresciano, le relazioni dei rettori di Venezia documentano le parteci-

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pazioni dei disciplini alle processioni e alle sacre rappresentazioni cruente organizzatedal gesuita Paolo Segneri negli anni Settanta del Seicento: v. A.M. CASOLI, Le missio-ni dei Padri P. Segneri e G.P. Piamonti nella diocesi di Brescia, in “Brixia Sacra”, I,1910, pp. 9-18, 49-58, 97-107, 300-313. Sulle relazioni fra contraternite disciplinatee sacre rappresentazioni, v. V. DE BARTOLOMAEIS, Laudi drammatiche e rappre-sentazioni sacre, Firenze, 1943; per il Bresciano: P. GUERRINI, La letteratura dram-matica della Passione, in “Memorie storiche della diocesi di Brescia”, V, 1934, pp.29-34 e 46-54 e A. CISTELLINI, Un laudario camuno, in “Commentari dell’Ateneodi Brescia per l’anno 1978”.

77 Su Pietro Giacomo Barucco (Rovato ? 1582 - ancora vivente nel 1630) racco-glie alcune notizie B. PASSAMANI, Pittura dei secoli XVII-XVIII in Storia di Brescia,III, Milano, 1964, pp. 603-604, n. 2. Fra le opere: Brescia, chiesa di Sant’Afra, Infer-no; Brescia, chiesa di Santa Maria del Carmine, Cristo deposto adorato dai santi An-gelo carmelitano e Carlo Borromeo e dipinti murali delle volte e navate laterali conSibille, profeti e apostoli; Marcheno Val Trompia, chiesa parrocchiale, Madonna colBambino fra le sante Lucia, Caterina e Apollonia (firmata); Quinzano d’Oglio, anticapieve, Annunciazione (firmata e datata 1609).

78 Il presunto debito del 1666 dei disciplini nei confronti del Sorisene è citato inV. VOLTA, Le vicende edilizie della collegiata insigne dei Santi Nazaro e Celso, in Lacollegiata... cit., p. 48, che lo suppone parte di un pagamento per decorazioni perduteeseguite nella Disciplina. Per la corretta trascrizione e interpretazione del documento,che riguarda invece una questione di eredità, v. quanto pubblica Valeria Leoni nellaprima parte di questo volume.

79 CARBONI, Le pitture... cit., 1760, p. 60. La notizia relativa alla presenza didipinti del Rama è ripresa poi da FÈ D’OSTIANI, Storia... cit., 1895, p. 39.

80 PASSAMANI, Pittura... cit., in Storia di Brescia, pp. 608-609, n. 1. Notizia ri-presa in E.D.P. (E. DE PASCALE) Sorisene, Pietro Antonio, ad vocem, in La pitturain Italia. Il Seicento, Milano, 1989, p. 899.

81 G.A. AVEROLDO, Le scelte pitture di Brescia additate al forestiere, Brescia,1700, p. 261.

82 Barucco è attivo con Camillo Rama, Ottavio Amigoni, Tommaso Sandrini inimprese di grande decorazione murale fra il secondo e il terzo decennio del Seicentoprobabilmente guidate da Antonio Gandino, come i perduti i lavori di San Domenicoe, intorno al 1628, le volte di Santa Maria del Carmine (dove si tende ad assegnare alBarucco principalmente la decorazione delle volte della navatella sinistra).

83 Per queste associazioni operative, v. R.ST. (R. STRADIOTTI), Rama, Camillo,ad vocem, in La pittura... cit., p. 857.

84 Sui quadraturisti bresciani degli anni Venti del Seicento e su Tommaso Sandri-ni (attivo al fianco di Barucco e Rama) e su Ottavio Viviani, vedi D. BERTOLETTI,Quadraturisti bresciani del XVI e XVII secolo, Tesi di laurea, Brescia, Università Catto-lica, a.a. 1972-1973; V. GUAZZONI, La pittura del Seicento nei territori di Bergamoe di Brescia, in La pittura in Italia. Il Seicento, Milano, 1989, I, p. 112; E.D.P. (E.DE PASCALE) Sandrini, Tommaso, e Viviani, Ottavio, ad voces, in La pittura... cit.,p. 878 e p. 919.

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Girolamo Romanino, Crocefissione. Brescia, ex Disciplina dei Santi Nazaro e Celso. Parete N dell’aula al piano terra, originariamente posta dietro l’altare.

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2a Romanino, Crocefissione. Ripresa a luce radente del capitello di sinistra.

2b Romanino, Crocefissione. Ripresa a luce radente della spalla del soldato sulla scala.

3a Romanino, Crocefissione. Dettaglio dellaporzione destra, dove una caduta di intonaco mette allo scoperto le pennellate della sinopia sull’arriccio.

3b Romanino, Madonna col Bambino fra3c i Santi Rocco e Sebastiano;

San Gerolamo, San Rocco mendicante che riceve il pane e San Filastrio. Villongo San Filastrio, cappella di San Rocco. Particolare (3a) e dettaglio delle pennellate (3b) della sinopia sull’arriccio.

2a

2b

3b

3c3a

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4a Romanino, Crocefissione. 4b Frammento con il piede

del ladrone della porzione sinistra, fotografato a luce diffusa (4a) e radente (4b).

4a

4b

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5b

5a Romanino, Crocefissione. Dettagli con le5b finiture a tratteggio degli incarnati

del ladrone della porzione sinistra (5a) e del ladrone della porzione destra (5b).

5a

5c

7 Romanino, Madonna col Bambino fra i Santi Rocco e Sebastiano; San Gerolamo, San Rocco mendicante che riceve il pane e San Filastrio. Villongo San Filastrio, già cappella di San Rocco. Particolare del dipinto strappato con la testa del santo vescovo.

7

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8b8a

8a, 8b, 8c, 8dFiniture murali del Romanino prima (8a) e dopo la fase della seconda metà degli anni Venti (8b, c, d). Brescia, San Francesco, dettaglio di una lunetta del coro (8a); Brescia, Pinacoteca (già Rodengo Saiano,abbazia olivetana, probabile refettorio dei forestieri), dettaglio della Cena in Emmaus (8b);Trento, Castello del Buonconsiglio, loggia:dettagli della suonatrice di liuto nella lunetta con il Concerto con gli strumenti a corda (8c) e di un nudo virile della volta(8d).

8c

8d

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11 Romanino, San Pancrazio a cavallo.Montichiari, San Pancrazio.Particolare del frammento col muso del cavallo.

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13b13a13a Paolo da Caylina il Giovane, 13b ciclo con Sibille e profeti.

Brescia, ex Disciplina dei Santi Nazaroe Celso. Aula al primo piano. Riprese a luce radente degli arricci sulle pareti W (13a) e E (13b). 14

14 Romanino, Crocefissione.Ripresa a luce radente della parte alta della porzione di destra, dove una caduta di intonaco ha messo in vista il trattamento di arricciatura.

15 Paolo da Caylina il Giovane, ciclo con Sibille e profeti. Ripresa a luce radente di un particolare finto-architettonicodella parete N.

15

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16a, 16b, 16c, 16dPaolo da Caylina il Giovane, Provaglio d’Iseo, monastero di San Pietro in Lamosa, prima cappella sinistra. Lunette coi profeti Geremia (16a) e Giona (16b). Confronto fra un dettaglio di una sibilla (16c) e un frammento sulla parete N del ciclo con Sibille e profetidell’ex Disciplina (16d).

16a 16b

16c 16d

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17a, 17bPaolo da Caylina il Giovane,ciclo con Sibille e profeti. Frammenti di zoccolatura decorata della parete W in prossimità dell’angolo NW.

17a 17b

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19 Cortile a N dell’ex Disciplina.Resti della decorazione dell’originaria scala di accesso all’aula superiore.

20 Paolo da Caylina il Giovane, ciclo con Sibille e profeti. Ripresa a luce radente del frammento sulla parete E col profeta Osea.

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21 Paolo da Caylina il Giovane, ciclo con Sibille e profeti. Frammento con profeta sulla parete W.

22 Paolo da Caylina il Giovane, Olfino di Monzambano, chiesa dellaTrinità. Particolare del San Lorenzonel ciclo realizzato nella cappella attualmente dedicata a San Leonardo.

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23a, b, c, dPratiche di finitura del dipinto murale di Paolo da Caylina il Giovane: Provaglio d’Iseo, monastero di San Pietro in Lamosa(23a); ex Disciplina dei Santi Nazaro e Celso, frammenti sulla parete N(23b), W (23c) e macrofotografia del volto del profeta Osea della parete E (23d).

23d

23c

23b

23a

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24a

24b

24a, bPaolo da Caylina il Giovane, anta con la Flagellazione dei Santi Nazaro e Celso. Brescia, collegiata dei SantiNazaro e Celso. Particolare della testa di un santo (24a) e dettaglio del tratteggio di finitura di un piede(24b).

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Quaderni dell’AAB 1La Disciplina dei Santi Nazaro e Celsonel cinquecentesimo anniversario della fondazione

Enti promotori:Banca San Paolo di Brescia, Collegiata dei Santi Nazaro e Celso,Associazione artisti bresciani (AAB)

Testi:Valeria Leoni e Vincenzo Gheroldi

Progetto grafico:Martino Gerevini

Coordinamento editoriale:Vasco Frati

Referenze fotografiche:Mario Brogiolo; Fratelli Alinari; Vincenzo Gheroldi; Alberto Luisa; Piera Tabaglio, dell’Archivio fotografico dei civici Musei d’arte e storia di Brescia

Rapuzzi - Archivio Fotografico Bresciano

Segreteria:Francesca Manola

Fotocomposizione, impianti e stampa:Arti Grafiche Apollonio, Brescia

Di questo “quaderno” sono state stampate 700 copie

Brescia, marzo 1998

3 Vasco Frati, Presentazione5 Valeria Leoni, La storia della Disciplina

25 Appendice. Documenti (a cura di Valeria Leoni)

33 Vincenzo Gheroldi, Le scelte artistiche dei disciplini89 Documentazione fotografica

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