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LA DILIGENZA COME CRITERIO DI RESPONSABILITÀ DELL’OBBLIGATO: EVOLUZIONE STORICA DELLA REGOLA GIURIDICA - GLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ - Annalisa Stirpe [working paper dicembre 2008] © Luiss Guido Carli. La riproduzione è autorizzata con indicazione della fonte o come altrimenti specificato. Qualora sia richiesta un’autorizzazione preliminare per la riproduzione o l’impiego di informazioni testuali e multimediali, tale autorizzazione annulla e sostituisce quella generale di cui sopra, indicando esplicitamente ogni altra restrizione Dipartimento di Scienze giuridiche CERADI Centro di ricerca per il diritto d’impresa

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LA DILIGENZA COME CRITERIO DIRESPONSABILITÀ DELL’OBBLIGATO:

EVOLUZIONE STORICA DELLA REGOLAGIURIDICA

- GLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ -

Annalisa Stirpe

[working paper – dicembre 2008]

© Luiss Guido Carli. La riproduzione è autorizzata con indicazione della fonte ocome altrimenti specificato. Qualora sia richiesta un’autorizzazione preliminare per lariproduzione o l’impiego di informazioni testuali e multimediali, tale autorizzazione annulla esostituisce quella generale di cui sopra, indicando esplicitamente ogni altra restrizione

Dipartimento di Scienze giuridiche

CERADI – Centro di ricerca per il diritto d’impresa

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INDICE

PREMESSA 3

CAPITOLO I - DILIGENZA COME CRITERIO DI

RESPONSABILITÀ DELL’OBBLIGATO:

L’EVOLUZIONE STORICA ED IL SENSO ATTUALE

DELL’ESPRESSIONE 7

1.- RILEVANZA DEL MOMENTO NEGATIVO E CORRELAZIONE

CON LA NOZIONE DI COLPA.- 7

2.- ANTICHI SISTEMI SUI GRADI DI COLPA E DILIGENZA.- 10

3.- CODIFICAZIONE NAPOLEONICA E INFLUENZE SUL NOSTRO

LEGISLATORE.- 15

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CAPITOLO II - DILIGENZA E GESTIONE: LA

RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI

SOCIETÀ DI CAPITALI 35

1.- INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE.- 35

2.- CASISTICA DI CONDANNE PER NEGLIGENZA.- 42

3.- RIFORMA DELLE SOCIETÀ E NUOVA FORMULAZIONE DEL

DOVERE DI DILIGENZA.- 55

CONCLUSIONI 58

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PREMESSA

Diligenza è anzitutto vocabolo di uso comune, il cuivalore semantico si presenta in intima correlazione con il sensoetimologico, conservandosi pressoché immutato nel tempo enegli impieghi.

Da dis e lego, diligenza indica discernimento, sceltaconsapevole, meditata, scrupolosa, attenta; evoca l’attivitàsolerte di chi tende ad un risultato, la tensione verso il buon fine,la devozione nell’agire.

Studente diligente, lavoratore diligente, professionistadiligente, mandatario diligente, amministratore diligente… sonotutte espressioni che denotano realtà diverse, condotte diverse, eche tuttavia richiamano uno stesso modus agendi, quello, usandola definizione del dizionario Battaglia, della “applicazioneassidua, attenta, sollecita; cura vigile e amorosa (nell’eserciziodi un lavoro, nello svolgimento di una mansione)”.

Dal linguaggio comune, il termine diligenza è stato tostoimpiegato nel linguaggio tecnico-giuridico, senza soluzione dicontinuità e senza stravolgerne il senso.

Già nelle fonti giuridiche classiche, infatti, diligenzadesignava “l’oculata, attenta e previdente condotta di chi svolgeuna funzione gestoria nell’interesse altrui e di chi deveadempiere un’obbligazione”1.

Ai nostri giorni, e sempre ricorrendo alle pagine deldizionario Battaglia, diligenza nel diritto è “osservanza dellenorme tecniche e di correttezza sociale nel tenere un datocomportamento giuridicamente rilevante, e particolarmentenell’eseguire una data prestazione”. La definizione è analoga in

1 Così Cancelli, voce Diligenza (dir. rom.), in Enciclopedia del Diritto,vol. XII , Milano, 1964, 517.

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altri dizionari e perfettamente rispondente a quelle cheesprimono lo stesso concetto nelle altre lingue2.

A ben guardare però, il legislatore non indica quale sia ladefinizione a fini giuridici di diligenza: la circostanza è “dainterpretare nel senso che tale nozione debba essere colta, in unasua prima accezione, nel mondo extragiuridico, in relazione alcomun modo di vedere e di sentire in un determinato ambientesociale e in un determinato momento storico”3.

Tanto nel mondo comune che in quello propriamentegiuridico, dunque, “la diligenza costituisce una qualificazione diun comportamento umano; questa qualificazione opera nel sensodella conformazione del comportamento ad un modello ispiratoalla cura, alla solerzia, alla cautela, ad un complesso, quindi, dicaratteristiche spiegate in modo che il comportamento umanopossa essere valutato positivamente, in quanto adeguato al fineche esso deve raggiungere”4.

Poste queste generali premesse, è di tutta evidenza comela diligenza rappresenti un concetto centrale della scienzagiuridica, in quanto inerente alla stessa determinazione dellacondotta rilevante per il diritto. Essa è nozione cardine dellateoria delle obbligazioni, soprattutto in assenza di condottepredeterminate ed in presenza di risultati aleatori.

Agire diligentemente, infatti, è comportarsi secondoquanto dovuto, è il contenuto stesso dell’adempimento. Si

2 Per un confronto, si consideri, ad esempio, la definizione di“diligence” riportata in The Oxford English Dictionary: “Constant and earnesteffort to accomplish what is undertaken; persistent application and endeavour;industry, assiduità. […] Law. The attention and care due from a person in agiven situation; spec. that incumbent upon the parties to a contract”. Dello stessotenore risulta essere la definizione di “diligence” del Petit Larousse: “Soinattentif, minutie. Prompitude dans l’execution; empressement, zele”; nonchéquella che, per il diritto, troviamo nel Vocabulaire Juridique: “soin apporté aveccélérité et efficacité, à l’accomplissement d’une tache”.

3 Così Ravazzoni, voce Diligenza, in Enciclopedia Giuridica Treccani,vol. VII, Roma, 1988, 1.

4 Così Ravazzoni, op. cit., 1.

5

considerino le seguenti definizioni della dottrina: “Il dovered’usare diligenza nell’adempimento dell’obbligazione è undovere di tenere ai riguardi di ciò che all’adempimento èrelativo una determinata condotta”5; “La diligenza consistenell’adeguato impiego delle energie e dei mezzi utili allarealizzazione di un determinato fine”6.

Diligenza per il diritto è dunque espressione elastica checonsente di “individuare un metro di valutazione della condotta,rapportato ad una varietà di situazioni di fatto”7. Pertanto, “il

5 Così Piola, voce Obbligazioni - Diritto Civile, in Il Digesto Italiano,vol. ?, Torino, 1903-1906, 741.

6 Così Bianca, voce Negligenza (diritto privato), in Nuovissimo DigestoItaliano, vol. XI, Torino, 1965, 191.

7 Così Rodotà, voce Diligenza (dir. civ.), in Enciclopedia del Diritto,vol. XII, Milano, 1964, 540.

6

criterio (legale) della diligenza non esprime un parametro rigido[…] ma uno standard di comportamento tipico-sociale(rapportato alle diverse categorie di rapporti)”8.

La diligenza nel fenomeno giuridico è essenzialmente ilparametro di commisurazione dell’adempimento dell’obbligatoe, nello stesso tempo, esprime il criterio di valutazione dellerelative responsabilità9.

8 Così Di Majo, Dell’adempimento in generale, in Commentario del codicecivile Scialoja-Branca, a cura di Galgano, Libro quarto, Delle Obbligazioni,Bologna-Roma, 1998.

9 È utile segnalare sin da ora come il ruolo della diligenza, qualestrumento per la commisurazione dell’adempimento e conseguentemente perl’individuazione delle relative responsabilità, sia da tempo oggetto di un accesodibattito insorto tra i fautori delle teorie c.d. soggettivistiche ed oggettivistichedell’inadempimento. “Gli uni ritengono che fondamento della responsabilità deldebitore sia «l’inadempimento colpevole» con la possibilità per il debitore diliberarsi dalla responsabilità anche in presenza di una impossibilità meramentesoggettiva di adempiere o di una difficoltà di adempimento non superabile conla diligenza media. Gli altri ritengono che l’inadempimento tout court costituisce ilsolo fondamento oggettivo della responsabilità senza che il debitore possaliberarsi provando di non aver commesso alcuna colpa nel senso della colpa-negligenza”. Così Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 2005, p.15, in nota. Il discorso ad ogni modo sarà ripreso ed approfondito più avanti.

7

CAPITOLO I - DILIGENZA COME CRITERIO DI

RESPONSABILITÀ DELL’OBBLIGATO: L’EVOLUZIONE

STORICA ED IL SENSO ATTUALE DELL’ESPRESSIONE

1.- Rilevanza del momento negativo e correlazione conla nozione di colpa.- Il riferimento al fenomeno obbligatorio, edin tale contesto allo sforzo che il debitore deve compiere peradempiere correttamente la propria obbligazione, rappresenta,nella tradizione giuridica, l’applicazione più evidente e rilevantedel concetto di diligenza10.

La diligenza, intesa come applicazione di sforzoadeguato al fine, partecipa nel campo delle obbligazioni a duediversi, sebbene in certo modo connessi, giudizi sulcomportamento del debitore. Il primo ha riguardo alladeterminazione del normale contenuto di tale comportamento, ea tal fine la diligenza si pone come concorrente criteriod’individuazione dell’esatta prestazione dovuta. Il secondo,logicamente dipendente dal primo, si propone di valutare lacondotta dell’obbligato in relazione al risultato dovuto ed aglieventuali impedimenti incontrati, ed in esso la diligenza simanifesta essenzialmente come criterio di responsabilità11.Diligenza, dunque, è nozione da sempre strettamente connessacon quella di adempimento, ed assume una sua peculiarefunzionalità giuridica proprio con riferimento all’individuazionedell’inadempimento e delle relative responsabilità.

La diligenza, infatti, è modus agendi del buon debitorequalunque sia la prestazione dovuta, ed il suo carattere, più omeno prescrittivo, varia con il variare del tipo di obbligazionededotta nel titolo. Essa, comunque, rileva per il dirittoessenzialmente come mancanza di diligenza, negligenza. È

10 Cfr. Ravazzoni, voce Diligenza, op. cit.

11 Cfr. Bianca, voce Negligenza (Diritto Privato), op. cit.

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infatti proprio il momento negativo e patologico della nozionead interessare il fenomeno giuridico, poiché è solo in talemomento che si rende azionabile la regola di condotta che ladiligenza esprime con riferimento all’adempimento diqualsivoglia obbligazione.

La diligenza, dunque, nell’esprimere quell’insieme dicure e cautele che il debitore è tenuto a prestarenell’adempimento dell’obbligazione, è giuridicamente criterio dicommisurazione del contegno dovuto ai fini della valutazione dieventuali responsabilità. Essa rappresenta, comunque, unparametro elastico, destinato per sua natura ad adattarsi al tipo dirisultato richiesto, tenuto conto di tutte le circostanze del casoconcreto.

Da queste premesse si evince come la nozione didiligenza sia naturalmente e tradizionalmente connessa alconcetto di colpa, così da non destare sorpresa alcuna laconsiderazione che proprio la colpa, quantomeno inun’accezione lata ed atecnica, sia pacificamente definita comemancanza di diligenza e venga pertanto identificata con lanegligenza. La colpa, infatti, “si precisa più propriamente - nelsuo significato più comune - come omissione di diligenza chepregiudica un altrui interesse giuridicamente tutelato”. Essa“inserisce in tal modo la negligenza nel tema dell’illecito,giustificando la responsabilità del soggetto sul fondamento delmancato impiego dello sforzo dovuto che avrebbe evitato l’altruidanno”12.

Gli autori sono concordi nel ritenere che la colpa, qualeelemento soggettivo dell’illecito, comporti sempre un aspettomanchevole, un difetto della condotta concreta rispetto ad unmodello di condotta astratta, imposta da una regola legale o nonlegale13. È appunto questo difetto che giustifica un eventualeaddebito di responsabilità a carico del “colpevole”, ed esso

12 Così Bianca, voce Negligenza (Diritto Privato), op. cit., 196.

13 Cfr. Forchielli, voce Colpa I (Diritto Civile), in EnciclopediaGiuridica Treccani, vol. VI, Roma, 1988.

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viene concordemente individuato nella deviazione dellacondotta del soggetto da ciò che è ragionevole attendersi allastregua del relativo modulo di diligenza. Così, mentre ladiligenza viene a riguardare più propriamente il momentodeontologico della condotta, la colpa si riferisce specificamenteal momento negativo, sanzionatorio14.

Autorevole dottrina15 ci avverte di come sia in colpa equindi incorra in responsabilità “chi poteva prevenire l’eventocon la diligenza occorrente”. In tale prospettiva, l’unicaveramente rilevante per il diritto, la diligenza viene inconsiderazione quale oggetto di una valutazione ed èinscindibile da essa. Pertanto, diligenza in sé è formula vuotache necessita inevitabilmente di una determinazione riferita adun certo ambito ed alle circostanze del caso. Essa interessa ildiritto esclusivamente dal punto di vista della prevedibilità edevitabilità dell’evento pregiudizievole, assumendo rilevanza inrelazione alla colpa che ne rappresenta sostanzialmente la formadi qualificazione giuridica.

Sebbene la diligenza rappresenti genericamente l’aspettopositivo e parallelo della colpa, e questa tenda di conseguenzaad identificarsi con la negligenza, non sembra comunquecorretto ritenere, in un’ottica più propriamente tecnico-scientifica, che le due nozioni si sovrappongano senza residui,rappresentando identica cosa su piani antitetici. Poiché con ogniprobabilità l’abbinamento dei due concetti risulta storicamentevoluto, è necessario comprenderne la specifica portata, pur nellapiena validità delle conclusioni generali sinora avanzate. Indottrina si è autorevolmente sostenuto che plausibileinterpretazione sia quella che vuole ricompreso nel binomiocolpa-diligenza ogni possibile forma di condottadell’obbligato16. La colpa infatti, in un’accezione più restrittiva,rappresenterebbe termine che esprime una condotta attiva,

14 Cfr. Cancelli, voce Diligenza (dir. rom.), op. cit.

15 Così Maiorca, voce Colpa civile (teoria generale), in Enciclopedia delDiritto, vol. VII, Milano,1960, 575.

16 Così Cancelli, voce Diligenza (dir. rom.), op. cit, 525-526.

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cosicché rispondere di diligenza, oltre che di colpa, servirebbepropriamente “ad includere, nella imputazione, anche lacondotta passiva, l’omissione di un atto opportuno a prevenire ildanno lamentato”. Dunque, rispondere di diligenza “non si puòaltrimenti che per aver omesso l’azione che essa include”;mentre rispondere di colpa “vale piuttosto ad indicare l’addebitodi un’azione, con eventuale omissione delle necessarie norme diprudenza e di accortezza”.

La diligenza, in conclusione, rileva giuridicamente comepropria assenza, rappresentando il criterio per l’individuazionedella colpa in senso generico. Essa dunque, con particolareriferimento al fenomeno obbligatorio, è, in positivo, sintomod’adempimento e, in negativo, individuazione e valutazionedella responsabilità, concorrendo per tale ultimo aspettoall’attuazione dell’ordinamento giuridico.

2.- Antichi sistemi sui gradi di colpa e diligenza.- Tra glistorici del diritto, si riconosce generalmente che le primeteorizzazioni sulla nozione di colpa, intesa quale omissione didiligenza, siano riconducibili ai maestri postclassici delle scuoleorientali, prima, ed ai compilatori giustinianei, poi. Se infattinon si nega che i classici usassero del concetto di colpa,quantomeno nel senso di riconduzione dell’illecito nella sfera dicontrollo dell’obbligato, è soprattutto nel periodo postclassico egiustinianeo che si riconosce importanza a prospettivesoggettivistiche della responsabilità del debitore, nello spirito diconcettualizzazione e sistematizzazione che caratterizza questafase del diritto17.

Introdotta nella valutazione della condotta dell’obbligatola prospettiva psicologica e soggettiva della colpa, definita in

17 Su questo, cfr. Cancelli, voce Diligenza (dir. rom.), op. cit;Talamanca, voce Colpa civile (storia), in Enciclopedia del Diritto, vol. VII,Milano, 1960.

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funzione della diligenza, ne derivava quanto all’imputabilità unagraduatoria negli atteggiamenti sanzionabili.

È soprattutto agli interpreti medievali del diritto romano,comunque, che si deve l’estremizzazione e la riconduzione asistema della tradizionale impostazione che distingue la colpa intre gradi, cui corrispondono altrettante graduazioni di diligenza.Secondo questa ricostruzione, infatti, al dolus, inteso comevolontarietà della condotta nociva, segue la culpa lata, cuicorrisponde una nimia negligentia, consistente nella negligenzamassima di quel debitore che omette le precauzioni più ovvie,non intendendo ciò che tutti intendono, la cui culpa è per ciòstesso proxima dolo. Alla culpa lata segue la culpa levis che sisostanzia nella mancanza della exacta diligentia o diligentiadiligentis, ossia nell’omissione di quelle cure e cautele usategeneralmente dalle persone ordinariamente diligenti. L’ultimostadio della colpa è rappresentato dalla culpa levissima, allaquale si contrappone la exactissima diligentia o diligentiadiligentissimi, che si individua in quelle omissioni proprie anchedegli uomini muniti di prudenza ordinaria, e dalle qualidifficilmente riescono a difendersi persino le personestraordinariamente attente e diligenti18.

Dunque, nel sistema elaborato dai giuristi dell’età dimezzo, riferibile soprattutto a quella scuola di sistemazione dellefonti romane che prende il nome di Glossa, tutti i soggettidell’ordinamento sono tenuti a comportarsi osservando unadiligenza minima, suggerita dalla stessa natura umana e perciòcomune a tutti gli uomini. Con specifico riferimento ai rapportiobbligatori, ciascun soggetto deve poi osservare generalmenteanche l’esatta diligenza, propria del bonus o diligens paterfamilias romano, ossia quella “diligenza commisurata a un tipoastratto di uomo, preciso metodico puntuale e memore dei propriimpegni”19. In relazione ad alcune specifiche obbligazioni,

18 Sulla ricostruzione dei gradi di colpa e diligenza nel senso del testo,cfr. in particolare, Giorgi, Effetti delle obbligazioni, in Teoria delle obbligazioni nel dirittomoderno italiano, vol. II, libro I, parte II, Firenze, 1895.

19 Così Cancelli, voce Diligenza (dir. rom.), op. cit., 523.

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infine, può accadere che il soggetto sia tenuto a prestare unadiligenza particolarmente qualificata, comportandosi secondo uneccezionale grado di accortezza e sollecitudine. La mancataadibizione del grado di diligenza di volta in volta prescrittodetermina, come suo specifico effetto, il prodursi “di un eventodannoso, prevedibile come conseguenza del comportamento deldebitore, ma da questo non previsto”, evento che genera unaresponsabilità di intensità diversa a seconda del grado di colpain cui è riconducibile l’omissione.

Sulla così delineata tripartizione dei gradi di colpa ediligenza si appuntano, in maniera per così dire trasversale, ilcriterio della utilitas partium contrahentium e quello delladiligentia quam suis, che attengono piuttosto al diverso, maconnesso, profilo della prestazione della colpa-diligenza.

Il criterio della utilitas rileva essenzialmente quando sitratta di stabilire se sussistano, ed in quali casi, rapportiobbligatori in cui una delle parti, nell’adempimento della propriaprestazione, possa dirsi tenuta all’osservanza della diligenzaminima, e non anche di quella che si è definita esatta. È proprioin applicazione di tale criterio, infatti, che si arriva a sostenere,nelle ricostruzioni dei glossatori, che il debitore, qualora nongoda di una remunerazione e non tragga dal contratto alcunautilità, debba prestare solamente la minima diligenza20.

Se per il criterio della utilitas non si pongono problemiquanto alla sua riconduzione a sistema, rappresentando, comerilevato, una regola per la determinazione dei limiti dellaresponsabilità contrattuale, maggiori incertezze comporta lasistematizzazione della diligentia quam suis.

La diligentia quam suis rappresenta “l’attitudine che ildebitore assume al riguardo delle cose proprie”21, ed in quantotale è configurabile con riferimento al contenuto di uno qualsiasi

20 Su questo, Bellomo, voce Diligenza (dir. interm.), in Enciclopedia delDiritto, vol. XII, Milano, 1964.

21 Così Talamanca, voce Colpa civile (storia), op. cit.,526.

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dei tre gradi di diligenza. Certo è che, nonostante in un primomomento si cerchi tra i giuristi medievali di considerare questaforma di diligenza come un metro a se stante, è prevalsa infinel’impostazione che la vede sussunta nella culpa lata,rendendola, inoltre, indice sintomatico di un possibilecomportamento doloso: la mancanza in rebus alienis delladiligentia quam suis “rivelava, dunque, presuntivamente unaresponsabilità per dolo; ma la rivelava soltanto, e non ladeterminava”22.

Nonostante buona parte dei commentatori successivi siattengano alla tripartizione dei glossatori, che dominaincontrastata nella pratica del diritto comune, numerosi sono itentativi volti a ripensare tale sistema, senza tuttavia produrrerisultati fruttuosi e duraturi23.

Le alternative proposte sono tutte riconducibili ad unaimpostazione più o meno comune, e si sostanziano nellaconfigurazione della colpa come generico elemento soggettivodell’illecito civile, in cui si ricomprende anche il dolo, e nellasua ripartizione in sei specie: culpa latissima (dolus), culpalatior (dolus praesumptus, rivelato dalla violazione delladiligentia quam suis), culpa lata (non intelligere quod omnesintelligunt), culpa levis (omissione della diligentia diligentis),culpa levior (sconosciuta alle fonti, si identificherebbe in generenella culpa levissima in faciendo), culpa levissima (omissionedella diligentia diligentissimi).

In pochissimi, tra i critici della tripartizione propostadalla Glossa, si discostano da questa tendenza comune. Iltentativo più serio ed efficace è rappresentato sicuramentedall’opera di Donello, che, respinta la ripartizione della colpa insei specie, la distingue esclusivamente in lata e levis. Secondotale ricostruzione la colpa è omne factum inconsultum, quonocetur alii iniuria. Essa si specifica, da un lato, nella culpalata, qualora manchi l’adibizione della diligentia quam suis

22 Così Bellomo, voce Diligenza (dir. interm.), op. cit., 535.

23 Su questo, Talamanca, voce Colpa civile (storia), op. cit.

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oppure di quella richiesta dalla communis homnium natura,dall’altro, nella culpa levis, qualora il comportamento deldebitore sia improntato alla imprudentia.

Il sistema dei glossatori, dunque, “per non breve seguitodi anni, regnò sicuro e nelle scuole e nel foro”24. Tale è lasituazione almeno fino alla metà del XVIII secolo, periodo incui si colloca la ferma difesa della tripartizione della colpa adopera di Pothier.

Pothier infatti, in accordo con la maggior parte degliantichi interpreti, distingueva tre gradi di colpa: la colpa grave(culpa lata), che presuppone nell’agente una negligenzaimperdonabile o una completa inettitudine, tanto da essereassimilata al dolo; la colpa lieve (culpa levis o levior), che èquella che non commette il diligens paterfamilias, uomo dotatodi quella diligenza media che corrisponde alla “cura ordinariache le persone prudenti usano nei loro affari”; la colpalievissima (culpa levissima), che è quella che non è ascrivibilead un uomo dotato di una diligenza eccezionale. Quantoall’utilità pratica della tripartizione, Pothier ci avverte di comenei contratti che abbiano ad oggetto soltanto l’utilità delcreditore, il debitore non risponde che della colpa grave; alcontrario, risponde della colpa lievissima nei contratti conclusisolo in vista del suo esclusivo interesse; infine, nei contrattionerosi per entrambe le parti, il debitore risponde della colpalieve.

È solo con il XIX secolo che si riesce a mettereseriamente in discussione l’impostazione tradizionale. Ilcontributo maggiormente significativo ed innovativo èrappresentato dalla ricostruzione di Hasse.

Con Hasse, infatti, si inaugura il sistema dei due gradidella colpa, anticipato da Donello, che vede la soppressionedella culpa levissima. La culpa è quindi lata o levis, e perentrambi i gradi si distingue tra culpa in concreto e culpa inabstracto. Considerate in abstracto, la culpa lata e la culpa levis

24 Così Giorgi, Effetti delle obbligazioni, op. cit., 28.

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non si discostano significativamente dalle definizioni che nedavano i glossatori. In concreto, invece, esse consistono, laprima, nel non impiegare la diligentia quam suis, la seconda, nelcommettere una “trascurataggine grave, avuto rispetto al modocomune di agire degli uomini; leggiera, avuta considerazionealle abitudini proprie del debitore”25. Correlativamente, anche ladiligenza si distingue in diligentia in abstracto (diligentiadiligentis) e diligentia in concreto (quam in suis rebus adhiberesolet). Con riferimento al vecchio criterio dell’utilitas, infine, sistabilisce che il debitore debba generalmente osservare,nell’adempimento della propria obbligazione, solo la diligentiain concreto, qualora non ritragga dall’obbligazione alcunautilità.

I sistemi sulla graduazione della colpa e della diligenzavengono respinti dai compilatori del codice civile francese del1804. Si afferma infatti che la divisione delle colpe sia “piùingegnosa che utile in pratica […]. La teoria per la quale sidividono le colpe in più classi, senza poterle determinare, puòsoltanto spargere una falsa luce e divenire materia di piùnumerose contestazioni”26.

3.- Codificazione napoleonica e influenze sul nostrolegislatore.- Nel dichiarato intento di abolire tanto il sistematradizionale sulla tripartizione della colpa quanto quello, piùrecente, della bipartizione27, il legislatore francese introduce nel

25 Così Giorgi, Effetti delle obbligazioni, op. cit., 29.

26 La citazione, attribuita a Bigot de Prèamenue, è riportata daTroplong, Della vendita, Vol. unico, prima traduzione italiana a cura di Baffi,Palermo, 1853, 249, n. 363.

27 Nell’Esposè de Motif di Bigot de Preameneu, infatti, si dichiaravaformalmente che il codice abrogava le distinzioni che gli interpreti avevanocreduto di trovare nel diritto romano, e ciò in quanto la teoria dei gradi dellacolpa “appariva troppo artificiosa e poco elastica in un settore come quellocontrattuale in cui la varietà delle obbligazioni e l’autonomia delle particontraenti richiedevano una valutazione caso per caso e nessuna graduazionerigida prefissata dalla legge”. Così Visintini, Trattato breve della responsabilità civile,op. cit., 10.

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codice di Napoleone la disciplina di cui all’art. 1137:“L’obbligazione di vigilare alla conservazione della cosa, siache la convenzione non abbia per oggetto che l’utilità di unadelle parti, sia che abbia per oggetto la loro utilità comune,assoggetta colui che ne è gravato a usarvi tutte le cure d’un buonpadre di famiglia. – Quest’obbligazione è più o meno estesarelativamente ad alcuni contratti, i cui effetti, a questo riguardo,sono spiegati sotto i titoli che li riguardano”.

Sebbene l’articolo si riferisca in principio alla diligenzache il debitore deve impiegare nella conservazione della cosadovuta, la dottrina e la giurisprudenza francesi non hannoincontrato alcuna difficoltà nell’interpretare la norma comeespressione di un principio generale. Come rileva Laurent,infatti, “ce que le code dit de l’obligation de donner s’appliquenécessairement à tutes les obligations; il y’n a qu’un seul articleconcernant la faute dans les contrats, c’est l’article 1137; il estdonc général et s’applique à toutes les obligations qui naissentd’un contrat”28.

La norma, dunque, si compone di due parti: la prima,contiene l’enunciazione della regola generale per cui qualsiasidebitore, nell’adempimento di qualsivoglia obbligazionecontrattuale, è tenuto ad usare di quella diligenza cheimpiegherebbe un buon padre di famiglia; la seconda, ci avverteinvece di come la regola subisca dei temperamenti conriferimento ad alcuni contratti, dando luogo a non pochi dubbiinterpretativi. Da gran parte della dottrina successiva sisottolineava, infatti, come il legislatore avesse, per così dire,fatto rientrare dalla finestra ciò che aveva inteso cacciare dallaporta, sebbene poi non ci fosse accordo con riferimento a qualedelle ricostruzioni fosse implicitamente presupposta nella legge.

È proprio la formulazione del capoverso dell’art. 1137,dunque, a ridimensionare alquanto il carattere di rottura, rispettoalle vecchie distinzioni, che i compilatori del codice francesepretendono di assegnare alla nuova disposizione. Dire infatti che

28 Così Laurent, Obligations, in Principes de Droit Civil, vol. XVI,Bruxelles-Paris, 1978, 277.

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“Questa obbligazione può essere più o meno estesarelativamente ad alcuni contratti”, significa verosimilmentericonoscere l’esistenza di una diligenza più o meno estesa diquella del buon padre di famiglia. Inoltre, se si passa adesaminare i casi in cui il debitore è tenuto ad una diligenzadiversa da quella generalmente imposta, ci si accorge che,mentre in effetti non vi sono ipotesi in cui questi debba usareuna diligenza più estesa, quelle in cui la diligenza presentaminore intensità fanno specifico riferimento a fattispecie in cuil’obbligato non riceve alcuna utilità29.

Secondo un’autorevole ricostruzione, che nel definire laportata innovativa dell’art. 1137 del codice civile francese, neestende poi le conclusioni a quella che si vedrà essere lacorrispondente disposizione del codice civile italiano del 1865,“Di fronte alla disposizione della legge, dove la stessa letterasuggerisce argomenti che nettamente contraddicono all’idea dimutazione radicale che si vorrebbe dedurre dai lavoripreparatori, la ricerca non doveva essere ristretta alla questionedi graduazione, rispetto alla quale mal si è sollevato dubbio peressere cosa inerente al concetto medesimo della colpa; edoccorreva invece indagare i criteri sulla prestazione”. “Secondola vecchia teoria, la prestazione della colpa aveva regola nellavaria natura dei contratti, ed in genere nel concetto dell’utilitàche si ritraeva dall’obbligazione; nell’ordinamento attuale,questo criterio dell’utilità è altrimenti inteso, e la prestazionedella colpa, abbia o no il contratto per oggetto il vantaggio,l’utilità d’una o d’ambedue le parti, è sempre misurata sulladiligenza del buon padre di famiglia, salve le eccezioniespressamente ordinate. S’è ora detto che il criterio dell’utilità èaltrimenti inteso, non scomparso affatto, perché le eccezioniordinate dalla legge hanno appunto in esso la loro ragionegiustificativa: ma la diminuzione della colpa, la minor severità,

29 La critica è riconducibile, tra gli altri, a Troplong, Della Vendita, op.cit. Tra le obbligazioni cui si collega una diligenza minore rispetto a quella delbuon padre di famiglia, nel sistema del codice civile francese, si può citare atitolo d’esempio quella del mandatario gratuito ex art. 1992: “la responsabilitàrelativa alle colpe è applicata meno rigorosamente a colui il cui mandato ègratuito che non a colui che riceve una mercede”.

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non inducono, a causa della regola posta, il grado della c. lata”.Per tale dottrina quindi l’innovazione della legge consisterebbenell’aver limitato l’operatività del criterio dell’utilitas ad ipotesieccezionali, ed in più nella conseguenza che il minor rigore checontinua a dedursi da tale criterio, andrebbe sempre apprezzatosulla base della regola fissata a misura ordinaria dellaresponsabilità contrattuale30.

Qualunque sia l’impostazione da accogliere, sembracomunque fuori di dubbio che i compilatori del codicenapoleonico “intesero accordare in questa materia al giudice lepiù ampie facoltà di apprezzamento della colpa del debitore, inriferimento e alle circostanze del caso concreto e alla volontàdelle parti contraenti e alla natura del contratto”31.

Il dovere di diligenza nell’adempimento delleobbligazioni contrattuali, così come formulato all’art. 1137 delcodice di Napoleone, viene recepito quasi letteralmente dall’art.1224 del codice civile italiano del 1865: “La diligenza che sideve impiegare nell’adempimento dell’obbligazione, abbiaquesta per oggetto l’utilità di una delle parti o d’ambedue, èsempre quella di un buon padre di famiglia, salvo il caso dideposito accennato nell’articolo 1843. – Questa regola per altrosi deve applicare con maggiore o minor rigore, secondo lenorme contenute per certi casi in questo Codice”.

Rispetto alla previsione francese, la nostra disposizionepresenta due differenze soltanto: in primo luogo, essa si riferiscetestualmente a tutte le obbligazioni, dettando dunque una normapiù ampia rispetto a quella ricavabile unicamente dal tenoreletterale della corrispondente disposizione d’oltralpe32; insecondo luogo, si inserisce espressamente nel testo dell’articolo

30 Così Chironi, La colpa nel diritto civile odierno. Colpa contrattuale, Torino,1925, spec. 64-65.

31 Così Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, op. cit, 10.

32 Si è già detto, tuttavia, di come l’art. 1137 del codice civile francesesia stato interpretato, sin dalle sue prime applicazioni, come riferibile alladiligenza che il debitore deve in genere usare nell’adempimento di qualsiasiobbligazione di fonte contrattuale.

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l’eccezione in favore del depositario, eccezione che del resto èpresente anche nel codice francese sebbene in sede diversa33.

Nonostante queste differenze di carattere testuale, le duenorme risultano tuttavia sostanzialmente uniformi ed omogenee,cosicché anche con riferimento alla disposizione italiana sipongono i medesimi problemi circa la rottura più o meno nettacon le tradizioni del passato.

Probabilmente, coglie nel segno quella dottrina34 per laquale “la diligenza del buon padre di famiglia in astratto èveramente nel diritto nostro la sola misura ordinaria dellaresponsabilità di ogni debitore”, tuttavia è concesso al giudice“di figurarsi il buon padre di famiglia, ora più, ora menoaccurato, seguitando le norme indicate dal Codice per talunicontratti”.

Alcune precisazioni sembrano comunque opportune.Sebbene infatti dall’art. 1224 “apparisca dovuta per regolagenerale da ogni debitore, tranne il depositario, la diligenzaordinaria del buon padre di famiglia in astratto, pur tuttaviaquesta regola riceve due restrizioni”: innanzitutto, “è dovuta ladiligenza in concreto, quando la diligenza propria ed abituale deldebitore superi la diligenza ordinaria del buon padre di famiglia,perché prestare verso il creditore una diligenza minore rispetto aquella impiegata nei propri affari risulta indice di mala fede35; in

33 Nel codice civile francese si prevede, infatti, all’art. 1927, che ildepositario debba usare nel custodire la cosa depositata la stessa diligenza cheusa nel custodire le cose proprie. La stessa formula era confluita nell’art. 1843del codice italiano del 1865, richiamato in via di eccezione dall’art. 1224.L’eccezione per il deposito si giustificava nell’essenza stessa dell’istituto, attesoche “il depositario prende la cosa in custodia e la mette fra le sue altre cose,dunque, nella comune intenzione delle parti deve sorvegliare in guisa in cui egliabitualmente sorveglia le cose che gli appartengono”. Così Visintini, Trattato brevedella responsabilità civile, op. cit., 31-32.

34 Così Giorgi, Effetti delle obbligazioni, op. cit., 36, 38, 39, 43.

35 Critica tale conclusione Chironi, La colpa nel diritto civile odierno. Colpacontrattuale, op. cit., spec. 45, per il quale “la dottrina accennata, sovverte,confondendo i due tipi di diligenza, ogni ragion di presunzione tenuta dallegislatore nello stabilire il modo e la graduazione della colpa”.

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secondo luogo, poiché “la volontà delle parti è legge supremadel contratto”, ogni qualvolta risulti essere stato voluto dalleparti, e segnatamente dal creditore, di esigere un grado didiligenza minore o maggiore rispetto a quello ordinario, laregola dell’art. 1224 non avrà applicazione. Con riferimento atale ultimo profilo, si può inoltre aggiungere che le eccezionipreviste dalle “norme contenute per certi casi in questo Codice”,“non sono altro che interpretazione della presunta volontà delleparti”, suscettibili in quanto tali di applicazione estensiva36.

Vero è, dunque, che con la codificazione il legislatoreabbia teso a superare l’ordine tradizionale, ed in particolare ladivisione astratta e sistematica della colpa in più gradi. Tuttavia,lasciare al giudice, come sembrerebbe, l’apprezzamento dellecircostanze nelle quali si possa esigere una diligenza maggiore ominore37, vale senz’altro a riconoscere “la gradazione naturale, esi direbbe continua della colpa”38, o più precisamente delladiligenza.

36 Ma, in senso contrario, si veda Piola, voce Obbligazioni – DirittoCivile, op. cit., 743, ove l’autore sostiene che “le disposizioni della legge, nellequali si trova statuita la prestazione d’un grado o d’una specie di diligenzadiversa da quella d’un buon padre di famiglia, sono disposizioni eccezionali, che,[…] non posson esser estese a casi e tempi in esse non espressi”. Nello stessosenso Chironi, La colpa nel diritto civile odierno. Colpa contrattuale, op. cit.

37 Non è di questo avviso nuovamente Piola, voce Obbligazioni - DirittoCivile, op. cit.,745, il quale, stranamente sottovalutando l’innegabile ruolocreativo svolto dal giudice nell’attuazione del diritto, afferma: “Alla legge e allaconvenzione soltanto si deve attendere, per determinare la diligenza dovuta,epperò la determinazione della diligenza dovuta non può avvenire da parte delmagistrato. Allorquando dinanzi al magistrato si discute quali siano il grado, laspecie e il rigore della diligenza dovuta, il magistrato altro non può fare cheapplicare i principi esposti nei numeri precedenti, principi dei quali dovrà fareapplicazione anche allorquando si tratta di determinare nel caso concreto in checonsista la specie, il grado e il rigore della diligenza che dev’essere prestata”. Insenso più aderente al testo si esprime invece Giorgi, Effetti delle obbligazioni, op.cit., 36, che definisce la diligenza del buon padre di famiglia “un criterio tantoindeterminato e arbitrario da lasciare al giudice libertà di valutazione quasiindefinita; arbitrio larghissimo nello scusare le colpe”.

38 Così Borsari, Articolo 1224, in Commentario del Codice CivileItaliano, vol. III, parte II, Delle obbligazioni, Torino, 1877, 558.

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La diligenza, infatti, “non è un indistinto, ma anziammette delle distinzioni”. “La legge determina la specie, ilgrado e il rigore della diligenza, con la quale il debitore deveadempiere l’obbligazione, e il principio generale che dalla leggesi trova posto, il principio che vale di qualunque specie diobbligazione si tratti e da qualunque fonte l’obbligazione derivi,quello si è, che il debitore deve adempiere l’obbligazione con ladiligenza d’un buon padre di famiglia, cioè con quella cura che èabituale a ogni uomo assennato e prudente”. Ciò che in ognicaso risulta indispensabile per la valutazione della diligenza, ètener conto “della natura dell’obbligazione e di tutte lecircostanze di persona, di tempo e di luogo, come pure degli usivigenti nella località in cui l’adempimento deve avvenire”39.

La generale previsione di diligenza nell’adempimentodell’obbligazione, unitamente al lavoro interpretativo su di essasvolto, si trasferisce senza rotture nel codice civile italiano del1942, tuttora vigente. L’art. 1176 recita infatti: “Nell’adempierel’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padredi famiglia. – Nell’adempimento delle obbligazioni inerentiall’esercizio di un’attività professionale, la diligenza devevalutarsi con riguardo alla natura della attività esercitata”.

Unico elemento di novità rispetto al codice abrogatoattiene non alla formulazione del principio, bensì semplicementealla sua collocazione. Mentre infatti nel codice del 1865 ildovere di diligenza era posto nel capo relativo agli effetti delleobbligazioni, nel codice attuale esso è dettato con riferimentoall’adempimento in generale, senza che comunque lospostamento comporti significative differenze di ordinesistematico40.

L’attuale legislatore, dunque, mantiene a fondamentodella disciplina dell’adempimento delle obbligazioni la diligenzariferita al tipo classico romano disponendo infatti che

«nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la

39 Così Piola, voce Obbligazioni - Diritto Civile, op. cit.,743.

40 In tal senso, Di Majo, Dell’adempimento in generale, op. cit.

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diligenza del buon padre di famiglia» (art. 1176); viene peròchiaramente precisato che tale diligenza non è quella dell’uomomedio desunta in pratica dalla media statistica, sebbene quelladel cittadino, del produttore, del professionista, del lavoratore

modello, «memore dei propri impegni e cosciente delle relative

responsabilità», modello quindi che per sua natura è destinato amodificarsi secondo i tempi, le abitudini, i rapporti sociali, ilgrado di civiltà.

In tale impostazione, il capoverso dell’art. 1176, in cui sidispone che “Nell’adempimento delle obbligazioni inerentiall’esercizio di un’attività professionale, la diligenza devevalutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”, altronon sarebbe che applicazione della regola appena enunciata. Lostesso articolo 2236, comunemente interpretato come normabasilare sulla colpa professionale, nel limitare la responsabilitàdel prestatore d’opera al dolo e alla colpa grave, quando laprestazione si caratterizzi per la soluzione di “problemi tecnicidi speciale difficoltà”, non fa altro che confermare chel’impegno cui è tenuto il professionista è quello ordinario,valutato alla stregua dei principi generali e tenuto conto dellanatura della prestazione, mentre solo quando siano in giocoproblemi di eccezionale difficoltà tecnica, la responsabilitàviene circoscritta alla colpa grave, nell’accezione peròdell’imperizia41: “la colpa grave nella soluzione di problemitecnici di speciale difficoltà riflette in sostanza la negligenzarispetto al criterio della diligenza del buon professionista”42.Coglie nel segno, dunque, autorevole dottrina quando afferma

che “il «buon padre di famiglia» possa benissimo costituire ilmodello non solo di chi coltiva un modesto campicello, maanche di chi dirige una grossissima impresa, o di chi presta lasua assistenza in una difficile causa, o di chi guida

41 Cfr. Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, op. cit.

42 Così Visentini, La diligenza come criterio di responsabilitàdell’amministratore, in Afferni – Visintini (a cura di), Principi civilistici nella riforma delDiritto Societario, Milano, 2005, spec. 101.

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un’automobile da corsa o pilota un velocissimo aeroplano omanovra un ordigno atomico”43.

Questa interpretazione è confortata in particolare dalcontenuto della Relazione del Guardasigilli al Re, n. 559. Ivi siafferma, infatti, che il criterio della diligenza, “richiamato in viagenerale nell’art. 1176 come misura del comportamento deldebitore nell’eseguire la prestazione dovuta, riassume in sé quelcomplesso di cure e di cautele che ogni debitore devenormalmente impiegare nel soddisfare la propria obbligazione,avuto riguardo alla natura del particolare rapporto ed a tutte lecircostanze di fatto che concorrono a determinarlo. Si tratta diun criterio obiettivo e generale, non soggettivo e individuale:sicché non basterebbe al debitore, per esimersi da responsabilità,dimostrare di aver fatto quanto stava in lui, per cercare diadempiere esattamente l’obbligazione. Ma, d’altra parte, è uncriterio che va commisurato al tipo speciale del singolorapporto; per questo, nell’art. 1176 comma 2, è chiarito, a titolodi esemplificazione legislativa, che, trattandosi di obbligazioniinerenti all’esercizio (e quindi all’organizzazione) di un’attivitàprofessionale, la diligenza deve valutarsi avuto riguardo allanatura dell’attività esercitata; per questo, inoltre, pur essendoapparso superfluo riprodurre l’art. 1224 comma 2 c.c. 1865, è daritenersi certo che sussistono anche nel nuovo sistema dei casi incui la diligenza deve apprezzarsi con minore o maggiore rigore”.

È innegabile che la legge, o al più la convenzionestipulata dalle parti, possa prevedere delle ipotesi in cui ilgiudizio sulla diligenza vada condotto sulla base di un rigoremaggiore o minore, pur mantenendo come modulo d’appoggioquello del buon padre di famiglia. Nella valutazione delladiligenza, dunque, non sarà sufficiente il riferimento al modulonormativo del buon padre di famiglia, ma occorrerà apprezzareil modo di essere della diligenza con riferimento alla possibilitàdi prevenire il danno nelle circostanze del caso. Ciò

43 Così Giorgianni, voce Buon padre di famiglia, in Nuovissimo DigestoItaliano, vol. II, Torino, 1957, 596, in risposta a quanti tacciano di anacronismoil tradizionale modello, ma con considerazioni certamente estendibili anche allaspecifica questione che qui ci occupa.

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inevitabilmente anche sulla base di una seppure minimaconsiderazione delle qualità dell’obbligato, soprattutto quandodeterminanti l’affidamento dell’incarico.

Sulla base di queste considerazioni, la dottrina haspiegato come la formulazione della tradizionale teoria dei gradidella colpa tenda in realtà ad occuparsi di un falso problema, ocomunque di un problema mal posto in quanto condizionato daun equivoco. Ed infatti, si sarebbe erroneamente provveduto “aportare sul piano giuridico diversità che non toccano il momentogiuridico della colpa, bensì il momento di fatto della diligenza,della cui valutazione è questione”. Dunque, una possibilemaggiore o minore gravità non è riferibile “ai pretesi diversigradi della colpa, intesi quali figure (forme) di qualificazionegiuridica, ma semplicemente alla valutazione della diligenzariferita alle circostanze del caso. Il giudice, cioè, potrà valutareuna negligenza più grave o meno grave in relazione allecircostanze in cui il comportamento del soggetto siasi svolto, ma

il modulo di valutazione sarà pur sempre quello del «buon padre

di famiglia»; e sarà pur sempre uno ed uno solo, ché altrimentinon avrebbe neppur senso di ricercare cosa voglia dire gravitàmaggiore o minore, o rigore di valutazione maggiore ominore”44.

La regola della diligenza, in riferimento allaresponsabilità in senso lato contrattuale, è da sempre al centro diun acceso dibattito, del quale è opportuno a questo punto darconto, sia pure brevemente.

Le discussioni che hanno finito col dividere la nostradottrina, investono in sostanza il rapporto che intercorre tradiligenza e inadempimento dell’obbligazione del debitore. Sitratta invero di una vexata quaestio della scienza giuridica cheattiene essenzialmente alla determinazione del ruolo daassegnarsi al parametro della diligenza, così come codificatoall’art. 1176, nel giudizio di responsabilità dell’obbligato,risolvendosi in particolare nella individuazione o meno di un

44 Così Maiorca, voce Colpa civile (teoria generale), op. cit., 581.

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possibile legame tra la norma citata e quella di cui all’art. 1218,ove è specificamente sistemata la disciplina sulla responsabilitàper inadempimento del debitore.

Com’è noto, l’art. 1218 cod. civ., in apertura del caporelativo all’inadempimento delle obbligazioni, recitatestualmente: “Il debitore che non esegue esattamente laprestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se nonprova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato daimpossibilità della prestazione derivante da causa a lui nonimputabile”. La norma ci dice in sostanza che il debitore èresponsabile se inadempiente, tuttavia l’inadempimento nonrileva quale fonte di responsabilità nelle ipotesi in cui laprestazione divenga impossibile per causa a non lui imputabile.Di qui l’origine del rammentato dibattito sul ruolo delladiligenza, di qui anche le disparate posizioni dottrinali che siriscontrano sull’argomento e che sono riconducibiligeneralmente nell’ambito delle contrapposte teoriesoggettivistiche ed oggettivistiche dell’inadempimento.

Volendo semplificare, nell’impostazione soggettivistical’inadempimento si identifica sempre in un’omissione didiligenza, tant’è che il debitore si libera da responsabilità sedimostra di aver impiegato di fronte alle difficoltàdell’adempimento uno sforzo conforme a quello di volta in voltasuggerito dal metro della diligenza. In tale ordine di idee lanegligenza è il fondamento stesso della responsabilità deldebitore, e ciò in quanto l’inadempimento viene ad assumereuna propria rilevanza giuridica solo nell’ipotesi in cui siaimputabile al debitore. La diligenza è il criterio stessodell’imputabilità.

Per l’impostazione oggettivistica, invece, fonte dellaresponsabilità dell’obbligato è il fatto oggettivodell’inadempimento, che si specifica a seconda dei casi ininadempimento tout court, adempimento inesatto, ritardo.L’inadempimento, infatti, è da intendersi genericamente come“nozione comprensiva di ogni genere di violazione di obblighiassunti dal debitore, e non soltanto trasgressione del criteriodella diligenza”. In tale prospettiva, dunque, poiché “il ruolo

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della regola della diligenza è circoscritto alla determinazionedelle modalità di esecuzione della prestazione”, essa individuasolo una forma di inadempimento in cui il debitore puòincorrere, e specificamente quella dell’inesattezza dellaprestazione, con esclusivo riferimento a quelle obbligazioni che“hanno ad oggetto un’attività finalizzata ad un certo risultato”45.Rilevato l’inesatto adempimento, si procede al giudizio diresponsabilità che a sua volta è incentrato sul dato oggettivodell’inadempimento nella specifica forma considerata.

La teoria oggettiva dell’inadempimento trova la suaprima e più autorevole sistemazione nell’opera di Osti46.Secondo l’illustre autore, infatti, il fondamento dellaresponsabilità è rappresentato dal solo fatto oggettivodell’inadempimento, svolgendo la regola della diligenza unruolo proprio ed autonomo solo con riferimentoall’individuazione dell’esattezza dell’adempimento delleobbligazioni cosiddette di fare: “la «colpa del debitore», intesaappunto come mancanza della diligenza dovuta, in questa ipotesiin cui la prestazione è in tutto o in parte costituita proprio daattività del debitore, è né più né meno che un elementointegrante dell’inesatto adempimento, vale a dire delpresupposto obiettivo della responsabilità, non una condizionesoggettiva che al presupposto obiettivo si aggiunga a costituire ilfondamento di quella”47. Il debitore, dunque, va esente daresponsabilità solo in caso di impossibilità sopravvenuta dellaprestazione, quando la causa dell’impossibilità non possaessergli imputata neppure a titolo di colpa-negligenza. Dovràtrattarsi ad ogni modo di una impossibilità di adempiereoggettiva ed assoluta, laddove l’impossibilità oggettivaindividua un impedimento inerente all’intrinseca entità delcontenuto della prestazione, non assumendo alcun rilievo laconsiderazione delle condizioni personali o patrimoniali del

45 Così Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, op. cit., 177, 202.

46 Gli scritti dell’autore sull’argomento sono stati raccolti a cura diRescigno nell’opera Osti, Scritti giuridici, I, Milano, 1973.

47 Così Osti, Deviazioni dottrinali in tema di responsabilità per inadempimentodelle obbligazioni, in Osti, Scritti giuridici, op. cit., spec. 472-473.

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debitore, sempre che tali condizioni non attenganoimmediatamente all’oggetto del rapporto, mentre l’impossibilitàassoluta ha riguardo ad un impedimento che non può esseresuperato dalle forze umane, sebbene si debba “considerareassolutamente impossibile la prestazione anche quandol’eseguirla potrebbe mettere in pericolo quei diritti essenzialidella persona: salvo che, trattandosi di obbligazione contrattuale,e compatibilmente con i principi fondamentali dell’ordinepubblico e del buon costume, il debitore ne abbia assuntoconsapevolmente il rischio”48. In tale impostazione la colpa-negligenza diventa il fondamento della responsabilità persopravvenuta impossibilità della prestazione: “la colpa può bensìessere un presupposto soggettivo imprescindibile dellaresponsabilità, ma solo quando sia sopravvenuta unaimpossibilità oggettiva della prestazione, ché allora, senza colpadel debitore, l’obbligazione sarebbe estinta”49.

All’impostazione di Osti si contrappone l’opera di altroautorevole studioso, Giorgianni, che rappresenta la più compiutasistemazione di quell’impostazione che vede nella colpa ilfondamento della responsabilità cosiddetta contrattuale50.Nell’interpretazione di tale autore, l’art. 1218 cod. civ. non

48 Così Osti, Impossibilità sopravveniente, in Osti, Scritti giuridici, op. cit.,spec. 493. I “diritti essenziali della persona” cui l’autore si riferisce sonoindividuati nel diritto alla vita, alla libertà ed alla integrità personale del debitore,le cui esigenze di tutela devono considerarsi quali limiti alla possibilità dellaprestazione. Più oltre l’autore sembra comunque mitigare, quantomeno da unpunto di vista formale, la propria concezione sulla impossibilità assoluta diadempiere, affermando che “Senza dunque infirmare l’esatto criterio logico delladistinzione fra impossibilità assoluta e impossibilità relativa, … l’impossibilitàassoluta di una prestazione oltre che da legge inesorabile di natura (quod naturadari vel fieri non potest), può essere determinata dal sopravvenire di unimpedimento «non superabile con le modalità di esecuzione che, secondo ilcomune apprezzamento, debbano intendersi connaturali alla prestazionemedesima nel singolo tipo di rapporto di cui essa forma oggetto»”. Così Osti,Impossibilità sopravveniente, in Osti, Scritti giuridici, op. cit., spec. 495.

49 Così Osti, Deviazioni dottrinali in tema di responsabilità per inadempimentodelle obbligazioni, op. cit., spec. 467.

50 Il pensiero di tale autore risulta soprattutto da una monografia cheegli ha dedicato all’argomento. Ci si riferisce in particolare a Giorgianni,L’inadempimento, Milano, 1975.

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rappresenta la norma generale sulla responsabilità perinadempimento, poiché essa regola esclusivamente l’ipotesi incui la prestazione sia divenuta impossibile, per di più limitandoin tali casi l’obbligo del debitore di evitare gli impedimenti allosvolgimento della prestazione all’impiego della normalediligenza. Da ciò l’ovvia conseguenza per cui, finché laprestazione si riveli in concreto possibile, il debitoreinadempiente non potrà essere considerato per ciò stessoresponsabile. In tali ipotesi, la regola cui è necessario riferirsi alfine di accertare eventuali responsabilità sarebbe nuovamenterappresentata proprio dalla regola sulla diligenza, variamentecommisurata a seconda del tipo di rapporto. Nel pensierodell’autore, infatti, solo nelle obbligazioni che hanno per oggettodare, restituire, trasferire una cosa certa e determinata, ildebitore è tenuto anzitutto ad impedire la perdita della cosa,cosicché la norma dell’art. 1218 può ben coprire tutta l’areadella responsabilità con riferimento all’attività principaledell’obbligato. Con riferimento ad altri tipi di rapporti, invece, èindispensabile individuare una regola di condotta che informitutta l’attività del debitore, al fine di poter così disciplinarel’ipotesi del mancato adempimento quando la prestazione siaancora possibile. La responsabilità del debitore, dunque,risulterebbe fondata, “salve specifiche eccezioni, sullaviolazione di una regola di condotta che impone al debitore uncerto sforzo o «diligenza»”51.

A me pare che le prospettive poste a base delle diverseteorie sull’inadempimento, rappresentino in realtà l’una larisposta alle estremizzazioni dell’altra.

È innegabile, infatti, e lo si è cercato di dimostrare inqueste pagine, che la regola sulla diligenza svolga un ruolo ditutta importanza in rapporto non solo all’individuazione maanche e soprattutto alla valutazione della responsabilità deldebitore. Ciononostante, è senz’altro da evitare unaricostruzione del sistema della responsabilità in chiaveeccessivamente soggettivistica, che tenda cioè a costruire un

51 Così Giorgianni, L’inadempimento, op. cit., 290.

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particolare metro di giudizio per ogni singolo caso concreto,tenendo per di più conto di condizioni soggettive e pericolosistati d’animo, laddove invece la specifica considerazione delcaso concreto, e dunque anche della sfera soggettiva deldebitore, dovrebbe servire piuttosto a graduarne laresponsabilità.

È ben vero che la diligenza acquista una specifica portataprecettiva proprio con riferimento ad obbligazioni connotate daattività del debitore, ma non credo si possa negare che essa sia,per ogni tipo di obbligo, la regola che impone al debitore unacerta misura di sforzo nell’adempimento, venendo ad assumerecosì anche la funzione di criterio di controllo dell’impegno chel’obbligato abbia rivolto alla conservazione della possibilitàdella prestazione52.

Senza dubbio l’ordinamento conosce ipotesi diresponsabilità oggettiva o, come si suole dire, senza colpa, maesse mi sembra rappresentino ipotesi eccezionali, che sigiustificano alla luce di esigenze del tutto particolari53. Ad ognimodo, non credo sia questo il caso della violazione di obblighispecifici, obblighi cosiddetti di risultato. Anche con riferimentoa tale tipo di obblighi, infatti, mi sembra che la diligenzapartecipi al giudizio di responsabilità del debitore in relazionesoprattutto all’evitabilità del fatto impeditivo dell’adempimento.Si dice che in tali ipotesi la negligenza è in re ipsa, che essa cioèsi presume dal fatto stesso del mancato raggiungimento delrisultato dovuto.

52 Sembra esprimersi in senso abbastanza vicino al testo Di Majo,Dell’adempimento in generale, op. cit. Dello stesso avviso è Messineo, Manuale diDiritto Civile e Commerciale, vol. III, Milano, 1959, 319, per il quale “Negligenza è,dunque, omissione delle cure, occorrenti a rendere possibile al debitorel’adempimento regolare della prestazione”.

53 La stessa responsabilità per fatto dannoso degli ausiliari, ex art. 1228cod. civ., per quanto sia controversa la sua ricostruzione in termini diresponsabilità oggettiva, necessita testualmente di un fatto doloso o colposo delsoggetto della cui opera il debitore si vale, fatto che è direttamente imputato aldebitore stesso quale titolare dell’obbligo primario nei confronti del creditore.

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È sostanzialmente corretto, dunque, ritenere che l’art.1218 cod. civ. rappresenti la norma cardine intorno alla qualericostruire tutto il sistema della responsabilità perinadempimento del debitore, qualunque sia la prestazionedovuta. E, d’altra parte, è senz’altro corretto ritenere che l’art.1176 sia la norma generale che disciplina l’adempimento diqualsiasi obbligazione. Responsabilità per inadempimento eadempimento, poi, sono nozioni intimamente legate se è vero,come è vero, che è l’individuazione dell’adempimento dovuto adare senso alla responsabilità qualora questo sia mancante. Ladiligenza, lo ripetiamo, è innanzitutto modalità di adempimentodella prestazione, qualunque sia l’attività cui il debitore si siaobbligato (dare, custodire, fare, non fare), e per ciò stesso essaconcorre alla definizione dell’adempimento.

È ben vero che il debitore è responsabile fino al limitedell’impossibilità sopravvenuta di adempiere, dipendente dacausa a lui non imputabile54. Ed è indubbio che l’impossibilitàha riguardo alla prestazione in sé e non alla mera difficoltàsoggettiva di adempiere. Ma come potrebbe ritenersiresponsabile il debitore per uno sforzo al quale non si èobbligato? E come è possibile che egli risponda per unimpedimento che in nessun caso avrebbe potuto prevedere o

54 Difende incisivamente tale limite della responsabilità Alpa, Istituzionidi diritto privato. Problemi, Torino, 2002, 325, quando afferma che “solol’impedimento che determina l’impossibilità della prestazione in sé e per séconsiderata, vale a dire l’impossibilità obiettiva della medesima, può avereefficacia di liberare il debitore da responsabilità per inadempimento o ritardo, epuò addirittura, quando sia definitiva, estinguere l’obbligazione, sempreché adun simile elemento oggettivo si accompagni quello soggettivo della assenza dicolpa”. Sul versante opposto, quello della responsabilità, è interessante lacostruzione di Messineo sull’impossibilità sopravvenuta della prestazione percausa imputabile a fatto del debitore, ipotesi che ricorrerebbe sia quando “la«causa imputabile» consista nell’intenzione (dolo) del debitore di non-adempiere”,impossibilità «provocata», sia quando “la prestazione sia divenuta impossibile,ma perché l’abbia resa tale, la negligenza (colpa) del debitore”. Così Messineo,Manuale di Diritto Civile e Commerciale, op. cit., 314.

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superare sulla base delle energie che era tenuto ad impiegare, esoltanto quelle?55

D’altra parte, è la stessa corte di Cassazione, “in unasentenza risalente che può parificarsi a un leading case inmateria, in quanto ha acquisito l’autorità di un precedente a cuisi è uniformata la giurisprudenza successiva”56, ad affermare“che la ‘causa non imputabile’ al debitore, la quale hadeterminato l’impossibilità della prestazione, è quella che nonpuò essere evitata mediante l’impiego della normalediligenza”57.

Nel silenzio della convenzione, o in generale delleintenzioni delle parti, la diligenza prevista dalla leggerappresenta duque il confine stesso dell’adempimento. Comepotrebbe non influenzare anche il limite della responsabilità chedi quell’adempimento è garante?

55 Efficace in relazione al discorso che andiamo svolgendo mi pare unabella pagina di Venezian, ove l’autore, pur se impegnato in una estrema difesadel fondamento oggettivo della responsabilità per “torto dannosoestracontrattuale”, afferma: “Nell’ambito dei rapporti contrattuali non si puòparlare più di responsabilità oggettiva; tanto il diritto che si cede quanto il dirittoche si acquista, dipendono per l’un contraente dalla volontà dell’altro; tutti duemisurano quindi il pericolo e la speranza che hanno nell’esporre il propriodiritto, e regolano in conseguenza la responsabilità rispettiva. Sorge qui e sisviluppa in tutta la sua ampiezza la teoria della colpa, dove non si tratta piùdell’opposizione a un diritto primario, ma della contravvenzione a un obbligocontrattuale”. E più oltre: “Se per il fatto dell’un contraente la cosa dell’altro,che ad un titolo qualunque è stata trasferita nel suo possesso si deteriora e siperde, non è ancora avvenuto un torto contrattuale … Un torto contrattuale èavvenuto soltanto, quando il detentore della cosa ha mancato di osservare quelgrado di diligenza che egli ha assunto come obbligo, e che il proprietario haimposto come condizione del contratto, prevedendo il pericolo più o menogrande, a cui la sua cosa va incontro per il fatto dell’altro contraente, col qualeviene in contatto più intimo e più frequente che con estranei”. Così Venezian,Danno e risarcimento fuori dei contratti, in Studi sulle obbligazioni, vol. I, a cura dellaFamiglia e della R. Accademia delle Scienze di Bologna, Roma, 1919, 78-79.

56 Così Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, op. cit., 174, masembrerebbe con finalità diverse.

57 Così Cass., 27 maggio 1955, n. 1638, Giust. civ., 1955, 1632.

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Con riferimento a determinati rapporti contrattuali poi, siparla spesso di un aggravamento della responsabilità,giustificato dal cosiddetto rischio di impresa. Si dice, insostanza, che chi esercita professionalmente un’attivitàimprenditoriale è in grado di valutare anticipatamente i rischidella sua attività e di provvedere alla loro copertura con unapercentuale di profitti. Per queste fattispecie la responsabilitàsarebbe indipendente dalla colpa (negligenza), perché la leggepone a carico del debitore il rischio di “eventi, ancheincolpevoli, che rientrino nella sua sfera di organizzazioneeconomica e che comunque costituiscono un rischio tipico dellasua attività”58. Mi sembra comunque che in tali ipotesi laprestazione si caratterizzi proprio per una funzione di garanziacontro determinati rischi, e la diligenza dunque, lungi dal noninteressare affatto il fenomeno, si specificherebbe nellapredisposizione di tutte quelle misure idonee all’assorbimento diquei rischi, tenuto conto dell’abituale settore di attività deldebitore.

La diligenza del buon padre di famiglia è quindiparametro per la valutazione dell’adempimento di qualsiasiobbligazione e, in particolare, rappresenta il criterio perl’accertamento delle eventuali responsabilità dell’obbligato. Ècomunque innegabile che essa assuma un diverso peso conriferimento al tipo di obbligazione dedotto nel titolo, acquisendouna portata certamente pregnante in relazione a quei rapporti chesi caratterizzano sotto il profilo della cura e gestione di interessialtrui.

Quando infatti l’obbligazione del debitore si caratterizzanon per la produzione di un risultato specificamentedeterminato, bensì per lo svolgimento di un’attività più o menodiscrezionale, volta al soddisfacimento degli interessi dellacontroparte, la diligenza si atteggia a vera e propria regola dicondotta, venendo quasi a coincidere con l’oggetto stesso dellaprestazione59. Questo particolare operare della regola che

58 Così Trimarchi, Istituzioni di diritto privato italiano, Milano, 1995, 349.

59 Il problema è noto in dottrina come distinzione tra obbligazioni dirisultato e obbligazioni di mezzi. La distinzione, proposta in Francia da

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esprime la diligenza è tanto più intenso quanto più esteso risultiessere l’ambito lasciato alla discrezionalità del debitore. Inoltre,avuto riguardo al risultato che pure caratterizza tali tipi diobbligazioni, il problema della diligenza si porrà in manieratanto più specifica quanto più aleatorio risulterà ilsoddisfacimento dell’interesse del creditore.

Proprio quando il risultato della prestazione è aleatorio,infatti, la diligenza viene ad acquisire quella ulteriore eparticolare funzione di distinguere la negligenza, rilevante ai finidella sanzionabilità giuridica, dall’abilità personale e dallasfortuna, suscettibili di valutazioni politiche, volte a sindacare lamaggiore o minore opportunità di taluni comportamenti, mairrilevanti in ordine alla configurazione di qualsivogliaresponsabilità. È il carattere che ritroviamo tipicamentenell’obbligazione del mandatario che, lo ricordiamo, consiste nelcompimento di uno o più atti giuridici per conto del mandante.Ma, più in generale, è l’impostazione che caratterizza qualsiasirapporto che si fondi sulla fiducia, ogni volta in cui la gestioneda parte del fiduciario, volta alla realizzazione dell’interesse delfiduciante, sia destinata a confrontarsi e scontrarsi con il rischiodell’affare.

Alla luce delle considerazioni appena svolte, nelleobbligazioni fortemente discrezionali ed aleatorie la diligenza –regola di condotta si confonde sovente con la correttezza, finoad assurgere a vero e proprio criterio di responsabilità del

Demogue alla fine degli anni Venti, attiene propriamente all’oggettodell’obbligazione. Si sostiene infatti che mentre in alcune obbligazioni il debitorepromette un certo risultato, in altre promette esclusivamente l’impiego dei mezzinormalmente utili al raggiungimento del risultato, ovvero la diligenza. Diconseguenza, se con riferimento alle obbligazioni di risultato è in generesufficiente che il creditore dimostri la mancanza del risultato promesso affinchéil debitore risponda, salvo che questi riesca a provare l’esistenza di una causaestranea a lui non imputabile, nelle obbligazioni di mezzi il creditore dovràspecificamente provare la deviazione del contegno del debitore da quella regoladi condotta che, con riferimento a quel particolare rapporto, è espressa dalladiligenza, spettando a quest’ultimo la prova del contrario o comunque dellaeventuale causa estranea. Su questa distinzione, cfr. De Lorenzi, voceObbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, in Digesto, Disc. Priv., Sez. Civ., vol.II, Torino, 1997.

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debitore, solo quando la violazione del precetto che essa esprimeriveli il sintomo di un comportamento più o meno fraudolento e,comunque, non conforme a buona fede. Di qui una serie diimportanti conseguenze, prima fra tutte, l’atteggiamentoestremamente cauto della nostra giurisprudenza nel rilevare gliestremi del comportamento negligente, quando non ancorato aspecifiche violazioni di legge o ad una situazione di conflittod’interesse quantomeno presunto. Ulteriore conseguenza èrappresentata dalle concrete difficoltà probatorie che si offronoall’attore. Questi infatti, nell’ipotesi in cui intenda realmentecontestare la negligenza, sarà inevitabilmente onerato difigurarsi e prospettare, tra le tante astrattamente possibili, qualimodalità di comportamento il debitore avrebbe dovutoeffettivamente adottare nel caso specifico, perché conformi adiligenza. Ciò spiegherebbe del resto come, nella pratica, siaabbastanza esiguo il numero di domande giudiziali finalizzate adeterminare e limitare, con esclusivo riferimento al generaledovere di diligenza, l’oggetto delle controversie trattate nellenostre aule di giustizia.

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CAPITOLO II - DILIGENZA E GESTIONE: LA

RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ

DI CAPITALI (*)

1.- Interpretazione tradizionale.- L’articolo 2392 cod.civ., “Responsabilità verso la società”, al primo comma, nellaformulazione previgente, disponeva: “Gli amministratoridevono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge dall’attocostitutivo con la diligenza del mandatario, e sono solidalmenteresponsabili verso la società dei danni derivantidall’inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti diattribuzioni proprie del comitato esecutivo o di uno o piùamministratori”60.

(*) Il capitolo riproduce, con alcuni aggiornamenti emodificazioni, il testo della Rassegna di giurisprudenza su “La diligenzacome criterio di responsabilità dell’amministratore” di Annalisa Stirpe,allegata alla Relazione del Prof. Gustavo Visentini, svolta nel corso delConvegno sul tema “Principi civilistici nella riforma del DirittoSocietario”, Imperia, 26 – 27 settembre 2003, e pubblicata in appendice aAfferni – Visintini (a cura di), Principi civilistici nella riforma del DirittoSocietario, op. cit., 303.

Si è scelto di far riferimento alla vecchia formulazione dell’articoloperché tale è la norma che trovasi ancora applicata dai giudici, soprattutto dilegittimità, in considerazione della recente entrata in vigore della riforma e dellapurtroppo nota lentezza del nostro sistema giudiziario. Si può comunqueavvertire sin da ora che, a parere di chi scrive, la nuova formulazione nonsembra aggiungere nulla di diverso rispetto alle conclusioni che si potevanotrarre con riferimento alla vecchia disciplina. Sulla nuova formulazione deldovere di diligenza, infra.

60 Sono, dunque, due gli elementi costitutivi della responsabilità degliamministratori: nell’operato dell’amministratore si deve ravvisare la violazionedegli obblighi derivanti dal suo ufficio; per effetto di questa violazione, si devepoter accertare che è stato recato un pregiudizio al patrimonio sociale. Laconclusione è pacifica sia in dottrina che in giurisprudenza.

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Gli amministratori, stabiliva dunque la legge, devonoadempiere i propri obblighi con la diligenza del mandatario61. Ilriferimento al mandato era effettuato allo scopo di stabilire iltipo di diligenza richiesto, nel senso che il rapporto diamministrazione riproduce in sostanza la situazione “delconferimento di incarico da parte di un soggetto per ilperseguimento del di lui interesse”62.

La diligenza richiesta al mandatario è individuatadall’art. 1710 cod. civ., primo comma, nella diligenza del buonpadre di famiglia, vale a dire in quella diligenza che si è vistoessere normalmente richiesta, ex art. 1176 cod. civ., ad unqualsiasi debitore nell’adempimento della propria obbligazione.Trattasi di un criterio di commisurazione dell’adempimento che,come rilevato, “riassume in sé quel complesso di cure e cauteleche ogni debitore deve normalmente impiegare nel soddisfare lapropria obbligazione, avuto riguardo alla natura del particolare

61 Nel codice di commercio del 1882, gli amministratori erano definiticome “mandatarii temporanei, rivocabili, socii o non socii” (art. 121). Oggi ladottrina è concorde nel ritenere che tale qualificazione non sia più possibile,perché gli amministratori costituiscono un organo indispensabile della societàcui la legge attribuisce competenze proprie. Cfr., su questo, Weigmann, voceSocietà per Azioni, in Digesto, Disc. Priv., Sez. Comm., vol, XIV, Torino, 1997. Ilcodice continua, tuttavia, a riferirsi alla diligenza del mandatario, nel misurare losforzo che gli amministratori devono impiegare nell’espletamento dell’incaricoloro conferito, per l’indubbio parallelismo rinvenibile tra il rapporto di mandatoe quello di amministrazione, proprio con riferimento al particolare atteggiarsidella diligenza: come nel mandato, infatti, la diligenza richiesta dalla legge agliamministratori, prima di essere eventualmente utilizzata come criterio diresponsabilità, svolge la funzione di contribuire all’integrazione dello stessocontenuto della prestazione dovuta, stante il carattere discrezionale propriodell’attività di gestione di interessi altrui. Cfr., sull’atteggiarsi della diligenza nelmandato, Santagata, Delle obbligazioni del mandatario, in Commentario del codicecivile Scialoja-Branca, a cura di Galgano, libro quarto, Delle obbligazioni, Bologna– Roma, 1998.

62 Così Adiutori, Funzione amministrativa e azione individuale diresponsabilità, Milano, 2000, 43.

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rapporto e a tutte le circostanze di fatto che concorrono adeterminarlo”63.

Il legislatore, riferendosi alla diligenza del buon padre difamiglia, ha voluto sottoporre la condotta degli amministratoriad un parametro di valutazione che fosse “obiettivo egenerale”64. Non sembra tuttavia concretamente sostenibile, aldi là delle affermazioni di principio pacificamente espresse tantoin dottrina che nella stessa Relazione al codice civile, che ilriferimento valga effettivamente a sgombrare il campo daconsiderazioni di natura soggettiva, basate sulle capacità equalità personali dell’obbligato65, essendo innegabile che, neifatti, tali caratteristiche concorrano a condizionare, a diversotitolo, l’affidamento dell’incarico. Il parametro di riferimento,pertanto, andrà necessariamente costruito in relazione al casoconcreto, avuto riguardo all’aspettativa del creditore, società osoci, ed al “tipo speciale del singolo rapporto”. Ilcomportamento dell’amministratore, dunque, dovrà esserevalutato con riferimento alla “diligenza che avrebbe usato un

63 Così si esprime, come già sottolineato, la Relazione al codice civile,n. 559, con riferimento al criterio della diligenza, richiamato in via generalenell’art. 1176.

64 Si consideri, ancora, il contenuto della Relazione al codice civile, n.559: la diligenza è “un criterio obiettivo e generale, non soggettivo edindividuale: sicchè non basterebbe al debitore, per esimersi da responsabilità,dimostrare di aver fatto quanto stava in lui per cercare di adempiere esattamentel’obbligazione. Ma, d’altra parte, è un criterio che va commisurato al tipospeciale del singolo rapporto”.

65 Sembrerebbe avvalorare la conclusione espressa nel testo laposizione di Carlo Maiorca, che, con riferimento al rapporto tra diligenza eprevedibilità dell’evento nella teoria della colpa, così si esprime: “se purnell’applicazione del modulo della diligenza potrà aversi riguardo a criteriestrinseci ed oggettivi, è comunque certo che la valutazione della possibilità diconoscere o prevedere va riferita (diremo meglio applicata) al soggetto della cuiresponsabilità si tratti; e non già a terzi estranei alle circostanze del caso. Infatti,se pur è un modulo ideale (o astratto che dir si voglia) di diligenza che vieneassunto ai fini della valutazione, va tenuto presente che il giudizio dellaresponsabilità fa capo al comportamento del soggetto di cui si postula la colpaed è con riguardo a tale comportamento soggettivo che si propone lavalutazione della diligenza”. Così Maiorca, voce Colpa civile (teoria generale), op. cit,576.

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amministratore normalmente diligente che si fosse trovato inquella circostanza”66. Ma il giudizio sarà diverso di caso in caso,perché “i doveri degli amministratori variano, sotto questoaspetto, a seconda delle situazioni, a seconda anche dell’oggettosociale e forse anche a seconda delle caratteristiche peculiari cheogni impresa presenta”67, e dovrà fondarsi su “quella mediadiligenza che può attendersi da persone che accettano di farparte di un consiglio di amministrazione, tenendo conto dellaspeciale struttura data alla singola società e al suo stessoconsiglio in conformità della legge”68.

In definitiva, senza voler peccare di empirismo e purriconoscendo la validità delle formule astratte, non sembrasensatamente contestabile, a meno di non perdere il necessariocontatto con la realtà, che “c’è tutta una graduazione di attivitàamministrativa alla quale risponde una graduazione di diligenzadovuta dal singolo amministratore”69. Chi, ragionevolmente, sispingerebbe fino a negare che, in tale “graduazione”, laposizione dell’obbligato si individui soprattutto con riguardoalle qualità personali ed alle ragioni dell’incarico assunto?

L’obbligo di gestire diligentemente la societàtradizionalmente non si spinge fino a comprendere l’ulterioreobbligo della perizia, quantomeno in senso tecnico: “il membrodi un consiglio di amministrazione di una società anonima, perquesta sua sola qualità, può non conoscere la tecnica mercantiledelle operazioni che costituiscono l’oggetto sociale, poiché cisaranno altri (direttori, amministratore delegato, institori, ecc.)cui spetta questa particolare conoscenza”70 È, infatti,

66 Così Bonelli, La responsabilità degli amministratori, in Trattato dellesocietà per azioni, diretto da Colombo e Portale, vol. IV, Torino, 1994, 352.

67 Così Frè, Società per azioni, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a cura di Galgano, libro quinto, Del lavoro, Bologna – Roma, 1997, 838.

68 Così De Gregorio, Responsabilità degli amministratori, in Il codice dicommercio commentato, vol. IV, Delle società e delle associazioni commerciali, Torino,1938, 336.

69 Così De Gregorio, Responsabilità degli amministratori, op. cit., 337.

70 Cosi De Gregorio, Responsabilità degli amministratori, op. cit., 337.

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impensabile richiedere all’amministratore la contemporaneacognizione delle svariate tecniche di gestione dell’impresa71.Ciò che può richiedersi ad un amministratore diligente, semmai,è di far fronte alle proprie carenze, avvalendosi della consulenzatecnica di collaboratori ed esperti72.

Che dire, allora, del caso in cui l’amministratore sianotoriamente un perito? La legge, in generale, non sembraspingersi fino ad esigere dall’amministratore un simile rigorenell’adempimento dell’incarico. Ma come negare che,nuovamente, colga nel segno l’antica dottrina quando affermache, “se egli usa abitualmente nella trattazione degli affari proprila diligenza del diligentissimo padre di famiglia, egualediligenza dovrà porre nell’esercizio del mandato ricevuto, inquanto la sua conosciuta diligenza di diligentissimo padre difamiglia può appunto essere stato il motivo determinante ilmandante ad affidargli il mandato”73?

D’altra parte, con riferimento al mandato che, loricordiamo, è espressione tipizzata della più generale categoriadelle c.d. relazioni fiduciarie, tra le quali è certamenteinquadrabile il rapporto di amministrazione, la dottrina è solitaaffermare che “qualora il mandato sia conferito a soggetti conspecifica considerazione delle loro capacità professionali (…), il

criterio della «diligenza del buon padre di famiglia» devenecessariamente adeguarsi alla peculiare accortezza e perizia,

71 A conferma della conclusione enunciata nel testo, sembra essere lacircostanza che nel sistema giuridico italiano non sia richiesta una particolarequalificazione professionale per i membri del consiglio di amministrazione. Siveda, in tal senso, Weigmann, voce Società per azioni, op. cit.

72 Cfr. App. Milano, 30 marzo 2001, in Giur. Comm., 2002, II, 200, sucui infra, nel testo.

73 Così Pipia, voce Società Anonima, in Il Digesto Italiano, vol. XXI,Torino, 1903-1906, 427.

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che è lecito attendersi da chi sia dotato della correlativa idoneitàprofessionale”74.

Nell’organizzazione societaria la funzioneamministrativa si specifica nel compimento di tutti quegli attinecessari affinché la società realizzi il suo scopo. La legge nonfornisce un elenco di tutti gli obblighi che, nell’espletamentodell’incarico, gravano sugli amministratori, ma si limita adisciplinarne alcuni in concorso con lo statuto; né sarebbeseriamente prospettabile una diversa soluzione, se si ha riguardoalla pluralità di adempimenti cui quotidianamente gliamministratori sono tenuti.

Accanto ad obblighi aventi un contenuto specifico, la cuiviolazione è di per sé sufficiente al sorgere della responsabilità,perché valutata a priori dalla legge come negligente, gliamministratori sono investiti dell’obbligo generico di gestire lasocietà con diligenza, in relazione al quale il comportamentodovuto va determinato di volta in volta, con riferimento a tutte lecircostanze del caso75. Questa distinzione comporta rilevanti

74 Così Santagata, Delle obbligazioni del mandatario, op. cit., 30, sebbenel’autore sembrerebbe spingersi fino a ravvisare una specifica professionalitàdell’amministratore di società.

75 Questa differenza si coglie con estrema nitidezza, ancora una volta,in una pagina di Umberto Pipia, scritta nel vigore dell’abrogato codice dicommercio, della quale si fornisce la riproduzione per estratto, in considerazionedegli indubbi chiarimenti apportati all’intero argomento oggetto di analisi: “Neirapporti di rappresentanza volontaria, che hanno cioè attinenza ai vincolicontrattuali di mandato posti in essere tra società mandante e amministratorimandatari, gli amministratori, nell’esercizio delle incombenze loro affidate dalpatto, sono tenuti così per il dolo, come per la colpa, […] perché, siccome gliamministratori non sono costretti dalla legge a porre in essere i rapporti scatentidalla rappresentanza, ad accettare l’esercizio di incombenze siffatte, devonogiustificare la fiducia che hanno riposta nelle proprie forze, adoperando ladiligenza astratta e tipica di un solerte e regolato commerciante […], cosìdovendo intendersi nella specie la nozione tipica del buon padre di famiglia. […]Gli amministratori d’una società anonima, se assumono e prestano personaleresponsabilità ponendo in essere qualche operazione senza portarvi la diligenzadi un solerte e regolato amministratore, non l’assumono e non la prestano piùove, in seguito ad una lievissima negligenza che sarebbe pure sfuggita al tipocomune del regolato commerciante, ne fosse derivato qualche danno, il quale staa rappresentare più il rischio insito in ogni impresa commerciale, che non la

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conseguenze qualora si decida di sanzionare la condotta degliamministratori, con particolare riferimento al regime probatorio.Mentre infatti la violazione di un obbligo specificamentedeterminato dalla legge è di per sé sintomo di negligenza,risultando pertanto sufficiente provare l’inadempimento, intesoquale violazione del precetto legale che pone quell’obbligo, laprova della negligenza richiede la dimostrazione che la condottaeffettivamente tenuta dall’amministratore in quella datasituazione, è colposamente difforme da quella che sarebbe statoragionevole attendersi secondo diligenza76.

Da ciò l’importante conseguenza per la quale, ai fini delconcreto accertamento della responsabilità, la distinzione traobblighi specifici e generico dovere di diligenza fa sì che ladiligenza stessa assuma un diverso rilievo a seconda che si versinell’un caso o nell’altro. Nella prima ipotesi, infatti, la diligenzarappresenta la misura dell’impegno richiesto all’amministratoree la responsabilità può essere esclusa, secondo la previsionedell’art. 1218 cod. civ., soltanto se l’inadempimento o il ritardoè stato determinato da impossibilità della prestazione derivanteda causa a lui non imputabile, ovverosia da causa che non possa

conseguenza della lievissima colpa. […] Trattandosi per contro dirappresentanza necessaria, purchè l’inadempimento sia imputabile, derivi cioè daimprudenza o negligenza, la quale è presunta in re ipsa, nel fatto stesso,l’amministratore deve rispondere dell’evento dannoso che ha susseguito ilproprio fatto illegittimo. […] Convien quindi ritenere, per quanto si attiene allagenerica determinazione della responsabilità nei rapporti di rappresentanzanecessaria, che, perché essa sorga, basta il fatto puro e semplice dell’omissioneimputabile dei precetti legislativi, delle incombenze affidate in base allarappresentanza necessaria stessa”. Così Pipia, voce Società anonima, op. cit., 426-427.

76 La conclusione trova conferma nella più recente giurisprudenza dilegittimità per la quale quando non si è in presenza di comportamenti in sévietati dalla legge o dallo statuto, bensì di attività commerciali naturalmenterientranti nella gestione dell’impresa, la pretesa illiceità degli atti compiutidall’amministratore dipende dal contesto in cui essi sono stati compiuti, con laconseguenza che, in simili casi, non è il mero fatto storico del compimento di uncerto atto da parte dell’amministratore ad integrare gli estremi dell’illecito, ditalché l’onere della prova gravante sull’attore necessariamente investe anche glielementi di contesto dai quali è possibile dedurre che quell’atto implica laviolazione del generale dovere di agire con diligenza (Cfr. Cass., 17 gennaio2007, n. 1045 su www.Leggid’Italia.it ).

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essere né evitata né superata con la diligenza richiesta aldebitore. Nella seconda ipotesi, invece, l’agire diligente ècompenetrato nel contenuto della prestazionedell’amministratore e, pertanto, la diligente attività del debitoreper realizzare l’interesse del creditore esclude direttamentel’inadempimento77.

2.- Casistica di condanne per negligenza.- L’esame dellagiurisprudenza mostra come raramente si sia arrivati a ritenere laresponsabilità degli amministratori per violazione del soloobbligo di agire con diligenza. Tra le sentenze analizzate,sembrerebbe che solo in pochissimi casi i giudici si siano spintifino ad emettere una condanna fondata esclusivamente sullapretesa mala gestio dell’organo amministrativo. La portata diqueste pronunce va, comunque, mitigata in quanto in ognuna diesse i giudici arrivano, in maniera più o meno espressa, apaventare il rischio di un conflitto di interessi, senza spingersi,tuttavia, fino ad accertarne concretamente la sussistenza.

La violazione del solo dovere di diligenza è stata,innanzitutto, riscontrata in ipotesi di perdita dell’interopatrimonio sociale per essere stato arrischiato in impreserovinose e fonti di sicuro e prevedibile danno. La fattispecie èspecificamente considerata in una risalente pronuncia delTribunale di Firenze del 11 novembre 1952, in Dir. fall., 1953,

77 La precisazione esposta nel testo è anch’essa contenuta nel testo diuna recente sentenza della Cassazione del 23 marzo 2004, n. 5718, suwww.Leggid’Italia.it , con la quale i giudici di legittimità si spingono sino asostenere che “laddove la diligenza rappresenta lo stesso contenuto dell’obbligodegli amministratori l’assenza di colpa assume rilievo non più soltanto nei limitiin cui esclude che l’impossibilità della prestazione sia derivata da causaimputabile al debitore, ma assume rilievo direttamente per escludere chel’obbligazione sia rimasta inadempiuta. In altre parole, l’agire diligente ex artt.1176 e 2392 c.c. esclude la sussistenza dell’inadempimento e fa venire meno lostesso presupposto del giudizio di responsabilità nei termini indicati dall’art.1218 c.c.”.

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II, 752: “Fallimento S.C.E.I.”. Nella sentenza si legge che laperdita totale risultante in bilancio consegue, “se non da dolosiintenti, quantomeno da una spaventosa incapacità commercialeed amministrativa e da una evidente inesperienza del ramo diimpresa”, lasciando sottintendere un probabile conflittod’interessi.

Il caso è il seguente: gli amministratori della societàS.C.E.I. sono convenuti in giudizio dalla curatela fallimentare, exart. 2394 cod. civ., perché ritenuti responsabili della perdita delpatrimonio sociale. In particolare, si contesta agli amministratori laconclusione di tre contratti di appalto, nei quali si concentrò tuttal’attività della società fallita, a condizioni rovinose e cioè con unribasso di circa il 32% sui prezzi base adottati dal genio civile perle aste dei lavori. Il Tribunale di Firenze, ritenute ampiamenteprovate, con la consulenza tecnica in atti, le disastrose condizionidi assunzione dei lavori, ritiene la responsabilità degliamministratori sulla base del fatto che il patrimonio della società“andò interamente perduto per essere stato arrischiato in impreseche fino ab origine erano intrinsecamente insostenibili e fonti disicura e prevedibile perdita”.

Un caso analogo, “Fallimento Mercante”, deciso dalTribunale di Milano con sentenza del 28 marzo 1985, in Soc.,1985, 1083, riguarda la perdita del capitale sociale per esserestato impiegato in operazioni ad alto rischio, comportantil’assunzione di obbligazioni di importo notevolmente superioreal capitale stesso. L’amministratore viene riconosciutoresponsabile per essersi limitato ad intraprendere quantoproposto dal marito della socia di maggioranza, senza procederead un accertamento diretto delle condizioni in ordine allapossibilità di concreta attuazione dell’affare ed alla sua realeconvenienza, con sospetto, quindi, di conflitto d’interessi.

Il caso attiene ad un’azione di responsabilità esercitatadal curatore fallimentare nei confronti dell’amministratore dellasocietà fallita, con riguardo al rilascio di vaglia cambiari perimporto notevolmente superiore al capitale sociale. L’attoaddebitato viene censurato sia perché il rapporto sottostante nonrientrerebbe in modo diretto nell’oggetto sociale sia perchériguarderebbe obbligazioni contratte con imprudenza enegligenza, tali da rendere il patrimonio sociale insufficiente alsoddisfacimento dei creditori. Nella specie, l’amministratore

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della società Mercante s.r.l. conferiva mandato ad un terzo,marito della socia di maggioranza, per il rilascio di vagliacambiari a nome della società, allo scopo di consentirne lapartecipazione ad un’operazione prospettatagli comenotevolmente vantaggiosa. Tale operazione prevedeval’esecuzione di un progetto edificatorio e la creazione di uncentro commerciale, nel quale la società avrebbe potutoassicurarsi un vantaggioso punto di vendita, per il commercio dioggetti di antiquariato, secondo le previsioni dello statutosociale. Il Tribunale di Milano ritiene che la domanda propostadal curatore fallimentare debba essere accolta, “poiché risultacome in ogni caso il convenuto non abbia agito con la diligenzadel mandatario”. In particolare, il Tribunale consideral’amministratore responsabile per essersi limitato adintraprendere quanto proposto dal marito della socia dimaggioranza, senza procedere ad un accertamento diretto dellecondizioni che avrebbero consentito di riscontrare la possibilitàdella concreta attuazione dell’affare e la sua reale convenienza,trattandosi per di più di operazione ad alto rischio, comportantel’assunzione di obbligazioni per un importo notevolmentesuperiore al capitale sociale.

Probabilmente il caso di maggiore interesse, ai fini dellacomprensione del tema trattato, attiene ad una controversiasottoposta all’esame della Corte di Cassazione e decisa consentenza del 12 novembre 1965, n. 2359, in Giur. it., 1966, I, 1,401: “Cooperativa Lavoratori di Arzignano”. La sentenza èparticolarmente interessante per la completezza dellamotivazione da cui risulta che la condotta dell’amministratoreviene sindacata con riferimento sia all’aspetto sostanziale cheprocedurale. Nel caso di specie, infatti, la responsabilitàdell’amministratore risulta non solo dal fatto che questi avrebbealienato il principale cespite patrimoniale senza che la situazioneeconomica e finanziaria della società imponesse un sacrificio ditale gravità, ma anche perché la vendita sarebbe avvenuta con“modalità sospette”, tali da far presumere un personale interessenell’operazione.

Il caso è il seguente: la società cooperativa Lavoratoridi Arzignano agisce in responsabilità contro gli amministratori,contestando loro la violazione del generale obbligo dicomportarsi con diligenza (art. 2392 cod. civ., primo comma) in

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relazione alla vendita di un cinema-teatro, posta in essere alloscopo di far fronte a necessità di denaro liquido. La Cassazioneritiene incensurabile e sostanzialmente corretta la decisionedella Corte d’Appello (App. Venezia, 26 novembre 1963), laquale ha accertato che “gli amministratori, lungi dall’adempiereai loro doveri con la diligenza del buon padre di famiglia, siresero responsabili di colpa grave nell’esecuzione delle lorofunzioni”. Secondo la Corte d’Appello di Venezia, infatti,all’epoca dei fatti contestati la situazione economica efinanziaria della cooperativa non era così disastrosa darichiedere un sacrificio di eccezionale gravità, e cioè la venditadel cinema-teatro, che costituiva il maggior cespite patrimonialedella società e l’oggetto delle prevalenti finalità sociali. Inparticolare, la Cassazione osserva come la correttezza delladecisione di merito risulti dal fatto che il sindacato dei giudiciabbia investito non quale tra le varie soluzioni fosse la piùidonea a fronteggiare la crisi (giudizio che, come vedremo, èprecluso all’autorità giudiziaria), bensì l’accertamento dellareale necessità di un provvedimento di tanta gravità. Ladecisione dei giudici di merito, a giudizio della Suprema Corte,risulta ancor più avvalorata dalle modalità della vendita: “Maciò che più conta è che la vendita del cinema-teatro avvennecon modalità sospette, quasi all’improvviso e quasiclandestinamente, in quanto gli amministratori noninterpellarono nessuno, non provocarono alcuna gara fra ipossibili acquirenti ed addivennero frettolosamente alla vendita,stipulando il contratto preliminare nello stesso giorno delladeliberazione. E la vendita avvenne, per giunta, a prezzo vile,cioè un prezzo (lire 32.750.000) inferiore di circa 17 milioni alsuo valore di scambio (49 milioni)”.

La responsabilità per violazione del solo obbligo di agirecon diligenza sembra, da ultimo, affermata nel caso “Rotostar”,deciso con sentenza del Tribunale di Milano del 28 dicembre1989, in Soc., 1990, 638, in relazione all’operato di unamministratore delegato che si era discostato ingiustificatamentedalle indicazioni del consiglio di amministrazione ed avevamostrato una palese negligenza nella gestione dell’affare.Sebbene i giudici non vi facciano riferimento, neppureimplicitamente, anche in questo caso si potrebbe forse arrivaread ipotizzare il concorso nell’operazione di un personaleinteresse dell’amministratore, avuto riguardo al concretoatteggiarsi della propria condotta.

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Il caso è il seguente: la società Rotostar s.p.a. chiedeche sia dichiarata la responsabilità dell’amministratore delegatoper violazione del generale dovere di comportarsi con diligenza(art. 2392 cod. civ.). Nella specie, l’amministratore, incaricatodi compiere gli atti necessari all’acquisto di un impianto didepurazione, si era discostato ingiustificatamente dalleindicazioni del consiglio di amministrazione ed aveva mostratouna palese negligenza nella gestione dell’affare, procurando undanno alla società. Gli addebiti contestati attengono, inparticolare, all’ordine conferito per la fornitura dell’impianto,che comportava una spesa superiore al limite fissato dalconsiglio di amministrazione, ed al pagamento dell’interacommessa prima della consegna e della positiva verificadell’opera. Il Tribunale di Milano ritiene fondata la domanda diresponsabilità perché l’amministratore non ha provato lasussistenza di fatti motivi o circostanze tali da consentirgli didiscostarsi legittimamente dalle direttive del consiglio e perchéil danno sofferto dal patrimonio sociale è riconducibile al suoillegittimo ed incauto comportamento, in quanto, “a frontedell’integrale corrispettivo della commessa, la società haricevuto un impianto incompleto e non funzionante”.

Viene spesso segnalata in dottrina78, come esemplarecondanna degli amministratori per violazione del solo obbligo diagire con diligenza, la sentenza del Tribunale di Milano, 26giugno 1989, in Soc., 1989, 1179. La pronuncia, tuttavia, è statacompletamente ribaltata in appello (App. Milano, 16 giugno1995, in Soc., 1995, 1562), quanto alla fonte dellaresponsabilità. Si tratta del noto caso “La Centrale”, relativoall’acquisto, ad un prezzo ingente, di una rilevantepartecipazione della Rizzoli s.p.a.. Il Tribunale di Milano avevariconosciuto la responsabilità degli amministratori perviolazione dell’obbligo di diligenza, rilevando comel’operazione fosse stata “condotta e gestita con emblematicaimprudenza, sommarietà ed irragionevolezza”. La Corted’Appello di Milano, investita della questione, pur mantenendoferma la responsabilità degli amministratori, ne ancora ilpresupposto ad un diverso apprezzamento delle risultanze

78 Si veda, per tutti, Bonelli, Gli obblighi e la responsabilità degliamministratori, op. cit.

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processuali: la responsabilità degli amministratori si fonderebbe,nella specie, non sulla negligenza della condotta in sé, bensì sulperseguimento di finalità extrasociali.

Il caso è il seguente: la società La Centrale FinanziariaGenerale s.p.a. agisce in responsabilità ex art. 2392 cod. civ. controgli amministratori per aver concluso operazioni finanziarierovinose in violazione del generale dovere di diligenza. I fattigestionali denunciati attengono, soprattutto, all’acquisto di unapartecipazione della Rizzoli s.p.a., fortemente indebitata al tempodi tale operazione, pari circa al quaranta per cento del capitalesociale, ad un prezzo ritenuto del tutto spropositato, ed alsuccessivo concorso nella ricapitalizzazione di detta società. Inprimo grado, i giudici riconoscono la colpevolezza degliamministratori ed, in particolare, del presidente del consigliod’amministrazione, Roberto Calvi, per essersi comportati conassoluta irragionevolezza. La Corte d’Appello conferma lacondanna di primo grado, riconoscendo, tuttavia, come lafattispecie sia piuttosto riconducibile all’ipotesi del conflittod’interessi. In particolare, i giudici di secondo grado rilevano comel’operazione sarebbe andata a vantaggio del Banco Ambrosiano,che avrebbe conseguito una riduzione della propria esposizionecreditoria verso la Rizzoli. La Centrale era, infatti, una societàfinanziaria controllata dal Banco ed, in entrambe le società,Roberto Calvi rivestiva la carica di presidente del consigliod’amministrazione. L’acquisto della partecipazione Rizzoli ad unprezzo superiore al suo valore di mercato e la successivaricapitalizzazione ne avrebbero evitato il fallimento che, in casocontrario, avrebbe inferto un duro colpo al Banco.

Dall’esame dei casi concreti si evince, dunque, comel’atteggiamento della nostra giurisprudenza sia improntato anotevole cautela: si afferma la responsabilità degliamministratori, per il profilo in esame, solo in presenza dicircostanze che, oltre a fondare la violazione dell’obbligo digestire la società con diligenza (art. 2392 cod. civ., primocomma), facciano presumere l’inadempimento dell’ulterioreobbligo di non agire in conflitto d’interessi (art. 2391 cod. civ.).

In molte sentenze, soprattutto recenti, che affrontano ilproblema della diligenza, gli amministratori sono stati assolti, inquanto accertato che le scelte gestorie, indipendentemente dalloro esito infausto, siano state ponderate sulla base di concrete e

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ragionevoli aspettative oppure avvalendosi di controlli econsulenze. Il riferimento alle aspettative trovasi affermato, inparticolare, in una sentenza del Tribunale di Parma del 3novembre 1999, in Nuova Giur. Civ., 2001, I, 220, ove si ritieneconforme a diligenza l’operato degli amministratori conspecifico riferimento al settore di attività della società:“Fallimento Editoriale Parma”.

Il caso attiene al fallimento di una società per azioni, laEditoriale Parma, avente ad oggetto la pubblicazione e ladiffusione di un quotidiano locale. Intervenuto il fallimentodella società, il curatore fallimentare agisce in responsabilitàcontro gli amministratori per violazione del generale obbligo didiligenza, contestando, in particolare, lo sconsiderato avviodell’attività di pubblicazione del giornale, avuto riguardoall’insufficienza del patrimonio della società rispetto alraggiungimento dello scopo e all’ammontare delle spesesostenute. Il Tribunale di Parma ritiene non sussistere lafondatezza dell’addebito in quanto il compimento dell’attivitàdenunciata appare conforme a diligenza, tenute presenti lemodalità attraverso cui le scelte sono state effettuate e lecircostanze esistenti nel momento in cui gli atti sono stati postiin essere. Nella sentenza, in particolare, si legge che “quando siarrivi al convincimento che le scelte gestorie,indipendentemente dal loro esito infausto, non siano state néirragionevoli, né avventate, ma ponderate sulla base di concretee ragionevoli aspettative, deve necessariamente concludersi chenon ricorra la responsabilità degli amministratori”.

Fa riferimento a considerazioni di carattere propriamenteprocedurali, invece, una sentenza della Corte d’Appello diMilano del 30 marzo 2001, in Giur. Comm., 2002, II, 200, in cuisi ritiene assolto l’obbligo di diligenza degli amministratori, inrelazione all’acquisizione di altra società, nell’aver dispostocontrolli e consulenze, tenuto conto della difficoltà oggettiva dicomprensione della gestione dell’acquisenda società: “RCSEditori”.

La questione prospettata ai giudici milanesi attieneall’esercizio dell’azione di responsabilità da parte della societàRCS Editori s.p.a., contro il presidente del consiglio diamministrazione, per violazione del dovere di diligenza

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nell’acquisizione di altra società. La RCS Editori s.p.a.procedeva all’acquisto della partecipazione di controllo dellasocietà Gruppo Editoriale Fabbri dalla precedente controllante.Dalle perizie e revisioni dei bilanci non era emerso che la metàdel fatturato dell’acquisenda società rimaneva insoluto inquanto i crediti insoddisfatti venivano ceduti ad una società difactoring, garantita dalla precedente controllante. Con ladecisione di acquisto, la RCS Editori s.p.a. subentrava nellagaranzia con conseguenze disastrose per il patrimonio sociale.La Corte d’Appello di Milano conferma la decisione di primogrado, che aveva negato la sussistenza della responsabilità,ritenendo assolto l’obbligo di diligenza nell’aver dispostocontrolli e consulenze, tenuto conto della difficoltà oggettiva dicomprensione della gestione dell’acquisenda società.

Nella stragrande maggioranza dei casi, in cui si èeffettivamente arrivati ad una condanna per violazione deldovere di diligenza, è da notare come gli amministratori fosserostati chiamati a rispondere anche, ed innanzitutto, per altreviolazioni di legge. Tra le ultime sentenze, a titolo d’esempio, sene può segnalare una del Tribunale di Milano del 20 febbraio2003, in Soc., 2003, 1268, in cui si riconosce la responsabilitàdegli amministratori sia per mancata diligenza che per avercompiuto nuove operazioni dopo la perdita del capitale sociale:“Fallimento Ceta”.

Il caso è il seguente: il curatore fallimentare conviene ingiudizio gli amministratori della società fallita Ceta s.r.l.,contestando loro sia la violazione del divieto di compiere nuoveoperazioni dopo la perdita del capitale sociale sia l’aver compiutospecifici atti di mala gestio relativi alla concessione di finanziamentiad altre società ed all’acquisto di un capannone. Il Tribunale diMilano – premesso che gli atti in contestazione “devono esserevalutati sotto una duplice visuale: di atto specifico di mala gestiocausativo di danno, a prescindere dalla perdita del capitale socialeed implicante semmai una valutazione della scelta gestoria; di attocompiuto in situazione di perdita del capitale sociale, rilevante inquanto pregiudizievole, indipendentemente dalla ragionevolezza omeno della scelta gestoria” – riconosce la responsabilità degliamministratori per entrambi i profili considerati.

La difficoltà nell’accertamento della responsabilità degliamministratori per violazione del solo obbligo di agire con

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diligenza si spiega alla luce del principio della insindacabilitànel merito delle scelte di gestione, cosiddetta businessjudgement rule. L’operatività del principio comporta che ilgiudice, investito di un’azione di responsabilità per condottanegligente degli amministratori, non possa apprezzare il meritodei singoli atti di gestione, valutandone, così, l’opportunità e laconvenienza. La gestione della società, infatti, in quanto attivitàd’impresa, comporta un alto margine di rischio e richiede ilriconoscimento di un ampio potere discrezionale in capoall’organo amministrativo, in relazione alla scelta delleoperazioni da intraprendere. Se si consentisse al giudice dicompiere una valutazione sull’opportunità e convenienza dellescelte gestorie, si legittimerebbe un’indebita ingerenzadell’autorità negli affari sociali, in pregiudizio all’autonomia edindipendenza dell’organo amministrativo e con probabileparalisi del normale svolgimento dell’attività d’impresa79. Ciòche forma oggetto di sindacato da parte del giudice, dunque, nonpuò essere l’atto in sé considerato ed il risultato che abbiaeventualmente prodotto, bensì, esclusivamente, le modalità diesercizio del potere discrezionale che deve riconoscersi agliamministratori.

La giurisprudenza è unanime nel riconoscerel’applicabilità del principio del business judgement: in tutte ledecisioni che si occupano, più o meno direttamente, delladiligenza si trova enunciato, infatti, che “deliberata e promossal’azione di responsabilità contro gli amministratori, a normadell’art. 2393 cod. civ., il giudice non può fondare il suogiudizio su di un diverso apprezzamento discrezionale dellaopportunità dei singoli atti dai medesimi compiuti […]. In effettiil giudice non può sindacare il merito degli atti e dei fatticompiuti dagli amministratori, o meglio non può giudicare sulla

79 Gli amministratori, infatti, sarebbero costantemente esposti alrischio di un eventuale responsabilità, derivante da un diverso apprezzamentosoggettivo degli atti di gestione e, per di più, influenzato dal “senno di poi”. Ciòporterebbe ad una penalizzazione delle operazioni innovative e inusuali, che,valutate ex post, dopo il loro fallimento, ben potrebbero apparire come condottecon assoluta negligenza. Si veda, in tal senso, Bonelli, Gli obblighi e la responsabilitàdegli amministratori, op. cit.

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base di criteri discrezionali di opportunità o di convenienza,poiché in tal modo egli sostituirebbe, ex post, il proprioapprezzamento soggettivo a quello espresso ed attuatodall’organo all’uopo legittimato. Ai fini dell’azione diresponsabilità, il giudice deve accertare e valutare ilcomportamento degli amministratori in base ai principi generaliche regolano gli inadempimenti contrattuali (in senso lato) ed ilrisarcimento dei danni. Di conseguenza, in applicazione dell’art.2392 cod. civ., egli deve accertare (nei limiti delle domandeproposte dalle parti) se e quali inadempienze siano imputabiliagli amministratori, in relazione ai doveri ad essi imposti dallalegge e dall’atto costitutivo”80.

L’affermazione secondo cui “il giudice non puòsindacare il merito degli atti e dei fatti compiuti dagliamministratori”, non va intesa, comunque, nel senso di unapreclusione nell’apprezzamento di situazioni, circostanze difatto e ragioni connesse alle scelte di gestione, bensì nel sensoche la responsabilità dell’amministratore potrà essere ritenutasoltanto qualora il giudice, valutando la condottadell’amministratore con riferimento al momento in cui fu postain essere, la giudichi non conforme a diligenza.

A conferma delle conclusioni enunciate, circa il tipo disindacato che si richiede al giudice, si segnala la sentenza dellaSuprema Corte, n. 280 del 16 gennaio 1982, pubblicata in Giust.civ., 1983, I, 603: “Finanziaria Castello”. La sentenza vienespesso citata in dottrina in relazione al contenuto dei poteri dariconoscersi all’autorità giudicante, in quanto nella massima siafferma che “in sede di accertamento delle responsabilità ex art.2392 c.c. di amministratori di società per azioni che abbianocompiuto con debitori sociali transazioni non vantaggiose per la

80 Così, testualmente, Cass., 12 novembre 1965, n. 2359, citata neltesto. Sembra opportuno ribadire come, essendo la responsabilità degliamministratori una responsabilità da inadempimento, in nessun caso si potrebbearrivare a sostenerne la sussistenza sulla base delle conseguenze dannosederivanti dalle loro scelte discrezionali di gestione: il nostro sistema giuridico,infatti, non impone agli amministratori l’obbligo di amministrare con successoeconomico la società loro affidata.

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società, il giudice non deve confrontare i negozi posti in esserecon ipotetiche transazioni che in astratto avrebbero potuto esserestipulate, perché le singole modalità del rapporto giuridico che sicostituisce con la transazione rientrano nei poteri discrezionalidell’organo amministrativo, cui compete di valutare la congruitàdel negozio nell’interesse della società per cui agisce”.

Il caso è il seguente: l’amministratore delegato dellasocietà Finanziaria Castello s.p.a. invece di agire in giudizio controdue debitori sociali inadempienti, stipula con loro due transazioni.Cessato dalla carica, l’amministratore viene convenuto in giudiziodalla società che ritiene le transazioni concluse rovinose emanifestamente contrarie a diligenza. Nel giudizio di merito siriconosceva la responsabilità del cessato amministratore sulla basedel giudizio del consulente tecnico d’ufficio, che aveva ritenutoinopportune le due operazioni, confrontandole con altre che inastratto si sarebbero potute compiere. La Corte di Cassazionedenuncia, sostanzialmente, due errori della decisione di merito: ilprimo, consistente nel fatto che il giudice, invece di esprimeredirettamente un giudizio sulla diligenza o menodell’amministratore, si è limitato a recepire le conclusioni delconsulente tecnico; il secondo, attinente al fondamento dellaresponsabilità, riscontrato non già sull’accertamento diinadempimenti, negligenze omissioni dell’amministratore, bensìsulla difformità riscontrata tra le transazioni poste in essere equelle immaginate in ipotetica ed astratta. La Corte, inoltre, nelrinviare ad altro giudice di merito l’accertamento circa l’impiegodella dovuta diligenza da parte dell’amministratore nellaconclusione dei negozi transattivi, lo invita a procedere ad unriscontro diretto della situazione economica dei debitori, al fine distabilire quali possono essere, secondo l’id quod plerumque accidit, leprobabilità di recupero del credito vantato dalla società.

La giurisprudenza, pur affermando costantemente ilprincipio del business judgement, ne attenua spesso il rigore,valutando la ragionevolezza della decisione (Trib. Milano, 26giugno 1989, vedi retro) e, soprattutto, analizzando la faseprodromica all’assunzione della stessa, al fine di attestarne laponderatezza (Cass., 28 aprile 1997, n. 3652, in Soc., 1997,1389).

Particolarmente interessante, e destinata ad ispirare tuttele successive pronunce sullo stesso argomento, è la sentenza n.

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3652, del 28 aprile 1997, pronunciata dalla Corte di Cassazionenel caso “Associazione Calcio Monopoli”, perché in essa sitrova enunciato il discrimine tra valutazioni di mera opportunità,come tali non censurabili in sede giudiziaria, e valutazioniconcernenti la violazione dell’obbligo di diligenza. A giudiziodella Suprema Corte, infatti, “la scelta tra il compiere o meno uncerto atto di gestione, oppure di compierlo in un certo modo o indeterminate circostanze, non è mai di per sé sola (salvo che nondenoti addirittura la deliberata intenzione dell’amministratore dinuocere all’interesse della società) suscettibile di essereapprezzata in termini di responsabilità giuridica, perl’impossibilità stessa di operare una simile valutazione con unmetro che non sia quello dell’opportunità e perciò di sconfinarenel campo della discrezionalità imprenditoriale; mentre,viceversa, è solo l’eventuale omissione, da partedell’amministratore, di quelle cautele, di quelle verifiche o diquelle informazioni preventive normalmente richieste per unascelta di quel genere che può configurare la violazionedell’obbligo di adempiere con diligenza il mandato diamministrazione e può quindi generare una responsabilitàcontrattuale dell’amministratore verso la società”81.

Nel caso in esame, la società Associazione CalcioMonopoli s.r.l. agiva in responsabilità contro gli amministratoriper la violazione dell’obbligo di diligenza e di altri specifici

81 In termini del tutto analoghi si esprime da ultimo il Tribunale diMilano con sentenza del 14 aprile 2004, in Giur. it., 2004, 1897, nella cuimassima si legge: “Il giudizio sulla diligenza dell’amministratorenell’adempimento del suo mandato non può mai investire le scelte di gestione (ole modalità o le circostanze di tali scelte), ma solo l’omissione delle cautele,verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di queltipo, operata in quelle circostanze e con quelle condizioni”. Nel caso di specie, ilTribunale rigetta la domanda della società attrice nei confronti del cessatoamministratore delegato, in relazione all’addebito di negligenza gestoriaconcernente la conduzione del rapporto commerciale con un cliente rifornitodall’attrice per merce di rilevante valore. In particolare, il Tribunale ritiene dinon poter reputare negligente la condotta dell’amministratore convenuto, peraver proseguito le forniture al cliente pur in presenza di esposizioni debitorie viavia accumulatesi e da ultimo sfociate nel fallimento, e ciò in quantol’amministratore avrebbe contemporaneamente attuato un costantemonitoraggio della situazione, non essendo univocamente prevedibile lanegativa evoluzione del rapporto, anche alla luce del suo precedente sviluppo.

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obblighi. In particolare, la società si doleva: 1. dell’ingaggio, a costielevati, di giocatori non più giovani; 2. degli artifici contabili, voltial mascheramento delle perdite sociali; 3. dello storno di denarodalle casse della società. I giudici di merito avevano respinto ladomanda della società. La Corte di Cassazione, investita dellaquestione, respinge le censure inerenti agli addebiti sub 1. e 2.,mentre, con riferimento all’ipotesi sub 3., cassa con rinvio lasentenza, ritenendo il punto non sufficientemente approfondito.Con particolare riferimento al profilo della diligenza, la Cassazionesottolinea come, nel caso in esame, “l’avere gli amministratoridella società Monopoli deciso d’ingaggiare certi giocatori,piuttosto che altri, e di sostenere i relativi costi, si sottrae – di persé – ad ogni possibile censura di legittimità, volta che non è statodedotto che tale scelta sia stata compiuta dagli amministratorisenza assumere adeguate informazioni sulle qualità sportive,sull’età e sullo stato fisico dei calciatori in questione, oppure suiprezzi usualmente praticati, sulle condizioni del mercato o su altresimili circostanze”.

In conclusione, l’analisi della giurisprudenza ha mostratocome quasi mai i nostri giudici siano arrivati a condannare gliamministratori di società di capitali per violazione del soloobbligo di gestire la società con diligenza. Ciò è accaduto, per lopiù, in presenza di macroscopiche violazioni che potevano farpresumere anche la violazione dell’ulteriore obbligo di non agirein conflitto d’interessi.

La difficoltà di un simile accertamento deriva,soprattutto, dall’operatività in materia del principiodell’insindacabilità nel merito delle scelte di gestione compiutedagli amministratori nell’esercizio dell’impresa.

Stante l’applicabilità del principio, la giurisprudenzaritiene che il giudizio sulla diligenza non possa mai investire ledecisioni amministrative, ma al più il modo in cui esse sonostate compiute, a nulla rilevando, inoltre, l’eventuale esitonegativo delle stesse.

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3.- Riforma delle società e nuova formulazione deldovere di diligenza.- Nell’analizzare il dovere di diligenza conriferimento all’incarico gestorio, ci si è volutamente riferiti allavecchia formulazione dell’art. 2392, primo comma, cod. civ.,tralasciando ogni considerazione sulla portata dell’intervento diriforma che ha parzialmente riscritto il testo della disposizione.La scelta, come detto, è stata intenzionale, sia perché tale è lanorma ancora oggetto di applicazione nei singoli casi specificida parte della nostra giurisprudenza, soprattutto di legittimità,sia perché si ritiene che solo attraverso la ricostruzione delleinterpretazioni che hanno dato senso alla vecchia formula deldovere di diligenza, si possa cogliere concretamentel’importanza dell’innovazione che, per la verità, sembrapiuttosto trascurabile.

Com’è noto, il nuovo testo della disposizione in esamerecita testualmente: “Gli amministratori devono adempiere idoveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenzarichiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifichecompetenze”. La diligenza degli amministratori, dunque, nonviene più definita, per rinvio alle norme sul mandato, come ladiligenza che un buon padre di famiglia deve usarenell’adempimento dell’obbligazione. Ma in effetti, con il plausodi quanti hanno più volte tacciato il tradizionale parametro comeanacronistico ed inadeguato, forse non del tutto consapevolidelle potenzialità di una ragionata attività interpretativa, si èvoluta coniare una formula che fosse autonoma e propria diquella particolare fattispecie.

Il richiamo alla natura dell’incarico contenuto nellamodifica ha spinto i più ad osservare come per la verità illegislatore avesse finalmente introdotto un criterio di diligenzaprofessionale, anche se tuttavia si è per lo più orientati adescludere il metro della perizia dall’obbligazioneamministrativa, svuotando l’affermazione di ogni contenuto e

Il paragrafo prende a base le conclusioni svolte dal Prof. GustavoVisentini nel corso del Convegno di Imperia, 26-27 settembre 2003, i cui Attisono raccolti in Afferni – Visintini, Principi civilistici nella riforma del DirittoSocietario, op. cit.

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valore concreto. La conclusione è largamente dominante nelladottrina che si è formata intorno al nuovo precetto ma, comediremo, appare difficilmente operativa. D’altra parte, se si leggela relazione al codice del 1942, ci si accorge facilmente di comela diligenza richiesta nell’adempimento di qualsiasiobbligazione vada comunque apprezzata con riferimento allanatura dell’incarico, non soltanto dunque quando tale incaricorivesta il carattere di una specifica professionalità, in relazionealla quale il riferimento vale piuttosto a richiamare le regoledell’arte.

Superato dunque l’entusiasmo che troppo spessoaccompagna i nostri farraginosi interventi di riforma, mi pare inrealtà che l’innovazione sia piuttosto limitata al pianomeramente semantico. Si è infatti sostituito al discussoparametro della “diligenza del mandatario”, un criteriocertamente più neutro, ma che nulla sembrerebbe aggiungere aquanto già ritenuto dalla migliore dottrina e giurisprudenza. Inparticolare, non credo che per il tramite della modifica in esame,il legislatore abbia voluto finalmente introdurre per gliamministratori il riferimento alla diligenza professionaledell’art. 1176, secondo comma, cod. civ., che alla letterasembrerebbe prevedere un particolare modulo di diligenza.

Al di là di ogni considerazione circa l’opportunità diintendersi una volta per tutte sull’esatta portata del secondocomma dell’art. 1176 – nel senso, già accennato, che esso nonimpone “all’agente professionale una diligenza più severa, maintende solo solennizzare, richiamandola espressamente, ladiligenza del bonus pater «professionale», sintetizzata dallaformula «a regola d’arte»”82, rappresentando dunque nient’altroche un corollario accessorio del relativo primo comma – credoinfatti che il frequente riferimento alla diligenza professionalenella materia de qua derivi più da un equivoco che dall’effettivoriconoscimento legislativo di una specifica professionalitàamministrativa. Mi sembra cioè che da più parti si tenda aconfondere la complessità che l’attività di gestione sociale

82 Così Forchielli, voce Colpa I (Diritto Civile), op. cit., 5.

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sicuramente presenta con il possesso da parte del soggettoagente di una particolare professionalità, tralasciando del tutto laconsiderazione che in nessuna norma legale, di caratteregenerale, è rintracciabile la prescrizione del possesso di specificirequisiti professionali per accedere alle caricheamministrative83.

Per convincersene basti d’altra parte considerare comeper assumere il diverso incarico di sindaco, il legislatoreeffettivamente, ed espressamente, imponga come necessario ilpossesso di ben individuati requisiti di professionalità.Circostanza questa che trova il suo giusto pendant in una diversaformulazione del criterio di imputazione delle responsabilità,ove infatti si prevede che i sindaci debbano “adempiere i lorodoveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla naturadell’incarico”.

Come spesso accade, dunque, mi pare si tenda piuttostoa confondere il piano della mera opportunità con quello dellaeffettiva giuridicità, sovrapponendo valutazioni essenzialmentepolitiche alla concreta sanzionabilità della condottaamministrativa, e dimenticando in definitiva come ubi lex voluitdixit, ubi noluit tacuit.

L’enunciata conclusione sulla sostanziale irrilevanzadella modifica del criterio di diligenza, risulta oltremodoevidente alla lettura della Relazione di accompagnamento aldecreto delegato: “Nell’adempimento dei doveri imposti dallalegge o dallo statuto gli amministratori devono usare la diligenzarichiesta dalla natura dell’incarico: il che non significa che gliamministratori debbano necessariamente essere periti incontabilità, in materia finanziaria, e in ogni settore della gestionee dell’amministrazione dell’impresa sociale, ma significa che leloro scelte devono essere informate e meditate, basate sulle

83 A conferma di quanto affermato nel testo, si consideri ladisposizione del nuovo art. 2387 cod. civ. che, con riferimento al possessospeciali di requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza, cui sottoporrel’assunzione dell’incarico amministrativo, stabilisce che sarà lo statuto a poterdisporre in tal senso.

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rispettive conoscenze e frutto di un rischio calcolato, e non diirresponsabile o negligente improvvisazione”.

Se con la modifica quindi si è inteso, come pare, evitaredi commisurare la negligenza dell’amministratore secondo unparametro uniforme, si è detto quanto già era nella convinzionecomune, e che d’altra parte la vecchia formulazione nonimpediva.

Degno di nota diventa allora il riconoscimento nellalettera del testo di quella “graduazione di attività amministrativaalla quale risponde una graduazione di diligenza dovuta dalsingolo amministratore”84, della cui esistenza non sembra lecitodubitare. Il riferimento alla “natura dell’incarico” e alle“specifiche competenze”, infatti, credo vada letto nel senso dellaopportuna introduzione di considerazioni inerenti alla nomina ealla posizione concreta che l’amministratore viene ad assumereall’interno della società, ai fini della valutazione dell’esattoadempimento e, in difetto, delle eventuali responsabilità.

In particolare, sostenere che l’amministratore debbaadempiere i doveri propri della sua funzione con la diligenzarichiesta dalla natura dell’incarico, ritengo equivalga anzitutto arichiamare il generale riferimento “al tipo speciale del singolorapporto”, che la Relazione al codice del 1942 suggerisce inconsiderazione dell’adempimento di qualsiasi obbligazione.Inoltre, la previsione consentirebbe di prendere in esame, ai finidella individuazione della diligenza in concreto dovuta, tanto laragione dell’incarico quanto la posizione effettiva chel’amministratore viene ad assumere in società. Quanto alle“specifiche competenze”, invece, la precisazione credo valga ariservare spazio, questa volta sì, alla considerazione delle qualitàprofessionali dell’amministratore, nel senso che, se questi ne siacomunque in possesso e tale circostanza sia stata effettivamentevalutata ai fini del conferimento dell’incarico, allora saràragionevole attendersi dall’amministratore una condottaconforme agli standards che regolano l’esercizio di quellaspecifica professione, con la conseguenza che l’eventuale

84 Così De Gregorio, Responsabilità degli amministratori, op. cit., 337.

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responsabilità andrà graduata oltre che con riferimento allospecifico ruolo rivestito, anche sulla base delle personalicognizioni tecniche in ipotesi possedute.

A tale ultimo riguardo è confortante come un’attentagiurisprudenza di merito abbia di recente sottolineato chel’amministratore risponde secondo i criteri generalidell’inadempimento colpevole, nell’accezione dell’imperizia, nelcaso in cui l’amministratore sia ad esercitare il suo compitonell’ambito di una specifica qualità professionale, della negligenza,nel caso in cui non possedendo specifiche doti professionali non sisia avvalso di collaboratori competenti85.

In conclusione, dunque, la nuova formulazione deldovere di diligenza è scarsamente innovativa sotto il profilodelle soluzioni interpretative ed applicative, tuttavia essapresenta sicuramente il pregio di riconoscere normativamenteelementi di concretezza alla valutazione della condottadell’amministratore.

85 L’osservazione si legge in un’ordinanza del Tribunale di Roma del13 giugno 2006, la cui massima è pubblicata su www.LeggidItalia.it .

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CONCLUSIONI

Diligenza è anzitutto termine di uso comune che trova unimpiego peculiare in campo giuridico, senza che da ciò ne risultisostanzialmente mutato il senso.

Come nel linguaggio parlato, così nel diritto, la diligenzaevoca infatti l’idea della tensione verso il buon fine,specificandosi nella “applicazione assidua, attenta, sollecita”,con riferimento allo svolgimento di qualsivoglia attività.

In ambito propriamente giuridico, la diligenza, qualemodo di essere della condotta, è essenzialmente parametro perl’individuazione dell’esatto adempimento, assumendo rilievosoprattutto come fondamentale criterio di valutazione delleeventuali responsabilità.

È di immediata evidenza, infatti, l’indubbio e stringenterapporto che lega il mancato impiego della dovuta diligenza, lanegligenza, e la sussistenza della colpa quale elementosoggettivo dell’illecito, nel senso che è nel sentire comune,prima ancora che giuridico, la sovrapposizione, a dire il veronon perfettamente coincidente, tra l’una e l’altra qualificazionedel comportamento umano.

È proprio il momento negativo della diligenza adinteressare il diritto, perché è solo con riferimento a talemomento che la regola di condotta che la nozione esprimediventa azionabile e sanzionabile, concorrendo cosìall’applicazione e all’attuazione dell’ordinamento giuridico.

L’impiego della diligenza nel mondo giuridico è unacostante comune a tutti gli ordinamenti in ogni epoca storica, mala maggiore considerazione ed elaborazione della materia ècertamente riferibile al lavoro di interpretazione e sistemazionedelle fonti romane ad opera dei giuristi medioevali. È in questafase, infatti, che prende corpo la tradizionale teoria dei gradi

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della colpa e, correlativamente, della diligenza che, unita aicomplementari criteri dell’utilitas e della diligentia quam suis,costituisce il sistema sanzionatorio della condotta del debitore,con particolare riguardo all’adempimento delle obbligazionicontrattuali.

Il sistema di graduazione della colpa e diligenza, sebbeneoggetto di diverse formulazioni che tuttavia non riescono adalterarne sostanzialmente l’essenza, conserva il proprio ruolofondamentale di determinazione della responsabilità in relazioneai singoli rapporti almeno fino alla codificazione napoleonica. Sideve infatti ai compilatori del codice francese il primo tentativodi riconoscere, in via generale ed astratta, un uniforme modulolegale della diligenza e, di conseguenza, un’unica intensità dellacolpa. Tale tentativo di reductio ad unum, tuttavia, per quantoformalmente riuscito e consolidato attraverso il recepimento delcode civil ad opera di altri ordinamenti, tra cui il nostro, nonsfugge ad alcune inevitabili aperture, tanto legali checonvenzionali ed interpretative, originate dalla spontaneaconsiderazione che la diligenza, anche nel diritto, non è unindistinto, bensì riflette una graduazione naturale che è insitanelle diverse tipologie di relazioni e comportamenti umani. Diconseguenza, quand’anche si volesse ancorare la valutazionedella diligenza ad un parametro, predeterminato per legge, chefosse veramente “obiettivo e generale”, non mi sembra che ciòriesca effettivamente a sgombrare il campo dalla specificaconsiderazione del singolo caso concreto e, in particolare, dariflessioni di natura soggettiva che nei fatti concorrono adinfluenzare la scelta dell’obbligato per l’affidamentodell’incarico.

Con queste premesse, il nostro codice, all’art. 1176,disciplina il dovere di diligenza che il debitore deve osservarenell’adempimento dell’obbligazione. Il legislatore sceglie diaffidarsi al tradizionale modulo del buon padre di famiglia, che èparametro espressivo ed elastico, suscettibile di adattarsi almutare dei tempi e delle circostanze. Il riferimento alla diligenzadel buon padre di famiglia vale ad esprimere quella soglia diattenzione che la persona accorta impiegherebbe con riferimentoa quella data situazione. Questo canone generale è

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inevitabilmente destinato ad adeguarsi ai diversi tipi di attività inrelazione alle differenti tipologie di rischio, cosicché il secondocomma della norma in esame, che testualmente dispone laconsiderazione della natura dell’attività per l’adempimento diobbligazioni professionali, va certamente interpretato come unamera esemplificazione legislativa della regola enunciata nelprimo comma: il legislatore infatti, e per suo tramite la società,non richiede diligenze estreme, bensì semplicemente idonee.

La regola di condotta che esprime la diligenza assumeun’importanza diversa a seconda del tipo di prestazionerichiesta. In particolare, con riferimento alle cosiddetteobbligazioni di mezzi, obbligazioni cioè in cui non si richiede aldebitore il conseguimento di un risultato specificamentedeterminato, ma semplicemente lo svolgimento di un’attivitàdiscrezionale ed aleatoria nell’interesse del creditore, ladiligenza, oltre a rappresentare il metro di valutazione delleeventuali responsabilità, finisce per identificarsi con il contenutostesso della prestazione. In tali ipotesi, infatti, il creditore,qualora voglia effettivamente far valere la responsabilità perinadempimento del debitore, sarà onerato di figurarsi la condottache in astratto era ragionevole attendersi, secondo diligenza, daldebitore in quelle circostanze, per poi fornire la prova che ilcontegno in concreto tenuto sia colposamente difforme da quelloatteso.

La situazione appena descritta presenta propriepeculiarità soprattutto quando si abbia riguardo ad attività digestione nell’interesse altrui, laddove la diligenza diventa laregola fondamentale, di carattere generale, per l’apprezzamentodella conformità o meno della gestione all’interesse gestito, pursempre nei limiti del rischio che qualsiasi attività di tal generecomporta.

Tipica espressione di tale assetto di interessi si hacertamente con riferimento al rapporto di amministrazione disocietà, inquadrabile nella più generale categoria delle relazionifiduciarie. L’amministrazione di una società, infatti, specie se sitratti di società per azioni, comporta sempre una dissociazionetra i titolari dell’interesse, la società e i soci, e il soggetto che

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materialmente si occupa della gestione. Inoltre, essendo lasocietà dedita ad affari di carattere imprenditoriale, la gestioneviene a configurarsi come un’attività fortemente discrezionale,soggetta ad elevato rischio.

Nel rapporto di amministrazione, dunque, la diligenza èregola generale cui gli amministratori devono uniformare lapropria condotta nell’espletamento dell’incarico. Diconseguenza, nell’ipotesi in cui dalla gestione dovesse risultareun danno all’interesse gestito, la diligenza diventa criteriofondamentale per l’apprezzamento delle eventualiresponsabilità.

Sebbene siano numerosissime le sentenze in materia diresponsabilità degli amministratori che si occupano delladiligenza, un’attenta lettura delle motivazioni mostra invececome quasi mai i giudici siano arrivati a pronunciare lacondanna sulla base della sola violazione del dovere didiligenza. Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, lacondotta degli amministratori è stata qualificata negligenteperché relativa ad una situazione di conflitto di interessi oall’inosservanza di specifiche disposizioni di legge.

Sono dunque rarissime le pronunce in cui i giudiciarrivano a sanzionare la condotta degli amministratori perviolazione del solo dovere di diligenza, e ciò esclusivamente inpresenza di macroscopiche negligenze, tali da far quantomenopresumere la sussistenza di un conflitto di interessi. Quanto allefattispecie, la violazione de qua è stata accertata in ipotesi diperdita dell’intero patrimonio sociale a causa di operazionialtamente rischiose, condotte in modo totalmente sconsiderato,oppure in caso di alienazione del maggior cespite patrimonialedella società in modo anomalo e senza che ve ne fosse una realenecessità, o ancora in ipotesi di pagamento della commessarelativa alla fornitura di un impianto prima della consegna edella positiva verifica dell’opera.

Come è agevole constatare, la nostra giurisprudenzaassume un atteggiamento estremamente cauto in relazione alconcreto operare della regola che esprime la diligenza. Ciò,

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ritengo, sostanzialmente per due ragioni: innanzitutto perché, aldi là di alcune ipotesi particolari, il nostro legislatore non esigein generale alcuna accortezza straordinaria da chi accetti diassolvere la funzione amministrativa; inoltre, e soprattutto,perché la materia è pacificamente regolata dal principiodell’insindacabilità nel merito delle scelte di gestione, cosiddettabusiness judgment rule, in base al quale si esclude che il giudicepossa apprezzare liberamente il merito degli atti di gestioneposti in essere dagli amministratori, potendo esclusivamentevalutare le modalità di assunzione delle decisioniamministrative, al fine di sindacarne la ponderatezza. A talicircostanze, bisogna senz’altro aggiungere la concreta difficoltàche la stessa prova della negligenza di per sé inevitabilmentecomporta.

Con la recente riforma delle società di capitali, si èprovveduto a modificare il testo dell’art. 2392, primo comma,cod. civ., e, con esso, la formulazione del dovere di diligenzadegli amministratori. Si è infatti sostituito al tradizionaleparametro della “diligenza del mandatario”, quello “delladiligenza richiesta della natura dell’incarico e dalle lorospecifiche competenze”.

Non mi sembra che il cambiamento sia particolarmentesignificativo sotto il profilo delle soluzioni interpretative edapplicative, nel senso che esso non aggiunge nulla a quanto giàritenuto dalla migliore dottrina e giurisprudenza. Soprattutto,non credo che valga ad imporre, in via generale, un particolaremodulo di diligenza in capo ai nostri amministratori. Quello cheinvece è certamente innovativo, oltre che senz’altro lodevole, mipare essere il riconoscimento, finalmente anche a livellolegislativo, dell’innegabile graduazione di attivitàamministrativa alla quale corrisponde la graduazione didiligenza dovuta dal singolo amministratore.