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A cura del Dott. Nicola MONFREDA LA DICHIARAZIONE INFEDELE ED IL CONDONO FISCALE

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A cura del Dott. Nicola MONFREDA

LA DICHIARAZIONE INFEDELE

ED IL CONDONO FISCALE

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INDICE

LA RIFORMA DEL DIRITTO PENALE TRIBUTARIO p.03

LA DICHIARAZIONE INFEDELE EX ART. 4 p.04

IL CONDONO FISCALE p.21

IL CONDONO TOMBALE EX ART.9 p.23

GLI EFFETTI PENALI DEL CONDONO TOMBALE p.25

L’ESTENSIONE DELLA NON PUNIBILITA’ AGLI AMMINISTRATORI IN IPOTESI DI CONDONO DELLA SOCIETA’ p.30

IRRILEVANZA PENALE DELLA DICHIARAZIONE p.41

LE CAUSE OSTATIVE ALL’ACCESSO AL CONDONO p.42

LE PRECLUSIONI PENALI E I BENEFICI PENALI IN RIFERIMENTO ALLA L.516/1982 p.51

LA DICHIARAZIONE INTEGRATIVA EX ART.8 p.53

BIBLIOGRAFIA p.56

GIURISPRUDENZA p.57

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LA RIFORMA DEL DIRITTO PENALE TRIBUTARIO

Il D.Lgs. 10.3.2000, n. 74, emanato in attuazione dell’art. 9 della legge 25.6.1999, n.

205, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 76 in data 31.3.2000, concerne la “Nuova

disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto”, ed ha

abrogato, altresì, il titolo I del D.L. 10.7.1982, n. 429, convertito, con modificazioni,

dalla legge 7.8.1982, n. 516.

Il recente provvedimento, alla luce del sostanziale fallimento conseguito dalla legge c.d.

“manette agli evasori”, è frutto di un lungo processo di riformulazione normativa

finalizzato a rendere il diritto punitivo tributario uno strumento di intervento efficace,

armonioso e legato indissolubilmente all’elemento della intensità del danno o della

aggressione al bene protetto e dunque, sulla base della consistenza, maggiore o minore,

dell'evasione consumata dal contribuente infedele. Con la legge in esame, quindi, si

realizza una significativa inversione di rotta nella filosofia ispiratrice dell’impianto

sanzionatorio penal-tributario, in quanto non viene più riproposto a baricentro dello

stesso il modello dei cosiddetti “reati prodromici”. Di conseguenza, viene abbandonato

il sistema della L.516/1982, norma caratterizzata da reati contravvenzionali di mera

condotta e di pericolo astratto, volti a colpire non l’effettiva lesione degli interessi

erariali, bensì i comportamenti tenuti “a monte” dai contribuenti, astrattamente idonei

per realizzare una successiva evasione.

Il D.lgs.74/2000 introduce un sistema formato da un ristretto numero di fattispecie, di

natura esclusivamente delittuosa, tutte caratterizzate dal requisito soggettivo del dolo

specifico che richiede l’accertamento in capo all’autore del reato del fine di evadere le

imposte, oltre a prevedere, per le fattispecie di cui agli artt.3, 4 e 5 una soglia di

rilevanza penale che aggancia l’intervento punitivo al superamento di predeterminati

limiti quantitativi, espressione di un effettivo evento di danno conseguente all’evasione.

Il legislatore ha posto particolare attenzione al rispetto del fondamentale obbligo della

presentazione della dichiarazione annuale ai fini II.DD. ed I.V.A., riferimento

cronologico in relazione al quale si realizza il presupposto dell’evasione. Si sono

eliminate, quindi, le violazioni meramente formali e preparatorie, che rimangono “a

monte” e non riverberano riflessi sulla dichiarazione, come, ad esempio, le omesse

fatturazioni o annotazioni in contabilità di operazioni attive, o le irregolarità nella tenuta

delle scritture contabili. La non veritiera rappresentazione della situazione reddituale e

delle basi imponibili nelle dichiarazioni annuali ai fini delle imposte sui redditi e sul

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valore aggiunto, può dar luogo ad una delle tre tipologie criminose costituenti il fulcro

del nuovo impianto, ossia la “dichiarazione fraudolenta” (artt. 2 e 3), la “dichiarazione

infedele” (art. 4) e la “omessa dichiarazione” (art. 5). Accanto a tali principali figure

sono affiancate tre fattispecie “strumentali” in materia di documenti e di pagamento di

imposte, quali l’ “emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” (art.

8), l’“occultamento o distruzione di documenti contabili” (art. 10) e la “sottrazione

fraudolenta al pagamento di imposte” (art. 11).

In conclusione la presente disposizione normativa ha inteso restituire al diritto

sanzionatorio tributario la funzione di extrema ratio, tipica dello strumento penale,

“vittima “ di un eccessivo “inflazionamento” ad opera della legge c.d. manette agli

evasori.

DICHIARAZIONE INFEDELE EX ART. 4 D.LGS.74/2000

Ai sensi dell’art.4 1del D.Lgs. 74/2000 è punito chiunque, fuori dai casi previsti dagli

articoli 2 e 3, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in

una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare

inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi. L’integrazione della fattispecie di

cui trattasi è subordinata al superamento di determinate soglie quantitative di rilevanza

penale, aventi la finalità di circoscrivere l’ambito oggettivo di applicazione della norma

e di assicurare allo strumento penale da essa rappresentato quei caratteri di effettività,

efficienza ed extrema ratio, ai quali il legislatore della riforma si è fortemente ispirato.

Come visto in precedenza tale figura di reato si colloca tra le fattispecie relative al

momento dichiarativo, adempimento al quale viene attribuita forte tutela dall’attuale

sistema, in ragione delle numerose insidie per gli interessi dell’erario che vi si possono

nascondere.

Quindi, al fine di disciplinare i rapporti della dichiarazione infedele con le fattispecie

previste agli artt.2 e 3 del D.Lgs.74/2000, viene introdotta una clausola di riserva

1Art. 4. (Dichiarazione infedele). 1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro 103.291,38; b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro 2.065.827,60.

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iniziale, che esclude l’applicazione della norma di cui all’art.4 nei casi in cui le

condotte di maggiore gravità siano sussunte nella sfera applicativa dei reati di

dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni

inesistent i e di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. Il perfezionamento

della fattispecie illecita si realizza allorquando viene posta in essere una condotta

consistente nella presentazione di una dichiarazione annuale relativa alle II.DD. ed IVA,

indicando in essa elementi attivi i quali manifestano una discrasia con quelli reali

ovvero elementi passivi fittizi, determinando un’evasione d’imposta nei limiti indicati

espressamente dal legislatore. La fattispecie, quindi, criminalizza la semplice

presentazione di una dichiarazione ideologicamente falsa senza che, ai fini della

rilevanza penale della condotta realizzata, sia necessario un ulteriore comportamento a

sostegno del mendacio. Al contrario la dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di

fatture o documenti per operazioni inesistenti (art. 2) presuppone una condotta

frodatoria, consistente, appunto, in due comportamenti distinti ed in successione,

entrambi necessari: il contribuente deve, prima, aver registrato le fatture nelle scritture

contabili obbligatorie (ovvero, se non fosse obbligato alla tenuta dei registri, deve aver

detenuto i documenti a fine di prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria) e,

successivamente, aver presentato la dichiarazione dei redditi e/o I.V.A. recante

l’indebita detrazione di elementi passivi superiori rispetto a quelli reali.

Per converso, se venisse posta in essere la mera registrazione delle fatture inesistenti in

contabilità, senza che ciò avesse effetti su una dichiarazione annuale ai fini delle

imposte sui redditi o I.V.A. (già presentata dal contribuente, ovvero, per l’annualità in

corso all’atto della verifica, da presentare), tale condotta non sarebbe sufficiente per

configurare il reato in esame.

La dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3), invece, ricorre allorquando

le indicazioni mendaci di elementi attivi inferiori a que lli reali e/o di elementi passivi

superiori a quelli effettivi siano supportate da un impianto contabile teso a sviare o ad

ostacolare la successiva attività di accertamento dell’Amministrazione Finanziaria.

Stante le precedenti considerazioni si può pacificamente sostenere che il reato

contemplato dall’art.4 D.lgs.74/2000 costituisce una figura di confine, caratterizzata da

un’ampia portata applicativa da punto di vista oggettivo (tale aspetto è stato

contemperato, con l’esigenza di limitare l’intervento penale solo ai casi di effettiva

evasione, tramite l’introduzione di elevate soglie di punibilità), essendo richiesta la

mera presentazione di una dichiarazione non veritiera, non “qualificata” da ulteriori

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elementi fraudolenti e, quindi, come tra l’altro sottolineato nella stessa Relazione

Governativa, connotata dall’“elemento differenziale dell’assenza di uno speciale

coefficiente di insidiosità”. Inoltre, come da più parti sottolineato, tale figura

rappresenterebbe una sorta di linea di demarcazione tra l’area di intervento penale e

l’area di rilevanza amministrativa, poiché le condotte di maggiore gravità rientrano

nella portata applicativa dei reati di cui agli art.2 e 3, mentre quelle condotte alle quali

consegue un evento evasivo che non supera le soglie predeterminate, vengono sussunte

nella sfera di intervento delle fattispecie sanziona torie amministrative di cui ai decreti

legislativi nn.471 e 472 del 1997.

La condotta oggetto di criminalizzazione, pertanto, è caratterizzata da una minore

decettività rispetto a quella descritta dalle fattispecie di cui agli artt. 2 e 3, in quanto il

pericolo per la funzione di accertamento è sicuramente inferiore, non essendo posta a

fondamento della dichiarazione, contenente elementi passivi fittizi o non indicante

elementi attivi occultati, nessun supporto contabile creato artificiosamente. Non si

richiede, come accade per la fattispecie di cui all’art.3, nessun carattere di sistematicità

della condotta, né circostanze di contorno quali ad esempio la tenuta e l’occultamento

di una contabilità in nero. Nella dichiarazione fraudolenta, infatti, è necessario che

venga posto in essere un comportamento idoneo a rendere difficile per la polizia

tributaria e per gli Uffici, la ricostruzione della posizione fiscale del contribuente e,

quindi, l’individuazione delle componenti reddituali. Come visto in precedenza

l’integrazione della fattispecie di cui all’art.4 D.Lgs.74/2000 si ha quando si verificano

congiuntamente le seguenti condizioni: l’imposta evasa sia superiore, con riferimento a

ciascuna delle singole imposte, a euro 103.291,38; l’ammontare complessivo degli

elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi

fittizi, sia superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in

dichiarazione o, comunque, sia superiore a euro 2.065.827,60; entrambi i parametri di

cui sopra devono essere riferiti a taluna delle singole imposte. Non rientrano, quindi, nel

campo di applicazione della disciplina penale le condotte alle quali consegue il

superamento della soglia di punibilità2 sommando gli importi delle due tipologie di

2 In merito alla natura delle soglie di punibilità si è sostenuto da una parte che queste costituiscano elemento oggettivo del reato; in tal caso è necessario che il dolo dell’agente ricomprenda anche tali elementi ( viene ritenuto sufficiente il dolo eventuale). Altra parte ritiene che le soglie siano condizioni obiettive di punibilità, e , quindi, ai sensi dell’art.44 c.p., il colpevole risponde del reato , anche se l’evento da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto. In merito a tale disposizione si è avuta la sentenza 1088 della Corte Costituzionale in cui si è operata una distinzione tra condizioni intrinseche e condizioni estrinseche, in relazione al fatto che queste siano collegate o meno con il bene

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imposte evase. “Quest’ultima specificazione che tiene conto del sistema della

dichiarazione unica, esclude la sommatoria tra evasione concernente le imposte sui

redditi ed evasione concernente l’imposta sul valore aggiunto, incrementando così

l’effetto deflativo della soglia; al tempo stesso , però, rende rilevante il superamento del

limite anche quando si sia verificato in rapporto ad una soltanto delle imposte

considerate.”3

Il reato in esame è posto a tutela, in via diretta, dell’interesse patrimoniale dell’Erario in

quanto vengono criminalizzate quelle condotte alle quali consegue effettivamente

l’evento del danno, per le pretese fiscali pubbliche, cagionato dall’evasione;

quest’ultima rileva solo nel momento in cui l’imposta evasa sia quantitativamente

superiore a quanto indicato nelle soglie di punibilità. Si richiede, quindi, che la condotta

infedele accertata ed attribuita al contribuente sia qualitativamente tale da arrecare un

nocumento sostanziale e “non formale” all’amministrazione.

La nozione di cui all’art.4 D.Lgs.74/2000 fa esplicito riferimento ad un reato di evento

così come la fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici di cui all’art.3

D.Lgs.74/2000. Al contrario, nel caso dell’art.2 D.Lgs.74/2000, pur non negandosi i

rilevanti caratteri di novità rispetto alla fattispecie in precedenza disciplinata dalla

Legge 516/1982, si ritiene ci si trovi innanzi ad un reato di pericolo e non di danno in

quanto l’integrazione della condotta si verifica nel momento in cui avviene la

presentazione di una dichiarazione nella quale sono stati indicati elementi passivi fittizi,

in conseguenza dell’utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Non

necessariamente, ai fini del perfezionamento della figura del reato de quo, è richiesto,

come elemento indefettibile, l’evento del danno. A queste conclusioni si giunge

nonostante nella stessa Relazione Governativa si cerchi di dare al reato una

qualificazione diversa (reato di evento) sostenendo che la punibilità dell’agente si ha

solo quando lo stesso ha aumentato fittiziamente le componenti negative “ in guisa da

diminuire l’imponibile e l’imposta dovuta”. Non sempre, però, l’indicazione di costi

fittizi porta ad un risultato netto positivo (utile) di periodo, essendo del tutto possibile

che il riassestamento del rapporto costi/ricavi porti ad un pareggio o ad una perdita, ed

in tal caso non si configurerebbe un’”ent ità imponibile” secondo l’accezione legislativa.

giuridico tutelato dalla norma. Nel caso delle condizioni intrinseche ( il quale si verifica per le fattispecie di cui alla 74/2000) la Corte ha sostenuto che è necessaria, da parte dell’agente, una “generale rappresentatività” delle condizioni stesse. 3 Così nella Relazione Governativa al decreto.

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L’art.2 D.Lgs.74/2000, inoltre, a differenza degli artt.3 e 4 non prevede soglie di

punibilità con riferimento all’imposta evasa o all’impobile non dichiarato.4

In riferimento a tutte e tre le fattispecie illecite collegate alla dichiarazione, è importante

definire il concetto di elementi attivi e passivi, intesi, ai sensi dell’art.1 lett.b), come i

componenti positivi e negativi per la determinazione del reddito o delle basi imponibili

rilevanti ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto; il

concetto di imposta evasa è considerato, ai sensi della lett.f) del medesimo articolo,

come la differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella

dichiarazione, ovvero l’intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione.

A tal proposito si ritiene utile accennare brevemente alla problematica sorta in merito al

concetto di imposta evasa, congiuntamente al modello del doppio binario, vigente

nell’attuale sistema ai sensi dell’art.20 del D.Lgs.74/20005. Dovendo il procedimento

amministrativo di accertamento tributario e il processo tributario procedere

parallelamente, e senza alcuna interferenza o sospensione di sorta, al processo penale

avente ad oggetto gli stessi fatti, vi è una non remota possibilità di pervenire a due

differenti statuizioni giurisdizionali.6(con le rilevanti problematiche in tema di

applicazione del principio di specialità di cui all’art.19 D.Lgs.74/2000)

Basti pensare che non è stata definito omogeneamente il comune parametro di

riferimento dei due giudizi (penale ed amministrativo) rappresentato dall’ “imposta

evasa”7, nonostante questa rappresenti l’aspetto disciplinare più delicato, né sono state

previste coordinate procedure formali per il suo accertamento. Ciò che è "imposta

evasa" ai fini punitivi amministrativi non è più tale, ai fini punitivi penali, pur di fronte

all'unicità del fatto oggetto di valutazione giuridica. Per il giudice amministrativo

tributario, ai sensi dell’art.1 co.4 del D. Lgs. 471/97, per maggiore imposta dovuta si

intende la differenza tra l’ammontare del tributo liquidato in base all’accertamento e

quello liquidabile in base alle dichiarazioni, ai sensi degli articoli 36 bis e 36 ter del

decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.600; mentre, tecnicamente

4 Al terzo comma vi è una circostanza attenuante ad effetto speciale nel caso in cui l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro 154.937,07. 5 Il legislatore della riforma penale tributaria conferma la scelta operata in precedenza con la Legge 516/1982; l’art.12 della legge c.d.manette agli evasori aveva abbandonato il modello della pregiudiziale tributaria di cui all’art.21 della Legge n.4 del 7 gennaio 1929 per abbracciare il modello del doppio binario. 6 Anche alla luce del fatto che nei due ordinamenti processuali in esame vigono differenti regole ,strumenti istruttori e relative garanzie e limitazioni . 7 Nella circolare 114000 del Comando Generale della Guardia di Finanza si legge che i due concetti di imposta evasa sono simili ma non coincidenti.

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diversa, è la nozione di "imposta evasa" valida per il giudice penale. Questo, infatti, ai

sensi della lett.f dell’art.1 D.Lgs. 74/2000, deve assumere come parametro di giudizio la

diversa differenza fra l'imposta globalmente ed effettivamente dovuta e l'imposta

materialmente "indicata" nel modello dichiarativo. Ben potrebbe aversi, di conseguenza,

l'irrogazione di una doppia punizione e conseguente “vanificazione” del principio di

specialità di cui al già citato art.19 del d.Lgs.74/2000; il giudice amministrativo,

applicando la nozione di propria competenza, potrebbe quantificare l'evasione per un

importo inferiore alle soglie penali, e procedere all'applicazione, legittimamente, della

sanzione amministrativa. Laddove il giudice penale, applicando la nozione penale, e

sulla base del principio del doppio binario, potrebbe contestualmente quantificare

un'imposta evasa superiore alle soglie penali e quindi applicare, del pari legittimamente,

la relativa sanzione penale8. Basta pensare al caso del contribuente che esponga in

dichiarazione la debenza di € 50.000 a titolo di Irpef. La dichiarazione potrebbe essere

liquidata, ai sensi degli articoli 36 bis e 36 ter, ai fini amministrativi, a causa di una

serie di errori matematici presenti nel modulo relativo, per ulteriori € 50.000 a titolo di

Irpef; ne seguirebbe un avviso di rettifica ordinario, ai sensi dell'articolo 42 del D.P.R.

600 del 1973, per un'imposta globalmente dovuta di € 150.000 a titolo di Irpef , di cui €

50.000 dichiarati spontaneamente, € 50.000 emergenti dal controllo formale della

dichiarazione errata, e di ulteriori € 50.000 completamente occultati al fisco. Di

conseguenza l’imposta evasa ai fini amministrativi sarebbe di € 50.000 a titolo di Irpef , 8 Ulteriore problematica di non poco conto, connesso al principio di specialità, è relativa alle presunzioni tributarie ai fini penal-tributari. Se l'efficacia probatoria di tali strumenti presuntivi è sicuramente pregnante sul versante del diritto amministrativo tributario, e dunque tale da poter essere posta a legittimo fondamento di una maggiore pretesa patrimoniale a titolo di tributo e di sanzioni amministrative, nel campo penale tributario non lo è affatto, poiché la materia delle prove presuntive soggiace al principio generale sancito dall'articolo 192 del codice di procedura penale secondo il quale "l'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi, a meno che questi siano gravi precisi e concordanti". La prova presuntiva per essere validamente impiegabile ai fini della dimostrazione della colpevolezza del singolo, deve dunque essere di tipo "qualificato": deve cioè fondarsi non su un solo indizio, bensì su una pluralità di indizi, a loro volta contrassegnati dai requisiti, appunto, della gravita, della precisione e della concordanza. Le presunzioni legali previste dall'ordinamento amministrativo, viceversa , si caratterizzano per il fatto di essere quasi sempre "semplicissime", cioè basate su un unico fatto o elemento i n d i z i a n t e L'esistenza di una profonda eterogeneità di efficacia dimostrativa di tali strumenti, a seconda del settore punitivo di applicazione, può portare a conclusioni giudiziarie opposte Il giudice amministrativo, infatti, potrebbe ritenere che, dalla applicazione degli studi di settore (nel comparto amministrativo sono da ritenersi prova “qualificata” per espressa previsione dell’art.3,co.181 Legge n.549/95 che ne estende l’applicazione anche al co.1 lett.d) dell’art.39 del DPR 600/73 regolante l’accertamento “analitico-induttivo”), emerga una quantificazione di imposta evasa superiore alle soglie penali. In questo contesto, mancando una controprova da parte del privato, il giudice amministrativo dovrebbe essere tenuto a ritenere per valida ed efficace la prova induttiva resa dall'amministrazione. Il giudice amministrativo, in applicazione del principio di specialità, dovrebbe qualificare come "reato" il fatto portato alla sua cognizione, e applicare l’art.21 sospendendo la sanzione irrogata. II giudice penale, a sua volta, dovrebbe considerare la prova fornita dagli studi di settore non dotata di valore "qualificato" con la conseguenza finale della mancata irrogazione sia della sanzione amministrativa , sia della sanzione penale .

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in quanto differenza tra l'imposta liquidata in base all’accertamento (€ 150.000) e quella

liquidabile in base alle dichiarazione, ai sensi degli articoli 36 bis e 36 ter (€ 100.000, di

cui € 50.000 dichiarati e € 50.000 conseguenti al controllo formale). L'imposta evasa ai

fini penali sarebbe del tutto diversa in quanto risulterebbe pari a € 100.000, somma

derivante dalla differenza dell’imposta effettivamente dovuta (€ 150.000), e l'imposta

indicata spontaneamente in dichiarazione (€ 50.000).

In merito ai soggetti attivi del reato, a dispetto delle formulazione utilizzata (Chiunque),

la fattispecie di cui all’art.4 D.Lgs.74/2000 è un reato proprio, in quanto configurabile

solo in capo a coloro che sono soggetti all’obbligo di presentare la dichiarazione ai fini

delle imposte sul reddito e/o sul valore aggiunto, ancorché non obbligati alla tenuta

delle scritture contabili. L’ambito soggettivo di applicazione risulta essere dilatato

rispetto all’art.3, il quale è attribuibile soltanto ai soggetti obbligati alla tenuta delle

scritture contabili, oltre che alla presentazione della dichiarazione.

Il delitto in esame non è punibile a titolo di tentativo (art.6) e, quindi, i comportamenti

preparatori alla presentazione della dichiarazione sono espressamente esclusi

dall’ambito applicativo della normativa penale; in tal modo si è evitato di permettere un

ritorno, nel concreto, dei reati prodromici, principale causa di fallimento del sistema

previgente.

La prescrizione, ai sensi dell’art.17 del D.Lgs.74/2000, è interrotta, oltre che dagli atti

indicati all’art.160 c.p., anche dal verbale di constatazione o dall’atto di accertamento

delle relative violazioni; in conseguenza del fatto che l’art.25 del D.Lgs.74/2000 ha

abrogato il titolo I della legge 516/19829, per quanto riguarda i termini di prescrizione si

rinvia ai termini ordinari presenti nel codice penale all’art.157.

Operando un raffronto tra la fattispecie in esame e l’art.4 lett.f) della 516/1982, il quale

collegava sotto l’egida di una sola previsione tutte le ipotesi di frode fiscale, è semplice,

alla luce delle considerazioni espresse sulle caratteristiche generali del novello sistema,

sottolineare la profonda differenza intercorrente, con particolare attenzione alla natura

delle fattispecie incriminatici. La previgente disposizione contemplava una figura di

reato che si perfezionava con l’indicazione nella dichiarazione dei redditi ovvero nel

bilancio o rendiconto ad essa allegato, ricavi, proventi od altri componenti positivi di

reddito, ovvero, spese od altri componenti negativi di reddito in misura diversa da

9 L’art.9 disponeva che “Il reato previsto nel primo comma dell’art.1 si prescrive in sette anni. Gli altri reati previsti nello stesso articolo e i reati previsti negli articoli 2 e 4 si prescrivono in sei anni. Il corso della prescrizione è interrotto dalla constatazione di dette violazioni.”

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quella effettiva utilizzando documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al

vero ovvero ponendo in essere altri comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare

l’accertamento dei fatti materiali. La norma della L. 516/82 non prevedeva, ai fini

dell’integrazione della fattispecie, il verificarsi né di un evento di danno, né tanto meno

prevedeva un tetto di rilevanza dello stesso tramite l’introduzione di soglie di punibilità.

Tale reato, quindi, era configurabile come un reato di mera condotta di pericolo

astratto10. Dalla natura formale (e non di violazione sostanziale) di tale fattispecie si

evince che il perfezionamento della figura illecita si aveva nel momento in cui veniva

posta in essere una condotta corrispondente a quella descritta dal legislatore senza che

fosse necessario il verificarsi di un determinato evento; allo stesso modo il reato si

configurava con la semplice messa in pericolo del bene giuridico protetto dalla norma,

senza richiedere la lesione effettiva dello stesso. Il bene giuridico era inquadrabile, più

che nell’interesse patrimoniale del Fisco, nel bene strumentale ed intermedio della

trasparenza fiscale, consistente nella fiducia pubblica nella corretta e fattiva

collaborazione del contribuente in riferimento al rapporto giuridico tributario e agli

obblighi formali e strumentali connessi. Nell’attuale sistema, l’art.4 richiede non solo

il verificarsi dell’evento dell’evasione ma anche e soprattutto che la stessa sia superiore

a determinate soglie quantitative, parametro legale di un danno effettivo e concreto

cagionato all’Erario. Il bene giuridico è senza dubbio l’interesse patrimoniale dello

Stato.

La sentenza nr.33887 del 19 settembre 2001, Cass.Pen.Sez.III., in riferimento all’art.3

del D.Lgs.74/2000 che indica le soglie di rilevanza, sottolineava la necessità del

superamento del tetto quantitativo di intervento penale, al fine dell’applicazione del

reato (nella medesima direzione si è anche espressa la sentenza n.12585 della

Cass.Pen.Sez.III, 4 dicembre 2000).

Mentre nella L. 516/82 si faceva riferimento all’indicazione nella dichiarazione dei

redditi, nel bilancio o nel rendiconto allegato, per l’art.4 D.Lgs.74/2000 il momento

consumativo del reato deve essere individuato esclusivamente nell’inoltro o nella

presentazione della dichiarazione annuale, così come tra l’altro confermato dalla

sentenza n.27 del 25 ottobre 2000 Cass.Pen.,SS.UU. e dalla sentenza n.8657 del 19

giugno 2000 Cass.Pen., Sez.III.; non rileva ai fini dell’integrazione di questa

10 Si ricorda la distinzione tra reati di pericolo concreto e di pericolo astratto. Mentre in questi ultimi il legislatore valuta ex ante l’idoneità della condotta a danneggiare l’interesse tutelato, per i reati di pericolo concreto è necessaria una valutazione ex post e caso per caso, dell’idoneità della condotta posta in essere dall’agente a ledere l’interesse tutelato dalla norma.

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fattispecie, l’indicazione di elementi passivi fittizi nel bilancio e nel rendiconto.

L’attuale norma, inoltre, estende l’ambito di applicazione anche alla dichiarazione

annuale Iva, non contemplata nella precedente fattispecie.

In realtà l’eredità dell’art.4 lett.f) della L.516/1982 è stata raccolta dalle fattispecie di

cui agli artt.2 e 3 D.Lgs.74/2000, caratterizzati, in un caso, dall’utilizzo di

documentazione di operazioni inesistenti e, nell’altro, da una condotta artificiosa a

supporto della dichiarazione fraudolenta. Una dichiarazione non veritiera accompagnata

da tali elementi rientrerebbe, quindi, nell’ambito di applicazione di tali reati, stante la

clausola di esclusione iniziale presente nella fattispecie di dichiarazione infedele di cui

all’art.4 D.Lgs.74/2000.

La sentenza n.27 del 7 novembre 2000 Cass.SS.UU. , e, in linea, la Circolare n.88/E del

27 dicembre 2002, paragrafo 2, hanno ritenuto che possa sussistere continuità normativa

tra l’art.4,comma 1 , lett.f) della L. 516/1982 e l’art.2 del D.Lgs. 74/2000 nel momento

in cui gli elementi indicati nella documentazione per operazioni inesistenti utilizzati nel

corso dell’anno, sono indicati nella dichiarazione annuale, della quale costituiscono “il

supposto fraudolento”. “Nei processi penali in corso i fatti integranti reato sotto il

vigore della precedente previsione possono continuare ad esserlo alla stregua di quella

nuova qualora, in concreto, gli elementi costituitivi del nuovo reato siano stati

chiaramente enunciati nell’imputazione.”11

Allo stesso modo, rifiutando la tesi dell’abolitio criminis, si ritiene sussista continuità

normativa tra il reato previsto dall’art.4 lett.f) ultima parte e la nuova fattispecie di cui

all’art.3 D.Lgs.74/2000.12

Passiamo ora ad analizzare il rapporto tra la dichiarazione infedele e le fattispecie

previste all’art.1, comma 2 lettere a), b) e c) della L.516/1982. Le fattispecie di cui alle

lettere a) e b) disponevano che “ è punito con la pena dell’arresto da tre mesi a due

anni e dell’ammenda da lire dieci milioni a venti milioni chiunque .. avendo effettuato

cessioni di beni o prestazioni di servizi, ne omette l’annotazione nelle scritture contabili

obbligatorie ai fine delle imposte sui redditi (let.a) e del valore aggiunto (let.b) o

annota i relativi corrispettivi in misura inferiore a quella reale, se l’ammontare dei

corrispettivi non annotati nelle scritture del relativo periodo di imposta è superiore a

11 Così la Circolare n.88/E del 27 dicembre 2002, paragrafo 2. 12 Per la tesi contraria, favorevole all’abolitio criminis vgs.PARDI, “Frode esterna ante D.Lgs.n.74/2000. Venir meno della punibilità”, in Il Fisco n.41/2001, pag.13335 nel commento alla sentenza n.279 del 5 luglio 2001 del tribunale di Pesaro.

13

150 milioni di lire e allo 0,25 % dell’ammontare complessivo dei corrispettivi risultanti

dall’ultima dichiarazione presentata o , comunque, superiore a 500 milioni.”

Tale figura contravvenzionale, pur prevedendo determinate soglie di intervento,

anticipava il momento cronologico di consumazione in una fase antecedente alla

presentazione della dichiarazione. Tale condotta non rileva, ai sensi dell’attuale art.4

D.Lgs.74/2000, in quanto semplice comportamento propedeutico alla presentazione e

quindi alla realizzazione di una eventuale evasione, per le ragioni ampiamente delineate.

Di conseguenza si ritiene consolidato l’orientamento secondo il quale vi è stata

un’abolitio criminis tra l’art.4 del D.Lgs.74/2000 e le due fattispecie di cui sopra. Più

controverse sono, invece , le posizioni in merito al rapporto tra il reato di dichiarazione

infedele di cui all’art.4 D.Lgs.74/2000 ed il reato contravvenzionale di cui all’art.1,

lett.c), comma 2. Tale fattispecie si riferisce all’indicazione nella dichiarazione annuale

di redditi fondiari o di capitale o altri redditi, in misura difforme da quella reale, sempre

al superamento di determinate soglie. Sembra opportuno riportare quanto disposto in

tema di diritto intertemporale dalla Circ.114000 del Comando generale della Guardia di

Finanza che, al paragrafo 3.3 (“La successione delle leggi nel tempo”), prevede che:

“in assenza di specifiche disposizioni transitorie volte a definire i criteri di raccordo tra

vecchie e nuove fattispecie, occorre far riferimento alle norme generali che regolano la

successione delle leggi nel tempo.

In particolare, stante l’intervenuta abrogazione del principio di ultrattività delle norme

penali finanziarie (art. 24, comma 1, della legge 30.12.1999, n. 507), anche in materia

di reati tributari dev’essere applicato il criterio del favor rei previsto dall’art. 2 cod.

pen. Pertanto, si delineano tre possibili alternative:

a) se un fatto che costituiva reato in base alla legge vigente nel momento in cui fu

commesso, ma non è più previsto come reato secondo la legge posteriore, non si dovrà

procedere ad alcuna comunicazione all’Autorità Giudiziaria;

b) ugualmente, se un fatto non costituiva reato in base alla legge vigente al momento in

cui fu commesso, anche se esso integri in astratto una delle fattispecie punite dalla

nuova legge, non si dovrà procedere ad alcuna comunicazione all’Autorità Giudiziaria;

c) se, invece, un fatto costituiva reato in base alla legge vigente nel momento in cui fu

commesso ed è punibile come reato anche secondo la nuova legge, si dovrà inviare

l’informativa all’Autorità Giudiziaria competente ai sensi dell’art. 18 del D.Lgs. n.

74/2000, rubricando il reato che prevede la pena più favorevole.”

14

Per quanto concerne l’elemento soggettivo de quo, l’art.4 del D.lgs.74/2000 indica,

quale elemento indefettibile ai fini della punibilità della condotta, il dolo specifico del

perseguimento del fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto. Al

contrario, nelle fattispecie analizzate di cui alle lettere a), b) e c), comma 2, dell’art.1

della L.516/1982, non è previsto il dolo specifico di evasione e, di conseguenza, il

rispettivo ambito di applicazione risultava essere sensibilmente più vasto rispetto alla

fattispecie di dichiarazione infedele. Nella previgente disposizione di cui alla lett.f)

dell’art.4 L.516/1982, invece, era richiesto il fine di “evadere le imposte sui redditi o

l’imposta sul valore aggiunto o di conseguire un indebito rimborso ovvero di consentire

l’evasione o indebito rimborso a terzi.”

La norma di cui all’art.4 D.Lgs.74/2000 richiede l’esistenza di un dolo specifico di

evasione “diretta” relativo a II.DD. e Iva, escludendo la configurabilità del reato nel

caso in cui la condotta sia stata posta in essere per ottenere risultati differenti quali, ad

esempio, l’ottenimento di rimborsi A.I.M.A. o di prestazioni agevolate.13 Inoltre, a

differenza del previgente reato, non viene contemplato il fine di consentire a terzi

l’evasione, presente, invece, nel reato di omissione di fatture o altri documenti per

operazioni inesistenti di cui all’art.8 del D.Lgs.74/2000. Nonostante i dubbi

interpretativi presenti in dottrina si ritiene che, comunque, tale indicazione deve essere

ritenuta comprensiva del fine di consentire l’evasione alla società, all’ente, o alla

persona fisica per conto della quale il soggetto agisce.14

Ulteriore ed importante elemento innovativo rispetto al precedente sistema riguarda

l’attribuzione di rilevanza alle valutazioni mendaci o stime, le quali , fuori dai casi in

cui opera il criterio legale di esclusione della loro rilevanza penale ai sensi dell’art.7 del

D.Lgs.74/2000, possono portare all’integrazione del reato di cui all’art.4. Dalla lettura

dell’art.4 lett.f) della 516/1982 appare evidente che le valutazioni erano del tutto al di

fuori della sfera di rilevanza penale, in quanto veniva criminalizzata l’indicazione di

fatti materiali non corrispondenti al vero. L’attuale disposizione è stato oggetto di

rilevanti dubbi, in quanto ripropone la problematica delle valutazioni e delle stime,

potendo il giudice non essere concorde in riferimento alle valutazioni manifestatesi

nell’indicazione dei valori, e ritenere integrato il reato di cui trattasi. Si è obiettato che,

13 Vgs. POLLARI N.-LORIA F,. “Diritto punitivo e processuale tributario”, Laurus Robuffo, Roma, 2003, pag.67; IZZO, “Dichiarazione fraudolenta mediante fatture o documenti per operazioni inesistenti”,in Il Fisco n.16/2000 p.5207. 14 Vgs. PERINI A.,” La repressione penale dell'evasione fiscale nella legislazione italiana: evoluzione della normativa” in "il fisco" n. 19 / 2002, pag. 1-2980

15

inquinando la norma penale con profili valutativi, si rischia di attribuire all’organo

giurisdizionale procedente una discrezionalità vasta ed illegittima, visti i

frequentemente opinabili risultati conseguenti a procedimenti valutativi, contraria ai

principi costituzionali di determinatezza e tassatività della norma penale.

L’art.4 D.Lgs.74/2000, quindi, attribuisce rilevanza penale anche alle questioni di

diritto, di modo che il concetto di elementi passivi fittizi è idoneo a ricomprendere nella

propria portata concettuale, non solo quei costi materialmente inesistenti, ma anche

quelli inesistenti dal punto di vista giuridico-tributario, portati in deduzione in

violazione della normativa tributaria. In tal modo, però, si potrebbe correre il rischio di

contaminare l’imputazione penale con la soggettività interpretativa del magistrato, il

quale, non di rado, è di una precipua preparazione giuridica, poco incline all’analisi

delle complicate problematiche economico–aziendalistiche, di cui è impregnato il diritto

tributario. Infatti il legislatore della L. 516/1982 aveva limitato la sfera applicativa ai

soli fatti materiali, proprio al fine di evitare che il giudice penale fosse costretto

all’analisi di elementi disciplinati da una normativa poco conosciuta; per lo stesso

motivo, in conseguenza dell’adozione del doppio binario, introdotto dall’art.12 della

L.516/198215, si ritenne necessario modificare la natura stessa dei reati, ponendo a

baricentro del sistema la tipologia del reato prodromico all’evasione, per il cui

accertamento non si costringeva il giudice ad addentrarsi in materia per lui intricate.

Con la Legge 516/1982, infatti, si abbandonava definitivamente l’istituto della

pregiudiziale tributaria disciplinato dall’art.2116 della L. 7/1/1929 n.4, il quale, in

relazione ai reati previsti dalle leggi sui tributi diretti, disponeva che l’azione penale non

poteva essere esercitata se non prima della definitività dell’accertamento del tributo;

l’esito dell’accertamento, divenuto definitivo nel momento in cui era mancata

un’opposizione, da parte del contribuente e nei termini previsti, all’esito proveniente

dagli uffici, o a seguito dell’esperimento del diritto di ricorso presso tutti i gradi di

giurisdizione innanzi le competenti Commissioni Tributarie, faceva stato per il giudice

penale, il quale “ non poteva sindacare il giudizio dell’ufficio finanziario, ma

15 Come già visto tale scelta è stata confermata dal legislatore del D.Lgs.74/2000 attraverso l’art.20. 16 Art.21.” La cognizione dei reati preveduti dalle leggi finanziarie spetta: 1) al pretore quando si tratti di reati per i quali è stabilita la sola pena della multa o dell’ammenda; 2) al tribunale in ogni altro caso . La competenza per territorio è determinata dal luogo dove il reato è accertato. Per i reati previsti dalle leggi sui tributi diretti l’azione penale ha corso dopo che l’accertamento dell’imposta e della relativa sovrimposta è divenuto definitivo a norma delle leggi regolanti tale materia.

16

(unicamente) rifare un’indagine di fatto sul concorso degli estremi del reato, fermo

l’accertamento suddetto”17.

Nella sostanza il pubblico ministero, prima di adempiere all’obbligo di rilevanza

costituzionale di esercitare l’azione penale 18, doveva attendere la conclusione del

procedimento amministrativo di accertamento e dell’eventuale processo tributario;

doveva, inoltre, attenersi alle risultanze di quest’ultimo nell’emettere il proprio verdetto.

Dalla lettura della relazione di accompagnamento alla legge n.4/1929 si evince che la

ratio del legislatore era imperniata sulla considerazione della “natura speciale dei

tributi” e del “complesso tecnicismo dei tributi stessi”. Alla luce del fatto che il diritto

tributario era caratterizzato da estrema complessità, da concetti economici ed

aziendalistici tradizionalmente estranei alla preparazione professionale degli operatori

giuridici ordinari, il legislatore ritenne non opportuno, per l’efficienza dell’interno

sistema, sottoporre tale particolare settore alla cognizione del giudice ordinario;

quest’ultimo non era ritenuto “capace” di offrire sicure garanzie tecniche in relazione

alle stime e all’interpretazione delle complesse disposizioni. 19 Si era inteso liberare il

giudice penale dall’accertamento di complessi fatti di evasione, evitando, inoltre, che

fosse onerato dalla grossa mole di accertamenti pregiudiziali occorrenti per dare corso

al procedimento penale. In realtà la presenza nell'ambito del sistema penale tributario

dell'istituto della pregiudiziale tributaria aveva di fatto provocato l'impossibilità di

instaurazione del procedimento penale a causa dei tempi lunghissimi per la definizione

dell'accertamento tributario20 e, per questo motivo, si giunse all’abrogazione dell’istituto

de quo in conseguenza dell’adozione del doppio binario, introdotto dall’art.12

L.516/1982. Ma proprio la necessità di evitare che il giudice penale, venuto meno

l’istituto della pregiudiziale tributario, fosse costretto ad accertare questioni complesse

quali le “stime”, tipiche del settore tributario, si ritenne necessario modificare la natura

stessa dei reati, ponendo a baricentro del sistema la tipologia del reato prodromico

all’evasione. In altre parole, posto che il giudice penale ed il processo penale non erano

17 Così SECHI, in “Diritto penale e processuale finanziario”, Milano, Giuffrè,1966 18 Art. 112.Cost.: “ Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale.” 19 POLLARI N., in “Rapporti tra processo penale e amministrativo nel diritto tributario”,in Rivista della Guardia di Finanza n.5/2001, “Il giudice penale, proprio perché "non specializzato" non avrebbe mai potuto offrire le stesse garanzie tecniche, in tema di "interpretazione" di norme particolari e di "stime", offerte dal giudice amministrativo tributario.” 20 PERINI A.,in “La repressione penale dell'evasione fiscale nella legislazione italiana: evoluzione della normativa” ,in Il Fisco n.19/2002 sostiene che la pregiudiziale “ha di fatto impedito il funzionamento del sistema penale tributario, in quanto le fattispecie di reato contestate cadevano pressoché costantemente in prescrizione nelle more del procedimento amministrativo".

17

in grado di offrire idonee garanzie tecniche per l'accertamento e/o stima dei tributi

"evasi", e posto che non si poteva più "attendere" l'esito naturale dei lunghi processi

amministrativi, non poteva percorrersi altra via che quella di mutare radicalmente

proprio la stessa struttura più intima dei reati tributari, sganciando il loro

perfezionamento da un effettivo evento di danno patrimoniale per l'erario, ed

anticipando la soglia di tutela penale a "fatti semplici", significativi di solo "pericolo di

evasione" e richiedenti, per il giudice penale incaricato di accertarli, la soluzione di sole

e semplici "questioni di fatto", con totale esclusione delle più complesse e

"specialistiche" questioni interpretative sulle mutevoli e spesso contorte norme

tributarie sostanziali.

Al contrario il legislatore del D.Lgs.74/2000 ha operato una scelta diametralmente

opposta, ricomprendendo nell’ambito di intervento penale le valutazioni e le stime poste

in essere nell’ambito delle scritture contabili e nel bilancio, poi seguiti da una

dichiarazione infedele; tale scelta è confermata dall’ art.7 D.Lgs.74/2000, che prevede

quanto segue :” Non danno luogo a fatti punibili a norma degli articoli 3 e 4 le

rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio eseguite in violazione dei criteri di

determinazione dell’esercizio di competenza ma sulla base di metodi costanti di

impostazione contabile, nonché le rilevazioni e le valutazioni estimative rispetto alle

quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio.

2. In ogni caso, non danno luogo a fatti punibili a norma degli articoli 3 e 4 le

valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore

al dieci per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si

tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste nel comma

1, lettere a) e b), dei medesimi articoli.”

Nel rinnovato diritto penale tributario si è ritenuta necessaria l’introduzione di tale

disposizione, anche per l’esigenza di assicurare omogeneità, coerenza ed efficacia

all’intero diritto sanzionatorio tributario21. Nella Relazione Governativa si legge che

“non avrebbe più giustificazione, infatti, lasciar fuori dal campo d’intervento punitivo

le evasioni determinate, anziché dall’occultamento di ricavi o dall’esposizione di costi

21Art. 6 D.Lgs.472/97. (Cause di non punibilità). 1. Se la violazione è conseguenza di errore sul fatto, l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da colpa. Le rilevazioni eseguite nel rispetto della continuità dei valori di bilancio e secondo corretti criteri contabili e le valutazioni eseguite secondo corretti criteri di stima non danno luogo a violazioni punibili. In ogni caso, non si considerano colpose le violazioni conseguenti a valutazioni estimative, ancorché relative alle operazioni disciplinate dal decreto legislativo 8 ottobre 1997, n. 358, se differiscono da quelle accertate in misura non eccedente il cinque per cento.

18

fittizi, da arbitrarie operazioni di ordine valutativo, spesso più “insidiose” del

primo………. Al tempo stesso, però, si è inteso evitare — in coerenza con la

preoccupazione già emersa nell’ambito sanzionatorio amministrativo — che le nuove

previsioni punitive di settore possano risultare oggetto di applicazioni improntate ad

eccessiva asprezza, o comunque determinare l’insorgenza di un “rischio penale” anche

nei confronti dei soggetti non spinti da reali intenti evasivi, stanti i margini di

opinabilità e di incertezza che, tanto a livello normativo che fattuale, connotano la

materia delle valutazioni.” Nella Circolare 154/E del Ministero dell’Economia e delle

Finanze del 4 agosto 2000 si torna a sottolineare la maggiore insidiosità delle operazioni

di ordine valutativo e, quindi, l’impossibilità di escludere le stesse dall’applicazione

della norma penale. Quindi, inserendo un criterio legale di esclusione della rilevanza

penale, si stabilisce che non sono punibili a norma degli artt. 3 e 4 D.Lgs.74/2000 le

rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio poste in essere, seppure in violazione

dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, sulla base di “metodi costanti

di impostazione contabile”.

Inoltre, è stato ritenuto inidoneo a configurare il dolo di evasione l’eventuale adozione

di criteri di rilevazione contabile e di stima che, quantunque non esattamente

corrispondenti a quelli fiscalmente corretti, siano stati espressamente indicati in bilancio

– e, segnatamente, nella nota integrativa – senza, così, arrecare ostacolo alla verifica

successiva degli organi di controllo. Il legislatore, infine, ha escluso la punibilità delle

valutazioni estimative che, singolarmente considerate, “differiscono in misura inferiore

al dieci per cento da quelle corrette”. Allo stesso modo, per quanto concerne il

comparto sanzionatorio amministrativo, l’art.6 del D.Lgs.472/1997 dispone che le

rilevazioni eseguite nel rispetto della continuità dei valori di bilancio e secondo corretti

criteri contabili e le valutazioni eseguite secondo corretti criteri di stima non danno

luogo a violazioni punibili e, in ogni caso, non si considerano colpose le violazioni

conseguenti a valutazioni estimative se differiscono da quelle accertate in misura non

eccedente il cinque per cento.

Degli importi compresi nell’intervallo percentuale previsto dall’art.7 D.Lgs.74/2000

non dovrà tenersi conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste

per i reati di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e di dichiarazione infedele.

Ciò significa che se, ad esempio, il valore attribuito dal contribuente in bilancio ad una

data voce è di lire un miliardo, mentre quello corretto è di lire un miliardo e cinquecento

milioni, l’importo da considerare ai fini della verifica del superamento delle soglie non

19

sarà rappresentato da cinquecento milioni, differenza netta fra le due cifre, ma dalla

differenza (500 milioni) meno i 100 milioni della franchigia del dieci per cento; dunque,

nel caso concreto, l’importo da considerare sarà pari a lire quattrocento milioni.22

Tornando alle critiche riferite all’attribuzione di rilevanza alle questioni di diritto23 è

bene sottolineare che si è riproposto, in tutta la sua complessità, il problema della

valenza penale delle pratiche elusive, già oggetto di ampia diatriba. Il legislatore ha

introdotto all’art.16 D.Lgs.74/2000 una speciale clausola di esclusione del dolo

specifico nel caso in cui il contribuente abbia posto in essere un comportamento illecito,

pur operando conformemente ad un parere reso dal Comitato per l’applicazione delle

norme antielusive su istanza dello stesso contribuente circa il corretto modus operandi

in una determinata situazione, ai sensi dell’art.21,commi 9 e 10 della L.30 dicembre

1991. Alcuni autori24 sostengono l’inutilità della norma, che non farebbe altro che

rientrare nell’ambito delle situazioni in cui viene riconosciuta l’inevitabilità dell’errore,

scusabile secondo i principi e nei limiti dettati dalla sentenza n.364/88 della Corte

Costituzionale che ha modificato l’art.5 c.p. nella parte in cui non distingue tra errore

scusabile ed errore inescusabile25. In realtà non si ritiene possibile dubitare del fatto che

la norma in questione costituisca una disposizione fondamentale, considerato che si

prevede la possibilità di sanzionare penalmente condotte elusive, soprattutto se

accompagnate da modalità fraudolente; questo anche se non è intenzione del legislatore

ricondurre nella sfera penale ogni condotta elusiva per la quale non ci si sia

preventivamente avvalsi del diritto di interpello.

Per completezza si ritiene utile analizzare quanto disposto dall’art.15 del

D.Lgs.74/2000, rubricato “Violazioni dipendenti da interpretazione delle norme

tributarie”. La norma de quo prevede che: “Al di fuori dei casi in cui la punibilità è

esclusa a norma dell’articolo 47, terzo comma, del codice penale, non danno luogo a

fatti punibili ai sensi del presente decreto le violazioni di norme tributarie dipendenti da

obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione.”

22 L’esempio è tratto dalla Relazione Governativa 23 LUPI R. ,”Pianificazione fiscale a rischio per l’impresa”, Il Sole-24 Ore, 7 marzo 2000 ritiene che, in conseguenza dell’introduzione di questioni di diritto, si avrà “ la criminalizzazione di tutte le ipotesi in cui il comportamento ritenuto fiscalmente più conveniente dall’impresa sia disconosciuto dall’ufficio, e il giudice penale avalli quest’ultima interpretazione”. 24 Vgs. PERINI A.,” La repressione penale dell'evasione fiscale nella legislazione italiana: evoluzione della normativa” in "il fisco" n. 19 / 2002, pag. 1-2980 25 Le sentenze della Commissione tributaria centrale, sez. XXIV, 25 marzo 1981, n. 1169 e la sentenza n. 4060 del 30 aprile 1992 della sez. XXVI del medesimo organo, hanno riconosciuto sussistente la condizione di scusabilità dell’errore di diritto in presenza di comportamenti, atti o interpretazioni contraddittorie dell’Amministrazione Finanziaria.

20

La portata dell’errore di diritto nell’attuale ordinamento penale tributario assume,

quindi, profili del tutto innovativi e di particolare rilevanza alla luce delle profonde

modifiche alle quali è stato soggetto tale comparto normativo. Nel sistema delineato

dalla L. n.516 del 1982, infatti, l’intervento punitivo dello Stato era connotato da una

forte anticipazione della tutela penale, vista la presenza di mere condotte prodromiche

all’evasione, e quindi “la realizzazione delle questioni di diritto era esclusa in radice,

residuando soltanto un marginale spazio di punibilità per quelle ipotesi, forse più

teoriche che pratiche, in cui l’interpretazione di una certa disposizione assumeva una

connotazione così abnorme e strumentalmente preordinata alla realizzazione di una

frode, da concretizzare, di fatto, un’alterazione di fenomeni caratterizzati da

materialità”26. Nell’attuale sistema, invece, le questioni di diritto assumono una

pregnante rilevanza penale. Basta pensare alla fattispecie di dichiarazione infedele di cui

all’art.4 D.Lgs.74/2000, per la cui integrazione non è necessario che l’infedeltà riguardi

solamente l’ alterazione della realtà materiale, poiché l’indicazione di elementi attivi

inferiori o di elementi passivi fittizi, può discendere da comportamenti riferiti ad aspetti

interpretativi ed applicativi della normativa fiscale.

La scelta operata dal legislatore della riforma del diritto penale societario ( D.Lgs.n61

del 11 /04/2002) risulta essere ben diversa e, probabilmente, frutto di una maggiore

attenzione verso le critiche mosse; infatti le due fattispecie di false comunicazioni

sociali di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c. sono punibili solo allorquando vi è l’esposizione

di fatti materiali non rispondenti al vero “ancorché oggetto di valutazioni“ e,

comunque, la punibilità è ancorata alla presenza di un falso dal quale concretamente

possa derivare una lesione dell’interesse protetto dalla fattispecie. Gli artt.2621 e 2622

c.c., infatti, escludono la punibilità se le falsità o le omissioni non alterano in modo

sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria

della società o del gruppo. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni

determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte,

non superiore al 5% o una variazione del patrimonio netto non superiore all'1 per cento

e, in ogni caso, il fatto non e' punibile se conseguenza di valutazioni estimative che,

singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da

quella corretta.

26 Sono le considerazioni di SCREPANTI S.,op.cit.,pag.332

21

IL CONDONO FISCALE

La legge finanziaria per il 2003, la legge 27.12.2002 n° 289, pubblicata in G.U.

31.12.2002, ha introdotto un condono fiscale caratterizzato da una complessa

problematica penalistica, sia per quanto riguarda i benefici premiali conseguenti al

perfezionamento della procedura sanatoria, sia per quanto concerne la cause ostative

all’accesso alle tipologie di condono previste.

Analizzando la struttura delle recenti figure di condono si individuano tre livelli di

intervento: sul piano psicologico si apprestano delle condizioni di favore dichiarate

eccezionali ed irripetibili che invitano l’evasore a definire ogni pendenza con l’erario

così da evitare costosi interventi d’autorità; sul piano formale si introducono speciali

modalità di accertamento in grado di comportare una immediata definitività della

vicenda impositiva e dotare l’erario di un titolo certo sulla base del quale avviare la

riscossione. Dal lato del contribuente si può contare sulla certezza del debito, che non

sarà suscettibile di variazioni; sul piano finanziario si prevedono delle modalità di

riscossione rapide e certe di tributi fino a quel momento evasi. Nel condono fiscale

introdotto in Italia con la legge n°289/2002 è previsto che perché operino gli effetti del

condono è necessario il versamento dell’importo definito, ovvero della prima rata del

pagamento, dilazionabile a fronte della prestazione di garanzia fidejussoria e di modesti

interessi. Individuati i livelli di intervento della legge di condono, cerchiamo ora di

focalizzare i caratteri generali delle fattispecie premiali. Il primo carattere che si

individua dalla lettura del testo di legge è certamente quello dell’eccezionalità delle

previsioni normative. La legge che istituisce il condono apre temporaneamente una

finestra nell’impianto legislativo fiscale, che è destinata a richiudersi con lo spirare del

termine e che non può essere dilatata nel tempo né, tantomeno nello spazio. La natura

della legge di condono appare di tipo derogatorio della norma preesistente, la cui

contemporanea vigenza è un presupposto del condono, che sospenderà a livello

soggettivo l’operatività della norma ordinaria qualora ne venga attivato il meccanismo

in seguito alla scelta di avvalersene da parte del contribuente. Viceversa, qualora non si

dia avvio al meccanismo condonatorio la norma ordinaria continua ad esplicare

efficacia, talvolta anche con maggiore virulenza. Basti pensare al prolungamento dei

termini di decadenza del potere di accertamento dell’amministrazione finanziaria nei

confronti dei contribuenti che non si avvalgono del condono, previsto dalla citata legge

289/2002. Altro connotato tipico dei condoni è la loro retroattività. Va, tuttavia,

22

opportunamente precisato che la retroattività è intesa nel senso che si applica la norma

nuova a fattispecie sorte in precedenza che non hanno ancora visto definito lo stato di

pendenza dell’obbligazione tributaria, vuoi perché l’intervento dell’amministrazione

finanziaria non ha raggiunto lo scopo finale dell’incameramento della somma dovuta,

vuoi perché a causa del sottrarsi del contribuente all’obbligo tributario questo non si è

estinto con l’adempimento o con il decadere del potere impositivo dell’amministrazione

finanziaria.27 Le norme in materia di condono sono, inoltre, prive di quei connotati di

generalità ed astrattezza che dovrebbero caratterizzare la produzione legislativa di uno

stato di diritto. Infatti dettano regole applicabili soltanto in determinate circostanze,

individuate in modo estremamente preciso e dettagliato. Anche sul piano soggettivo

manca il carattere della generalità; a potere avvalersi della legge di condono non sono

tutti i contribuenti, bensì soltanto quelli che siano evasori. Connotato tipico del condono

è la sua opzionalità. La legge di condono affida il perseguimento del fine definitorio da

parte del contribuente al compimento di talune manifestazioni di ravvedimento operoso,

rese possibili grazie ad una remissione nei termini, che non lasciano dubbi circa la

volontà di avvalersi delle opportunità previste dal condono. E ciò è assolutamente

necessario per l’operatività dei meccanismi del condono, che non potrebbero essere

applicati coercitivamente senza essere sanzionati dal giudice costituzionale, attesi i

caratteri propri che abbiamo indicato, che fanno si che le leggi di condono non si

inseriscono a pieno titolo nell’impianto normativo di un moderno stato di diritto.

Gli istituti da prendere in esame sono quelli previsti all’art. 8 (Integrazione degli

imponibili per gli anni pregressi, c.d. dichiarazione integrativa), all’art. 9 (Definizione

automatica per gli anni pregressi c.d.condono tombale) e all’art.15 (Definizione degli

accertamenti, degli inviti al contraddittorio e dei processi verbali di constatazione). Non

si tratterà del concordato di massa di cui all’art.7 poiché l’istituto in questione non

prevede, nel caso di perfezionamento della procedura sanatoria, alcun beneficio penale

in capo al contribuente. Ai sensi del comma 11 dell’art.7 “La definizione automatica

inibisce, a decorrere dalla data del primo versamento e con riferimento a qualsiasi

organo inquirente, salve le disposizioni del codice penale e del codice di procedura

penale, limitatamente all'attivita' di impresa e di lavoro autonomo, l'esercizio dei poteri

di cui agli articoli 32, 33, 38, 39 e 40 del decreto del Presidente della Repubblica 29

27 Ma tale retroattività è soltanto apparente e la legge di condono appronta dei meccanismi di definizione delle obbligazioni tributarie che sono destinati ad operare successivamente all’entrata in vigore, sebbene siano diretti ad intervenire su fattispecie già insorte.

23

settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e agli articoli 51, 52, 54 e 55 del

decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive

modificazioni, ed esclude l'applicabilita' delle presunzioni di cessioni e di acquisto,

previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre

1997, n. 441. L'inibizione dell'esercizio dei poteri e l'esclusione dell'applicabilita' delle

presunzioni previsti dal periodo precedente sono opponibili dal contribuente mediante

esibizione degli attestati di versamento e dell'atto di definizione in suo possesso.” Il

riferimento al codice di rito (salve le disposizioni del codice penale e del codice di

procedura penale ) significa che il pubblico ministero può legittimamente ricorrere ai

propri strumenti di indagine per accertare la commissione di un qualsiasi reato poiché,

ripetiamo, l’istituto di cui all’art.7 non prevede alcuna causa di esclusione della

punibilità, a differenza di quanto disposto agli artt.8, 9 e 15.

CONDONO TOMBALE EX ART.9 L.289/2002

Tale analisi non puo’ che iniziare dal condono tombale in quanto, tale strumento,

assicura un’ampia copertura penale, oltre ad aver riscosso un rilevante successo tra i

contribuenti28. Nella legge finanziaria 2004 (legge 24 dicembre 2003, n. 350), sia nel

decreto- legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n.

326, concernente “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e la correzione

dell’andamento dei conti pubblici” e, da ultimo, nel decreto-legge 24 dicembre 2003, n.

355, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 29 dicembre 2003, sono state inserite

numerose disposizioni di proroga dei termini in scadenza.

L’articolo 34 della Legge 24 novembre 2003, n. 326 "Conversione in legge, con

modificazioni, del decreto- legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti

per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici",

pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.274 del 25 novembre 2003, e rubricato “Proroga di

termini in materia di definizioni agevolate”, al comma primo della lettera a) dispone che

“1. Al decreto-legge 24 giugno 2003, n. 143, convertito, con modificazioni,

dalla legge 1 agosto 2003, n. 212, sono apportate le seguenti modificazioni: a) nei

commi 2 e 2-bis dell'articolo 1, le parole: "16 ottobre 2003", ovunque ricorrano,

28 L’amministrazione finanziaria ha dichiarato che a giugno 2003 le somme derivanti dal condono fiscale sono pari a 5, 5 miliardi di euro a fronte di 550 milioni derivanti dalla sanatoria delle liti potenziali ed altrettanti dalle liti pendenti, 500 milioni dall’integrativa semplice ed altrettanti dalla rottamazione dei ruoli, 400 milioni dalla sanatoria degli omessi versamenti e infine 300 milioni dalle sanatorie minori.

24

sono sostituite dalle seguenti: "16 marzo 2004" ”. Tale disposizione ,quindi, prorogava

al 16 marzo 2004 tutti i termini inerenti alla definizione e al relativo versamento delle

seguenti pendenze tributarie, contenute originariamente nella legge n. 289 del 2002:

- art. 7 definizione automatica dei redditi di impresa e lavoro autonomo mediante

autoliquidazione

- art. 8 integrativa semplice

- art. 9 condono tombale

- art. 9-bis omessi versamenti

- art. 11, commi 1, 1-bis e 4 concernenti la definizione agevolata in materia di

imposte indirette (registro, Invim, ipotecarie e catastali, successioni e donazioni)

- art. 12 rottamazione ruoli pregressi

- art. 14 regolarizzazione scritture contabili

- art. 15 liti potenziali (avvisi di accertamento, inviti al contraddittorio, processi

verbali di constatazione)

- art. 16 chiusura liti fiscali pendenti

- art 5, D.L. n. 282/2002 chiusura partite IVA inattive

- art. 5-quinquies D.L. n. 282/2002 tassa automobilistica erariale.

La Legge 24 dicembre 2003, n. 350 (finanziaria 2004), all’art.2 ,comma 44, estende

all’annualità 2002 la definizione automatica dei redditi di impresa e di lavoro autonomo

mediante autoliquidazione (articolo 7), integrazione degli imponibili per gli anni

pregressi (articolo 8), definizione automatica per gli anni pregressi - c.d. condono

tombale (articolo 9), di cui alla legge n. 289 del 2002, mediante il versamento entro il

16 marzo 2004 dell’imposta dovuta. La Legge 27 febbraio 2004, n. 47, Conversione del

decreto- legge 24 dicembre 2003, n. 355 ” Proroga di termini previsti da disposizioni

legislative”, G.U.R.I. 27 febbraio 2004, n. 48, prevede la proroga al 16 aprile 2004 del

termine per aderire alle definizioni agevolate contenute nella legge n. 289 del 2002 e

successive modificazioni.

Dalla lettura delle disposizioni normative in esame si evince che i contribuenti possono

definire in modo automatico, ai sensi dell’articolo 9 L. 289/2002 , tutte le imposte sui

redditi ed assimilate, nonché, anche separatamente, l’Iva, con riferimento ai periodi

d’imposta per i quali i termini di presentazione delle dichiarazioni sono scaduti entro il

31 ottobre 2003. I soggetti che possono avvalersi del cosiddetto condono tombale sono:

le persone fisiche; le imprese familiari; le società semplici; le società in nome collettivo;

le società in accomandita semplice; le società di armamento; le società di fatto; le

25

aziende coniugali gestite in forma societaria; le associazioni tra professionisti; le società

per azioni; le società in accomandita per azioni; le società a responsabilità limitata; le

società cooperative; le società di mutua assicurazione; gli enti commerciali; gli enti non

commerciali; le società ed enti non residenti; i sostituti d’imposta, invece, non possono

valersi del condono tombale ma debbono utilizzare lo strumento rappresentato

dall’integrativa semplice. I periodi d’imposta interessati per imposte dirette ed altre

imposte sono quelli compresi tra il 1997 e il 2002 (anche il 1996 se la relativa

dichiarazione è stata omessa); per l’imposta sul valore aggiunto i periodi di imposta

definibili sono le annualità comprese tra il 1998 ed il 2002 (anche il 1997 se la relativa

dichiarazione è stata omessa). Secondo quanto disposto dall’Agenzia delle Entrate nelle

circolari del 28.04.2003 n° 22 e del 21/02/2003 n.12/E la definizione automatica di cui

all’art.9 della L. 289/2002 deve avere ad oggetto tutti i periodi di imposta, compresi

quelli per i quali il contribuente è legittimato a non presentare la dichiarazione stessa, e

quelli per i quali è stata omessa la presentazione della dichiarazione. I soggetti Iva sono

obbligati a inserire tutte le annualità in cui è stata posta in esse un’attività rilevante ai

fini dell’imposta. Per i soggetti aventi l’esercizio non coincidente con l’anno solare,

l’ultimo periodo d’imposta definibile è quello relativo all’esercizio chiuso entro il 31

dicembre 2002. Questi soggetti, essendo tenuti a presentare la dichiarazione dei redditi

in via telematica entro l’ultimo giorno del decimo mese successivo a quella di chiusura

del periodo d’imposta, non possono definire periodi d’imposta chiusi dopo il 31

dicembre 2002, per i quali la data di presentazione della relativa dichiarazione scade

successivamente al 31 ottobre 2003. Le dichiarazioni che sono presentate con un ritardo

superiore 90 giorni si considerano valide anche ai fini del condono (articolo 2, comma 7

del D. P.R. 322 del 1998).

GLI EFFETTI PENALI DEL CONDONO TOMBALE

Come visto in precedenza al comma 10 dell’articolo 9 della L.289/2002 si prevede che

il perfezionamento della procedura di definizione automatica comporta la preclusione,

nei confronti del dichiarante e dei soggetti coobbligati, di ogni accertamento tributario;

l'estinzione delle sanzioni amministrative tributarie, ivi comprese quelle accessorie;

l'esclusione della punibilita' per alcuni ma non per tutti i reati tributari (di cui agli

articoli 2, 3, 4, 5 e 10 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74), nonche' per i reati

previsti dagli articoli 482, 483, 484, 485, 489, 490, 491-bis e 492 del codice penale,

26

nonche' dagli articoli 2621, 2622 e 2623 del codice civile, quando tali reati siano stati

commessi per eseguire od occultare i predetti reati tributari, ovvero per conseguirne il

profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria; i predetti effetti

operano a condizione che, ricorrendo le ipotesi di cui all'articolo 14, comma 5, della

L.289/2002 si provveda alla regolarizzazione contabile di tutte le attivita', anche

detenute all'estero, secondo le modalita' ivi previste, ferma restando la decadenza dal

beneficio in caso di parziale regolarizzazione delle attivita' medesime.

Il beneficio della non punibilità non viene esteso, oltre che ai reati fiscali presenti in

altri testi normativi e non contemplati dal D.Lgs. 74 del 2000, anche alle fattispecie di

emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui all’art.8 e di sottrazione fraudolenta

al pagamento di imposte di cui all’art.11. La ratio di tale esclusione può essere ricercata

nell’importanza fondamentale attribuita al momento dichiarativo, sia dal decreto

legislativo di riforma del sistema penale tributario, quale momento di consumazione

dell’illecito e, quindi, di integrazione dello stesso, sia dai condoni previsti dagli art.8 e 9

della L.289/2002. Gli artt.8 e 11, infatti, non attengono al momento dichiarativo.29 Non

sono, comunque, mancati dubbi di incostituzionalità di tali norme nella parte in cui

prevedono l’esclusione di tali fattispecie di reato dall’ambito applicativo dei benefici

penali. Potrebbe ritenersi violato l’art.3 della Costituzione in riferimento ai parametri di

uguaglianza e di ragionevolezza poiché, il permanere della punibilità del delitto di cui

all’art.8 D.Lgs.74/2000, comporterebbe un trattamento di maggior favore

all’utilizzatore30 di fatture per operazioni inesistenti, al quale è permesso l’adesione al

condono tombale, rispetto all’emittente, interdetto dall’utilizzo di tale strumento.

Per quanto riguarda la non punibilità dei reati comuni, indicati tassativamente dal

legislatore, è necessario che tra questi ed i reati fiscali interessati dal beneficio penale

del condono, sussista un rapporto di collegamento strumentale ed un nesso eziologico,

in quanto tali reati devono essere stati commessi per eseguire o occultare i reati fiscali di

29 PERINI, “Riflessi penali dei condoni della Finanziaria 2003”, in Rassegna Tributarian.2/2003,pp.562 e 563, a tal proposito sottolinea che sembra “comunque contradditoria l’attribuzione di rilevanza al delitto di occultamento o distruzione delle scritture contabili, anch’esso avulso dal momento dichiarativo quanto i delitti di cui agli artt. 8 e 11”. Sul punto inoltre :” in caso di definizione dei periodi fiscali attraverso il condono tombale, il contribuente compra la propria pace fiscale e penale attraverso il pagamento di una somma di denaro predeterminata, a nulla rilevando l’originaria dichiarazione. Dunque il legame con il momento dichiarativo, in realtà, appare più di tipo tendenziale che effettivo.” 30 Inteso nel senso che tale soggetto utilizza le fatture per operazioni inesistenti, quale supporto contabile di una dichiarazione fraudolenta ai sensi dell’art.2 del D.lgs.74/2000. Infatti, a seguito della riforma penale tributaria, la condotta di semplice utilizzazione non rileva da sé, come invece accadeva ai sensi dell’art.4,comma 1, let.f della 516/1982, ma è necessario che vi sia la presentazione di una dichiarazione resa fraudolenta mediante l’indicazione nelle scritture contabili degli importi derivanti da tali fatture per operazioni inesistenti.

27

cui sopra, ovvero per conseguirne il profitto e devono riferirsi alla medesima pendenza

o situazione tributaria. Il legislatore, in tal caso, sembra riferirsi alla connessione

obiettiva di cui alla circostanza aggravante di cui all’art.61 co.2 c.p. in cui si dispone :

“ aggravano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti

speciali… l’aver commesso il reato per conseguire o assicurare a sé o ad altri il

prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato.” Basta pensare

all’occultamento dei proventi dell’evasione fiscale attraverso l’indicazione di ricavi

inferiori a quelli realmente conseguiti sia in bilancio che in dichiarazione, fattispecie

che integra il reato societario di false comunicazioni sociali di cui all’art.2621 c.c. oltre

a quello di frode fiscale in senso lato. Tale connessione, però, comporta la non

punibilità solo dei reati comuni espressamente previsti dal legislatore del condono,

mentre permane la punibilità, nonostante il perfezionamento della procedura prevista

dalla sanatoria fiscale, dei reati comuni non espressamente ricompresi. Infatti, per

quanto riguarda il reato di appropriazione indebita aggravata di cui agli artt.646 e 61

c.p. commesso dagli amministratori infedeli di una società in relazione al “nero” non

dichiarato, persiste la punibilità pur in presenza della definizione della procedura di

condono. Allo stesso modo persiste la punibilità dell’eventuale reato associativo anche

se si è beneficiati della non punibilità dell’illecito penale oggetto del pactum sceleris.31

Si prevede che vi sia la permanenza della responsabilità penale, per i “reati strumentali”

a quelli fiscali, nel momento in cui non si sia provveduto a regolarizzare le attività,

anche se detenute all’estero. Se la società ha commesso il reato di falso in bilancio, non

includendo dei fondi neri esteri a fini evasivi, nel caso in cui si effettui il condono

tombale senza provvedere alla regolarizzazione di tali attività, in capo al legale

rappresentante sarà esclusa la punibilità per il solo reato fiscale, ma non anche per

quello societario.

Il pagamento della prima rata comporta il perfezionamento della procedura prevista

dall’art.9 L.289/2002 con la conseguenza che, a seguito dell’ottemperamento a tale

versamento, si produrranno in capo al contribuente i benefici penali contemplati dal

comma 10 del medesimo articolo. L’omesso versamento degli importi eccedenti alle

scadenze previste, così come disposto dal comma 12 dell’art.9 L.289/2002, non incide

in alcun modo sull’efficacia della procedura di sanatoria fiscale, che risulta integrata

con il semplice versamento della prima rata. Il mancato pagamento delle successive

31 Vgs. NAPOLI A., “Proroga del condono. I profili penali nell’interpretazione giudiziale, dottrinale e amministrativa”, in Il Fisco n.2/2004 p.236

28

rate, pertanto, non incide sul procedimento di formazione della procedura, bensì nella

fase esecutiva, ben potendo l’Amministrazione Finanziaria procedere al recupero delle

relative somme, degli interessi legali e delle sanzioni amministrative pari al 30% delle

somme non versate, ridotte alla metà in caso di versamento eseguito entro i trenta giorni

successivi alla scadenza medesima, attraverso gli strumenti di riscossione previsti

dall’art.14 D.P.R. 29 settembre 1973 n.602 e successive modificazioni32. La norma de

quo, infatti, prevede che siano iscritte a titolo definitivo nei ruoli: le imposte e le

ritenute alla fonte liquidate ai sensi degli articoli 36 bis e 36 ter del D.P.R. 29 settembre

1973, n. 600, al netto dei versamenti diretti risultanti dalle attestazioni allegate alle

dichiarazioni ; le imposte, le maggiori imposte e le ritenute alla fonte liquidate in base

ad accertamenti definitivi; i redditi dominicali dei terreni e i redditi agrari determinati

dall’ufficio in base alle risultanze catastali; i relativi interessi, soprattasse e pene

pecuniarie. A tal proposito risulta interessante un parallelismo tra la disposizione di cui

al comma 12 dell’art.9 della L.289/2002 e l’istituto dell’accertamento con adesione

disciplinato dal D.Lgs. 19 giugno 1997 n.218. In tal caso, infatti, a differenza di quanto

previsto per il condono tombale, si prevede che il perfezionamento della definizione si

realizza con il versamento di cui all’articolo 8, comma 1, ovvero con il versamento della

prima rata e con la prestazione della garanzia, previsti dall’articolo 8, comma 2. In altre

parole il perfezionamento della definizione di cui al D.Lgs.218/97 si ha solo nel

momento in cui, entro il termine di venti giorni dalla redazione dell’atto di cui all’art.7,

si provvede al versamento delle somme dovute per effetto dell’accertamento con

adesione, mediante delega ad una banca autorizzata o tramite il concessionario del

servizio di riscossione competente in base all’ultimo domicilio fiscale del contribuente;

in caso di pagamento rateale, per un massimo di otto rate trimestrali di pari importo o in

un massimo di dodici rate trimestrali se le somme dovute superano gli euro 51.645,69,

sull’importo delle rate successive sono dovuti gli interessi al saggio legale, calcolati

dalla data di perfezionamento dell’atto di adesione, e per il versamento di tali somme il

contribuente è tenuto a prestare garanzia con le modalità di cui all’articolo 38 bis del

decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, per il periodo di

rateazione del detto importo, aumentato di un anno.

32 Tale articolo è stato modificato dall’art. 3, D.P.R. 24 dicembre 1976, n. 920, con effetto, come disposto dall’art. 4 dello stesso decreto, dall’1 gennaio 1974; l’art. 2, D.P.R. 14 aprile 1982, n. 309 ha sostituito la lettera a) dell’art.14 del D.p.r.602/1973.

29

In conclusione si ritiene utile riportare le discussioni in merito ad una presunta

illegittimità costituzionale del condono fiscale, sul presupposto che lo stesso rappresenti

una forma di “amnistia mascherata”, in quanto introdotto nell’ordinamento senza

ottemperare alle disposizioni di rilievo costituzionale di cui all’art.79 (come modificato

dalla legge costituzionale 6 marzo 1992, n.1), in merito al provvedimento di amnistia.

Tale norma introduce una riserva costituzionale in merito a tale atto di clemenza,

prevedendo che “L’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a

maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e

nella votazione finale”. La legge finanziaria per il 2003 (L.289/2002) , approvata con

legge ordinaria, sarebbe quindi illegittima in quanto introduce un provvedimento avente

effetti similari a quelli dell’amnistia. Una questione analoga è stata oggetto della famosa

sentenza n.369 del 23/03/1988 della Corte Costituzionale, in merito al condono edilizio

di cui agli artt.31 e seguenti della L.28 febbraio 1985, n.47. Nel giudizio di legittimità

costituzionale degli artt. 31, 34, 35, 38, 39, 43 e 44 della legge 28 febbraio 1985, n. 47

e 8 quater del D.L. 23 aprile 1985, n. 146 promossi con ordinanze emesse il 18 marzo

1985 dal Pretore di Pietrasanta, il 17 maggio e il 20 marzo 1985 dal Pretore di Palmi, il

15 maggio 1985 dal Pretore di Male (n. 2 ordinanze), il 2 luglio 1985 dal Tribunale di

Lucera, il 14 ottobre 1985 dal Pretore di Roma, il 17 aprile 1986 dal Pretore di Bagnara

Calabra, il 10 aprile 1986 dal Tribunale di Spoleto, il 28 ottobre 1986 dal Pretore di

Bergamo, l'8 ottobre 1986 dal Pretore di Vittoria e il 30 ottobre 1986 dal Pretore di

Trentola, la Corte ha dichiarato l’innammissibilità delle questioni di legittimità stesse.

Infatti si ritiene che : “Il legislatore del 1985 non ha scelto, per la concessione del

condono edilizio, lo si é ribadito più volte, la strada dell'amnistia: coerentemente ed in

ossequio ai principi generali, ha <bloccato> gli effetti estintivi del condono <dinanzi>

alla sentenza definitiva di condanna. Il legislatore ordinario avrebbe anche potuto

diversamente disporre; ma (a parte il rilievo per il quale, in tal caso, avrebbe

avvicinato il condono all'amnistia, con le inevitabili conseguenze in ordine al processo

di formazione del provvedimento di clemenza) avrebbe dovuto esplicitamente

dichiararlo: e ciò non ha fatto……In questa sede è sufficiente aver escluso che il

condono penale edilizio, di cui agli impugnati articoli della legge n. 47 del 1985,

costituisca amnistia: fra l'altro il condono penale in esame viene definito, da alcune

ordinanze di rimessione, <anomala amnistia> senza chiarire perchè, malgrado le

<anomalie>, il predetto condono costituisca, comunque, pur sempre, amnistia; nè i

30

rilievi per i quali lo stesso condono non é da inquadrarsi nell'istituto dell'oblazione o

della conciliazione amministrativa valgono a dimostrare la natura di amnistia del

medesimo.” In pratica, la Suprema Corte, affermando la piena legittimità del condono

edilizio, sostiene che, mentre l’amnistia produce un effetto estintivo come conseguenza

di una previsione astratta e generalizzata, la sanatoria produce l’ effetto estintivo solo al

termine di una determinata procedura amministrativa, in particolari ipotesi e solo per

alcune tipologie di contribuenti.

L’ESTENSIONE DELLA NON PUNIBILITA’ AGLI AMMINISTRATORI IN

IPOTESI DI CONDONO DELLA SOCIETA’

Il comma 10 dell’art.9 L.289/2002 dispone che il perfezionamento della procedura

prevista comporta, oltre alla preclusione, nei confronti del dichiarante e dei soggetti

coobligati, di ogni accertamento tributario e l’estinzione delle sanzioni amministrative

tributarie, ivi comprese quelle accessorie, anche l’esclusione della punibilità per i reati

tributari di cui agli artt. 2, 3, 4, 5 e 10 del D.lgs.74/2000 e per i reati compresi nel

tassativo elenco dettato dal legislatore, al ricorrere delle predeterminate condizioni.

Problematica di particolare interesse è rappresentata dai profili soggettivi coinvolti dai

benefici conseguenti al perfezionamento della procedura sanatoria e, più in dettaglio, ci

si riferisce alla vexata questio dell’estendibilità della non punibilità anche agli

amministratori e al concorrente, in conseguenza del condono effettuato dal contribuente.

Si deve sottolineare la poca attenzione prestata dal legislatore ai profili soggettivi

interessati dagli effetti premiali, in quanto non si è operata l’importante distinzione in

tutti i casi di mancata coincidenza tra il contribuente ed l’autore della condotta

penalmente illecita, suscettibile di beneficiare degli effetti sanatori al perfezionamento

della definizione agevolata. Inoltre, come sarà meglio evidenziato nel prosieguo ( nella

parte relativa alle cause ostative all’accesso ai condoni), la formulazione normativa non

appare chiara neanche nell’individuazione dei soggetti nei cui confronti deve sussistere

la pendenza penale ostativa, visto che “in molte ipotesi l’autore-persona fisica del reato

non coincide con il contribuente (come nel caso delle società) o che può essere avviato

procedimento per illecito riferibile alla posizione del contribuente ma a carico di una

persona (ad esempio concorrente nel reato) diversa da questo.”33

33 Sono le considerazioni di ROSSI A.,” Condoni 2003, Preclusione alla definizione derivante da procedimenti penali”, in Il Fisco n.4/2003, pp.1248

31

È necessario, quindi, chiedersi quale sia l’ambito applicativo degli effetti premiali, oltre

che l’estensione soggettiva delle cause ostative all’accesso alla definizione agevolata,

nel caso in cui si presenta una dissociazione soggettiva tra contribuente e autore della

condotta penalmente rilevante; alla luce di tali considerazioni, assume particolare rilievo

il dibattito teorico in merito alla natura giuridica della causa di non punibilità (causa

sopravvenuta di non punibilità/causa di estinzione del reato), non solo per i relativi

profili di legittimità costituzionale, ma soprattutto in merito alla valenza oggettiva o

soggettiva dell’istituto in questione.

I managers, autori materiali della condotta illecita fiscale, rientrano o meno nell’ambito

applicativo della non punibilità a seguito del condono effettuato dal titolare del rapporto

giuridico tributario – contribuente - persona giuridica? Nel caso di contribuente-persona

fisica, invece, ci si chiede se gli effetti premiali penali, conseguenti al condono, possono

estendersi anche ai concorrenti del reato.34 Prima di analizzare la problematica de quo è

necessario sottolineare le modalità di imputazione della responsabilità amministrativa

per gli illeciti commessi nell’ambito di compagini aziendali complesse e, quindi, nel

caso di dissociazione soggettiva tra contribuente e autore dell’illecito. Il D.Lgs 18

Dicembre 1997 n.472, in ragione di una oramai avanzata realtà economico-

imprenditoriale, nella quale “dietro” la società, l’associazione o l’ente con o senza

personalità giuridica titolari d’impresa e quindi titolari del rapporto giuridico tributario

(“soggetto passivo d’imposta o contribuente”), vi possono essere diverse persone fisiche

(managers) che con le loro condotte determinano le vicende aziendali, ha spostato le

sanzioni dal contribuente alla persona fisica35, perseguendo personalmente ed

individualmente tutte le singole persone fisiche partecipi delle condotte illecite. Da un

lato vi è una responsabilità per l’illecito amministrativo in capo all’autore della

violazione 36, dall’altro si prevede un’obbligazione solidale a carico della persona fisica,

società, associazione od ente, con o senza personalità giuridica, sul cui patrimonio si

riflettono gli effetti economici della violazione 37 e nel cui interesse ha agito l’autore

della stessa.

34 Vgs. CARACCIOLI I., “Sulla pretesa inadeguatezza dell’apparato sanzionatorio dei nuovi reati societari”, in Il Fisco n.2/2004 p.372 35 Così I.CARACCIOLI, in “La necessità di una riforma coordinata delle sanzioni amministrative e penali in campo fiscale”, Il Fisco n.33/03 36 L’art.11 n.2 dispone che” Fino a prova contraria, si presume autore della violazione chi ha sottoscritto ovvero compiuto gli atti illegittimi.” 37 L’art.11 n.1 dispone che : ”Nei casi in cui una violazione che abbia inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo è commessa dal dipendente o dal rappresentante legale o negoziale di una persona fisica nell’adempimento del suo ufficio o del suo mandato ovvero dal dipendente o dal rappresentante o

32

Il legislatore della riforma penale tributaria, preoccupato dell’eventuale perdita di

deterrenza del sistema penal-tributario in conseguenza dell’introduzione del princ ipo di

specialità, con il 2° comma dell’art.19 D.Lgs.74/2000 dispone che, nel caso di

applicazione della norma speciale penale e conseguente disapplicazione della

disposizione che prevede la sanzione amministrativa38, venga comunque fatta salva la

responsabilità per tale sanzione dei soggetti indicati all’art.11, comma1 del

D.Lgs.472/97.39 Di conseguenza, la sospensione delle sanzioni amministrative relative a

violazioni fatte oggetto di notizia di reato, comunque irrogate dall’ufficio competente ai

sensi dell’art.21 del D.Lgs. 74/2000, non opera nei confronti dei soggetti sopra indicati.

Il sistema così delineato è stato oggetto di vivaci dibattiti; si è discusso particolarmente

in riferimento alla natura della responsabilità dell’ente e alle conseguenze delle diverse

interpretazioni sul nuovo sistema penal-tributario e, quindi, sull’applicazione del

principio di specialità. Secondo autorevole dottrina, la responsabilità dell’ente non può

assolutamente configurarsi come responsabilità autonoma ma si tratta di una

responsabilità solidale civilistica40. L’obbligazione dell’ente, infatti, si pone su un piano

di solidarietà rispetto all’obbligazione della persona fisica, salva la possibilità di

regresso nei confronti del responsabile materiale dell’illecito fiscale 41; non ha una

connotazione autono ma, ma dipende strutturalmente dall'illecito com messo dalla

persona fisica. Ma tale interpretazione ha portato alcuni autori a ritenere che

l’introduzione del 2° comma dell’art.19 D.Lgs.74/2000 abbia costituito “un’aberrante

mutilazione” del principio di specialità di cui al primo comma, poiché il principio del

cumulo, ”cacciato dalla porta, è rientrato lestamente dalla finestra”42. Secondo tali

autori la responsabilità di cui all’art.11 D.lgs 472/97 dovrebbe essere considerata di

natura fideiussoria 43. Da tale interpretazione si farebbe derivare l’esistenza, oltre che

dall’amministratore, anche di fatto, di società, associazione od ente, con o senza personalità giuridica, nell’esercizio delle sue funzioni o incombenze, la persona fisica, la società, l’associazione o l’ente nell’interesse dei quali ha agito l’autore della violazione sono obbligati solidalmente al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata, salvo il diritto di regresso secondo le disposizioni vigenti.” 38 L’art.19 co.1 dispone che “. Quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titolo II e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale.” 39 L’art.19 co.2 dispone che” Permane, in ogni caso, la responsabilità per la sanzione amministrativa dei soggetti indicati nell’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, che non siano persone fisiche concorrenti nel reato.” 40 Così N.POLLARI-F.LORIA, in “Diritto punitivo e processuale tributario”, Laurus Robuffo 2003 41 Così F.FONTANA, in “Il principio di specialità nel D.Lgs.74/00”, il Corriere Tributario n.32/00 42 Così CARACCIOLI- FALSITTA, “Il principio di non cumulabilità tra sanzioni penali e sanzioni tributarie e la sua aberrante mutilazione col decreto delegato n. 74/2000”, in Il Fisco n. 31/2000 43 Il fideiussore che ha pagato al creditore principale l’obbligazione garantita ha diritto di agire in regresso contro il debitore principale indipendentemente che questo fosse o meno a conoscenza della fideiussione:

33

della contraddizione eclatante dovuta al fatto che non si vede come possa nascere una

responsabilità amministrativa "dipendente" della persona giuridica, visto che codesta

responsabilità, appunto perché dipendente, postula un evento ("la nascita

dell'obbligazione principale" in capo alla persona fisica ) che qui non si può

verificare (poichè la persona fisica è stata condannata penalmente), anche di un diritto

di rivalsa illimitato ed incondizionato concesso al contribuente obbligato al pagamento

di una somma pari alla sanzione irrogata (all'autore della violazione) . Si avrebbe

quindi la paradossale situazione di un soggetto, autore materiale della violazione, il

quale, pur condannato dal giudice penale, dovrebbe poi subire, poiché destinatario del

diritto di rivalsa del contribuente, anche l'onere economico della sanzione

amministrativa con totale vanificazione del principio di alternatività. Il sistema

realizzerebbe un “cumulo aberrante tra sanzione penale e sanzione amministrativa”

rendendo vana, sul piano concreto applicativo, la disposizione di cui al comma 1

dell’art.19 D.Lgs.74/2000.44 Altra parte della dottrina ha respinto la tesi della natura

quasi fideiussoria45 per abbracciare l’interpretazione secondo la quale la responsabilità

del contribuente ha natura sanzionatoria e, contraddicendo l’impostazione personalistica

del D.Lgs. 472/97, manifesta una propria autonomia46. Di conseguenza, non potendosi

accettare la possibilità di rivalsa del contribuente nei confronti del condannato, la

responsabilità per le sanzioni amministrative permane in capo al contribuente con il

venir meno della responsabilità amministrativa dell’autore materiale sottoposto

esclusivamente a sanzione penale in ossequio al principio dell’alternatività.

Alla luce di quanto detto si può giungere alla conclusione che la riforma delle sanzioni

amministrative, avvenuta con i decreti del 1997, ha proceduto in maniera disorganica su

alcuni istituti. Da più parti si è auspicata una riforma organica e coerente dell’intero

apparato punitivo tributario ed in particolare, relativamente alle sanzioni

amministrative, si è espressa la necessità di ritornare al sistema precedente della

con l’esercizio di tale azione di regresso il fideiussore può ottenere il rimborso di ogni somma pagata al creditore principale, art. 1950 cc.. 44 Così CARACCIOLI- FALSITTA, “Il principio di non cumulabilità tra sanzioni penali e sanzioni tributarie e la sua aberrante mutilazione col decreto delegato n. 74/2000”, in Il Fisco n. 31/2000, pag. 9746. Nello stesso senso, FALSITTA, “L’aberrante cumulo materiale tra sanzioni penali e sanzioni amministrative tributarie nel decreto delegato n. 74/2000”, in Rivista di Diritto Tributario, 2001. 45 Che sembrerebbe coerente con la configurazione risultante dal combinato disposto dei commi 1, 3, e 4 dell’art.11. 46 Come evidente nelle disposizioni di cui al co.5 dell’art.11 ,al co.2 dell’art.5 e al co.7 dell’art.11 con riferimento alle maggiori somme dovute dal contribuente rispetto al limite di euro 51.645,49 che opera nei confronti dell'autore della violazione ed in relazione alla persistenza del debito del contribuente nell'ipotesi di morte dell'agente.

34

responsabilità oggettiva della società-contribuente.47I più recenti orientamenti normativi

e dottrina li indicano nel diritto pe nale amministrativo lo strumento di tutela più

adatto per fronteggiare efficacemente i reati d’impresa 48. Di conseguenza , si è resa

necessaria l’individuazione, anche in campo fiscale e tramite l’introduzione di appositi

accorgimenti tecnico- legislativi, peraltro già utilizzati in altri settori dell'ordinamento

e nelle legislazioni di altri Stati 49, di un'autonoma figura di ille cito collettivo

addebitabile esclusivamente all'ente ; tali fattispecie sarebbero integrate da condotte

che siano espressione di una propensione dell'ente alla commissione di illeciti, dovuta

sia a precise scelte di politica aziendale, sia a carenze dell'appa rato organizzativo (e

quindi ad un mancato ed ingiustificabile controllo delle vicende aziendali). L’art.7 del

D.L. 269/2003, anticipando l’attuazione della delega per la riforma fiscale di cui

all’art.2, comma 1, lett. l), della legge 80/03 50, dispone che ”le sanzioni amministrative

relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono

esclusivamente a carico della persona giuridica” . Il primo comma introduc e una

disposizione fondamentale ; si abbandona il modello sanzionatorio incentrato sul

principio della personalità della sanzione, applicata in capo a chi ha materialmente

commesso la violazione , in ragione dell’attribuzione di una partecipazione cosciente e

volontaria, per abbracciare il meccanismo della responsabilità oggettiva per cui la

sanzione viene direttamente applicata sul contribuente a prescindere da qualsiasi tipo di

valutazione sogge ttiva. Tale disposizione , attribuendo la responsabilità in modo

oggettivo senza vincolarla a una ricerca soggettiva, rende non più operative alcune

regole, relative alle cause di non punibilità, imputabilità, colpevolezza, graduazione

della sanzione ed autore mediato, che il Dlgs 472/97 aveva posto a garanzia del

principio della personalità della responsabilità in capo all’autore materiale della

violazione. Il comma 1, dell’art7 del DL 269/03 delinea una responsabilità autonoma ed

esclusiva in capo alla persona giuridica per le violazioni amministrative tributarie. In

conseguenza di una condotta illecita, realizzata da un qualsiasi soggetto che opera

50 L’art.2 della Legge delega 80/03 dispone che “. Il codice è articolato in una parte generale ed in una parte speciale. La parte generale ordina il sistema fiscale sulla base dei seguenti princìpi: l) la sanzione fiscale amministrativa si concentra sul soggetto che ha tratto effettivo beneficio dalla violazione;secondo B.SANTACROCE , in “Sanzioni ai manager,passaggio al buio”, IlSole24ore del 30/10/2003, l’art.7 non risponderebbe allo spirito della delega fiscale (DL 80/03) che prevedeva la revisione del principio della personalità della responsabilità tramite la riconduzione al soggetto che ne ha tratto effettivo vantaggio e non tramite il ritorno alla responsabilità oggettiva.

35

nell’ambito della compagine aziendale in qualità di dipendente di diritto o di fatto e che

ha integrato un illecito amministrativo di natura tributaria, la sanzione a questo collegata

sarà irrogata ed eseguita direttamente ed esclusivamente in capo alla società o ente con

personalità giuridica. Non troverà più applicazione l’art.11 (commi 1 e 2) del

D.Lgs.472/1997 che, dalla commissione dell’illecito ad opera della persona fisica,

faceva derivare una responsabilità per illecito amministrativo imputabile al solo autore

materiale ed una responsabilità solidale civilistica in capo agli enti, con o senza

personalità giuridica destinatari di vantaggi economici. L’autore materiale non è più

destinatario di alcun provvedimento di natura sanzionatoria amministrativa e, in

conseguenza di ciò, vengono meno anche tutte quelle complesse problematiche

derivanti dall’applicazione del combinato disposto del comma 2 dell’art.19 e del comma

2 dell’art.21 D.Lgs. 74/2000. Infatti, per quanto riguarda gli illeciti posti in essere da

soggetti operanti nell’ambito di enti o società, in capo all’autore materiale non si potrà

mai avere l’applicazione del principio di specialità, non essendo possibile un concorso

apparente tra la norma sanzionatoria a mministrativa e la norma penale , visto che

l’autore materiale è escluso dall’ambito soggettivo di applicazione delle sanzioni

amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società ed enti. Così, in presenza

di una condotta illecita a rilevanza amministrativa, avremo la sola ed esclusiva

responsabilità della persona giuridica; in caso di condotta a rilevanza penale, l’autore

materiale r isponderà dell’eventuale sanzione penale e la persona giuridica, se ne

ricorrono i presupposti, risponderà della sanzione amministrativa, ma tali responsabilità

appartengono a piani diversi e non vi saranno, quindi, le problematiche ampiamente

analizzate. Sul piano soggettivo si deve sottolineare il fatto che la norma è applicabile

ad un numero di soggetti inferiore a quello in relazione al quale sorge l’obbligazione

solidale di cui all’art.11, comma 1 del d.Lgs.472/1997. Mentre questa disposizione è

applicabile alle persone fisiche , alle società, alle associazioni e agli enti con o senza

personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito l’autore della violazione, l’art.7 si

riferisce esclusivamente alle società e agli enti con personalità gi uridica. Con la

conseguenza che , per i soggetti di cui all’art.11 , comma 1 D.Lgs.472/1997 e non

contemplati dall’art.7 (persone fisiche, enti senza personalità giuridica), continuerà ad

applicarsi il sistema già ampiamente delineato con le relative problematiche.

36

Tornando all’analisi dell’estensione soggettiva dei benefici premiali conseguenti al

perfezionamento della sanatoria fiscale, prima che la giurisprudenza esprimesse la

propria posizione favorevole alla tesi della valenza oggettiva delle cause di non

punibilità, in particolare, nelle pronunce del Gip del Tribunale Di Pordenone n.140 del

15 maggio 2003 e del Gip del Tribunale di Torino del 3 giugno 2003, e prima

dell’intervento del legislatore, sempre in riferimento alla tesi della valenza oggettiva

dell’istituto, per il tramite di una norma di interpretazione autentica ( L.1 agosto 2003

n.212, art.1, comma 2-septies), la dottrina aveva ampiamente espresso la propria

posizione contraria ad ammettere l’estensione del beneficio della non punibilità anche

agli amministratori e ai concorrenti diversi dal soggetto contribuente che si è adoperato

per la definizione del rapporto erariale.

In particolare si riteneva che, sul punto, non potesse farsi riferimento alla sentenza della

Corte Costituzionale n.19 del 12-19 gennaio 1995. In tale contesto la Suprema Corte

stabilì che l’amnistia per la definizione dei periodi di imposta per i reati in materia di

imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto era applicabile, oltre che in capo al

contribuente, anche in capo al soggetto concorrente nel reato estraneo al rapporto

tributario. La Corte concludeva che, avendo il condono tributario una mera finalità di

recupero delle somme sottratte indebitamente all’Erario per il tramite di una illecita

gestione del rapporto tributario,“l’oggettività del presupposto indicato dalla legge non

autorizza a ritenere che il legislatore abbia voluto limitare a chi ha posto in essere detti

adempimenti la causa di estinzione del reato” . Come già detto non si riteneva di poter

prendere a riferimento tale pronuncia per la risoluzione della problematica in esame, in

quanto la sentenza aveva ad oggetto esclusivamente la particolare modalità di estinzione

del reato di cui all’art.1, commi 1 e 2, del D.P.R. n.23 del 1992. Infatti, in merito ai due

precedenti condoni ex legge 7 agosto 1982 n.516 e legge 30 dicembre 1991 n.413, si era

reso necessario un espresso intervento del legislatore (D.P.R. 9 agosto 1982 n.525 e

D.P.R. 20 gennaio 1992 n.23) per stabile che l’intervenuta definizione del rapporto

tributario determinava l’estinzione del relativo illecito penale per amnistia.

In realtà la dottrina aveva espresso la necessità di risolvere la questione attraverso

ulteriori e diversi parametri, anche alla luce del fatto che si riteneva generalmente che

l’esclusione della punibilità ex l.289/2002 dovesse essere riportata non nell’alveo delle

37

cause di estinzione del reato, bensì nell’ambito della cause sopravvenute di non

punibilità.51

Posto che la non punibilità delle condotte illecite a seguito dei condoni era ricondotta

nell’ambito delle circostanze di esclusione della pena 52, la risoluzione alla problematica

in esame veniva ricercata nelle disposizioni del codice penale. L’art.119 c.p. disciplina

la possibilità di applicare la causa di non punibilità anche ai soggetti concorrenti nel

reato. In particolare di dispone che “ le circostanze soggettive, le quali escludono la

pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato hanno effetto soltanto riguardo

alla persona cui si riferiscono. Le circostanze oggettive che escludono la pena hanno

effetto per tutti coloro che sono concorsi nel reato”.

Punto cruciale del dibattito in esame è, quindi, proprio quello di definire se le cause

sopravvenute di non punibilità ex artt.8, 9 e 15 della L.289/2002 hanno valenza

soggettiva o oggettiva. Sembra utile a tal proposito richiamare la sentenza della Corte

di Cassazione, SS.UU., 30 ottobre 2002, la quale ha risolto la problematica inerente la

valenza oggettiva o soggettiva della causa di non punibilità rappresentata dalla

ritrattazione. La Corte precisa che, mentre la cause oggettive di esclusione della pena

fanno venire meno l’antigiuridicità oggettiva del fatto, nel caso di benefici premiali

soggettivi l’esclusione dell’applicazione della pena non deriva, né dalla presenza di una

causa di giustificazione, né da una declaratoria di estinzione del reato, bensì permane

l’illiceità della condotta, anche se viene esclusa la punibilità in capo al suo autore. “In

sostanza, le cause sopravvenute di esclusione della punibilità aventi valenza soggettiva

sono condotte susseguenti al reato, in qualche modo riparatorie dell’offesa arrecata,

cui il legislatore attribuisce efficacia estintiva dell’illecito per perseguire obiettivi di

politica criminale”53.

In tale pronuncia la Corte ha affermato la natura soggettiva della ritrattazione

sostenendo che tale istituto è inerente “alla determinazione tipicamente personale e

51 Contrario a tale impostazione risulta essere , ad esempio, CARTONI, “Gli effetti penali delle sanatorie fiscali”,in il Fisco n.17/2003, fascicolo 1, p.2622; l’autore ritiene che si sarebbe in presenza di cause di giustificazione ai sensi dell’art.50 c.p. 52 A tal proposito CARACCIOLI I., “Profili penali del nuovo concordato fiscale”, in Il Fisco n.3/2003, p.434 “ si deve necessariamente propendere per la loro natura di cause sopravvenute speciali di estinzione del reato, in quanto esse presuppongono un reato già consumato, di cui vengono eliminati successivamente gli effetti, mentre le scriminanti coesistono al fatto, rendendo lecito il comportamento fin dall’inizio….meglio si sarebbe potuto parlare di “estinzione dei reati”; ma , comunque, il valore sostanzialmente non cambia.” 53 Sono le considerazioni, sul punto, di SANTORIELLO C., “Brevi note in tema di efficacia oggettiva o soggettiva delle ipotesi di condono fiscale”, in Il Fisco n.22/2003, p.3501

38

volontaria di riparare il danno già posto in essere”; quindi, avendo una natura

meramente soggettiva, “ ha effetto soltanto riguardo alla persona che si è determinata

alla riparazione e non può spiegare influenza sulla valutazione del fatto degli altri

compartecipi”. Alla luce delle considerazioni espresse nel passaggio di tale sentenza,

parte rilevante della dottrina, sul presupposto che le sanatorie fiscali conseguenti ai

condoni rappresentano condotte reintegratorie e riparatorie realizzate successivamente

alla commissione del fatto di reato, attribuiva alle fattispecie di cui agli artt.8, 9 e 15

della L.289/2002 una valenza soggettiva. In conseguenza di ciò, essendo tali cause di

esclusione della punibilità riferibili alla sola persona che ha aderito alle sanatorie, gli

effetti premiali conseguenti alla definizione agevolata si producono solo ed

esclusivamente in capo al contribuente.

Costituisce eccezione a tale conclusione l’art.8 della L.289/2002 poiché si dispone al

comma 8 che : “ Gli effetti di cui ai commi 6 e 7 si estendono anche nei confronti dei

soggetti diversi dal dichiarante se considerati possessori effettivi degli imponibili”. La

disposizione in esame ricomprende nell’ambito soggettivo di applicazione della causa di

esclusione della pena il concorrente, titolare fittizio di redditi, in sostanza nella

disponibilità di altri soggetti. La dottrina si è più volte pronunciata contro un’estensione

analogica in bonam partem di tale norma anche alle ipotesi di cui agli artt.9 e 15, in

ragione di una diversa ratio sottesa ai diversi istituti sanatori. 54

Altra parte della dottrina 55 ha legittimamente sostenuto che tale interpretazione

porterebbe a godere dell’esclusione della punibilità solo il soggetto che ha tratto

effettivo beneficio economico dalla condotta illecita e che in seguito ha aderito alla

procedura di condono; in tal modo, verrebbe escluso proprio il soggetto persona fisica,

il quale non essendo titolare della posizione giuridico tributaria interessata dall’illecito

fiscale, non ha tratto da quest’ultima alcun vantaggio patrimoniale.

Le preoccupazioni poc’anzi rappresentate sono state raccolte e risolte dalla sentenza

n.140 del 15 maggio 2003, emessa dal Gip del Tribunale di Pordenone, Dott.Pergola, in

cui si legge che :“poiché l’art.15 della L.n.289/2002 prevede una procedura di

definizione che si riferisce praticamente alle sole persone giuridiche , e siccome non si

può ritenere che la definizione dell’accertamento costituisca causa di non punibilità per

una persona giuridica (nel nostro ordinamento non esiste la responsabilità penale delle

54 Per approfondimenti sul punto Vgs. SANTORIELLO C., “Brevi note in tema di efficacia oggettiva o soggettiva delle ipotesi di condono fiscale”, op.cit.3503 55 Ad esempio Vgs. IZZO, “Integrativa semplice e condono tombale”, in il Fisco n.11/2003, fascicolo 1, p.1668

39

persone giuridiche), ne consegue che la causa di non punibilità in questione deve

necessariamente essere riferita alle persone fisiche e segnatamente a tutti coloro che , a

vario titolo, siano imputati per i reati tributari ( ed altri reati connessi) correlati alle

maggiori imposte conseguenti agli avvisi di accertamento ai quali si riferiscono le

procedure di definizione”.

Tale sentenza rappresenta un passaggio fondamentale anche in riferimento

all’ammissibilità della società alle definizioni agevolate, in presenza dell’esercizio

dell’azione penale a carico dei legali rappresentanti e degli amministratori (sarà

ampiamente trattato nella parte relativa alle cause ostative), poiché, stante la causa

ostativa in ragione della quale, ai sensi dell’art.15 comma 7, l’esclusione della punibilità

“non si applica in caso di esercizio dell’azione penale della quale il contribuente ha

avuto formale conoscenza entro la data di perfezionamento della definizione”, si

stabilisce chiaramente che: “Pertanto sono sempre ammesse alla definizione in

questione le persone giuridiche dal momento che nei loro confronti non è possibile

alcun esercizio dell’azione penale”. Per quanto riguarda l’estensione della causa di non

punibilità alle persone fisiche imputate, si precisa che il tenore letterale della norma fa

riferimento ad una valenza oggettiva e non soggettiva, in quanto “non dice che non è

punibile l’imputato che operi la definizione ma che la definizione esclude la

punibilità…, valenza oggettiva che è del tutto conforme alla ratio del provvedimento di

condono che mira a definire ogni tipo di controversia col Fisco ed a raccogliere quanta

più liquidità possibile per le casse dell’erario, offrendo effetti favorevoli anche sul

versante dei reati tributari e di altri reati connessi”

La sentenza, nel suffragare questa tesi, fa riferimento alla già analizzata sentenza

interpretativa di rigetto n.19/1995 emessa dalla Corte Costituzionale, sostenendo che la

stessa questione si ripropone nell’ambito della L. 289/2002 in maniera ancora più

pregnante rispetto alla L. 413/91, poiché “occorre fornire un’interpretazione della

norma costituzionalmente aderente al principio di eguaglianza ex art.3 della

Costituzione”. Per tali ragioni si conclude che “la causa di non punibilità in questione

deve essere necessariamente riferita alle persone fisiche e segnatamente a tutti coloro

che, a vario titolo, siano imputati per i reati tributari sopra menzionati ( ed altri

connessi) correlati alle maggiori imposte conseguenti agli avvisi di accertamento ai

quali si riferiscono le procedure di definizione”.

Le problematiche ampiamente analizzate sono state fatte oggetto di attenzione da parte

del legislatore, il quale, attraverso il provvedimento di proroga dei termini del condono

40

fiscale, il D.L. 24 giugno 2003 n.143, convertito nella L. 212 del 01/08/2003, ha

chiarito uno degli aspetti più delicati in merito alla possibilità o meno per gli

amministratori di beneficiare della non punibilità in caso di condono da parte della

società. Il comma 2-septies dell’art.1 dispone : “Le disposizioni di cui agli articoli 8,

comma 6, lettera c), 9, comma 10, lettera c), e 15, comma 7, della legge 27 dicembre

2002, n. 289, e successive modificazioni, si intendono nel senso che la esclusione della

punibilita' opera nei confronti di tutti coloro che hanno commesso o concorso a

commettere i reati ivi indicati anche quando le procedure di sanatoria, alle quali e'

riferibile l'effetto di esclusione della punibilita', riguardano contribuenti diversi dalle

persone fisiche e da questi sono perfezionate.” Ai sensi della novella56 disposizione

anche se l’amministratore ha avuto formale conoscenza dell’esercizio dell’azione penale

nei suoi confronti per un reato fiscale o per uno dei reati societari connessi, può

usufruire della non punibilità allorquando la società esegue la sanatoria; inoltre, l’effetto

premiale in esame opera anche nei confronti di coloro che abbiano concorso nel reato

(ad es. consulenti esterni, sindaci), come tra l’altro già sancito dalla sentenza della Corte

Costituzionale n.19 del 12-19 gennaio 1995 in precedenza analizzata.

L’Amministrazione Finanziaria ha chiarito sul punto che “con la specificazione

contenuta in tale comma, il legislatore ha inteso meglio definire l’ambito soggettivo di

applicazione del beneficio penale quale effetto che scaturisce dal perfezionamento delle

definizioni richiamate. In particolare, è stata innanzitutto prevista l’estensione della

non punibilità per i particolari reati indicati dal legislatore, oltre che nei confronti del

soggetto che aderisce alla sanatoria, anche a favore di coloro che abbiano concorso a

commettere tali reati. In secondo luogo è stato chiarito che tali effetti favorevoli si

producono anche nei casi in cui il condono viene effettuato da soggetti diversi dalla

persona fisica: è il caso, ad esempio, della definizione operata dalla società, che

determina l’esclusione della punibilità a favore degli amministratori.”57

56 Vgs.CARACCIOLI I., “Condono fiscale. Introdotto lo “scudo penale” dei managers”, in Il Fisco n.31/2003 p.4899 57 Circolare dell’Agenzia delle Entrate del 25 settembre 2003 n.51/E, paragrafo 9

41

IRRILEVANZA PENALE DELLA DICHIARAZIONE

Sia il comma 12 dell’art.7, sia il comma 12 dell’art.8 prevedono l’irrilevanza penale

della relativa dichiarazione, poiché si dispone espressamente che, in presenza di

eventuali reati (superamento della soglia di punibilità per uno dei reati di cui al

D.Lgs.74/2000 o emersione di costi fittizi) emersi nel corso del perfezionamento delle

rispettive procedure sanatorie, non sussiste l’obbligo di denuncia di tali reati ai sensi

dell’art.331 c.p.p. e non si è in presenza di una notizia di reato. Il comma 12 dell’art.7

prevede : “ La definizione automatica non e' revocabile ne´ soggetta a impugnazione e

non e' integrabile o modificabile da parte del competente ufficio dell'Agenzia delle

entrate, e non rileva ai fini penali ed extratributari, fatto salvo quanto previsto dal

comma 9”; il comma 12 dell’art.8 prevede: “La conoscenza dell'intervenuta

integrazione dei redditi e degli imponibili ai sensi del presente articolo non genera

obbligo o facolta' della segnalazione di cui all'articolo 331 del codice di procedura

penale. L'integrazione effettuata ai sensi del presente articolo non costituisce notizia di

reato.”

Una disposizione simile non è stata prevista dall’art.9 sul condono tombale. In realtà le

ragioni di tale differenziazione vanno ricercate nella diversa natura e nella diversa

logica sottese all’istituto in esame; l’art.9 comporta l’esclusione delle punibilità per i

reati tributari e per alcuni reati societari strumentali, commessi negli anni in esame e,

quindi, sarebbe stato tautologico prevedere che dalla definizione automatica non

possono scaturire effetti penali. La situazione è diversa per quanto riguarda la

dichiarazione integrativa (art.8); la stessa può essere riferita anche ad una sola annualità

e, alla luce del fatto che l’esclusione della punibilità opera limitatamente alle annualità

oggetto di integrazione, era necessario prevedere che la dichiarazione non costituisse

notizia di reato per le violazioni commesse in annualità non oggetto di integrazione .

Tornando all’art.9, sorgono alcuni interrogativi in ragione del fatto che, dai benefici

penali di cui trattasi, sono esclusi tutti i reati fiscali ed extratributari non espressamente

ricompresi nell’alveo dell’esclusione della punibilità. Infatti, in relazione a tali

fattispecie, secondo un’interpretazione formale del dato normativo, si dovrebbe

concludere che, nel caso in cui emerga un illecito di questo genere, in conseguenza della

definizione automatica, questa costituirebbe notizia di reato e sussisterebbe l’obbligo di

denuncia ex art.331 c.p.p.; il P.M., quindi, potrebbe esercitare le proprie attribuzioni

inerenti l’esercizio dell’azione penale (pensiamo , ad esempio, al reato , già analizzato

42

in precedenza, di appropriazione indebita aggravata da parte degli amministratori ex

artt.646, 61 n.11 c.p.).

Da parte di qualche autore si è sostenuto che tale interpretazione è troppo rigida, non

solo perché non opportuna in relazione alla voluntas legis di favorire il più ampio

accesso alle sanatorie per fini deflattivi e di cassa, sottesa al provvedimento in esame,

ma soprattutto perché potrebbero sorgere dubbi di legittimità costituzionale, circa il

rispetto dei principi di uguaglianza e proporzionalità di cui all’art.3 della Costituzione.58

LE CAUSE OSTATIVE ALL’ACCESSO AL CONDONO

Il comma 14 dell’art.9 della L.289/2002 disciplina determinate circostanze al verificarsi

delle quali i contribuenti sono interdetti dall’accesso ai benefici conseguenti il

perfezionamento della definizione automatica. Tali cause ostative si verificano

allorquando, alla data di entrata in vigore della legge 289/2002, sia stato notificato

processo verbale di constatazione con esito positivo, ovvero avviso di accertamento ai

fini delle imposte sui redditi, dell'imposta sul valore aggiunto ovvero dell'imposta

regionale sulle attività produttive, nonché invito al contraddittorio di cui all'articolo 5

del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218;59 il contribuente abbia omesso la

presentazione di tutte le dichiarazioni relative ai tributi interessati dalla procedura

sanatoria e per tutti i periodi d'imposta interessati; se, entro la data di presentazione

della dichiarazione per la definizione automatica è stato già avviato un procedimento

penale per i reati contemplati dal Decreto legislativo 74/2000 agli articoli 2

“dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni

inesistenti”, 3 “dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”, 4 “dichiarazione

infedele”, 5 “omessa dichiarazione” e 10 “occultamento e distruzione di documenti

contabili”; dal Codice Penale agli articoli 482 “falsità materiale commessa da privato”

(nelle ipotesi previste dagli artt. 476, falsità materiale in atto pubblico, 477, falsità

materiale in certificati o autorizzazioni amministrative e 478, falsità materiale in copie

58 Sul punto Vgs. NAPOLI A., “Proroga del condono. I Profili penali nell’interpretazione giudiziale, dottrinale e amministrativa”, in Il Fisco p.245; CARACCIOLI I., “Profili penali del nuovo concordato fiscale”, in Il Fisco n.3/2003, p.433. 59 In caso di avvisi di accertamento parziale di cui all'articolo 41-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, ovvero di avvisi di accertamento di cui all'articolo 54, quinto e sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, la definizione e' ammessa a condizione che il contribuente versi entro il 16 marzo 2003 (il comma 1 dell’art.23 decies della legge n.47/2004 ha prorogato tale termine al 16 aprile 2004) le somme derivanti dall'accertamento parziale notificato alla predetta data.

43

autentiche di atti pubblici o privati o attestanti il contenuto di atti pubblici o privati),

483 “falsità ideologica in atto pubblico”, 484 “falsità in registri e notificazioni”, 485

“falsità in scrittura privata”, 489 “uso di atto falso” 490 “soppressione, distruzione e

occultamento di atti veri”, 491-bis “falsità di documenti informatici” e 492 “copie

autentiche che tengono luogo degli originali mancanti”; dal Codice Civile agli articoli

2621 “false comunicazioni sociali”, 2622 “false comunicazioni sociali in danno dei soci

e dei creditori e 2623 “falso in prospetto”, quando tali reati siano stati commessi per

eseguire o occultare i predetti reati tributari ovvero per conseguirne il profitto e siano

riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria. Come si evince dalla lettura

dell’art.9, comma 15, le preclusioni analizzate operano esclusivamente con riferimento

ai periodi d’imposta ai quali si riferiscono gli atti e i procedimenti.

Nel caso in cui il contribuente sia stato destinatario di un processo verbale di

constatazione con esito positivo, relativamente al quale alla data in vigore della presente

legge, non sia stato notificato avviso di accertamento ovvero ricevuto invito al

contraddittorio, ovvero di un avviso di accertamento per il quale alla data di entrata in

vigore della presente legge non siano spirati i termini per la proposizione del ricorso,

nonché di un invito al contraddittorio di cui agli artt. 5 e 11 del decreto legislativo 19

giugno 1997, n. 218, per il quale non è ancora intervenuta la definizione, il soggetto, per

le annualità interessate da tali atti, non potrà avvalersi delle procedure sanatorie di cui

agli artt.8 e 9 della L.289/2002, bensì dovrà necessariamente ricorrere all’istituto della

definizione delle liti potenziali di cui all’art.15 L.289/2002. Tale istituto prevede che la

definizione si perfeziona mediante il pagamento entro il 16 aprile 2004 delle somme

determinate dall’applicazione delle percentuali espressamente indicate al comma 2

dell’art.15 L.289/2002. A differenza degli artt.8 e 9 L.289/2002, la definizione delle liti

potenziali di cui all’art.15 prevede un’unica causa interdittiva alla definizione,

rappresentata dall’esercizio dell’azione penale, di cui il contribuente abbia avuto

formale conoscenza, per i soli reati del D.Lgs.74/2000.60Al contrario, il

perfezionamento della procedura di definizione comporta l’esclusione, ad ogni effetto,

della punibilità per i reati tributari di cui agli articoli 2, 3, 4, 5 e 10 del decreto

legislativo 10 marzo 2000, n. 74, nonché per i reati previsti dagli articoli 482, 483, 484,

485, 489, 490, 491-bis e 492 del codice penale, nonché dagli articoli 2621, 2622 e 2623

60 Gli artt.8 e 9, come già ampiamente visto, individuano una causa ostativa all’accesso alle rispettive procedure, nell’esercizio dell’azione penale non per tutti i reati fiscali di cui alla 74/2000, e per alcuni reati comuni e societari connessi con i primi. L’istituto dell’art.15 , invece, non individua, nell’esercizio dell’azione penale per questi reati comuni e societari, una causa impeditiva alla definizione.

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del codice civile, quando tali reati siano stati commessi per eseguire od occultare i citati

reati tributari, ovvero per conseguirne il profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o

situazione tributaria.

Per quanto riguarda la preclusioni penali al condono tombale di cui all’art.9 della

L.289/2002 risulta evidente che queste siano legate alla commissione di fatti di reato

coincidenti con le fattispecie penali per le quali opera la non punibilità; si tratta, quindi,

dei reati tributari ed extra-tributari, già analizzati, per i quali sussiste quella connessione

strumentale individuata dalla lett.c) del comma 10, al quale rimanda il comma 14 lett.b).

La ratio che giustifica la preclusione penale, non è riferibile a generali valutazioni

soggettive di meritevolezza, bensì dalla necessità che la definizione non sia utilizzata

strumentalmente per sottrarsi ad una responsabilità penale già concretizzatasi.

E’ inutile far presente che l’esercizio dell’azione penale per un reato comune connesso

ad un illecito tributario di natura amministrativa, o ad un illecito tributario previsto in

testi normativi diversi dal D.Lgs 74/2000, non abrogati (ad esempio il contrabbando di

cui agli artt.290 e ss del D.P.R. 23 gennaio 1973,n.43 o i reati in materia di accise di cui

agli artt.40 e ss. del D.Lgs.26 ottobre 1995 n.504), non determinano preclusione penale

e, allo stesso tempo,in caso di perfezionamento della procedura, non rientrano tra le

fattispecie per le quali è prevista l’esclusione della punibilità. Sono sorti rilevanti

problemi (come vedremo ampiamente nel corso del paragrafo successivo) in merito ai

rapporti tra la legge 516/1982 ed il D.Lgs.74/2000 e quindi in riferimento a questioni di

diritto intertemporale. Le difficoltà sono rappresentate dal fatto che la legge n.289/2002

non contempla, né in riferimento alle cause ostative, né in riferimento ai benefici penali,

le fattispecie contenute nella legge 516 del 1982; quindi ci si chiede se l’esercizio

dell’azione penale per uno dei reati ivi contenuto possa costituire o meno una

circostanza preclusiva all’accesso alle procedure sanatorie e se, nel contempo, il

contribuente possa, per tali fattispecie, beneficiare dell’esclusione della punibilità.

Affinché si possa verificare la causa impeditiva contemplata dall’art.9 L.289/2002, il

contribuente deve avere formale conoscenza dell’esercizio dell’azione penale per uno

dei reati sopraccitati. In realtà, prima dell’introduzione nell’ordinamento della legge

282/2002, la preclusione sussisteva “anticipatamente” nel momento in cui i contribuenti

avessero avuto formale conoscenza dell’avvio di un procedimento penale, e, quindi,

anche prima dell’esercizio dell’azione penale. L’Agenzia delle Entrate, con la circolare

n.37/E del 3 maggio 2002, prima dell’intervento normativo di cui sopra, aveva

specificato che la situazione in esame si verificava alla notifica della conclusione delle

45

indagini preliminari di cui all’art.416bis c.p.p. oppure alla notifica del primo atto da cui

espressamente risultasse la qualità di indagato, come ad esempio nel caso dell’art.355

c.p.p., in cui si dispone che le iscrizioni nell’apposito registro delle notizie di reato sono

comunicate alla persona alla quale il reato è attribuito, alla persona offesa e ai rispettivi

difensori, ove ne facciano richiesta, ovvero nel caso dell’art.369 , in cui si dispone la

comunicazione da parte del P.M. alla persona indagata dell’informazione di garanzia

con indicazione delle norme che si presumono violate e con l’invito a nominare un

difensore di fiducia, nel caso si debba procedere al compimento di un atto garantito. La

preclusione penale, quindi, sussisteva già nel momento in cui vi era stata l’iscrizione nel

registro delle notizie di reato, prima ed indipendentemente dall’esercizio dell’azione

penale in senso proprio. In verità tale posizione è stata oggetto di vivaci critiche alla

luce del fatto che molti atti di polizia giudiziaria non indicano spesso in modo specifico

la presunta fattispecie violata, oltre al fatto che il P.M. pone in essere, durante la fase

delle indagini preliminari, anche una serie di atti non garantiti. Si poneva, quindi, visto

l’elastico riferimento temporale delle indagini preliminari, un problema di legittimità

rispetto ai principi costituzionali di uguaglianza e proporzionalità, in quanto si rischiava

di precludere l’accesso al condono a un contribuente in merito al quale non sussistevano

fondati e concreti indizi di colpevolezza.

Comunque la Legge 21 febbraio 2003, n. 27 "Conversione in legge, con modificazioni,

del decreto- legge 24 dicembre 2002, n. 282, recante disposizioni urgenti in materia di

adempimenti comunitari e fiscali, di riscossione e di procedure di contabilità ", ha

apportato all’art.7 comma 3 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, tramite l’ art. 5-bis,

le seguenti modificazioni: “la lettera d) e' sostituita dalla seguente; d) nei cui riguardi

e' stata esercitata l'azione penale per i reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo

2000, n. 74, della quale il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di

definizione automatica“. Di conseguenza la “formale conoscenza”, elemento

indefettibile di perfezionamento della causa ostativa, si verifica allorquando il P.M., ai

sensi dell’art.405, ritiene di non dover richiedere l’archiviazione, ma esercita l’azione

penale tramite la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’indagato, il quale, ai

sensi dell’art.60 c.p.p., assume la qualifica di imputato. Quindi si ha tale condizione

quando al soggetto viene notificato, prima della data di presentazione della

dichiarazione per il condono tombale, l’avviso del giorno, dell’ora e del luogo

dell’udienza preliminare a seguito di richiesta di rinvio a giudizio, il decreto che

dispone il giudizio immediato ai sensi dell’art.456 c.p.p., il decreto di condanna ai sensi

46

dell’art.460 c.p.p. ed infine, nel caso di cui all’art.447 c.p.p., quando viene avanzata al

giudice richiesta di applicazione della pena. 61Per quanto riguarda le fattispecie illecite

di cui agli artt.4 e 11 del D.Lgs. 74/2000, queste potrebbero rientrare nella sfera

applicativa dell’art.550 c.p.p., il quale disciplina la citazione diretta a giudizio da parte

del P.M., nei casi di reati contravvenzionale o delitti puniti con la pena della reclusione

non superiore nel massimo a quattro anni o con la multa. In tal caso la “formale

conoscenza” si verifica con la notifica all’imputato della citazione diretta, la quale

costituisce l’esercizio dell’azione penale.

Per quanto riguarda il momento cronologico della preclusione penale, si fa riferimento

alla data di presentazione della dichiarazione di condono. In realtà la Corte

Costituzionale, con la sentenza n.175 del 7 luglio 1986, aveva dichiarato l’illegittimità

costituzionale dell’art.16 della L.7 agosto 1982 n.516, nella parte in cui prevedeva che

l’efficacia inibitoria si verificava in un momento successivo alla data di entrata in vigore

della legge, ma precedente alla richiesta di condono, anziché individuare il suddetto

termine preclusivo nella data di efficacia del provvedimento normativo di condono. Si

poneva l’attenzione proprio sulla disparità di trattamento conseguente all’uso distorto

del potere di accertamento, in quanto, in ragione di tale norma, l’A.F. poteva

selezionare indebitamente i contribuenti da ammettere al condono. Tali perplessità si

ripropongono anche in riferimento alla normativa attuale poiché, solo per quanto

riguarda le cause ostative penali, il momento cronologico è individuato nella data di

presentazione della dichiarazione.62

L’istituto in esame presenta ulteriori aspetti oggetto di forti dubbi di legittimità.

Secondo le norme del codice di rito, infatti, il procedimento penale può concludersi in

fase antecedente al dibattimento quando il giudice dell’udienza preliminare, a seguito

della richiesta di rinvio a giudizio del P.M., pronuncia sentenza di non luogo a

procedere ai sensi dell’art.425 c.p.p. Questo soggetto, pur essendosi conclusa

favorevolmente la vicenda penale, non potrebbe, antecedentemente alla conclusione

della stessa, accedere agli istituti sanatori o perché la dichiarazione di condono viene

presentata ma ritenuta inefficace dall’A.F. essendo stata esercitata l’azione penale, o

perché il contribuente non ha provveduto a presentarla a seguito della conoscenza

formale del procedimento. Stessa disparità di trattamento si avrebbe nei confronti del

61 Vgs. La Circolare 12/E, paragrafo 2.6.4. dell’Agenzia delle Entrate del 21 febbraio 2003 62 Mentre per le altre tipologie di preclusioni (avviso di accertamento etc..) il momento è individuato nella data di entrata in vigore della legge di condono.

47

contribuente che, al termine della fase dibattimentale, fosse destinatario di una sentenza

di proscioglimento (artt.529 e 530 c.p.p.).

Da una parte si giustifica tale situazione di ineguaglianza in ragione dei caratteri di

temporaneità ed eccezionalità della norma in esame, oltre che in riferimento

all’insindacabilità del potere legislativo di determinazione dei termini temporali;

dall’altra si sostiene che il contribuente potrebbe richiedere una rimessione nei termini

per accedere alla sanatoria se, in pendenza del procedimento penale, provvedesse al

versamento delle somme e alla presentazione di una dichiarazione di condono con

riserva. In realtà nella circolare n.19/E, del 27 marzo 2003 dell’Agenzia delle Entrate,

si legge che può avvalersi delle procedure sanatorie anche il contribuente nei confronti

del quale sia stata emessa sentenza di non luogo a procedere (art.425 c.p.p.), di non

doversi procedere(art. 529 c.p.p.) e di assoluzione (art. 530 c.p.p.) “ purchè la qualità di

imputato venga meno antecedentemente al perfezionamento della definizione”.

Come in precedenza sottolineato, la formulazione legislativa appare poco chiara

nell’individuazione dei soggetti nei confronti dei quali deve sussistere la pendenza

penale ostativa, in quanto non è stata prevista un’apposita disciplina nel caso in cui

venga meno la coincidenza tra il contribuente che effettua la sanatoria e l’imputato

persona fisica autore dell’illecito penale. Mentre nel caso di contribuente persona fisica,

la formale conoscenza dell’esercizio dell’azione per un reato fiscale o un reato

societario connesso impedisce l’accesso alla sanatoria, nel caso di contribuente persona

giuridica ci si chiede se l’esercizio dell’azione penale nei confronti dell’amministratore

o del legale rappresentante per illecito, riferito al rapporto giuridico tributario della

società, possa costituire per questa una causa ostativa per l’accesso al condono. Dalla

lettura degli artt.8 e 9 L.289/2002, infatti, si evince che manca un collegamento tra il

soggetto contribuente e il soggetto passivo del procedimento penale. Dalla terminologia

utilizzata si potrebbe desumere che viene considerato ostativo l’avvio di un

procedimento penale per i reati previsti dal legislatore della finanziaria aventi ad

oggetto il rapporto fiscale del contribuente, anche se commessi da persone fisiche

diverse dal contribuente, sempre che quest’ultimo ne abbia avuto formale conoscenza.

In realtà, come ben sappiamo, la responsabilità penale è personale e, quindi, in

ottemperanza al principio costituzionale di cui all’art.27, non può essere configurata in

capo alla persona giuridica alcuna forma di responsabilità di tal tipo (societas

delinquere non potest o meglio societas delinquere potest, puniri non potest); questo

anche perché sarebbe in contrasto con la finalità rieducativa della pena ( art.27, comma

48

3 Cost.). L’irresponsabilità delle persone giuridiche, oltre che dai principi

costituzionali63, è desumibile dall’art.197, comma 1, del c.p., poiché si prevede

un’obbligazione civile di garanzia della persona giuridica per le pene pecuniarie, nel

caso in cui colui che ne abbia la rappresentanza o l’amministrazione, commetta un reato

in violazione degli obblighi inerenti alla qualifica rivestita o nell’interesse della persona

giuridica, e versi in condizione di insolvibilità.64 Nonostante questo, è utile tenere in

considerazione il fatto che la larga diffusione della "criminalità societaria" ha

dimostrato che “societas saepe delinquit”65, alla luce del fatto che i reati dei

rappresentanti si pongono spesso come diretta espressione della volontà assembleare,

della politica d'impresa o dell'organizzazione; questo ha portato la dottrina ad

ammettere che, in un'ottica sociologica, "societas delinquere potest”, nonostante la

ferma opposizione al superamento del principio “ societas puniri non potest” sotto il

profilo giuridico-costituzionale. Il legislatore ha cercato, quindi, modelli sanzionatori

alternativi di tipo amministrativo o civilistico; anche se ritenuta una mancata occasione

per superare il dogma dell'impunibilità delle società attraverso la previsione di una

responsabilità diretta in capo alla stessa, l'articolo 6, comma 3, della legge 24 novembre

1981, n. 689 rappresenta una prima importante presa di coscienza della pericolosità

degli illeciti societari. 66

Non si può evitare di sottolineare che la criminalità societaria non può essere

efficacemente fronteggiata tramite l'attribuzione di una responsabilità penale in capo a 63Ci si riferisce ai principi di personalità della sanzione penale e del fine rieducativo della stessa ,solennemente enunciati all’art.27 Cost. Il modello personalistico dell’intero sistema penale è racchiuso nel noto brocardo latino “peccata suos teneant auctores” 64 ANTOLISEI,in “ Diritto penale, parte generale”, sostiene che il principio di irresponsabilità delle persone giuridiche "sì desume in un modo sicuro non solo dalla mancanza di norme particolari per le persone giuridiche, norme che altrimenti sarebbero state assolutamente necessarie, ma anche dall'articolo 197, il quale al primo comma stabilisce: "gli enti forniti di personalità giuridica, eccettuati lo Stato, le regioni, le province e i comuni, qualora sia pronunciata condanna per reato contro chi ne abbia la rappresentanza, o l'amministrazione, o sia con essi in un rapporto di dipendenza, e si tratti di reato che costituisca violazione degli obblighi inerenti alla qualità rivestita dal colpevole, ovvero sia commesso nell'interesse della persona giuridica, sono obbligati al pagamento, in caso di insolvibilità del condannato, di una somma pari all'ammontare della multa o dell'ammenda inflitta." E’ evidente che, se la persona giuridica potesse essere soggetto attivo di reati, non sarebbe stata sancita a suo carico una particolare obbligazione di garanzia per ipotesi di insolvibilità dell'individuo che viene condannato. Si noti anche che tale obbligazione è stabilita proprio per quei reati la cui responsabilità potrebbe farsi risalire all'ente collettivo". 65 Così ROMEO G. - SCIARAFFA C., in “ Societas delinquere non potest”, in Rivista della Guardia di Finanza n.2/2002 66 Art. 6. (Solidarietà),comma 3: “ Se la violazione è commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona giuridica o di un ente privo di personalità giuridica o, comunque, di un imprenditore, nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze, la persona giuridica o l’ente o l’imprenditore è obbligato in solido con l’autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta”; si tratta di un'ipotesi di responsabilità solidale per il pagamento della sanzione amministrativa a carico della persona giuridica, ente o imprenditore di cui l'autore della violazione sia rappresentante o dipendente.

49

soggetti che si rilevano meri “uomini di paglia”67, nè tramite strumenti sanzionatori

commisurati non al vantaggio ricavato dalla società, ma alla pena pecuniaria inflitta al

rappresentante, così come avviene, ad esempio, per la responsabilità dei soggetti di cui

al primo comma, dell'articolo 11 del decreto legislativo 472/97.

Alla luce di tale considerazione si può ben capire l'importanza fondamentale che il

decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231 rappresenta per il nostro ordinamento

giuridico; tale provvedimento ha introdotto una particolare forma di responsabilità

amministrativa a carico degli enti, con o senza personalità giuridica, qualora siano

accertati determinati reati commessi nel loro interesse e che siano espressione della

politica aziendale. La determinazione dell'entità della sanzione pecuniaria avviene

tramite il sistema delle quote, in relazione alla gravità del fatto ed alle condizioni

economiche e patrimoniali non dell'autore materiale della violazione ma dell'ente;

quest' ultimo, al fine di evitare l'applicazione della sanzione pecuniaria, della sanzione

interdittiva, della confisca del profitto del reato e della pubblicazione della sentenza,

può dotarsi preventivamente di modelli organizzativi e gestionali idonei a prevenire la

commissione dei reati in conseguenza dei quali si configura la loro responsabilità

amministrativa. Tale decreto sembra ispirarsi al principio "societas delinquere potest”

e sembra configurare una particolare responsabilità amministrativa; una responsabilità

che, secondo alcuni, presenta solo il nome di amministrativo, costituendo, nella realtà,

un mascheramento della responsabilità penale della persona giuridica.68

Comunque resta indubbio che nel caso di un contribuente persona giuridica, l’illecito

penale tributario è riferibile esclusivamente in capo all’amministratore o a coloro che

hanno materialmente posto in essere la condotta sanzionata; quindi, in tale caso, non

potrà mai operare la causa ostativa della pendenza del procedimento penale nei

confronti della società, la quale, infatti, non può assolutamente essere imputata in

nessun processo penale. Nell’ipotesi di reato fiscale nessun impedimento all’accesso al

condono potrà aversi nei confronti della persona giuridica, anche perché quest’ultima

67 Vgs. CAPOLUPO M., in “Aspetti sostanziali della responsabilità amministrativa di enti collettivi", in Rivista della Guardia di Finanza n. 5/2001, il quale sostiene che l'attuale modello di economia è caratterizzato "dall'incremento dei centri decisionali, dalla loro frammentazione e dall'impiego di listini fittizi cui imputare le scelte e le conseguenti responsabilità". 68 Vgs. MUSCO E., in “Le imprese a scuola di Responsabilità tra pene pecuniarie e misure interdittive” ,in Diritto e giustizia n.23/01, il quale, inoltre, ritiene che tale responsabilità è regolata in via autonoma quanto a presupposti oggettivi e soggettivi di responsabilità, benché il fatto storico ,in realtà, resta sempre lo stesso, mutando soltanto le qualificazioni giuridiche del medesimo evento storico che è fatto di reato per le persone fisiche che lo hanno commesso e illecito amministrativo per le soggettività collettive in cui si applica la responsabilità amministrativa.

50

non potrà mai avere una “formale conoscenza” dell’esercizio dell’azione penale diretta

all’amministratore o rappresentante della società quale persona fisica imputata.

Rispetto alla società contribuente ,infatti, non è tipicamente prevista nell’ambito della

procedura penale alcuna conoscenza formale del procedimento, in quanto è solo

l’indagato persona fisica il normale destinatario degli atti di partecipazione processuale.

In conclusione la società dovrebbe essere sempre ammessa alla possibilità di fruire della

sanatoria nonostante sia stata esercitata l’azione pena le nei confronti dei suoi

amministratori. Da questa conclusione si possono trarre ulteriori considerazioni in

merito alla palese ed incostituzionale disparità di trattamento tra il contribuente titolare

di una impresa individuale ed il contribuente persona giuridica: mentre il primo, in

presenza della commissione di uno dei delitti previsti dal D.Lgs. 74/2000, non potrà

accedere al condono, il secondo nel cui interesse è stato commesso il delitto, pur

versando nella medesima situazione giuridica, non sarà in alcun modo interdetto dalla

definizione agevolata.

Conferma la tesi sopra esposta la sentenza n.140 del 15 maggio 2003 del Gip del

Tribunale di Pordenone, prima analizzata in merito all’estensione della non punibilità

agli amministratori in ipotesi di condono della società. Nella decisione giurisdizionale si

legge che sono sempre ammesse alla definizione agevolata le persone giuridiche, dal

momento che nei loro confronti non è possibile alcun esercizio dell’azione penale, né

ricorre la seconda condizione prevista quale causa di esclusione dalla definizione e cioè

che il contribuente abbia avuto formale conoscenza dell’esercizio dell’azione penale

entro la data di perfezionamento della definizione.

La legge n.212/2003 se da una parte risolve la questione relativa alla possibilità per gli

amministratori di beneficiare dell’esclusione della punibilità in seguito al condono della

società, dall’altra non ha risolto la problematica in esame. Pertanto, rimane aperto il

problema se l’ostatività stessa sussista oppure no per le società nell’ipotesi in cui gli

amministratori abbiano formale conoscenza della pendenza penale a loro carico69

69 Vgs. CARACCIOLI I., in “Condono fiscale. Introdotto lo scudo penale dei managers”,op.cit., pag.4899; sul punto Vgs. CAPUTI G.,in “Responsabilità penale personale e condoni tributari”, in Il Fisco n.11/2003, pag.4908

51

LE PRECLUSIONI PENALI E BENEFICI PENALI IN RIFERIMENTO ALLA

L.516/1982 IN RELAZIONE ALLE CONDOTTE POSTE IN ESSERE NELL’ARCO

TEMPORALE INTERESSATO AL CONDONO

Problematica di notevole complessità riguarda l’estensione del beneficio della non

punibilità ai reati di cui alla L.7 agosto 1982, n.516, in quanto sorgono difficoltà di

coordinamento a seguito della riforma del diritto penale tributario avvenuta con il

D.Lgs. n.74/2000; la previgente normativa, infatti, può trovare applicazione nei

confronti di condotte che ricadono nell’arco temporale interessato dal condono ( basta

pensare alle annualità precedenti al 1999, ancora accertabili e quindi condonabili). La

L.289/2002 fa espresso riferimento esclusivamente alla normativa penale tributaria

contenuta nel D.Lgs. 74 del 2000, disponendo, da un lato che l’esercizio di un’azione

penale inerente determinate fattispecie ivi contenute e di cui il contribuente ha avuto

formale conoscenza comporta la preclusione al condono, dall’altro che il

perfezionamento della procedura comporta l’esclusione della punibilità per gli stessi

reati fiscali. È importante stabilire, quindi, se il contribuente che ha avuto formale

conoscenza dell’esercizio dell’azione penale nei suoi confronti per i reati di cui alla

L.516/1982, commessi anteriormente alla vigenza del decreto di riforma (15 aprile

2000), possa accedere al condono; allo stesso modo è necessario stabilire se il

perfezionamento della procedura produce il beneficio della non punibilità anche per i

reati della 516/1982.

Secondo l’orientamento espresso dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n.88/E del

27 dicembre 2002, rappresenterebbero cause ostative all’accesso alle sanatorie i

procedimenti relativi alle fattispecie penali previste nella L.516/1982 in “continuità

normativa”70 con le nuove fattispecie di cui al D.Lgs. 74 del 2000. Allo stesso modo

solo per i reati contenuti nella legge c.d. “manette agli evasori”, in continuità normativa

con le fattispecie previste dal D.Lgs. 74/2000, potrebbe aversi il beneficio della non

punibilità.71 In caso di abolitio criminis ai sensi dell’art.2, comma 2 c.p., i reati della L.

70 Ex art.2 comma 3 c.p. “ Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse ,si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile” 71 Sembra opportuno riportare quanto disposto in tema di diritto intertemporale dalla Circ.114000 del Comando generale della Guardia di Finanza al paragrafo 3.3 “La successione delle leggi nel tempo”. “In assenza di specifiche disposizioni transitorie volte a definire i criteri di raccordo tra vecchie e nuove fattispecie, occorre far riferimento alle norme generali che regolano la successione delle leggi nel tempo.

52

516/1982 non rileverebbero in alcun modo in merito alla cause ostative all’accesso al

condono; mentre la non punibilità sarebbe la semplice conseguenza dell’abrogazione

normativa che travolge anche il giudicato.72 In realtà non manca un’interpretazione

restrittiva della norma in ottemperanza al principio di legalità; mancando un espresso

rinvio alla L.516/1982, emergerebbe una precisa intenzione legislativa tesa ad impedire

l’esistenza di cause ostative all’accesso ai condoni per le annualità antecedenti al 1999;

allo stesso modo sussisterebbe l’intenzione di far salva la punibilità degli illeciti della

L.516/1982 pur in presenza del condono tombale.73 Il richiamo a fonti non più vigenti

non è infrequente, ogniqualvolta occorra regolare fenomeni influenzati

dall’applicazione di norme precedenti. In casi diversi, infatti, il legislatore ha operato un

espresso rinvio alla legge 516 del 1982; basta pensare alla legge 23 novembre 2001

n.409, nella quale si prevede espressamente l’esclusione della punibilità per taluni reati

previsti dalla c.d. legge manette agli evasori. Di conseguenza si contestano le

conclusioni alle quali è giunta l’A.F., ricordando che le circolari non possono

contrastare le previsioni di legge non avendo valore normativo. La circolare in esame,

inoltre, sarebbe stata emanata non in riferimento all’ oggetto della presente analisi, ma

per quanto concerne i riflessi del nuovo diritto penale tributario sull’obbligo di

In particolare, stante l’intervenuta abrogazione del principio di ultrattività delle norme penali finanziarie (art. 24, comma 1, della legge 30.12.1999, n. 507), anche in materia di reati tributari dev’essere applicato il criterio del favor rei previsto dall’art. 2 cod. pen.. Pertanto, si delineano tre possibili alternative: a.se un fatto che costituiva reato in base alla legge vigente nel momento in cui fu commesso, ma non è più previsto come reato secondo la legge posteriore, non si dovrà procedere ad alcuna comunicazione all’Autorità Giudiziaria; b.ugualmente, se un fatto non costituiva reato in base alla legge vigente al momento in cui fu commesso, anche se esso integri in astratto una delle fattispecie punite dalla nuova legge, non si dovrà procedere ad alcuna comunicazione all’Autorità Giudiziaria; c.se, invece, un fatto costituiva reato in base alla legge vigente nel momento in cui fu commesso ed è punibile come reato anche secondo la nuova legge, si dovrà inviare l’informativa all’Autorità Giudiziaria competente ai sensi dell’art. 18 del D.Lgs. n. 74/2000, rubricando il reato che prevede la pena più favorevole. 72 Sul punto ROSSI A. “Condoni 2003. Preclusione alla definizione derivante da procedimenti penali”, in Il Fisco n.4/2003,p.575 : “ Ragioni di ordine sistematico e funzionale portano a ritenere, nel silenzio di tutte le norme, che la pendenza penale risulti ostativa anche nell’ipotesi in cui sia stato originariamente avviato procedimento per uno dei reati previsti dalla abrogata L.7 agosto 1982 n.516, qualora a seguito della novella legislativa il reato si ponga in continuità normativa con le nuove previsioni incriminatrici del D.Lgs.n.74/2000 considerate ostative all’applicazione dei vari condoni”; SANTACROCE B., “Reati tributari a misura di condoni”, in “Il Sole-24 Ore” del 31 dicembre 2002 n.355 p.21 ponendosi sulla stessa linea interpretativa ritiene che anche le fattispecie della 516 impedirebbero la praticabilità del condono, a condizione che le fattispecie precedentemente sanzionabili siano tuttora punibili . 73 A tal proposito PERINI, “Riflessi penali dei condoni della Finanziaria 2003”,op.cit. sottolinea opportunamente che da un raffronto tra le annualità sanabili e l’entrata in vigore della 74 del 2000, si evince che la grande maggioranza dei reati tributari sarebbe esclusa dai vari istituti perdonistici ,conservando rilevanza penale. “ conclusione questa che sembra assolutamente antitetica rispetto alla generalizzata volontà deflativa espressa da un legislatore che, diversamente opinando, avrebbe lasciato in vita proprio i reati più risalenti per estinguere,invece, le fattispecie di più recente commissione.”

53

denunzia, allo scopo precipuo di indicare agli uffici i casi nei quali la successione di

leggi ha reso superflua la trasmissione di notizie di reato riguardanti fattispecie non più

previste dalla legge come reato. L’attenzione viene posta anche sulla tecnica di

redazione utilizzata dalla normativa sul condono; il richiamo alla normativa penale

tributaria si riferisce ai “reati” e non ai “fatti” incriminati dalla 74/2000 . Saremmo

innanzi ad un approccio di tipo “tecnico-formale” piuttosto che “ sostanziale”; dando

rilevanza al dato formale- letterale gli artt.7, 8, 9, 15 della L. 289/2002 si riferirebbero

esclusivamente a taluni reati contenuti nel D.Lgs.74/2000: le annualità precedenti

all’anno 1999 sarebbero condonabili anche in presenza di procedimenti penali aventi ad

oggetto illeciti penali contenuti nella L.516/1982 formalmente comunicati al

contribuente e, allo stesso modo, il perfezionamento della procedura non comporterebbe

l’estinzione del reato74.

Non si è mancato di sottolineare che, abbracciando la tesi contraria, si finirebbe per

affrontare situazioni applicative paradossali. Se ai fatti pregressi si applicassero le

disposizioni di cui al D.Lgs. 74/2000, in ossequio all’art.2, comma 3 c.p., in quanto più

favorevoli rispetto alle disposizioni contenute nella L.516/1982, l’applicazione del

principio di rilievo costituzionale del favor rei finirebbe per causare un danno al

contribuente, il quale non potrebbe accedere al condono ex art.9,comma 14, lett.b);

“del quale potrebbe invece giovarsi altro contribuente egualmente indagato per

l’utilizzo di fatture false, nella dichiarazione 1998, per un importo superiore ai trecento

milioni (ipotesi nella quale le nuove disposizioni non troverebbero applicazione

retroattiva, siccome sfavorevoli rispetto a quelle originarie)”75

LA DICHIARAZIONE INTEGRATIVA EX ART.8 L.289/2002

L’istituto della dichiarazione integrativa degli imponibili per gli anni pregressi è

disciplinato dall’art.8 della L.289/2002 , con le successive modificazione.

Dalla lettura del dispositivo normativo, si evince che gli effetti premiali penali e le

relative cause ostative all’accesso alla procedura sanatoria sono sostanzialmente

74 Potrebbe valere quale circostanza attenuante di cui all’art.13 della 74 /2000, in cui si prevede che le pene previste sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell'articolo 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie 75 Sono le considerazioni di CHIEPPA G.P.,”Condono e reati tributari. Irrilevanza del procedimento penale “avviato” ai sensi della L.n.516/1982”, in Il Fisco n.3/2003 p.884.

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coincidenti con quelli previsti dal condono tombale di cui all’art.9; si rinvia, quindi, a

quanto già evidenziato in tale contesto anche per quanto riguarda le relative

problematiche. La procedura sanatoria prevista dall’art.8 presenta, comunque, una

caratteristica peculiare, in quanto gli effetti premiali conseguenti al perfezionamento

della stessa sono limitati, oltre che alle annualità oggetto di integrazione, ai maggiori

imponibili ovvero alle maggiori ritenute risultanti dalle dichiarazioni integrative

aumentati rispettivamente del 100 per cento e del 50 per cento. La franchigia penale

prevista da tale disposizione comporta che per i maggiori imponibili e per le maggiori

ritenute superiori alle somme risultanti dall’applicazione delle percentuali di cui sopra,

non si può avere l’esclusione della punibilità per i reati fiscali previsti e per i reati

societari connessi (oltre a non potersi produrre gli effetti di cui alle lettere a) e b) del

comma 6). Se un soggetto, per l’anno 2000, ha dichiarato un imponibile di 15.000 euro

e presenti una dichiarazione integrativa di 120.000 euro, potrà essere destinatario di un

effetto premiale penale limitatamente a 225.000 euro, poiché il maggiore imponibile

integrato è di 105.000, che aumentato del 100 per cento è pari a 210.000 euro ai quali si

aggiungono i 15.000 già dichiarati76. Se a seguito di controllo viene constatato per

l’anno in esame un imponibile inferiore a tale somma ( ad esempio 200.000 euro), il

contribuente beneficerà dell’esclusione della punibilità per i reati fiscali e per i reati

societari connessi a questi ultimi; in caso di superamento della predetta somma (ad

esempio 227.000 euro) non potrà verificarsi tale effetto premiale. Allo stesso modo, in

conseguenza del superamento della franchigia penale, non si potrà avere l’esclusione

della punibilità per i reati comuni connessi a quelli tributari, in ragione del nesso

strumentale richiesto dalla normativa.77

Ulteriore problematica è rappresentata dall’interpretazione di tale limite quantitativo in

rapporto con i reati tributari, per i quali il legislatore del D.Lgs. 74/2000 ha previsto, al

fine dell’integrazione della fattispecie, il superamento di determinate soglie di

punibilità. Basta pensare al caso della dichiarazione infedele di cui all’art.4 del

D.Lgs.74/2000; l’intervento repressivo dello Stato è ancorato al superamento della

soglia dei 103.291,37 euro. In tale ambito ci si chiede se il limite della franchigia

prevista dall’art.8 della L.289/2002 rappresenti il punto di partenza dal quale calcolare il

superamento o meno della soglia di punibilità prevista dalla fattispecie penale o se, una

76 L’esempio è tratto da NAPOLI A., Proroga del condono. I profili penali nell’interpretazione giudiziale, dottrinale e amministrativa”, in Il Fisco n.2/2004, pag.246. 77 Sul punto Vgs. CARTONI, Gli effetti penali delle sanatorie fiscali, in Il Fisco n.17/2003, fascicolo n.1, pag.2622; GOLIA, Profili penali della sanatoria fiscale, in Rassegna Tributaria n.2/2003.

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volta superato il tetto quantitativo della dichiarazione integrativa, si deve tenere

presente l’intero imponibile ai fini della determinazione del superamento della soglia di

rilevanza penale.

In riferimento all’esempio precedente se viene constatato per l’anno 2000 un imponibile

di 250.000 euro, il contribuente, accogliendo la prima delle due interpretazioni, non

sarebbe punibile per il reato di cui all’art.4 della 74/2000, poiché la copertura penale

offerta dall’art.8 è stata superata di “soli” 25.000 euro, somma al di sotto dei limiti di

intervento penale previsti dalla fattispecie di dichiarazione infedele 78. Propendendo per

la seconda posizione, invece, si dovrebbe considerare il contribuente punibile ai sensi

dell’art.4, visto che il maggiore imponibile ( considerato nel totale, senza ripartire, per il

calcolo, dal punto di superamento della franchigia di cui all’art.8, nell’esempio

individuata pari a 225.000 euro ), pari a 235.000 euro (250.000 accertati – 15.000

dichiarati), supera la soglia penale del reato di dichiarazione infedele.

78 CARTONI, ”Gli effetti penali delle sanatorie fiscali”, op.cit, pag.2627 evidenzia che in tal caso si potrebbero incentivare indebiti calcoli di convenienza da parte del contribuente che potrebbe “calcolare ad arte l’importo da dichiarare ex art.8 per poter beneficiare della non punibilità pagando il meno possibile: sarebbe un ulteriore regalo, rispetto a quanto già previsto dalla norma”

56

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