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LA DESCRIZIONE Un profilo linguistico e concettuale Emilio Manzotti 19 NUOVA SECONDARIA - N. 4 2009 - ANNO XXVII Basilare unità e modalità di ‘composizione testuale’ e non di rado anche testo autonomo e compiuto di per sé (come, ma non solo, nella classica ecphrasis), la descrizione viene prevalentemente studiata in prospettiva funzionale, in rapporto ad esempio ai complementari momenti narrativi o argomentativi. Questo studio pone invece l’accento sulla struttura stessa della descrizione, sulla sua organizzazione linguistica e concettuale – caratterizzata da una pervasiva staticità, dall’assenza di un ordine inerente e dalla preminenza di un numero ristretto di relazioni logiche tra gli enunciati costituenti. Ed esamina per finire un certo numero di “complicazioni” a cui chi scrive può o deve far ricorso per assicurare perspicuità ed efficacia all’unità descrittiva. STUDI Simple action (according to the Oxford English Dictionary), of «set[ting] forth in words, written or spoken, by reference to qualities, recognizable features, or characteristic marks», a linguistic equivalent of a mind- or world-entity, the description is nonetheless a fairly awkward textual unit, deserving a very thorough linguistic and conceptual examination. This article proposes an in-depth study of the structural principles, modalities, limitations and potentialities of literary and everyday descriptions. Abstract A. Dürer (1471-1528), Uomo che disegna un nudo femminile, xilografia, 1538 (edizione postuma).

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LA DESCRIZIONEUn profilo linguistico e concettuale

Emilio Manzotti

19NUOVA SECONDARIA - N. 4 2009 - ANNO XXVII

Basilare unità e modalità di ‘composizione testuale’ e non di rado anche testo autonomoe compiuto di per sé (come, ma non solo, nella classica ecphrasis), la descrizione viene

prevalentemente studiata in prospettiva funzionale, in rapporto ad esempio aicomplementari momenti narrativi o argomentativi. Questo studio pone invece l’accentosulla struttura stessa della descrizione, sulla sua organizzazione linguistica e concettuale– caratterizzata da una pervasiva staticità, dall’assenza di un ordine inerente e dallapreminenza di un numero ristretto di relazioni logiche tra gli enunciati costituenti.

Ed esamina per finire un certo numero di “complicazioni” a cui chi scrive può o deve farricorso per assicurare perspicuità ed efficacia all’unità descrittiva.

STUDI

Simple action (according to the Oxford English Dictionary), of «set[ting] forth in words, written or spoken, by referenceto qualities, recognizable features, or characteristic marks», a linguistic equivalent of a mind- or world-entity, the

description is nonetheless a fairly awkward textual unit, deserving a very thorough linguistic and conceptual examination.This article proposes an in-depth study of the structural principles, modalities, limitations and potentialities of

literary and everyday descriptions.

Abstract

A. Dürer(1471-1528),Uomo chedisegna unnudofemminile,xilografia,1538 (edizionepostuma).

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ella pratica scolastica e nella ricerca linguistica e letterariala descrizione in quanto «unità di composizione testuale»1

– o ‘forma’ o ‘costrutto’ testuale – viene comunemente trattatada punti di vista diversi, che a volte possono risultare o alme-no apparire decisamente opposti. Schematizzando: da unaparte, a scuola, la descrizione come entità tutto sommato ele-mentare, semplice da insegnare e praticare, più semplice certorispetto all’argomentazione, ma forse anche alla narrazione;dall’altra, in linguistica del testo, in retorica, in teoria della let-teratura, la descrizione come procedimento artificioso, poconaturale, che presuppone molte conoscenze, difficile da mette-re in atto in modo efficace entro la compagine testuale, e sim-metricamente arduo da elaborare. Sono punti di vista, direi,entrambi ragionevoli, che colgono problematiche complemen-tari di una descrizione per sua natura, come Giano, bifronte.

1.1. Il punto di vista ‘della semplicità’

È quello generalmente adottato dai manuali scolastici, e presup-posto dalla stessa seriazione dei tipi di testo, presentati uno dopol’altro in crescendo implicito di difficoltà, con la descrizione cheoccupa appunto la prima posizione2. Che cosa c’è di più natura-le, si pensa, del riprodurre a parole le caratteristiche di una dataentità, magari tridimensionale, e per di più statica e pertanto nonsfuggente, saldamente accampata davanti al nostro sguardo,come ad esempio un edificio, un monumento, un paesaggiotopograficamente ben delineato, e così via? – e non cambieràmolto che l’entità sia preesistente nel reale alla descrizione oppu-re creata, ‘evocata’, dalla stessa descrizione. Di questa entità, diquesto oggetto descrittivo Ods, si possono ad esempio:

i) qualificare le caratteristiche (generali o particolari),secondo schemi predicativi del tipo: «l’oggetto descrittivo Ods

possiede una certa proprietà P » (o semplicemente «è | ha P »),«… possiede (è | ha) certe m proprietà P1, P2, …, Pm »;

ii) individuare (isolare) e nominare le parti ods, che sono poia loro volta dei sotto-oggetti descrittivi; e di nuovo, ricorsiva-mente, qualificare con una predicazione tali parti, o individua-re di esse nuove parti; ecc.

iii) confrontare le parti ods tra di loro quanto a dimensioni oad altre caratteristiche, in termini cioè di una particolare rela-zione R;

iv) o ancora rapportare esternamente l’intero oggettodescrittivo Ods o le sue parti ods ad un altro oggetto descrittivoo a sue parti secondo una determinata relazione comparativaR‘ (implicita qui l’alternativa tra descrizioni per così dire‘immanenti’, che si limitano a caratterizzare internamente illoro oggetto, e descrizioni ‘aperte’, ‘correlative’, che collegano,

confrontano l’oggetto descrittivo ad altri oggetti; tra descrizio-ni in altri termini ‘centripete’ e ‘centrifughe’).In questi termini il descrivere si ridurrebbe elementarmente aprendere in considerazione un tutto, individuarne, se ci sonoed è pertinente nominarle, le parti, e mettere ‘in ordine’ sullapagina, frase dopo frase, un certo numero di asserzioni in cuisi predicano del tutto e delle parti determinate proprietà divario tipo. Relazioni tra enunciati del tipo Causa, Concessione,Giustificazione, Esemplificazione, normali in testi ad esempioargomentativi, non trovano posto se non saltuariamente, eallora in funzione essenzialmente retorica, nelle descrizioni –le quali appaiono ‘semplici’ dunque anche da un punto divista logico, relazionale. A ciò si aggiunge, nella concezionecerto ingenua ma dura a scomparire di descrizione comemimesi, l’idea di una sostanziale omologia tra l’entità lingui-stica e il suo corrispettivo, la sua copia extralinguistica: unarassicurante omologia che regge e quindi facilita l’attività deldescrivere. La concezione qui presentata e magari un po’ cari-caturata è riducibile in ultima istanza all’idea di ‘tradurre’,riprodurre con mezzi linguistici una entità non linguistica incerto modo concreta, un’entità solida, stabile, non sfuggente eastratta come un processo o un’azione. Da una parte vi èl’oggetto descrittivo o una sua immagine mentale, dall’altra ilsuo omòlogo linguistico. La descrizione come azione linguisti-ca consiste nel costruire il secondo come immagine del primo.Una prima coppia (a) e (b) di passi letterari novecenteschi illu-stra bene il quadro relativamente idillico che della descrizione,seguendo il punto di vista della semplicità, siamo venuti trac-ciando. L’oggetto descrittivo è in essi lo stesso: la «piazza diDonnafugata» del Gattopardo3:

(a) Ritornato a palazzo, il Principe salì nella libreria che era pro-prio al centro della facciata sotto all’orologio ed al parafulmine.Dal grande balcone chiuso contro l’afa4 si vedeva la piazza diDonnafugata: vasta, ombreggiata dai platani polverosi. Le case difronte ostentavano alcune facciate disegnate con brio da un archi-tetto paesano, rustici mostri in pietra tenera, levigati dagli anni,sostenevano contorcendosi i balconcini troppo piccoli; altre case,fra cui quella di don Calogero Sedàra, si ammantavano dietropudiche facciatine Impero.

1. Due modi d’intendere la descrizione

1. v. l’«Avant-propos» di J.-M. Adam, La description, Presses Universitaires de France(«Que sais-je?», n. 2783), Parigi 1993, p. 3.2. Seguita in vario ordine dai testi informativi o espositivi, narrativi, espressivi, rego-lativi, interpretativi, argomentativi ecc. Per una discussione sulla preminenza cogniti-va di un tipo o l’altro di testo (in cui compaiono tuttavia solo la narrazione el’argomentazione) si rimanda a A. Wilkinson, Argument as a Primary Act of Mind, inPerspectives on Written Argument, a c. di D.P. Berrill, Hampton Press, Cresskill (N.J.,U.S.A) 1966, pp. 17-33.3. G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, in Opere, Feltrinelli («Gli Astri»), Milano19747, pp. 102-3 e 103 rispettivamente.

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STUDI(b) Don Fabrizio passeggiava su e giù per l’immensa stanza: ognitanto al passaggio gettava un’occhiata sulla piazza: su una dellepanchine da lui stesso donate al comune tre vecchietti si arrostiva-no al sole; quattro muli erano attaccati ad un albero;una diecina di monelli s’inseguivano gridando ebrandendo spadoni di legno. Sotto l’infuriare delsolleone lo spettacolo non poteva essere più paesa-no. Ad uno dei suoi passaggi davanti alla finestra,però, il suo sguardo fu attratto da una figura netta-mente cittadina ecc.

Entrambi i passi si preoccupano nella loro fasepreliminare di rendere plausibile la percezionedi una porzione di realtà e la sua descrizione –un’esigenza volentieri disattesa per contro dascrittori di tecnica più moderna. Così, in (a) si hala salita in una stanza sopraelevata del palazzo,affacciata sulla piazza, e un sottinteso “farsi albalcone (o alla sua finestra) e guardare”, dondepoi la percezione, segnalata dal verbo standard‘del vedere’; in (b) vi è il passeggiare «perl’immensa stanza» e tratto tratto il “gettareun’occhiata” alla piazza sottostante.5 Dopo diciò comincia la descrizione vera e propria, aper-ta in entrambi i casi in modo canonico dalladesignazione dell’oggetto descrittivo «la piaz-za» (in quanto oggetto sintattico, diretto o indi-retto, dei verbi di percezione o di sguardo); econtinuata analiticamente in entrambi i casi – idue punti segnalano la giustapposizione preci-sativa delle asserzioni – dalle rispettive liste diqualità e di parti.Ma si veda più in dettaglio il caso di (a). Le pro-prietà di cui si era parlato in astratto nel punto i)sopra sono qui P1 = «vasta», e P2= «ombreggiatadai platani polverosi». Segue poi, in accordo conii) sopra, una doppia introduzione presupposi-zionale6 di parti effettuata compattamente gra-zie ai due sintagmi nominali («Le case di fron-te», «alcune facciate ») di una frase F1 che com-plessivamente ha la funzione di introdurre unapredicazione sulle sotto-parti «alcune facciate»:le quali, appunto, sono «disegnate con brio daun architetto paesano». A F1 è giustapposta,separata da essa mediante una virgola, altrafrase F2 («rustici mostri in pietra tenera, levigatidagli anni, sostenevano contorcendosi i balconitroppo piccoli»), che di nuovo introduce duevolte delle sottoparti (il che dà la catena sined-

L. Visconti, Il Gattopardo, Titanus, 1963, inq. n. 322 e, sotto, inq. n. 324.

Nella trasposizione filmica de Il Gattopardo Luchino Visconti, coadiuvato da SusoCecchi D’Amico, Pasquale Festa Campanile, Enrico Medioli e Massimo Franciosa,riscrive scena per scena il libro di Tomasi, dando vita a un découpage attentissimoai dettagli testuali, resi attraverso espedienti filmici di massima pregnanza seman-tica, quali i virtuosismi viscontiani della macchina da presa, la solida interpretazio-ne attoriale (quella di Burt Lancaster in primis), le lussuose scenografie e le musi-che di Nino Rota. Si vedano a questo proposito le inquadrature 322 e 324, esem-pi del rigore filologico viscontiano, in relazione ai brani riportati in queste pagine.Nella prima inquadratura il Principe di Salina è nella libreria, intento a leggere e ameditare passeggiando «su e giù per l’immensa stanza», e la macchina da presacon un carrello segue in campo medio il suo movimento, finché non si arrestadavanti alla finestra, che dà sulla piazza di Donnafugata, da dove provengono isuoni diegetici delle grida dei monelli e dei rintocchi delle campane. A questopunto, tramite raccordo sullo sguardo, si apre la piazza in una soggettiva dall’altoin campo lungo di Don Fabrizio, spazialmente tripartita, racchiusa dalle tende edalle imposte della finestra (inq. 324), quasi a essere in galleria ad assistere a unospettacolo teatrale – chiaramente topos viscontiano. In questo caso si tratta di unospettacolo paesano, fatto di panchine assolate con un vecchietto intento ad arro-stire, di «platani polverosi», di case semplici con «balconcini troppo piccoli» e dicase con «pudiche facciatine Impero», come quella del parvenu Don Calogero,verso cui si dirige Tancredi, seguito da un domestico «che reggeva una cestainfiocchettata». A sottolineare la dimensione rurale, insistentemente resa daTomasi con l’iterazione dell’aggettivo «paesano», interviene la musica di commen-to: la marcetta Giovani eroi, composta dal maestro Delle Cese. Le marcette rap-presentano la musica del popolo, funzionali ad accrescere una certa caricaturiali-tà, filtrata da un punto di vista aristocratico, il quale poi è biograficamente comu-ne al protagonista, all’autore e anche al regista.

4. Sarà la finestra del balcone ad essere chiusa, come sembra accer-tare il passo successivo.5. v. analogamente ibid., p. 47: «Aprì una delle finestre della torret-ta. Il paesaggio ostentava tutte le proprie bellezze. Ecc.».6. Nel senso che si dà per scontato che un palazzo che si affacciasu una piazza abbia case di fronte, e che ovviamente tali case abbia-no facciate.

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dochica case → facciate → {mostri, balconi}), di ognuna predi-cando una o più volte delle proprietà («rustici», «in pietratenera», «levigati dagli anni»; «troppo piccolo» – la stessadesignazione «mostri» è forse valutativa, veicolando cioè unaproprietà percettiva). Si ritorna quindi, risalendo la catenasineddochica, all’altezza delle case («altre case, fra cui quelladi don Calogero Sedàra, si ammantavano dietro pudiche fac-ciatine Impero») per ripetere lo stesso procedimento di disce-sa sineddochica case→ facciate e di predicazione (v. la suffissa-zione diminutiva -in- di facciatine, l’attributo pudiche, ecc.7).Analoga, ma invertita, è la struttura logica della descrizionenel passo (b), in cui la qualificazione complessiva occorre rias-suntivamente alla fine.Tutto ciò è magari pesante da raccontare a parole ma concet-tualmente di relativa semplicità.

1.2. Il punto di vista ‘della complessità’Il punto di vista della complessità della descrizione è simme-trico rispetto al precedente. Se prima la descrizione, secondola sempreviva concezione naturalistica dei rapporti tra testo erealtà, era essenzialmente mimesi, per linguisti e teorici dellaletteratura appare scontato che anche la più elementare delledescrizioni intrattiene col suo oggetto descrittivo un rapportoartificioso, molto mediato. Si pensi in primo luogo, semplice-mente, e senza entrare in problematiche complesse sulla natu-ra dei due diversi sistemi, quello della lingua e quello delmondo, alla questione dell’ordine, lineare ma anche gerarchi-co, degli enunciati entro la descrizione. Un testo narrativo hain comune con la sequenza degli avvenimenti riferiti, malgra-do tutte le acronie repertoriate dalla narratologia, almeno unaproprietà di successione lineare: corrispondendosi da unaparte sull’asse del tempo l’ordine degli eventi e dall’altra,nella linearità della progressione testuale, l’ordine delle frasi.Anche senza segnali avverbiali del tipo di dopo, quindi, ecc. (dicui i narratori sono solitamente e giustamente avari) il lettorededuce dalla successione lineare «F1 – F2 » di due frasi la suc-cessione temporale «e1– e2»degli eventi corrispondenti (a pattocerto che essi siano rappresentati, nella morfologia verbale,perfettivamente). Così (c) e (d) descrivono due simmetrichesituazioni temporali sulla base di due simmetriche situazionispaziali nella linearità del testo:

(c) Le lanciò uno sguardo. Aprì la porta

(d) Aprì la porta. Le lanciò uno sguardo.

A rigore, occorrerebbe aggiungere che a stabilire l’ordine tem-porale dei due eventi e1ed e2 interviene nella narrazione ancheun’altra caratteristica differenziale: il fatto cioè che non vi sia,come invece sempre nella descrizione (v. sotto), un denomina-tore comune, un frame, di cui i due eventi possano essere con-siderati istanze, casi particolari dello stesso livello – perché

altrimenti l’ordine temporale non è più vincolato all’ordinelineare. Nulla invece, nella descrizione, di questa per quantorudimentale omologia tra stati di cose del mondo e proprietàtestuali. Le successive frasi e proposizioni sono seriate e gerar-chizzate nella descrizione in un modo che non ha nulla a chevedere con proprietà dell’oggetto descrittivo. Il loro modod’organizzazione è piuttosto la risultante di determinate stra-tegie percettive applicate all’oggetto descrittivo e di operazio-ni concettuali o logiche quali (assieme certo alla predicazione)la Individuazione, la Selezione, la Particolarizzazione, laPrecisazione, e così via. Operazioni, queste, che alla stessa stre-gua delle strategie percettive non ineriscono all’oggettodescrittivo in sé. Anche le descrizioni della meno ispirataguida turistica sono costrutti molto mediati rispetto alla lorocontroparte materiale.Ma anche fatta astrazione dalla questione dell’ordine e del-l’assente omologia tra lingua e mondo descritto, vi sono altriaspetti della presunta naturalezza del descrivere che si rivela-no ad una analisi più attenta come del tutto illusori.Prendiamo il caso, ad esempio, della produzione di un gene-rico enunciato descrittivo. Se, come si era detto in § 1.1., siscompone (riduce) questo processo di produzione nelle trefasi del:

i) selezionare una certa entità extralinguistica(un oggetto descrittivo);

ii) coglierne (o selezionare) una proprietà;

iii) costruire una frase dichiarativa che nel suosoggetto sintattico nomini l’entità in questio-ne e col predicato attribuisca al soggetto laproprietà scelta,

si perde di vista un fatto essenziale: il fatto che una qualunquedescrizione linguistica presuppone in linea di principio, a pre-scindere da conoscenze testuali di tipo più elevato (su comepuò ‘essere fatta’, e come può essere variata, una descrizione),da una parte:

I) una conoscenza pratica, extralinguistica,dell’oggetto descrittivo;

e dall’altra:

II) una sua conoscenza lessicale, terminologica,e in generale linguistica (come si possa par-lare dell’oggetto descrittivo).

Descrivere richiede cioè, per chi si propone di rappresentare larealtà linguistica in modo non troppo superficiale, per chiintenda ‘descriverla’ e non solo vagamente accennarvi, unaconoscenza pratica e teorica del reale più o meno approfondi-ta, ma mai improvvisata8. Il descrivere si costruisce a partire

7. Linguisticamente curioso, si osservi, è il costrutto ammantarsi dietro, che sembraesprimere l’equivalenza di ammantarsi e nascondersi.8. Sulla quale i grandi descrittori si sono mostrati estremamente esigenti. Torna inmente certa osservazione del Picasso di Guernica sul numero di denti del cavallo,conoscenza fattuale che a suo parere sarebbe indispensabile (e non credo abbiatorto) ad ogni buon pittore.

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STUDIdalla – o in parallelo alla – elaborazione concettuale di quellaparticolare porzione di realtà che è l’oggetto descrittivo.Ma il descrivere richiede anche una conoscenza specificamen-te linguistica degli oggetti, la quale implica, almeno in parte,la loro conoscenza fattuale, ma non è implicata da questa – unfatto che non è ignorato anche dalla manualistica scolastica9.Già nell’elementare momento del ‘nominare’ il descrittore, pernon trovarsi nell’ingrata situazione di ineffabilità linguisticadel profano che volesse parlare di profumi10, deve potersi fon-dare su un non elementare repertorio terminologico di ‘nomiper le cose’, che non è scontato, che va progressivamenteappreso – magari con l’aiuto ingenuo dei cosiddetti describer’sdictionaries11 (una reincarnazione delle Elegantiae umanistiche)o meglio dei pictorial dictionaries12, se non più seriamente dellamanualistica tecnica e scientifica con tutta la sua ricchezza eprecisione analitica e terminologica.Questi due primi tipi di competenza-conoscenza necessaria –quella pratica (I) e quella linguistica (II) – dell’oggetto descrit-tivo sono responsabili, se ci si colloca sul versante della inter-pretazione (quello di chi ad esempio legge una descrizione) enell’ambito pragmatico del ‘far vedere’, di una sorta di para-dosso descrittivo: che cioè si può descrivere efficacemente soloper un destinatario che già in una certa misura abbia buonacognizione degli oggetti, dei nomi da dare alle loro parti, delleproprietà rispettive. Di scarsa utilità riescono al lettore ignaroi dettagliati e tecnici sviluppi descrittivi delle guide turistiche;si osservi ad esempio nella citazione qui sotto relativa alPalazzo Ducale di Venezia il progressivo ‘chiudersi’ lessicaledel testo appena si abbandonano le generalità dell’apertura –e ciò anche se il grado di tecnicità della sezione centrale non èpoi particolarmente elevato:

Esterno. L’originalità della concezione architettonica, la finezzadelle parti ornamentali e l’armonia cromatica dei materiali impie-gati si accordano stupendamente con il meraviglioso ambientedella città e della laguna, così da conferire al palazzo Ducale unaspetto quasi irreale, profondamente suggestivo. Le due facciateprincipali, che si distendono uguali sul Molo e sulla Piazzetta for-mando angolo retto, sono divise in 3 ordini: un porticato terrenoad ampie arcate a sesto acuto, su 36 basse e robuste colonne (inter-rate per c. 40 cm nel suolo); un loggiato aperto ad archi inflessi eformanti trafori a quadrifoglio, doppi di quelli del portico e sorret-ti da 71 snelle colonne, tra le quali corre in basso la balaustrata; unaparte superiore liscia, costituita da un paramento di masselli dimarmo bianchi, rossi e grigi, formanti losanghe, e nella quale siaprono ampie finestre ogivali e occhi rotondi a quadrilobo. In altosi staglia contro il cielo una caratteristica merlatura veneto-bizan-tina ad antefisse mistilinee alternate a sottili pinnacoli. Il distaccodalla parte inferiore, in cui il bianco della pietra spicca profilando-si come trina sul fondo d’ombra dei vuoti del porticato e della gal-leria, alla più compatta struttura di quella sottostante, si attenuaattraverso l’aereo traforo dei tondi quadrilobati che si innestanotra gli archi carenati e contribuiscono a dare slancio alla costruzio-ne. Ecc.13.

E dal canto loro praticamente inservibili risultano, proprio perl’ostacolo terminologico, le guide turistiche ‘serie’ in una lin-gua straniera che non si possegga a fondo; si legga per credere:

Guida d’Italia: Venezia e dintorni, Milano, Touring ClubItaliano, 19692, p. 126, n. 324.

Nelle Guide d’Italia, diversamente dalle più divulgative Guide Verdi,alle dettagliatissime descrizioni fornite dal T.C.I. si accompagna unparatesto strettamente funzionale. La raffigurazione spaziale non èaffidata a bozzetti esornativi, tanto meno a ridondanti fotografie-car-tolina obbedienti alle strategie del marketing, ma semplicemente adelle piante: un modo diverso di descrivere lo spazio, semplificando-lo all’estremo, con funzione orientativa, e seguendo, pur nel tecnici-smo, una logica opposta e complementare a quella testuale.

9. Sono aspetti comunque non ignorati dalla manualistica scolastica; così nella propo-sta d’un esercizio – «Aiutandovi con il vocabolario o con un libro di scienze scrivetequattro o cinque frasi in cui descrivete i seguenti soggetti: le vitamine, il termometro,la bussola. Cercate di riprodurre nello scrivere lo schema che vi è stato indicato [= ·cosa.…; · come…; · dove…; · in che forma…], sostituendo alle ultime voci altre piùadatte come ad esempio “a che cosa serve” oppure “come si usa”, ecc.» – compaio-no significativamente i due strumenti complementari del vocabolario (per il lessicodescrittivo) e del «libro di scienze» (per la conoscenza del reale).10. Si vedano sull’argomento le osservazioni di P. Vroon, A. van Amerongen e H. deVries, Psychologie der Düfte, Kreuz, Zurigo 1996, p. 142.11. Penso ad esempio al volume omonimo di D. Grambs, The Describers’sDictionary. A Treasury of Terms and Literary Quotations for Readers and Writers,W.W. Norton & C., New York e Londra 1993.12. V. ad es. il DUDEN Inglese-Italiano. Dizionario illustrato inglese e italiano,Clarendon Press, Oxford, 1995, con «378 tavole in bianco e nero e 6 a colori».13. Guida d’Italia: Venezia e dintorni, Touring Club Italiano, Milano 19692, pp. 121-22.

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The best preserved street in the district [= the Charlton-King-Vandam Historic District] is Charlton St. with the longestunbroken row of Federal houses in the city (N. side). Many are inpristine condition, retaining original details and features: brickfacades laid in Flemish bond; doorway and window trim ofmodest brownstone, granite, or more refined marble; high stoopsguarded by wrought-iron railings sometimes with hollow cagenewel posts; elegant paneled front doors surrounded by leadedtop- and sidelights; steep roofs pierced by dormers. The rooflineswere originally joined by a continuous cornice14.

Conoscere la realtà, dunque, e conoscere come la lingua nomi-na le entità e parla delle loro proprietà, ancora una volta dandoloro dei ‘nomi’ mediante i verbi, gli aggettivi e le altre catego-rie linguistiche che possono venire usate predicativamente.Taccio poi delle competenze testuali non scontate richiestedalla costruzione di una unità testuale descrittiva – competen-ze che sono in parte specifiche proprio alla descrizione, e quin-di non trasferibili da quelle ad altre unita: i modi per aprire echiudere una descrizione, le strategie per dare una parvenzadi ordine alla serie di enunciati giustapposti, o una strutturaperspicua, e magari (per certi scopi descrittivi) innovativa einvitante, al tutto. E a ciò si aggiunge, forse più in àmbito let-

opo l’iniziale tentativo di bilancio tra i poli della semplici-tà/naturalezza e della complicazione/artificio, nel corso

del quale sono apparse alcune proprietà caratteristiche deicostrutti descrittivi, vogliamo ora cercare di delineare sistema-ticamente, entro una sorta di lessico descrittivo con brevi svi-luppi di commento e di illustrazione, le principali proprietàdefinitorie o differenziali intrinseche17 della descrizione. Ciriferiremo quasi esclusivamente a descrizioni (paesaggistiche)tipiche, o come si usa dire prototipiche, lasciando da parte rea-lizzazioni testuali di frontiera quali la descrizione di più azio-ni (parzialmente) simultanee e in qualche modo unitarie, cioèil tableau o quadro; o, ancora più ai margini, la descrizione diazioni singole, marcata come tale da un forte incremento dianaliticità rispetto al cotesto. E ricorreremo indifferentementea descrizioni di consumo e a descrizioni letterarie «di qualità»,con netta preferenza per quest’ultime, decisamente più propi-zie, per tante ovvie ragioni, ad analisi approfondite.

2.1. UnitàLa descrizione è una unità, mai una congerie d’elementidispersi. Perché una porzione di testo appaia come descrizio-

terario, ma non solo (perché stereotipi di visione, di lingua, dicostruzione reggono ogni nostra produzione testuale...), laproblematica delle codificazioni, delle convenzioni che inca-nalano, o distorcono, o impediscono una ipotetica percezionespontanea, non mediata, dell’oggetto:

Il verde della natura è una cosa, il verde in letteratura è un’altracosa. Una naturale antipatia, si direbbe, regna fra la natura e lebelle lettere; mettetele a confronto, e si prenderanno per i capelli.

È una grande scrittrice novecentesca, Virginia Woolf ad affer-marlo, nelle prime pagine del suo esoterico Orlando, là doveil/la protagonista, «immerso in una descrizione della natura»,cerca con lo sguardo

l’oggetto medesimo, il quale era per l’appunto un cespugliod’alloro che cresceva sotto la finestra. S’intende che, dopo di ciò,non riprese a scrivere. […] La sfumatura di verde che Orlando videsciupava la sua rima e mandava a monte il suo metro15.

Direi tuttavia, concludendo, che le difficoltà maggiori postedalla descrizione sono conseguenza diretta della sua connatura-ta ‘indigenza logica’, del suo limitarsi, a differenza delle altreforme testuali, ad una gammamolto ristretta di relazioni seman-tiche tra le proposizioni componenti: una povertà di mezzi avolte accettata e magari esibita (come in certi passi ‘francescani’di D’Annunzio narratore16), ma che di regola imbarazza ildescrittore, costringendolo ad escogitare qui procedimenti divariazione e di complicazione di cui parleremo più avanti.

2. Caratteristiche generali della descrizionene occorre che grazie a qualche segnale esterno (ad esempio laparagrafazione, o altri segnali di inizio e di fine) e graziesoprattutto a proprietà intrinseche (la ricostruibilità di undenominatore comune, la ‘continuità’ semantica tra gli enun-ciati componenti, ecc.) sia possibile pensare la suddetta por-zione come un tutto, inquadrato in una sua cornice delimitan-te (il termine tecnico vulgato è frame). Essenziale per l’unità,tra i fattori evocati, è la possibilità di ricostruire un denomina-tore comune tra gli enunciati componenti, un ‘tema descrittivo’che colleghi i particolari altrimenti irrelati, che assicuri unavisione unitaria. La descrizione può allora essere intesa comeprecisazione analitica di tale denominatore. In che rapportostiano l’oggetto descrittivoOds di cui si è parlato sopra con que-sto denominatore non è del tutto evidente. Si può comunqueritenere che la nozione di oggetto descrittivo è semantico-refe-renziale, mentre quella di ‘tema descrittivo’ è testuale, cioècontiene in più l’idea dei rapporti tra l’oggetto descrittivo e le

14. Blue Guide «New York», 19912, pp. 244-45.15. V. Woolf, Romanzi e altro, a c. di S. Perosa, Mondadori («I Meridiani»), Milano1978, p. 458.16. Analizzeremo in dettaglio uno di questi passi in § 2.5.17. Non ci si occuperà quindi delle proprietà funzionali, pragmatiche, che del restosono tradizionalmente quelle più studiate.

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schematicità, al crescere dei dettagli, la descrizione tende adivenire, proprio perché troppo analitica, opaca, scarsamen-te visualizzabile, l’accumulo dei dati entro la memoria abreve termine pregiudicando la costruzione di un’adeguataimmagine mentale. Un esempio (tra i molti) di faticosa leg-gibilità topografica malgrado i numerosi ‘ancoraggi’ spazia-li («… fronteggia il mezzogiorno con l’ala sinistra e con ladestra il ponente», «In faccia, a cinquanta passi», «L’ala sini-stra guarda il lago aperto, montagne in faccia, montagne alevante; a ponente, verso la pianura…», ecc.), o forse proprioper la loro profusione, è offerto dalla pagina diMalombra19 in

sue parti: l’idea in altri termini di un reticolo di relazioni tra leproposizioni componenti la descrizione e l’oggetto descrittivo.Dalla caratteristica di unità discendono inoltre condizioni (chequi non si possono esaminare) sulla disseminazione testualedella descrizione, sul suo essere dispersa entro il testo.

2.2. PluralitàÈ una caratteristica complementare della precedente: ilcarattere unitario di un passo descrittivo in un testo presup-pone la sua pluralità, il suo essere composto di più enuncia-ti, e in particolare di più predicazioni, eventualmente, allimite, condensate in una singola struttura sintattica inquanto attributi. Questo presupposto o controparte dell’uni-tà risponde del resto all’intuizione che la descrizione è unacompagine, un (sotto)testo, e non una semplice attribuzione«… è P » di una proprietà P ad un oggetto descrittivo Ods.

2.3. SchematicitàRispetto all’insieme totale delle proprietà possedute o rinve-nibili nell’oggetto descrittivo, la descrizione è sempre uncostrutto schematico, che nomina selettivamente solo un mini-mo percento delle tante predicazioni possibili. Al percentoevocato incombe il compito di evocare il resto taciuto; cosìche una descrizione è sempre in certo modo allusiva, sia cheessa trascelga un particolare tra i molti, sia che essi si limitiad un quadro d’assieme. Direi anzi (ma qui si entra nelcampo minato delle poetiche e del gusto) che propriol’allusività è una delle principali potenzialità poetiche deldescrivere – così come, a mio parere, del narrare. Qui sotto,senza commento – ma si presti attenzione a tutto quello cheè taciuto, all’emergere sull’evocabile di una rada filigranamisteriosa di dettagli minimi: una pianticella (ma quale?), cal-cinaccio di colombi (?), la fogliolina superstite, i fili di ragnatela,ecc. – due splendidi esempi di schematicità allusiva18:

Egli andò a guardare in cucina la pianticella posta sul davanzale,alcuni minuscoli sterpi irti sulla poca terra invasa da calcinaccio dicolombi e pietruzze: pure, verso la cima, una fogliolina superstiteera verde ancora. Fili di ragnatela brillavano al sole come capelli.Quando fu di ritorno la conversazione languiva.

… l’evento, l’evento [= la morte] che mai è uguale a se stesso. Perlei fu tre sospiri. La strada era lavata di fresco; si aprivano appenale botteghe: l’orefice, carponi nella vetrina, vi disponeva gli ori e igrandi piatti cesellati. Egli la ritrovò composta. Era stata fragile,minima, umile per tutta la vita; ormai, con il viso atteggiato a pen-siero eterno, dispiegava una incommensurabile maestà.

Il grado di schematicità è grandemente variabile, e nonnecessariamente inversamente proporzionale alla visibilitàdell’oggetto descrittivo. Al di sotto di un certo grado di

A. Dürer, Disegno di un liuto, xilografia, 1525.Sotto: dello stesso autore, Ritratto di un uomo seduto,

xilografia, 1525.

In queste xilografie Dürer coglie l’aspetto centrale del problemadescrittivo: l’incommensurabilità dimensionale tra l’oggetto e la suarappresentazione, cui si cerca di ovviare tramite l’utilizzo di strumen-ti (quali il prospettografo) e di tecniche (come la suddivisione in partidell’oggetto), spesso analoghe a quelle linguistiche.

18. Tratti da A. Pizzuto, Signorina Rosina, Lerici («Collana Narratori», 1), Milano 1959,pp. 20-21 e 21 rispettivamente.19. Milano, Garzanti («I grandi libri»), 1973 [18811], pp. 23-26.

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cui Fogazzaro descrive con dovizia di particolare la villa20 –il Palazzo – in cui è ambientata l’azione del romanzo:

Il Palazzo sta sull’entrata di un recondito seno dove il piccolo lago di...corre ad appiattarsi fra due costeboscose. Costrutto nello stile delsecolo XVII, fronteggia il mezzo-giorno con l’ala sinistra e con ladestra il ponente. Una loggia dicinque arcate verso il lago e treverso il monte, corre obliqua tra ledue ali, congiungendone i primipiani sopra un enorme macignonero che si protende sull’acqua.Morso dallo scalpello del giardi-niere, quel masso ha dovuto acco-gliere qua e là del terriccio, doveportulache, verbene e petunie rido-no alla spensierata. L’ala drittadov’è la biblioteca, edificata forseper dimora d’estate, si specchiagravemente nelle acque della cala.In faccia, a cinquanta passi, ha unasolitaria costa vestita di nocciuoli edi carpini; a destra un valloneerboso dove il lago muore; vignetie cipressi le salgono dietro il tetto aspiar nell’acqua verde, tanto limpi-da che quando d’estate, sul mezzo-giorno, vi entra il sole, lo sguardovi discende lungo tratto per legrandi alghe immobili e vede giùnel profondo qualche rara ombradi pesce passar lentamente suisassi giallastri.L’ala sinistra guarda il lago aperto,montagne in faccia, montagne alevante; a ponente, verso la pianu-ra, uno sfondo di colline, di pratirigati di pioppe cui si curva un arcodi cielo. Tra levante e mezzogiornoil lago gira dietro un promontorio,un alto scoglio rossastro, a nascon-dervi la sua fine oscura […]. Datutte l’altre parti si spiegano imanti delle montagne boscose sinoalla cime, macchiate da cenerogno-le scoscenditure di scogli, daombre di valloni, da praticelli di

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C. Gallone, Malombra, Cines, 1917.

M. Soldati, Malombra, Lux, 1942.

Nel film di Carmine Gallone, interpretato dalladiva Lyda Borelli, del Palazzo del conted’Ormengo restano gli interni e il loggiato rico-struiti negli studi romani: in Malombra «infatti ètutto costruito intorno alla opposizione inter-no/esterno; l’esterno costituisce l’unica via difuga, con la calma placida delle acque del lago sucui la Borelli si fa portare, con la spiaggia su cui,di notte, riesce a liberarsi dall’ossessiva presenzadi Cecilia, la donna la cui anima, appunto, abitaancora il castello ed in particolare la stanza dellaBorelli; il castello con i suoi interni e l’ampia ter-razza che domina il lago diventano i luoghi del-l’ossessione, della progressiva perdita di sé e del-l’esplodere definitivo della follia della protagoni-sta» (M. Carosa, G. L. Farinelli, N. Mazzanti, Nella

collezione della Cineteca comunale di Bologna: storie di corpi in estinzione in R. Renzi (a cura di), Sperduto nel buio.Il cinema muto italiano e il suo tempo (1905-1930), Bologna, Cappelli, 1991, p. 174). Diversamente dall’intrecciodel romanzo, il film segue un andamento cronologico e inizia con l’arrivo della protagonista Marina al palazzo, anzi-ché con il viaggio in treno di Corrado Silla. Corrado, giunto al palazzo, incontra il conte, e, terminato nella bibliote-ca il primo colloquio chiarificatore, reso dalle didascalie che si inframmezzano ai tableaux vivants tipici del cinemamuto, i due si ritrovano sul loggiato, passando bruscamente senza alcun tipo di raccordo dalla veduta interna a quel-la esterna. La lunga descrizione che si apre a questo punto del libro si condensa nella veduta in campo medio chedall’interno dà sul colonnato del portico, ove si muovono i personaggi. Tuttavia il fondale adoperato non è chiara-mente quello di un paesaggio lacu-stre, come sarebbe più facileimmaginare, ma pianeggiante e unpoco urbanizzato, restituendo,forse, la vista che si gode dall’alasinistra del palazzo guardando aponente.

Di venticinque anni dopo è ilremake diMario Soldati, girato pergli esterni direttamente nei luoghifogazzariani, dando da un latomaggiore rigore descrittivo allapagina complicata di Fogazzaro,ma non togliendo dall’altro unacerta libertà di adattamento dellasceneggiatura. Diversamente dalromanzo e dal film di Gallone, Soldati ambienta il primo incontro tra Silla e ilconte proprio nella loggia di tre arcate della Villa Pliniana che dà sul lago (nelpalazzo descritto da Fogazzaro che si ispira ad essa di arcate ve ne sono bencinque). In campo lungo dall’interno verso l’esterno con funzione di establi-shing shot (piano di ambientazione) sullo sfondo in questo caso è il Lario coni suoi monti e le sue insenature, mentre in primo piano Silla si dirige verso ilconte intento a leggere il giornale. Dopo di che la macchina da presa si faavanti in campo medio, tramite un raccordo sul movimento della stretta dimano, e segue i due personaggi in una panoramica che porta verso l’interno,in biblioteca, invertendo così gli scenari previsti sia dall’ambientazioneromanzesca che dalla sceneggiatura di Gallone e rispondendo in primisall’urgenza di fornire le coordinate spaziali esterne.

20. Modellata sulla cosiddetta Pliniana di Torno, sul lago di Como, anche se il lago èpiuttosto il letterariamente ben frequentato (Stendhal, Nievo, Gadda, ecc.) Segrinonell’Alta Brianza.

smeraldo.A levante il lagomette capo a una valle; i monti vi ascendo-no a scaglioni verso l’Alpe dei Fiori, lontane rocce dentate che taglia-no il cielo. Dentro quella valle, a breve distanza del lago, si vede lachiesa di un paesello; e anche dal lato opposto, sul ciglio della costache scende amorir nelle praterie, biancheggia un campanile fra i noci.

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2.5. StaticitàCome viene generalmente riconosciuto, la descrizione pos-siede un intrinseco carattere statico: «indugiando su certioggetti e certi esseri colti nella loro simultaneità, e anzi con-siderando i processi stessi come spettacoli», essa «sembrasospendere il corso del tempo e contribuisce a dilatare il rac-conto nello spazio»25. Questa inerente staticità si manifestain àmbiti e in modi diversi, di cui ricordiamo rapidamente iprincipali.

2.5.1. Staticità come arresto del tempo rappresentato.All’interno di un testo narrativo o comunque progressivo, incui la successione lineare tende come si è detto sopra a ripro-durre la successione temporale, la descrizione costituisce unarresto, una specie di ‘fermata’ un po’ voyeuristica26, ‘pervedere’. E mentre l’unità descrittiva si sviluppa progreden-do di riga in riga, il tempo rappresentato permane immuta-to, immobile.

2.5.2. Staticità come simultaneità delle predicazioni. Leproprietà espresse dalle successive predicazioni di unadescrizione sono sistematicamente intese in assenza disegnali espliciti del contrario come simultanee. Non vi è diregola movimento, dinamicità temporale entro una descri-zione. Il tempo è sospeso. Il che non esclude naturalmenteinfrazioni puntuali all’interno di una stessa descrizione: cosìla descrizione d’apertura dei Promessi sposi presenta unarepentina escursione, a proposito del borgo di Lecco, tra pas-sato degli eventi narrati, presente della narrazione e futuro;analogamente, in un autore manzoniano come C. E. Gadda,passato e futuro sono spesso compresenti in uno stessomovimento descrittivo del presente27.

2.4. PredicativitàLa descrizione non è riducibile ad un elenco, ad una enu-merazione o accumulazione21 di parti, cioè di (nomi di)oggetti. Essa non si limita ad elencare sotto-entità dell’og-getto descrittivo, ma ha essenzialmente carattere predicati-vo. Il proprio della descrizione consiste cioè nel predicareproprietà dell’oggetto descrittivo e delle sue parti.Converrà fermarsi un istante su questa affermazione, chenon è del tutto pacifica. Sembra anzi a prima vista chenella trattatistica sulla descrizione la regola sia costituitada affermazioni di segno contrario: l’enumerazione appa-re – si legge in uno studio (del resto ottimo)22 – «come unasorta di grado zero della procedura descrittiva. La linea-rizzazione più semplice di un progetto descrittivo consistenell’enumerare le parti e/o le proprietà di un tutto sottoforma di una semplice lista. […] L’enumerazione (di parti,di proprietà o di azioni) è certamente una delle più ele-mentari operazioni descrittive». Il fatto è che si confondo-no in questo modo due concezioni diverse di enumerazio-ne o accumulo: da una parte, ‘enumerazione’ in quantotecnica di concatenazione di enunciati – indipendente-mente dalla loro natura – entro la descrizione (certo unatecnica povera, di pura giustapposizione, che rinuncia adogni possibile elaborazione: un vero grado zero); dall’altra‘enumerazione’ in quanto nudo elenco di parti, di sotto-oggetti dunque, sprovvisti di ogni qualificazione che nonsia inerente alla designazione. Vorrei sostenere chel’enumerazione nel primo senso, quando gli enunciati giu-stapposti siano (anche) predicativi, è una descrizione,anche se elementare; ma che la descrizione nel secondosenso è una semplice nominazione, non una descrizione.Vero è tuttavia che una nominazione estremamente anali-tica (ed estesa) di oggetti si approssima al dominio delladescrizione; e che d’altra parte la stessa semplice nomina-zione mediante sintagmi nominali può in corrispondenzaad una opportuna scelta di sostantivi ‘visualizzanti’ assu-mere il valore evocativo di una descrizione. Così è nelpanorama ‘geografico’ (d’un grande scrittore23) che segue,in cui a rigore alternano minipredicazioni (ad esempioaffidate a singoli aggettivi: «colline rotonde») e sostantiviplurali ‘nudi’ (burroni, anfratti, rupi ecc.) ma fortementevisivi:

… la vista s’era dilatata: leghe e leghe una dopo l’altra, da tutte leparti: colline rotonde, a cercine24, accerchiate da strisce di sentieri eserpentine di tratturi; convalli gonfie di bosco muschioso; cotiledo-ni di colli verdi-crisoberillo; casupole di paese, chiesette candide;precipizi rossi, letti pietrosi di torrenti; cime azzurre a segnare unarosa dei venti all’orizzonte; e ancora rocce, spianate, burroni,anfratti, rupi e pantani, pianure e altopiani.

– un frammento superbo, anche in veste tradotta, a prova, cene fosse bisogno, che il descrivere non è un’arte minore delnarrare.

21. I due termini hanno nell’uso retorico una intersezione comune: v. B. Dupriez,«Gradus». Les procédés littéraires (Dictionnaire), Union Générale d’Éditions («10/18»,n. 1370), Parigi 1984.22. Il manuale cit. di J.-M. Adam, La description, pp. 94-95. Mia la traduzione.23. J. Guimarães Rosa, Sagarana, trad. dal protoghese-brasiliano di S. La Regina; acura e con una postfazione di L. Stegagno Picchio, Feltrinelli («I Narratori»), Milano1994, p. 152.24. Credo sia pertinente qui in a cercine “a modo di cercine” la prima accezione regi-strata s.v. dal DISC: «Corona di tessuto arrotolato da mettere in capo per trasportareceste, brocche ecc.; copricapo femminile in tessuto, a forma di anello; pettinatura fattadi trecce avvolte intorno al capo». Sotto, verdi-crisoberillo vale “di colore verde-giallo”.25. G. Genette, Frontiere del racconto, in ID., Figure II. La parola letteraria, Einaudi(«La Ricerca Letteraria – Serie critica» 14), Torino 1972, p. 33.26. Quasi nel senso del licenzioso racconto omonimo, The Fermata, Vintage, Londra1994, di N. Baker. Ma l’idea di ‘fessure’, di ‘crepe’ nel flusso temporale, era già statarilevata e sottolineata da R.M. Rilke (entro una lettera a Balthus bambino del febbraio1921) in un racconto dello scrittore inglese A. Blackwood: a mezzanotte, nell’istantedel passaggio tra un giorno e l’altro, si produrrebbe nel tempo una faglia, una sottilis-sima fessura, in cui qualcuno di molto agile potrebbe, volendo, riuscire a scivolare,per accedere ad un reame dove il tempo è meravigliosamente sospeso...27. O magari, in particolare, si focalizza nel descrivere un momento di transizio-ne tra passato e futuro. Ad esempio, nel Pasticciaccio, i «platani e i rami» di via

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2.5.3. Staticità come atemporalità delle predicazioni. Lepredicazioni di una unità descrittiva, siano esse al passato,al presente o al futuro, si presentano come in piccolo ‘gene-ralmente valide’, non delimitate nel tempo – anche se poi, difatto, lo sono. La loro validità si estende in certo senso primae dopo il momento o segmento temporale in cui a rigore essesussistono, e la stessa questione della loro delimitazionetemporale appare anzi non pertinente.

2.5.4. Staticità come statività delle predicazioni. Le predi-cazioni descrittive sono statiche, nel senso che esse sonocostruite su verbi o aggettivi semanticamente in senso tecni-co ‘stativi’, che ad esempio non ammettono perifrasi pro-gressiva «stare + gerundio», che non possono reggere unafinale, ecc.; oppure su verbi e aggettivi di per sé a rigore nonstativi, ma sottoposti (nella descrizione stessa) ad un tratta-mento stativizzante che ne fa metafore ‘spente’, catacresi,insomma, del movimento, dell’azione, del processo. Unesempio di queste predicazioni derivatamente stative è ilverbo di processo-movimento correre (come in L’acqua corre-va tra due argini erbosi) o di azione-movimento (come inCorriamo fin là? o in Ha corso un’ora28), utilizzato a descrivereuna proprietà spaziale permanente – cioè una qualità – comein Un filare di pioppi correva lungo il sentiero.

2.5.5. Staticità come imperfettività delle predicazioni.Ognivolta che la distinzione tra perfettività e imperfettività è

disponibile nella morfologia verbale, la descrizione richiedel’imperfettività delle predicazioni (Nel giardino dei vicini c’erauna grande piscina, dunque, e non Nel giardino ci fu una gran-de piscina)29, o comunque la loro aspettualità non perfettiva.

L’imperfettività descrittiva vaintesa non nel senso progressivo(grosso modo parafrasabile constava + gerundio30), dato chemanca una caratteristica essenzia-le della progressività, l’«esistenzadi un istante di focalizzazione, incui il processo viene osservato nelpieno corso del suo svolgimen-to»31; e nemmeno nel senso abitua-le o attitudinale di “esser solito”, odi “disponibilità a” (fanno dinuovo difetto due caratteristicheessenziali della lettura abituale: daun parte la delimitazione deglistati di cose necessaria al lororicorrere, e dall’altra la potenzialeagentività dei soggetti necessarialla disponibilità, alla ‘tendenzaa’). Piuttosto, l’imperfettività vaintesa nel senso dell’aspetto conti-nuo32, e in particolare di quellavariante durativa dell’aspetto con-tinuo che tende ad essere la norma

Merulana sono «ancora scheletriti nel marzo, [ma] con di già un languore in pelle inpelle, tuttavia, una specie de prurito [primaverile] per entro la chiarità lieta e stradaledella lor còrtica, fatta di scaglie e di pezze»; e altrove nello stesso romanzo una sciar-pa data da tingere è vista in bilico tra l’antico e il nuovo colore: «verde, un giorno, sì,verde-nero, a puntini: ora non più verde, ma non ancora del colore nuovo, che in ideadoveva essere un marroncello, perché a perfezionare il marroncello si richiedeva unaseconda immersione» (C.E. Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, inRomanzi e racconti, vol. II, a c. di G. Pinotti, D. Isella e R. Rodondi, Garzanti («I Libridella Spiga»), Milano 1989, rispettivamente p. 264 e p. 143).28. Si noti nel primo caso la parafrasabilità con fare una corsa (Facciamo una corsafin là), problematica nel secondo caso (??Ha fatto una corsa un’ora), a meno di modi-ficare in vario modo l’indicazione di durata ((?)Ha fatto una corsa per un’ora, o meglioHa fatto una corsa di un’ora), ma comunque assente per i processi-movimenti (se noncon intenti umoristici: L’acqua faceva una corsa tra due argini erbosi, e cioè ritornan-do ad una azione) e del tutto esclusa dagli impieghi catacretici delle descrizioni: siconfrontino Un filare di pioppi correva lungo il sentiero e *Un filare di pioppi facevauna corsa lungo il sentiero.29. Il rigore di questo principio sembra tuttavia richiedere qualche attenuazione, quandola presenza del perfetto sia favorita da una sfumatura di risultatività. È così ad esempio nelframmento seguente: «Fu una casa bianca, calce e legno, ridente, anzi occhieggiante [...]tra il verde e i pochi sassi de’ d’intorni; e una quantità enorme di lucertole, bisce e ramar-ri ci bazzicava d’intorno, scodinzolando fra il terrore delle donne. Ma anche loro son figlidi Dio. | In casa non ci fu bagno: in una loggia venne collocato un caminetto, che non fumai acceso e credo mai non sarà; nel sotterraneo una stufa ‘brianzuola’ [...].| La cucinafu enorme: con l’imbuto e il setaccio; con delle pentole e paioli che ci volevan due a tirar-li giù; ecc.» (C.E. Gadda, Villa in Brianza, «I Quaderni dell’Ingegnere» I (2001), pp. 18-19).I paragrafi sulla progettazione e costruzione della Villa che precedono il passo citatofanno in effetti sì che proprietà di per sé durative possano essere descritte nel loro instau-rarsi, con un fu perfettivo equivalente quindi a riuscì.30. Parafrasi del resto rigorosamente esclusa, tranne al solito impieghi retorici, per lepredicazioni descrittive: vedi *Un filare di pioppi stava correndo lungo la strada.31. P.M. Bertinetto, nel capitolo sul Verbo della Grande grammatica di consultazione,vol. II, Il Mulino, Bologna 1991, p. 42.32. v. ancora P.M. Bertinetto, op. cit., pp. 49-53.

Roberto Borsa (1880-1965), Il ponte di Castelletto di Cuggiono, olio su tavola.Collezione privata.

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to si muta nel trapassato prossimo di un tempo anteriore(«che avevano orlato aiuole»). L’intervallo di validità dellepredicazioni è certo variabile, andando dalla quasi puntua-lità di «giaceva metà al sole, metà all’ombra» o ancora più dibrillavano alla durata lunga di «Una pergola correva lungoun lato». Ma l’aggiustamento relativo è inavvertibile al let-tore, se questi non riflette sulle proprietà materiali delle pre-dicazioni, o se un segnale di restrizione dell’intervallo divalidità – quale è la prima occorrenza di ora in «Dalla partedi mezzogiorno, su un lembo solatìo, prosperavano alcunifilari d’aranci, e di limoni, ora fioriti» – non imponel’aggiustamento: una restrizione-focalizzazione al presenteimmediato. Ancora, le predicazioni – imperfettive come si ègià detto, e più precisamente continue durative – sono stati-che, sono ‘non-azioni’ o ‘non-processi’: locazioni, stati, qua-lità, e così via. Esse predicazioni anzi si riducono a volte,accantonata la finzione del movimento immobile (correvano,sorgevano), alla mera esistenzialità: «era un buon ciliegio»,«era una vasca rotonda», o a sue varianti debolmente quali-ficate: «erano sparse» (= “c’erano qui e là”), o alla percezio-ne della esistenza: «Si vedevano…».Molti dei procedimenti visti si ritrovano – come potrebbeessere altrimenti? – in tante altre descrizioni letterarie di ortio giardini chiusi, delimitati da precisi contorni. Si lascia allettore, senza ulteriori commenti, l’esame dell’esempio quisotto (in cui i personaggi sono ancora fratello e sorella – mamolti, con le innegabili differenze, sono in generale i puntidi contatto col passo dannunziano), tratto da un grandetesto narrativo novecentesco35:

Percorsero un corridoio lastricato di pietra, lasciandosi a destra lacucina, e da una porta a vetri, scendendo due scalini, uscirono inun bel giardino olezzante.– Ebbene? – chiese il senatore.Fuori c’era quiete e tepore. Nell’aria della sera salivano i profumidelle aiuole ben tracciate, e la fontana cinta di alti giaggioli lilla,con un chioccolio placido, mandava il suo zampillo verso il cieloscuro dove incominciavano a brillare le prime stelle. In fondo unascaletta scoperta fiancheggiata da due obelischi portava a uno

con gli stativi permanenti. Ricapitolando, dunque, questoulteriore àmbito di staticità delle predicazioni descrittiveconsiste nel privilegiare un aspetto imperfettivo continuodurativo.

2.5.6. Staticità: una illustrazione. Ad illustrare i diversiaspetti della staticità propri ai costrutti descrittivi ci servire-mo di un passo dannunziano del Trionfo della morte33, al cuicentro sta la descrizione realistico-simbolica di un orto, l’ortodella casa, paterna/materna, dell’infanzia del protagonista.La sua percezione visiva è preparata, nel modo più classico,da una battuta di dialogo al presente (un invito a visitare, a‘vedere’), e dal resoconto al passato remoto dell’azione chene consegue:

– Perché non scendiamo nell’orto?La madre rimase coi fidanzati. Giorgio e Cristina, col bimbo taci-turno, scesero.Camminarono un tratto l’uno accanto all’altra, in silenzio. Giorgioaveva messo il suo braccio sotto il braccio della sorella, come sole-va con Ippolita.– Povero orto, nell’abbandono! – mormorò la sorella, soffermando-si. – Ti ricordi, quando eravamo piccoli, tutti i nostri giuochi? […]L’orto giaceva metà al sole, metà all’ombra, circondato da un muro su cuiscintillavano frantumi di vetro infissi nella calce. Una pergola correvalungo un lato. Lungo un altro lato, a distanze eguali, sorgevano certicipressetti alti, sottili, diritti come candele, con una misera chioma alsommo del fusto, oscura, quasi nera, in forma del ferro d’una picca. Dallaparte di mezzogiorno, su un lembo solatìo, prosperavano alcuni filarid’aranci, e di limoni, ora fioriti. Pel resto del terreno erano sparsi rosai,piante di lilla, ciuffi d’erbe aromatiche. Si vedevano ancóra qua e là certepiccole siepi di mirto, a disegno, che avevano orlato aiuole ora distrutte.In un angolo, era un buon ciliegio. Nel mezzo era una vasca rotonda,piena d’un’acqua cupa ove le borraccine verdeggiavano.– Ma ti ricordi – diceva Cristina – quando cadesti nella vasca, cheti riprese il povero zio Demetrio? Che spavento, quel giorno! Fu unmiracolo se ti riprese vivo.34

La descrizione si presenta qui come un blocco graficamenteomogeneo e unitario: il capoverso che si posto in rilievo colcorsivo, inquadrato tra enunciati narrativi al passato remoto(v. le forme verbali rimase e scesero) o all’imperfetto (v. allafine del passo il diceva con valore continuo, che sospende neltempo una battuta gravida di anticipazioni: la quasi-death bywater del protagonista bambino). Parallelamente al progre-dire testuale della descrizione, progrediranno senza dubbioanche gli atti: fratello e sorella saranno giunti al centro del-l’orto, presso la malfatata vasca «piena d’un’acqua cupa».Ma di ciò che eventualmente possa accadere la descrizionefa del tutto astrazione: essa per quanto estesa nel tempotestuale è senza durata narrativa e non sarebbe incongruodopo il suo chiudersi ritrovare ferma ad un identico stadiodi sviluppo (come qui però non è) l’azione che si era lascia-ta sospesa al suo inizio. Inoltre, le predicazioni componentisono tutte valide simultaneamente in un determinato inter-vallo del passato (passato rispetto al momento della scrittu-ra): tutte, tranne una eccezione in cui il sistematico imperfet-

33. In Prose di romanzi, vol. I, a c. di A. Andreoli, Mondadori («I Meridiani»), Milano1988, pp. 722-23.34. La curatrice dell’edizione citata annota che «Quest’orto richiama quello adiacenteal convento di Francavilla spesso menzionato nelle lettere a Barbara. Cfr. per esem-pio: “Dall’orto sale il profumo delle zagare e delle rose, che mi fa languire” (6 maggio1891)», e rimanda per borraccine alla definizione del Tommaseo-Bellini: «è nome chesi dà in generale a tutti i muschi che nascono sulle radici degli alberi, su i marmi e sule mura umide».35. Th. Mann, I Buddenbrook. Decadenza di una famiglia, trad. di A. Rho, Einaudi(«Tascabili. Classici moderni», 88), Torino 1992 (19521 ), p. 390.

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spiazzo inghiaiato, su cui sorgeva un padiglione di legno che conla tenda calata riparava alcune seggiole da giardino. A sinistra unmuro di cinta separava il terreno dal giardino attiguo; a destrainvece s’alzava la parete di pietra della casa accanto, mascheratada un graticcio di legno che col tempo avrebbe dovuto coprirsi dipiante rampicanti. Di fianco alla scala e allo spiazzo del padiglio-ne cresceva qualche cespuglio di ribes e d’uva spina; ma c’era unsolo grande albero, un noce vecchio e nodoso vicino al muro disinistra.

2.6. Sineddochi & metonimieLa descrizione è per l’essenziale una compagine di relazioniconcettuali sineddochiche e metonimiche. Essa è cioè costi-tuita in maniera predominante in quanto architettura logicada relazioni ‘generale-particolare’ e da relazioni di contigui-tà, le quali congiuntamente organizzano in reticolo da una

parte il lessico, dall’altra le proposizioni o blocchi di propo-sizioni.Si riprenda ancora, per dare un esempio di questa fonda-mentale caratteristica, il passo descrittivo dannunzianoriprodotto sopra. Dal lessema orto che nomina l’oggettodescrittivo (e che si immaginerà graficamente al centro diun diagramma a stella) si diramano più catene sineddo-chiche contenente-contenuto, schematizzabili comesegue:

ORTO→ VASCA→ ACQUA→ BORRACCINE

ORTO→ MURO→ { CALCE↔ FRANTUMI DI VETRO }

ORTO→ { ROSAI↔ PIANTE DI LILLA↔ ERBE AROMATICHE }

ORTO→{ MURO↔ PERGOLA }

e così via, i cui ‘nodi’ possono a loro volta essere costituiti dacatene metonimiche di contiguità o prossimità come accadead es. per:

ROSAI↔ PIANTE DI LILLA↔ ERBE AROMATICHE

Tra le proposizioni descrittive del passo, inoltre, sussistonorelazioni di tipo grosso modo coordinativo, come tra«L’orto giaceva metà al sole, metà all’ombra» e «[L’ortoera] circondato da un muro» (stesso soggetto, predicazionidello stesso livello che vigono contemporaneamente),oppure tra «Una pergola correva lungo un lato» e «Lungoun altro lato, a distanze eguali, sorgevano certi cipressetti»(diverso soggetto, diverse predicazioni). Si potrà parlare(con etichette leggermente arbitrarie) nel primo caso direlazione di elaborazione e nel secondo di relazione di aggiun-ta; in entrambi i casi è ammessa sia la realizzazione giu-stappositiva sia quella coordinativa in senso stretto (v.«L’orto giaceva metà al sole, metà all’ombra ed era circon-dato da un muro»). In misura minore (e ciò perché questaè descrizione relativamente poco sviluppata nei dettagli),sussistono tra le proposizioni relazioni di tipo appositivonon sostituibili con una coordinazione, come quella tra«sorgevano certi cipressetti» e «[i cipressetti erano] alti |sottili»: il soggetto rimane costante e la seconda predica-zione qualifica o precisa la prima. Si potrà qui parlare direlazione di precisazione, accanto a cui occorrerà in generaleintrodurre – non rappresentata nel passo – la simmetricarelazione di generalizzazione.Riassumendo, e osservato che le relazioni coordinativesono naturalmente (in modo metaforico) metonimiche,mentre le appositive sono sineddochiche (particolarizzan-ti o generalizzanti), le proposizioni descrittive sono dun-que collegate da particolari successioni di relazioni meto-nimiche o sineddochiche; e precisamente da relazioni (colvalore che ai termini si è appena dato) di Elaborazione,Aggiunta, Precisazione, Generalizzazione. Si è confrontatiqui, conviene sottolineare, ad una delle caratteristicherealmente diagnostiche, perché idiosincratiche, dell’unitàtestuale ‘descrizione’.

Pietro Apiano, Geographia e Chrographia, in Cosmographia,Parigi, 1551 (riprodotto in Svetlana Alpers, Arte del descrive-re. Scienza e pittura nel Seicento olandese, trad. dall’orig.

inglese – UCP, 1893 – di Fl. Cuniberto,Boringhieri, Torino 1983, tav. 78) .

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stono sui margini, sui confini della ‘figura’ descritta, per poispostarsi direttamente al suo centro ed ai dettagli relativi (ilpetalo!):

Giardino della stazione di San Giovanni o San Sirotutto fiorito all’ingiro di fiori della passione,

chiuso da siepe corrosa di brevi canne sottilicui s’attorcigliano i fili dei bei convolvoli rosa.

Brilla nel mezzo un tranquillo disco di limpida vasca,oscilla un petalo e casca presso il minuto zampillo.

O ancora per ‘fasce successive’, come nello sviluppo sullacosta-costiera nell’apertura del romanzo manzoniano41, doveil procedimento appare ripetuto due volte, a contatto, e increscendo di analiticità:

Quel ramo del lago di Como [… ]. Per un buon pezzo, la costa salecon un pendìo lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncel-li, in erte e in ispianate, secondo l’ossatura de’ due monti, e il lavo-ro dell’acque. Il lembo estremo, tagliato dalle foci de’ torrenti, èquasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigne, sparse diterre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano super la montagna.

Prima due sezioni di costa, dal basso all’alto, quelle per cosìdire dell’uniformità e della variabilità («pendìo lento e con-tinuo», «poi [la costa] si rompe in…», con la doppia binarie-tà di poggi e valloncelli, erte e spianate); quindi, di nuovo, unapartizione binaria della costa in «lembo estremo» e in «resto»(ognuno con le sue caratteristiche), cui si aggiunge successi-vamente, a far fede almeno alla punteggiatura42, l’appendice‘dispersa’ dei boschi «in qualche parte», così che la secondascansione in fasce è in ultima istanza ternaria.

2.7. Ordine aggiunto: strategie costruttiveLe varie relazioni di inclusione e prossimità tra l’oggettodescrittivo e le sue parti, così come le relazioni coordinativee sineddochiche tra le successive proposizioni componentinon riescono ad attribuire alla compagine descrittiva ungrado sufficiente di ordine36. Non riescono, per meglio dire,a imporre una ratio, un senso all’ordine che la descrizionebene o male viene a possedere per il semplice fatto della sualinearità. Intervengono allora, ad introdurre questa ragione(e a meno che non si opti con scelta rappresentativa coscien-te per l’aleatorietà, per il caos descrittivo) diverse strategiepercettive – e quindi costruttive. Tre, delle più frequenti,sono brevemente tratteggiate qui sotto – ma gli stessi termi-ni usati per individuarle suggeriscono una quasi illimitatapotenzialità di variazione37.

2.7.1. Accessibilità progressiva. È una strategia basata, perlo più realisticamente, sul progressivo ‘aprirsi’ allo sguardodelle parti dell’oggetto descrittivo, come accade ad esempioper le descrizioni di paesaggio nella ubiqua messa in scenadel percorso, della passeggiata descrittiva, con infiniti esempinelle diverse letterature38: è allora il procedere, l’avanzare,reale o potenziale che sia, entro il paesaggio a giustificarel’ordinamento delle predicazioni che progressivamente sirendono disponibili. Se ne legga qui sotto un esempio clas-sico, scandito da avverbi di successione temporale-spaziale(da prima, poi, di nuovo, finalmente), e concluso da una piùestesa sottodescrizione (appositiva: «una casa a un piano…con …e [con] di fronte...») della meta, la «trattoria dellaFaggeta» e infine del quadro naturale (il «bosco di faggi») incui essa è inserita:

Erano vicini a Oldemburgo. Apparvero da prima boscaglie di faggi,poi la carrozza attraversò la cittadina, la piccola piazza del merca-to con la fontana, uscì di nuovo in campagna, passò i ponte sull’Aue si arrestò finalmente davanti alla trattoria della Faggeta, una casaa un piano su un largo spiazzo con tappeti d’erba, viottoli inghia-iati e rustiche aiuole, e di fronte il bosco di faggi che saliva ad anfi-teatro. I vari ripiani del bosco erano collegati da gradinate rozze,per le quali s’era tratto partito delle radici sporgenti e dei pietroniaffioranti dal suolo, e sui ripiani, fra gli alberi, eran disposte tavo-le, panche e sedie verniciate di bianco39.

2.7.2. Esaustione geometrica. È questa una tecnica totaliz-zante, che si sforza di dare una idea d’assieme apparente-mente completa, esauriente, dell’oggetto descrittivo passan-done in rassegna more geometrico le parti. Si tratterà di voltain volta di (ad esempio) percezione planimetrica dal perime-tro al centro (il viceversa è invece molto meno comune),come nel passo dannunziano visto sopra (si ricordi: «L’ortogiaceva metà al sole, metà all’ombra, circondato da un murosu cui scintillavano frantumi di vetro infissi nella calce. Unapergola correva lungo un lato. Lungo un altro lato, ecc.») onei versi iniziali del bel giardino di Marino Moretti40, che insi-

36. È fatto, questo, ripetutamente sottolineato negli studi sulla descrizione; si vedanole prese di posizione riportate nel capitoletto I.3 «Un désordre préjudiciable» del cita-to «Que sais-je?» di J.-M. Adam, pp. 16-22.37. Va sottolineato l’interesse di uno studio tipologico e storico delle molteplici stra-tegie percettive esistenti.38. Ma si ricorderà per l’italiano l’assorta eppure così ricca d’accadimenti passeggia-ta serale nelle prime pagine di Ravenna di A. Pizzuto, Lerici («Collana narratori», 26),Milano 1962, pp. 11 sgg.: «Veniva poi la sua passeggiata, chilometri su chilometri,sempre quella, a rilento, assorto, qua e là riscosso dagli incontri ecc.».39. Ancora da Th. Mann, I Buddenbrook cit., p. 317.40. «Il giardino della stazione», in Poesie di tutti i giorni, 1911. La lirica può essere lettanella sua interezza nei Poeti italiani del Novecento, a c. di P.V. Mengaldo, Milano,Mondadori («I Meridiani»), 1978, p. 176; e nel III vol. dell’Antologia della poesia italia-na a c. di C. Segre e C. Ossola, Einaudi («Biblioteca della Pléiade»), Torino 1999, pp.741-42). Miei, al solito, i corsivi della citazione.41. Che cito da: I promessi sposi. Storia della colonna infame, a c. di A. Stella e C.Repossi, Torino, Einaudi-Gallimard («Biblioteca della Pléiade»), 1995.42. Secondo il punto e virgola, in effetti, i boschi non dovrebbero appartenere al restoche precede, ma essere in parallelo con esso.

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A. Manzoni, I Promessi Sposi (1840),ristampa anastatica, a cura di S.S.Nigro, Milano, Mondadori(«I Meridiani»), 2002,pp. 9, 11 e 377.

Analogamente costruita per successive fasce («…in alto…nelle falde… Il fondo»), anche se stavolta percorse dasopra a sotto, è la descrizione geografica che apre il cap. XXdel romanzo43:

Il castello dell’innominato era a cava-liere a una valle angusta e uggiosa,sulla cima d’un poggio che sporge infuori da un’aspra giogaia di monti, edè, non si saprebbe dir bene, se con-giunto ad essa o separatone, da unmucchio di massi e di dirupi, e da unandirivieni di tane e di precipizi, chesi prolungano anche dalle due parti.Quella che guarda la valle è la solapraticabile; un pendìo piuttosto erto, mauguale e continuato; a prati in alto; nellefalde a campi, sparsi qua e là di casucce. Ilfondo è un letto di ciottoloni, dove scor-re un rigagnolo o torrentaccio, secon-do la stagione: allora serviva di confi-ne ai due stati. I gioghi opposti, cheformano, per dir così, l’altra paretedella valle, hanno anch’essi un po’ difalda coltivata; il resto è schegge emacigni, erte ripide, senza strada enude, meno qualche cespuglio ne’fessi e sui ciglioni.

2.7.3. Selezione e focalizzazionedi singoli aspetti. Le due tecnicheprecedenti comportano certo as-sieme ad un ordinamento dei datidescrittivi (certe caratteristicheverranno necessariamente dopoaltre in funzione delle possibilitàpercettive) anche una più o menospinta selezione dei dati. E in gene-rale, lo si era sottolineato, un certogrado di selezione entro il nomina-bile e il predicabile è sempre ine-rente al descrivere. Ma singolari, equindi pertinenti al nostro ragio-namento sulle strategie costrutti-ve, e meritevoli di un trattamentoa parte, sono i casi in cui la selezio-ne, e conseguentemente la focaliz-

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Nella Quarantana,al fine di soddisfa-re la predilezionemanzoniana perle lanterne magi-che e i libri illu-strati, nonché perrivolgersi ad unpubblico piùampio e borgheseche acquista ilromanzo indispense, ovvian-do al contempo alproblema delcopyright conl’accrescere delledifficoltà di con-traffazione, le

descrizioni testuali sono accompagnate dal paratesto del Gonine di altri paesisti, tra cui lo stesso D’Azeglio. Le loro litografie difregi, frontespizi, capilettera, quadri di ambiente e ritratti di per-sonaggi aprono e chiudono capitoli, sequenze narrative edescrittive, s’inframmezzano nel testo in un rapporto «dialogi-co», con funzione ben più che esornativa, di mera rappresenta-zione del testo. È il caso, ad esempio, della vignettad’intestazione con funzione metaforica del capitolo XX raffigu-rante i segugi sguinzagliati alla ricerca della preda Lucia, o anco-ra di quella del capitolo I, seguita dal capilettera e dalla vedutadel paesista Luigi Riccardi, che si pone in chiusa della esempla-re descrizione incipitaria. In particolare, come mettono in luceNigro nel Commento a «I Promessi Sposi» (in I Promessi Sposi(1840), cit., p. 876-8) e Toschi nell’articolo Prodromi della mul-timedialità: i «Promessi Sposi» illustrati (in «La Rassegna dellaLetteratura italiana», 1995, 1-2, pp. 131-40), la sequenza figu-rativa segue la focalizzazione progressiva della descrizionetestuale. Si va dal long shot dell’intestazione, raffigurante ilponte sull’Adda che unisce il promontorio (dal cui argine èsituato il punto di vista pittorico, non coincidente con quellonarrativo ben più elevato) con la costiera dominata dai monti S.Martino e Resegone, al capilettera che funge da cornice al

close-up montuoso, per restituire, a chiusura dell’establishing shot testuale, la panoramica d’insieme,presa dal medesimo argine della prima inquadratura, ma da un punto di vista più distante e soprae-levato, che consente la messa in primo piano della strada conducente al ponte, generando così unfalso raccordo con la deissi spaziale del testo che di seguito riprende. La strada raffigurata in primopiano con un paesano e un animale da soma non è infatti una di quelle stradicciole percorse da DonAbbondio, che si trovano giustappunto dall’altra parte del ponte. Altrove, invece, come nel caso dellaveduta a firma di Bernard del XX capitolo contenente il capilettera (si noti, tra l’altro, che nel primocapitolo è il capilettera a contenere la veduta), tra descrizione testuale e descrizione pittorica vi èpiena coincidenza, fissando inequivocabilmente nell’immaginario gli impervi luoghi dell’Innominato.

43. A p. 288 dell’edizione citata.

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menti non narrativamente pertinenti, vengono semplice-mente accantonate), questi elementi tendono in effetti adessere collocati in seconda posizione, e sono proprio essia venire successivamente ripresi e sviluppati, a scapitodei primi. Così accade nei luoghi rilevati dal corsivo: ad«un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altraparte» segue la ripresa tematica, sotto, di costiera e piùoltre di costa46, e analogamente dei «due monti contigui,l’uno detto di San Martino, l’altro, con voce lombarda, ilResegone», è il secondo, non certo un S. Martino condan-nato all’oblio, che viene diffusamente ripreso a contatto,per non parlare della costante presenza, di vero e proprio«totem orografico», del Resegone per tutto il resto delromanzo. Nella redazione anteriore47 nota come Fermo eLucia, di cui nella pagina successiva si riproduce l’avvio48,la binarietà e la relativa selezione a destra erano invecemolto meno sistematiche; e in particolare, in luogo del-l’opposizione compatta tra «promontorio a destra» e«ampia costiera dall’altra parte» con doppia successivaripresa della costiera, si aveva una coppia di sostanziosiperiodi legati avversativamente da Ma, il primo dei qualisi sofferma appunto, un po’ gratuitamente, sul futuro pro-montorio e relativo Monte di San Michele:

zazione di quel che sopravvive alla potatura, è sistemati-camente affidata ad uno, a pochi procedimenti specifici,che impongono così al testo descrittivo una loro evidenzae un loro ordine. Alcuni procedimenti, come ad esempioil privilegiare i dati uditivi, o i visivi, in particolare i colo-ristici44, sono scontati; altri forse lo sono meno, comemagari il close-up progressivo (in termini cinematografici:dal medium close-up allo extreme close-up) che focalizza increscendo il dettaglio a scapito del resto. Qui vogliamoparlare di un procedimento per così dire logico di selezio-ne e focalizzazione, basato sulla risoluzione a destra delledicotomie, che ha giocato un ruolo di primo piano nellagenesi di una delle pagine più note della nostra letteratu-ra45, la iniziale dei Promessi sposi, alla quale già si erarimandato sopra per la scansione in fasce.Si consideri da prima, l’incipit vero e proprio:

Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due

catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda

dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a

ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promon-

torio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi

congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’oc-

chio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa,

e l’Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le

rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e ral-

lentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La costiera, formata dal

deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti

contigui, l’uno detto di san Martino, l’altro, con voce lombarda, il

Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno

somigliare a una sega: talché non è chi, al primo vederlo, pur-

ché sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che

guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contras-

segno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome

più oscuro e di forma più comune. Per un buon pezzo, la costa

sale…

La percezione degli elementi paesaggistici viene organiz-zata in questi periodi iniziali sistematicamente (verrebbevoglia di dire ossessivamente) in modo binario, per cop-pie che quasi sempre sono anche coppie sintagmatiche:oltre alle scontate «due catene […] di monti», si registre-rà: «tutto a seni e a golfi», «a seconda dello sporgere e delrientrare», «a ristringersi e a prender», «corso e figura»;«un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altraparte», ecc.; e più avanti: «due monti contigui, l’uno dettodi San Martino, l’altro, con voce lombarda, il Resegone», ecosì via. Ma, quel che più conta, si delinea qui entro lecoppie una chiara selezione tra gli elementi da sviluppa-re, che induce effetti d’economia e d’ordine entro la pre-sentazione della molteplicità dei dati naturali. Nelle cop-pie che introducono elementi funzionali alla vicenda nar-rativa ed alla visione del paesaggio (altre coppie, di ele-

44. Uno bel campione di descrizione ‘per colori’ – del giardino d’un pittore! – è in unpasso d’un reportage di viaggio (uscito nel «Corriere della Sera» verso la metà deglianni ottanta) di G. Manganelli: «In Nolde lo sgomento, il brivido è la prima originariamateria della gioia. Gioia: e quale altra parola può descrivere lo stupore del giardinoche Nolde progettò e disegnò accanto alla casa solitaria? Non fiori, non aiuole, mailari, scatenate dilatazioni di colore, ecco un segno rosso, ecco il violaceo, ecco il clan-gore scatenato del giallo: non aveva scritto Nolde: “Il giallo può dipingere la felicitàquanto il dolore”? Si esce dalla casa di Nolde, pinnacolo dello Schleswig-Holstein,avvolti dalla regalità di un perfetto giallo».45. E certo, in centinaia e centinaia di pagine, la più minutamente auscultata. Si ricor-deranno almeno G. Orelli, Quel ramo del lago di Como. Lettura manzoniana,Casagrande, Bellinzona 19821; i paragrafi sulla «Situazione del racconto» nel volumedi G. Nencioni sulla Lingua di Manzoni, il Mulino, Bologna 1993, pp. 247 sgg.; le pagi-ne finali di G. Bardazzi, Manzoni e la purificazione dello sguardo, in «Versants», 12(1987), pp. 95-111; la «Integrazione I» della edizione scolastica dei PS curata nel 1988da E. Raimondi e L. Bottoni per la Principato – con un’analisi in termini di nozionicome ‘tema introduttore’, ‘espansioni predicative’, ‘sottotemi nomenclatori’, ecc.; L.Vitacolonna, Aspetti sintattico-stilistici e simbolici della prosa manzoniana: «Quelramo del lago di Como», in «Otto/Novecento», a. XIV, n. 2 (marzo-aprile 1990), pp.5-15; e la sezione iniziale del volume di U. Colombo, Il primo capitolo dei «PromessiSposi», Edizioni OTTO/NOVECENTO, Azzate (Varese) 1992.46. Posto che costa si possa assimilare a costiera, o a sua parte. Il Petrocchi acuta-mente commentava: «Riviera [ che è la variante della Ventisettana] nell’uso si direbbepiuttosto di quella del mare. Costiera non è molto com[une]; il M. par che intenda conquesto vocab[olo] la parte che è tra il lago o fiume e i monti; e lo distingue da costa;a quello dando più signif[icato] di estensione, a questo di salita».47. Caratterizzata tra l’altro dalla ricerca dell’espressione: si notino i tre per così dire oper dir così.48. Cito da: Fermo e Lucia, saggio introduttivo, revisione del testo critico e commen-to a c. di S.S. Nigro, Mondadori («I Meridiani»), Milano 2002.

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Quel ramo del lago di Como d’onde esce l’Adda e che giace fradue catene non interrotte di monti da settentrione a mezzogiorno,dopo aver formati varj seni e per così dire piccioli golfi d’inegualegrandezza, si viene tutto ad un tratto a ristringere; ivi il fluttua-mento delle onde si cangia in un corso diretto e continuato dimodo che dalla riva si può per dir così segnare il punto dove illago divien fiume. Il ponte che in quel luogo congiunge le duerive, rende ancor più sensibile all’occhio ed all’orecchio questatrasformazione: poiché gli argini perpendicolari che lo fiancheg-giano non lasciano venir le onde a battere sulla riva ma le avvia-no rapide sotto gli archi; e presso quegli argini uno può quasi sen-tire il doppio e diverso romore dell’acqua, la quale qui viene arompersi in piccioli cavalloni sull’arena, e a pochi passi tagliatadalle pile di macigno scorre sotto gli archi con uno strepito percosì dire fluviale. Dalla parte che guarda a settentrione e che a quelpunto si può chiamare la riva destra dell’Adda, il ponte posa sopra unargine addossato alla estrema falda del Monte di San Michele, il quale sibagnerebbe nel fiume se l’argine non vi fosse frapposto. Ma dall’oppostolato il ponte è appoggiato al lembo di una riviera che scende verso illago con un molle pendio ecc.

Poco più oltre, tornando alla redazione vulgata, lo stessoprocedimento di soluzione a destra delle dicotomie vieneapplicato alla sezione delle «strade e stradette» che solca-no la costiera. Di esse si menziona (sempre binariamente)da prima la PENDENZA («più o meno ripide, o piane») equindi la GIACITURA, cioè la presenza o assenza di delimi-tazione («ogni tanto affondate, sepolte tra due muri49 [...];ogni tanto elevate su terrapieni aperti [...]»), per concen-trarsi poi, messa da parte la pendenza, sulla giacitura, e inparticolare di essa proprio su quell’aspetto (l’essere lestrade «elevate su terrapieni aperti») che consente una piùlibera percezione del paesaggio, ma che è pertinente ancheper la situazione ‘senza via d’uscita, senza possibile soc-corso’ di don Abbondio (il quale potrà constatare, «guar-dando con la coda dell’occhio, fin dove poteva», che nes-suno arrivava50):

Dall’una all’altra di quelle terre, dall’alture alla riva, da un pog-gio all’altro, correvano, e corrono tuttavia, strade e stradette, piùo men ripide, o piane; ogni tanto affondate, sepolte tra due muri,donde, alzando lo sguardo, non iscoprite che un pezzo di cielo equalche vetta di monte; ogni tanto elevate su terrapieni aperti: eda qui la vista spazia per prospetti più o meno estesi, ma ricchisempre e sempre qualcosa nuovi, secondo che i diversi puntipiglian più o meno della vasta scena circostante, e secondo chequesta o quella parte campeggia o si scorcia, spunta o sparisce avicenda. Ecc.

Come e più di prima, l’esprit della descrizione, economico,funzionale, è molto diverso rispetto a quello totalizzante edisperso del Fermo e Lucia, dove, se colpisce il fittissimo reti-colo di alternative (visualizzate qui sotto dal corsivo), èancora più significativa la proliferazione indiscriminata deldettaglio non narrativamente funzionale (i ciottoloni, rico-perti di antiche edere ecc.; le siepi di differenti arbusti, ecc.),che elabora ogni dicotomia, spingendosi al limite sino acomprometterne la perspicuità (si veda in particolare « stra-dicciuole… chiuse per lo più da muri fatti di … Di tempo intempo invece di muri passano le anguste strade frasiepi…»):

Dall’una all’altra di queste terre, dalle montagne al lago, da unamontagna all’altra corrono molte stradicciuole ora erte, ora dolce-mente pendenti, ora piane, chiuse per lo più da muri fatti di grossiciottoloni, e coperti qua e là di antiche edere le quali, dopo avercolle barbe divorato il cemento, ficcano le barbe stesse fra un sassoe l’altro, e servono esse di cemento al muro che tutto nascondono.Di tempo in tempo invece di muri passano le anguste strade frasiepi nelle quali al pruno e al biancospino s’intreccia di tratto intratto il melagrano, il gelsomino, il lilac e il filadelfo. Una di que-ste strade51 percorre tutta la riviera ora abbassandosi, ora tirandopiù verso il monte, ora in mezzo alle vigne, ed ora sulla linea chedivide i colti dalle selve. Questa strada è talvolta seppellita fra duemuri che superano la testa del passaggero, dimodoché egli nonvede altro che il cielo e le vette dei monti: ma spesso lascia un libe-ro campo alla vista la quale quasi ad ogni passo scopre nuoviampi e bellissimi prospetti.

49. Si manifesta qui la singolare attenzione manzoniana alle strade ‘chiuse, incas-sate’, che (presente certo nei romanzi di Walter Scott) sembra rispondere ad unaspecifica costante psicologica: v. Promessi sposi cit., cap. XI, p. 174 «La strada eraallora tutta sepolta tra le due alte rive, fangosa, sassosa, solcata da rotaie profon-de, che, dopo una pioggia, divenivan rigagnoli; e in certe parti più basse,s’allagava tutta, che si sarebbe potuto andarci in barca»; cap. XX , p. 295 «Quellastrada era, ed è tutt’ora, affondata, a guisa d’un letto di fiume, tra due alte rive,orlate di macchie, che vi forman sopra una specie di volta»; cap. XXXIV, p. 499«La strada che Renzo aveva presa, andava allora, come adesso, diritta fino al cana-le detto il Naviglio: i lati erano siepi o muri d’orti, chiese e conventi, e pochecase»; e cap. XXXVII, p. 347 «Quando passò per Monza, era notte fatta: nonostan-te, gli riuscì di trovar la porta che metteva sulla strada giusta. Ma […] poteteimmaginarvi come fosse quella strada, e come andasse facendosi di momento inmomento. Affondata (com’eran tutte; e dobbiamo averlo detto altrove) tra duerive, quasi un letto di fiume, si sarebbe a quell’ora potuta dire, se non un fiume,una gora davvero; e ogni tanto pozze, da volerci del buono e del bello a levarne ipiedi, non che le scarpe».50. Edizione cit., p. 13 «… se qualcheduno arrivasse; ma non vide nessuno. Diedeun’occhiata, al di sopra del muricciolo, ne’ campi: nessuno; un’altra, più modesta sullastrada dinanzi; nessuno, fuorché i bravi».51. È notevole che nella redazione di Fermo e Lucia la transizione dalla pluralità dellestradicciuole alla singolarità della strada per cui torna a casa don Abbondio – estratta(«Una di queste strade…») da un insieme indistinto – intervenga molto prima, e chepoi questa particolare strada sia di nuovo sottoposta, come le altre, ad un trattamen-to ‘quantificante’ in termini degli avverbi temporali ora, talvolta e spesso: «…oraabbassandosi, ora tirando più verso il monte, ora in mezzo alle vigne, ed ora sulla lineache divide i colti dalle selve. Questa strada è talvolta seppellita…».

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ni, consiste nel mascheramento più o meno spinto dellastruttura logica elementare, o comunque nella sua complica-zione: nell’indurre cioè in essa, per così dire ab exteriore57, unsovrappiù di struttura. Così, ad esempio, si potrà:

i) aggiungere alla pura descrizione un percento di argo-mentazione;

ii) interfogliarla di commenti metadescrittivi;

iii) rapportarla sistematicamente ad uno ambito esterno,facendone in vario modo una descrizione comparati-va, contrastiva;

e via dicendo. Ma prima di passare sommariamente in ras-segna alcune di queste modalità di complicazione introdot-te ‘da fuori’, dalla mano del descrittore stesso, converrà arre-starci un momento sopra una sorgente interna di complica-zione: su certe difficoltà ab interiore, inerenti alle caratteristi-che stesse dell’oggetto descrittivo prescelto.

3.1. Complicazione «ab interiore»: oggettidescrittivi ‘malagevoli’

Un primo genere di complicazione della descrizione ha cosìorigine dal fatto che si rivela malagevole, difficoltoso, peruna ragione o per l’altra, parlare dell’oggetto descrittivo:vuoi per la natura stessa di tale oggetto, vuoi per l’assenzadi una sua tradizione linguistica, in particolare lessicale, ditrattamento (e le due cause sono spesso interdipendenti).Questo accade esemplarmente quando ci si propone didescrivere l’indistinto, o il silenzio, vale a dire da una partequalcosa che si presenta privo di distinta forma propria; dal-l’altra qualcosa la cui caratteristica principale è negativa, èl’assenza di proprietà caratteristiche. Quali artifici sarannoin grado di rendere osservabile, percepibile, l’assenza diosservabili, per approdare a predicazioni che non siano tutteuniformemente negative? Come trovare predicazioni ‘posi-tive’ ad esempio per il silenzio?La questione, una sorta di sfida alle capacità della lingua,

osì come la si è presentata, la struttura e la costruzionestessa della descrizione è per sua natura esposta al peri-

colo della ripetitività, della banalità, della noia. Non meravi-gliano le ricorrenti messe al bando, specie da parte di scrit-tori modernisti o antitradizionalisti52: si ricorderà tra le tantel’invettiva ripetutamente citata ed antologizzata53 di AndréBreton nelManifeste du surréalisme del ’24:

Et les descriptions! Rien n’est comparable au néant de celles-ci; cen’est que superpositions d’images de catalogue, l’auteur en prendde plus en plus à son aise, il saisit l’occasion de me glisser sescartes postales, il cherche à me faire tomber d’accord avec lui surdes lieux communs54.

Vuoto torricelliano delle descrizioni! Un accozzod’immagini stereotipe, un cumulo di luoghi comuni!Analogamente (ma con un pizzico d’ironia e qualche arrière-pensée), un anno dopo, nel ’25, un grande narratore eddescrittore, neanche poi troppo modernista, come AldousHuxley, interrompeva un passo descrittivo (uno dei tanti)d’un suo romanzo ‘italiano’, The barren leaves55, con questatirata autocritica:

In quel momento l’automobile passava attraverso un gran cancel-lo; vidi passando una lunga gradinata, fiancheggiata di cipressi,che saliva di terrazza in terrazza, fino a una porta scolpita ches’apriva nel centro della lunga facciata del palazzo. Ma intantol’automobile svoltò, e, percorso un viale d’elci che correva il fian-co del monte, cominciò a salire verso la casa; finalmente scendem-mo in un gran cortile quadrato, davanti a una specie di riproduzio-ne più in piccolo della grande facciata. Alla sommità d’una doppiagradinata che si curvava a ferro di cavallo dalla base fino allasoglia, una porta lussuosa, sormontata da uno stemma, s’aprivacome una caverna. E l’automobile s’arrestò.Ed era tempo, come noto, rileggendo ciò che ho scritto; poche cose anno-iano e sono più inutili delle descrizioni; per lo scrittore, però, v’è un certodivertimento, consistente nella caccia all’espressione: trasportato dall’ec-citamento della ricerca, egli continua e continua, senza il minimo riguar-do pel povero lettore che lo segue a fatica attraverso pagine e paginepesanti, con lo stesso divertimento di coloro che vengono in coda d’unacompagnia di cacciatori e non vedono nulla56. Tutti gli scrittori sonoanche lettori… quantunque dovrei fare un’eccezione a favore di pochimiei colleghi che fanno loro specialità degli appunti improvvisati… edevono quindi sapere quant’è spaventosa una descrizione. Ma ciò nonimpedisce loro di infliggere altrui quanto essi stessi han sofferto: in veri-tà, talvolta penso che alcuni autori devono scrivere come scrivono, perpura sete di vendetta».

Si pone insomma in modo serio il problema di come rende-re la descrizione leggibile, interessante e magari appassio-nante, malgrado i molti suoi limiti o difetti intrinseci. Unatendenza generale, nel diffuso sforzo di migliorare le quali-tà comunicative, e per così dire l’appetibilità delle descrizio-

3. Le ‘complicazioni’ della descrizione

52. Un panorama rappresentativo è fornito dal cit. «Que sais-je?» di J.-M. Adam, Ladescription, cap. I.53. La si veda ad es. in Ph. Hamon, La description littéraire. Anthologie de textes théo-riques et critiques, Macula, Parigi 1991, p. 175-76.54. A. Breton, Œuvres complètes, vol. I, Gallimard («Bibliothèque de la Pléiade»),Parigi 1988, p. 314.55. Foglie secche, trad. it. di A. Traverso, Casa Editrice Bietti, Milano 1934, pp. 180-81.56. Mio il rilievo grafico, naturalmente.57. Utilizzo analogicamente una distinzione della riflessione narratologica gaddiana.

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oltre che del descrittore, è in effetti di un certo interesse. Siesamini per fissare le idee un passo tratto dal capolavorogiovanile (del 1868) di Carlo Dossi, L’Altrieri58: vi è narrata labreve passeggiata serale di due bambini, Guido e la spossa-ta, sofferente Gìa, come per sottrarsi agli «accenti tristissi-mi», al «nodo alla gola» del clavicembalo (?) cui siede nellasala della grande casa in collina la madre di Guido. Unaviuzza campestre, che «storcèvasi grigia», li porta sino «adun rialzo di terra e ad un boschetto di robinie». Ombre,silenzio, lontani chiarori – premonizioni di lutto. Pochimomenti dopo, il mancamento di Gìa e in brevi ore la morte.

Noi continuammo il nostro cammino, passo a passo, ratenendo ilparlare.Con quale fatica la fanciullina si trasse su per l’ascesa (ed era dolcesalita) come anelante, affranta, si abbandonò sul sedile!Là c’intorniàvan robinie. L’ombre di esse, una di cui ci copriva,allungàvansi tra le gambe delle panchette, sul suolo, bizzarramen-te; e, negli squarci da fusto a fusto, scorgèvasi giù sciorinata lacampagna, gibbosa, sparsa di villaggi dai lucenti tetti d’ardesia,macchiata da querceti – masse nere, cupe. In fondo, una bendaargentina: il Po; al di là, terra terra, un fumoso chiarore (esalazioniappestate): una città. Appresso, tutto si confondeva col cielo, d’unazzurro cinereo, giojellato di stelle che lappoleggiàvano senzaposa e dalle quali staccàvansi di tempo in tempo ràpide striscie difuoco. Era la calma, solenne; né la rompeva il monòtono continuo grilla-re, nè, della cornacchia, il sinistro, rado cra cra.– Che notte strana! – fe’ Gìa raccogliendo l’àlito, con suono, che,più dolce, più carezzante, io non le avèa udito mai.– Non è vero che è strana? –Tacqui. Essa continuò:– Stasera mi chiàmano da ogni parte… ascolta… il mio nome tintin-na come in suono di baci… piccolini… piccolini. Io mi sento leggiera,più leggiera di una pennamatta59... volo, vado come in dileguo… –E azzittì. Poi capricciò. Sopra di noi, ad un frullo, s’era mosso ilfogliame.Gocciàrono silenziosi momenti.

In questo passo appaiono con evidenza due classi di proce-dimenti (rilevati dai corsivi) che possiamo considerare comespecifici alle descrizioni del silenzio. In primo luogo:i) il ricorso alle ‘parole del silenzio’, cioè a quei sostantivi,

aggettivi, avverbi e locuzioni verbali60 che nominano il silen-zio («parole poeticissime», per riprendere Leopardi, e cometali spesso cariche di tradizione letteraria61): «Era la calma,solenne» e «silenziosi momenti»; in particolare:i-a) la presenza di verbi del non-dire (a volte anche del nonfare), verbi cioè di omissione o interruzione del parlare62:«ratenendo il parlare», «Tacqui», «E azzittì».E quindi, in maniera più complessa:ii) il rilevare delle – per così dire – ‘infrazioni-soglia’ al

silenzio: suoni, rumori, accadimenti che lo rompono, ma dipoco, oltrepassando appena la soglia dell’udibile. Il loro stes-

so essere percepibili ribadisce in sostanza il predominare delsilenzio: essi consentono di misurarne appieno la profondità,così come fa il picchio al suolo di uno spillo nella notte sospe-sa della pascoliana Suor Virginia dei Primi Poemetti: «La suorasi svestì, così leggiera, | ch’udì per terra il picchio d’uno spil-lo». Nel passo dell’Altrieri ciò avviene semplicementecogliendo il muoversi del fogliame e, in forma che non sipotrebbe immaginare più esplicita, negando appunto chedue tipi di suoni-soglia – lo stridere dei grilli, il gracchiaredelle cornacchie – disturbino il silenzio: «Era la calma, solen-ne; né la rompeva il monòtono continuo grillare, nè, della cornac-chia, il sinistro, rado cra cra». In generale i suoni con funzionedi soglia possiedono caratteristiche ben precise di altezza esoprattutto di continuità (si ricordi il «continuo grillare») e diricorrenza (un’altra forma di continuità): il cra cra della cor-nacchia non è solo sinistro, ma anche rado, il che equivale adire ripetuto ad intervalli regolari, per quanto spaziati63.Converrà accennare di passaggio a due notevoli varianti delsecondo procedimento, per quanto esse non siano rappre-sentate nel passo in esame. Nella prima variante non ci sononemmeno dei suoni-soglia, proprio perché si nega esplicita-mente il loro sussistere64, quell’infrazione residua del silen-zio dovuta a suoni quasi inaudibili – il che si ripercuote, conl’effetto ben noto della semantica delle grandezze scalari, suogni altro suono della scala. Silenzio assoluto dunque. Inquesto modo va intesa in Leopardi la serie di negazioni dellaVita solitaria, vv. 28 sgg.65:

58. Che cito tuttavia nella redazione del 1881 riprodotta in: C. Dossi, Opere a c. di D.Isella, Adelphi («La nave Argo», 1), Milano 1995, pp. 466-67.59. È, secondo il Tramater, la «prima piuma che mettono gli uccelli».60. Ad es. far silenzio, che in latino con lessema singolo è silēre o silescĕre (v. adesempio Ovidio, Met. VII, v. 187 «inmotaeque silent frondes, silet umidus aer»).61. Si ricordino almeno i «sovrumani silenzi, e profondissima quiete» de L’infinito, one La vita solitaria cit. più avanti il memorabile v. 33 «Tien quelle rive altissima quiete».62 Che naturalmente conoscono un canonico impiego figurato al ‘tacere’ della natu-ra, come nella quartina iniziale del sonetto CXIII di Rvf (e del Libro VIII dei Madrigalidel «divino Claudio»): «Or che ’l cielo e la terra e ’l vento tace, | E le fere e gli augelliil sonno affrena, | Notte ’l carro stellato in giro mena, | E nel suo letto il mar senz’on-da giace»; o nell’apparentato madrigale del Tasso «ad istanza di don Carlo Gesualdo,principe di Venosa» (che però non lo mise in musica): «Tacciono i boschi e i fiumi, | e’l mar senza onda giace, | ne le spelonche i venti han tregua e pace, | e ne la nottebruna | alto silenzio fa la bianca luna; | e noi tegnamo ascose | le dolcezze amorose. |Amor non parli o spiri, | sien muti i baci e muti i miei sospiri».63. Continuità e regolarità ben presenti ad esempio nei due suoni-soglia (che, si badi,sottolineano il silenzio) di questo ulteriore passo del Gattopardo: «Giù, intorno alla villa,il silenzio luminoso era profondo, signorile all’estremo; sottolineato più che disturbatoda un lontanissimo abbaiare di Bendicò che insolentiva il cane del giardiniere in fondoall’agrumeto, e dal battere ritmico, sordo, del coltellaccio di un cuoco che sul tagliere,laggiù in cucina, tritava della carne per il pranzo non lontano. Il sole aveva assorbito laturbolenza degli uomini quanto l’asprezza della terra» (Il Gattopardo cit., p. 49).64. A rigore, una interpretazione d’assenza di suoni soglia, per quanto meno plausi-bile (visti gli articoli determinativi) è disponibile anche per il passo che si è esaminatosopra: «Era la calma, solenne; né la rompeva il monòtono continuo grillare, nè, dellacornacchia, il sinistro, rado cra cra».65. D. De Robertis, nel commento dei Canti (Oscar Studio Mondadori, Milano 1978,p. 201), parla qui di «connotazione negativa della quiete e del silenzio», nel sensoforse che essi sono rappresentati ‘in negativo’, come assenza. Per buona parte que-sta descrizione leopardiana, secondo F. Gavazzeni e M.M. Lombardi (BibliotecaUniversale Rizzoli, Milano 1998, p. 312), è comunque «minima variatio di una descri-zione tradizionale della calura».

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Si tratta rispettivamente dei tipi della ‘descrizione argomen-tata’, della ‘descrizione per alternative’, della ‘descrizionecommentata’ e della ‘descrizione analogica’. Accenneremorapidamente ai primi tre tipi (due di essi sono stati del restodiffusamente esaminati in altro lavoro69), per poi soffermar-ci in maniera più diffusa sul quarto.

3.2.1. Descrizione ‘logica’: giustificata, argomentata, ragio-nata. In questo primo tipo di complicazione «ab exteriore»chi scrive, invece di limitarsi secondo il proprio della descri-zione a giustapporre proposizioni dello stesso livello (rela-zione di Aggiunta) o più particolari o più generali (relazio-ne di Particolarizzazione o di Generalizzazione), ecc., deci-de di introdurre nella compagine descrittiva un percentovariabile di argomentazione, di ‘logica’, cercando cioè digiustificare le proprie affermazioni o di cogliere tra di esserelazioni logiche quali l’Opposizione, la Causa-Effetto, laConseguenza, ecc. Descrizioni di questo genere sono usualiin testi tecnici o comunque conoscitivi, che non si limitano adire quale e come sia il loro referente (l’oggetto descrittivo),ma vogliono indagare le ragioni di un certo modo di essere,o per lo meno dare l’impressione di una tale indagine. Diquesto genere, magari con qualche imperizia e conseguentegoffaggine nel controllo dei segnali del ragionamento, è ilparagrafo che segue, tratto da un articolo divulgativo70:

Perfettamente rettilineo, il canale di Corinto presenta una lunghez-za di 6.343 metri, una larghezza di 25 ed una profondità utile di 8,mentre le sue pareti laterali, scavate nella viva roccia, risultano alteda un minimo di 20 metri ad un massimo, nella parte centrale, di80 sul pelo dell’acqua. Da ciò deriva che il volume totale asportatoammontò all’incirca a 8,5 milioni di metri cubi, vale a dire unaquantità sufficiente a costruire tre piramidi di Cheope.

Nel primo periodo, relativamente scorrevole, alla semplicegiustapposizione di proprietà viene sostituito qui con artifi-cio retorico elementare una contrapposizione, segnalata damentre, tra insiemi di proprietà – il che ha l’effetto di orga-

Ed erba o foglia non si crolla al vento,E non onda incresparsi, e non cicalaStrider, nè batter penna augello in ramo,Nè farfalla ronzar, nè voce o motoDa presso nè da lunge odi nè vedi.

Nella seconda variante si esclude invece l’esistenza di suonio rumori diversi da quelli di soglia, ricorrendo tipicamentea costrutti o avverbi ‘esclusivo-restrittivi’: non ...che, non... senon, nient’altro che, solo, solamente, soltanto, ecc., che ad untempo nominano i suoni-soglia ed escludono quelli di supe-riore intensità o potere di disturbo. Di questo genere è unulteriore esempio dossiano (dalla Vita di Alberto Pisani sta-volta): «Né c’era in mezzo se non il rumor del selciato» o ilmanzoniano «S’udiva soltanto...» nella chiusa celebre del-l’ottavo capitolo dei Promessi sposi66.Per concludere, diamo qui sotto, senza commentarli, tre ulte-riori esempi di descrizione del silenzio: i primi due ancoradal romanzo manniano67; e il terzo dagli Egoisti di F. Tozzi68:

C’era lassù una pace solenne, a quell’ora del pomeriggio. Qualcheuccello cinguettava, e il lieve stormire degli alberi si fondeva colmormorio del mare che si stendeva in basso, solcato da una velalontana. Al riparo dal vento che li aveva storditi finora, essi perce-pivano a un tratto un silenzio che li rendeva pensosi.

C’era un silenzio profondo. Solo la pendola ticchettava, e ognitanto nella stanza attigua, che semplici portiere dividevano daquella di Tony, la signorina Jungmann si schiariva la gola.

C’era da per tutto un silenzio tranquillo; che riempiva tutta la cam-pagna fino agli orizzonti; dentro i quali sembrava addensarsi insie-me con certe nuvole bianche, che non riescivano a stare insieme e riu-nite. Il Gavinai si lasciava accarezzare da questo silenzio, sentendosiprendere dalla solitudine; e gli pareva di respirare meglio. Un astore,con le ali tese come se gliele avessero infilate a posta, per imbalsa-marlo, volteggiava su i poggetti, attorno al lago; mentre, alle siepi,volavano gli uccelli, e risentiva il frullio delle ali. Quasi ad ognipasso, su la sabbia soffice e lucente, che scottava benché sotto due filedi platani, facevano fuggire qualche lucertola. Proprio in riva al lago,ancora poco fondo, dormiva un gregge insieme con il cane; e riudivail respiro delle pecore; mentre due montoni cozzavano, per gioco. Ilgregge era sparso di buchi luminosi, dove il sole passava tra le foglie.

3.2. Complicazione ab exterioreUn secondo genere di complicazione della descrizione hainvece origine esterna, viene indotto cioè dal descrittoremediante particolari procedimenti rappresentativi –procedimenti che a differenza da quelli studiati in § 2.7 nonintroducono ordine nella compagine descrittiva, macomplessità, semmai, se non a volte disordine aggiuntivo. Cilimiteremo per semplicità solo a quattro tipi di procedimenti,quelli caratterizzati rispettivamente dal ricorso a:

i) legami logici o in generale argomentativiii) varianti di aspetti dell’oggetto descrittivoiii) astrazioni in funzione di commentoiv) escursioni analogiche.

66. «S’udiva soltanto il fiotto morto e lento frangersi sulle ghiaie del lido, il gorgoglìo piùlontano dell’acqua rotta tra le pile del ponte, e il tonfo misurato dei que’ due remi, chetagliavano la superficie azzurra del lago, uscivano a un colpo grondanti, e si rituffavano».67. Th. Mann, I Buddenbrook cit., pp. 125 e 309 rispettivamente.68. Gli egoisti, in Opere, a c. di M. Marchi, Mondadori («I Meridiani»), Milano 1987,pp. 474-75.69. Si rimanda al § 5.4 «Due modi di descrizione ‘metonimica’ ecc.» nel profilo dellaCognizione del dolore nella Letteratura italiana. Le Opere, IV/2. Il Novecento. La ricer-ca letteraria, Einaudi, Torino 1996, pp. 305-19. Una versione anteriore di questo stu-dio è disponibile in rete nel sito gaddianohttp://www.arts.ed.ac.uk/italian/gadda/index.php all’indirizzohttp://www.arts.ed.ac.uk/italian/gadda/Pages/journal/supp5archivm/emessays/manzottidescrizione.php70. G. Allegretti, Il Canale che divide in due la Grecia, in «Scienza e Vita», n. 12,dicembre 1990, pp. 67-69.

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nizzare in due blocchi una successione altrimenti indifferen-ziata, e di favorire in questo modo, appunto, la leggibilità.Viene così realizzata non la struttura ‘povera’ (i):

(i) Ods è P1 , P2 , P3 , P4ods è P ‘1 e P ‘2

(dove naturalmenteOds = «il canale di Corinto» e ods = «le suepareti laterali»; e le successive proprietà P con vari indicisono quelle predicate in vario modo dell’oggetto descrittivoo del suo sotto-oggetto: ad esempio, P1 = «perfettamente ret-tilineo», P2 = «una lunghezza di 6.343 metri», ecc.), ma lastruttura in apparenza più ricca (ii), nella quale le sei proprie-tà in gioco compaiono raccolte in due insiemi, ed entro taliinsiemi esse vengono in blocco raffrontate e contrapposte(indico con Contrapposizione la relazione espressa da mentre):

Nel periodo successivo continua lo sforzo per atteggiare logica-mente la descrizione: i dati non sono semplicemente posti, madedotti per via di ragionamento da altri dati («Da ciò derivache...»), e puntigliosamente spiegati per via di parafrasi («vale adire ») onde assicurarne la corretta comprensione. Che poi ilrisultato complessivo non sia dei più felici e per la scarsa appro-priatezza71 al contesto della formula deduttiva e per la sua inte-razione con quella esplicativa seguente è un altro discorso…

3.2.2. La descrizione ‘per alternative’. La descrizione ‘peralternative’ complica l’usuale descrizione, che in quanto taleè a rigore finita e contingente (perché coglie l’oggettodescrittivo in un suo specifico e singolare modo d’essere), inuna direzione per così dire cubista, poliprospettica, inseren-dola in un paradigma di varianti, facendone insomma piut-tosto la sommatoria di una pluralità di descrizioni, o in altritermini una tendenzialmente onnicomprensiva descrizionealla ennesima potenza. La descrizione viene dunque esegui-ta ‘per alternative’, secondo una pluralità di varianti o casi omanifestazioni tra loro complementari: essa coglie aspettidiversi del rappresentato al variare di determinate dimen-sioni e dei parametri relativi ad una dimensione. Così, perrappresentare un sentiero, invece di registrarne semplice-mente le caratteristiche in un determinato punto e istante, sipotranno come accade nel (barocco) frammento72 qui sotto:

Percorsa da pedoni radi, la strada: e talora, in discesa, da qualcheciclista di campagna con bicicletta-mulo; o risalita dal procacciaimpavido, arrancante sotto pioggia o stravento, o zoppicata non sisa in che verso da alcuni mendichi ebdomadarî, maschi e femmine,cenciose apparizioni nella gran luce del nulla. Vaporando l’autunno,vi sfringuellàvano battute di ragazzi birbi, a piè nudi ecc.,

introdurre e variare dimensioni: ad esempio ‘chi percorra ilsentiero’, o ‘le stagioni’, o punti successivi del sentiero; eparametri: ad esempio, per la dimensione del percorrere, ilmezzo di locomozione, il verso, la frequenza, il sesso deiviandanti, la loro professione o statuto sociale, e così via.A volte, la descrizione per alternative, invece di focalizzaremomenti o aspetti diversi (o suoi stages, come si usa dire insemantica) di uno stesso oggetto tende a farsi francamentedifferenziale, confrontando realizzazioni, ‘incarnazioni’, suc-cessive di tale oggetto. Così è ad esempio in un passo appa-rentemente innocente di un grande prosatore novecentesco73:

Quando il sentiero costeggiò Ardis Park, la vegetazione assunse unaspetto più meridionale. Alla curva successiva apparve la romanticamagione, adagiata su una soave altura da vecchio romanzo. Era unamagnifica casa di campagna a tre piani, costruita con mattoni chiarie pietre violacee, i cui colori e la cui sostanza sembravano produrrein certe luci effetti intercambiabili. Nonostante la varietà, l’ampiezzae il vigore dei grandi alberi che avevano da tempo sostituito i duefilari di virgulti stilizzati (proiettati lì dalla mente dell’architetto piùche nati dallo sguardo di un pittore), Van riconobbe immediatamen-teArdis Hall, così come si presentava nell’acquarello vecchio di due-cento anni appeso nello spogliatoio di suo padre: la villa sorgeva suun poggio e sovrastava un prato astratto con due figurine dal cappel-lo a bicorno e, poco distante, una mucca stilizzata 74.

I primi tre periodi introducono in modo apparentemente deltutto classico l’oggetto descrittivo, la «romantica magione»(the romantic mansion): «Alla curva successiva apparve… »;con predicazioni stereotipe, o comunque poco peregrine(«una magnifica casa di campagna a tre piani», ecc., che soloalla fine («i cui colori e la cui sostanza…») propongono unraffinato interscambio visivo tra gli effetti dei materiali dellacostruzione. Certo già il qualificativo romantica e con esso lacomparazione condensata nel sintagma «soave altura davecchio romanzo»75 possono far sorgere qualche sospetto.Ma nei successivi periodi diviene evidente che questadescrizione apparentemente anodina mette in gioco

71. Per ragioni che sono intuitive ma complicate da esplicitare con precisione.72. Tratto da C.E. Gadda, La cognizione del dolore, in Romanzi e racconti, vol. I, a c. di R.Rodondi, G. Lucchini e E. Manzotti, Garzanti («I Libri della Spiga»), Milano 1988, p. 713.73. Le cui tendenze formalistiche, ‘metatestuali’, tanto affascinavano A. Arbasino: V.Nabokov, Ada o ardore: una cronaca familiare, trad. di M. Crepax, Adelphi(«Biblioteca Adelphi», 385), Milano 2000, p. 48. La prima edizione del testo origina-le è: Ada or ardour: a family chronicle, Londra, Weidenfeld and Nicolson, 1969; ilpasso in questione vi si trova alla p. 35.74. Nell’originale: «Presently the vegetation assumed a more southern aspect as thelane skirted Ardis Park. At the next turning, the romantic mansion appeared on the gen-tle eminence of old novels. It was a splendid country house, three stories high, built ofpale brick and purplish stone, whose tints and substance seemed to interchange theireffects in certain lights. Notwithstanding the variety, amplitude and animation of greattrees that had long replaced the two regular rows of stylized saplings (thrown in by themind of the architect rather than observed by the eye of a painter) Van immediately rec-ognized Ardis Hall as depicted in the two-hundred-year-old aquarelle that hung in hisfather’s dressing room: the mansion sat on a rise overlooking an abstract meadow withtwo tiny people in cocked hats conversing not far from a stylized cow».75. La bella traduzione francese di G. Chahine «revue par l’auteur» (Ada ou l’ardeur,Fayard, Parigi 1975) esplicita qui tra virgolette il carattere citazionale del testo: «Déjàle chemin longeait le parc d’Ardis et la végétation revêtait un caractère plus méridio-nal. Au premier tournant, Van découvrit le romantique manoir, posé sur la «molle émi-nence» de nos vieux auteurs de romans» (p. 30).

(ii) Ods è P1 , P2 , P3 , P4ods è P ‘1 e P ‘2{ P1, P2, P3, P4 } Contrapposizione { P ‘1, P ‘2}

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tivi dati descrittivi (in corsivo nel passo), ridotti ad un epigra-fico ed identico ‘tacere di x’. Il discorso assume l’andamentoalternato, sinusoidale, schematizzabile come

«A | ACOMM || B | BCOMM »,coi due momenti riflessivi o commentativi ACOMM e BCOMM diestensione superiore rispetto a quelli descrittivi, e di livello digeneralità nettamente superiore. Essi introducono informazio-ne enciclopedica sui referenti, li caricano di storia e di sapere:di cultura economica, botanica, letteraria, mitologica. Si noteràalmeno che se in A i carpini che tacciono sono quelli lungo ilsentiero, inACOMM, la referenza viene estesa dal soggetto sottinte-so del nuovo periodo («È compagno...») a tutti i carpini dellaNéa Keltiké – Lombardia, e che corrispondentemente la predi-cazione diventa abitudinaria, con un presente di consuetudineo di validità atemporale (da «tacque» a «è compagno», a «lopotano», ecc.); e che la robinia è caratterizzata in BCOMM, antonimi-camente rispetto al carpino, da attributi prima negativi (tre:senza + SN e due volte ignota + SP) e poi positivi, ma semprenon puntuali, come albero nuovo, senza tradizione, diffusosinell’Ottocento a soppiantare per ragioni (secondo l’Autore)prevalentemente economiche la flora autoctona della regione.

3.2.4. La descrizione analogica. Si era detto nei primi capo-versi di § 1. che le proprietà di certi oggetti o sotto-oggettidescrittivi possono essere rapportate o comparate a quelle dialtri oggetti descrittivi. La descrizione allora non sarà piùsolo immanente, ma anche differenziale: differenziale rispet-to a qualcosa di esterno ad essa. Può accadere che le proprie-tà comparative siano tutte o in gran parte di tipo metaforico:proprietà analogiche, insomma, relative ad uno o più àmbi-ti. Esaminiamo da prima un esempio dannunziano delPiacere, isolando dal resto la descrizione dei vasi o coppe:

Le stanze andavansi empiendo a poco a poco del profumoch’esalavan ne’ vasi i fiori freschi. Le rose folte e larghe stavanoimmerse in certe coppe di cristallo che si levavan sottili da unaspecie di stelo dorato slargandosi in guisa d’un giglio adamantino,a similitudine di quelle che sorgon dietro la Vergine nel tondo diSandro Botticelli alla Galleria Borghese. Nessuna altra forma dicoppa eguaglia in eleganza tal forma: i fiori entro quella prigionediafana paion quasi spiritualizzarsi e meglio dare imagine di unareligiosa o amorosa offerta78.

un’elaborata differenzialità tra rappresentazioni e tempidiversi dello stesso oggetto. L’adolescente protagonista Van,nella messinscena narrativa, commisura il presente dellavilla che si rivela al suo sguardo ad una sua, di due secolianteriore, rappresentazione (o magari progetto, proiezionefutura dunque, di mano dell’architetto?) nell’«acquarello[…] appeso nello spogliatoio di suo padre» e fissato nellamemoria visiva di Van bambino. L’aspetto forse più sor-prendente di questa descrizione «finta semplice» è la com-presenza testuale di due descrizioni – l’una riformulazionedell’altra (v. in particolare «la romantica magione, adagiatasu una soave altura» e «la villa sorgeva su un poggio »), el’una complemento all’altra – a fondare, nella loro diversitàdi tempo e di ‘mezzo’, un unico oggetto descrittivo.

3.2.3. La descrizione commentata. Questo tipo di descrizione‘a fasce testuali disomogenee’ introduce in diversi punti dellacompagine descrittiva dei segmenti di livello superiore, seg-menti che giustificano, storicizzano, generalizzano, ecc., cheriflettono insomma sul contenuto del segmento che li precedee in una parola lo ‘commentano’. La descrizione così commen-tata è dunque continuamente mossa da escursioni, da ‘salti’tra fasce testuali di diverso livello: da un segmento descrittivoalla riflessione su di esso, e da questa di nuovo al prossimosegmento descrittivo. La descrizione appare così provvista diun controcanto che ne rallenta la velocità, e che in definitiva,sottolineando la contingenza dei dati osservati rispetto adistanze più elevate, relativizza la portata dello stesso atto deldescrivere rispetto ad una superiore istanza conoscitiva.Si prenda ad esempio in esame il frammento che segue76, sta-zione descrittiva di una più ampia unità, la promenade apiedi d’un personaggio lungo un sentiero di campagna:

Al passar della nuvola, il carpino tacque. È compagno all’olmo, e nellaNéa Keltiké lo potano senza remissione fino a crescerne altrettantipali con il turbante, lungo i sentieri e la polvere: di grezza scorza,e così denudati di ramo, han foglie misere e fruste, quasi lacere,che buttano su quei nodi d’in cima. La robinia tacque, senza nobiltàdi carme, ignota al fuggitivo pavore delle Driadi, come alla fistoladell’antico bicorne: radice utilitaria e propagativa dedotta in quel-la campagna dell’Australasia e subito fronzuta e pungente allatutela dei broli, al sostegno delle ripe.

Quella raffigurata è una vicenda di suono e silenzio in sincro-nia (effetto vs causa) ad un’alternanza di luce ed ombra77: pun-tualmente, in particolare (v. il perfettivo tacque), il farsid’improvviso muta della campagna nell’istante in cui le cica-le, «al passar» di una nuvola che intercetta il sole, d’un tratto,tacciono – o meglio tacciono metonimicamente gli alberi su cuile cicale sono posate.A tacere sono, tra tutti, due (tipi d’)alberi:il carpino e la robinia (è il singolare ‘di tipo’), che per l’Autoresono di forte e contrapposta carica simbolica, e sui quali evi-dentemente egli ha molto da dire, di positivo e di negativo.Questi commenti autoriali, altrettanto se non più rilevantidelle azioni, degli eventi e della descrizione stessa perl’economia della narrazione, si inseriscono a divaricare i rela-

76. C.E. Gadda, La cognizione del dolore cit., p. 608.77. È uno schema percettivo ricorrente nell’Autore, già presente ad esempio, anchese in maniera implicita, in Villa in Brianza: «Nuvole strane trasvolavano nel torridocielo, da Bergamo sopra l’Albenza, da Lecco, bel nome lombardo, come ancheMenaggio e Chiavenna. I cumuli enormi si morulavano, come a simboleggiare futuretempeste. La cicala immensa, a tratti, taceva e più lontane e remote cicale dicevanomalinconiose desolazioni della terra, popolata di brianzoli» (Villa in Brianza cit., pp. 28-29; il «bel nome lombardo» di questa onomastica goliardica rimanda al Carducci delleOdi Barbare, Per la morte di Napoleone Eugenio, v. 33: «Ivi Letizia bel nome italico»).78. In Prose di romanzi, vol. I, a c. di A. Andreoli, Mondadori («I Meridiani»), Milano, pp. 5-6.

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Le coppe di cristallo, singolarizzate dal determinante certe –saranno coppe d’un genere eletto, certo non comuni coppequotidiane – si ‘levano’ (un caratteristico verbo descrittivo…)su un gambo-stelo assimilato a quello d’un fiore, ma ancorareferenzialmente dorato, e del resto l’approssimazione «unaspecie di» avverte che si è ancora in ambito di predicazioniproprie. Ma subito, quando si viene alla parte superiore dellecoppe, al loro ‘calice’, non rimane più traccia di predicazioniproprie: in loro luogo ecco invece una coppia, superordinatauna all’altra, di predicazioni analogiche: «in guisa di...» e «asomiglianza di», la seconda più estesa e inglobante dellaprima. La materia predicativa, oltretutto, è resa ancora piùsfuggente dal fatto di essere ibrida: il calice si allarga come ungiglio, sì, ma come un giglio estremamente poco naturale – ungiglio con le proprietà del cristallo o del diamante: adamantino,cioè puro, splendente, incorruttibile. Segue un periodo di com-mento, che (oltre ad iperbolizzare, comparativamente ad ognialtra coppa, l’eccellenza delle attuali) prosegue l’operazioneanalogica di confusione delle sostanze: in coppe-giglio di talesorta i fiori non sono più corruttibili sostanze vegetali, ma pla-tonica incorruttibile idea di fiori. Descrizione straordinaria-mente e totalmente analogica, dunque, nella quale quel cheimporta è l’esser altro dalla propria materialità.Meno preziose, ma altrettanto se non più perigliose, sono leescursioni analogiche del Bove di Myricae, in cui Pascoli riva-leggia con l’omonimo neoclassico sonetto carducciano«T’amo, o pio bove…», un testo questo d’ampio giro, solida-

mente strutturato, dopo il vocativo iniziale, da alternative («Oche solenne come un monumento» vs «O che al gioco inchi-nandoti contento») ed opposizioni («Ei t’esorta e ti punge» vs«tu co ’l lento | Giro de’ pazïenti occhi rispondi») sino al riflet-tersi, nella terzina finale, del verde del piano nel glauco del-l’occhio. L’‘imitazione’ pascoliana, che proprio da questorispecchiamento sembra muoversi, è invece all’insegna d’untotale simbolismo, accompagnato da una spinta frantumazio-ne intonativa (v. per questa in particolare il v. 13: «cala, altissi-me: crescono già, nere,»), anche se nonmancano allusioni clas-siche (la scontata virgiliana degli ultimi due versi) e lucidichiasmi strutturanti nei rapporti tra immagine e trasposizionedell’immagine (v. ad esempio «un gregge […] e par la man-dria» di contro a «tacite chimere, | simili a nubi»). Ma si legga:

All’iniziale verbo d’azione percettiva (guarda) preceduto dadoppio avverbiale di luogo (destinazione e origine dello sguar-do) e accompagnato da un qualificativo omerico («dai grandiocchi») seguono con andamento generale-specifico-generale (ilpiano, alberi e animali nel piano, il cielo con uccelli e nubi,l’orizzonte col tramonto del sole e le ombre «grandi di un piùgrande mondo») le predicazioni in un sottile gioco di alternan-ze tra realtà e visione dell’animale, tra ciò che sappiamo esserela realtà e ciò che appare all’occhio del bove. Da prima la visio-ne (il «ceruleo fiume» – ma la realtà del «rio sottile» era stataanticipata nel primo verso), poi il processo della trasformazio-ne («ingigantisce agli occhi suoi»); quindi la realtà comparataalla visione («svaria su l’erbe un gregge ... e par la mandra»); lasola visione (con la mirabile astrazione percettivo-fonica di«Ampie Ali Aprono imAgini grifAgne...».): a rigore, naturalmen-te, sono “falchi in volo”; la visione comparata alla realtà («taci-te chimere, | simili a nubi»), e infine, con tutto il suo peso, dinuovo da sola, due volte la visione: il calare dell’immenso sole eil crescere delle «ombre più grandi d’un più grandemondo» – larealtà rimanendo implicita nel grado dell’aggettivo immenso enel grado del comparativo più grande.

Emilio Manzotti - Università di [email protected]

Apparato iconografico e didascalie a cura di Sara Lonati

AA.VV., Il paradosso descrittivo. Atti del V convegno italiano di studi scandina-vi, «Annali dell’Istituto Universitario Orientale, Napoli » 23 (1980)J.M. Adam, La description, PUF («Que sais-je ?», n. 2783), Paris 1993A.W. Halsall, W. Albert, Beschreibung, in: Historisches Wörterbuch derRhetorik, a cura di G. Ueding, vol. I: A–Bib, Niemeyer, Tübingen 1992,pp. 1495-510Ph. Hamon, Introduction à l’analyse du descriptif, Hachette, Paris 1981; Ladescription littéraire. Anthologie de textes théoriques et critiques, Macula,Paris 1991; Du descriptif, Hachette, Paris 1993E. Lobsien, Landschaft in Texten. Zu Geschichte und Phänomenologie derliterarischen Beschreibung, Stuttgart 1981E. Manzotti, «Ho dimenticato qualche cosa?»: una guida al descrivere, inInsegnare stanca. Esercizi e proposte per l’insegnamento dell’italiano, a cura diP.M. Bertinetto e C. Ossola, il Mulino, Bologna 1982, pp. 119-180P.V. Mengaldo, Descrizioni, cap. XIV di ID., Prima lezione di stilistica,Laterza, Roma-Bari 2001, pp. 133-40P. Pellini, La descrizione, Laterza, Roma-Bari 1998W. Raible, Literatur und Natur. Beobachtungen zur literarischen Landschaft,«Poetica» 11 (1979), pp. 105-23M. Riffaterre, Descriptive Imagery, in: Towards a Theory of Description,«Yale French Studies» 61, (1981), pp. 107-125F.K. Stanzel, Perspektive und die Darstellung des Raumes, in ID., Theorie desErzählens, UTB, Monaco 1979, pp. 152-61M. Sternberg, Ordering the Unordered: Time, Space, and DescriptiveCoherence, in: Towards a Theory of Description, «Yale French Studies» 61,(1981), pp. 60-88

BIBLIOGRAFIA minima

IL BOVEAl rio sottile, di tra vaghe brumeguarda il bove, coi grandi occhi: nel pianoche fugge, a un mare sempre più lontanomigrano l’acque d’un ceruleo fiume;

ingigantisce agli occhi suoi, nel lumepulverulento, il salice e l’ontano;svaria su l’erbe un gregge a mano a mano,e par la mandria dell’antico nume:

ampie ali aprono imagini grifagnenell’aria; vanno tacite chimere,simili a nubi, per il ciel profondo;

il sole immenso, dietro le montagnecala, altissime: crescono già, nere,l’ombre più grandi d’un più grande mondo.