La culla degli 8000 · la prima notte di rientro in hotel, riscoprendo alcune comodità, come un...

3
Avventure nel mondo 2 | 2017 - 143 Trekking Santuario Annapurna Gruppo Silva Scagnetto Testo di Gianni Sbaragli Foto di Sergio Ragazzini [Siena, 17 Gennaio 2017]. Dalla polvere dei sentieri in terra battuta, dall’odore della pioggia allo scricchiolio della neve ghiacciata sotto gli scarponi, vi presentiamo Santuario Annapurna Trek. Un gruppo eterogeneo, formato da esperti frequentatori della montagna e da promettenti avventori, pian piano si è fatto sempre più affiatato al progredire delle difficoltà e della voglia di raggiungere il comune obiettivo. Dopo diverse ore di volo i mattoncini arancioni dell’aeroporto internazionale di Katmandu ci danno il benvenuto in terra nepalese. Subito proiettati nei rumori di una città caotica ancora segnata dal recente terremoto, siamo scaraventati in una realtà tanto impressionante quanto travolgente: i clacson dei motorini e la polvere delle strade si contrappongono al suono dei campanelli votivi e al profumo degli incensi che ci accompagnano fino al nostro alloggio. La notte passa veloce e già siamo sulla pista di decollo con il nostro turbo elica con rotta Pokara. Conosciamo i nostri portatori che ci accompagneranno per tutta la durata del Trek. L’entusiasmo fa nascere sui nostri volti dei sorrisi spontanei, preludio di una grande esperienza. L’emozione di calcare le prime orme dei nostri scarponi sulla pista terrosa in direzione di Tkhe Dhunga è forte. Ci distribuiamo lungo il percorso in modo confuso ma alla soglia del cartello “Welcome into Annapurna conservation Park” ci troviamo tutti lì, entusiasti di iniziare il nostro viaggio. Piccoli appezzamenti coltivati a ortaggi ci regalano i primi incontri con i volti segnati dalla fatica e dalla durezza di questa terra ma con lo splendore dei loro sorrisi che solo una vita fatta di semplicità può regalare. Lasciamo Tkhe Dhunga dopo un notte piuttosto fresca e muoviamo in direzione Ghorepani attraversando il primo ponte sospeso. Lunghe scalinate, Leitmotiv di tutto il nostro viaggio, coperte dalle lussureggianti fronde degli alberi di rododendri saranno lo sfondo principale fin quasi alle ultime tappe prima del Campo Base Annapurna. Il suono di piccole cascate rompe il rumore dei nostri passi talvolta pesanti sul profilo irregolare delle pietre a causa del dislivello che stiamo affrontando. Attraversiamo l’arco riportante le indicazioni di località e altezza provando la percezione del primo traguardo conquistato. Scene di vita rurale, come carovane di muli e donne chine a raccogliere nei propri appezzamenti, inizialmente ci stupiscono, poi diventeranno lo scenario che molte volte incontreremo lungo il percorso. Giungiamo a Ghorepani. Qui possiamo godere dalla prima vista alle amate montagne. Il mattino successivo siamo già in cammino: la direzione è Poon Hill. Le stelle ancora la fanno da padrone mentre le lampade frontali illuminano il percorso. Il sole, alle nostre spalle, lentamente si svela regalandoci un’emozione immensa. I monti circostanti, prima ammassi color grigio coronati da un tappeto di La culla degli 8000 RACCONTI DI VIAGGIO | Nepal Trek www.viaggiavventurenelmondo.it/viaggi/7580

Transcript of La culla degli 8000 · la prima notte di rientro in hotel, riscoprendo alcune comodità, come un...

Page 1: La culla degli 8000 · la prima notte di rientro in hotel, riscoprendo alcune comodità, come un piatto caldo al ristorante e una doccia. La prima notte su un durissimo letto in hotel

Avventure nel mondo 2 | 2017 - 143

RACCONTI DI VIAGGIO | Iran

Trekking Santuario Annapurna Gruppo Silva Scagnetto

Testo di Gianni Sbaragli Foto di Sergio Ragazzini

[Siena, 17 Gennaio 2017]. Dalla polvere dei sentieri in terra battuta, dall’odore della pioggia allo scricchiolio della neve ghiacciata sotto gli scarponi, vi presentiamo Santuario Annapurna Trek. Un gruppo eterogeneo, formato da esperti frequentatori della montagna e da promettenti avventori, pian piano si è fatto sempre più affiatato al progredire delle difficoltà e della voglia di raggiungere il comune obiettivo. Dopo diverse ore di volo i mattoncini arancioni dell’aeroporto internazionale di Katmandu ci danno il benvenuto in terra nepalese. Subito proiettati nei rumori di una città caotica ancora segnata dal recente terremoto, siamo scaraventati in una realtà tanto impressionante quanto travolgente: i clacson dei motorini e la polvere delle strade si contrappongono al suono dei campanelli votivi e al profumo degli incensi che ci accompagnano fino al nostro alloggio. La notte passa veloce e già siamo sulla pista di decollo con il nostro turbo elica con

rotta Pokara. Conosciamo i nostri portatori che ci accompagneranno per tutta la durata del Trek. L’entusiasmo fa nascere sui nostri volti dei sorrisi spontanei, preludio di una grande esperienza. L’emozione di calcare le prime orme dei nostri scarponi sulla pista terrosa in direzione di Tkhe Dhunga è forte. Ci distribuiamo lungo il percorso in modo confuso ma alla soglia del cartello “Welcome into Annapurna conservation Park” ci troviamo tutti lì, entusiasti di iniziare il nostro viaggio. Piccoli appezzamenti coltivati a ortaggi ci regalano i primi incontri con i volti segnati dalla fatica e dalla durezza di questa terra ma con lo splendore dei loro sorrisi che solo una vita fatta di semplicità può regalare. Lasciamo Tkhe Dhunga dopo un notte piuttosto fresca e muoviamo in direzione Ghorepani attraversando il primo ponte sospeso. Lunghe scalinate, Leitmotiv di tutto il nostro viaggio, coperte dalle lussureggianti fronde degli alberi di rododendri saranno lo sfondo principale

fin quasi alle ultime tappe prima del Campo Base Annapurna. Il suono di piccole cascate rompe il rumore dei nostri passi talvolta pesanti sul profilo irregolare delle pietre a causa del dislivello che stiamo affrontando. Attraversiamo l’arco riportante le indicazioni di località e altezza provando la percezione del primo traguardo conquistato. Scene di vita rurale, come carovane di muli e donne chine a raccogliere nei propri appezzamenti, inizialmente ci stupiscono, poi diventeranno lo scenario che molte volte incontreremo lungo il percorso. Giungiamo a Ghorepani. Qui possiamo godere dalla prima vista alle amate montagne. Il mattino successivo siamo già in cammino: la direzione è Poon Hill. Le stelle ancora la fanno da padrone mentre le lampade frontali illuminano il percorso. Il sole, alle nostre spalle, lentamente si svela regalandoci un’emozione immensa. I monti circostanti, prima ammassi color grigio coronati da un tappeto di

La culla degli 8000

RACCONTI DI VIAGGIO | Nepal Trekwww.viaggiavventurenelmondo.it/viaggi/7580

Page 2: La culla degli 8000 · la prima notte di rientro in hotel, riscoprendo alcune comodità, come un piatto caldo al ristorante e una doccia. La prima notte su un durissimo letto in hotel

144 - Avventure nel mondo 2 | 2017

luminose stelle, si palesano davanti ai nostri occhi come magnificenze dai colori cangianti. Dal rosa al rosso al dorato appaiono i ghiacciai perenni oltre gli 8000 metri e in silenzio, contrariamente alle altre persone che ci circondano, contempliamo lo spettacolo che la natura ci regala. Facciamo ritorno al nostro lodge dove una volta consumata una ricca colazione ci incamminiamo in favore di Tadapani . La traccia è molto polverosa, costituita da ripide salite e discese con radici esposte. Raggiungiamo la sommità a quasi 3000 metri dove le tibetan flags creano l’occasione per scatti suggestivi. Affrontiamo altalenanti saliscendi con lo sguardo sempre fisso là, verso le tanto attese montagne. La notte in un lodge di recente costruzione trascorre veloce tra una partita a carte e qualche racconto di montagna. Il sole è ancora radente quando allacciamo gli scarponi e chiudiamo i nostri sacchi a pelo. La luce fievole si propaga nella valle e iniziamo il nostro cammino. Scendiamo lungo il crinale della valle attraversando alcuni ponti sospesi di recente fattura. La zona rurale ci regala scorci mozzafiato e di tanto in tanto veniamo colpiti dagli splendidi volti dei bambini che incontriamo lungo il percorso. Siamo motivo di curiosità ma non cediamo alla tentazione di regalare loro caramelle e cioccolate. Ammassi nuvolosi densamente strutturati si accalcano sopra le cime più alte quando riprendiamo il cammino. Quella che sembrava una minaccia di pioggia si trasforma presto in una conferma. Vediamo colti da un potente acquazzone ancora a più di un ora di cammino dal nostro lodge. La strada si fa impervia e l’avventura vera. La pioggia che cade sulle nostre spalle presto si trasforma in neve. La percezione che la quota neve si stia velocemente abbassando si ha quando, una volta al coperto nella sala comune del lodge, scorgiamo fuori dalle finestre una sfumatura bianca sugli alberi sovrastanti. Festeggiamo l’ultimo giorno dell’anno con un po’ di fatica sulle spalle ma coscienti del fatto che avremmo la possibilità di assistere ad uno spettacolo invernale idilliaco. Inauguriamo il nuovo anno nuovamente in cammino. Il cielo a tratti azzurro diventa all’aumentare della quota sempre più plumbeo. È neve. Si deposita su tutte le superfici prima “gragnola”, sintomatica di perturbazioni incombenti, poi nella sua forma più elegante ad ampi fiocchi. Tutto si fa bianco, la meraviglia nei nostri occhi per lo spettacolo che ci attenderà il giorno successivo. Deurali sembra la scenografia di un film epico, tra cime innevate e stalattiti di ghiaccio che si formano sui gocciolatoi. La notte è fredda ma i cuori si scaldano al pensiero che domani saliremo al Campo Base. Il freddo della notte e il brutto tempo del giorno precedente sono solo un ricordo, una timida e serena alba accoglie il giorno. L’aria è tagliente, ma la consapevolezza che

raggiungeremo il Campo Base ci rende eccitati. Il fiatone lentamente si placa, abituandoci all’aumento di quota. La maestosità delle cime che ci circondano ci fa sentire microscopici al cospetto di cotanta meraviglia. I passi sono lenti, ponderati, rispettosi della sacralità della valle che stiamo attraversando. Ognuno, con il proprio passo, in silenzio, solo con il suono del battito del proprio cuore nelle orecchie si avvicina alla meta finale. La valle è in ombra, la temperatura sufficientemente bassa da congelare il vapore del respiro sui baffi. Da là vediamo le vette dorate, illuminate dal Sole. All’aumentare della quota il cuore batte forte, per la diminuzione di ossigeno ma soprattutto per l’emozione di essere lì a più di 4000 mt. In lontananza si vedono i tetti blu del campo base e un’ultima rampa di scale innevata ci separa dalla meta. Ci siamo... siamo sulle pietre innevate del Campo Base. I monti sono i veri protagonisti. Lasciamo frettolosamente i bagagli nei lodges, velocemente raggiungiamo le bandiere tibetane e il monumento dedicato a Anatolij Bukreev. Una valle circondata dai maestosi 8000 ci toglie il fiato. Il blu intenso del cielo lentamente però si offusca. Una nebbia piano piano ci avvolge e ci costringe a rientrare a causa del repentino abbassamento di temperatura. Passiamo la serata nel lodge tra una partita a carte e un libro, con il riscaldamento di un rudimentale fornelletto a gas. La notte gelida e la stanchezza ci costringono nei nostri sacchipiuma e ci addormentiamo con il calore nei nostri cuori. La notte è si gelida, ma vedere le stelle da qui è un’emozione unica: si presentano come una scia luminosa e polverosa. Di prima mattina i bagagli sono fuori dalla porta dei lodges. L’aria tagliente e sottile fa da preludio alla lunga discesa che ci aspetta. La neve spolvera sotto i nostri scarponi e un passo rapido ci fa calare velocemente di quota. Le

rocce ghiacciate diventano talvolta insidiose, poche parole scambiate con il gruppo di Avventure che ci segue a distanza di un giorno sono fatali per la nostra capogruppo Silva. Un appoggio la tradisce e un forte colpo le provoca, lo sapremo solo al rientro in Italia, una frattura composta a Radio e Ulna del braccio destro. Con una rapida medicazione improvvisata riprendiamo il cammino

verso Sinawa. Una leggera neve ci accompagna fin dentro le foreste di rododendri dove trovano riparo delle agitate scimmie, che scappano via non appena ci sentono arrivare. La neve diventa un ricordo, ormai trasformatasi in una leggera, quasi impercettibile pioggia. Camminiamo sui nostri passi fino al lodge, dove ci attende un meritato riposo. È l’alba quando un modesto sole sale dalla valle con il coro di piccoli uccelli che lentamente si stanno svegliando. La padrona del lodge, dai lunghi capelli neri, è china a spazzare la tanta polvere che si accumula mentre noi aspettiamo la colazione. Tra una parola e l’altra

discendiamo un breve tracciato e saliamo le lunghe scalinate che ci portano a Jhinnu, dove le piscine di acqua calda ci danno un meritato momento di relax che condividiamo con i nostri portatori.

Discendiamo la valle che lentamente si apre davanti a noi. I rododendri lasciano il posto ai terrazzamenti, abilmente ricavati dai contadini. Compaiono i primi allevamenti di vitelli con piccoli pollai, le capanne si aggregano in piccoli paeselli. Attraversiamo la valle su un antico ponte tibetano lasciandoci alle spalle una grande perturbazione. La valle è costellata da banani e vegetali di cui noi europei non abbiamo mai sentito parlare. Raggiungiamo Landruk sotto uno splendido sole. Il paese è vivo, gli adulti giocano a Ludo mentre i bambini inseguono cerchi di ferro con un piccolo bastoncino. Gli abitanti ci notano: con i nostri vestiti, le scarpe buone e i lineamenti fuori dal comune diventiamo motivo di curiosità generale. Scende la sera sui tetti di lamiera e la sorpresa di non avere la corrente elettrica ci fa riunire nel nostro lodge avvolti nella calda e tremolante luce delle candele. Un risveglio d’altri tempi, con i galli che tentano i primi canti al sorgere del sole. L’aria è fredda e lasciandoci alle spalle l’Annapurna Sud e Hyun Chuli, illuminati prima in rosa poi di un dorato intenso, ci incamminiamo in una traccia carrozzabile. Ormai i segni della civiltà sono sempre più presenti. Due lunghissime scalinate una a salire e l’altra a scendere ci conducono al nostro ristoro. Da lì, evitato un brutto temporale, iniziamo la lunga discesa verso Phedi. I suoni della civiltà si fanno sempre più insistenti: i profumi della foresta lasciano il posto all’odore di gasolio e il suono delle cascate

RACCONTI DI VIAGGIO | Nepal Trek

Page 3: La culla degli 8000 · la prima notte di rientro in hotel, riscoprendo alcune comodità, come un piatto caldo al ristorante e una doccia. La prima notte su un durissimo letto in hotel

Avventure nel mondo 2 | 2017 - 145

al rumore dei clacson. Gli ultimi gradoni vengono percorsi e la sagoma del bus che ci attende ormai è diventata una triste realtà di fine Trek. La civiltà sembra spiazzarci e timidi attraversiamo la strada per salire sul bus. Rumorosamente ci dirigiamo verso Pokara; ormai i suoni, la polvere e gli odori urbani la fanno da padrone. Il caos ed il degrado cittadino sono la cornice del nostro ritorno. Passiamo la prima notte di rientro in hotel, riscoprendo alcune comodità, come un piatto caldo al ristorante e una doccia. La prima notte su un durissimo letto in hotel è passata. La voglia di casa inizia a farsi sentire ma la consapevolezza che stiamo effettivamente rientrando lascia uno strascico di nostalgia. La vista dei monti dell’Annapurna riscalda i nostri cuori e ci emoziona nuovamente. Inizia così il lungo trasferimento in bus verso la capitale attraverso la valle di Katmandu. La polvere sale dalle strade e si mischia all’odore dei fuochi accesi qua e là, il cui sapore acre ci brucia in gola. I cavi elettrici, come il traffico, sono caotici e si intersecano in mille linee di trambusto dinamico e in qualche modo funzionale. Le rigogliose vallate incontaminate che abbiamo incrociato lasciano il posto a valli violate con profonde cicatrici, testimonianza di uno sfruttamento sconsiderato. Siti produttivi di materiali edili si intrecciano a fatiscenti baracche, tutto immerso nello smog e nella polvere dove quotidianamente i bambini aspettano l’autobus per andare a scuola. Dopo due ore di viaggio da Pokara, la valle industriale lascia il passo alla vegetazione quasi pluviale, e compaiono di nuovo piccoli appezzamenti coltivati a riso o ad orto tipiche della sussistenza. La strada è stretta e a malapena possiamo scambiarci con gli altri veicoli. Le persone nei piccoli villaggi svolgono alcuni lavoretti quotidiani, nessuno sembra affannarsi, anzi molti sembrano comparse immobili facenti parti di una scenografia di altri tempi. Il traffico si intensifica in quella che i locali definiscono una high-way: moto, macchine, motorini e mezzi improvvisati di ogni genere rendono la marcia irregolare e difficoltosa; un tratto di strada molto pericoloso, visto il gran numero di incidenti tra mezzi pesanti che troviamo

lungo il percorso. Il trasferimento sembra non avere mai fine. Gli autisti spericolati procedono a suon di manovre azzardate diventando essi stessi motivo di rallentamento. Entriamo finalmente a Katmandu. Qui tutto è polvere, ogni cosa è ricoperta dalla fitta coltre che ci ostacola persino la vista del sole. Le narici si chiudono e la gola brucia mentre il traffico sempre più si congestiona. I cittadini si coprono il volto con le mascherine o chi ne è sprovvisto con le proprie mani. Il pomeriggio vola via tra i mille negozietti. Decidiamo dopo un abbondante “pasto premio” di percorrere le vie del centro. Qui i colpi inflitti dal terremoto si palesano con tutta la loro triste realtà. Templi sorretti da pali di supporto, cumuli di macerie prima luoghi di culto adesso fungono da provvisorio riparo per cani randagi e senzatetto. L’atmosfera è spettrale, la polvere e i fari dei pochi motorini ancora in giro trasformano le vie nel palcoscenico di un teatro di ombre cinesi. Con un po’ di rammarico ci ritiriamo nelle nostre stanze. Prima di congedarci dal Nepal decidiamo di visitare i monumenti più suggestivi della capitale. Facciamo rotta vero il tempio induista di Pashupatinath dove assistiamo ai quotidiani rituali di cremazione. L’odore acre delle pire accese fa da sfondo al racconto della nostra guida. Riti che sembrano fuori dal tempo, testimoni di un cambiamento che procede a due velocità diverse. Percepiamo anche noi la sacralità del momento coscienti delle contraddizioni ma rispettosi delle usanze. L’odore acre della pira in fiamme con il corpo adagiato coperto del telo funebre color arancio si diffonde nell’aria. Il forte simbolismo si ritrova tutto nella cerimonia e in tutti i suoi altri aspetti, tuttavia si evidenziano i forti contrasti come gli abiti tradizionali dei parenti e le foto fatte dai cellulari. I simboli delle reincarnazioni come i cani e le scimmie impazzano nei templi. Lo sporco dei templi induisti è generato dall’incapacità di distinguere quali di essi sono rifiuti o offerte. Lasciamo il tempio sacro agli induisti per raggiungere Buddhanath Stupa. Lo scintillio dell’oro della torre spicca su tutto e i mantra recitati dei monaci fanno da colonna sonora alla nostra visita. Monaci e turisti che

percorrono assieme in senso orario il percorso sotto lo Stupa toccando e girando le ruote di preghiera. Le cerimonie si susseguono quando decidiamo di

muovere in favore dell’ultimo tempio detto “Delle Scimmie”. Gli spostamenti sono lenti a causa di un traffico in totalmente privo di regole. Il tempio è simile agli altri ma ci regala una vista mozzafiato sulla valle di Katmandu. Un pomeriggio passato tra le vie del Tamel tra acquisti e ultimi sguardi curiosi per concederci la nostra ultima cena a base di Nepali food. Il locale è tipico, con un’originale caminetto circolare al centro. Ci concediamo una ricca cena a base di cibi locali e una pasticceria ci regala un dolce finale. È ancora buio quando suonano le nostre sveglie. Apriamo gli occhi e constatiamo che il nostro viaggio sta davvero terminando. La città ancora dorme quando, terminata la colazione, i bagagli sono già sul tetto del furgone che ci condurrà all’aeroporto. Numerosi controlli ci separano dal nostro aereo, ma finalmente riusciamo a salire. Raggiunta la quota di volo dagli oblò vediamo spuntare le imponenti vette e diamo un ultimo saluto alle nostre montagne con la consapevolezza che si tratterà solo di un arrivederci. Il viaggio che abbiamo affrontato è stato, senza dubbio e a giudizio di tutti, una grande esperienza. Abbiamo avuto la possibilità di entrare nel cuore rurale e non di una nazione che fa del sorriso la propria bandiera. Abbiamo incontrato, sul nostro cammino, uomini, donne e bambini che nonostante la dura vita non si sottraggono mai a un Namasté oppure a un sorriso, nonostante la loro schiena sia piegata da un pesante carico. Innamorarsi di questo luogo è fin troppo facile e il ricordo che conserveremo sarà sempre presente dentro di noi.

RACCONTI DI VIAGGIO | Nepal Trek