La costruzione del consenso nell’era · modelli organizzativi e rappresentativi dei partiti...

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ANNO 2 - 2017 - ISSN 2499 dei populismi La costruzione del consenso nell’era N. 1 - ANNO 2 - 2017 - ISSN 2499-1775 - CULTURA DEMOCRATICA

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dei populismi

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EditorialiEditoriale

Federico Castorina

Editoriale

Guido Scarlata

ComunicazioneIl racconto dello scontento: il ruolo della comunicazione politica

Carol Verde

I Big Data tra populismo e riformismo

Tommaso Giacchetti

La partecipazione politica nelle piattaforme di democrazia liquida: LiquidFeedback e Rousseau

Guido d’Ippolito

Affari costituzionaliEditoriale

Simone Neri

L'attuazione dell'art. 49 della Costituzione: disciplina giuridica e trasparenza dei partiti politici

Michele Ricciardo Calderaro

Populismo e democrazia digitale. La legge elettorale può difenderci

Mattia Morani

I partiti politici in Italia: normativa vigente e prospettive

Alberto Giusti

Leggi elettorali in tempo di crisi

Salvatore Borghese

Finanziamento della politicaEditoriale

Luca Tritto

Il Finanziamento dei partiti politici: dal pubblico al privato

Chiara Hassemer

Profili fiscali del finanziamento dei partiti politici in Italia

Andrea Di Gialluca

Il finanziamento della politica negli Stati Uniti d’America: l’evoluzione della disciplina

Beatrice Russo

La giurisprudenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America sul finanziamento della politica

Francesco Angelone

Fondazioni e associazioni politiche: la necessità di trasparenza nei Think Tanks italiani

Luca Tritto

Giovani e Politica1° report della Fondazione Cultura Democratica sulla partecipazione politica degli under 35 Italiani

SommarioNumero 1 - anno 2017

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Innovazione&Riforme è la rivista scientifica del think tank Cultura Democratica

Direttore: Guido ScarlataDirettore della rivista "Innovazione&Riforme"

Vicedirettori: Simona SardelliDottoranda in Istituzioni, Mercati, Diritti e Tutele presso l'Università di Bologna

Luca TrittoDottore in Relazioni internazionali presso la LUISS Guido Carli

Editorialista: Federico CastorinaPresidente della Fondazione Cultura Democratica

Diritto pubblico: Simone NeriDottore in Scienze di governo e della comunicazione pubblica presso la LUISS Guido Carli

Diritto amministrativo: Michele Ricciardo CalderaroDottorando di ricerca in Business and law presso l'Università degli Studi di Brescia

Lavoro e Welfare: Stefano D'AuriaDottore in Giurisprudenza presso la LUISS Guido Carli

Beatrice RussoDottoranda di ricerca in Diritto comparato e processi di integrazione presso la Seconda Università degli Studi di Napoli

Giustizia civile: Mattia MoraniDottorando di ricerca in Diritto e Impresa presso la LUISS Guido

Sicurezza e Difesa: Massimo RavennaDefense & Cyber Operations Senior Analyst

Carmine AmericaSecurity Manager, Leonardo-Finmeccanica

Trasporti: Tommaso GiacchettiDottorando di ricerca ingegneria dei trasporti presso l’Università degli studi di Roma Tre

Saveria Olga Murielle BoulangerDottoranda di ricerca in Architettura e tecnologia presso l'Università di Bologna

Innovazione Digitale: Guido D'IppolitoDottore in Giurisprudenza presso la LUISS Guido Carli

Unione Europea: Shady AlizadehDottoressa in Giurisprudenza presso la LUISS Guido Carli

Relazioni Internazionali: Giacomo PistelliDottore in Relazioni internazionali presso la LUISS Guido Carli

RedazioneNumero 1 - anno 2017

Editoriale

In questi giorni la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati ha iniziato il dibattito sulla legge elettorale con la quale sarà votato il Parlamento della prossima Legislatura. Un confronto che si preannuncia estremamente complesso trovando come ineludibile baricentro le esigenze più volte sottolineate dal Presidente della Repubblica di armonizzazione dei sistemi elettorali di Camera e Senato a seguito degli interventi della Corte Costituzionale.Da un lato, dunque, troviamo in Parlamento un serrato dibattito sulle regole elettorali, con l’obiettivo di coniugare rappresentanza e governabilità

alla ricerca di un accordo su soglie di sbarramento, premi e collegi tra le diverse forze politiche, spesso guidate nella trattativa da esigenze, strategie e obiettivi fortemente divergenti.Nei partiti, invece, specialmente nella maggioranza di governo, è presente un confronto parallelo, tutto interno, sugli strumenti da utilizzare per vincere la sfida del consenso e proseguire il percorso di riforme iniziato, non senza difficoltà, nel corso della Legislatura. La vittoria di Macron in Francia sembra segnare la possibilità di una nuova stagione dell’integrazione europea, seppure a due velocità, come prima risposta alla ferita della Brexit. Il contributo del nuovo numero della nostra rivista si concentrerà pertanto sulle principali sfide a cui sono chiamati i partiti riformisti per ricostruire un rapporto positivo con l’elettorato e poter ambire ad un nuovo mandato elettorale per rilanciare il percorso di riforme italiano ed europeo. Affronteremo temi strategici: dalla comunicazione politica alla partecipazione digitale, dall’utilizzo dei big data nelle

campagne elettorali ai nuovi modelli di fundraising post abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e, infine, pubblicheremo il rapporto elaborato dalla nostra Fondazione sulla principale sfida della futura competizione elettorale: il rapporto tra giovani e politica.Se il populismo avrà vita facile nell’era della post-verità, i partiti riformisti si trovano di fronte ad una delle sfide più complesse della loro storia. La vittoria di Macron in Francia ha segnato contemporaneamente la sconfitta del Partito Socialista che ha mancato l’obiettivo del ballottaggio. Le elezioni francesi insegnano che il bipolarismo esiste ed è più significativo che mai, ma è diverso da quello che abbiamo vissuto. Da una parte c’è la società aperta, il libero mercato, la tolleranza, la globalizzazione, la scienza e il progresso. Dall'altra il sovranismo, il rifiuto delle diversità e della tecnologia, i confini nazionali, il protezionismo e i muri.L’Europa è chiamata non semplicemente ad una sfida politica, quanto ad una sfida di civiltà.

Federico CastorinaPresidente Cultura Democratica

Vincere la sfida del consenso per realizzare le riforme

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La deriva populista che sta investendo molti Stati occidentali, richiede il ripensamento degli attuali modelli organizzativi e rappresentativi dei partiti democratico-riformisti, i quali evidentemente non sono stati in grado nell’ultimo decennio, di dotarsi dei giusti strumenti per rispondere al dilagante malessere socio-economico portato dalla crisi finanziaria del 2008. Il vuoto di rappresentanza così lasciato che è stato aggredito dai partiti di matrice nazional-populista, rivitalizzandone istanze e politiche per decenni rimaste ai margini del dibattito.In questo numero di I&R

cercheremo di individuare le origini delle difficoltà in cui versano i partiti democratico-riformisti in Occidente, per suggerire soluzioni e modelli alternativi rispetto agli attuali schemi organizzativi, di rappresentanza e di comunicazione nei confronti del corpo elettorale, non più in grado di rispondere alle attuali esigenze della comunità.

Riforme e sfide globaliEditoriale

Guido Scarlata

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IL RACCONTO DELLO SCONTENTO

La comunicazione politica è oggi un fenomeno pervasivo e continuo. Si tratta della cosiddetta ‘campagna permanente’, in cui le leve comunicative non vengono utilizzate solo in prossimità del voto, ma anche per mobilitare consensi a favore o contro certe proposte.In letteratura, la comunicazione politica è un processo che si svolge all’interno di uno schema relazionale tra gli attori della scena politica moderna: istituzioni politiche, mass media, cittadini. Il funzionamento e la qualità democratica di questi processi dipendono dal tipo di relazioni che si instaurano fra i tre sistemi che vi interagiscono, i quali a loro volta sono caratterizzati da dinamiche interne specifiche e mutanti nel tempo. Esistono poi diversi flussi che passano da un sistema all’altro: il sistema politico influenza il sistema dei media tramite la regolamentazione, il controllo, il news management, e il sistema media, a sua volta, può influenzare il sistema politico tramite la cosiddetta vigilanza critica - il watchdog journalism anglosassone - o, più comunemente, con la veicolazione e mediatizzazione

strumentale. In questa macro dinamica il consumatore finale è, ovviamente, il cittadino. I flussi tra cittadino e sistema politico si sviluppano lungo gli scambi delle campagne istituzionali ed elettorali propriamente detti, tramite il voto e la partecipazione al dibattito politico con forme diverse. In linea con i processi di individualizzazione tipici dell’età contemporanea, si stanno affermando forme di azione politica che si configurano come atti di responsabilizzazione del cittadino nella vita quotidiana1. I legami ideologici e le convinzioni valoriali - benché indeboliti - non sono scomparsi, ma si sono ridefiniti come relazioni che devono essere continuamente confermate, rinnovate e ricontrattate, pena un tasso di astensionismo come quello registrato negli ultimi anni.Il crescere di un elettore a bassa fedeltà e con elevate esigenze, soprattutto rispetto alla necessità di essere ascoltato e di incidere sulle scelte dei partiti e delle istituzioni, ha stimolato l’utilizzo di tecniche di segmentazione dell’elettorato sempre più

raffinate e l’applicazione di ricerche di mercato sulle domande politiche dei singoli segmenti, anche attraverso l’uso dei social media. Nasce, secondo la teorizzazione di Lees-Marshment, il c.d. prodotto-partito: orientato al mercato e guidato dall’intento di sviluppare un insieme di strutture che incontrino le necessità del proprio target.La moltiplicazione dei contenuti e dei messaggi comporta un processo di diversificazione centrifuga2 e la comunicazione non si può più interpretare secondo il paradigma classico, maturato nell’era dei mass media: la frammentazione dei mezzi e dei contenuti comporta ora anche una scomposizione del pubblico in tante unità più piccole e omogenee, che fruiscono di contenuti specifici. Il sistema dei media si è trasformato, espandendosi nei canali disponibili e nella quantità e varietà dei contenuti. Di conseguenza, la centralità dei media tradizionali si è ridotta favorendo la comparsa di nuovi spazi di comunicazione, i quali seguono regole e standard differenti, meno prevedibili e slegati dalle regole di deontologia professionale e dall’idea che i media abbiano

Carol Verde

Comunicazione

¹ Mosca, 2012² Blumler, Kavanagh, 1999

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Il ruolo della comunicazione politica

3 Mastropaolo, 2011

una responsabilità sociale verso la democrazia.

La Post-VeritàNel corso dei dibattiti sulle elezioni presidenziali U.S.A., del referendum sulla Brexit e del referendum costituzionale dello scorso 4 Dicembre in Italia è diventato di uso comune il termine post-truth, cioè “post-verità”. E’ l’espressione che l’Oxford Dictionary ha posto sul podio del 2016, definendola “relativa a circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno influenti nel formare l’opinione pubblica del ricorso alle emozioni e alle credenze personali”. La post-verità si nutre di fake news, circolanti indistintamente da uno schieramento politico all’altro con l’obiettivo di indurre a credere che la verità, nel dibattito pubblico, sia diventata un fattore irrilevante. Senza scomodare Nietzsche, secondo cui la verità non esiste ed è solo uno strumento del potere, risulta evidente come il fenomeno esista e vada arginato per evitare demistificazioni.Le campagne cosiddette “postmoderne” si svolgono in un contesto in cui, anche se il consenso verso gli ideali democratici rimane elevato, la fiducia nelle istituzioni governative, nei partiti e nei politici è in notevole calo. Tale crisi di legittimità ha favorito la diffusione di nuove forme di populismo, soprattutto come disprezzo per le élite ed esaltazione delle virtù dell’uomo comune.La media logic e l’attenzione,

spesso voyeuristica, che dedicano alla politica i professionisti della comunicazione ha sospinto i politici a scambiarsi di continuo accuse d’immoralità, inefficienza, distanza dalla gente comune, incapacità di trattare adeguatamente le questioni salienti.Secondo Alfio Mastropaolo3, la media logic ha al contempo indotto i politici a spogliarsi del proprio ruolo di autorità per fraternizzare con il cittadino comune tramite l’esibizione continua di discorsi irrituali, di linguaggio informale. Abbandonata la scena ufficiale i politici sono scesi in mezzo al pubblico, sono usciti dallo spazio sociale per recitare in strada. Al contempo, si assiste ad un eccesso di sfera pubblica e di espansione della politica, in cui sia i giornalisti sia i politici si devono confrontare con una ridefinizione di ciò che costituisce tema politico, tanto da costringerli a commentare tematiche della cultura popolare per dimostrare di essere allineati con lo spirito del tempo.

Il Contesto italiano: Il MoVimento 5 Stelle e la Lega NordL’idea dominante è che la politica ufficiale sia intrinsecamente corrotta, che i politici di professione siano personaggi spregevoli, distanti dalla gente comune e dai suoi problemi, dei privilegiati. E’ l’humus che ha permesso a Silvio Berlusconi, nel 1994, di entrare in lizza vantando i

propri meriti imprenditoriali e promettendo d’importare in politica le virtuose logiche dell’impresa privata. Ed è, ovviamente, per ricorsi storici, la situazione culturale e politica che ha permesso il nascere e lo svilupparsi del MoVimento 5 Stelle di Beppe Grillo.L’identità del M5S si costruisce lungo due dimensioni: quella negativa, di critica e rifiuto delle strutture partitiche e rappresentative, e quella positiva, relativa sia alla modalità con cui propone di organizzare il rapporto tra cittadini e istituzioni, sia alle proposte programmatiche che sostiene. Sulla scena politica il Movimento 5 Stelle si presenta da un lato come un partito nuovo, intento a intercettare le preferenze di coloro i quali si ritengono insoddisfatti dall’offerta politica attuale e del funzionamento della democrazia italiana: per questi aspetti, dunque, la costruzione della sua identità ricalca in parte quella della Lega Nord e in parte quella di Forza Italia, entrambi partiti nati in una fase di profonda crisi economica, sociale e politica e che hanno saputo intercettare e incanalare voti in uscita dalle forze partitiche che li avevano preceduti.Dall’altro lato, il M5S vuole rappresentare anche un’innovazione nelle forme e nelle modalità della democrazia, criticando quella rappresentativa e la sua principale espressione organizzativa: i partiti. Si presenta quindi come un

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4 Grandi, Vaccari, 20135 Grandi, Vaccari, 20136 Definizione riportata nella sezione Neologismi del Vocabolario Treccani

“non-partito”, caratterizzato dal rifiuto dell’intermediazione fra cittadini e istituzioni in favore di un rapporto diretto – sia fra istituzioni e cittadini, sia fra rappresentanti e rappresentati – favorito dalla rete. E’ importante ricordare infatti che l’ingresso dei ‘grillini’ in Parlamento segna un momento importante della vita politica italiana anche per un fattore comunicativo: è la prima volta che un partito riesce a diventare il più votato senza passare per i mezzi tradizionali, cioè tv, radio e stampa.Il M5S è riuscito ad emergere grazie innanzitutto ad un sapiente utilizzo di internet e dei social network, senza fermarsi ad un livello virtuale, ma affiancandovi un tenace lavoro delle persone sul territorio. Da quando la rete di internet è entrata a fare parte dei repertori di comunicazione politica ed elettorale, in Italia erano sempre stati i cittadini e i partiti di centrosinistra a utilizzarla in modo più intenso e convinto, ma, salvo alcune esperienze locali e qualche esperimento nazionale (ricordiamo Incontriamoci di Prodi), questi strumenti non erano mai stati integrati con la presenza e la mobilitazione sul territorio offline.La novità introdotta dal M5S sta invece proprio nell’avere utilizzato la rete sia come canale di comunicazione attraverso cui divulgare i messaggi e reclutare sostenitori, sia come strumento di organizzazione e partecipazione nei luoghi fisici4:

un canale di informazione e diffusione dei messaggi, che però non va a diminuire (semmai potenzia) l’efficacia della comunicazioneinterpersonale e della presenza sul territorio, riscoperte dopo che le forze politiche precedenti, ancora immerse nell’era delle campagne moderne, le avevano abbandonate.La rete è in grado di costruire organizzazione politiche “ibride”, che combinano in modo originale repertori e partecipazioni tipici di ambiti differenti: istituzionali (come la militanza nei partiti), sociali (come la protesta nei movimenti), civici (come il volontariato) e “sub-politici” (come il consumerismo)5.Negli ultimi anni, in particolare dopo le elezioni politiche del 2013, il Movimento 5 Stelle e il concetto stesso di retorica populista hanno però finito per sovrapporsi. Ogni singola azione e campagna a favore o contro un determinato tema ha assunto un registro mirato a sollecitare un determinato target: benché diversi segmenti più consapevoli ed informati - delusi da partiti che si sono spostati più al centro rispetto alle premesse – siano andati ad aumentare le fila dell’elettorato grillino, la base del Movimento è composta principalmente da giovani, lavoratori autonomi, disoccupati, politicamente trasversali e indecisi.L’uso della violenza verbale, la stigmatizzazione, la semplificazione (eccessiva, in

molti casi) delle questioni in agenda politica sono stati e sono ancora i driver tramite cui il Movimento raggiunge la sua base, e fa centro. La diffusione virale dei contenuti attraverso i loro canali è facilitata da una comunicazione essenziale, basata principalmente su slogan, frasi ad effetto, spesso con concetti associati tra loro senza un nesso causale ben preciso, ma efficaci. L’obiettivo è quello di ridurre a pochi grandi temi la comprensione dell’agenda, di contrapporre ai tecnicismi della politica tradizionale il linguaggio dell’uomo comune.Altra tecnica con cui il M5S ha avuto molta fortuna è quella della comunicazione visiva: immagini essenziali, didascaliche, a volte in formato “meme”, per favorirne la diffusione tramite i social network. Il meme, per definizione, è un singolo elemento di una cultura o di un sistema di comportamento, replicabile e trasmissibile per imitazione da un individuo a un altro o da uno strumento di comunicazione ed espressione a un altro (giornale, libro, pellicola cinematografica, sito internet, ecc.)6. Si può dire che un meme è un elemento culturale o di informazione che, per qualche sua caratteristica, diviene chiaramente riconoscibile e riproducibile, e si diffonde in maniera velocissima, potremmo dire virale, per l'appunto, anche grazie alle possibilità date dai nuovi canali di comunicazione. In internet

Comunicazione

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7 www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/proposito-virale-meme8 www.mistermedia.it/comunicazione-politica-salvini

un meme può prendere la forma di un'immagine, un collegamento ipertestuale, uno spezzone video, un sito web o uno hashtag7.Tramite i social network, poi, si esprime anche la comunicazione politica di Matteo Salvini, che ha nella pagina ufficiale di Facebook forse il principale canali di divulgazione dei contenuti, su una linea tutt’altro che istituzionale. Come sottolineava Nicola Bonaccini nel suo blog tempo fa8, il linguaggio – colorito e caratterizzato dalla presenza di particolari poco

‘accademici’ come il doppio punto interrogativo – è quello della rete, dell’elettorato che lo supporta sulle pagine web esattamente come nelle piazze. Altra caratteristica interessante è la presenza di vere e proprie call to action alla fine di gran parte dei post. L’utente che segue la pagina di Salvini è coinvolto direttamente e invitato a esprimere la propria opinione, diventando parte integrante del processo di comunicazione e di discussione su temi inerenti la vita quotidiana dei cittadini.

Un ulteriore ma non meno rilevante punto riguarda la riconoscibilità e la coerenza del suo linguaggio che, nei salotti televisivi come sulle piattaforme di networking, si distingue per un ampio utilizzo di espressioni dialettali, per rimandi di storytelling dedicati alla vita quotidiana dei cittadini (con descrizione di alcuni casi specifici) e per richiami ad aneddoti della sua vita personale.In ultimo – a prescindere dal dibattito referendiario, non oggetto di analisi in questa sede – anche il Renzi

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post-sconfitta, con l’immagine di padre di famiglia intento a fare la spesa al supermercato (pubblicate da un noto giornale di gossip qualche tempo fa), mira in un modo ancora diverso, più moderato, a trasmettere autenticità e prossimità.

Quali prospettive future?La tipologia di comunicazione politica descritta finora è quella che più riesce ad avere successo in questo momento storico, con delle forti tendenze antisistema che riprendono quel desiderio di rinnovamento che portò alla fine della Prima Repubblica. La delusione del ventennio berlusconiano ha acceso però maggiormente gli animi: l’impressione ora è che l’aria sia così satura, e la situazione così disperata, che non si possa fare niente per fermare questa tendenza di rabbia che genera confusione, cattiva informazione, cattiva politica. Eppure, benché presenti spesso dei toni esasperati, la protesta della società civile ha sempre un registro che rivendica un’altra, migliore, politica possibile, inclusiva, solidale, partecipativa e genuinamente democratica9. La comunicazione, in questo frangente, assume dunque un ruolo cruciale per riabilitare, se vogliamo, il concetto stesso di politica.La soluzione si potrebbe ritrovare nello stesso meccanismo che ha consentito alle forze di antipolitica di arrivare a percentuali tanto alte e di conquistare nodi

importanti (si veda Roma, con Virginia Raggi), e cioè nella differenziazione. La politica tradizionale dovrebbe configurarsi come altro rispetto ai nuovi o rinnovati movimenti, facendo leva sulla competenza e la professionalità.Ancora prima del posizionamento tra partiti, la battaglia si dovrebbe combattere su questo campo. La riabilitazione della figura del politico come istituzione rappresentativa positiva dovrebbe essere il primo obiettivo della comunicazione politica attuale. Un antidoto agli statisti improvvisati, agli assenteisti cronici, e anche a quella “casta” che fa della democrazia una questione di potere e non di servizio, e che passa per il concetto di competenza, ma soprattutto per quello di coerenza. Una narrazione tanto scontata da formulare quanto difficilissima, a vedere la prassi, da realizzare; eppure ha in sé una forza attrattiva di entità maggiore, o perlomeno pari, ai toni guerrafondai che trainano l’agenda politica in questo momento. Il secondo obiettivo, invece, riguarda la consapevolezza del cittadino circa il concetto di populismo: gli sforzi del comunicatore dovrebbero indirizzarsi a far capire quanto una situazione antisistema sia un’anomalia del processo democratico, che benché possa servire a creare crisi propulsive positive, può essere concepita solo come una soluzione temporanea

e non come un programma permanente di partito (o di non-partito). Un ulteriore sforzo dovrebbe in ultimo concentrarsi sull’educazione dell’elettore: combattere le post-verità con un fact checking puntuale non è più sufficiente. Occorre fornire gli strumenti di discernimento tali da rendere autonomo il cittadino nell’interpretazione corretta delle fonti di informazione, contro le percezioni basate sull’emotività.Per far fronte ai nuovi populismi, la comunicazione politica deve cambiare, e diventare costruttiva. Rintracciare le nuove ideologie, ridurre lo scollamento locale, avere proposte reali: creare un nuovo virtuoso sistema, in contrapposizione a chi tale sistema lo vuole smantellare.

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9 Mastropaolo, 2011

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1. Multiverso informativoLo sviluppo tecnologico sta ridisegnando completamente la nostra società, modificando le interazioni sociali, la fruizione dei servizi, i modelli di consumo ed anche il governo e l’amministrazione del territorio. Parole come cloud e Big Data sono oramai appannaggio anche del gergo giornalistico, di quello popolare e non solo degli addetti ai lavori e dei tecnici. Senza rendercene conto nell’arco di un decennio, con l’avvento degli smartphone e delle App, il 90 % della popolazione mondiale è diventata generatrice continua di ogni tipo di dato creando di fatto un multiverso sconfinato di informazioni, e aprendo un mercato, quello degli Analystics, che solo in Italia nel 2015 è cresciuto del 14%, raggiungendo un valore complessivo di 790 milioni di euro, composto per l’84% da Business Intelligence e per il 16% da Big Data. La crescita della parte Big Data, seppure ancora marginale nei volumi, risulta tuttavia molto più robusta con un tasso annuo del +34%, mentre la Business Intelligence si ferma ad un +11% ( Report 2015 osservatorio di Torino).Il mondo della politica, nella sua declinazione elettorale, non è stato impermeabile a questa rivoluzione delle informazioni, ma si ritiene opportuno, al fine

di procedere chiaramente, operare dei distinguo, in primo luogo geografici. L’utilizzo delle tecniche di analytics dei Big Data nel marketing politico trova le sue prime applicazioni nella politica statunitense nelle elezioni presidenziali del 2008 dove secondo gli analisti risultò determinante l’utilizzo dei social e dei dati da essi generati per l’elezione di Obama, mentre in Europa sta giusto ora cominciando a muovere i primi passi.Da quel momento la partecipazione e la comunicazione politica sono radicalmente cambiate. Sotto il profilo della partecipazione, sfruttando smartphone e social, in rete sono nati movimenti politici e si sono diffuse rivoluzioni, mentre per quanto riguarda le campagne elettorali è cominciata una corsa agli armamenti tecnologici che per il momento ha solo sfiorato l’Italia.In prima istanza si ritiene fondamentale dare una definizione chiara del termine Big Data ormai usato ed abusato dalla stampa nostrana: Difatti per essere definiti Big i dati e le sorgenti che li generano devono avere specifiche caratteristiche, ovvero volume, velocità e varietà. Devono quindi avere un tale volume da non poter essere gestiti facilmente con gli strumenti tradizionali e

devono essere generati dai più disparati sistemi o dispositivi quasi in tempo reale. Di fatto quando si parla di Big Data è come se ci trovassimo di fronte a delle nebulose informative che risultano ad occhio nudo totalmente incomprensibili e che richiedono di essere analizzati con particolare attenzione e con tecniche specifiche. Cominciando ad approcciare l’utilizzo dei Big Data in politica, è fondamentale rispondere alla domanda su come fanno i Big Data a leggere nella mente degli individui, a prevedere i comportamenti e le esigenze delle persone.Per fare ciò è obbligatorio capire esattamente da dove provengono e da cosa sono generati: Vi sono i documenti elettronici nelle varie estensioni possibili (xls, pdf, email, word, html, xml,…) che possono sia essere già a disposizione di una organizzazione o di un determinato candidato oppure possono essere rintracciati in rete; vi sono poi i dati provenienti dai social media che sono al tempo stesso molto interessati ma parzialmente utilizzabili, in quanto non associabili sempre ad un’unica posizione geografica. L’immensa mole di informazioni che gli utenti lasciano sui social risulta altamente efficace nell’individuare le sfumature e le dinamiche comportali degli

I BIG DATA TRA POPULISMO E RIFORMISMO

Tommaso Giachetti

Comunicazione

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individui che aggregate con specifiche tecniche di sentiment analysis riescono a determinare la tendenza di gradimento verso uno specifico candidato o l’apprezzamento degli effetti della ricaduta di una politica sul territorio. I social, sfruttando le più avanzate tecniche di Data Mining, riescono a restituirci le tendenze e le aspettative di target di popolazione molto definite, permettendo al politico di perfezionare il suo messaggio, di calibrarlo per una massima efficacia. Questo passaggio, in apparenza accurato e analitico, se non trattato con le dovute cautele rischia di determinare un errore d’interpretazione poiché le coordinate spaziali alle quali è ancorata quella specifica informazione social non sono le stesse dove il soggetto generatore esprime la sua preferenza elettorale; altra ricchissima sorgente di dati sono invece gli open data, qui intesi come file di varia estensione ma accomunati dal fatto che vengono resi disponibili da pubbliche amministrazioni e spesso sono utilissimi per avere piena informazione delle dinamiche sociali, economiche, ambientali e sanitarie di una specifica territorialità. Nella specificità delle campagne elettorali o anche in quelle marketing emerge un'altra tipologia di dato, tendenzialmente acquistabile sul mercato, che è quello anagrafico. Ovvero stringhe contenenti generalità e recapiti di individui che hanno, più o meno consapevolmente, acconsentito al trattamento dei loro dati personali magari

firmando una petizione su un sito internet, facendo un abbonamento al supermercato o iscrivendosi in palestra. È infinita la moltitudine di dati che può essere rintracciata, accorpata ed analizzata, e tornando alla domanda iniziale è quindi intuibile che, a prescindere dalla specifica tecnica o software utilizzato, scrutando nei Big Data, nel bene o nel male, si possa avere una panoramica molto fedele dei nostri comportamenti e delle nostre scelte, in definitiva della nostra vita.

2. Big Data, Politica e ConsulenzeI Big Data e le analisi ad essi associate si stanno affermando ormai anche in Italia ed in Europa e di conseguenza si aprono ampi spazi per un nuovo mercato della consulenza politica, non più focalizzata esclusivamente sugli aspetti della comunicazione sui mass e social media.Ma prima di scendere nelle molteplici soluzioni offerte dal mercato, preme in questa sede sviluppare una riflessione critica sul loro utilizzo, in quanto, ad avviso di chi scrive,

il rischio di un qualunque candidato o decisore politico, locale o nazionale, è quello di interpretare l’utilizzo dei Big Data come una panacea, una soluzione universale o uno strumento magico che in 30 giorni di campagna elettorale permette di accrescere consenso e di vincere le elezioni.Le tecniche di analisi, i database, le informazioni anagrafiche, la profilazione degli elettori sono strumenti fondamentali ed indispensabili che possono dare frutti considerevoli se

utilizzati strutturalmente, ovvero sfruttati per stimolare il ragionamento politico che conduce dai valori alla proposta e per ricucire il rapporto con i propri cittadini elettori, e non occasionalmente per elaborare a freddo cinici programmi elettorali, che presto a tardi risulteranno comunque artificiosi. Ad un politico che voglia avvicinarsi a questo strumento, si consiglia di intenderlo come l’opportunità di sviluppare un nuovo modus operandi politico in grado di amplificare enormemente le capacità di

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analisi e l’istinto del decisore, ma pur sempre uno strumento. Come un’opportunità di capire meglio quali sono i desiderata e i problemi delle comunità che amministra o che ha l’ambizione di rappresentare, e le possibilità che il tessuto economico, sociale ed ambientale è in grado di erogare. Si ripropone quindi, anche e soprattutto parlando di Big Data in politica, il conflitto tra populismi e riformismi che contestualizza sempre più l’attuale epoca della post verità, e l’esito di ogni scontro non è mai scontato. Al contrario dei populismi che utilizzano le informazioni e i dati per alimentare paure ed incertezze nella società, la sfida dei riformisti in questo settore deve essere quella di sfruttare le nuove tecnologie per impostare un approccio alla politica ed al consenso che sia solido, concreto e che ritorni ad un ascolto vero del territorio in grado di elaborare proposte precise e puntuali e non dichiarazioni generiche.Come anticipato sono numerose le aziende e le agenzie, internazionali ed nazionali, che occupano questo nuovo mercato ed ognuna di loro offre soluzioni e possibilità declinate in maniera differente, non sempre proficue nel contesto socio politico italiano.Nel panorama internazionale uno dei nomi sicuramente più affermati è l’agenzia “The Messina Group”, guidata da Jim Messina, lo spin doctor di Obama nelle elezioni presidenziali del 2012 e di Cameron due anni dopo, entrambe vincenti, ma anche del Comitato

“Basta un si!” in occasione del referendum costituzionale che si è tenuto in Italia nel Dicembre 2016. L’agenzia di consulenza di Jim Messina fonde l’esperienza tradizionale della consulenza politica con un approccio strategico basato esclusivamente sulla Data Analysis, che è il suo core business. L’agenzia si focalizza strutturalmente sulle campagne elettorali curandone tutti gli aspetti, centralizzando ogni attività strategica secondo l’assunto “that the best solutions are based on the best data”, dal Social Media Targeting fino al Fundraising passando per l’impostazione e l’organizzazione delle attività dei volontari. Altra stella americana è Civis Analytics, fondato da Dan Wagner, ex Chief Analytics Officer della campagna 2012 di Obama e partecipata da Eric Schmidt, presidente di google. La caratteristica di questa società è quella di offrire una piattaforma integrata di analisi dei dati e di gestione dei processi utilizzabile sia dalle grande aziende come airbnb che dagli strategist delle campagne elettorali. Uno dei prodotti più utilizzati è un tool in grado di individuare in relazione al profilo del candidato quali sono i programmi televisivi su cui massimizzare l’investimento pubblicitari e tarare i messaggi elettorali.Ma è Nation Builder, sempre made in U.S.A, che si propone come uno dei software gestionali più completi ed integrati per le campagne elettorali americane e per l’attività politica di candidati

eletti. Si presenta come una piattaforma in cloud con la possibilità di integrare altri applicativi più specifici consultabili anche da smartphone, offre in un unico pacchetto gli strumenti base per una campagna elettorale come sito web, programma di mailing, gestione dei volontari, eventi e fundraising. Sotto il profilo dell’analisi dei dati non presenta soluzioni sofisticastissime, ma offre esclusivamente per gli U.S.A un pacchetto di elettori già regolarmente profilati e censiti sul quale svolgere le prime attività ed analisi.Quelle presentate sono le principali e più affermate realtà internazionali che offrono ognuna uno spaccato diverso di come si può orientare e posizionare sul mercato moderno una agenzia di consulenza politica. Vi sono infatti numerose realtà che offrono soluzioni tecnologiche, più o meno sofisticate, da applicare alla campagna elettorale. Ma la maggior parte di queste approccia il problema individuando come core business il momento delle elezioni e non offrendo al politico uno strumento in grado di determinare un upgrade costante nell’attività politica e di costruzione del consenso. Inoltre per quanto riguarda specificatamente la realtà italiana, e tendenzialmente anche quella europea, non risulta frequentemente positivo l’utilizzo di applicativi e piattaforme made in U.S.A o comunque anglosassoni in contesti elettorali nostrani in quanto sono molto più

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complesse e confuse le dinamiche partitiche e di flussi elettorali.In questo contesto sta crescendo rapidamente in Italia GeoPolis, una start-up che propone un nuovo approccio alla consulenza politica ed elettorale e che sfrutta i Big Data amplificando le potenzialità della Location Analytics. Propone soluzioni ed analisi sviluppate interamente in ambiente GIS, ovvero Geographic Information System, con lo scopo di offrire un prodotto concreto e di supporto costante al candidato o al decisore politico.

3. Il GIS, la chiave di un ritorno al territorioGIS sta per Geographic Information System, ovvero “è un sistema progettato per ricevere, immagazzinare, elaborare, analizzare, gestire e rappresentare dati di tipo geografico. In termini semplici, col GIS si possono unire cartografie, eseguire analisi statistiche e gestire i dati attraverso tecnologie database”. Sfruttando queste potenzialità del GIS GeoPolis propone un’amplificazione delle potenzialità dei Big Data in politica, avvicinando il territorio al decisore e permettendo una gestione sofisticata della comunità presa in esame.La filosofia che l’azienda porta avanti è che la campagna elettorale non abbia un inizio né una fine ed è proprio questo approccio al metodo di consulenza, tradotto opportunamente negli applicativi GIS funzionali all’attività di consulenza

politica, che rappresenta l’innovazione determinante che risponde alle più pressanti esigenze del politico nelle sue attività elettorali e/o di governo.Esso, sia che sia di livello locale che di livello nazionale e/o europeo, ha la necessità di svolgere l’azione di governo sinergicamente con un’attività di presenza costante sul suo territorio di riferimento al fine di rafforzare qualitativamente e quantitativamente la sua posizione di rappresentante della comunità. È purtroppo prassi comune che il politico concentri prevalentemente la sua attività di confronto con l’elettorato di riferimento esclusivamente durante le sue campagne elettorali, avendo così poco tempo a disposizione e dovendo investire ingenti risorse finanziarie. Inoltre nel limitato lasso temporale che le campagne elettorale concedono solo i più facoltosi tra i candidati possono permettersi l’utilizzo di tecnologie GIS in grado di fare la differenza e comunque non perseverano nell’utilizzo una volta eletti.L’approccio proposto da GeoPolis risponde in pieno a questa esigenza, garantendo quindi un investimento più efficace delle risorse a disposizione e consentendo una tempo di reazione alle necessità molto veloce in quanto il sistema si presenta sempre operativo. Difatti il politico con l’utilizzo dei servizi proposti tramite la piattaforma riuscirà ad ottimizzare i propri investimenti in termini di energie, tempo e denaro, a

svolgere al meglio il proprio ruolo di rappresentante dei cittadini, a costruire un consenso politico solido, sia in termini di preferenze consolidate che di voto d’opinione. L’applicativo consentirà costantemente di gestire e indirizzare i flussi informativi attraverso le potenzialità delle analisi territoriali, di potenziare l’efficacia dei geo-database dinamici, di implementare i big data a disposizione con una profilazione avanzata del cittadino-elettore. In poche parola l’applicativo GIS sfrutterà tutte le potenzialità per portare l’utente ad un rapporto informativo, dinamico ed intimo con il territorio di riferimento, con i suoi elettori, e consentirà di mettere in moto la sua macchina organizzativa in tempi ristretti con enormi benefici.Le potenzialità analitiche ed informativi sviluppabili con la tecnologia GIS sono molteplici e possono essere fruibili ed abbordabili sia da candidati di livello locale che nazionale, sia in campagna elettorale che per la gestione corrente dell’attività politica.Si scende ora più nel dettaglio per valutare le soluzioni che l’unica start – up italiana di consulenza politica verticalizzata sulla digital geography propone.

Si prendono in considerazione innanzitutto i servizi circoscritti alla fase di campagna elettorale, rispettivamente un tipo per un candidato a qualunque carica assembleare ed un altro per un candidato a qualunque carica monocratica.

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Questo approccio richiede una ottimizzazione degli strumenti e una razionalizzazione delle analisi in quanto l’obiettivo deve essere raggiunto in un tempo molto limitato, mediamente tra i 30 / 45 giorni. In questi casi si computa e implementa sulla piattaforma già oltre il 60 % dei dataset necessari all’attività della campagna così da essere il più incisivi possibile.Altra questione è il servizio riservata a quei politici che vogliono sviluppare un progetto a lungo termine, sinergico con la loro attività politica ed istituzionale. Un’attività di consulenza che si struttura seguendo un’accurata pianificazione di crescita e di costruzione del consenso, che passa attraverso la costruzione di un reale contatto con i propri elettori ed una conoscenza del proprio territorio di riferimento molto accurata grazie all’utilizzo delle tecnologie GIS.Gli strumenti utilizzabili per svolgere questo tipo di attività sono:

- Geo Database dinamici per la digitalizzazione e la georeferenziazione del patrimonio storico - informativo in capo al candidato, e per l’aggiornamento continuo della struttura e della tipologia del suo consenso elettorale.

- Analisi dello storico elettorale e dei flussi elettorali concernenti lo storico dei dati elettorali ed i relativi flussi, finalizzata ad elaborare lo stato dell’arte sotto il profilo elettorale ed a evidenziare le sezioni elettorali ed i loro relativi Indice di Potenzialità

Elettorale e/o Swing Index. Indici per i candidati a carica assembleare e/o per i candidati a carica monocratica utili ad individuare indirizzi e strade afferenti l’intero territorio del collegio elettorale di riferimento nelle quali la probabilità di conquistare voti di preferenza e/o voti indecisi è più alta e, conseguentemente, dove è utile investire le risorse umane ed economiche della campagna elettorale.

- Profilazione di primo livello degli elettori viene effettuata tramite un’analisi socio-economica, rappresentata all’interno di mappe tematiche interattive del collegio elettorale di riferimento contenenti rielaborazioni di indicatori ISTAT quali, ad esempio:stranieri residenti, nuovi votanti, pensionati, pendolari, ecc., con una precisione pari alla singola sezione di censimento (cioè condomini o lotti) al fine di elaborare una strategia di comunicazione ed interazione con l’elettore vincente basata anche sull’utilizzo di messaggi personalizzati.

- La profilazione di secondo livello degli elettori, sviluppata mediante tecnologie di analisi spaziale è basata su open data, su altri dati in possesso e/o acquistati dal candidato, dati discreti provenienti da attività ed è finalizzata: 1- all’individuazione e alla localizzazione dei target di elettori più recettivi a specifiche azioni politiche e/o proposte elettorali del candidato; 2- all’individuazione delle

azioni politiche e/o proposte elettorali con più elevata potenzialità in relazione ad una specifica porzione o alla totalità del collegio elettorale di riferimento.

-Match strategy: Sfruttando applicativi specifici implementati ed implementabili nella piattaforma, è possibile, ad esempio, gestire tecnologicamente operazioni di porta a porta dinamico che consente di geolocalizzare real time gli addetti e genera automaticamente mappe tematiche con gli output delle attività.Per i clienti di lungo periodo, GeoPolis sfruttando specifici algoritmi proprietari e la piattaforma di calcolo è in grado di effettuare una pianificazione di lungo termine della crescita del consenso politico ed elettorale del candidato, indirizzando, studiando, potenziando la sua attività politica ed il suo rapporto con gli elettori.Il GIS quindi si presenta come una soluzione importante per il decisore pubblico e il candidato, uno strumento determinante per sanare quel distacco oramai profondo tra la politica e le comunità territoriali, un’opportunità per avere una lettura diversa e più precisa del territorio che si ha l’ambizione di guidare e governare.

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LA PARTECIPAZIONE POLITICA NELLE PIATTAFORME DI DEMOCRAZIA LIQUIDA:

Introduzione Gli ultimi anni della politica, tanto italiana quanto internazionale, sono stati caratterizzati da singoli eventi che, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, hanno messo a dura prova il principio di rappresentanza politica1 ritenuto non più in linea con le mutate esigenze della società.Le istituzioni democratiche stanno infatti vivendo una crisi profonda segnata dal forte astensionismo alle urne, dal disinteresse per la politica e, soprattutto, da una sempre più crescente insoddisfazione nei confronti della mediazione partitica2. Se partiti, sindacati o associazioni (i cc.dd. corpi intermedi) non sono più rappresentativi della società, giocoforza non lo saranno nemmeno i loro referenti3. Referenti che però siedono

nelle assemblee legislative generando così quel fenomeno di “scollamento” tra la realtà e le istituzioni, tra i cittadini e gli eletti.Siamo dunque in un periodo di cambiamento, una fase intermedia tra passato e futuro, in cui un ruolo non secondario lo riveste Internet.La rivoluzione portata avanti da Internet ha infatti ovvi riflessi anche in ambito politico. Questo ha creato un nuovo luogo, una nuova dimensione dell’agire umano, uno spazio in cui l’uomo può svolgere la sua personalità. Internet ha dato ospitalità a tradizionali e nuove formazioni sociali, facilita l’esercizio dei diritti, come anche dei doveri, e di ogni attività.Ecco perché, in poco tempo, la Rete delle reti si è posta anche come spazio di partecipazione

politica4, di cittadinanza attiva o di civic engagement5. Si aprono così le porte alla c.d. democrazia digitale o e-democracy6 che, se da una parte permette il passaggio da una democrazia “intermittente” o “a bassa intensità”, ossia dove la partecipazione politica si concentra ed esaurisce nel momento del voto iniziale, a una democrazia partecipata7, capace cioè di organizzare, sollecitare, impiegare i cittadini in più momenti8, dall’altra crea confusione tra i concetti di democrazia diretta e indiretta, a metà dei quali si inserisce la c.d. democrazia liquida9. Internet ha facilitato i contatti e le relazioni interpersonali creando innumerevoli strumenti utili per l’attività associativa. Molte più persone di quanto fosse possibile prima possono oggi riunirsi e

Guido D'Ippolito

LiquidFeedback e Rousseau

1 «La nozione di rappresentanza politica postula una differenziazione tra governanti e governati. È una necessità ineliminabile della vita moderna: l’estensione territoriale degli Stati impedisce fisicamente che i cittadini si possano riunire in un unico luogo e deliberare direttamente». Voce: rappresentanza politica, in Enciclopedia Treccani: www.treccani.it/enciclopedia/rappresentanza-politica/2 La crisi della democrazia rappresentativa può essere ricondotta a (oltreché favorita da) un deficit partecipativo che è conseguenza della sfiducia dei cittadini-elettori verso i corpi intermedi e le istituzioni democratiche. Così E. DE BLASIO, Democrazia digitale: una piccola introduzione, Luiss University Press, 2014.Si veda anche: V. STORNI, Internet, partecipazione e associazionismo, in La rete Internet come spazio di partecipazione giuridica. Una prospettiva giuridica, F. MARCELLI – P. MARSOCCI – M. PIETRANGELO (a cura di), La rete Internet come spazio di partecipazione giuridica. Una prospettiva giuridica, Editoriale Scientifica, Napoli, 2015, 174.3 «Le aule della rappresentanza si sono progressivamente indebolite nel loro ruolo di sede delle discussioni e delle deliberazioni. Prima a vantaggio delle sedi informali di concentrazione delle forze politiche, poi degli schermi televisivi, oggi del web, sono stati gli stessi partiti ad assecondare tale svuotamento, spostando anche formalmente fuori dalle assemblee i luoghi della composizione dei conflitti e determinando la tendenza a che il ruolo di “portavoce” del corpo elettorale fosse assegnato direttamente agli esecutivi ed agli organi monocratici». P. MARSOCCI, Cittadinanza digitale e potenziamento della partecipazione politica attraverso il Web: un mito così recente già da sfatare?, in La rete Internet come spazio di partecipazione giuridica, F. MARCELLI – P. MARSOCCI – M. PIETRANGELO (a cura di), La rete Internet come spazio di partecipazione giuridica., cit., 58.4 F. MARCELLI – P. MARSOCCI – M. PIETRANGELO (a cura di), La rete Internet come spazio di partecipazione giuridica. Una prospettiva giuridica, Editoriale Scientifica, Napoli, 2015. 5 E. DE BLASIO, Democrazia digitale: una piccola introduzione, cit.6 «l’espressione si riferisce alla possibilità che la democrazia si avvalga delle forme e degli strumenti che le nuove tecnologie dell’informazione rendono via via disponibili e non alla determinazione, per via del loro uso, dell’effetto di restituire centralità al ruolo delle persone e della comunità nella realizzazione della sovranità». P. MARSOCCI, Cittadinanza digitale e potenziamento della partecipazione politica attraverso il Web, in La rete Internet come spazio di partecipazione giuridica, F. MARCELLI – P. MARSOCCI – M. PIETRANGELO (a cura di), cit., 57.7 «vi è nella democrazia partecipativa un salto di qualità rispetto alle semplici pratiche partecipative e, sia storicamente che logicamente, essa pretende staccarsi dall’antica partecipazione, facendo maturare una più intensa presenza dei cittadini nell’attività istituzionale. […]Essa [è costituita da]procedure in cui istituzioni e società compartecipano nella formazione di una decisione o altra attività pubblica, con un ruolo forte di entrambe». U. ALLEGRETTI, La democrazia partecipativa in Italia e in Europa, Rivista AIC, n. 1/2011, 25/11/2010, 2 e ss. 8 E. DE BLASIO, Democrazia digitale: una piccola introduzione, cit.9 La democrazia liquida è un modo di esercizio della democrazia nella quale i cittadini possono decidere in che forma esercitare il proprio potere scegliendo se esercitarlo in prima persona o se delegarlo a un suo rappresentante. La democrazia liquida integra elementi di democrazia diretta e indiretta e si caratterizza per la massima libertà di scelta dell'esercizio del diritto politico del cittadino che sceglie come esercitarlo.

associarsi istantaneamente da qualunque luogo10. Possono più facilmente esprimere la propria opinione. Opinione che può essere raccolta e catalogata in modo funzionale al fine di abilitare ulteriori attività.In un contesto così mutato, i luoghi di formazione del pensiero, dell’opinione pubblica e dell’associazionismo si spostano nel nuovo mondo del cyberspazio. Le piazze, i bar, i luoghi di incontro, i caffè, le organizzazioni, i partiti diventano sempre più i siti, i social network, i forum, i gruppi, i blog, le mailing list11. Anche le assemblee o i luoghi di formazione e di elaborazione delle proposte si stanno spostando progressivamente

in Rete, sulle piattaforme di democrazia partecipata o, anche, di democrazia liquida.Sembrerebbero essere queste le nuove frontiere della politica12. Infatti, è su questi nuovi strumenti/luoghi che si sta orientando una parte sempre più consistente di società. La domanda sottesa a questa tendenza è: queste piattaforme ridaranno vigore al sistema rappresentativo oppure lo soppianteranno definitivamente? Questa trattazione vuole quindi esaminare e confrontare – pur negli spazi ristretti di questa sede e, quindi, senza alcuna pretesa di completezza - due tra le principali piattaforme

di democrazia liquida, quelle più vicine al nostro contesto politico, al fine di verificare se e come questi strumenti possano recuperare il gap tra cittadini e istituzioni: la più famosa LiquidFeedback (in seguito anche LQFB) e Rousseau del Movimento 5 Stelle.

Le piattaforme di democrazia liquida In via preliminare, occorre sottolineare come ampio e variegato sia il mondo di queste piattaforme13 e sgombrare il campo da fenomeni tecnicamente non riconducibili all’oggetto della nostra analisi. In particolare, oggetto di trattazione saranno le cc.dd. piattaforme di democrazia

10 «l’uso della Rete è stato immaginato e costruito per essere potenzialmente pluralista, aperto e libero. […] Queste sue “doti” rendono la Rete strumento idoneo alla collaborazione tesa alla realizzazione di un progetto comune, elemento che è essenziale nella nozione giuridica di partecipazione nei sistemi democratici». P. MARSOCCI, Cittadinanza digitale e potenziamento della partecipazione politica attraverso il Web, in La rete Internet come spazio di partecipazione giuridica, F. MARCELLI – P. MARSOCCI – M. PIETRANGELO (a cura di), cit., 4311 «La sfera pubblica che a fine Ottocento comprendeva club privati e caffè, oggi ingloba anche gli spazi virtuali offerti dalle diverse applicazioni di Internet». V. STORNI, Internet, partecipazione e associazionismo, in La rete Internet come spazio di partecipazione giuridica, F. MARCELLI – P. MARSOCCI – M. PIETRANGELO (a cura di), cit., 17312 «L’espansione dei partiti italiani nel web sta progressivamente incrementando gli impulsi che vedono nella rinuncia ad alcuni tratti essenziali al principio della rappresentanza democratica una via di salvezza politica». L. NANNIPIERI, I partiti politici italiani sul web: prime osservazioni, in La rete Internet come spazio di partecipazione giuridica, F. MARCELLI – P. MARSOCCI – M. PIETRANGELO (a cura di), cit., 194 13 Oltre alle due citate si pensi anche ad Airesis, una piattaforma che consente a diverse forme di comunità di organizzarsi secondo i principi della democrazia diretta e partecipativa: www.airesis.it/edemocracy

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liquida, ossia quei software i quali, sfruttando caratteristiche proprie a volte dei sistemi di rappresentanza diretta e a volte indiretta, permettono la proposizione e la conseguente discussione, modificazione (ed eventualmente approvazione) di proposte normative o regolamentari in generale. Restano fuori strumenti come le piattaforme di consultazione pubblica14, di condivisione e diffusione di materiale, di redazione condivisa di documenti e statuti o di votazione on line15.La piattaforma di democrazia liquida più conosciuta è LiquidFeedback16, software open-source indipendente17, sviluppato dal Public Software Group of Berlin18 e utilizzato da diversi partiti, associazioni e società nel mondo. Tra questi, in Italia19, anche il Movimento 5 Stelle che, in seguito, ha realizzato una propria piattaforma costantemente in fase di implementazione. Si tratta di Rousseau, dal nome del filosofo ginevrino teorico della volontà generale20, da alcuni

considerata un “endorsement” verso forme di democrazia diretta.

Registrazione e accessoL’utilizzo di tali piattaforme prevede una prima fase di registrazione e autenticazione per l’accesso alla stessa. Questa registrazione è la precondizione alla possibilità di usufruire di tale sistema, è il primo onere verso l’espansione del diritto di ogni cittadino a partecipare alla vita della società (tramite digitale) e, quindi, alla base del concetto di cittadinanza digitale21. Con riferimento alla registrazione, la possibilità di usufruire del sistema Rousseau è ammessa solo ai membri o sostenitori del Movimento 5 Stelle che equipara, quindi, la posizione dell'utente della piattaforma a quella dell’iscritto al Movimento. Ciò comporta una verifica di tutte le richieste di registrazione che devono essere preliminarmente accettate dal Movimento.Parzialmente diversa è l’ottica da cui muove la

piattaforma LiquidFeedback. Questo è infatti un software liberamente utilizzabile da chiunque e, in virtù di ciò, il sistema non pone (ancorché non le escluda) particolari condizioni nell’individuazione del soggetto che può accedere alla piattaforma22.Ciò non vuol dire che l’ente che intende adottarla per gestire il proprio dibattito interno non possa decidere di limitarne gli accessi o di autorizzare “solo alla lettura” alcune categorie di persone23.Ancora, sebbene uno dei principi cardini di queste piattaforme sia la trasparenza assoluta24, non si esclude la possibilità per l'ente adottante di impedire la visualizzazione dei contenuti a utenti non registrati come anche, in base alla regola per cui gli utenti devono essere individuati o individuabili25, non si esclude il ricorso a forme di anonimizzazione tramite pseudonimo univoco (nick name)26.Se da una parte, quindi, garantire il libero accesso alle

14 «La consultazione pubblica telematica è un’attività consultiva condotta da un soggetto pubblico mediante il proprio sito web istituzionale col fine di acquisire in via diretta pareri e osserva-zioni da parte della cittadinanza su questioni rilevanti per la vita della comunità». M. PIETRANGELO, Il contributo di Internet alla partecipazione popolare, in La rete Internet come spazio di partecipazione giuridica, F. MARCELLI – P. MARSOCCI – M. PIETRANGELO (a cura di), cit., 69.In Italia, si pensi alle consultazioni svolte dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri tramite il portale partecipa.gov.it o alle consultazioni fatte della autorità amministrative indipendenti. Si ricordi ancora Civici (http://civi.ci/), realizzata dalla Fondazione <ahref, per dare modo a cittadini, partiti, organizzazioni e istituzioni di discutere, commentare e valutare determinate proposte15 Un esempio di come l’ICT modifica e amplifica le normali attività associative è rinvenibile nell’associazione Stati Generali dell’Innovazione la quale convoca l’assemblea, vota e si occupa della attività statutarie anche on line: www.statigeneralinnovazione.it/online/assemblea-online-straordinaria/16 LiquidFeedback è un software diretto a implementare e facilitare lo sviluppo di proposte on line e il conseguente processo decisione. Il sito ufficiale è: http://liquidfeedback.org/17 J. BEHRENS - A. KISTNER - A. NITSCHE - B. SWIERCZEK, The Principles of LiquidFeedback, Interaktive Demokratie e.V, Berlin, 2014, 113 e ss. LQFB è pubblicato sotto licenza MIT/X11: http://www.public-software-group.org/licenses 18 LQFB è stato sviluppato nel 2009 da alcuni membri del Partito Pirata tedesco. Questi hanno in seguito formato il Software Group of Berlin. Gli sviluppatori si sono poi uniti nell'Association for Interactive Democracy con l’intento di promuovere l'uso dei mezzi elettronici nei processi democratici: www.public-software-group.org/liquid_feedback19 Oltre la M5S, LiquidFeedback è stato utilizzato in Italia anche da Claudio Fava, candidato di Sinistra Ecologia e Libertà alla presidenza della Regione siciliana, Umberto Ambrosoli, candidato di centro sinistra alla presidenza della Regione Lombardia, ma anche da Michele Santoro che tramite LiquidFeedback chiese ai telespettatori di contribuire alla creazione di un programma politico costruito dal basso20 «L'unico modo per formare correttamente la volontà generale è quello della partecipazione all'attività legislativa di tutti i cittadini, come accadeva nella polis greca: l'idea che un popolo si dia rappresentanti che poi legiferano in suo nome è la negazione stessa della libertà». J. J. Rousseau, Il contratto sociale III, 1521 S. RODOTà, Il diritto di avere diritti, Laterza, 2013, 384 e ss. 22 «While granting limited read-access to the general public might be desirable in most cases, allowing everyone to participate is usually not reasonable: people that are member of one political party should obviously not decide the target course of a competing political party, since such a privilege might easily be abused to harm the other party. Ideally those people (and only those people) should be allowed to participate in a decision-making process that are affected by its outcome». J. BEHRENS - A. KISTNER - A. NITSCHE - B. SWIERCZEK, The Principles of LiquidFe-edback, Interaktive Demokratie e.V, Berlin, 2014, 120.23 A tal riguardo, si consideri che il Partito Pirata italiano, il quale utilizza LQFB come assemblea permanente, al pari di Rousseau, richiede l’iscrizione al partito per accedere alla piattaforma. FAQ – Partito Pirata, consultabili al link: www.partito-pirata.it/faq/ 24 Si veda, per esempio, la piattaforma del Partito Pirata italiano. FAQ – Partito Pirata, consultabili al link: www.partito-pirata.it/faq/25 J. BEHRENS - A. KISTNER - A. NITSCHE - B. SWIERCZEK, The Principles of LiquidFeedback, cit., 12126 A tal riguardo, il Partito Pirata italiano ammette la partecipazione tramite pseudonimo o nick name sebbene il sistema sia comunque in grado di conoscere i real name degli utenti. FAQ – Partito Pirata

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piattaforme di democrazia liquida sarebbe giustificato e preferibile nel caso di un suo utilizzo generale o istituzionale27, dall’altra sembrerebbe altrettanto ragionevole dare ai sostenitori di un certo ente uno spazio esclusivo di confronto interno, chiuso e al riparo dalle ingerenze di potenziali disturbatori. In quest’ottica, Rousseau del M5S potrebbe essere considerato un’applicazione particolare di LQFB, una species di un genus più ampio di piattaforme di democrazia liquida.Tali considerazioni spostano quindi l’attenzione sul tema della sicurezza e della certificazione dell’identità degli utenti28. L'accreditamento di tali soggetti all'uso della piattaforma ha lo scopo di garantire che solo il soggetto titolato possa accedervi e con un unico account29.La certificazione dell'identità è però un tema che pone diverse questioni ancora aperte, sia in termini giuridici sia tecnologici, che meriterebbero una trattazione a sé, non possibile in questa sede. Ci si limiterà a osservare soltanto la circostanza per cui una possibile soluzione, in linea teorica, laddove tali piattaforme dovessero entrare sempre più nella vita della comunità, potrebbe essere una loro integrazione con SPID, il Sistema Pubblico di Identità

Digitale da poco introdotto dal Governo.Ciò quanto meno al fine di certificare l’identità del cittadino e riportare anche questo servizio nell’ambito del suo “domicilio digitale”.

Struttura Una volta effettuato l'accesso, sorvolando sugli aspetti prettamente grafici e di design adottati dalle diverse piattaforme, ci si trova davanti ad alcuni strumenti o ad una struttura simile a quella dei forum in cui sono elencate le varie proposte.Rousseau, poiché il suo obiettivo è quello di gestire l'intera vita del Movimento 5 Stelle30, ci pone subito di fronte a una serie di funzioni. Ognuna di queste gestisce la partecipazione degli iscritti nelle varie aree di interesse e competenza del Movimento.

Si hanno così, rappresentate da stelle colorate, 8 funzioni che aprono altrettante aree tematiche:- Voto: qui si svolgono le votazioni, in formato elettronico, sui temi di interesse per il Movimento, come la votazione delle iniziative parlamentari non previste dal programma del M5S, la scelta dei candidati, l'indicazione delle persone che il Movimento deve supportare per la nomina di incarichi istituzionali (per esempio i giudici della Corte Costituzionale o il Presidente

della Repubblica).- Lex Iscritti: qui si possono avanzare proposte di legge da portare poi nelle varie assemblee legislative.- Lex Europa: all'interno della quale gli eurodeputati inseriscono i rapporti di cui sono assegnatari. Su questi gli iscritti possono formulare integrazioni, modifiche, suggerimenti e il risultato sarà poi presentato alla Commissione Europea alla quale, insieme agli altri gruppi politici, si chiederà di legiferare in tal senso; - Lex Parlamento: all'interno della quale i parlamentari del M5S inseriscono le loro proposte. Come per la sezione Lex Europa anche qui gli iscritti possono proporre modifiche. Allo scadere del tempo concesso per la discussione, il parlamentare responsabile della proposta di legge, sulla base degli interventi ricevuti, valuterà le modifiche da apportare e depositerà quindi la proposta, l'emendamento o l'eventuale altro atto che sarà la posizione del Movimento all'interno del dibattito, in commissione o in aula, con gli altri gruppi politici.- E-learning: quest’area è diretta a fornire supporto e le informazioni necessarie a chi, per la prima volta, si trova nelle istituzioni pubbliche come rappresentante. Sono quindi disponibili video esplicativi tenuti da esponenti del M5S, ulteriori riferimenti e informazioni utili.

27 Qualcosa di simile si era cercato di realizzarlo con la piattaforma Civici, ossia una piattaforma ufficiale, istituzionale, per le consultazioni su determinate proposte. Per tale motivo l’acces-so a tale piattaforma era libero a tutti prevedendo solo una normale forma di registrazione senza previa verifica o accettazione dell’utente 28 Il M5S verifica e autorizza l’accesso dei cittadini a Rousseau tramite l’invio online di alcuni dati personali, una foto e un documento d’identità. Il Partito Pirata italiano, sul proprio sito, pre-vede un’apposita procedura che, oltre a prevedere delle quote annuali associative, si basa sull’ottenimento di un’iscrizione certificata sottoscrivendo un modulo cartaceo alla presenza (fi-sica o online) di soggetti certificatori. La simultanea iscrizione ad un altro partito non è causa ostativa all’iscrizione alla piattaforma del Partito Pirata italiano. FAQ – Partito Pirata, consultabili al link: www.partito-pirata.it/faq/ ma anche Partecipa – Partito Pirata, http://www.partito-pirata.it/partecipa/29 J. BEHRENS - A. KISTNER - A. NITSCHE - B. SWIERCZEK, The Principles of LiquidFeedback, cit., 12130 Che cos’è Rousseau?, consultabile al link: https://rousseau.movimento5stelle.it/index.php

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- Scudo della Rete: è questa una funzione peculiare. Si tratta di una rete di legali distribuita sul territorio che si mettono a disposizione per difendere il Movimento in cause intentategli contro. È previsto che i difensori vengano retribuiti grazie a un fondo, i cui estremi sono disponibili sulla piattaforma, costituito da donazioni volontarie.- Fund Raising: in cui è possibile fare donazioni per finanziare diverse attività del M5S (campagne elettorali, eventi, iniziative locali).- Sharing: in cui vengono archiviati documenti (delibere, interpellanze, interrogazioni, ordini del giorno/mozioni) relativi all'attività politica di comuni e regioni affinché siano condivisibili e/o adottabili dagli altri enti governati dal Movimento.La possibilità di usare queste funzioni dipende dal proprio profilo personale31 (riportato in alto a destra della pagina principale con le indicazioni di comune, provincia, circoscrizione nazionale e europea di appartenenza). In base alla zona di residenza o, per esempio, al fatto di essere un semplice iscritto oppure un rappresentante del Movimento, si avrà accesso alle funzioni di cui sopra. Le stelle relative alle funzioni saranno quindi “accese” o “spente” a seconda che le si possa utilizzare32. Oltre alle funzioni

sopraelencate, ve ne sono altre ancora in fase di implementazione e, quindi, attualmente non attive. Queste sono:- Activism: in cui verranno raccolti diversi materiali (volantini, manifesti, documenti esplicativi, programmi di eventi o iniziative) usati in varie occasioni dal Movimento.- Meetup33: in cui saranno disponibili tutte le informazioni relative ai meetup del Movimento 5 Stelle34. Diversamente da Rousseau, LiquidFeedback non è tarato per una specifica realtà. Questo infatti può essere usato in diversi contesti, non per forza in ambito politico, e adattato a seconda del caso.LQFB risulta quindi privo di funzioni social o di gestione simili a quelle di Rousseau. Compito specifico di LQFB non è infatti l'organizzazione della vita di un certo ente ma realizzare un sistema che, nel modo più dettagliato e fedele possibile, replichi on line il sistema off line delle deliberazioni di iniziative o proposte.La pagina principale di LiquidFeedback è organizzata quindi come una bacheca divisa in varie aree. Queste aree ordinano le varie proposte, denominate iniziative (initiative) a seconda della tipologia/argomento. Il layout si avvicina molto a quello di un forum o al

sistema delle directory e delle sottodirectory che, un po' come anche fa Rousseau, permettono a LiquidFeedback di gestire una struttura complessa, ramificata con più ambiti di interesse e su più livelli territoriali.

Sistema di deliberazioneRelativamente alla fase della proposizione e deliberazione delle varie proposte, Rousseau riacquista la struttura a forum di LiquidFeedback. Abbiamo, quindi, un elenco di proposte sulle quali gli utenti possono presentare osservazioni.A seconda delle sezioni (Stelle), gli iscritti possono presentare le loro proposte (Lex Iscritti) o commentare, fare osservazioni o proporre modifiche alle proposte già presentate dai rappresentanti del Movimento (Lex Parlamento o Lex Europa). Tali osservazioni saranno quindi valutate del responsabile della proposta e, eventualmente, apportate. Da tale processo uscirà il testo della proposta che poi affronterà il dibattito parlamentare.Sempre a seconda delle sezioni e dello stato della proposta (in discussione, discussione terminata, pubblicata), l’iter e i tempi possono ricalcare quelli corrispondenti alle attività parlamentari, in aula o in commissione.Più complesso e articolato è invece il meccanismo realizzato da LiquidFeedback il quale aspira a trasferire nel digitale

31 Che cos’è Rousseau?, consultabile al link: https://rousseau.movimento5stelle.it/index.php32 Per esempio, se si è residenti in una data regione si potrà partecipare solo alle votazioni e alle attività relative a quella regione. In questo caso la stella “Voto” risulterà accesa insieme a quella “Lex Regionale” se disponibile in quella regione. 33 Meetup è un servizio di social network che ha lo scopo di facilitare l'incontro di gruppi di persone in varie località del mondo sulla base degli interessi in comune, come la politica, i libri, i giochi. L'utente può inserire la propria località e l'argomento di interesse per visualizzare i gruppi al riguardo34 In Italia il sistema dei Meetup è diventato famoso proprio grazie al Movimento 5 Stelle quando, a partire dal 2005, è stato scelto dalle comunità simpatizzanti per Beppe Grillo per organizzare le proprie riunioni nelle varie città, molte delle quali sparse anche per il mondo. R. LUNA, 5Stelle, la rivoluzione politica di Meetup: le sezioni al tempo della Rete e quel 25%, Repubblica.it, 5 marzo 2013: www.repubblica.it/politica/2013/03/05/news/meetup_rivoluzione-53890946/

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ogni possibilità di proposizione, emendazione, discussione, delegazione, approvazione proprie del sistema deliberativo tradizionale35. In particolare esso ricalca il sistema legislativo delle tradizionali democrazie parlamentari: una volta presentate, le iniziative sono oggetto di diversi iter (policy) di approvazione36 che le portano fino alla fase finale della loro votazione da parte di tutti i membri della comunità di riferimento37.A prescindere degli iter si possono comunque rinvenire 4 fasi o "stati" dell'iniziativa38:1. Presentazione (admission phase): in cui la proposta (initiative) viene presentata alla comunità che valuta se di interesse e passibile di approfondimento. Se la proposta ottiene un certo quorum di adesioni o supporto (first quorum) si passa alla fase successiva. Diversamente l’iniziativa viene chiusa e non accede alle fasi successive. 2. Discussione (discussion phase): in cui la bozza di proposta viene notificata agli altri utenti e discussa e modificata. In questa fase si possono formulare suggerimenti o proposte alternative e chi nella precedente fase aveva

supportato la proposta può anche ritirare il suo supporto. Allo scadere del termine stabilito la proposta passa alla fase successiva.3. Congelata (verification phase): in cui la proposta è bloccata (non modificabile). Poiché il testo della proposta può cambiare diverse volte nella fase precedente, creando confusione sul suo contenuto definitivo, e per evitare che un ulteriore testo venga presentato allo scadere del termine, viene introdotta questa fase che “congela” l’ultimo testo discusso affinché tutti abbiano il tempo di analizzarla e rinnovare o revocare il proprio supporto. La comunità può quindi valutare la proposta nella sua versione definitiva. Non la può modificare ma può presentare proposte alternative che competeranno con la precedente. Allo scadere del termine stabilito, se la proposta continua ad essere supportata da un certo numero di utenti (second quorum) entra nell’ultima fase.4. Votazione (voting phase): in cui i membri della comunità votano a favore o contro la/le proposta/e o esprimono la loro preferenza tra più proposte. Possono essere previste varie modalità di voto,

con maggioranze39, tempi e caratteristiche diverse a seconda delle proposte.Nel corso degli anni LQFB è diventata una piattaforma di verbalizzazione delle opinioni molto dettagliata, capace di funzionare tramite diversi iter nonché gestire la votazione delle proposte anche tramite delega40. Infine, rilevante per LiquidFeedback è anche il tema degli open data. I dati relativi alle votazioni o alle attività svolte sulla piattaforma – non soltanto il numero di voti relativi all’esito delle votazioni ma anche quelli sulle preferenze, i dati relativi all’attività degli utenti, all’utilizzo delle deleghe, a chi supporta o no le proposte e al loro grado di soddisfazione ecc. – sono infatti resi disponibili in formati leggibili sia alle persone che ad altri sistemi operativi. In questo modo tali dati possono essere diffusi liberamente e ulteriormente analizzati, utilizzati e sottoposti a verifiche nelle più diverse forme41. Tale possibilità non sembrerebbe essere riscontrabile in Rousseau42.

Votazione43 finale All'esito di questi processi si arriva a un testo definitivo.

35 J. BEHRENS - A. KISTNER - A. NITSCHE - B. SWIERCZEK, The Principles of LiquidFeedback, cit., 16 e ss. 36 «In order to provide a fair process for decision making that scales with several thousand or more participants, LiquidFeedback employs a structured discussion where it is not possible for every participant to reply to any contribution. Instead, LiquidFeedback employs a system for exchanging arguments which agitates people to make constructive proposals in order to gain other people’s support». J. BEHRENS - A. KISTNER - A. NITSCHE - B. SWIERCZEK, The Principles of LiquidFeedback, cit., 59 37 J. BEHRENS - A. KISTNER - A. NITSCHE - B. SWIERCZEK, The Principles of LiquidFeedback, cit., 60 e ss. 38 Ogni fase prevede determinati quorum di interesse per la tematica e tempi contingentati. J. BEHRENS - A. KISTNER - A. NITSCHE - B. SWIERCZEK, The Principles of LiquidFeedback, cit., 66 e ss.39 «The LiquidFeedback process for decision-making contains much more than just Liquid Democracy: While Liquid Democracy is an integral part of LiquidFeedback, LiquidFeedback empowers its participants to engage in a scalable discussion process where every participant has equal rights. LiquidFeedback can assure that every participant gains knowledge of ongoing plans for resolutions early enough to be able to intervene where desired. While LiquidFeedback follows the democratic principle of the majority rule, its decision-making process implements multiple mechanisms to protect minorities in such way that noisy minorities do not harm other minorities». J. BEHRENS - A. KISTNER - A. NITSCHE - B. SWIERCZEK, The Principles of LiquidFeedback, cit., 111 40 J. BEHRENS - A. KISTNER - A. NITSCHE - B. SWIERCZEK, The Principles of LiquidFeedback, cit., 22 41 È per questo che, anche per LQFB, gli open data sono utili per la democrazia e la trasparenza. J. BEHRENS - A. KISTNER - A. NITSCHE - B. SWIERCZEK, The Principles of LiquidFeedback, cit., 116 e ss.42 Informazioni certe, a tal riguardo, non sembrerebbero disponibili nemmeno per la versione di LQFB usata dal partito pirata italiano43 Non si fa qui riferimento alle votazioni relative all’attribuzione di cariche (come potrebbe essere nella sezione Voto di Rousseau) ma alla possibilità degli utenti di esprimere la loro approvazione sul testo finale della proposta oggetto di dibattito

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Tramite Rousseau questo è il frutto degli accorgimenti inseriti dal responsabile della proposta grazie alle osservazioni fatte dagli iscritti.Non sembrerebbe prevista la possibilità di sottoporre il testo a una votazione finale. Votazione finale che, come visto precedentemente, è invece prevista in LiquidFeedback44. Ogni utente deve esprimere un voto favorevole o contrario alla proposta o, dove previsto, una preferenza fra più iniziative. La preferenza può inoltre essere espressa tramite più metodi (per esempio il metodo Schulze45) e sono previsti anche meccanismi per far fronte a eventuali “ballottaggi”46.L'attenzione di LQFB all'eguaglianza del diritto di voto, oltre che alla sua effettività, garantita anche tramite deleghe, arriva al punto da occuparsi della maggioranze di voto e dei meccanismi a protezione delle minoranze47.

Conclusioni All'esito di questa veloce analisi, nonostante le normali differenze tra le piattaforme, è possibile comunque trarre alcune considerazioni comuni.Le piattaforme di democrazia liquida sembrerebbero colmare le lacune che hanno

alimentato il disinteresse dei cittadini verso la politica, recuperandone il desiderio di partecipazione in attuazione dei principi costituzionali48. Ciononostante tali strumenti non sembrerebbero ancora in grado di fare a meno di forme di democrazia rappresentativa, anche per correggere eventuali criticità che l’utilizzo del digitale in Italia ancora porta con se49. Il successo di queste piattaforme sembrerebbe dunque risiedere proprio nella possibilità di unire forme di partecipazione “dal basso” con i tradizionali assetti della democrazia rappresentativa. La novità vincente di queste piattaforme potrebbe essere infatti l’aver saputo bilanciare forme di rappresentanza diretta con quelle indirette, senza osannare o condannare l’una o l’altra50. Ciò è vero soprattutto nel caso di Rousseau: la fase partecipativa, o di democrazia diretta, arriva fino al punto di poter presentare un documento. Questa possibilità si integra poi con forme di democrazia rappresentativa, o indiretta, per modificare il documento iniziale e sottoporlo così alle assemblee legislative.Elemento comune alle varie piattaforme è, ancora, la possibilità di discutere delle

proposte presentate dai loro membri ma non anche, o quanto meno non ancora, da soggetti esterni. Nella pratica parlamentare è frequente che più forze politiche presentino proprie proposte su una stessa tematica e, se anche ognuna di loro avesse una propria piattaforma di discussione interna, non è detto che al loro elettorato sia data la possibilità di conoscere, discutere o integrare proposte provenienti anche da altre forze politiche. Il rischio concreto è che il dibattito in una certa piattaforma si concentri sulla proposta in essa nata (in quanto spesso l’unica conosciuta) mentre la commissione parlamentare voti l’esame di una proposta presentata da altra forza politica. Ecco quindi un altro punto per cui la democrazia diretta necessita della rappresentanza di alcuni soggetti che negozino le proprie proposte con quelle degli altri. Inoltre, deve essere onere del responsabile della proposta discussa e modificata sulla piattaforma render conto agli utenti di come prosegue il dibattito nelle assemblee legislative. Diversamente, il processo partecipativo risulterebbe limitato in una sorta di “fase ascendente”

44 J. BEHRENS - A. KISTNER - A. NITSCHE - B. SWIERCZEK, The Principles of LiquidFeedback, cit., 91 e ss.45 Il metodo Schulze è un sistema di valutazione dei voti sviluppato da Markus Schulze  nel 1997 e tramite il quale si seleziona un singolo vincitore utilizzando voti di preferenza. J. BEHRENS - A. KISTNER - A. NITSCHE - B. SWIERCZEK, The Principles of LiquidFeedback, cit., 92 e ss.46 J. BEHRENS - A. KISTNER - A. NITSCHE - B. SWIERCZEK, The Principles of LiquidFeedback, cit., 100 e ss.47 «Democracy means that decisions are made by majorities. Consequentially, every decision without unanimous assent leads to an overruled minority. Nevertheless, minorities can, and must be, protected in certain ways». J. BEHRENS - A. KISTNER - A. NITSCHE - B. SWIERCZEK, The Principles of LiquidFeedback, cit., 72 e ss. 48 Sono diverse le norme costituzionali che possono essere richiamate. Le piattaforme di democrazia liquida possono essere un modo per esercitare la sovranità popolare (art. 1 Cost.), per adempiere ai doveri inderogabili di solidarietà politica (art. 2), rimuovere gli ostacoli che impediscono l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economico e sociale del Paese (art. 3 comma 2), associarsi (art. 18), esprimere il proprio pensiero (art. 21), organizzarsi in sindacati (art. 39) e partiti politici (art. 49), votare (art. 48) e molti altri ancora.49 Fenomeni come il digital divide o l’analfabetismo digitale se da una parte ritardano l’utilizzo del digitale, dall’altra escluderebbero dall’uso di queste piattaforme i soggetti privi delle ade-guate “digital skills”. Il ricorso a forme di democrazia liquida, proprio perché non abbandona gli elementi tipici della rappresentanza indiretta, potrebbe correggere i rischi insiti all’utilizzo dello strumento telematico ossia, sintetizzando, il «rischio di esclusione sociale dei soggetti che tuttora subiscono gli effetti del divario digitale» e «lo slittamento dei centri di imputazione del potere direttivo di una forza politica al di fuori del circuito democratico». L. NANNIPIERI, I partiti politici italiani sul web, in La rete Internet come spazio di partecipazione giuridica, F. MARCELLI – P. MARSOCCI – M. PIETRANGELO (a cura di), cit., 207 e ss.50 In questo modo si potrebbe ridurre il rischio di un «vulnus nella partecipazione dei consociati». L. NANNIPIERI, I partiti politici italiani sul web, in La rete Internet come spazio di partecipa-zione giuridica, F. MARCELLI – P. MARSOCCI – M. PIETRANGELO (a cura di), cit., 191 e ss.

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delle proposte, senza dar modo agli utenti di operare un controllo o una verifica del recepimento, corretto o meno, dei loro contributi.Risulterà chiaro quindi come l’effettivo funzionamento di tali piattaforme dipenderà dalla loro capacità di rintracciare, ogni volta che sia necessario, il giusto equilibrio tra la componente diretta e indiretta della rappresentanza.Nonostante la partecipazione dei cittadini/utenti, dunque, il ruolo del rappresentante non viene meno, tanto nella fase di redazione51 del testo, tanto in quella legislativa vera e propria, in commissione o aula, tanto in sede di controllo successivo del loro operato.Inoltre, nonostante tali piattaforme lavorino incessantemente per garantire eguaglianza e partecipazione, ciò non arriva al punto da assicurare la certificazione di alcune procedure proprie dell’attività parlamentare: per esempio la garanzia di trasparenza e pubblicità delle attività e, soprattutto, la professionalità dei pareri espressi in sede di audizione. Relativamente alle audizioni, queste permettono di reperire il parere tecnico di esperti, professori o esponenti riconosciuti in determinate

realtà. Tale meccanismo (o meglio la garanzia del suo funzionamento, quanto meno formale) non sembrerebbe facilmente replicabile nella realtà on line. Non sembrerebbe infatti possibile accertare o far valere l'autorevolezza, l’esperienza, la conoscenza scientifica o la professionalità tecnica di alcuni senza “discriminare”, e quindi porre su piani diversi, gradare diversamente, la partecipazione dei singoli52.Nessun sistema è però perfetto e ognuno ha in sé i germi della sua degenerazione. Tuttavia, è proprio la presenza di zone d’ombra in entrambi i modelli di rappresentanza a permettere a questi di funzionare meglio se integrati. Ognuno dei due troverebbe quindi soluzione nell’altro53.In conclusione, le piattaforme di democrazia liquida sembrerebbero massimizzare la loro utilità, nonché gli effetti rinvigorenti sull'attuale sistema istituzionale, non come ostacolo ai processi di democrazia indiretta, bensì proprio come supporto a questi.Tali piattaforme potrebbero infatti inserirsi all'interno dei tradizionali processi democratici per colmare le lacune frutto dell'evolversi

dei tempi. In questo modo, da una parte le piattaforme di democrazia liquida troverebbero la loro giustificazione all'interno del processo rappresentativo54, dall'altro questo troverebbe nelle piattaforme nuova linfa vitale.

51 Per esempio in Rousseau spetterà al responsabile della proposta analizzare i commenti pervenuti e valutare le modifiche da apportare52 Si deve rilevare però che quella di porre tutti sullo stesso piano, garantendo tanto ad esperti che cittadini lo stesso diritto di esprimersi, è una precisa scelta di principio del M5S. Sebbe-ne questa risulti certamente condivisibile in astratto, non sembrerebbe possibile escludere che problemi possano verificarsi in specifici contesti particolari laddove non sempre i cittadini hanno le competenze tecniche richieste dalle circostanze e vi potrebbero essere difficoltà nel verificare l’attendibilità di alcuni pareri. Tale principio generale risulta infatti mitigato in alcuni casi, ossia quando è lo stesso Movimento che, al di fuori dei tradizionali canali partecipativi messi a disposizione de Rousseau, dà voce e rilievo a determinati soggetti esperti. Si veda, a tal riguardo, il parere espresso da uno scienziato sul tema “mobilità elettrica”: Votazione online: primo quesito del Programma Energia 5 stelle, 14.12.16, consultabile al link: www.beppegrillo.it/2016/12/votazione_online_primo_quesito_del_programma_energia_5_stelle.html 53 La democrazia liquida, estendendo al digitale le riflessioni sulla democrazia partecipativa, «viene a inserirsi nel disegno complessivo della democrazia rappresentativa, a combinarsi con essa integrandone le lacune e a correggere i difetti di cui questa soffre in forza dei suoi artifici originari e della crisi che con evidenza oggi patisce. Ciò che essa essenzialmente si propone è dunque ciò che si può chiamare la ulteriore democratizzazione della democrazia, di questa realtà cioè sempre incompiuta, sempre piena di problemi, sempre da migliorare e conquistare». U. ALLEGRETTI, La democrazia partecipativa in Italia e in Europa, cit., 4 54 Soprattutto tali piattaforme potrebbero essere oggetto di opposite normative che attribuirebbero rilevanza giuridica ai suoi risultati. Si supererebbe così la differenza tra l’agire privato in Rete (e quindi in pubblico) e l’agire pubblico in Rete, laddove il primo, per i profili di nostro interesse, risulta ancora giuridicamente irrilevante.Gli stessi profili problematici sono rintracciabili in tema di consultazioni pubbliche per le quali si rinvia a M. PIETRANGELO, Il contributo di Internet alla partecipazione popolare, in La rete Internet come spazio di partecipazione giuridica, F. MARCELLI – P. MARSOCCI – M. PIETRANGELO (a cura di), cit., 76 e ss.

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Lo scorso 4 dicembre l’esito del voto popolare ha visto uscire vincitore il fronte del NO con uno schiacciante, e oserei dire inaspettato, 60 % dei voti. Fiumi di parole sono state versate all’esito del referendum costituzionale e le analisi del post voto, nell’era dei mass e social media, continuano in maniera incessante alla ricerca della più calzante e popolare lettura del momento. Le analisi, dunque, sono state le più disparate e partendo da queste vorrei concentrarmi su due elementi che sono emersi all’interno del dibattito politico e che in parte sono affrontati dagli articoli che troverete all’interno di questo nuovo numero della rivista: la rappresentanza e il populismo. Partendo da quest’ultimo, molte delle testate, perlopiù internazionali, hanno accolto il voto italiano come il frutto del dispiegarsi dell’ondata populistica partita dal referendum sulla brexit, passata negli Stati Uniti con l’elezione di Mr Trump fino a giungere inesorabilmente nel Belpaese nostrano. Questa superficiale lettura, sposata anche dal New York Times (blasonato quotidiano d’oltre oceano), ha il rischio di caricare di significato la parola “populismo” con l’effetto di creare un minestrone con i più e diversi ortaggi di stagione. Infatti, il termine nelle diverse scienze sociali ha acquisito diversi e mutevoli significati in relazione ad altrettanti diversi contesti socio-economici

nei quali è stato analizzato e osservato. Nato in Russia e riferibile all’alba del XX secolo, il populismo fu un movimento culturale, prima ancora che politico, che per il tramite della propaganda degli intellettuali mirava all’istruzione e alla rivendicazione sociale delle classi meno agiate del paese. Con il passare del tempo, il termine ha assunto una connotazione prettamente negativa.Per queste ragioni ad oggi l’uso sconsiderato del termine ha così tanti e diversi significati al tal punto da perdere qualsiasi contenuto semantico. Che cosa intendiamo, infatti, oggi con populismo? Quali sono i movimenti e le rivendicazioni populiste? Più banalmente chi, a ragione, può essere tacciato come populista? Se mettessimo in una stanza dieci persone con una differente estrazione sociale, culturale, anagrafica, e con una altrettanta diversa istruzione, etnia e religione credo che forse avremmo tanti significati di populismo quanto i componenti della nostra stanza immaginaria. È solo una scommessa che in futuro mi prometto di realizzare. Leggere, quindi, la crisi dei sistemi politici attuali dividendo il mondo su due assi: populisti e non ha il difetto di non cogliere appieno le trasformazioni del nostro tempo. Credo, piuttosto, che il voto italiano sul referendum costituzionale sia il frutto sicuramente di un crescente

malcontento dei cittadini sulle attuali condizioni socio-economiche nelle quali si vive ma che è alimentata dalla frustrazione dovuta al cortocircuito del sistema rappresentativo del nostro Paese.Non si spiega altrimenti perché una riforma promossa per le future generazioni, era questo il leit motiv del Presidente del Consiglio in campagna elettorale, è stata bocciata proprio dalle fasce di età più giovani del Paese destinatarie dell’auspicato cambiamento istituzionale (una analisi sui flussi elettorali pubblicata su sky TG24 mostra che la percentuale di NO nella fascia di età tra i 18 e i 34 anni si attesti intorno all’80 % dei votanti). La bocciatura del referendum non può essere letta solo come una bocciatura del Governo Renzi ma anche e soprattutto di una dura critica nei confronti del Parlamento e della sua maggioranza che a più riprese ha sostenuto e votato il progetto governativo.Sicuramente lo scollamento tra la classe politica e la società civile è dipeso in buona misura da una legge elettorale che ha favorito l’ingresso nelle assemblee elettive di esponenti nominati dai partiti e non già dai cittadini. Anche per queste ragioni, forse, la forzatura di intraprendere la riscrittura della nostra Carta costituzionale all’interno di un parlamento più e più volte delegittimato è parso agli occhi dell’opinione pubblica come

Affari Costituzionali

Editoriale

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un affronto incompreso. Più in generale ritengo che l’attuale crisi della democrazia rappresentativa parta dal lento e inesorabile svuotamento dei poteri del Parlamento. I processi di globalizzazione e di integrazione ultra-statale hanno favorito una retorica bastata sulla celerità dei processi decisionali, ossia sulla capacità di dare risposte brevi in tempi altrettanto brevi, con l’inevitabile sacrifico del dibattito politico e della composizione di interessi divergenti.

Affari Costituzionali

Simone Neri

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Il ddl n. 2439, intitolato "Disposizioni in materia di partiti politici. Norme per favorire la trasparenza e la partecipazione democratica", approvato dalla Camera dei deputati l'otto giugno 2016 ed ora all'esame del Senato della Repubblica, interviene, così come chiarito dall'art. 1 del dettato normativo, in materia di trasparenza e democraticità dei partiti, movimenti e gruppi politici organizzati al fine di favorire la più ampia partecipazione dei cittadini alla vita politica ed all'attività delle istituzioni pubbliche del nostro Paese.La trasparenza, come noto, è un obiettivo che il legislatore nel corso degli ultimi anni sta cercando di rendere effettivamente e finalmente concreto, ovvero realmente realizzabile, con riferimento ai diversi apparati amministrativi dell'ordinamento giuridico italiano2.

Ma in relazione all'organizzazione dei partiti politici assume un significato ancora più rilevante, specialmente in un contesto come quello attuale ove la crisi delle istituzioni e la scarsa fiducia dimostrata dai cittadini verso coloro che ricoprono cariche elettive determinano un ripensamento necessario della qualificazione giuridica dei partiti politici allo scopo di renderli maggiormente rappresentativi delle istanze dei diversi gruppi sociali di cui si compone un sistema complesso quale è il nostro3.L'art. 49 della Costituzione, ricompreso nella parte prima dedicata ai diritti ed ai doveri dei cittadini, ha previsto che questi possano associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico4 a determinare la politica nazionale5.Come sottolineato dall'

orientamento maggioritario della dottrina, l'art. 49 deve essere letto in combinato disposto con l'art. 18 Cost., che riconosce il diritto di associazione dei cittadini6 per fini non vietati dalla legge penale. Il fenomeno dei partiti politici è stato, pertanto, disciplinato dal nostro legislatore costituente come un fondamentale diritto di libertà dei cittadini7.Lo statuto giuridico dei partiti politici italiani è stato interpretato, sulla base delle disposizioni della Costituzione, alla stregua di quello delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche, regolate in via generale dalle stesse norme del codice civile (in particolare, gli articoli 36-38) applicabili ad enti dalla strutturazione alquanto debole, quali ad esempio le associazioni di carattere ricreativo.

1 Dottorando di ricerca in Business and Law nell'Università degli Studi di Brescia2 Si pensi, in particolare, al d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, c.d. Testo Unico sulla trasparenza, adottato in attuazione della Legge 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. Legge anticorruzione), che ha riordinato gli obblighi di trasparenza e di pubblicazione dei dati da parte delle Pubbliche Amministrazioni e dei soggetti da esse controllati. Sul punto cfr. M. Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, in Giorn. dir. amm., 2013, 797 ss., secondo cui il Testo Unico in questione ha proposto un modello di Freedom of Information Act “a costo zero”; M.C. Caval-laro, Garanzie della trasparenza amministrativa e tutela dei privati, in Dir.amm., 2015, 121 ss., evidenzia come “l’istituto che meglio di ogni altro può assicurare la trasparenza amministrativa, implementando, per un verso, pratiche di “buona amministrazione” e arginando, per altro verso, fenomeni di “mala amministrazione”, è la accessibilità totale delle informazioni e dei documenti riguardanti l’azione amministrativa nel suo complesso. Al punto che, nel d.lgs. n. 33 del 2013, la trasparenza è intesa come condizione di garanzia dei diritti individuali”; cfr. inoltre A. Simonati, La trasparenza amministrativa e il legislatore: un caso di entropia normativa, in Dir.amm., 2013, 749 ss.; V. Torano, Il diritto di accesso civico come azione popolare – The civic right to access as actio popularis, in Dir.amm., 2013, 789 ss.3 Sulla crisi dei partiti, intendendosi questi come "partiti sociali di integrazione", tali da assicurare un collegamento stabile con gli elettori e realizzare pertanto una partecipazione politica permanente del popolo, cfr. R. Bin, G. Pitruzzella, Torino, 2012, 56 ss.4 P. Caretti, U. De Siervo, Istituzioni di diritto pubblico, Torino, 1999, 615, ritengono che il limite del rispetto del metodo democratico, una volta escluso che configuri un limite di ordine ideo-logico, riguardi non solo l’attività esterna del partito ma anche l’organizzazione interna dello stesso, e cioè attenga anche ai rapporti tra il partito ed i singoli iscritti.5 Secondo S. Bartole, Partiti politici, in Dig. disc. pubbl., Torino, 1995, vol. X, 707, “l’odierna crisi del sistema politico pone evidentemente il problema di un ripensamento della normativa costi-tuzionale in vista della esigenza di accertare se il citato art. 49 (…) avrebbe consentito altri e diversi esiti al sistema politico, o se, invece, un’inversione di rotta non avrebbe richiesto – aldilà di eventuali riforme della legislazione ordinaria – il ricorso alla revisione costituzionale, per una modifica della disciplina costituzionale dei partiti, ovvero di quelle norme sulla forma di governo che hanno permesso una espansione né ragionevole né giustificata del ruolo dei partiti nel sistema”6 Così, per tutti, V. Crisafulli, I partiti nella Costituzione, in Studi per il XX anniversario dell'Assemblea costituente, Firenze, 1969, vol. II, 105 ss.7 Per uno studio comparato con l’ordinamento tedesco, ove si stabilisce a livello costituzionale che i partiti collaborano alla formazione della volontà politica del popolo e che il loro ordi-namento interno deve corrispondere ai principi fondamentali della democrazia, cfr. C. Pinelli, Disciplina e controlli sulla “democrazia interna” dei partiti, Padova, 1984, 38 ss.

Affari Costituzionali

L'ATTUAZIONE DELL'ART. 49 DELLA COSTITUZIONE

Michele Ricciardo Calderaro1

Disciplina giuridica e trasparenza dei partiti politici

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Si tratta di un'opzione interpretativa chiaramente enucleabile dalla legislazione emanata in epoca repubblicana, che ha fatto propria una linea non interventista sia sul piano delle garanzie interne alla vita associativa dei partiti sia per quanto concerne il regime degli eventuali controlli esterni8.L'art. 2, co. 4, del disegno di legge in commento conferma questa qualificazione giuridica prevedendo che, salva diversa disposizione di legge, dello statuto o dell'accordo associativo, l'organizzazione ed il funzionamento dei partiti, movimenti e gruppi politici organizzati sono regolati dalle norme che disciplinano le associazioni non riconosciute.Diverse sono le disposizioni del presente disegno di legge che si propongono di implementare la trasparenza dell'organizzazione, dei bilanci e dei finanziamenti dei partiti politici, ove con questa denominazione si intendono, seguendo un oramai classico orientamento della dottrina non solo italiana, le spontanee formazioni sociali che assumono come loro elemento unificatore una comune concezione politica o comuni interessi politici, proponendosi al contempo la conquista del potere9.Data l'importanza del tema, siamo dinnanzi a disposizioni dalla valenza sociale fondamentale specialmente

laddove si consideri che la funzione primaria dei partiti politici è in un contesto democratico quella di collegare la società all'ordinamento giuridico che deve rifletterne la struttura ed i bisogni.Ed infatti, se i diritti politici, secondo la volontà del legislatore costituente, sono oramai conferiti ad ampi strati della popolazione, è evidente che i partiti politici assumono un compito di mediazione, che l'adempiono, in un primo momento, enucleando dalla coscienza sociale gli interessi e le concezioni politiche predominanti, e dando loro espressione e capacità di influenza sulla pubblica opinione, in un secondo, immettendo nell'organizzazione statale le concezioni stesse e sostenendone l'attività rivolta alla loro attuazione10.Con il disegno di legge si vogliono garantire la trasparenza ed il metodo democratico dei partiti politici, assicurando a tutti gli iscritti di partecipare, senza discriminazioni, alla determinazione delle scelte politiche che impegnano il partito.A tal riguardo, viene anzitutto modificato l'art. 3, co. 2, d.l. 28 dicembre 2013, n. 149, conv. in Legge 21 febbraio 2014, n. 13, decreto dedicato all'abolizione del finanziamento pubblico diretto, nonché alla trasparenza

ed alla democraticità dei partiti politici11.In particolare viene disposto che lo statuto debba prevedere non solo i diritti ed i doveri degli iscritti, ma anche, in modo più dettagliato, le modalità di partecipazione di questi ultimi alle fasi di formazione della proposta politica del partito, compresa la selezione dei candidati alle elezioni, e quindi a partire dalle c.d. primarie, nonché le regole per l'istituzione e l'accesso all'anagrafe degli iscritti, consultabile da ogni iscritto nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali dettata dal codice della privacy. Il disegno di legge in commento dispone non solo quale deve essere il contenuto dello statuto dei partiti politici ma anche che questi ultimi, nei rispettivi siti internet, debbono prevedere una apposita sezione, denominata "Trasparenza", ove pubblicare lo statuto - se il partito è iscritto nell'apposito registro di cui all'art. 4, d.l. n. 149 del 2013, ovvero il registro dei movimenti politici che possono accedere ai diversi benefici economici previsti dal citato decreto quali la destinazione volontaria del due per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e le detrazioni per le erogazioni liberali in denaro in favore dei partiti - ma anche il rendiconto di esercizio, la relazione del

8 Cfr. G. Rizzoni, Art. 49, in Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, vol. I, 9849 Così, per tutti, P. Virga, Il partito nell'ordinamento giuridico, Milano, 1948, 15 ss., che, dal punto di vista giuridico, qualifica il partito politico come associazione giuridica, ovvero come unione stabile ed organizzata di più persone che si propongano fini politici; "come tale esso non differisce dalle altre associazioni giuridiche che vivono entro lo Stato, ne condivide la natura giuridica, il regime patrimoniale e la disciplina legislativa relativa alla rappresentanza, al fondo sociale, alle responsabilità degli amministratori"; per la dottrina tedesca si veda, ad esempio, G. Radbru-ch, Grundzüge der Rechtsphilosophie, Leipzig, 1914, 9610 In tal senso cfr. C. Mortati, Note introduttive a uno studio sui partiti politici nell'ordinamento italiano, in Scritti giuridici in memoria di V.E. Orlando, Padova, 1957, vol. II, 114 11 Sul punto cfr. A. Barbera, C. Fusaro, Corso di diritto pubblico, Bologna, 2014, 249 ss., secondo cui il d.l. n. 149 del 2013, "sulla base di una interpretazione aggiornata del metodo democratico prescritto dalla Costituzione, ha così introdotto i primi elementi per una regolamentazione giuridica dei partiti"

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revisore o della società di revisione, ove prevista, nonché il verbale di approvazione del rendiconto di esercizio da parte del competente organo del partito politico (così l'art. 5, co. 1).L'intento di implementazione della trasparenza emerge con chiarezza dalla disposizione che il legislatore detta per i partiti non iscritti nel registro di cui al citato art. 4, d.l. n. 149 del 2013. Difatti, si prevede che nella medesima sezione "Trasparenza" del proprio sito internet debbano essere pubblicate le procedure richieste per l'approvazione degli atti che impegnano il partito, la composizione e le attribuzioni degli organi deliberativi, esecutivi e di controllo, le modalità della loro elezione e la loro durata, le modalità di selezione delle candidature e l'organo investito della rappresentanza legale (art. 5, co. 2).La trasparenza non può ritenersi effettiva se non comprende altresì i dati finanziari e di carattere patrimoniale dei partiti12.E così sempre nella stessa sezione "Trasparenza" del proprio sito internet di cui al precedente art. 5, l'art. 6 dispone che ciascun partito deve pubblicare in maniera facilmente accessibile, da un lato, l'elenco di tutti i beni immobili, dei beni mobili registrati e degli strumenti finanziari di cui all'art. 1, co. 2, d.lgs. n. 58 del 1998 e, dall'altro, le erogazioni di finanziamenti,

contributi e servizi di importo pari o superiore a 5.000 euro percepite nel corso di ogni anno; tuttavia, con disposizione di garanzia per coloro i quali intendano contribuire finanziariamente all’attività dei partiti, si prevede che le erogazioni di importo complessivo annuo compreso tra 5.000 e 15.000 euro possano essere pubblicate nella citata sezione solamente previo consenso del soggetto erogante, consenso che deve essere prestato necessariamente in forma scritta a’ sensi dell’art. 23, co. 4, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, c.d. codice in materia di protezione dei dati personali.L’obbligo di trasparenza cui mirano le disposizioni in commento non sarebbe tale se non fosse prevista un’apposita sanzione in caso di inadempimento. Ed infatti, il co. 2 ed il co. 13 dell’articolo in commento prevedono che, in caso di inadempimento dell’obbligo di pubblicazione dei dati finanziari richiesti, la Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici di cui all’art. 9, co. 3, Legge 6 luglio 2012, n. 96 applica ai partiti politici una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro a seconda che non siano stati pubblicati gli elenchi dei beni mobili o immobili posseduti o i contributi ricevuti.Per la mancata dichiarazione dei finanziamenti ricevuti il successivo co. 14 prevede che

al responsabile della stessa si applichi una multa da due a sei volte l’ammontare non dichiarato e la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici di cui all’art. 28, co. 3, cod. pen.La sanzione è sicuramente grave, tale da configurare un illecito dai caratteri non solo amministrativi bensì anche penali, che si può, tuttavia, comprendere cogliendo l’intento del legislatore di rendere l’obbligo di trasparenza dei partiti politici un obbligo effettivo volto a garantire, da un lato, la loro democraticità e, dall’altro, la più ampia partecipazione dei cittadini alla vita ed all’attività politica degli stessi.Peraltro, si tratta di una disposizione che ricalca quanto già previsto dall’art. 47, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, decreto attuativo della c.d. Legge Severino n. 190 del 2012, che prevede sanzioni simili per chi si rende responsabile di inadempimenti agli obblighi informativi e di trasparenza cui oggi tutte le Pubbliche Amministrazioni latamente considerate sono tenute.Degna di nota risulta altresì la disposizione di cui all’art. 7 del disegno di legge in commento volta a semplificare i rapporti tra le autonomie locali ed i partiti politici. Ed infatti, si prevede che gli enti territoriali, previa disciplina della materia con apposito regolamento, possono anzitutto fornire beni o servizi ai partiti e movimenti politici iscritti nel registro dei

12 Al fine di prevenire ogni forma di illecito finanziamento: sul punto cfr. F. Forzati, I fatti di illecito finanziamento ai partiti politici: prospettive dommatiche e di politica criminale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1996, 658 ss.

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partiti politici di cui al citato art. 4, d.l. n. 149 del 2013.Gli stessi enti territoriali, inoltre, possono stipulare con i partiti registrati convenzioni, e quindi strumenti di carattere negoziale, per la messa a disposizione di locali per lo svolgimento di riunioni, assemblee o altre iniziative finalizzate allo svolgimento dell’attività politica dietro il pagamento di un canone per il funzionamento e la manutenzione dei locali secondo tariffari definiti dalle Amministrazioni locali.In sede attuativa, vi sarà la necessità che gli enti locali determinino nel dettaglio quali sono le attività che legittimano la concessione dei locali pubblici e le tariffe per ogni tipologia di attività espletata

dai partiti nei suddetti locali.Si tratta di una disposizione che, se attuata correttamente, può sicuramente determinare un incremento della partecipazione dei cittadini alle attività dei partiti politici, rendendosi effettivamente portatori dei diversi interessi locali.Un ultimo cenno deve essere destinato agli articoli 3 e 4 volti a disciplinare la trasparenza della partecipazione dei partiti politici alle elezioni della Camera dei deputati (la previsione della sola Camera dei deputati è coerente con il disegno di riforma della Costituzione che prevede un Senato che dovrebbe essere composto da membri eletti tra i consiglieri regionali, con un elezione dunque di secondo

grado).L’art. 3 modifica alcune norme del d.p.r. 30 marzo 1957, n. 361, Testo Unico per l’elezione della Camera dei deputati, tra cui, in particolare, l’art. 14. Si prevede, difatti, che i partiti politici, che intendano presentare liste di candidati nei collegi plurinominali, devono contestualmente depositare presso il Ministero dell’Interno il contrassegno con il quale dichiarano di voler distinguere le liste medesime nei singoli collegi plurinominali nonché il proprio statuto ovvero, in mancanza, una dichiarazione del legale rappresentante, che indichi determinati elementi minimi di trasparenza: tra questi, il legale rappresentante del partito, la sede legale nel territorio dello Stato, gli

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organi del partito e la loro composizione e la modalità di selezione dei candidati per la presentazione delle liste.Viene, inoltre, modificato l’art. 22 del Testo Unico, prevedendosi che l’Ufficio elettorale circoscrizionale, entro il giorno successivo alla scadenza del termine stabilito per la presentazione delle liste dei candidati, ricusi le liste presentate da partiti che non abbiano depositato lo statuto o la dichiarazione contenente gli elementi minimi di trasparenza nonché quelle presentate da partiti che non abbiano depositato il proprio programma elettorale.Un continuo scambio di informazioni sulla propria attività e sul proprio programma è correttamente ritenuto dal legislatore uno strumento per implementare la democraticità e la trasparenza dei partiti. Ed è così che il contrassegno, lo statuto ovvero la dichiarazione di trasparenza depositati debbono essere pubblicati da ciascun partito nella sezione "Trasparenza" del proprio sito internet. Dall’esame complessivo del disegno di legge emerge che siamo dinnanzi ad un progetto ambizioso avente uno scopo chiaro: attuare finalmente il disposto dell’art. 49 Cost13.Si tratta di un obiettivo ambizioso ma necessario

per realizzare il principio di democraticità che regge il nostro ordinamento14.Ciò si può fare soltanto rendendo trasparente l’organizzazione e l’attività dei partiti, coinvolgendo di conseguenza sempre di più tutti i cittadini nella vita delle nostre istituzioni democratiche15.E tutto questo non potrà che avere un effetto positivo altresì sull’efficienza dell’intero apparato amministrativo dello Stato.

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13 Sulla perdurante inattuazione del disposto dell’art. 49 Cost. cfr., per tutti, G. Negri, Per uno studio giuridico dei partiti politici, in Il diritto dei partiti in Italia (1945-1970), a cura di P. Ungari, Camera dei Deputati, Roma, 1971, 3 ss., nonché S. Merlini, Note sulla progressiva scomparsa della forma di governo parlamentare in Italia: dall’Assemblea Costituente al disegno di legge Renzi-Boschi sul “superamento del bicameralismo paritario”, in Giur. cost., 2014, 3613 ss.14 G. Rivosecchi, La disciplina della politica. Lo status degli esponenti politici e la crisi dei partiti, in Riv. trim. dir. pubbl., 2015, 339 ss., osserva come la crisi economico-finanziaria ed i vincoli sempre più stringenti derivanti dall’Unione europea abbiano inciso sugli stessi processi di rappresentanza; ed infatti, questi “prescindono sempre più dal ruolo dei partiti politici, quantomeno nella loro dimensione organizzativa e partecipativa tradizionale, anche come strumenti di organizzazione dell’offerta politica, per dispiegarsi, invece, nella valorizzazione della dimensione individuale del diritto di voto e del rapporto tra elettore ed eletto, e nel conseguente rafforzamento della disciplina relativa alla condotta dei singoli esponenti politici e dei relativi controlli”. In tema di controlli, si rinvia all’interessante studio di F. Cintioli, Giurisdizione della Corte dei Conti e partiti politici, in Dir. e proc. amm., 2016, 357 ss., che analizza i risvolti dell’estensione della giurisdizione della Corte dei Conti nei confronti dei responsabili della gestione patrimoniale dei partiti.15 Per un commento alle novità che il testo di riforma costituzionale, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016 e sottoposto a referendum, comporterebbe in materia di partecipazione e controllo popolare cfr. C.E. Gallo, Un nuovo Stato regionale, in Giustamm.it, 2016, 1 ss.

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1. Perché per Fare Politica Bisogna Essere Estremi?In politica, ad oggi, non c’è spazio per il Taoismo. Abbiamo presente il Tao, quel simbolo di saggezza in bianco e nero che simboleggia l’armonia dell’universo, secondo cui, in ogni cosa, vive anche il suo opposto. Ebbene in politica, non è dato soffermarsi, con onestà intellettuale, sui possibili effetti collaterali di una riforma, non è dato dubitare delle proprie proposte, ma bisogna difendere sempre e comunque, tutto quanto riguardi la propria figura “a spada tratta”. Nonostante la maggiore complessità delle questioni trattate, così diramate da comportare, spesso, risvolti assolutamente imprevedibili alla limitate capacità di previsione in nostro possesso, non è ammessa cautela. Il proprio programma va difeso come il bene assoluto, quello degli avversari va denigrato come il male assoluto. Ovviamente, scaricando sempre sull’altro la colpa per l’impossibilità di raggiungere un confronto costruttivo. Ma c’è una ragione per questa estremizzazione? Ecco, io ritengo che molto dipenda dal nostro sistema elettorale. Questo, segnando le regole del gioco, inevitabilmente si

ripercuote sull’atteggiamento dei nostri politici, che proprio a tal gioco vogliono partecipare. In particolare, possiamo osservare che l’estremizzazione dei contenuti sia largamente dipendente dal meccanismo “a preferenza secca” del nostro sistema elettorale. Per sistema “a preferenza secca”, intendo un sistema elettorale in cui i cittadini esprimono un unico voto per candidato/partito da

questi preferito. In opposizione a questo sistema esistono i sistemi elettorali “a preferenza multipla”, in cui l’elettore può indicare sulla scheda più di un candidato o partito, in ordine di preferenza.Immaginiamo che vi siano 20 elettori, 8 pensano solo all’ambiente come bene da

proteggere e 12 pensano alla crescita economica. Il budget statale è di 20. La distribuzione ottimale sarebbe quella che meglio riflette le preferenze della società dunque 12 unità di budget spese in crescita economica e 8 unità in protezione dell’ambiente. Ora però ci sono tre candidati. Uno propone di spendere 20 in crescita economica, uno propone di spendere 20 in

salute ed il terzo propone di spendere 12 in crescita economica e 8 in ambiente. Nel sistema odierno, solo i primi due candidati, i più estremi verranno votati. Difatti, il candidato che supporta solo la crescita economica è il candidato preferito da 12 elettori, mentre quello che

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POPULISMO E DEMOCRAZIA DIGITALE

Mattia Morani

La Legge Elettorale Può Difenderci

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supporta solo l’ambiente è il preferito di 8 elettori. Il risultato, in un contesto maggioritario a voto plurimo, è la vittoria del solo candidato che supporta la crescita economica, in quanto vince le elezioni con il 60% dei voti.Il breve esempio offre una chiara dimostrazione di come, per essere effettivi in un’elezione, bisogna essere estremi. Ciò non cambia se ipotizzassimo che i singoli elettori apprezzino tanto l’ambiente, quanto la crescita economica, ma in modi diversi1. Fintanto che ipotizziamo degli elettori con sistemi di preferenze differenti, potrebbe sempre esserci un candidato che rappresenta la media perfetta dei due! Il quale, però, non viene eletto, in quanto sbalzato da due candidati più estremi, ciascuno in grado di calzare meglio le preferenze dei rispettivi gruppi di elettori. Il risultato deve far riflettere, perché un sistema così impostato presenta gravi problematiche: (i) non consente alle minoranze un’effettiva rappresentanza, fomentando pericolose spaccature nella società; (ii) impedisce un’allocazione delle risorse efficiente, dove per efficienza si intende l’ottimo paretiano, la scelta democratica che massimizza l’utilità di tutti. Si assume, dunque, in linea con la tradizione liberale, che ciascun individuo sappia meglio di chiunque quanto è meglio per

sé stesso. La domanda allora è strutturale, questa democrazia è il potere di tutti o il potere dei più? Si segnala come, un sistema a “preferenza multipla” è meno esposto a questa deriva all’estremizzazione. Difatti, in tale sistema, nell’esempio riportato, il candidato di mezzo sarebbe stato preferito da chi vota solo ambiente, al candidato che propone solo industria e sarebbe stato preferito da chi vota solo industria al candidato che propone solo ambiente. Dunque sarebbe l’unico candidato su cui si trovano d’accordo i due gruppi di elettori. Se questi dovessero raggiungere un accordo, questo sarebbe l’unico candidato su cui si sarebbero potuti accodare, quello del compromesso, del “win-win” contrattuale.

2. L’Esempio Elettorale e la Soluzione Del Voto MaggioritarioI difetti del sistema elettorale maggioritario sono spesso riportati dagli studiosi di “Social Choice Theory”. L’inizio di questa disciplina si rintraccia con il paradosso del Barone di Condorcet, godendo poi dell’importante contributo del teorema dell’impossibilità di Kenneth Arrow, vincitore del Nobel per l’economia. Altrettanto rilevanti in questo campo sono contributi di due altri premi Nobel, Maskin e Amartya Sen, i quali, entrambi,

si sono schierati a favore di un sistema elettorale a preferenze multiple2.La maggiore rispondenza del sistema a “preferenza multipla” con il sentire della società è dimostrata con il seguente esempio. Si immagini un’elezione italiana a quattro candidati: Renzi, Grillo, Berlusconi e Letta. Ciascun candidato riscuote una percentuale di votanti, come indicato nel grafico a barre che segue, sulla sinistra. Dunque Renzi gode del 33% del consenso, Grillo del 37%, Berlusconi del 16% e Letta del 14%. In tale scenario, è evidente che, alle elezioni con sistema a preferenza secca, vincerebbe Grillo, ottenendo il maggior numero di voti. Inoltre, con il premio di maggioranza, il suo partito arriverebbe a governare in parlamento e a dettar legge per tutti gli italiani. Ora però consideriamo il caso in cui, come rappresentato alla destra del grafico, ciascun gruppo di elettori, ordini i propri candidati per preferenze, dal preferito al più detestato.

1 Si pensi al caso in cui un gruppo di elettori vorrebbe spendere 18 in industria e 2 in ambiente, mentre l’altro gruppo vorrebbe spendere 14 in ambiente e 6 in industria. La soluzione che meglio aggraderebbe ogni elettore, in termini di utilità personale, è una spesa pubblica di 12 (18+6/2) in industria e 8 (14+2/2) in ambiente, ma ancora, un candidato che proponesse que-sto programma ideale non sarebbe eletto se vi fossero altri due candidati, uno intenzionato a spendere 18-2, l’altro 14-6. Entrambi catalizzerebbero tutti i voti e, alla fine, vincerebbe2 Specialmente A. K. Sen ha scritto in modo estensivo in tema di Social Choice theory. Si segnala: Sen, 1982, Choice, Welfare and Measurement. Oxford: Blackwell; Sen, 1966, “A Possibility Theorem on Majority Decisions.” Econometrica, 34: 491–499. Da ultimo entrambi gli autori si sono espressi a favore di un sistema a preferenza multipla, analizzando come avrebbe potuto influire sul successo di Donald Trump. Cfr. http://www.nytimes.com/2016/05/01/opinion/sunday/how-majority-rule-might-have-stopped-donald-trump.html?_r=0

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Dunque Letta, nonostante abbia solo il 14% in voto plurimo, è il candidato che meglio soddisfa le preferenze di tutto l’elettorato. Viene eletto invece Grillo, che sebbene riscuota il numero più alto di strenui sostenitori, risulta il candidato che, al voto maggioritario, sarebbe arrivato ultimo! Difatti, riscuote molti più oppositori che sostenitori.Questo è un meccanismo che non lascia spazio alla ragionevolezza, al compromesso in politica. Difatti, in una società frammentata, con un sistema a voto plurimo, viene eletto solo chi rappresenta la prima opzione per la maggioranza. Per definizione, rappresentare la prima opzione, significa essere il candidato più estremo su una questione o magari su più questioni. Dunque, per essere eletti in un sistema a preferenza secche, bisogna gridare allo scandalo e inneggiare al complotto, trasformare il confronto politico in una guerra e dimostrare agli elettori di essere il soldato più spietato, quello che difenderà i loro interessi particolari a sprone battuto, anche qualora non dovessero corrispondere a quelli dell’intera società, insomma bisogna urlare e sgomitarsi. Quanto esposto spiega i toni della politica, cui assistiamo quotidianamente. Ciò spiega come molti dittatori, nella storia, siano stati legittimati da questo schema elettorale democratico, che, imponendo la maggioranza alla minoranza,

risulta protodittatoriale. Ciò spiega inoltre perché, dopo le elezioni, puntualmente, il candidato vincitore non realizza a pieno il programma promesso ai suoi elettori, in quanto, come osservato, tale programma spesso sarebbe disastroso in termini di welfare collettivo.

3. Il Teorema dell’Impossibilità di Arrow ed il Paradosso Elettorale di Condorcet Tuttavia, il sistema elettorale perfetto non esiste. Questo è quanto provato dall’economista Kenneth Arrow a partire dal paradosso di Condorcet3. Proverò a rendere in maniera semplicistica l’idea tramite un esempio. Immaginate che vi siano tre elettori e tre candidati, rispettivamente il candidato A, il candidato B ed il candidato C. Ora immaginate che le preferenze per i tre elettori siano ordinate in modo totalmente polarizzato, dunque, nel seguente modo:

Nell’ipotizzato sistema il candidato A è preferito al candidato B, sia dal primo che dal terzo elettore. Dunque essendo preferito A al candidato B da due elettori su tre, dalla maggioranza, sembrerebbe corretto escludere dalla corsa il candidato B (A>B). Rimangono dunque il Candidato C ed il Candidato A. Notiamo quindi

che il candidato C è preferito al candidato A sia dal secondo elettore, che dal terzo elettore (C>A). In conseguenza di ciò sembrerebbe che il candidato C vincerà le elezioni, essendo preferito dalla maggioranza al candidato A. In altre parole, sembrerebbe potersi concludere che, siccome C>A e A>B, allora C>B. Ebbene no. Osservando più attentamente la situazione, ci accorgiamo che il candidato B, a sua volta, è preferito al candidato C sia dal secondo che dal primo elettore. Così, per maggioranza, il candidato B vincerebbe sul candidato C.Lo stesso si verificherebbe nell’esempio riportato in apertura. Quando i due gruppi si trovano ad ordinare le proprie preferenze, comunque il candidato di compromesso arriverebbe alla pari con gli altri due. Difatti questo godrebbe della seconda preferenza per entrambi i gruppi di elettori, mentre gli altri due gruppi estremi sarebbero votati al primo ed all’ultimo posto, rispettivamente ed in senso contrario, da ciascun gruppo di elettori, per cui si avrebbe un ex equo. Ecco, questa è la sfida di una legge elettorale democratica. Riuscire, in modo semplice, a prendere in considerazione tutte le preferenze della società, risolvendo casi di conflitto in modo equilibrato. Una cosa è certa, però, la difficoltà posta da questa sfida non ci legittima a continuare sulla strada del passato. Difatti, il sistema utilizzato sino ad

3 Arrow, Kenneth J. (1950). "A Difficulty in the Concept of Social Welfare", Journal of Political Economy. 58 (4): 328–346

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oggi, con le sue tendenze estremizzanti sviluppa una miscela altamente esplosiva al giorno d’oggi, nel mondo delle comunicazioni digitali.

4. Democrazia DigitaleQuando pensiamo ad internet pensiamo istintivamente ad uno strumento di libertà. Il potere di una nostra falange non è mai stato così vasto. Al giorno d’oggi, con pochi click si può fare quasi tutto: lavorare, ordinare la spesa, giocare, comunicare con amici e famiglia, leggere libri e notizie, studiare, laurearsi, ascoltare musica, guardare tv, film, teatro, c’è persino chi vi trova l’amore. Quando si parla di informazione poi, internet sembra davvero la piattaforma della libertà, il mondo dell’incensurabile, della rivoluzione democratica, dove le notizie circolano allo stato naturale, senza edulcorazioni. Certo, anche le notizie false hanno stessa libertà di circolazione su internet, tuttavia ciascuno può commentarle e smentirle. Tutti hanno accesso all’informazione, del resto questo è il “World Wide Web”, la vasta rete del mondo, l’universo informatico, l’universo delle informazioni. Controllare la veridicità di un fatto non è mai stata così semplice. Il controllo di tutti, il contraddittorio libero, riesce a far emergere la verità.Ma è davvero così? La realtà odierna legittima un certo scetticismo critico. Bisogna ammettere che,

su internet, hanno luogo processi preoccupanti per una democrazia. L’avvento dei social media, difatti, ha indotto la polarizzazione degli interessi. Con ciò si intende l’emersione, spontanea, di centri d’interesse sempre più specifici, sempre più orientati in una certa direzione, con progressivo allontanamento gli uni dagli altri. In modo figurato, potremmo chiamarla la teoria del Big Bang digitale, in quanto, dopo “l’esplosione” di internet nei primi anni 2000, è iniziata “l’espansione” dello “spazio” telematico, inteso come cosmo di informazioni presenti nel web. In questo spazio diverse “galassie” di persone, tenute in gruppo dalla forza dei propri interessi, procedono a velocità esponenziale verso l’esterno, verso la scoperta di nuovi contenuti capaci di inquadrarsi all’interno della loro composizione di interessi. L’espansione, dunque cattura questo fenomeno: più contenuti di un certo tipo vengono scoperti e consumati, più i gusti di quella galassia d’utenza vengono assuefatti a quel contenuto, più i vari utenti di quel gruppo cercheranno e produrranno contenuti affini ma originali, con la conseguente necessità di spostare l’asticella del contenuto un poco più avanti. Così l’espansione rende l’estremizzazione dei contenuti sul web e la polarizzazione degli interessi degli utenti. Così, sulla rete, si formano

gruppi a compartimenti stagni, ove l’uno ignora l’esistenza dell’altro, essendo troppo lontani per comprendersi. Così la rete rischia di alzare molte più barriere di quante non ne abbatta.

5. Le Forze Oscure della Democrazia Digitale: Breve viaggio nel Subconscio Psicologico

5.1 Cos’è il “Confirmation Bias”? La teoria del Big Bang digitale risulta dal combinato operare di due fattori. Il primo meccanismo perverso che ci porta sempre di più ad immergerci nelle nostre convinzioni sul web deriva dalle nostre scelte, più o meno coscienti. Questo è l’effetto di una spinta individuale all’approfondimento delle conoscenze già in nostro possesso, nell’ottica di apportare valore aggiunto ad un bagaglio di esperienza già acquisito. Si pensi ad un puzzle iniziato e non ancora ultimato. Normalmente tendiamo a ricercare tasselli che, per colori e forma, sembrano adiacenti a quelli che siamo già riusciti a posizionare. Difatti, se troviamo altri tasselli da incastrare potremmo avere un’idea d’insieme più completa. Dunque, vogliamo trovare tasselli affini, nella convinzione che, mano a mano, i tasselli aggiuntivi acquistino valore esponenziale al progressivo rivelarsi di forme e figure. Le nostre mani ed i nostri

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4 Plous, Scott (1993). The Psychology of Judgment and Decision Making. p. 233; per una rassegna sul tema cfr. Hart, William; Albarracín, Dolores; Eagly, Alice H.; Brechan, Inge; Lindberg, Matthew J.; Merrill, Lisa (2009). "Feeling validated versus being correct: A meta-analysis of selective exposure to information.". Psychological Bulletin; Stanovich, K. E.; West, R. F.; Toplak, M. E. (2013). "Myside Bias, Rational Thinking, and Intelligence". Current Directions in Psychological Science5 Wason, Peter C. (1960), "On the failure to eliminate hypotheses in a conceptual task", Quarterly Journal of Experimental Psychology, Psychology Press, 12 (3): 129–140, 6 Potete osservare una dimostrazione dell’esperimento al seguente link video https://youtu.be/vKA4w2O61Xo7 Vd. Wason, cit. supra 8 Fischer, Peter; Kastenmüller, Andreas; Greitemeyer, Tobias; Fischer, Julia; Frey, Dieter; Crelley, David (2011). "Threat and selective exposure: The moderating role of threat and decision context on confirmatory information search after decisions". Journal of Experimental Psychology: General. 140 (1): 51–62 .

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occhi scorrono velocemente lasciandosi attrarre solo da un certo colore, solo da una certa forma. Ora però immaginiamo che, oltre al nostro puzzle, ce ne sono diversi. Solo uno rappresenta la realtà fedelmente, tutti gli altri vanno da copie più o meno distorte, sino a falsi totalmente immaginifici. Oltre i tasselli del puzzle vero, ora ci troviamo davanti anche a tasselli di altri puzzles. In un cosmo di opinioni, ce ne sono di corrette e sbagliate. Se iniziamo arbitrariamente da un argomento, confrontando solo

argomenti affini a quelli da cui siamo partiti, rischieremmo di approfondire la nostra conoscenza ma solamente in una direzione, senza alcuna garanzia che il punto di partenza fosse legittimo. Questo processo, della fallacia del puzzle, corrisponde ad una fallacia cognitiva, ampiamente dimostrata in ambito scientifico. Stiamo parlando del “confirmation bias” o pregiudizio di conferma.

Il bias di conferma rappresenta uno di quei comportamenti “predittivamente irrazionali” che affliggono l’agire umano, ossia comportamenti che, seppure irrazionali, ricorrono in maniera costante, spesso anche dopo che all’individuo è stata prospettata l’irrazionalità della propria scelta. Il bias di conferma consiste nella tendenza individuale a “cercare, interpretare, preferire e richiamare informazioni in modo da confermare le proprie convinzioni o le proprie ipotesi preesistenti, dando scarsa o comunque sproporzionatamente meno importanza a possibili spiegazioni alternative”4. Per capire in che modo opera il Confirmation Bias, provate il seguente esperimento. Segue una serie di numeri, ordinati secondo una regola precisa. Il vostro compito è trovare questa regola.La serie è: 2 – 4 – 6Che regola segue la serie? Probabilmente, la prima che viene in mente è del seguente tenore: “ogni numero è maggiore del precedente, di due unità”. Non è questa la soluzione. Tentate di nuovo, vi sono molte regole diverse che potrebbero soddisfare la serie indicata. A questo punto, la maggior parte degli individui inizia a cercare regole più complesse, tipo: “la somma dei primi due numeri equivale al terzo”, oppure, "il numero in mezzo è la media dei laterali"5.

Prima di trovare la soluzione, la maggior parte delle persone arriva a concludere che non vi sia alcuna regola, che la serie è totalmente casuale6. Invece no, la regola c’è, ma è troppo semplice. Il pregiudizio del test si risolve proprio nel fatto che, sfidati a risolvere un quesito, ci si aspetta una regola complicata. Dunque, si cerca una soluzione tra quelle che confermano la nostra aspettativa di regola complicata. Si noti che i ripetuti fallimenti non riescono a correggere quell’aspettativa, poiché opera subconsciamente.

La regola è la seguente: “ogni numero è maggiore del precedente”.

Questo banale esperimento, divisato da Peter Wason nel 1960, segna il conio del termine “Confirmation Bias”7. Se l’esperimento poi sembra poca cosa, il pregiudizio di conferma è ritenuto alla base della crisi finanziaria del 2008. Gli operatori del mercato, confidando eccessivamente nella crescita del mercato immobiliare, continuarono a concedere finanziamenti a soggetti non garantiti, nonostante diversi indicatori matematici suggerissero un approccio più cauto8.

5.2 Il Confirmation Bias all’Opera nell’Universo dell’Informazione DigitaleNel campo dell’informazione,

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il bias di conferma causa un’irrazionale polarizzazione delle nostre convinzioni. La letteratura scientifica chiama tale effetto “attitude polarization”9. L’effetto è stato documentato da diversi studi. Uno di questi osservava due gruppi di persone in America, uno ampiamente a favore della pena di morte e l’altro fortemente contrario. Ai partecipanti, quindi, veniva richiesto di esaminare alcune ricerche scientifiche sugli effetti sociali della pena di morte, alcune a favore altre contro. Alla fine dell’esperimento, i membri dei due gruppi, seppur confrontatisi sugli stessi materiali, avevano ciascuno rafforzato la propria convinzione iniziale sulla necessità o meno di avere la pena di morte. Ciò perché ciascun individuo tendeva a giudicare più attendibili gli studi che confermavano la loro convinzione di partenza, screditando gli altri10. In un esperimento simile era inoltre concessa la possibilità ai diversi soggetti di scegliere quali documenti consultare, con l’avvertimento di mirare ad una descrizione neutrale della questione. Ciascun individuo

tende a consultare i documenti favorevoli alla propria convinzione di partenza, più degli altri11. Questa tendenza, nel campo dell’informazione, è denominata “Selective Exposure”12. Non solo, altri esperimenti dimostrano che il pregiudizio di conferma, una volta piantato, “spicca il volo”. Vari studi dimostrano che, fornendo alcune informazioni false ad un individuo atte a convincerlo di una posizione, si riesce a impiantare un’idea che il soggetto non abbandona completamente anche davanti all’evidenza che tutte le informazioni offerte erano dei falsi13. Questa tendenza ad ancorarsi sulle proprie posizioni, a fermarsi sullo status quo, potrebbe dirsi la scoperta più coerente della Behavioral Economics. Numerosi altri bias, difatti, latamente rispondono a questa tendenza, che dunque rappresenta il Nord, sulla bussola del subconscio. Oltre i già citati concetti correlati di “Attitude Polarization” e “Selective Exposure”, ritroviamo il cd. “Default Bias”. Questo consiste nell’irragionevole preferenza per l’opzione di base di un’offerta, quella che

ci viene presentata per prima e da cui, successivamente siamo liberi da dipartire. In parallelo è stato definita ”Anchoring Bias”, la tendenza a valutare, quando confrontati da molteplici informazioni, molto più convincenti le prime con cui si è venuti in contatto. Ci si ancora ad esse, interpretando successivamente le altre alla luce delle prime, senza dare a ciascuna egual peso decisionale. O, ancora, il “Congruence Bias”, secondo cui, una volta fatta un’ipotesi si tende a negligere i casi di possibile sconfessione dell’ipotesi, cercando piuttosto le conferme14.Non possiamo dunque più ignorare che Il bias di conferma esista ed incide in modo disastroso sul confronto democratico. Difatti, se un elettore, dopo essersi convinto di una posizione, in modo circostanziale ed arbitrario, non riesce più a giudicare criticamente altre informazioni contrastanti sul tema, si depriva di ogni efficacia la selezione democratica che si vorrebbe raggiungere con le elezioni. La quantità di informazioni oggi disponibile con l’avvento del World Wide Web, insieme

9 Kuhn, Deanna; Lao, Joseph (1996), "Effects of Evidence on Attitudes: Is Polarization the Norm?", Psychological Science, American Psychological Society, 7 (2): 115–12010 Lord, Charles G.; Ross, Lee; Lepper, Mark R., Biased assimilation and attitude polarization: The effects of prior theories on subsequently considered evidence, Journal of Personality and Social Psychology, Vol 37(11), Nov 1979, 2098-2109; Un altro esperimento in materia è stato condotto sulle stime probabilistiche. Ai partecipanti era detto che esistevano due giare, non visibili, una con 60% di palline nere e 40% rosse, mentre l’altra con 60% nere e 40% rosse. Quindi venivano estratte, davanti ad ogni singolo partecipante delle sequenze di palline, chie-dendo, ad ogni estrazione, se riteneva che si trattasse della giara a prevalenza nera o quella a prevalenza rossa. L’esperimento rileva che, quando il soggetto non è a conoscenza della giara da cui vengono estratte le palline, mano a mano che vengono estratte nuove palline, tende a convincersi sempre di più dell’ipotesi formulata all’inizio, indipendentemente da quale ipotesi era formulata e anche quando la serie estratta non dovrebbe consentire alcun inferenza in merito a quale delle due giare viene impiegata per l’estrazione. Cfr. Baron, Jonathan (2000), Thinking and deciding (3rd ed.), New York: Cambridge University Press11 Taber, Charles S.; Lodge, Milton (July 2006), "Motivated Skepticism in the Evaluation of Political Beliefs", American Journal of Political Science, Midwest Political Science Association, 50 (3): 755–769; Un altro esperimento ci interessa, in quanto condotto proprio in ambito di campagna elettorale. Durante le elezioni presidenziali americane del 2004, venivano fornite ad un pool di soggetti delle dichiarazioni contraddittorie del candidato repubblicano, G.W. Bush e del candidato democratico John Kerry. Quindi i soggetti erano sottoposti a risonanza magnetica per monitorarne l’attività cerebrale. Lo studio dimostra come l’esposizione alle dichiarazioni contraddittorie del candidato favorito provochi l’attivazione di aree del cervello deputate alla sfera emotiva, cosa che non avviene quando le dichiarazioni provengono dall’altro candidato. Ciò dimostrerebbe come, subconsciamente, l’individuo tenda emotivamente a rigettare l’ipotesi che il proprio candidato favorito si sia contraddetto.12 Sullivan, Larry E., ed. (2009). "Selective Exposure". The SAGE Glossary of the Social and Behavioral Sciences. SAGE Publications. p. 46513 Questi esperimenti sono effettuati in osservanza del “debriefing paradigm”. Un esperimento interessante in materia offriva ai soggetti due opposte opinioni sulla necessità di essere sprezzanti del rischio per essere dei buoni pompieri, raccontando la storia di due pompieri immaginari e spacciati come realmente esistiti. Entrambi i documenti si presentavano come credibili. Quando poi ai soggetti era rivelato che i documenti erano di pura invenzione, comunque, i soggetti risultavano credere alla necessità o meno di avere un’alta propensione al rischio per fare i pompieri, a seconda dell’articolo letto. Cfr. Anderson, Craig A.; Lepper, Mark R.; Ross, Lee (1980), "Perseverance of Social Theories: The Role of Explanation in the Persistence of Discredited Information", Journal of Personality and Social Psychology, American Psychological Association, 39 (6): 1037–104914 Di simili contenuti la cd. “Reinforcement Theory” in campo delle telecomunicazioni

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15 Si parla di “irrational primary effect”. Ha luogo anche nella memorizzazione. Se ci viene chiesto di ricordare una sequenza di parole, la prima rimane impresssa molto più facilmente delle altre. Cfr. Baron 2000 cit.16 Worldwide; GlobalWebIndex; 2012 to 2016; 16-64 years17 Krueger, J. I. (Ed.). (2012). Social judgment and decision making. New York, NY: Psychology Press18 Svenson, Ola (1981). "Are We All Less Risky and More Skillful Than Our Fellow Drivers?" Acta Psychologica. 47 (2): 143–14; Iain A. McCormick; Frank H. Walkey; Dianne E. Green (1986). "Comparative Perceptions of Driver Ability: A Confirmation and Expansion". Accident Analysis & Prevention. 18 (3): 205–208

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alla facoltà dell’individuo di scegliere a quale tipo di informazioni esporsi, aggrava molto l’operare dei nostri pregiudizi subconsci.Come già osservato l’individuo, in modo del tutto arbitrario, tende ad ancorarsi alla prima notizia che riceve15, come una sorta di imprinting, nonché a credere di più alle informazioni a cui è esposto con maggior frequenza. Queste saranno valutate con maggior importanza e alla luce di queste saranno valutate le altre informazioni. Da ciò discende la necessità, per i nuovi politici, di fare notizia, di suscitare curiosità e scalpore, estremizzando il contenuto del dibattito. “Male o bene, purchè se ne parli” diceva Oscar Wilde.Inoltre, e questa è la chiave di volta, con l’avvento di internet il soggetto è in pieno comando dell’informazione cui vuole sottoporsi. Una volta si camminava per strada e si parlava un po’ con chi capitava. Il caso poteva portarci a contatto con persone di una fede politica diversa dalla nostra. Oggi, la maggior parte delle comunicazioni, degli scambi di informazione, avviene sul web. Difatti, ad oggi i social network sono diventati un principale veicolo di informazione. Tramite le modalità del “segui”, l’utente può selezionare il tipo di informazioni di cui è interessato e, al contempo, può eliminare dal proprio feed le informazioni

che non lo aggradano. Si noti che nel mondo oggi, in media, ogni individuo passa 118 minuti sui social networks16, un dato in continua crescita. Queste sono circa due ore e, sottratte 8 ore di sonno alle 24 a disposizione, rappresentano 1/8 della giornata. Ma su internet l’utente non incontra casualmente i contenuti, sceglie quali contenuti seguire, quali blogger, quali testate giornalistiche. Un soggetto, per naturale inclinazione, tende a prediligere i contenuti che confermano i suoi pregiudizi sul mondo. L’effetto della selective exposure è così amplificato a dismisura ed i nostri universi di interesse continuano a specificarsi e ad allontanarsi sempre di più l’uno dall’altro, sempre più incomunicabili.La quantità di informazioni a disposizione, infine, peggiora le cose. Uno studio, in materia, prende ad esame i processi di scelta. Ad un primo gruppo di soggetti vengono fornite solamente n. 2 informazioni rilevanti, mentre ad un secondo gruppo sono fornite n. 10 informazioni, tra cui, oltre ad informazioni irrilevanti, vi sono le stesse due informazioni rilevanti presentate all’altro gruppo. L’esperimento dimostra che il secondo gruppo tende ad essere più vulnerabile al bias di conferma. Difatti, mentre il primo è scettico nei confronti della scarsità delle informazioni e dunque più propenso a porle in dubbio,

il secondo è confidente nel fatto che le informazioni sono estratte da un campionario più ampio e dunque, erroneamente supposte più selezionate e più affidabili17.Ora ci si potrebbe rasserenare pensando che non tutti cadono nel bias di conferma e sicuramente noi siamo immuni da questo processo, noi siamo sempre disposti ad ascoltare il prossimo, il diverso e quando decidiamo non è mai a causa di un’arbitraria e oscura influenza, ma per un ragionamento consequenziale e cosciente. Ecco, questa convinzione è proprio evidenza del bias di conferma. Il pregiudizio di conferma difatti si accompagna al cd. “superiority bias” o pregiudizio di superiorità. Non a caso molte indagini conoscitive dimostrano come, ca. l’80% delle persone ritiene di essere un guidatore migliore rispetto alla media (negli Stati Uniti, alcuni studi arrivano al 93%)18, cosa evidentemente impossibile. Tale effetto è noto anche come “Lake Wobegon Effect”, luogo immaginario decantato da un famoso programma radiofonico in america, ove “all the kids are above average”. L’effetto si collega stretamente con il bias di conferma, in quanto si basa sulla conferma delle nostre aspettative ed è correlato al cd. “wishful thinking”, processo mentale secondo cui l’individuo subconsciamente sovrastima l’importanza di quanto ritiene

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19 Kida, Thomas E. (2006), Don't believe everything you think: the 6 basic mistakes we make in thinking, Amherst, New York: Prometheus Books20 Sweeny, Kate; Melnyk, Darya; Miller, Wendi; Shepperd, James A. (2010). "Information avoidance: Who, what, when, and why.". Review of General Psychology. 14 (4): 340–35321 Albarracin, D. (2004). "The Role of Defensive Confidence in Preference for Proattitudinal Information: How Believing That One Is Strong Can Sometimes Be a Defensive Weakness". Personality and Social Psychology Bulletin. 30 (12): 1565–158422 Using the Internet: Skill Related Problems in User Online Behavior; van Deursen & van Dijk; 2009

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positivo.Altro aspetto importante di cui dobbiamo avere contezza risiede nel fatto che l’“intelligenza” non ha nulla a che vedere con l’operatività del confirmation bias, anzi. Più una persona è intelligente più la presenza di un forte bias, a livello subconscio, potrebbe rivelarsi dannosa. Difatti le persone intelligenti sono più abili proprio nell’attività di conferma. Dunque potrebbe piuttosto peggiorare la polarizzazione accelerando l’espansione dell’universo informatico, del big bang. Il fondatore della Skeptic society nota che “Smart people believe weird things because they are skilled at defending bliefs they arrived at for non-smart reasons”19. I pregiudizi cognitive si basano sulle nostre emozioni, sulle nostre paure. La verità è che abbiamo paura, perché il cambiamento, il nuovo, porta sempre incertezza e l’ignoto ci spaventa. La paura ha poco a che vedere con l’intelligenza. Così una nuova informazione potrebbe destabilizzare quell’equilibrio di credenze e conoscenze su cui noi tutti ci barcameniamo quotidianamente. Quando siamo veramente convinti di qualcosa, nuove informazioni ci spaventano, potrebbero rovesciarci e rivoluzionare l’universo delle nostre convinzioni20. Non è un caso che vari esperimenti dimostrano una importante correlazione tra la sicurezza in sé stessi e

la propensione ad esporsi a nuove idee21.

6. Le Forze Oscure Della Democrazia Digitale Parte Seconda: il Subconscio TelematicoLa spinta subconscia individuale, già di per sé altamente problematica, non è rappresenta l’unico problema dell’universo dell’informazione digitale. Il secondo meccanismo perverso è di origine meccanica e concerne gli automatismi algoritmici tramite cui i nostri motori di ricerca selezionano per noi l’informazione cui saremo esposti. Questi meccanismi di preventiva scrematura avvengono spesso a nostra totale insaputa. Difatti, pochi sanno che, se due individui effettuano la medesima ricerca su Google, inserendo le stesse parole chiave, questi saranno esposti a due elenchi di risultati diversi. Il motore di ricerca, difatti, seleziona per l’utente i risultati in base alle sue precedenti azioni sulla rete. Si noti, l’effetto che questi piccoli accorgimenti comportano sull’informazione di un individuo è importante. Si stima che nel 91% delle ricerche su Google, ci si ferma alla prima pagina di risultati utili, senza aprire la seconda, mentre il 50% degli utenti non clicca oltre i primi tre risultati22. Lo stesso tipo di scrematura preventiva è operato da altri motori di ricerca, ma, nella

maggior parte dei casi questo meccanismo non si limita a pulire, in negativo, le nostre ricerche, ma ci suggerisce, in positivo, alcuni contenuti che potrebbero interessarci.Sui social questo meccanismo propositivo è particolarmente efficace perché, la macchina, sopperisce alle sue deficienze intellettive facendo affidamento sulle scelte di altri utenti umani, i quali nelle loro precedenti ricerche hanno rivelato un profilo di interessi compatibile con il nostro. I contenuti che vengono selezionati per noi, dunque, si inseriscono con una certa accuratezza sul nostro spettro di interesse. La certezza viene da altre persone come noi, che hanno dimostrato nel tempo uno spettro preferenziale simile al nostro e, nel contingente, hanno espresso apprezzamento per quel contenuto ora suggeritoci. Per persone come noi si intendono altri utenti, di cui spesso ignoriamo l’esistenza, che nel passato hanno dimostrato di consumare, aprendo i relativi link e sostando su determinate pagine per certi periodi di tempo, più o meno gli stessi contenuti che abbiamo consumato noi, più o meno con le stesse abitudini. Per un software moderno, stabilire diversi profili di preferenze omogenee non è un’operazione complicata, basta incrociare i dati registrati sul web, specialmente dagli operatori dei social o dai nostri

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23 The Filter Bubble: What the Internet Is Hiding from You, Penguin Press (New York, May 2011) 24 http://heavy.com/news/2016/11/fake-news-facebook-google-donald-trump-bernie-sanders-wins-election/

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web providers. Nel controllo incrociato le nostre azioni influenzano quanto verrà suggerito agli altri e quelle degli altri cosa verrà suggerito a noi, con la conseguente creazione di quanto è stato definito “filter bubbles” o bolle di filtraggio23.Per filter bubble si intende un bolla telematica, che, senza accorgercene, avvolge ogni nostra navigazione sul web e ci scherma, impedendo ai contenuti che non rispondono al profilo di interessi che ci siamo creati, di intralciare le nostre richieste.In un certo senso, il filtraggio imposto alle nostre ricerche non è altro che una prosecuzione del nostro confirmation bias, proiettata a livello telematico. Così, gli operatori dei siti di ricerca e dei social network cercano di anticipare le nostre preferenze, operando una scrematura dei contenuti su

misura del nostro spettro preferenziale. Così, come in un circolo vizioso, le nostre preferenze politiche sorgono spesso in modo arbitrario,

si autoalimentano e si polarizzano, nell’espansione dell’universo digitale.

7. Lezioni Di Behavioral Economics Per Formulare Una Legge ElettoraleOvviamente, date le premesse fissate sopra, un astuto leader politico deve capire come sfruttare l’immenso potere del confirmation bias a suo favore, durante le campagne elettorali. Sembra che la strategia vincente consista, come già accennato, semplicemente nel monopolizzare l’audience. Perché quanto più e quanto prima si ascolta qualcosa, tanto più, statisticamente, vi si crede. Questo pone un problema. Difatti l’audience tende a monopolizzarsi solo lanciando delle bombe, ossia dei contenuti talmente fuori dal comune da poter raggiungere i vari universi di interessi polarizzati, così che questi si

offrano come camere di risonanza rimbalzandoli da un gruppo all’altro.Allo stesso tempo però, è necessario raggiungere il

consenso dell’elettore medio, perché con questi si vincono le elezioni e l’elettore medio, in mezzo alla moltitudine di profili radicali, è una categoria vuota. Così la strategia migliore, come abilmente messa in scena da Donald Trump alle ultime elezioni consiste nel soddisfare la sete di stupore dei singoli gruppi, anche arrivando ad affermazioni contraddittorie, anzi meglio se contradditorie perché la contraddizione fa più notizia. Difatti, poi, basta accendere la miccia dello scalpore, basta creare una dramatis personae compatibile con altre notizie allucinanti, la valanga segue. Sono uscite di recente varie rivelazioni sulle false notizie spammate su Google e Facebook, tutte provenienti da una piccola città in Moldavia, ove, i pochi soldi che derivano dalla pubblicità di un sito con molto traffico, fanno la differenza. Così, la diffusione di notizie false, in grado di divenire “virali”, per qualcuno rappresenta un business. Uno speciale di Buzzfeed riprende fra queste storie la notizia shock che Denzel Washington avrebbe cambiato il proprio voto per Trump ( ca. 22 milioni di condivisioni in due giorni), che Papa Francesco avrebbe supportato Trump, un’accusa alla Clinton Foundation per aver acquistato 137 milioni di armi illegali, la notizia che la Clinton avesse una relazione lesbica con una sua consigliera elettorale, nonché una tresca con Yoko Ono negli anni ‘6024.La notizia falsa di una presunta dichiarazione della Clinton,

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che nel 2013 avrebbe detto di Trump “è una persona onesta e non corruttibile” ha ottenuto ca. 480,000 interazioni facebook, mentre la notizia, vera, che Trump, sfruttando una detrazione fiscale per una perdita societaria, non paga alcuna tassa sul reddito dal 1995 si è fermata a 175,000 interazioni. Non solo, alcune notizie sedicenti non coinvolgevano nemmeno direttamente il candidato, ma piuttosto temi a favore dello stesso. Così, durante il periodo elettorale sono circolate varie storie di violenza privata, tendenzialmente perpetrata da soggetti di colore a bianchi. La pericolosità di questi materiali, a questo punto, è evidente. A causa del Bias di conferma l’elettore è portato, almeno in prima battuta, a credere a quanto legge e pure dopo la smentita, tendenzialmente non riesce a cancellare l’impressione avuta da quelle notizie. Dunque costruire un personaggio politico estremo, oggi, paga. Tutto ciò reitera la fondamentale importanza, ad oggi, di strutturare una legge elettorale che tenga conto non solo degli interessi estremi e spesso schizofrenici delle frange più intransigenti della società, i quali, oggi, vengono pericolosamente infervorati dai contenuti del web. Una legge elettorale a multi-preferenza per i candidati di leadership o liste di riferimento pare l’opzione migliore. Tale legge, però, come tutte le leggi, non potrà immediatamente risolvere i problemi del bias di conferma, che affligono ogni

individuo e dunque vanno combattuti a livello individuale.Ritengo che un poeta molto caro a noi italiani avesse già trovato la soluzione a questo problema. Forse sarà il bias di conferma all’opera, ma difatti pare che Dante, di cui offro indegna parafrasi, avesse già scritto in proposito (Paradiso, Canto XIII: 112-123):

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1 R. Bin, Rappresentanza e Parlamento. I gruppi parlamentari e i partiti, in La democrazia dei partiti e la democrazia nei partiti, , a cura di S. Merlini, Firenze, Passigli, pp. 253 ss., 20092 T. F. Giupponi, Finanziamento dei gruppi parlamentari, autonomia contabile e regime dei controlli interni nella riforma dei regolamenti di Camera e Senato, in Il finanziamento della politica, a cura di Giovanni Tarli Barbieri e Francesca Biondi, Napoli, Editoriale Scientifica 20163 F. Biondi, L’abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti politici e le regole introdotte dalla legge n. 13 del 2014, in Studium juris 2014, 1284; Simboli dei partiti, controllo degli statuti e registrazione: gli effetti delle nuove norme sul finanziamento, di G. Maestri, pubblicato su Federalismi.it, 5 marzo 2014

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L’accelerazione normativaA partire dal 2012, gli interventi riguardanti il rapporto fra le istituzioni e i partiti italiani hanno subito una drastica accelerazione. Il contesto sociale, scosso dalla forte crisi economica, ha favorito il rafforzamento di movimenti e di un clima d’opinione che hanno messo la politica di fronte a scelte da tempo necessarie1: quelle in merito alla regolazione trasparente del finanziamento delle proprie organizzazioni e dell’istituzionalizzazione delle stesse.Significativamente, il primo intervento in materia è stato introdotto durante il Governo Monti. La legge del 6 luglio 2012, n.96, è stata approvata dal parlamento come uno degli interventi tesi a ri-legittimare la classe politica e partitica in un contesto di crisi, disoccupazione e incertezza economica nella quale ognuno doveva fare la sua parte. La legge ha ridotto i contributi pubblici in favore di movimenti e partiti politici; ha modificato il regime delle detrazioni per i contributi privati; ha posto severi limiti alle spese per le campagne elettorali; ha

reso più forti le norme per la trasparenza dei rendiconti dei partiti. In questo contesto ha introdotto un nuovo organo, con sede la Camera dei Deputati, il quale era destinato ad essere protagonista anche dei successivi interventi normativi: la “Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici”.Sull’impulso di quella legge avviene un altro intervento, questo regolamentare, effettuato alla Camera dei Deputati con la Modifica al Regolamento del 25 settembre 2012: con essa viene prevista la comunicazione alla Presidenza e la successiva pubblicazione degli Statuti dei Gruppi Parlamentari, i quali altresì devono essere connotati da requisiti di trasparenza e terzietà della revisione dei bilanci, con la creazione di un organo di controllo e la verifica del rendiconto di esercizio per poter usufruire delle risorse finanziarie a carico del bilancio della Camera. Nella Modifica si riscontra una novità che verrà ripresa e diventerà pietra miliare della normativa di settore: la pubblicazione

degli Statuti. Si tratta del primo caso in cui la consequenzialità dell’erogazione dei fondi viene invertita: non più in ordine alla semplice esistenza in quanto gruppo, bensì nel rispetto di determinati requisiti di trasparenza e gestione contabile2.Questo aspetto viene infatti ripreso nel decreto-legge 28 dicembre 2013 n.149, il quale si apre con lo stesso tenore espiatorio della legge n.96/2012. Possiamo effettivamente considerare questo decreto come un punto di svolta nel finanziamento dei partiti politici3. Oltre a modificare la dicitura della suddetta Commissione in “Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici” (d’ora in avanti, la Commissione), allargandone dunque lo spettro d’azione, il decreto legge del Governo Letta mette fine al finanziamento pubblico diretto della politica, innovando il regime della contribuzione volontaria privata e aprendo alla contribuzione volontaria agevolata tramite il meccanismo del 2x1000 in sede di dichiarazione dei

I PARTITI POLITICI IN ITALIA

Alberto Giusti

Normativa vigente e prospettive

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redditi, avvicinando dunque il modello di finanziamento dei partiti politici a quello già esistente per il terzo settore, onlus, ong e confessioni religiose riconosciute. Quale perno di questo sistema, si crea un nuovo strumento istituzionale, in mano alla detta Commissione: il “Registro dei partiti politici” (d’ora in avanti, il Registro), ove si può essere registrati solo a condizione che lo statuto del partito rispetti determinati requisiti. Mentre nella legge n.96/2012 lo statuto veniva citato come corollario al ricevimento dei finanziamenti pubblici, ma la sua necessità era ritenuta successiva e non precedente al momento elettorale e alla conquista di percentuali di voto o di un seggio in determinate assemblee elettive, ecco che esso diviene conditio sine qua non per accedere in prima battuta al Registro, e in seconda battuta al finanziamento agevolato. Segue questa direttrice l’applicazione della trasparenza: il Registro è pubblicato sul sito ufficiale del Parlamento italiano, mentre statuto, rendiconto di esercizio, relazione sulla gestione e nota integrativa, organi e loro composizione, norme di funzionamento interno, situazione reddituale e patrimoniale dei titolari di cariche di governo e dei parlamentari italiani ed europei devono essere pubblicate sui siti dei partiti politici, in sezioni costruite appositamente.L’inversione di tendenza

nell’importanza dello statuto di partiti, movimenti e gruppi politici sembra essere il filo rosso degli interventi normativi in materia. La stessa nuova legge elettorale per la Camera dei Deputati, approvata con la legge n.52/2015 (detta Italicum), reca una disposizione che, modificando il Testo Unico per le Elezioni della Camera, introduce il principio della consegna dello statuto, redatto in base alle disposizioni del d.l.149/2013, contestualmente al deposito del contrassegno elettorale4. Non vengono però previste sanzioni per il mancato adempimento di questa previsione, né un controllo da parte del Ministero dell’Interno o dell’Ufficio Centrale Nazionale5.Ecco quindi che il lavoro della Commissione Affari Costituzionali della Camera, assemblando il testo unico a partire dalla Proposta di legge 2839 e abbinate, si è dovuto confrontare con ben 3 interventi normativi, che nel giro di quattro anni hanno delineato tendenze e principi di sviluppo della legislazione di settore.2) Una gerarchia delle organizzazioni? Costi e opportunità nel combinato disposto delle norme La stratificazione normativa sulla materia partitica ed elettorale sta portando a cambiamenti radicali e strutturali nella disciplina dei partiti politici, del loro status e del loro finanziamento. Il giorno 8 giugno 2016 la Camera dei

Deputati ha approvato, in prima lettura, il testo di legge dal titolo “Disposizioni in materia di partiti politici. Norme per favorire la trasparenza e la partecipazione democratica” il quale potrebbe essere la chiave di volta posta, per ultima, a completare la cupola normativa in materia. Sotto questa cupola stanno tante, diverse organizzazioni politiche. Significativamente, la dicitura del testo si allarga ulteriormente rispetto al passato a “partiti, movimenti e gruppi politici organizzati”, cercando così di racchiudere con ulteriori sostantivi la moltiplicazione e diversificazione degli oggetti. Qualsiasi cosa essi siano, il combinato disposto del testo in esame e degli interventi precedenti creerebbe una gerarchia fra le organizzazioni politiche, in cui ogni grado corrisponde a costi e benefici diversi. Partendo dall’alto, la gerarchia delle organizzazioni sarebbe così composta:a) Partiti, movimenti e gruppi politici iscritti nel Registro (Registrati)b) Partiti, movimenti e gruppi politici non iscritti nel Registro, ma che hanno ottenuto un eletto alla Camera a inizio legislatura, o che abbiano costituito nel corso di essa un gruppo parlamentare o una componente politica interna al Gruppo misto (Non registrati)c) Chiunque non possegga i requisiti precedenti (Sconfitti e Sfidanti)I soggetti Registrati sono

4 Art.2, comma 7, lett.b), della legge n.52/20155 R. Dickmann, A proposito dell’Italicum. Prime osservazioni sul nuovo sistema elettorale di cui alla legge n. 52 del 6 maggio 2015, in Forum Quad. cost., 3 giugno 2015

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quelli che, in ottemperanza al d.l.149/2013, posseggono uno statuto che soddisfi la Commissione di garanzia in base ai requisiti di cui all’articolo 3 del decreto-legge. In linea di principio, essi non devono per forza avere rappresentanti in Parlamento: l’accesso al Registro non è precluso ai partiti che non possiedono rappresentanti alla Camera. Costoro potrebbero scegliere di adeguarsi comunque ai requisiti previsti dalla legge e di sottoporre il proprio statuto al vaglio della Commissione per poter accedere alla cospicua posta in gioco data dall’iscrizione in questo club, ovvero le previsioni contenute agli articoli 10, 11 e 12 del decreto-legge in merito alla contribuzione volontaria agevolata e per la destinazione volontaria del 2‰ dell’IRPEF. I soggetti non iscritti al registro non sono esclusi dalla possibilità di essere finanziati dai privati, ma questi non potrebbero farlo attraverso la dichiarazione dei redditi, né potrebbero detrarre da questa le eventuali contribuzioni volontarie. In linea teorica, rispetto al passato, si ampliano le possibilità per un partito con pochi o nessun eletto nei maggiori organi rappresentativi di ricevere fondi con procedure agevolate, qualora scelga di adeguarsi ai requisiti di cui sopra. Naturalmente, tutta la documentazione inerente il proprio finanziamento ed i bilanci viene posta al vaglio della medesima Commissione e deve essere ritenuta conforme per continuare ad

accedere agli stessi benefici negli anni successivi.Inoltre, chi è iscritto al Registro incontra meno ostacoli durante il procedimento pre-elettorale. All’atto della presentazione del contrassegno, per i partiti registrati è sufficiente consegnare il medesimo statuto presentato alla Commissione, senza dover produrre documentazione ulteriore che debba poi essere vagliata dal Ministero dell’Interno. Tra gli oneri di questi soggetti, occorre invece annoverare la complessa disciplina sulla trasparenza, che include l’omonima apposita sezione nel proprio sito internet e la pubblicazione su di essa di tutto il materiale inerente i propri bilanci e il proprio funzionamento.I soggetti non registrati, ma che hanno eletto un deputato o fanno riferimento ad un gruppo parlamentare o componente politica, si trovano nella scomoda posizione di dover rispettare una serie di obblighi molto stringenti senza però godere di benefici particolari. Infatti, dal punto di vista della procedura pre-elettorale, al momento del deposito del contrassegno, devono presentare un’apposita dichiarazione di trasparenza contenente alcuni elementi minimi, la quale diventa un possibile ostacolo alla presentazione della lista (ancorché il controllo del Ministero sia solo formale). Inoltre, a causa delle previsioni di cui all’articolo 5 del testo di legge, devono pubblicare sul proprio sito internet il

proprio statuto e tutti i dati, rendiconto compreso, previsti per i soggetti registrati; allo stesso articolo si prevede che la Commissione possa sanzionarli per inadempimento di tali obblighi. Nonostante ciò, non possono accedere ai meccanismi di finanziamento agevolati di cui al d.l.149/2013, ma soltanto alla dichiarazione semplificata delle erogazioni prevista dai commi 5 e 6 dell’articolo 6 della legge in esame.Infine, i soggetti che né sono iscritti al Registro né sono rappresentati alla Camera sono forse in una situazione migliore di quella intermedia. Si tratta essenzialmente o degli sfidanti, cioè di coloro che, esterni alle istituzioni, vogliono competere per le cariche pubbliche, ma non posseggono ancora la struttura degli incumbent, o degli sconfitti. Nel caso in cui gli sfidanti perdano, appunto, la loro sfida, diventano gli sconfitti, mentre in caso di vittoria entrano fra i soggetti intermedi, non registrati, finché non decideranno di presentare il proprio statuto alla Commissione.In ogni caso, questa categoria beneficia soltanto della dichiarazione semplificata delle erogazioni, mentre deve sottoporsi alla dichiarazione degli elementi minimi di trasparenza durante il procedimento pre-elettorale.Al tempo stesso però, non ricade fra i soggetti obbligati ad istituire la sezione Trasparenza, e a pubblicare di conseguenza tutti i dati dei propri bilanci e ogni singolo dettaglio della

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propria organizzazione. Non è in alcun modo sottoposta al controllo della Commissione.Dunque, il legislatore imprime un indirizzo chiaro. Iscriversi al Registro conviene in tutti i casi, che si sia presenti o meno alla Camera: la disciplina è rigorosa, ma i benefici sono sufficienti, sia in ambito elettorale che finanziario, a ripagare del sacrificio burocratico. All’inverso, chi vuole entrare nel sistema ma non riesce, o non intende, sottoporsi a controlli stringenti, è libero di farlo: costi e benefici sono ugualmente bassi. Ma per le organizzazioni che vincono la sfida elettorale, diventa subito più conveniente cercare di entrare nel Registro, non solo per godere del finanziamento agevolato, ma anche perché comunque devono produrre documentazione che fornirebbero alla Commissione in caso di registrazione.Resta un’unica motivazione per la quale potrebbe essere preferibile non iscriversi al Registro, che si sia interni o esterni alla Camera, ovvero le scelte effettuate in merito alla propria organizzazione interna.Rimane infatti un dubbio interpretativo rispetto alla verifica del metodo democratico, che in base al testo corrente è stato sì istituito come principio infra-partitico, ma apre ad interpretazioni riduttive della sua applicazione.Infatti, nel d.l.149/2013, il metodo democratico era già in qualche modo prescritto per i partiti all’articolo 2, che affermava che il suo rispetto

veniva assicurato anche attraverso il decreto in essere. La diatriba del significato del “metodo democratico”, se cioè esso riguardasse la competizione fra – o la vita interna dei – partiti, riemergeva su questo punto. Alcune interpretazioni andavano già nella direzione di ritenere che i 5 magistrati della Commissione fossero tenuti a verificare la presenza di esso nella vita interna ai partiti6. Il nuovo testo di legge afferma esplicitamente l’interpretazione “interna”, ma non parla in alcun modo del controllo, né di eventuali sanzioni. In merito occorrono due osservazioni.La prima è che l’articolo 6, comma 14, definisce i partiti, movimenti e gruppi politici organizzati in base ad un criterio elettivo, ma solo con riferimento ad un elenco tassativo di commi ed articoli. Si sarebbe potuto scrivere che tale definizione valesse “ai fini della presente legge”, ma così si sarebbero esclusi gli assenti alla Camera dei Deputati. Potenzialmente quindi il metodo democratico si applica a tutti, presenti o meno alla Camera.La seconda è che l’ordine del giorno di Mazziotti di Celso presentato alla Camera in sede di approvazione, restringe la discrezionalità del Ministero dell’Interno al momento della consegna degli elementi minimi di trasparenza, contestualmente alla consegna dei contrassegni elettorali, affermando dunque che, oltre alla correttezza

formale, gli uffici ministeriali non sono deputati a valutare altro.Dunque questo requisito, pur di principio, si applica a chiunque, ma solo per coloro che intendono iscriversi al Registro esiste un controllo, la cui potenziale sanzione sta proprio nella mancata iscrizione al Registro stesso.

ConclusioniIn base all’analisi delle implicazioni del testo sulla disciplina dei partiti politici, combinato con la precedente stratificazione normativa, è lecito chiedersi quale fosse l’intento del legislatore e se questo fosse abbastanza forte da superare la difficile fase politica che ci attende prima del ritorno (forse anticipato) alle urne. Attuazione dell’articolo 49 della Costituzione? O piuttosto manutenzione, completamento di un lavoro iniziato e mai terminato, adornato di un’epica corona? In risposta a questo quesito è bene ricordare che, escludendo l’Italicum, con questa legge i tre interventi normativi in materia di partiti sono stati redatti durante tre diversi governi: la legge n. 96/2012 con Monti, il d.l.149/2013 con Letta, quella attuale con Renzi. Ognuna di queste maggioranze è stata rappresentativa di tre diverse stagioni politiche: l’apice della crisi economica e la grande coalizione a sostegno di un esecutivo tecnico, la forzata composizione delle forze politiche causata dal risultato delle urne nel 2013, la svolta

6 G. Maestri, I partiti come presentatori di liste elettorali: un interessante ritorno al “primo” Mortati, Nomos – Le attualità del diritto, n.3/2015

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nella segreteria del Partito Democratico e la formazione di un governo di centrosinistra, con una maggioranza di seggi nelle Aule inferiore ai due governi precedenti. E così ogni cambio di governo sembra portare con sé un nuovo intervento normativo in materia.Occorre però riconoscere che esiste un filo rosso fra i più recenti normativi che questa legge contribuirebbe a confermare definitivamente, questo sì, come principio.La legge n.96/2012 è stata la prima a chiedere ai partiti il deposito del proprio statuto, nel caso in cui ricevessero risorse dal finanziamento pubblico diretto. Per la prima volta un atto interno dei partiti veniva chiesto a garanzia di partecipazione alle risorse pubbliche. Successivamente, il decreto-legge 149/2013 imponeva la forma e i contenuti di questo statuto, nel caso in cui si volesse accedere non più al finanziamento diretto, ma alle agevolazioni poste al finanziamento privato. L’Italicum allarga il campo di utilizzo degli statuti così redatti, inserendoli nella legislazione elettorale di contorno con la previsione della consegna degli statuti al Ministero dell’Interno, al momento della presentazione dei contrassegni delle liste.Infine, la nuova legge riporta l’operazione più importante a coronamento di questo nuovo principio: discrimina, divide il campo rispetto al possesso o meno di quello statuto con quei determinati requisiti, sia dal

punto di vista del finanziamento sia dal punto di vista elettorale.Senza questo intervento normativo, infatti, la normativa sul finanziamento privato risale a decenni addietro, appena modificata dagli ultimi interventi legislativi, e comporterebbe per coloro che sono assenti nel Registro una forte difficoltà, anche burocratica, nel reperimento dei fondi, con il rischio di cadere nell’illecito, rispetto a coloro che vi sono inclusi e godono del 5per1000 e dei finanziamenti privati agevolati. Allo stesso tempo, l’attuale presentazione obbligatoria al Ministero, in sede pre-elettorale, degli statuti con tutti i requisiti previsti dal decreto legge, anche per coloro che sono assenti dal registro, significherebbe che nelle prossime tornate elettorali molti degli statuti presentati sarebbero forse formalmente corretti, ma concretamente fasulli. Per questo si crea la dichiarazione degli elementi minimi di trasparenza, e contemporaneamente si istituisce un controllo su di essa, per rimarcare che chi è iscritto nel Registro ha una corsia privilegiata, sempre e comunque.Il possesso di uno statuto rispondente a tutte le fattispecie previste dalla legge diventa quindi il viatico per l’elevazione dello status del partito, perché esso venga considerato, sebbene non istituzionalizzato, portatore di principi e strutture compatibili con l’ordinamento giuridico e il dettato costituzionale, e

quindi possibile beneficiario di corsie preferenziali nel proprio finanziamento e nella propria partecipazione alle elezioni.Ma proprio nell’insieme di queste norme e nell’applicazione di questo principio leggiamo una rivoluzione, questa vera, nel concetto che di partito emerge oggi.Fino a pochi anni fa ogni formazione politica che fosse semplicemente presente in Parlamento, o che avesse ottenuto eletti o determinate percentuali in alcune assemblee elettive, partecipava alla ripartizione di ingenti risorse economiche. Aveva sì degli obblighi di rendiconto e di destinazione d’uso, ma non era tenuta alla presentazione di alcuna documentazione ulteriore, non aveva obblighi di trasparenza sul proprio funzionamento interno, non doveva depositare atti inerenti la propria organizzazione, né aveva organi preposti al proprio specifico controllo, se non la lente della magistratura che talvolta metteva in allarme una gestione allegra del denaro pubblico.Oggi il panorama è completamente capovolto. La distribuzione diretta di risorse pubbliche non esiste più. Gli unici finanziamenti alla politica, se si escludono i fondi ai gruppi parlamentari, sono di origine privata. L’adeguamento alla legge in merito alla propria organizzazione interna non è nemmeno contraccambiato dalla ricezione di risorse pubbliche, ma dal mero accesso a forme di contribuzione agevolata. Vero è che, in

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ogni caso, si tratta di risorse potenzialmente importanti7, ma se ci spostiamo a soli 10 anni fa, con miriadi di liste a cifra singola che ricevevano denaro pubblico senza alcun collegamento con le loro reali necessità, la situazione odierna e ancor più quella configurata dalla legge in esame ci sembrano fantascienza.Com’è stato possibile un cambiamento così radicale? Vero è che il risultato delle elezioni politiche del 2013, con il successo strepitoso di una formazione politica che proprio dell’abolizione del finanziamento pubblico e della massima trasparenza si faceva promotrice, non poteva non avere un impatto sulla concezione che i partiti hanno di se stessi, o sicuramente su quella che devono far percepire agli elettori. Allora, in questo flusso di tematiche più o meno populiste e demagogiche, parte della classe politica ha approfittato dell’occasione per riparare ad un grande vuoto dell’ordinamento italiano: l’inquadramento giuridico e la conseguente disciplina dei partiti politici. Una volta per tutte, essi sono definiti come associazioni non riconosciute. Una volta per tutte, si inscrive il metodo democratico come principio di organizzazione e funzionamento interno.Eppure mancano dei pezzi. Se alcune delle proposte di legge presentate alla Camera avevano sì il tono e il contenuto per essere pietre miliari, il testo unificato uscito dalla Commissione e approvato

senza colpo ferire dall’Aula non possiede le medesime caratteristiche, per due motivi in particolare.Come ci ricorda Mortati, tanta parte del metodo democratico, per un partito, sta nella selezione dei candidati alle cariche pubbliche. E su questa materia il legislatore si è rifiutato categoricamente di intervenire, costruendo un impianto al ribasso, evitando le elezioni primarie quale strumento di selezione dei candidati alle cariche pubbliche e come incentivo alla strutturazione e registrazione dei partiti. Resta forse inespressa una domanda nelle parole dell’onorevole Richetti: possiamo noi imporre un metodo di selezione dei candidati a Costituzione vigente? Qui sta il secondo vulnus: la scelta di non inquadrare i partiti come associazioni riconosciute, anziché il contrario. E un’altra questione sottace nell’emendamento che inserisce la clausola di invarianza finanziaria: è possibile introdurre le elezioni primarie come legge dello Stato, senza creare un incentivo economico ad utilizzarle? Come potrebbe la sfera pubblica influenzare a tal punto associazioni private senza nemmeno un minimo do ut des?Infine, il vuoto più grande: come si possono effettuare controlli di merito su partiti che non ricevono né finanziamento pubblico né hanno accesso a forme agevolate di finanziamento privato? Ecco allora che questo metodo

democratico perde un po’ il suo valore universale e rischia di essere oggetto di contrattazione in uno scambio comunque non alla pari fra un soggetto privato e lo stato.Una chiave di volta e una rifinitura che arrivano al termine di un percorso iniziato nel 2012: questo rappresenta il testo uscito dalla Camera dei Deputati. Non è il metodo democratico il perno del testo, seppure sia stato tra gli argomenti più discussi e più rilevanti giornalisticamente. Esso viene creato come principio, ma rimane vuoto di contenuto. Non comporta alcun cambiamento che non fosse già presente nel d.l. 149/2013. L’opportunità di dare sostanza a questo principio esiste, ed è ora nelle mani del Senato, nel poco tempo che rimane a questa legislatura. Ben potendo sfruttare, però, l’occasione della nuova modifica della legge elettorale. Si tratta di allargare i poteri della Commissione, anche a costo di ristabilire una forma di finanziamento pubblico come leva del controllo, o di incorrere nei ricorsi alla Corte Costituzionale contro un’eventuale ritorno del testo alla previsione di associazioni riconosciute.

7 Ad esempio, il bilancio 2015 del Partito Democratico riporta il ricevimento di oltre 5 milioni di euro grazie al 2x1000, e il rendiconto 2015 di Forza Italia oltre mezzo milione. Dati ripresi da www.partitodemocratico.it e www.forzaitalia.it

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La grande crisi economica e finanziaria che ha colpito l’Europa nel triennio 2009-2012 ha avuto conseguenze notevoli sull’assetto politico dei principali stati membri. Il primo ambito in cui si sono manifestate queste conseguenze è quello della stabilità dei governi: a partire dal 2009, è aumentata considerevolmente la capacità dei soggetti politici al governo di ottenere una conferma in sede di elezioni. Vediamo gli esempi più significativi. In Francia, il presidente uscente Nicolas Sarkozy nel 2012 è sconfitto dopo un solo mandato, e nel 2016 il suo successore François Hollande annuncia a sorpresa – quasi certamente a fronte di indici di fiducia estremamente bassi – di non ricandidarsi alle Presidenziali del 2017: non era mai accaduto, nella Quinta Repubblica francese, che ben due presidenti restassero in carica per un solo mandato (se si esclude il caso di Pompidou, morto cinque anni dopo il suo primo ingresso all’Eliseo, e che fu sostituito da Giscard d’Estaing, anche lui in carica per un solo mandato); in Gran Bretagna nel 2010 le elezioni assegnano la vittoria ai Conservatori, dopo tredici anni di governi laburisti; in Spagna, il governo socialista uscente è pesantemente

sconfitto dal Partito Popolare di Mariano Rajoy alle elezioni del 2011; in Grecia e in Italia la crisi economica è così forte che i governi politici vengono sostituiti da governi tecnici: alle successive elezioni, in entrambi i Paesi, i partiti di maggioranza uscenti (Pasok e PDL) vedono ridursi drasticamente i loro consensi. Unica eccezione rilevante è la Germania, per motivi che vedremo più avanti.L’altra dimensione riguarda la composizione stessa dello spettro politico-partitico. Da questo punto di vista, è emblematico il risultato delle elezioni per il Parlamento europeo del 2014, che hanno visto un forte arretramento delle forze politiche tradizionali su cui da decenni il sistema politico europeo è imperniato: (conservatori, socialisti e liberaldemocratici) e un consistente aumento delle forze di impronta populista ed euroscettica1. Ma se a livello di Europarlamento l’insieme delle tradizionali forze politiche “europeiste” è comunque riuscito a rimanere nettamente maggioritario, nei singoli paesi la situazione è ben diversa. In Gran Bretagna, Francia, Austria e perfino in Germania sono nati o hanno fortemente aumentato i loro consensi dei partiti politici euroscettici la cui matrice

ideologica è di destra/estrema destra (rispettivamente: UKIP, Front National, FPÖ, Alternative für Deutschland). Altrove, come in Spagna e Grecia, la sfida al tradizionale bipolarismo socialisti/popolari è arrivata da soggetti più spiccatamente di sinistra come Podemos e Syriza. Infine, in Italia si è assistito all’esplosione del Movimento 5 stelle, dai caratteri populisti ma non ascrivibile ad alcuna delle tradizionali categorie ideologiche di “destra” e “sinistra”.Queste trasformazioni hanno costretto studiosi e osservatori ad interrogarsi sulla validità delle tradizionali “linee di frattura” (cleavages) che hanno caratterizzato per molti decenni il sistema politico europeo occidentale2. Per molto tempo il principale cleavage su cui si è articolato il sostanziale bipolarismo che vedeva contrapporsi partiti di ispirazione socialista/socialdemocratica a partiti conservatori/popolari era quello “capitale versus lavoro”, che si traduceva nella ben nota dicotomia destra/sinistra e si declinava opportunamente in ambito economico nella contrapposizione tra statalismo e liberalismo economico. Questa dicotomia era andata in crisi già negli anni Novanta,

LEGGI ELETTORALI IN TEMPO DI CRISI

Salvatore Borghese

1 Maggini, N. (2014), L’avanzata elettorale della destra populista ed euroscettica in L. De Sio, V. Emanuele e N. Maggini (a cura di), Le elezioni europee 2014, Dossier CISE 6, Roma, CISE2 Rokkan, S. (1980), Cittadini, elezioni, partiti, Bologna, Il Mulino

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3 Bini Smaghi, L. (2013), Morire di austerità. Democrazie europee con le spalle al muro, Bologna, Il Mulino4 Viviani, L. (2010), Euroscetticismo: la nascita di un nuovo cleavage?, in SocietàMutamentoPolitica – Rivista italiana di sociologia, Firenze, Firenze University press

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con il crollo definitivo del comunismo e l’adesione all’economia liberale di mercato anche da parte dei partiti della sinistra riformista. Dal 2009-2012 l’Europa ha vissuto le conseguenze nefaste di una crisi finanziaria che si è ripercossa sui debiti sovrani (legando le mani ai governi, a quel punto molti limitati nell’utilizzo della leva fiscale allo scopo di stimolare l’economia) e sul sistema produttivo, non più in grado di ricorrere al credito a condizioni favorevoli come negli anni precedenti3. A ciò si aggiunga che il sistema della moneta unica ha tolto la possibilità ai singoli stati di rispondere alla crisi agendo sulla leva monetaria, e che l’aumento dei flussi migratori (e dei lavoratori) anche da paesi esterni all’Unione Europea ha acuito i conflitti sociali tra le fasce di popolazione meno abbienti. Ciò ha significato per molti governi europei la necessità di fare ricorso a ricette politiche spesso molto simili (cd politiche di austerity: contenimento della spesa pubblica, riduzione del debito pubblico, aumento della flessibilità nel mercato del lavoro, et cetera) che hanno fortemente ridotto la percezione della distanza tra policy di destra e di sinistra. Grandi fette della popolazione hanno visto una riduzione sensibile del loro reddito e della loro potere d’acquisto: la riduzione del welfare state in ottemperanza alle politiche di austerity e l’aumento della competizione sul mercato

del lavoro (dovuta anche all’aumento dell’immigrazione) ha accresciuto notevolmente il malcontento nei confronti delle élite politiche, e non solo: governi e vertici dell’economia pubblica e privata, dell’industria come della finanza, sono stati egualmente indicati come responsabili della nuova situazione. Di questo hanno beneficiato quelle forze politiche citate, tutte accomunate dal fatto di non aver mai avuto responsabilità di governo e di proporre nei loro programmi soluzioni radicali e non contemplate dagli altri soggetti politici (uscita dalla moneta unica o dall’UE stessa, limiti all’immigrazione, forti aumenti della spesa pubblica).Si è quindi assistito alla nascita di un nuovo cleavage: quello “establishment versus anti-establishment”. La competizione politica ha visto una trasformazione, allontanandosi dal modello “classico” delle due élite in conflitto (una di destra, l’altra di sinistra) e andando verso un altro in cui ad un’élite indistinta, composta da partiti di governo (senza riguardo per la loro connotazione ideologica), si contrappongono partiti che rappresentano gli interessi del “popolo”, o comunque di quella crescente parte di popolo che si sente esclusa dai benefici delle politiche portate avanti dalle élite. Parallelamente, è riemerso un cleavage che sembrava destinato a ricoprire un ruolo marginale: quello “centro versus periferia”. Non più, stavolta, declinato nella

contrapposizione tra stato centrale e autonomie territoriali periferiche, ma come reazione degli stati nazionali al processo di federazione avviato con la nascita delle Comunità Europee e proseguito con la nascita dell’Unione Europea e della moneta unica4. Questo “nuovo nazionalismo” si è coniugato con successo alla rivendicazione degli interessi del “popolo” propri dei partiti emergenti, il cui messaggio di contrasto nei confronti delle élite si è arricchito dall’accusa, rivolta a quelle stesse élite, di essere collusa con gli interessi della burocrazia europea sovranazionale, e in quanto tale contrapposta a quelli della propria nazione e dei propri concittadini.L’impatto in termini elettorali di queste trasformazioni è stato notevole, e in alcuni casi ha posto un serio problema di governabilità. Solo per limitarci ai due casi più eclatanti – perché riguardanti due tra i maggiori paesi della UE – basta citare il caso dell’Italia e, a maggior ragione, quello della Spagna. In Italia le elezioni politiche del 25 febbraio 2013 hanno restituito un Parlamento senza una maggioranza: le prime due coalizioni hanno ottenuto all’incirca il 30% in entrambi i rami del Parlamento; un terzo polo, costituito dal già citato Movimento 5 stelle, ha ottenuto da solo il 25% alla Camera dei Deputati. Il risultato è che al Senato – eletto con un sistema elettorale meno disproporzionale di quello in vigore per la Camera – nessun

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partito o coalizione ha ottenuto la maggioranza dei seggi5. Per formare un governo si è reso necessario un accordo, ottenuto dopo una trattativa durata quasi due mesi, tra i due principali partiti delle due coalizioni maggiori, allargato alle forze centriste che si erano presentate in autonomia ottenendo circa il 10% dei consensi. La crisi istituzionale si è ulteriormente aggravata, un mese dopo le elezioni, con la scadenza del mandato del Capo dello Stato: incapaci di trovare un intesa sul nome del suo successore mentre erano impantanate nelle trattative per la formazione di un governo, le forze politiche si sono viste “costrette” a rieleggere Giorgio Napolitano, per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana. In Spagna ciò che è accaduto è stato ancor più clamoroso: alle elezioni legislative del dicembre 2015 nessuno dei due partiti maggiori è riuscito ad ottenere (da solo o con l’appoggio di partiti minori localisti) la maggioranza dei seggi al Congreso. Né il Partito Popolare né i socialisti del PSOE si sono ritrovati in condizioni di formare un governo: l’esplosione delle “terze forze”, ossia di Podemos a sinistra (terzo partito con il 20% dei voti) e di Ciudadanos (lista “civica” di centro-destra, giunta quarta con il 14% dei consensi) ha impedito a entrambi i partiti tradizionali di stringere un’alleanza con un soggetto ideologicamente non troppo dissimile. Il risultato è

stato il permanere al governo del popolare Mariano Rajoy fino alle nuove elezioni, tenutesi nel luglio 2016. Queste elezioni hanno avuto un esito praticamente identico, che ha quindi prolungato lo stallo per diversi mesi fino a che una rivolta interna al PSOE ha destituito il segretario Pedro Sanchez (contrario ad un’alleanza con Rajoy) e ha acconsentito a “non ostacolare” la formazione di un governo di minoranza guidato dal Partito Popolare. Il sistema elettorale spagnolo si era sempre contraddistinto, fino al 2015, per il fatto di assicurare una maggioranza al partito vincitore pur avendo un impianto proporzionale: la dimensione media delle circoscrizioni, molto ridotta, contribuiva a premiare i partiti maggiori fino a “fabbricare” delle maggioranze assolute al Congreso anche quando non erano tali in termini di voto popolare. Questo meccanismo si è inceppato nel momento in cui sono emerse non una, ma ben due forze alternative dotate di un consistente consenso elettorale. Una volta “saltato” il bipolarismo, ad essere pregiudicata era la stessa possibilità di formare un governo, esattamente come avvenuto in Italia dopo le elezioni del 2013.Proprio in Italia si è tentato di rispondere a questo problema mediante l’introduzione di un nuovo sistema elettorale capace di garantire sempre e comunque una maggioranza politica omogenea, senza bisogno di ricorrere ad accordi

successivamente al momento elettorale. A dire il vero, l’Italia aveva già (unica tra i grandi paesi UE) un sistema elettorale majority assuring per sola la Camera dei Deputati: la legge 270/2005 infatti assegnava un premio di maggioranza di 340 seggi su 630 alla lista o coalizione che avesse ottenuto la maggioranza relativa dei voti. Nel dicembre 2013, però, quel premio di maggioranza è stato censurato dalla Corte costituzionale6, che ha riportato i sistemi elettorali di entrambe le Camere ad un impianto quasi puramente proporzionale. Di fronte alla necessità di stabilizzare un sistema politico tripolare e a scongiurare l’evenienza di una (nuova) elezione senza vincitori, il Parlamento ha approvato, su iniziativa del Governo, una nuova legge elettorale (l. 52/2015, cd Italicum) che prevede un premio di maggioranza assegnato alla lista che ottiene il 40% dei voti al primo turno oppure che prevale ad un successivo ballottaggio. La legge vale solo per la Camera dei Deputati, poiché nel frattempo è stata discussa e approvata (nell’aprile 2016) una riforma costituzionale che tra le novità ha introdotto il superamento del bicameralismo paritario e la sottrazione del legame fiduciario tra Senato e Governo. L’innovazione principale dell’Italicum, e cioè il fatto di assegnare sempre e comunque una maggioranza al partito vincitore, ha fatto affermare ai suoi promotori

5 D’Alimonte, R., Di Virgilio, A., Maggini, N. (2013), I risultati elettorali: bipolarismo addio? In ITANES, Voto amaro. Disincanto e crisi economica nelle elezioni del 2013, Bologna, Il Mulino6 Sentenza n°1/2014 della Corte costituzionale

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(il Presidente del Consiglio Matteo Renzi e il suo Ministro per le Riforme Maria Elena Boschi) che tale legge sarebbe stata in futuro presa a modello negli altri paesi europei, proprio per fronteggiare l’instabilità derivante dalla crisi del bipolarismo causata dalla trasformazione del sistema politico in atto.La sfida è in effetti all’ordine del giorno non soltanto per l’Italia e la Spagna, ma per tutti i paesi europei che hanno conosciuto una crisi del bipolarismo. Nel 2010, ad esempio, la Gran Bretagna ha dovuto ricorrere ad un governo di coalizione tra Conservatori e LiberalDemocratici, poiché i primi non erano riusciti ad ottenere la maggioranza assoluta alla Camera dei Comuni. Si è trattato di un evento piuttosto raro (l’unico precedente comparabile c’era stato nel 1974), ma le nuove elezioni del 2015 hanno nuovamente avuto come esito una maggioranza monopartitica. Più delicata la situazione in Germania, dove è in vigore un sistema elettorale proporzionale con una soglia di sbarramento al 5% come unico elemento di disproporzionalità: dopo una prima tornata elettorale “senza vincitori” che nel 2005 ha costretto i cristiano-democratici della CDU a formare un governo di Grosse Koalition con gli storici avversari della SPD, la situazione è tornata a ripetersi con le elezioni federali del settembre 2013, in cui la CDU-CSU, nonostante un risultato

notevole (41% dei voti) non è riuscita a formare un governo perché il partito Liberale (alleato minore nella legislatura uscente) non aveva superato la soglia di sbarramento del 5%. Il risultato è stata una nuova Grosse Koalition CDU-SPD, con i socialdemocratici chiamati nuovamente a ricoprire, loro malgrado, il ruolo dell’alleato di governo “minore”. Non stupisce quindi che la prolungata alleanza tra due soggetti teoricamente alternativi abbia favorito (in concomitanza con la citata crisi economica e migratoria) la nascita e la crescita di un soggetto radicalmente alternativo: Alternative für Deutschland. Attualmente i sondaggi dipingono uno scenario molto incerto: se si tornasse al voto oggi, i consensi raccolti da AfD impedirebbero con tutta probabilità alla CDU o alla SPD di formare un governo con i loro alleati tradizionali (Liberali e Verdi, rispettivamente). Si va profilando, anche in Germania, una crisi del bipolarismo in grado di costringere i partiti tradizionali a ricorrere sempre più spesso a governi di larghe intese, in un circolo vizioso i cui esiti alla lunga costituiscono delle vere e proprie incognite. C’è però da dire che la situazione in Germania è differente per motivi costituzionali: oltre al fatto che la legge elettorale è inserita nella Costituzione di quel paese, vi sono altri meccanismi (su tutti la cd “sfiducia costruttiva”) che in qualche modo circoscrivono il problema nell’ambito

della politica, senza che si possano realisticamente avere contraccolpi sul piano istituzionale, e in particolare della stabilità dei governi.Un altro argine allo sfaldamento del bipolarismo potrebbe essere costituito dai sistemi maggioritari: quello a turno unico in vigore nel Regno Unito ha – come abbiamo visto – consentito di tornare ad avere un governo monopartitico dopo una legislatura di coalizione. Quello in Francia però è forse ancora più interessante, per via del meccanismo del doppio turno. Come è noto, in Francia i deputati all’Assemblea Nazionale sono eletti in collegi uninominali: al primo turno, se ottengono la maggioranza assoluta dei voti; oppure in un secondo turno, a cui accedono i candidati che hanno superato una certa soglia (nella grande maggioranza dei casi si tratta di sfide tra i due candidati più votati)7. La funzione del doppio turno, storicamente, è sempre stata quella di escludere i candidati più estremi: soprattutto in presenza di un esponente del Front National, al secondo turno c’è sempre stata una convergenza degli elettori di tutti gli altri partiti sull’altro candidato (il cd barrage républicain). Una dimostrazione plastica di questo meccanismo si è avuta in occasione delle Presidenziali 2002: in quell’occasione, la frammentazione dei candidati della sinistra consentì a Jean-Marie Le Pen (fondatore e storico leader del FN) di accedere al ballottaggio per

7 Baldini, G., Pappalardo, A. (2004) Sistemi elettorali e partiti nelle democrazie contemporanee, Bari, Laterza

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sfidare il presidente uscente di centrodestra, il gollista Jacques Chirac. In occasione del ballottaggio, il barrage républicain garantì una facile vittoria a Chirac, che ottenne oltre l’80% dei voti. Più di recente, in occasione delle recenti elezioni regionali (dicembre 2015), al primo turno il “nuovo” Front National guidato da Marine Le Pen è risultato complessivamente il primo partito sia su scala nazionale (con oltre il 27% dei voti) oltre che in ben sei regioni su diciassette.Nonostante fosse giunto al ballottaggio in ben otto regioni, il FN non è riuscito a vincere alcuna regione, proprio per il replicarsi del meccanismo del barrage républicain. Di fronte a questo scenario, sembra difficile per Marine Le Pen aspirare con ottimismo a vincere le Presidenziali nel 2017, nonostante nei sondaggi risulti essere il candidato con il maggior numero dei consensi al primo turno (in media oltre il 30% secondo le rilevazioni degli ultimi mesi).Si può quindi affermare che un sistema maggioritario a doppio turno sia lo strumento chiave in grado di impedire l’affermazione di forze radicali o derive autoritarie? Non proprio. L’esperienza dell’Ungheria sembra piuttosto suggerire l’opposto. Nel 2010, l’allora principale partito di opposizione Fidesz ottenne una vittoria schiacciante alle elezioni parlamentari, ottenendo oltre il 50% dei voti. Come conseguenza del sistema elettorale, in cui quasi la metà dei seggi era assegnata

in collegi uninominali maggioritari a doppio turno, il partito guidato da Viktor Orbàn ottenne oltre i due terzi (68%) dei voti. Ciò consentì al nuovo governo di modificare la costituzione ungherese in senso fortemente conservatore, nonché di dimezzare il numero dei seggi parlamentari e modificare il sistema elettorale (sostanzialmente eliminando il secondo turno). Quest’ultima modifica, peraltro, agevolò la riconquista, da parte di Fidesz, dei due terzi dei seggi alle successive elezioni parlamentari del 2014, nonostante un calo dei consensi ottenuti in quella circostanza (meno del 45%). Il caso dell’Ungheria dimostra che un sistema elettorale maggioritario, nonostante il doppio turno, non impedisce a un partito di ottenere una maggioranza talmente ampia da rendere sostanzialmente inoffensivi i contrappesi istituzionali. È il caso di ricordare che la stessa soglia dei due terzi per modificare la Costituzione in Parlamento (senza possibilità di passare per un referendum confermativo) esiste anche in Italia.Tornando al caso italiano, i recenti sviluppi inducono a ritenere che il discorso relativo alla riforma elettorale sia tutt’altro che concluso. Se la riforma costituzionale dovesse essere bocciata (come sembrano suggerire tutti i sondaggi, mentre scriviamo), sarà infatti impossibile mantenere in vigore una legge majority assuring come l’Italicum per la Camera dei Deputati in presenza di una

legge elettorale proporzionale per il Senato. Ma se anche il referendum dovesse convalidare il superamento del bicameralismo paritario, il Presidente del Consiglio si è impegnato politicamente a modificare in tal caso l’Italicum per superare i timori di chi paventa un rischio di deriva autoritaria in presenza di una maggioranza parlamentare monopartitica. L’esito più probabile, comunque vada il referendum, è una riforma elettorale che riporti l’Italia a un sistema in cui siano necessari governi di coalizione (siano esse coalizioni pre-elettorali o post-elettorali). Il caso italiano è molto significativo perché si tratta del Paese, tra quelli più colpiti dalla crisi economica, la cui ripresa è più fragile e le cui prospettive sono più incerte sia dal punto di vista economico (visto il peso del debito pubblico, il più alto in Europa dopo quello della Grecia in rapporto al PIL) sia da quello politico, visti i tanti esiti possibili in tema di “regole del gioco” – ossia costituzionali ed elettorali. Né va sottovalutato l’impatto in tema di “delegittimazione” del sistema che può avere una riforma in senso proporzionalista in un contesto in cui cresce il consenso verso le forze populiste ed euroscettiche (che in Italia potrebbero trarre grande vantaggio da un’eventuale bocciatura della riforma costituzionale). Già nel 2005 il governo italiano, allora guidato da Silvio Berlusconi a capo di una coalizione di centrodestra, modificò il sistema elettorale con l’intento

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dichiarato di sabotare la vittoria dell’allora opposizione di centrosinistra, data per favorita alla vigilia delle elezioni. Una legge elettorale, quella approvata allora, che ha avuto effetti negativi e di lunga durata sulla qualità della democrazia in Italia8.Tanti sono gli interrogativi aperti sul futuro dell’Europa, ma quello che riguarda l’evoluzione delle norme che regolano l’elezione dei Parlamenti nazionali è tra i più rilevanti se si vuole capire quale direzione prenderanno i sistemi politici democratici, non solo europei.

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Uno dei motivi principali per cui i movimenti di matrice populista ottengono un forte consenso sull’elettorato é sicuramente dovuto alla concezione negativa attribuita ai moderni partiti politici, considerati (o accusati) di essere uno strumento di potere in mano alle attuali classi dirigenti al fine di conseguire interessi particolaristici e autoreferenziali.Sicuramente la crisi delle ideologie, la trasformazione dei grandi partiti di massa in organizzazioni maggiormente concentrate sulle competizioni elettorali e l’assenza di una completa trasparenza nella gestione di questi hanno contribuito al progressivo distacco dei cittadini-elettori dai partiti e dai movimenti di riferimento.In questo numero abbiamo voluto concentrare la nostra attenzione sulle forme di finanziamento della politica e dei partiti. In particolare, si vuole evidenziare come la recente riforma del Governo Letta relativa all’abolizione del finanziamento pubblico possa modificare radicalmente il modo di far politica nel nostro Paese, analizzando comunque anche alcune possibili conseguenze negative relative al finanziamento da parte di

soggetti privati. Ancora, attraverso uno studio comparatistico, abbiamo analizzato la normativa in materia vigente negli Stati Uniti d’America, un autentico esempio di regolamnentazione della trasparenza in rispetto del principio di accountability. Un particolare interessamento é stato dedicato anche alla giurisprudenza della Corte Suprema americana. Infine, viene esaminata una proposta di legge attualmente presentata alla Camera dei Deputati volta a disciplinare le fondazioni e le associazioni politiche, ormai sempre più protagoniste del processo decisionale, grazie alla presenza di esponenti politici e decisori pubblici all’interno degli organi direttivi.

Editoriale

Luca Tritto

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La nuova disciplina in tema di finanziamento pubblico e privato ai partiti politici in ItaliaLa legge n. 96 del 6 luglio 2012 è intervenuta sulla disciplina dei rimborsi elettorali e ha introdotto nuove disposizioni in materia di controllo dei bilanci dei partiti, con l'obiettivo di garantire la trasparenza e la correttezza della gestione contabile: il dimezzamento delle risorse pubbliche destinate ai partiti, controlli e sanzioni estremamente rigorosi, regole stringenti per la trasparenza dei bilanci, un diverso sistema di erogazione dei contributi pubblici che tiene conto del finanziamento da parte dei privati, tetti alle spese per le campagne elettorale laddove non erano previsti. Successivamente il finanziamento pubblico dei partiti politici è stato abrogato dal decreto-legge n. 149 del 28 dicembre 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge del 21 febbraio 2014, n. 13. Tale provvedimento ha previsto un sistema di contribuzione volontaria fiscalmente agevolata e indiretta in favore

dei partiti politici che rispettano i requisiti di trasparenza e democraticità.

Gli obblighi per i partiti politiciSulla base di quanto disciplinato dalla legge, l’accesso al finanziamento è consentito soltanto ai partiti che si dotino di uno statuto nella forma dell’atto pubblico e con la presenza di elementi necessari quali: il simbolo, la rappresentanza legale, gli organi, le procedure deliberative, i diritti e i doveri degli iscritti, le misure disciplinari e i procedimenti ad esse relativi, le modalità di selezione delle candidature per le competizioni elettorali, l’indicazione del responsabile della gestione economico–finanziaria e patrimoniale e del rendiconto di esercizio, le procedure per lo scioglimento e per altre cause che incidano sull’attività del partito, nonché quelle per la modificazione dello statuto, del simbolo e della denominazione.Sempre in relazione al principio di trasparenza, si rileva una novità con l’istituzione di un

Registro nazionale dei partiti politici che, in regola con lo statuto, possono accedere ai benefici previsti dalla legge, consultabile dal sito internet del Parlamento. Gli statuti vengono inoltrati alla Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici1 la quale, previa verifica del rispetto dei criteri sopra indicati, provvede all’iscrizione nel registro. L’accesso al finanziamento privato in regime fiscale agevolato è previsto per i partiti che abbiano conseguito, nell’ultima consultazione elettorale, almeno un rappresentante eletto alla Camera dei deputati o al Senato della Repubblica o in un’assemblea regionale o in uno dei consigli regionali o delle province autonome di Trento e Bolzano; in mancanza di eletti, è sufficiente aver presentato candidati in almeno 3 circoscrizioni per le elezioni della Camera o in 3 regioni per le elezioni del Senato o in una circoscrizione per le europee o in un consiglio regionale.La destinazione volontaria del

IL FINANZIAMENTO DEI PARTITI POLITICI

Chiara Hassemer

Dal pubblico al privato

1 http://www.parlamento.it/1057La Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti, istituita dalla legge 96/2012, ha sostituito il Collegio di revisori, che aveva il compito di controllare i bilanci dei partiti ai sensi dell’art. 8, comma 14, della legge 2/1997. Tale Commissione è composta da cinque componenti, di cui uno designato dal Primo presidente della Cor-te di Cassazione, uno designato dal Presidente del Consiglio di Stato e tre designati dal Presidente della Corte dei Conti. Tutti i componenti sono scelti fra i magistrati dei rispettivi ordini giurisdizionali con qualifica non inferiore a quella di consigliere di cassazione o equiparata. La Commissione è nominata, sulla base delle designazioni effettuate, con atto congiunto dei Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. Con il medesimo atto è individuato tra i componenti il Presidente della Commissio-ne, che ne coordina i lavori. Ai componenti della Commissione non è corrisposto alcun compenso o indennità per l'attività prestata ai sensi della presente legge. Per la durata dell'incarico i componenti della Commissione non possono assumere ovvero svolgere altri incarichi o funzioni. Il mandato dei componenti della Commissione è di quattro anni ed è rinnovabile una sola volta (art. 9, comma 3, legge 96/2012).

2 http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/file/nsilib/nsi/documentazione/provvedimenti+circolari+e+risoluzioni/risoluzioni/archivio+risoluzioni/risoluzioni+2015/marzo+2015+risoluzioni/

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2 per mille dell'imposta sul reddito (IRPEF) si ha soltanto per i partiti che abbiano eletto almeno un candidato alle elezioni politiche od europee. I partiti politici iscritti nel registro accedono ad entrambi i benefici. I contributi pubblici sono stati pertanto aboliti con una riduzione graduale ai partiti politici (rispettivamente, del 25, del 50 e del 75% dell’importo spettante nel primo, secondo e terzo esercizio) fino alla cessazione integrale, e sostituiti con forme di contribuzione volontaria fiscalmente agevolata e di contribuzione indiretta, fondate sulle scelte espresse dai cittadini mediante la detraibilità delle erogazioni liberali e la destinazione volontaria del 2 per mille IRPEF.

Il finanziamento privatoIn mancanza di un sostegno finanziario pubblico, acquistano importanza le erogazioni effettuate nei confronti dei partiti da parte di persone fisiche e giuridiche. Esse sono consentite nel limite di 100 mila euro all’anno, a condizione che il versamento delle somme sia eseguito tramite sistemi di pagamento atti a garantire la tracciabilità dell’operazione e l’esatta identificazione soggettiva e reddituale del suo autore al fine di consentire all’amministrazione finanziaria lo svolgimento di efficaci controlli. Il tetto alle donazioni dei privati non si applica per i lasciti “mortis causa" e per i trasferimenti di denaro o di natura patrimoniale effettuati tra partiti politici o movimenti

politici. E’ stata prevista dall’anno 2014 una detrazione dall’imposta lorda pari al 26% per importi compresi tra 30 euro e 30 mila euro annui per le erogazioni liberali in denaro, effettuate dalle persone fisiche in favore dei partiti iscritti nella prima sezione del registro. Sempre a partire dall’anno 2014 ciascun contribuente può destinare il 2 per mille IRPEF a favore di un partito, esclusivamente sulla base delle scelte effettuate in sede di dichiarazione annuale dei redditi ovvero da quelli esonerati dall’obbligo di presentare la dichiarazione mediante la compilazione di una scheda recante l’elenco dei soggetti aventi diritto trasmesso all’Agenzia delle entrate2. Il contribuente può indicare sulla scheda un unico partito.Successivamente, i criteri e le modalità per il riparto e la corresponsione delle somme spettanti ai partiti polititi beneficiati dalla destinazione del 2 per mille IRPEF da parte dei contribuenti sono stati stabiliti con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 maggio 2014 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 15 luglio 2014, n. 162). Il comma 141 dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015) ha ribadito la detraibilità dei versamenti effettuati a favore di partiti e movimenti, precisando che sussiste anche nel caso in cui tali versamenti siano effettuati tramite donazioni dai candidati e dagli eletti alle

cariche pubbliche.

Come cambia la normativa?La disciplina descritta si colloca in un meccanismo di progressiva riduzione dei contributi in favore dei partiti avvenuta nel corso degli anni; tali contributi sono stati istituiti nel 1974 ed erogati esclusivamente per le spese delle campagne elettorali a partire dal 1993. Nel corso degli anni è emersa tuttavia l’esigenza che il finanziamento pubblico ai partiti fosse assistito da forme di controllo sull’impiego dei fondi erogati sia per la necessità di un contenimento dei costi a carico dello Stato sia per una gestione degli stessi non sempre trasparente.La legge 96/2012 ha rappresentato una prima riforma che è intervenuta su tali aspetti, disponendo la riduzione dei contributi a carico dello Stato, la sottoposizione dei bilanci dei partiti al giudizio di società di revisione iscritte all'albo della Consob, il controllo di una apposita Commissione sui bilanci revisionati, l’obbligo di uno statuto conforme a principi democratici nella vita interna e di un atto costitutivo quali condizioni per accedere ai contributi previsti dalla legge, la pubblicità degli statuti stessi, dei rendiconti di esercizio e dei documenti a essi correlati sui siti internet.Con questa legge, l’Italia ha recepito buona parte delle raccomandazioni formulate nel marzo 2012 dal Groupe d’Etats contre la corruption

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3 Fin dal decreto 149/2013, sono stati previsti il trattamento straordinario di integrazione salariale e i contratti di solidarietà, precisando con la legge 175/2015 che ciò è disposto anche nei confronti delle articolazioni e sezioni territoriali dei partiti politici dotate di autonomia legale e finanziaria. Infine, si sopprime, con la medesima legge avente efficacia retroattiva, l'obbligo per i partiti politici di essere iscritti al Registro nazionale per la fruizione di tali ammortizzatori sociali4 Lo stesso intervento normativo sulla Commissione di garanzia sui partiti politici è stato previsto per superare le problematiche di questi anni legate al limitato funzionamento della stes-sa, nonché al fine di assicurare a tale organismo di svolgere i compiti ad esso affidati dalla legge, considerate le ulteriori funzioni disposte dal decreto-legge n. 149 del 2013 5 Grasso G., Il giurista Petrillo: soldi privati ai partiti. La legge é un colabrodo, Avvenire, 12/09/2014. Su internet: https://www.avvenire.it/attualita/pagine/soldi-privati-ai-partiti .

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(GRECO, Consiglio d’Europa). Il decreto-legge n. 149/2013 ha proseguito in tal senso. Al suo interno, della legge 96/2012 restano le disposizioni relative alla trasparenza e ai controlli dei bilanci, nonché il vincolo tra democrazia interna e concessione dei benefici, introdotta in quel caso per la prima volta. Per le forme di contribuzione alternative, invece, si tratta del potenziamento di un istituto già previsto dall'ordinamento (la detraibilità fiscale dei finanziamenti privati) e di un meccanismo (quello del 2 per mille) sperimentato per un breve periodo nel 1997 (legge 2 gennaio 1997, n. 2 e abrogato per la maggior parte dalla legge 3 giugno 1999, n. 157). Secondo quanto riportato da Openpolis, il finanziamento statale diretto per l’anno 2015 è stato quantificato in 106,4 milioni di euro, mentre il 2 per mille in 9,6 milioni e le detrazioni per contributi privati in 27,4 milioni.

Come cambia l’attività politica?Dal quadro che emerge si denota pertanto una riduzione prima cospicua, poi totale, dei rimborsi elettorali, oltre l’incentivo alla libera contribuzione dei cittadini per i partiti con la finalità di cambiare profondamente l’attuale sistema di finanziamento. Il venir meno dei rimborsi determina conseguenze

sull’organizzazione dell’attività politica con specifico riguardo alla gestione delle risorse umane3. Gli stessi interventi legislativi successivi sono voluti poi essere dei correttivi ad un impianto che non risulta essere completamente sostenibile, almeno rispetto all’intento originario4. Quali sono, dunque, i limiti di questa legge?A dispetto di quanto evidenziato finora, la trasparenza prevista dalla legge in analisi ha mostrato in concreto diverse problematiche. In primo luogo, non scatta l’obbligatorietà della pubblicazione dei dati relativi ai donatori se non per versamenti superiori a 5.000 Euro. Nonostante ciò, la norma richiama il Decreto legislativo n. 196/2003 in materia di protezione dei dati personali, specificando che questa può avvenire solo previo consenso del donatore. In tal modo, risulta estremamente difficile risalire alla fonte dell’erogazione. A questo aspetto si collega anche un secondo punto critico, riguardante l’opacità delle erogazioni inferiori a 5.000 Euro. Effettuando un confronto con altri ordinamenti, si nota immediatamente una certa differenza di valutazione. Negli Stati Uniti d’America é obbligatorio pubblicare i dati di ogni donazione superiore ai 50 dollari, così come in Francia e Germania una volta superati i 50 Euro e in Gran Bretagna

oltre le 50 Sterline. La scelta del legislatore italiano si rivela in tal modo incompleta, poiché non si applica nessun controllo sulle donazioni di minore entità.Per quanto concerne il limite massimo, la legge fissa a 100.000 Euro il tetto per le donazioni. Anche in questo caso si possono riscontrare alcune anomalie. In particolare, il limite non impedisce che una stessa persona giuridica possa effettuare diverse ergoazioni al di sotto del limite stabilito attraverso altri soggetti posti sotto il proprio controllo. Questo aspetto si interseca profondamente con la questione relativa alla regolamentazione della rappresentanza di interessi particolari, il c.d. Lobbying5.

Abolendo il contributo pubblico ai partiti é inevitabile che questi ultimi accolgano di buon grado finanziamentida parte di privati i quali, se provenienti da società e gruppi

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di interesse, sicuramente si aspettano di essere tutelate nello svolgimento dell’azione legislativa. Non si vuole qui affermare che ciò rappresenti un aspetto negativo, tuttavia la mancata pubblicazione obbligatoria dei dati relativi alle donazioni non permette al cittadino-elettore di avere piena consapevolezza degli interessi rappresentati dal partito di appartenenza.Infine, in base all’ art. 5, comma 4 della legge in analisi, i criteri di pubblicità e trasparenza devono applicarsi anche alle fondazoni e alle associazioni strettamente legate ai partiti politici, in base alla composizione degli organi direttivi e delle finalità. Nonostante ciò, questa disposizione é passibile di incompletezza in quanto manca ancora una disciplina esaustiva che regoli le fondazioni e le associazioni politiche. L’estensione dell’applicazione della legge, dunque, mostra elementi di criticità.

1 Art. 13-bis, comma 1-bis, t.u.i.r. pro tempore vigente2 Art. 91-bis, t.u.i.r. pro tempore vigente. Per tali soggetti, la detrazione era riconosciuta limitatamente alle società e agli enti di cui all'art. 87, comma 1, lett. a) e b), t.u.i.r. diversi dagli enti nei quali fosse presente una partecipazione pubblica o i cui titoli fossero negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri. Rimanevano, inoltre, escluse le società e gli enti controllanti, direttamente o indirettamente, i suddetti soggetti ovvero quelli che fossero controllati dalla stessa società o ente controllante i soggetti medesimi3 Cfr. Circolare Agenzia delle Entrate 10 giugno 2004, n. 24/E4 Cfr. Risoluzione Agenzia delle Entrate 15 febbraio 2005, n. 15/E5 Cfr. Risoluzione Agenzia delle Entrate 11 febbraio 2008, n. 41/E

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1. PremessaL’ordinamento fiscale attuale prevede diverse agevolazioni per le erogazioni liberali effettuate nei confronti dei partiti politici.La più recente riforma è stata avviata con il d.l. n. 28 dicembre 2013, n. 149, convertito in legge 21 febbraio 2014, n. 13 (c.d. “Riforma Letta”).Ciò nondimeno, precedentemente alla stessa, esistevano delle norme volte a favorire la contribuzione privata nei confronti dei partiti politici.

2. Le norme preesistenti alla “Riforma Letta”La legge 2 gennaio 1997, n. 2, aveva già previsto la possibilità, per i contribuenti persone fisiche, di destinare lo 0,4% dell'IRPEF ai partiti e movimenti politici. Il diritto di riparto era subordinato al fatto che, alla data del 31 ottobre di ciascun anno, tali partiti e movimenti politici avessero almeno un Parlamentare eletto alla Camera dei Deputati o al Senato della Repubblica.Inoltre, la citata legge aveva previsto, tanto ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche1 quanto ai

fini dell’imposta sul reddito delle società2, una detrazione pari al 22%, successivamente ridotta al 19%, relativamente alle erogazioni liberali in denaro in favore dei partiti e movimenti politici, effettuate mediante versamento bancario o postale, per importi compresi tra € 258,23 e € 25.822,84 (artt. 13, comma 1-bis e 91, t.u.i.r. pro tempore vigenti).In particolare, potevano formare oggetto della detrazione le erogazioni liberali in denaro, con ciò intendendosi, come chiarito d a l l ’ A m m i n i s t r a z i o n e Finanziaria3, le donazioni effettuate senza alcuna controprestazione. Pertanto, ad esempio, rimaneva escluso dal beneficio fiscale il versamento effettuato a fronte del “tesseramento” ad un partito politico, in quanto lo stesso ha come controprestazione il diritto di manifestare l'appartenenza al partito nonché di partecipare alle vicende dell'associazione partitica stessa (come l’elezione degli organi rappresentativi).In ogni caso, come chiarito in altra circostanza d a l l ’ A m m i n i s t r a z i o n e

Finanziaria4, le erogazioni liberali che consentivano di usufruire della detrazione d'imposta dovevano riguardare, quali beneficiari, i partiti o i movimenti politici che nel periodo d'imposta in cui fosse effettuata l'erogazione avessero almeno un Parlamentare eletto alla Camera dei Deputati o al Senato della Repubblica.Tale limitazione, infatti, secondo l’Agenzia delle Entrate, era coerente con il contesto normativo di cui alla legge n. 2 del 1997 e con la finalità di favorire i partiti e movimenti politici rappresentativi a livello nazionale.In base a tale ratio, il beneficio della detrazione era da considerarsi ammesso per i soggetti politici di nuova costituzione (che, in quanto tali, avrebbero potuto soddisfare il requisito della “rappresentanza” solo alle successive elezioni) purché in tale nuovi soggetti fossero confluite singole formazioni politiche aventi rappresentanza parlamentare nei termini sopra ricordati5. Inoltre, nel caso di un partito federale, articolato su base territoriale con autonomia

PROFILI FISCALI DEL FINANZIAMENTO DEI PARTITI POLITICI IN ITALIAAndrea Di Gialluca

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patrimoniale riconosciuta alle realtà regionali, era ammessa la possibilità di effettuare erogazioni liberali che davano diritto alla detrazione direttamente nei confronti di un’articolazione del partito nazionale, essendo tale modalità correlata alla struttura organizzativa adottata dal partito nazionale stesso6.La detrazione era, altresì, ammessa anche per le erogazioni liberali in denaro effettuate a favore di partiti che non avessero superato, nelle ultime elezioni politiche, la soglia di sbarramento per l’ingresso dei propri esponenti nel Parlamento italiano, a condizione che detti partiti avessero avuto almeno un Parlamentare eletto nel periodo d’imposta in cui fosse stata effettuata l’erogazione7.Al contrario, l’Amministrazione Finanziaria ha negato la detrazione per le erogazioni liberali in denaro effettuate nei confronti di Comitati Elettorali, Liste o Mandatari e, più in generale, dei soggetti non riconducibili ai partiti o ai movimenti politici: in tali casi, infatti, veniva a mancare l’autonoma rappresentanza parlamentare, trattandosi, per lo più, di soggetti costituiti in vista delle sole elezioni8.Successivamente, l’art. 10, legge 3 giugno 1999, n. 157, ha soppresso il precedente sistema di finanziamento dei partiti e movimenti politici, prevedendo al suo posto

un meccanismo di rimborso delle spese sostenute in occasione delle competizioni elettorali. Dal punto di vista prettamente fiscale, la menzionata legge aveva, da un lato, abrogato le disposizioni in materia di destinazione dello 0,4% dell’IRPEF ai partiti politici ma, dall’altro, aveva lasciato inalterato il sistema delle detrazioni come sopra descritto.Anzi, per effetto del citato intervento normativo, erano state incrementate le soglie relative agli importi che davano diritto alla detrazione (aumentate per importi compresi tra € 51,65 e € 103,291,38). Erano state, inoltre, introdotte un complesso di agevolazioni per le attività e i movimenti politici in materia di tasse sulle concessioni governative, dell’imposta di bollo e dell’imposta di registro, delle tasse locali e dell’imposta delle successioni e le donazioni.

3. La “Riforma Monti”Con la “Riforma Monti” di cui alla legge 6 luglio 2012, n. 96, a decorrere dal periodo d’imposta 2013, era stata potenziata la detrazione relativa alla erogazioni liberali effettuate da persone fisiche nei confronti dei partiti politici, incrementata al 24% per il 2013 e al 26% per il 2014 (artt. 15, comma 1-bis, e 78, comma 1, t.u.i.r.). La detrazione rimaneva, invece, immutata al 19% per le

persone giuridiche.Gli importi minimi e massimi sui quali calcolare la detrazione erano stati differenziati per le persone fisiche e per le società. In particolare, per le persone fisiche la detrazione doveva essere calcolata nei limiti degli importi compresi fra € 50 e € 10.000 annui, per le società tra € 51,65 e € 103.291,38.Rimaneva ferma la necessità di effettuare le erogazioni ai partiti mediante versamento bancario o postale.L’ambito oggettivo era stato, inoltre, ampliato: la detrazione, infatti, era riconosciuta alle erogazioni effettuate nei confronti di partiti e dei movimenti politici che avessero presentato liste o candidature elettorali alle elezioni per il rinnovo Parlamento italiano o dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia ovvero, che avessero almeno un rappresentante eletto a un Consiglio regionale o ai Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano. Nessuna norma specifica, invece, era stata introdotta per quel che concerne la destinazione di una quota parte dell’IRPEF ai partiti politici in sede di dichiarazione dei redditi.

4. La “Riforma Letta”Con il d.l. n. 149 del 2013, convertito in legge n. 13 del 2014, a decorrere dal 2014, è stato incisivamente innovato il sistema di finanziamento

6 Cfr. Risoluzione Agenzia delle Entrate 20 maggio 2008, n. 205/E7 Cfr. Risoluzione Agenzia delle Entrate 30 ottobre 2008, n. 410/E8 Cfr. Risoluzione Agenzia delle Entrate 30 maggio 2008, n. 220/E. Tale interpretazione è stata, peraltro, contrastata dalla giurisprudenza di legittimità. Con la sentenza n. 137 del 10 giugno 2010, la Commissione Tributaria Provinciale di Torino ha stabilito che è deducibile l'erogazione effettuata nei confronti di un comitato elettorale in quanto rientra nelle categoria dei "mo-vimenti politici". Secondo la Commissione, infatti, l’art. 15, comma 1 bis, t.u.i.r. prevede la detraibilità delle erogazioni a favore di partiti e "movimenti politici" in genere senza nulla esigere in merito alla rilevanza degli stessi. Nella nozione di "movimenti politici" rientrano certamente anche i comitati elettorali costituiti in vista delle elezioni

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pubblico ai partiti, in un’ottica di maggiore trasparenza. In generale, è stata prevista la graduale soppressione del finanziamento pubblico diretto, sostituito dalla duplice forma di “contribuzione privata diretta”, ovverosia le erogazioni liberali da parte di privati agevolate mediante il beneficio fiscale della detraibilità, e di “contribuzione privata indiretta”, consistente nella destinazione al partito, da parte delle sole persone fisiche, di una quota pari al due per mille dell'imposta sul reddito. In entrambi i casi, le agevolazioni sono ammesse qualora il partito ne faccia richiesta mediante apposita procedura e sono subordinate alla presenza di alcuni requisiti.

4.1. La “contribuzione privata diretta” È previsto che le erogazioni liberali in denaro effettuate dalle persone fisiche e dalle persone giuridiche9 in favore dei partiti politici siano detraibili in misura pari al 26% per importi compresi tra € 30 € e € 30.000 annui. Ciò è quanto prevede il nuovo art. 11, comma 1 e 6, d.l. n. 149 del 2013 (contestualmente è abrogato il previgente art. 15 comma 1-bis, t.u.i.r.) che subordina, tuttavia, il beneficio fiscale ad alcuni requisiti.Ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. a), del decreto è, innanzitutto, richiesto che i partiti beneficiari dell’erogazione abbiano ottenuto, nell’ultima

consultazione elettorale, almeno un candidato eletto in una delle elezioni di Camera, Senato, Parlamento europeo o dei Consigli regionali (o delle Province autonome). In mancanza di eletti, è richiesto aver presentato candidati in almeno tre circoscrizioni per le elezioni della Camera o in tre regioni per le elezioni del Senato o in un Consiglio regionale (o delle province autonome) o in una circoscrizione per le europee.È tuttavia prevista, ai sensi dell’art. 10, comma 2 del decreto, una condizione di “esonero” dal detto requisito. Ciò si verifica se il partito politico dichiari di fare riferimento a un Gruppo parlamentare costituito in almeno una delle Camere (ovvero a una singola componente interna al Gruppo misto) e congiuntamente, depositi il contrassegno elettorale ed abbia partecipato in forma aggregata a una competizione elettorale mediante la presentazione di una lista comune di candidati o di candidati comuni in occasione del rinnovo del Parlamento italiano o europeo, riportando almeno un candidato eletto.Altro requisito concerne la necessità per i partiti politici di dotarsi di uno statuto, redatto nella forma dell'atto pubblico da trasmettere ad un’apposita Commissione. Quest’ultima, valutata l’atto e gli altri requisiti previsti dalla legge, provvede

all'iscrizione del partito nella prima sezione del Registro nazionale dei partiti politici riconosciuti, da essa tenuto. Pertanto, l'iscrizione e la permanenza nel detto Registro sono condizioni necessarie per l'ammissione dei partiti politici ai benefici ad essi eventualmente spettanti10.Ulteriore condizione riguarda, infine, la tracciabilità delle erogazioni che dunque devono essere eseguite, alternativamente, mediante banca, ufficio postale, sistemi di pagamento previsti dall’art. 23, d.lgs. n. 241 del 199711 o altri sistemi che ne garantiscono la tracciabilità (questi ultimi previsti da un apposito Regolamento ministeriale, non ancora emanato).Un aspetto che non era stato chiarito dal legislatore riguardava la possibilità per le sezioni territoriali dei partiti di poter beneficiare delle agevolazioni.L'Agenzia delle Entrate si è in proposito pronunciata sul caso specifico relativo alle erogazioni liberali effettuate nei confronti di sezioni regionali dei partiti politici nazionali12. È stato, in particolare, chiarito che la detrazione di tali erogazioni è ammessa, a condizione che il partito politico nazionale (dal quale dipendente la circoscrizione territoriale) sia iscritto al registro nazionale e che il pagamento di tali detrazioni sia tracciabile secondo le modalità

9 Ferme restando, per le persone giuridiche, alcune limitazioni all’ambito soggettivo, già in parte previste dalla previgente normativa, indicate nella precedente nota 2. A tali soggetti, per effetto del testo normativo in esame, si aggiungono anche le società concessionarie dello Stato o di enti pubblici, per la durata del rapporto di concessione10 Rimane ferma l’agevolazione anche per le erogazioni effettuate in favore dei partiti o delle associazioni promotrici di partiti effettuate prima dell'iscrizione, purché essi vi risultino iscritti entro la fine dell'esercizio11 Tale disposizione richiama come mezzi di pagamento le carte di debito, di credito e prepagate, gli assegni bancari e circolari12 Cfr. Risoluzione Agenzia delle Entrate 3 dicembre 2014, n. 108/E

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precedentemente descritte.Occorre, anche, precisare che la Legge di Stabilità 201513 ha previsto la detraibilità dei versamenti effettuati a favore dei partiti e dei movimenti politici sussiste anche nel caso in cui i predetti versamenti siano effettuati, anche in forma di donazione, dai candidati e dagli eletti alle cariche pubbliche in conformità a previsioni regolamentari o statutarie deliberate dagli stessi partiti o movimenti politici beneficiari delle erogazioni.

4.2. La “contribuzione privata indiretta” Si poi detto che l’altra modalità di contribuzione privata ai partiti è quella “indiretta”. Essa si esplica nella possibilità, ammessa ovviamente unicamente per le persone fisiche, di destinare volontariamente il “due per mille” dell'imposta personale al momento della dichiarazione dei redditi a favore di un determinato partito. Si è, in tal modo, ripristinata quella modalità di finanziamento introdotta nel 1997 e soppressa solo due anni dopo con la legge n. 157 del 1999.Anche tale forma di agevolazione è subordinata alla presenza di diversi requisiti (che si aggiungono alla formale richiesta proveniente dal partito di beneficiarne).Per accedere alla ripartizione del “due per mille”, si richiede, innanzitutto, che i partiti abbiano almeno un candidato eletto alle elezioni politiche o europee (art. 10, comma 1, lett. b), del decreto). Per la

contribuzione privata indiretta, pertanto, contrariamente a quella diretta, non sono considerate le elezioni regionali, né è sufficiente la sola presentazione di un certo numero di candidati, in caso di mancata elezione di un proprio rappresentante. Anche tale requisito può essere derogato se sussiste la condizione di “esonero” di cui all’art. 10, comma 2, del decreto.È necessario, infine, che i partiti che intendano beneficiare del “due per mille” siano iscritti al Registro nazionale dei partiti politici.

5. Brevi considerazioniIl breve excursus normativo evidenzia come la disciplina fiscale relativa alle erogazioni liberali in denaro nei confronti dei partiti politici sia stata caratterizzata da un certo numero di modifiche, alcune decisamente rilevanti, nonché da diverse incertezze interpretative. Su quest’ultimo punto, peraltro, si osserva che i numerosi chiarimenti forniti nel corso del tempo dall’Agenzia delle Entrate assumono ancora oggi, anche alla luce dei più recenti interventi normativi, piena valenza interpretativa.Altro aspetto che emerge dall’analisi è che, in generale, fino alla “Riforma Letta” del 2013-2014, la contribuzione ai partiti politici da parte dei privati ha potuto godere unicamente del beneficio della detrazione fiscale, in misura differente a seconda del soggetto erogante (persona fisica o società).

La riforma del 2014 ha, invece, per un verso (re)introdotto la contribuzione privata indiretta (il “due per mille”). Parallelamente ha proceduto a razionalizzare la normativa fiscale relativa alla contribuzione privata diretta (le detrazioni fiscali) subordinandone, però, i benefici a requisiti stringenti.

13 Art. 1, comma 141, legge 23 dicembre 2014, n. 190

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L’obiettivo di questo lavoro é quello di delineare le caratteristiche salienti del funzionamento dei partiti politici negli Stati Uniti d'America. In particolare, sarà descritto il meccanismo di finanziamento degli stessi, attraverso l'analisi giuridica dell' Election Campaing Act del 1971 e della sue riforme ed emendamenti. Scopo di questo studio è comprendere non solo come esso avviene ma, soprattutto, in che modo gli elettori vi sono coinvolti e la misura in cui questo meccanismo si riverbera sugli stessi. Il filo conduttore di questa ricerca è l'ipotesi secondo cui il finanziamento dei partiti politici negli Stati Uniti d'America non rappresenta un mero sistema di collezione del denaro finalizzato al sostegno della campagna elettorale dei partiti e dei candidati ma un vero e proprio strumento di partecipazione alla campagna elettorale, divenuto metro di valutazione del gradimento del candidato da parte dell'elettorato.

Per comprendere correttamente questo istituto -e a maggior ragione per cogliere le varie sfumature del nesso tra finanziamento ed elettorato- appare necessario calarlo nel contesto storico, politico e culturale proprio degli Stati Uniti d'America. Non è possibile, dunque, prescindere da qualche commento di carattere politico-sociale nell'analisi legislativa del finanziamento ai partiti politici e alla campagna elettorale. Questo articolo si basa esclusivamente sull'analisi di fonti secondarie: prevalgono le fonti qualitative sullo studio delle fonti quantitative mentre testi di dottrina e di descrizione politico-sociale prevalgono su quelli giurisprudenziali.

Overview: i partiti politici negli Stati Uniti d'America Gli Stati Uniti d'America sono caratterizzati da un sistema politico bipartitico, ovvero alle elezioni concorrono due grandi partiti: i Democratici e i Repubblicani. Nel passato, le ragioni politiche e le sensibilità sulle tematiche economiche e

sociali portavano a creare una netta distinzione tra i due partiti, pertanto gli elettori tendevano ad identificarsi con le ideologie sostenute dal partito più vicino al loro sentire e a votare sempre in egual maniera1. Oggi giorno, le differenze ideologiche tra i partiti sono riscontrabili maggiormente nelle sfumature piuttosto che nella sostanza, dunque gli elettori tendono a non essere "fedeli al partito" ma a identificarsi in un candidato, magari per il suo carisma, e di conseguenza a cambiare partito nelle varie elezioni2.Ciò premesso, appare interessante riportare la definizione di partiti politici secondo la dottrina americana prevalente, dove si pone l'accento non solo sulla comunanza di interessi (comune visione di valori e principi sull'amministrazione dello Stato, delle sue risorse e dei rapporti con gli altri attori internazionali), ma ne si valorizza anche la composizione, in termini di differenziazione dei ruoli dei soggetti che vi afferiscono,

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IL FINANZIAMENTO DELLA POLITICA NEGLI STATI UNITI D’AMERICA: L’EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA

Election Campaign Act 1971 e riforma del 74

Beatrice Russo

1 Lowi -Ginsberg-Shepsle Ansolabehere; American Government Power and Purpose; Norton 20122 Lowi -Ginsberg-Shepsle Ansolabehere; American Government Power and Purpose; Norton 2012

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nonché l'enucleazione di tutte quelle attività finalizzate alla campagna elettorale3. I partiti, infatti, sono un team di persone, comprendente politici, attivisti ed elettori (voters), il cui scopo primario è quello di ottenere il controllo del governo della nazione. A tal fine, essi in primis reclutano e nominano i candidati che concorreranno alle cariche (to run for office); in secundis accumulano le risorse - in particolare umane e finanziarie - necessarie alla conduzione della campagna elettorale e, infine, si impegnano a sostenere e seguire un programma politico (policy agenda) in grado di attrarre un gran numero di elettori e conquistarne la maggioranza4. Tutte le varie attività svolte dai partiti politici sono determinanti e strettamente collegate le une alle altre, così da raggiungere l'obiettivo finale, il quale ovviamente rappresenta anche il collante delle stesse. Pertanto, esse necessitano di un attento studio, coordinamento e armonizzazione. La trasversalità, le interconnessioni e i rapporti di propedeuticità tra le attività svolte costruiscono un intricato disegno e schema che va realizzato vigilando su ogni dettaglio, ponendo particolare attenzione sull'organizzazione della campagna elettorale.Una delle attività che necessita di significativa riflessione e

ponderazione è rappresentata dalla scelta dei candidati per i vari uffici a livello locale, statale e nazionale. Infatti, quando non si è nell'imminenza delle elezioni, i leaders dei partiti si occupano dell'identificazione di possibili candidati - agli uffici, alle cariche, al partito - "forti" che, per la loro personalità, per il loro carisma e per la loro immagine, siano in grado di incontrare il gradimento degli elettori per poi coinvolgerli, a differenti livelli, nelle attività della campagna elettorale5.Non a caso, il grande successo dei Democratici nelle midterm elections6 del 2006 (così come per i Repubblicani nel 2010) è da attribuire al ruolo giocato dalle congressional campaign committees, ossia dei comitati di azione politica, il cui compito è quello di far eleggere i candidati al Congresso7.Secondo la Federal Election Commission [vedi infra], queste commissioni raccolgono milioni di dollari per le campagne elettorali, più di quanto possano ricavare da soli i singoli candidati, perché le suddette commissioni, ricevendo principalmente soft money [vedi infra], non incorrono nei limiti stabiliti dalla FEC8.Le somme raccolte serviranno ad essere allocate tra personale addetto alla campagna, attività pubblicitaria e qualsiasi altra attività volta ad aumentare l'affluenza alle urne.

Un candidato ideale dovrebbe avere una caratura morale, una professionalità ed un'influenza sugli elettori, tali da permettergli di ricevere, da parte dei finanziatori- donatori, sufficiente capitale da gestire una campagna elettorale. I leaders dei partiti, infatti, non sono inclini a fornire sostegno finanziario ai candidati che non sono in grado di ottenere un quantitativo sostanziale di risorse già da soli9. Va inoltre ricordato che, secondo le stime, per un seggio alla Camera servono come minimo diverse centinaia di migliaia di dollari, mentre per un seggio al Senato le cifre si aggirano intorno ai milioni di dollari10.

Framework giuridicoPer quanto concerne l'analisi legislativa dei meccanismi di finanziamento dei partiti negli Stati Uniti d'America va innanzitutto tratteggiato il panorama giuridico che compone il framework di riferimento. In particolare, vengono presi in considerazione l'Election Campaign Act del 1971 e la sua riforma del 1974, il caso Buckley v. Valeo del 1975 e, infine, il Bipartisan Reform Campaign Act del 2003 (BCRA).L'Election Campaing Act del 1971 é stato realizzato con lo scopo di dare un assetto più organico ed equilibrato al bilanciamento di due interessi: da un lato si voleva garantire

3 Bognetti G., Lo spirito del costituzionalismo americano, vol. II, Giappichelli, Torino, 20004 De Vergottini G., Diritto costituzionale comparato, I, CEDAM, Padova, 20075 Lowi -Ginsberg-Shepsle Ansolabehere; American Government Power and Purpose; Norton 20126 Le elezione di metà mandato si tengono due anni dopo le elezioni del Presidente degli Stati Uniti d'America, quindi a metà del quadriennio presidenziale. Si vota, in primo luogo, per le cariche al Congresso; in secondo luogo, si vota per alcuni Governatori degli Stati e per altre cariche a livello municipale o locale. Le midterm elections rappresentano un banco di prova per il Presidente degli Stati Uniti d'America, in quanto, in base alla scelta degli elettori, è possibile comprendere il gradimento di questi ultimi circa il suo l'operato e di conseguenza fare previsioni per le future elezioni7 Lowi -Ginsberg-Shepsle Ansolabehere; op. cit.8 Federal Election Commission website http://www.fec.gov/pages/brochures/fecfeca.shtml 9 Lowi -Ginsberg-Shepsle Ansolabehere; op. cit.10 Lowi -Ginsberg-Shepsle Ansolabehere; op. cit.

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11 Petrillo P.L., Democrazie sotto pressione, Giuffrè editore, 2011. Prime disposizioni in merito furono il Tillman Act del 1907 e il Federal Corrupt Practices Act (noto come Publicity Act) del 191012 Federal Election Commission website http://www.fec.gov/pages/brochures/fecfeca.shtml13 Ibidem14 Ibidem15 Federal Election Commission website http://www.fec.gov/pages/brochures/fecfeca.shtml16 Ibidem

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la continuità del finanziamento pubblico ai partiti, dall'altro era divenuto necessario limitare l'influenza sproporzionata di alcuni soggetti contributori, col timore che potessero influenzare eccessivamente le decisioni e gli indirizzi politici11. É interessante notare che già il presidente Theodore Roosevelt, nel 1905, aveva riconosciuto l'esigenza di dare vita ad una riforma dei meccanismi di finanziamento delle campagne elettorali, chiedendo l'emanazione di una serie di norme volte a vietare i contributi dalle corporations, il cui contributo era finalizzato ad influenzare le decisioni politiche, affinché fossero espressione delle esigenze delle corporations, piuttosto che di quelle dei cittadini12.Il Congresso, pertanto, tra il 1907 ed il 199613, ha approvato una serie di statuti miranti ai seguenti obiettivi: limitare l'influenza sproporzionata dei soggetti finanziatori-donatori con grandi disponibilità e dei gruppi di interesse che in qualche modo fossero in grado di condizionare il risultato delle elezioni federali; regolare le spese per la campagna elettorale; impedire gli abusi, rendendo obbligatoria la divulgazione dei dati di finanziamento e spesa delle campagne elettorali. Nel 1971 il Congresso, consolidando e riorganizzando gli statuti precedenti, diede vita al Federal Election Campaign

Act (FECA), istituendo obblighi di comunicazione (sempre circa finanziamenti-spese) ancora più stringenti per i candidati federali, per i partiti politici e per i comitati di azione politica (c.d. PACs- vedi infra). Grosso limite di questa legge fu l'assenza di un'autorità amministrativa centrale capace di rafforzare e far rispettare le suddette norme, tanto che, a seguito di una serie di abusi finanziari avvenuti nella campagna presidenziale del 1972, il Congresso modificò il FECA nel 197414. Le due maggiori correzioni apportate all’Act originale furono: la costituzione della Federal Election Commision, che ha come task fondamentali: far rispettare il FECA e facilitare la divulgazione delle informazioni della campagna elettorale e l'amministrazione del programma di finanziamento pubblico. In altre parole, la Federal Election Commission ha il compito di rendere pubbliche le informazioni sul finanziamento delle campagne elettorali e di far rispettare le disposizioni di legge in materia di finanziamento pubblico e privato. Il FECA, infatti, non si limitava a disciplinare l’istituto del contributo pubblico alle campagne elettorali, ma regolava anche quello dei contributi privati. Una disciplina, quest’ultima, che nel corso degli anni è stata novellata diverse volte in seguito ad interventi del

Congresso e pronunce della Corte Suprema degli Stati Uniti. Inoltre fu emanata una serie di emendamenti, che posero maggiori limiti sui contributi dei singoli, dei partiti politici e dei PACs (Political Action Commettes, ovvero dei comitati di raccolta fondi che servono a sostenere o ad ostacolare candidati alle elezioni, referendum o atti di iniziativa legislativa). Ulteriori modifiche al FECA furono apportate in seguito alla sentenza della Corte Suprema Buckley v. Valeo 1975, al fine di semplificare il processo di divulgazione delle informazioni, nonché modificare l'intervento dei partiti politici15.Una serie di importanti emendamenti è stata prodotta con il Bipartisan Reform Campaign Act del 2003 (BCRA), a seguito del quale viene vietato ai partiti nazionali di raccogliere o di spendere fondi non federali, c.d. soft money. Inoltre, vengono aumentati i limiti di contribuzione ai partiti, vengono indicizzati certi limiti per l'inflazione e diventano sempre più stringenti le regole per la pubblicità elettorale16.Prima di passare all'analisi delle disposizioni principali che regolano la Campaign Financial Law è opportuno dare le definizioni di soft money e di hard money. Con l'espressione hard money si intendono i contributi versati in favore di un determinato candidato politico. Queste

17 Lowi -Ginsberg-Shepsle Ansolabehere; op. cit.18 Lowi -Ginsberg-Shepsle Ansolabehere; op. cit.

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donazioni possono derivare esclusivamente da singoli individui o dai political action commettee e soggiacciono ai limiti e alle norme stabiliti dalla Federal Election Commission. Il Soft money, invece, è il denaro donato direttamente ai partiti politici, al fine di sostenere le attività politiche generali, e dunque non sono a sostegno di un particolare candidato. Di conseguenza il soft money non è soggetto ai limiti relativi ai contributi elettorali previsti dalla FEC. In altre parole, questo tipo di contributo può provenire non soltanto da individui singoli, ma anche da altre fonti, come ad esempio dalle società. Inoltre, secondo le norme in materia di finanziamento dei partiti politici, le somme derivanti dalle donazioni ascrivibili alla categoria di "soft money" possono essere utilizzate esclusivamente per le così dette attività di "party-building", ossia quelle attività generali volte al funzionamento del partito, come ad esempio la registrazione dei voti17.La Campaign Financial Law, composta dall’Election Campaign Act 1971 e successive riforme ed emendamenti, descrive in maniera precisa e particolareggiata i vari aspetti riguardanti le campagne elettorali e i loro relativo finanziamento. Si parte dalla definizione di elezione, di candidato, di commissione politica, di ufficio federale, di contribuzione (quantificandone e specificandone i termini),

per poi continuare con la descrizione dei documenti e dei reports, di tutti i mezzi, dei modi e degli strumenti attraverso i quali raccogliere e divulgare le informazioni relative ai finanziamenti della campagna elettorale.Vanno menzionate, tra le altre, le procedure di accesso ai dati, le regole sul funzionamento di tutti gli attori coinvolti (commissioni, individui, partiti), i divieti e le limitazioni ai soggetti, fino ad arrivare ai rimedi giudiziari in caso di dissensi.

I meccanismi di finanziamento dei partiti negli Stati Uniti d'AmericaAi fini di una panoramica sui meccanismi di finanziamento dei partiti negli Stati Uniti d'America, appare opportuno soffermarsi sulle principali norme e sui principali soggetti coinvolti. In primo luogo ricordiamo che il denaro per le campagne elettorali proviene da quattro grandi categorie di fonti: (1) dai piccoli contribuenti individuali (fino a un massimo di 200 $), (2) dai grandi contribuenti individuali (a partire da 200 $), (3) dalle commissioni e/o dai comitati, e (4) dall' autofinanziamento dei candidati. Per quanto concerne la Disclosure, ossia la divulgazione delle informazioni riguardanti la campagna elettorale, il FECA richiede ai comitati dei candidati, ai comitati di partito ed ai PACs di redigere, periodicamente, relazioni idonee a tracciare i

dati relativi alle donazioni e alle spese. Ad esempio, vanno indicati i soggetti che contribuiscono con una donazione/finanziamento superiore ai 200$ ed inoltre vanno rendicontate le spese superiori ai 200$ per ogni ciclo elettorale. Il FECA pone sostanzialmente due tipi di limiti ai contributi: uno sull'ammontare del contributo massimo (dipendente da una serie di fattori, quali il tipo di donatore, il soggetto ricevente, il tipo di ufficio per cui si concorre) e un altro sul soggetto contribuente. Infatti, viene fatto divieto di donare dalle imprese, dai sindacati, da chi ha appalti o contratti col governo federale e dai cittadini stranieri e dalle banche direttamente ai candidati. A questi soggetti non viene fatto divieto di sovvenzionare i partiti tout court, ma semplicemente per via diretta.Pertanto si da, a queste categorie di soggetti, la possibilità di diventare finanziatori costituendo oppure utilizzando un PACs.É possibile rilevare alcune attenuazioni a queste regole per quanto concerne le elezioni (e le campagne) a livello statale, le quali presentano una regolamentazione propria su diversi punti.Inoltre, per quanto riguarda le elezioni federali: non è possibile dare un contributo a nome di un'altra persona ed è vietato dare un contributo in denaro maggiore di 100$18.E’ importante, a questo punto, fare menzione delle

19 Queste "communication" , calate in un contesto italiano, andrebbero descritte come un ibrido tra uno spot elettorale e una pubblicità progresso. La forma ricorda lo spot elettorale, mentre il contenuto (ad esempio le communication che invogliano ad andare a votare) può essere assimilata alla pubblicità progresso.20 Federal Election Commission website http://www.fec.gov/pages/brochures/fecfeca.shtml21 Ibidem22 Ibidem

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Independent Expenditures. Si tratta di spese a finanziamento di "comunicazioni politiche"19 o "avvisi politici" o pubblicità, che sostengono esplicitamente le elezioni di un determinato candidato o ne illustrano gli aspetti negativi. Sono indipendenti dai comitati elettorali e dai supporter di qualunque candidato. Per essere considerate independent expenditures queste "comunicazioni politiche", infatti, non possono essere operate in cooperazione /o su richiesta/ o suggerimento del candidato oggetto della communication, né dei suoi agenti, o membri del suo partito e neanche da soggetti appartenenti alle political commitees. Se viene rilevato che, invece, sussiste un collegamento tra la comunicazione e il candidato o il suo entourage, l'expenditure non viene considerata indipendente. Non vi è alcun limite, per i donatori, sul quantum donare, mentre la legge richiede a chi utilizza i fondi destinati alle independent expenditures non solo di segnalare l'uso delle stesse, ma anche di rivelare le fonti dei fondi usati20. Secondo la legge elettorale federale sia un individuo che un gruppo (come ad esempio una PAC) possono fornire illimitati finanziamenti.Un altro metodo di finanziamento della campagna elettorale è attraverso un Fondo finanziato dalle tasse (su base volontaria) dei cittadini.

Secondo l'Internal Revenue Code21 i candidati presidenziali possono ricevere parte del finanziamento necessario alla campagna attraverso il Presidential Election Campaign Fund, direttamente gestito dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. Esso è finanziato esclusivamente dalle trattenute fiscali volontarie.Infatti, i contribuenti americani possono decidere di effettuare una donazione al suddetto fondo mettendo una croce sull'apposita casella attraverso la loro dichiarazione dei redditi. Tali trattenute non possono essere destinate ad altri programmi federali22.I fondi dedicati alla campagna elettorale sono tre: Primary Matching Payments (donazioni dei soli privati), General Election Grants (donazioni dei soggetti altri rispetto ai privati) e Party Convention Grants. Infine è interessante menzionare il ruolo dei c.d. bundlers, figura sviluppatasi proprio in conseguenza delle limitazioni al denaro che è possibile donare come singoli individui per la campagna elettorale, all'interno delle attività di ricerca e collezione dei fondi a finanziamento delle campagne elettorali. I bundlers sono dei soggetti dediti alla raccolta di contributi da diversi individui, organizzazioni, a sindacati, imprese al fine di presentare ai partiti la somma totale ottenuta per la campagna.Per quanto concerne il

Bipartisan Campaign Reform Act of 2003 (BCRA), due sono le grandi innovazioni in esso apportate: la principalità del ruolo del soft money nel finanziamento delle campagne elettorali, attraverso il divieto alle political party committees di raccogliere fondi non soggetti ai limiti imposti dalla FEC e la proliferazione della issue advocacy ads. Si tratta di comunicazioni a scop0 p u b b l i c i t a r i o - e l e t t o r a l e . Nello specifico, le tematiche affrontate negli advocacy ads non riguardano un candidato in particolare, ma "ampie e generali questioni politiche o sociali". Gli advocacy ads si contrappongono agli express advocacy advertisements, i quali, al contrario, "espressamente" sostengono o si oppongono ad un particolare risultato elettorale. Di conseguenza questi ultimi -a differenza dei primi- possono includere dichiarazioni "contro" o "a favore" di determinati candidati.Il più importante caso giurisprudenziale, intervenuto nella ridefinizione delle regole sulla campagna elettorale negli Stati Uniti d'America, è il Buckley c. Valeo case. In seguito agli emendamenti del 1974 al Federal Election Campaign Act del 1971, furono apportati una serie di limiti sempre più stringenti al finanziamento dei partiti e furono prodotte una serie di regole molto complesse per la divulgazione delle informazioni sui finanziamenti

23 Smith, Craig R. (2003). "Buckley v. Valeo". In Parker, Richard A. (ed.). Free Speech on Trial: Communication Perspectives on Landmark Supreme Court Decisions. Tuscaloosa, AL: University of Alabama Press. pp. 203-217.

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e finanziatori. La questione giuridica posta alla Corte, in sintesi, si domandava se queste previsioni così forti violassero "la libertà di parola" e "la libertà di associazione" protette dal Primo Emendamento.La decisione della Corte Suprema creò un distinguo tra i contributi (i finanziamenti) e le spese della campagna elettorale, sostenendo che mentre apporre limiti ai contributi per le campagne federali -imposti dal FECA- sia un meccanismo corretto, imporre limiti alle spese rappresenta un vincolo ed una compressione toppo forti. La Corte ritenne che i limiti sui contributi alla campagna elettorale servono a salvaguardare l'integrità delle elezioni ["served the government's interest in safeguarding the integrity of elections"], seppur, allo stesso tempo, limitanti la liberà di parola prevista dal Primo Emendamento ["expenditure limitations is to restrict the quantity of campaign speech by individuals, groups and candidates"]. Invece, una limitazione delle spese per la campagna elettorale, costituirebbe una severa restrizione delle libertà di espressione e di libertà politica ["significantly more severe restrictions on protected freedom of political expression and association than do its limitations on financial contributions"] e pertanto è da escludere23.

ConclusioniAppare evidente come tutta l'impostazione giuridica del finanziamento ai partiti negli Stati Uniti d'America rappresenti un intricato e dettagliato equilibrio di interessi, tessuto sulla partecipazione al finanziamento delle campagne elettorali. Il bilanciamento è tra la tutela dell'integrità delle elezioni, che potrebbe essere manipolata da lobbies o da soggetti con ingenti capitali-interessi e dall'altro lato la partecipazione dell'elettorato al finanziamento della campagna elettorale. Finanziamento che, come si è visto, diviene metro di giudizio sul gradimento dei candidati (e del loro operato, nel caso delle midterm elections). In altre parole si vuole evitare che chi possiede maggiori risorse (e di solito si tratta di lobbies o di grandi imprese il cui fine non è certo l'ottimale governo della nazione, ma il raggiungimento dei loro interessi particolari), attraverso la pubblicità riesca a condizionare l'andamento delle elezioni.

LE PRINCIPALI FONTI GIURIDICHE

Categorie di fonti private al finanziamento delle campagne elettorali

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1 Bognetti G., Lo spirito del costituzionalismo americano, vol. II, Giappichelli, Torino, 2000 2 Pasquino G., “Conclusioni”, in Pasquino G. - Venturino F. (a cura di), Le primarie comunali in Italia, Il Mulino, Bologna, 20093 De Vergottini G., Diritto costituzionale comparato, I, CEDAM, Padova, 20074 Petrillo P.L., “Due facce della stessa medaglia: il ruolo dei gruppi di pressione e del Presidente federale nella riforma sanitaria statunitense", in Carboni G.G. (a cura di), La salute negli Stati composti. Tutela del diritto e livelli di governo, Giappichelli, Torino, 2012

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La forma di governo presidenziale degli Stati Uniti è resa speciale dal particolare sistema politico e partitico che la caratterizza. La Costituzione americana del 1787, differentemente da quella italiana del 1948, non fa menzione dei partiti ma piuttosto dei delegati degli Stati, all’epoca divisi sul rafforzamento o meno del potere federale. Il Partito Democratico e il Partito Repubblicano, che dominano e assicurano ancora oggi la sopravvivenza del bipartitismo statunitense, nacquero rispettivamente nel 1828 e nel 1854.Più che l’assenza dal testo costituzionale è la loro natura, struttura ed organizzazione, a rendere i due principali partiti politici statunitensi un unicum. Essi non devono essere intesi secondo il modello europeo del partito politico strutturato e centralizzato, dotato di forte disciplina interna. Al contrario, negli Stati Uniti, i partiti possono definirsi come federazioni di partiti aventi una propria base locale nei diversi Stati1.L’assetto federalista e le diversità sociali hanno

disincentivato la nascita e il consolidamento di partiti omogenei a livello nazionale. È solamente durante le elezioni presidenziali che queste organizzazioni politiche assumono una parvenza di compattezza nazionale avente la propria plastica rappresentazione nelle conventions che si tengono nel corso dell’estate immediatamente precedente la tornata elettorale e prima ancora nelle lunghe primarie che hanno tradizionalmente avvio in Iowa.Sono le campagne elettorali, dunque, il cuore vero dell’attività di democratici e repubblicani, ossia quelle per l’elezione di cariche pubbliche e quelle per le cosiddette primarie, le quali permettono ai cittadini di selezionare i candidati dei partiti. Le elezioni primarie fanno oramai definitivamente parte del modo di fare politica negli Usa e risultano uno strumento complesso ma efficace di democrazia, in presenza di una organizzazione partitica fragile e fluttuante2.Il ricorso generalizzato alle primarie risale agli anni

Settanta: é del 1971, per l’esattezza, il Federal Election Campaign Act, la legge federale che le disciplina insieme al finanziamento delle campagne elettorali.Il combinato disposto dell’istituzionalizzazione delle primarie e l’adozione di una disciplina sul finanziamento dei partiti ha rafforzato sicuramente questi ultimi. Tuttavia, essi non risultano così determinanti nello svolgimento dell’attività parlamentare nella stessa misura in cui accade altrove3.Sono piuttosto i singoli rappresentanti ad avere peso rilevante nel Congresso, il quale si configura come il luogo dove avvengono le mediazioni tra interessi locali4.

Brevi cenni sulla disciplina del finanziamento ai partitiSe è vero che i partiti statunitensi risultano attivi e compatti prevalentemente durante le campagne elettorali, ne consegue che il finanziamento della politica è sostanzialmente finanziamento delle campagne elettorali. Un tema generalmente considerato sensibile poiché

LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE SUPREMA DEGLI STATI UNITI D’AMERICA SUL FINANZIAMENTO DELLA POLITICAFrancesco Angelone

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5 Amato G., Nota sul finanziamento della politica, Camera dei Deputati, 2012. La nota del prof. Giuliano Amato fu redatta in quanto consulente del Presidente del Consiglio per fornire una analisi e degli orientamenti circa l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione6 Ibidem7 Prime disposizioni in merito furono il Tillman Act del 1907 e il Federal Corrupt Practices Act (noto come Publicity Act) del 1910. Petrillo P.L., Democrazie sotto pressione, Giuffrè editore, 20118 Camera dei Deputati, Il finanziamento della politica in Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti, Materiali di legislazione comparata, giugno 20139 Public Funding of Presidential Elections10 Clementi F., “Ha ancora un senso il finanziamento pubblico nelle campagne elettorali per le elezioni presidenziali negli Stati Uniti?”, in Lino M. – Pegoraro L. – Frosini J. (a cura di), From Bush to…?. Le elezioni presidenziali americane 2004, Bonomo editore, Bologna, 2004

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espressione del rapporto tra governanti e governati e di una delle modalità con cui i cittadini, singolarmente o collettivamente, partecipano alla determinazione delle scelte e degli interessi politici5. In questo senso, non sorprende che non vi siano ordinamenti realmente democratici non disciplinanti, almeno in parte, il finanziamento pubblico del momento elettorale come garanzia minima di uguaglianza delle chances di partecipazione alla vita politica6. Non fanno eccezione gli Stati Uniti, considerati, nel dibattito pubblico, la patria del finanziamento privato.La pietra miliare nella legislazione sul finanziamento della politica è certamente il già citato Federal Election Campaign Act (FECA) del 19717, in quanto costituisce la prima legge organica in materia. Il FECA disciplina il finanziamento pubblico delle campagne elettorali limitandone l’erogazione esclusivamente alle elezioni presidenziali e tramite un meccanismo di matching funds non gravante direttamente sul bilancio statale o federale. Sono i contribuenti a scegliere, nella propria dichiarazione dei redditi, se destinare un importo fisso (circa 3 dollari) al Presidential Election Campaign Fund, istituito presso lo United States Department of the Treasury dal 19768.

Accedono a tale fondo i due principali partiti ma anche il candidato che abbia raccolto 5mila dollari in almeno 20 Stati durante le elezioni primarie o che abbia ricevuto almeno il 5% dei voti nelle elezioni presidenziali9. Questo contributo pubblico dovrebbe servire a coprire essenzialmente le spese per le conventions nelle quali i partiti designano ufficialmente il proprio candidato per le elezioni. Va detto, inoltre, che il finanziamento pubblico risulta essere sempre meno rilevante10, senza tralasciare la possibilità di rinunciarvi.Infatti, seppure sia uno strumento a garanzia degli outsider, il suo utilizzo preclude l’accesso a fondi privati e prevede l’obbligo di restituzione in caso di violazione delle regole sulla documentazione delle spese e l’osservanza di stringenti limiti delle stesse. Per questa e per altre ragioni, è sempre più frequente che i candidati del Partito Democratico e del Partito Repubblicano vi rinuncino per fare affidamento sui contributi privati, da considerare come attestati di sostegno alla propria persona e alla piattaforma programmatica prospettata, oltre che da stimolo alla modulazione della stessa.Vigilare sul rispetto delle disposizioni contenute nel FECA è compito della

Federal Election Commission (FEC), agenzia indipendente istituita nel 1974 (e operativa dall’anno successivo) da un provvedimento federale (Public Law 93-443) posto a modifica della legge del 1971. Essa ha il compito di rendere pubbliche le informazioni sul finanziamento delle campagne elettorali e di far rispettare le disposizioni di legge in materia di finanziamento pubblico e privato. Il FECA, infatti, non si limitava a disciplinare l’istituto del contributo pubblico alle campagne elettorali ma regolava anche quello dei contributi privati. Una disciplina, quest’ultima, che nel corso degli anni è stata novellata diverse volte in seguito a interventi del Congresso e pronunce della Corte Suprema degli Stati Uniti (come di seguito esplicato) e che, dunque, non ha seguito un andamento lineare.La legge del 1971 ammette ancora oggi il contributo delle persone fisiche a sostegno di un candidato per le presidenziali o per il Congresso, sia in fase di elezioni primarie sia per le elezioni generali. Tali contributi assumono la forma di independent expenditure e debbono essere effettivamente autonomi, cioè non coordinati con l’organizzazione della campagna condotta dal partito o dal candidato. Qualora questi siano superiori ai 250 dollari annui, vanno notificati alla FEC.Viene riconosciuto anche in

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11 Promossa dal senatore di New York James Buckley contro il Governo federale rappresentato dal Segretario Generale del Senato Francis Valeo12 Petrillo P. L., Democrazie sotto pressione, op. cit.13 De Caria R., “Lobbying e finanziamento elettorale negli Stati Uniti al tempo di Obama”, in Palici di Suni E. (a cura di), La presidenza Obama nel sistema costituzionale statunitense: novità e riconferme, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2010

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capo alle persone giuridiche (imprese, corporations, sindacati, associazioni di categoria) il diritto di finanziare le campagne elettorali e, segnatamente anche alle persone fisiche, il diritto di costituire i cosiddetti PAC, ovvero i Political Action Committes, gruppi di raccolta fondi per i candidati a sostegno di determinati interessi.La legge, come emendata nel 1974 sulla scia dello scandalo Watergate, conteneva dei limiti alle spese elettorali, ai contributi dei cittadini e ai finanziamenti tramite PAC, oltre alla richiesta di massima trasparenza proprio sui contributi ricevuti e sui costi sostenuti. La Corte Suprema, nella sentenza Buckley v. Valeo del 197611, pur riconoscendo la legittimità di una legge federale che limitasse la quantità di denaro da poter donare a un candidato, ravvisò l’incostituzionalità del tetto di spesa in capo al candidato quale limitazione sostanziale della libertà di espressione. Il medesimo orientamento fu confermato nella sentenza del 1978 First National Bank of Boston v. Bellotti, attraverso la quale la Corte confermò l’esistenza prioritaria di un diritto pubblico ad ascoltare e vedere realizzate le libere espressioni quali che ne fossero la fonte, persone fisiche o giuridiche.A seguito di questa pronuncia, il Congresso decise di rivedere il FECA, introducendo la distinzione tra hard e soft money, cioè finanziamenti diretti al candidato o al partito,

soggetti a delle limitazioni, e contributi utilizzabili anche al di fuori della contesa elettorale senza alcun tipo di vincolo. Ulteriore distinzione era quella tra i separate segregated funds e i non connected committees. I primi venivano amministrati esclusivamente da persone giuridiche e i secondi da privati cittadini12. La complessità della normativa, con vuoti annessi, permetteva alle grandi lobbies di costituire dei PAC di natura soft al fine di finanziare indirettamente i candidati. I partiti, dal canto loro, chiedevano e spendevano soldi per campagne presso l’opinione pubblica catalogate come issue ads, cioè campagne a tema, piuttosto che come express advocacy, cioè di sostegno a un candidato13. Allo stesso tempo i PAC mandavano in onda veri e propri spot elettorali mascherati da altro aggirando, così, la legge in vigore.La disciplina rimase sostanzialmente intatta sino al 2002, quando il Congresso la riformò con il Bipartisan Campaign Reform Act (noto anche come legge McCain – Feingold dai nomi dei firmatari, il repubblicano John McCain e il democratico Russ Feingold). La legge provocava conseguenze significative sul finanziamento privato, poiché vietava totalmente il soft money sia per le elezioni presidenziali che per quelle del Congresso, limitandone l’entità fino a un massimo di 10 mila dollari per le elezioni locali. Inoltre,

veniva operata la distinzione tra la propaganda direttamente realizzata dai candidati (campaigning communication) e quella realizzata da soggetti terzi (electioneering communication). Queste ultime venivano vietate nel mese precedente le elezioni primarie e nei due mesi precedenti le elezioni generali se pagate da una persona giuridica.La Corte Suprema, investita del caso dal ricorso del senatore repubblicano McConnell (McConnell v. FEC, 2003), dichiarò costituzionalmente legittima la legge in virtù dell’interesse, allora ritenuto prioritario rispetto alla libertà di espressione, di impedire l’effettiva o apparente corruzione dei candidati.

La giurisprudenza della Corte Suprema degli Stati UnitiSe quest’ultima sentenza sembrava aprire ad un più equilibrato bilanciamento tra i limiti ai finanziamenti delle campagne elettorali e la libertà di espressione, alcune pronunce successive hanno invertito nuovamente la rotta intrapresa dal Congresso nel 2002. Nella sentenza FEC v. Wisconsin Right to Life Inc. (2007) la Corte Suprema (di orientamento prevalentemente repubblicano e conservatore) ritenne non imponibile il divieto di electioneering communication nei 30 giorni precedenti le elezioni primarie qualora le pubblicità non potessero essere chiaramente interpretate come appello

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14 Petrillo P. L., “Due facce della stessa medaglia”, op. cit.15 De Caria R., op. cit.16 I senatori Chris Dodd, Dick Durbin, Arlen Specter, Charles Schumer e i deputati John Larson, Walter Jones e Chris van Hollen17 Mayersohn A., Four Years After Citizens United: The Fallout, Center for Responsive Politics, 21 January 2014 18 https://www.donaldjtrump.com/press-releases/donald-j.-trumps-five-point-plan-for-ethics-reform e https://www.youtube.com/watch?v=b6uiVuGspWE.19 Mayersohn A., op. cit.20 Formenti C., Sanders e Trump: la rivolta degli elettori contro l’establishment, Micromega, 4 luglio 2016

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al voto per o contro un candidato14. È con sentenze successive, tra cui la notissima Citizens United v. FEC del 2010, che la Corte ha aperto la strada al proliferare dei PAC. Nella sentenza del 2010, intentata da una associazione no profit che intendeva trasmettere un documentario critico verso Hillary Clinton pagato da una corporation (nonostante il parere contrario della FEC), la Corte Suprema rinvenne l’incostituzionalità manifesta di vietare i messaggi pubblicitari indipendenti finanziati da aziende, sindacati e associazioni durante le campagne elettorali. In capo alle persone giuridiche, in sostanza, vi sarebbe il diritto alla libertà di espressione così come avviene per le persone fisiche. La maggioranza dei giudici costituzionali sosteneva che non vi potesse essere un giudizio preventivo della FEC poiché se l’autorità avesse negato l’autorizzazione alla trasmissione di uno spot, questa avrebbe avuto potere discrezionale sull’esercizio di un diritto garantito dalla Costituzione. Inoltre, un potenziale eccesso di influenze da parte di poche, ricche e potenti aziende non giustificherebbe la loro esclusione dal dibattito pubblico, una priorità rispetto alla prevenzione del fenomeno corruttivo.La prima conseguenza di questa pronuncia è stata il sorgere di uno scontro istituzionale tra la

Corte Suprema e il Presidente Barack Obama. In occasione del discorso sullo Stato dell’Unione del 2010 Obama criticò apertamente la sentenza in quanto avrebbe permesso un ulteriore profluvio di denaro proveniente da interessi particolari nella politica americana, privando i cittadini di un significativo potere decisionale15. La Presidenza, dunque, si è caratterizzata per questa accesa dialettica in cui Obama e alcuni membri del Congresso16 hanno tentato di porre un freno ai moneyed interests al fine avvicinare gli Stati Uniti al modello economico-sociale europeo mentre la Corte Suprema ha assunto la posizione di baluardo della deregulation. Con sentenze come la Citizens United v. FEC, la Corte ha sposato la posizione di chi vuole lasciare il denaro libero di andare dove meglio crede, facendo degli Stati Uniti il Paese dove la libertà di espressione è maggiormente tutelata rispetto ad altri diritti e interessi.Una seconda conseguenza riguarda più strettamente il finanziamento delle campagne elettorali. Studi di settore hanno confermato che la sentenza del 2010 (e alcune successive come la Speechnow.org v. FEC del 2010 e la McCutcheon v. FEC del 2014) ha spianato la strada ai finanziamenti diretti da parte delle aziende private nella creazione dei super PAC, capaci di accettare in misura

illimitata donazioni dalle persone giuridiche allo scopo di sostenere un candidato senza entrare in contatto con la personale struttura elettorale o con il partito che rappresenta17.

Conclusioni Il tema del ruolo del denaro nella competizione politica è stato al centro del dibattito pubblico anche durante la campagna elettorale per le presidenziali del 2016, specialmente sotto la spinta del principale sfidante democratico di Hillary Clinton, il senatore democratico del Vermont Bernie Sanders, e di Donald Trump, nuovo Presidente degli Stati Uniti, che al grido di “Prosciughiamo la palude!” (Drain the Swamp!) ha richiamato la necessità di liberare Washington dalla morsa dei grandi interessi18 per farne il luogo di soddisfazione delle istanze dei cittadini normali.Se è vero che il populismo in salsa americana di fine ‘800 nacque per il sentimento diffuso di esclusione e scarsa rappresentanza dei cittadini19, e che questo fenomeno abbia seriamente minacciato allora il sistema partitico, si può correttamente sostenere che Trump e Sanders abbiano rappresentato la ventata di protesta (seppur istituzionalizzata) più forte da decenni a questa parte degli americani verso un’insopportabile scarsa incidenza sulle policies20.

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D’altra parte, non vi è dubbio che gli Stati Uniti rappresentino un esempio da imitare per quanto concerne la conoscibilità e la trasparenza dei finanziamenti21. Nessuna pronuncia della Corte Suprema, dal momento in cui la FEC è stata istituita, ha mai contemplato un arretramento in tal senso. Sebbene gli Usa siano un Paese particolarmente attento alla tutela della privacy, sul sito della Federal Election Commission devono essere obbligatoriamente visibili i donatori per i candidati di ogni livello in modo tale da fornire all’elettore la massima conoscenza riguardo gli interessi sottostanti a determinate dichiarazioni, posizioni, programmi e politiche. Pur ammettendo l’influenza dei grandi e ricchi gruppi di interesse sul processo elettorale, il cittadino-elettore, dunque, risulta spesso sufficientemente informato da poter prendere decisioni conseguenti, scegliendo se votare o meno il candidato anche in base agli interessi dai quali é stato sostenuto e finanziato.

21 Amato G., op. cit.

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Una caratteristica evidente del sistema politico contemporaneo é individuabile nella crisi dei partiti come strumenti di aggregazione sociale, promozione delle istanze e delle necessità dei cittadini. La c.d. seconda Repubblica si distingue in particolare dalla “prima” per il crescente tasso di personalismo assunto dagli attori politici, sempre più incentrati sulla propria figura piuttosto che sulle ideologie poste a fondamento dei partiti di cui sono espressione, delle quali si fanno comunque portatori, sebbene attraverso un filtro maggiormente particolaristico rispetto al passato.Non volendo disquisire in questa sede sulle trasformazioni politiche e sociali avvenute in Italia negli ultimi due decenni, si vuole comunque evidenziare come il declino dei partiti politici sia rapportabile all’aumento del numero di fondazioni e associazioni con finalità politiche, ossia i think tanks o pensatoi. Se nei partiti di massa, protagonisti della politica italiana dal dopoguerra agli anni ’90, la dialettica sulle scelte politiche e amministrative avveniva al

proprio interno attraverso l’esistenza di gruppi e correnti, oggi il dibattito si é trasferito all’esterno di questi, andando a confluire nelle fondazioni e associazioni politiche, sempre più attive nello stabilire le linee guide dell’azione politica. Tuttavia, sebbene sia pacifica una netta distinzione tra queste due entità, le fondazioni e associazioni politiche si distinguono principalmente dai partiti per l’eterogeneità dei propri componenti, se non proprio per la trasversalità degli esponenti politici presenti in misura maggioritaria all’interno di esse1.L’obiettivo di questo lavoro é quello di analizzare la composizione, le attività e la disciplina giuridica delle fondazioni e delle associazioni politiche, ponendo particolare accento sulla mancanza di una legislazione adeguata in materia di finanziamento e trasparenza di queste.A tal proposito, verrà presa in esame la proposta di legge relativa alla “Disciplina delle fondazioni e delle associazioni politiche2” (A.C. 3158, presentata il 04/06/2015 a firma dell’On. Misiani e altri) al fine di evidenziarne eventuali punti di forza e debolezza, con

l’obiettivo di fornire i migliori strumenti di comprensione, analisi ed efficacia del testo in questione.

Le fondazioni e le associazioni politiche in Italia La libertà di associazione, in Italia, é garantita dalla Costituzione con l’articolo 18, mentre l’articolo 49 riconosce il diritto di riunirsi in partiti al fine di partecipare alla politica del Paese. In via maggiormente specifica, il Codice Civile disciplina le associazioni e le fondazioni agli artt. 14, 16 e 40.É sulla base di questi riferimenti normativi che si possono collocare le fondazioni e le associazioni politiche, ossia le organizzazioni il cui scopo é quello di elaborare studi, analisi e proposte su temi di interesse pubblico, strettamente connessi alla politica. Questa relazione, infatti, si può riscontrare attraverso un’attenta analisi della composizione dei consigli scientifici e di amministrazione – oltre che dalle liste dei soci, qualora pubbliche – delle realtà in questione. Secondo uno studio condotto da OpenPolis su 65 Think tanks, é possibile mettere in evidenza alcuni

Luca Tritto

FONDAZIONI E ASSOCIAZIONI POLITICHE

La necessità di trasparenza nei Think Tanks italiani

1 Associazione OpenPolis, Cogito ergo sum, i think tank politici in italia, Luglio 20152 www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0032370.pdf

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aspetti ricorrenti quali la trasversalità dei membri di appartenenza rispetto all’appartenenza politica, tenendo in considerazione i casi per cui membri influenti ricoprono anche incarichi di governo, la forte connessione tra diverse organizzazioni e, aspetto centrale di questo lavoro, la quasi totale assenza di trasparenza relativamente alla pubblicazione dei bilanci (e dunque dei finanziamenti).A tal proposito, si rende necessaria una precisazione: le fondazioni e le associazioni politiche non sono da considerare soggetti pubblici, in quanto sono organizzazioni private che non concorrono attraverso il processo democratico alla formazione delle politiche nazionali. Di conseguenza, non si palesa l’obbligo di rispettare i principi di pubblicità e trasparenza. Tuttavia, sulla base delle osservazioni sopra enunciate, ossia l’accresciuta importanza del peso politico delle fondazioni e delle associazioni politiche, anche nel processo decisionale per via dei suoi membri e delle attività svolte, si potrebbe ritenere ragionevole una pretesa di maggiore trasparenza in materia di bilanci e finanziamenti.La motivazione intrinseca di quest’ultimo aspetto risiede sia nel nuovo ruolo delle organizzazioni in questione, sia nel contemporaneo declino dei partiti. Infine, aspetto di rilevante importanza in questa

sede, bisogna prendere in considerazione la riforma del finanziamento pubblico ai partiti politici, la quale ne dispone l’abolizione indicando i contributi da parte dei privati come voce di entrata.Negli ultimi anni si é verificato in maniera continuata il ricorso alla creazione di fondazioni politiche al fine di trasferire e salvaguardare parte dei patrimoni di proprietà dei partiti politici. In particolare, si possono annoverare i casi della Fondazione Alleanza Nazionale e la vicenda del quotidiano l’Unità, la quale ha svelato come il patrimonio dei Democratici di Sinistra e del Partito Comunista fosse stato trasferito a ben 57 fondazioni3.Inoltre, spesso le fondazioni politiche fanno riferimento a un singolo uomo politico, andando a configurarsi come una sorta di "cassaforte” all’interno della quale svolgere attività di raccolta fondi senza dover tuttavia divulgare l’identità e la provenienza dei finanziamenti, a differenza di quanto previsto dalla legge Letta sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti politici.É alla luce di queste considerazioni che si configura la necessità di una maggiore regolamentazione del settore, con l’obiettivo di rendere pubblici sia i finanziatori sia l’entità dei bilanci delle fondazioni e delle associazioni attive nell’ambito delle politiche pubbliche o poste a sostegno di uno o più rappresentanti

politici, declinando anche in questo campo il concetto di accountability, ossia la possibilità per il cittadino-elettore di conoscere in maniera più ampia il processo di policy-making, anche al di fuori dei tradizionali canali istituzionali e partitici.

La proposta MisianiIl più importante tentativo di regolamentazione si può individuare nella proposta di legge n. 3158 della Camera dei Deputati denominata “Disciplina delle fondazioni e associazioni politiche”, con primo firmatario l’Onorevole Antonio Misiani del Partito Democratico.Il principale riferimento normativo della proposta é rappresentato dal decreto-legge n. 149 del 2013, modificato dalla legge n. 13 del 2014 “recante l’abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore”.L’obiettivo é quello di ampliare e sviluppare la norma del 2014, estendendo i criteri di trasparenza e pubblicità in materia di finanziamenti e bilanci previsti per i partiti alle fondazioni e associazioni politiche, richiamando in particolare l’articolo 5, comma 44.Di fondamentale importanza é l’articolo 1, il quale espone i criteri di applicazione e

3 Il Fatto Quotidiano, L’Unità, pagati con soldi pubblici i 107 milioni di debiti della vecchia gestione, 9 Novembre 20154 Alle fondazioni e alle associazioni la composizione dei cui organi direttivi sia determinata in tutto o in parte da deliberazioni di partiti o movimenti politici, nonche' alle fondazioni e alle associazioni che eroghino somme a titolo di liberalita' o contribuiscano al finanziamento di iniziative o servizi a titolo gratuito in favore di partiti, movimenti politici o loro articolazioni interne o di parlamentari o consiglieri regionali, in misura superiore al 10 per cento dei propri proventi di esercizio dell'anno precedente, si applicano le prescrizioni di cui al comma 1 del presente articolo, relative alla trasparenza e alla pubblicita' degli statuti e dei bilanci

fornisce una definizione delle fondazioni e associazioni politiche. In primo luogo, si individuano queste ultime riferendosi alle attività poste in essere, in particolare studi, ricerche e divulgazione su temi di interesse collettivo. In secondo luogo, si fa riferimento alla determinazione della composizione degli organi direttivi, applicando la norma a quelle organizzazioni i cui vertici vengono definiti in parte o in tutto da deliberazioni di movimenti o partiti politici. Infine, si considerano oggetto della proposta quelle fondazioni e associazioni politiche che contribuiscono finanziariamente o tramite beni e servizi alle attività di partiti politici o articolazioni di questi.L’articolo 2 introduce un Registro pubblico delle fondazioni e associazioni politiche presso la Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici5, alla quale é obbligatorio inoltrare una copia dello statuto e dell’atto costitutivo recante informazioni di tipo legale, di gestione economico-finanziaria e, con cadenza annuale, tutti i documenti relativi all’esercizio di bilancio. A tal proposito, la proposta, all’articolo 3, dispone che qualora siano stati registrate entrate superiori a Euro 50.000, le fondazioni e associazioni politiche sono tenute a rivolgersi a un revisore legale esterno dal quale ottenere una certificazione.L’aspetto prettamente

finanziario é trattato nell’articolo 4, il quale applica anche alle fondazioni e associazioni politiche i limiti di donazione – da parte di persone fisiche e giuridiche - previsti per i partiti politici dall’attuale legge in vigore, ossia Euro 100.000 annui, attraverso canali tracciabili e dunque non in denaro contante. L’unica eccezione riguarda i lasciti mortis causa, ossia per via testamentaria. Per quanto concerne la trasparenza, il testo prevede che vi sia massima pubblicità sui siti internet relativamente alle donazioni e ai contributi superiori come importo a Euro 5.000 all’anno. Inoltre, bisogna effettuare una comunicazione ufficiale in tal senso anche alla Presidenza della Camera dei Deputati, rendendo disponibili tali informazioni anche sul sito internet istituzionale.Punto cruciale di questo aspetto é la pubblicazione dei nomi dei donatori responsabili di contributi superiori a Euro 5.000. La legge sul finanziamento pubblico ai partiti politici risulta leggermente ambigua al riguardo6. Tuttavia, la proposta Misiani dispone al comma 6 dell’articolo 4 una deroga all’articolo 26 del decreto legislativo n. 196 del 2003 relativo alla protezione dei dati personali. Nello specifico, non risulta più obbligatorio il rilascio del consenso, da parte del donatore, alla pubblicazione dei suoi dati.L’aspetto relativo alle sanzioni é individuato nell’articolo

6, il quale prevede che la Commissione possa applicare diverse sanzioni pecuniarie in base alla gravità delle infrazioni.

Trasparenza, pubblicità e divieti: un’analisi criticaSulla base di quanto finora esposto, si rende necessaria una analisi più approfondita delle disposizioni previste dalla proposta.Sicuramente, la quest’ultima rappresenta il primo vero passo verso una regolamentazione del settore, in quanto va a individuare in maniera specifica alcuni temi focali come la trasparenza e i finanziamenti.Bisogna ricordare, inoltre, che il riferimento alla legge n. 13/2014 stabilisce un divieto per le erogazioni liberali da parte di enti o società partecipate da capitale pubblico. In tal modo si ottempera alla situazione per cui i vertici di tali enti o società, qualora determinati dal potere politico, possono finanziare in maniera indiretta fondazioni o associazioni politiche vicine al decisore pubblico (o nel caso in cui questo ne sia membro) al fine di trarne un vantaggio personale.Ancora, sempre la legge n.13/2014, ripresa in questa sede, prevede un sistema di premialità fiscale tramite detrazioni per chi finanzia le associazioni e le fondazioni politiche7.Tuttavia emerge in maniera evidente un aspetto critico: l’obbligo di pubblicazione dei dati dei donatori per contributi superiori a Euro 5.000.

5 Ex Legge n. 96 del 6 Luglio 2012, art. 9, comma 36 Cfr. Chiara Hassemer, La nuova disciplina in tema di finanziamento pubblico e privato ai partiti politici in Italia, Innovazione e Riforme, n. 5, 20177Ibidem

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Come già enunciato, si profila una differenza con la legge sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti politici, in quanto non risulta vincolante il rilascio del consenso al trattamento dei dati personali da parte del donatore.Nonostante ciò, il punto in analisi é relativo al limite minimo dei 5.000 Euro. L’obiettivo di garantire ampia trasparenza viene in tal modo ridimensionato, in quanto non vengono prese in considerazione le donazioni inferiori a tale importo, le quali vanno a costituire comunque una buona parte del finanziamento privato da parte dei soci sostenitori alle associazioni e alle fondazioni politiche. Se si prendessero in considerazione le norme in materia di finanziamento ai partiti (ai quali si ispira in qualche modo la norma oggetto di analisi) di altri ordinamenti quali Stati Uniti d’America, Gran Bretagna e Francia, si può facilmente notare come l’obbligo di trasparenza scatta per ogni contributo annuo superiore ai 50 dollari, sterline o Euro.La proposta, così impostata, rischierebbe di esonerare da qualsiasi forma di controllo ogni contributo inferiore al limite dei 5.000 Euro, provocando una certa opacità in contrasto alla agognata trasparenza.

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In occasione del lancio del progetto Generazione Italia1, la Fondazione Cultura Democratica ha incrementato la sua attività di studio e di analisi sulla visione e sulla percezione che i giovani hanno della partecipazione politica. La somministrazione di una indagine anonima, condotta online, alla quale hanno risposto correttamente in 211 under 35 ha fornito l’occasione per approcciare razionalmente questo tema e fornire alle forze politiche, più o meno tradizionali, preziosi spunti di riflessione. Il primo elemento interessante emerso dall’indagine riguarda proprio le modalità che i giovani ritengono più efficaci e più stimolanti per partecipare attivamente alla vita politica Italiana. Il 64 % del campione indica negli eventi di interazione come tavoli di lavoro o laboratori tematici promossi da enti pubblici e/o privati il modo più interessante per partecipare, approccio seguito dall’associazionismo che è invece indicato dal 62 % del campione. Tenendo in considerazione che ogni intervistato ha avuto la possibilità di esprimere fino a 3 preferenze su 6 opzioni date, il dato appena riportato mette in luce il trend, già noto ed intuibile,

che vede i giovani volenterosi di sentirsi protagonisti e di incidere in maniera rilevante nelle dinamiche pubbliche. Da evidenziare è il dato che vede la partecipazione online attestarsi al 24% dei consensi e la partecipazione in momenti elettorali come volontario non arrivare al 21%, trend che suggerisce la necessità di ripensare immediatamente gli strumenti di partecipazione in un’ottica di valorizzazione e di reale coinvolgimento del cittadino. Dal campione preso in esame viene percepito come svilente essere coinvolti attivamente esclusivamente nel momento del bisogno, tramite lo strumento dei comitati elettorali, oppure essere chiamati ad avallare con un click decisione già prese ed elaborate. Emerge la necessità di essere coinvolti in un progetto, in un percorso che valorizzi competenze, idee e merito. Sono circa il 43% del campione coloro che identificano le strutture di partito, quali i circoli o le sezioni, come esperienze di partecipazione positive anche se da riorganizzare e valorizzare.Sono in linea con quanto espresso precedentemente i risultati emersi dall’analisi degli strumenti di formazione

politica maggiormente apprezzati dagli under 35 che decidono di avvicinarsi all’attività politica.Oltre il 68% del campione indica infatti nei workshop tematici il migliore strumento di formazione politica che sono complementari con le scuole di formazione che sono percepite dal 61 % degli intervistati come un ottimo strumento sia per la formazione politica che per la creazione di network e di comunità. Sono dati che confermano la positività del lavoro svolto dalla Fondazione Cultura Democratica e che, accostati a quelli che vedono la formazione online apprezzata sono dal 15% degli under 35 osservati, rimarcano ulteriormente la volontà di partecipare, di essere presenti, di essere protagonisti. Nell’indagine condotta si è anche voluto analizzare quali sono secondo i giovani i migliori canali di comunicazione politica, e quindi di conseguenza quali siano i canali più efficaci per veicolare un messaggio politico agli under 35 Italiani. I social network sono indicati da oltre il 69% del campione come il mezzo più efficace, a conferma della vocazione digitale dei millennials sia nel recepire che nel diffondere informazioni.

1° REPORT DELLA FONDAZIONE CULTURA DEMOCRATICA SULLA PARTECIPAZIONE POLITICA DEGLI UNDER 35 ITALIANI

1 Da sottolineare, come unica limitazione al presente studio, il fatto che il campione sia totalmente composto da partecipanti al progetto Generazione Italia, caratteristica che non indica una militanza in un partito ma esclusivamente una attitudine più marcata a partecipare alla vita pubblica

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4 OCSE, Linee guida sui prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali e le amministrazioni fiscali (luglio 2010), Parigi, 2013, pp. 65-115.

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Viene riconosciuto, con un 59% di considerazione, un ruolo determinante anche alla televisione nella comunicazione politica, visto come strumento per parlare a tutto l’elettorato Italiano e soprattutto anche a quelle componenti sociali più tradizionalemente meno aggiornate sull’attualità politica. Inoltre solo il 6 % degli intervistati ritiene che la cartellonistica e le affissioni siano strumenti produttivi per comunicare idee e messaggi politici, si sottolinea ancora la distanza tra i giovani e le metodologie tradizionali della politica. Rimangono invece apprezzati i quotidiani sia nella forma cartacea che online, con un 45 % del campione che lo indica come un’ottima modalità per rimanere aggiornati e seguire il dibattito politico. Su quest’ultima indicazione influisce evidentemente la natura del campione intervistato, che ha una elevato interesse a seguire la vita politica Italiana ed Europea.In ultimo di grande interesse per tutti gli attori coinvolti nella vita politica Italiana sono le rilevazioni effettuate in merito alle modalità più opportune per selezionare classe dirigente. L’elemento che emerge con maggiore evidenza è la richiesta di utilizzare criteri e metodologie che premino il merito e soprattutto la competenza, difatti circa il 73% del campione indica le competenze tecniche tra i fattori che andrebbero prese in considerazione nel processo di selezione di classe dirigente.

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Viene anche considerato molto positivamente da oltre il 45 % degli intervistati il percorso di crescita e di formazione interno ad un partito o ad un movimento, mentre il puro consenso territoriale espresso tramite preferenze viene visto con diffidenza dalla maggior parte degli intervistati, infatti convince solo il 38% del campione. Quest’ultima rilevazione mette in luce la difficoltà dei giovani ad emergere nei territori dove le logiche di partito, il correntismo ed il clientelismo controllano le dinamiche politiche.

I dati riportati sinteticamente nel report sono molto significativi nel descrivere la percezione che i giovani under 35, motivati a partecipare alla vita pubblica, hanno della politica e dei partiti. Emerge una grande volontà di partecipare e di incidere che non trova risposta negli strumenti offerti, dinamica individuabile nei bassi indici di gradimento evidenziati precedentemente. La Fondazione Cultura Democratica si è posta da sempre come uno strumento a disposizione delle nuove generazioni, e il progetto Generazione Italia è il più chiaro esempio della voglia degli under 35 Italia di innovare il Paese.

Via del Pantheon, 45 - 00168 Roma

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