LA COSTRUZIONE DEGLI STRUMENTI MUSICALI A ROMA · compositore di scuola romana Marco Marazzoli. ......

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1 STRUMENTI MUSICALI DISCIPLINARE DI PRODUZIONE LA COSTRUZIONE DEGLI STRUMENTI MUSICALI A ROMA Cenni storici Passeggiando per le sale del Museo Nazionale degli Strumenti Musicali, nei pressi della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, il visitatore rimane colpito dalla varietà dei pezzi esposti, ancor prima che dalla loro bellezza o valenza culturale. Manufatti di assoluta semplicità costruttiva quali fischietti in terracotta, campanelli, sonagli si alternano infatti a opere raffinate esteticamente oltre che nell’elaborazione tecnico-acustica. Alcuni organi, cembali, arpe sono veri e propri capolavori di scultura, pittura e decorazione. La musica, e gli strumenti per la sua esecuzione, hanno sempre affiancato la vita dell’uomo, accompagnandone gli eventi più significativi e le attività di relazione. Riproducendo però anche le divisioni sociali. Mentre tamburelli, nacchere e colascioni allietavano le feste popolari in strada o le scampagnate fuori porta delle ottobrate romane, liuti, arpe e clavicembali rappresentavano gli strumenti di una musica colta, suonata nel chiuso dei sontuosi palazzi di nobili e cardinali. Il museo conserva opere di straordinario pregio della Roma papale. Come l’arpa creata da un ignoto costruttore per la famiglia Barberini fra il secondo e il terzo decennio del Seicento, data in uso a Marco dell’arpa, soprannome del compositore di scuola romana Marco Marazzoli. Roma ha avuto nel corso del tempo una tradizione di tutto rispetto nel campo della costruzione di strumenti musicali. Per un lungo periodo la fabbricazione di cordofoni (viole ad esempio), ebbe una notevole rilevanza. Poi, con l’avvento del violino, le punte più elevate di arte e perfezione tecnica furono raggiunte da Stradivari e dalla sua scuola cremonese, che per molto tempo soppiantò tutte le altre. Fra i grandi artefici che operarono nella città, accanto a maestri di origine romana vi erano molti stranieri, in particolare tedeschi, giunti dalla Baviera o da zone limitrofe per porsi al servizio della ricca committenza delle famiglie nobiliari e della Corte pontificia. A questo proposito le fonti archivistiche traggono in inganno. Leggendo i nomi in esse contenuti la presenza di forestieri sembrerebbe infatti ben poca cosa. Questo accade perché nei documenti parrocchiali i cognomi venivano spesso italianizzati. Già agli inizi del Cinquecento, e per buona parte del secolo successivo, a Roma i fabbricanti di strumenti musicali, che aderivano alla Confraternita dei Falegnami, concentrarono le loro botteghe in vicolo dei Leutari e nelle strade adiacenti, nel rione Parione. Alcuni maestri operarono però anche in altre zone. Fra gli ultimi decenni del XVI secolo e la metà del XVIII, è documentata la presenza nell’area intorno piazza Pasquino di oltre 50 liutai titolari di bottega, presso i quali lavorarono centinaia di apprendisti. Fra il 1656 e il 1657 la zona fu violentemente colpita dalla peste, che provocò numerosi morti tra i fabbricanti di strumenti musicali. Molti dei liutai attivi a Roma nei decenni a cavallo fra Cinque e Seicento erano in qualche modo collegati con la famiglia Alberti, giunta dalla Germania intorno al 1560, che dominò il campo con soci, parenti, allievi. Il capostipite, Pietro, era uno dei più stimati liutai del tempo. Tra le altre significative stirpi presenti a Roma vi

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STRUMENTI MUSICALI DISCIPLINARE DI PRODUZIONE

LA COSTRUZIONE DEGLI STRUMENTI MUSICALI A ROMA Cenni storici Passeggiando per le sale del Museo Nazionale degli Strumenti Musicali, nei

pressi della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, il visitatore rimane colpito dalla varietà dei pezzi esposti, ancor prima che dalla loro bellezza o valenza culturale. Manufatti di assoluta semplicità costruttiva quali fischietti in terracotta, campanelli, sonagli si alternano infatti a opere raffinate esteticamente oltre che nell’elaborazione tecnico-acustica. Alcuni organi, cembali, arpe sono veri e propri capolavori di scultura, pittura e decorazione.

La musica, e gli strumenti per la sua esecuzione, hanno sempre affiancato la vita dell’uomo, accompagnandone gli eventi più significativi e le attività di relazione. Riproducendo però anche le divisioni sociali. Mentre tamburelli, nacchere e colascioni allietavano le feste popolari in strada o le scampagnate fuori porta delle ottobrate romane, liuti, arpe e clavicembali rappresentavano gli strumenti di una musica colta, suonata nel chiuso dei sontuosi palazzi di nobili e cardinali. Il museo conserva opere di straordinario pregio della Roma papale. Come l’arpa creata da un ignoto costruttore per la famiglia Barberini fra il secondo e il terzo decennio del Seicento, data in uso a Marco dell’arpa, soprannome del compositore di scuola romana Marco Marazzoli.

Roma ha avuto nel corso del tempo una tradizione di tutto rispetto nel campo della costruzione di strumenti musicali. Per un lungo periodo la fabbricazione di cordofoni (viole ad esempio), ebbe una notevole rilevanza. Poi, con l’avvento del violino, le punte più elevate di arte e perfezione tecnica furono raggiunte da Stradivari e dalla sua scuola cremonese, che per molto tempo soppiantò tutte le altre.

Fra i grandi artefici che operarono nella città, accanto a maestri di origine romana vi erano molti stranieri, in particolare tedeschi, giunti dalla Baviera o da zone limitrofe per porsi al servizio della ricca committenza delle famiglie nobiliari e della Corte pontificia. A questo proposito le fonti archivistiche traggono in inganno. Leggendo i nomi in esse contenuti la presenza di forestieri sembrerebbe infatti ben poca cosa. Questo accade perché nei documenti parrocchiali i cognomi venivano spesso italianizzati.

Già agli inizi del Cinquecento, e per buona parte del secolo successivo, a Roma i fabbricanti di strumenti musicali, che aderivano alla Confraternita dei Falegnami, concentrarono le loro botteghe in vicolo dei Leutari e nelle strade adiacenti, nel rione Parione. Alcuni maestri operarono però anche in altre zone. Fra gli ultimi decenni del XVI secolo e la metà del XVIII, è documentata la presenza nell’area intorno piazza Pasquino di oltre 50 liutai titolari di bottega, presso i quali lavorarono centinaia di apprendisti. Fra il 1656 e il 1657 la zona fu violentemente colpita dalla peste, che provocò numerosi morti tra i fabbricanti di strumenti musicali.

Molti dei liutai attivi a Roma nei decenni a cavallo fra Cinque e Seicento erano in qualche modo collegati con la famiglia Alberti, giunta dalla Germania intorno al 1560, che dominò il campo con soci, parenti, allievi. Il capostipite, Pietro, era uno dei più stimati liutai del tempo. Tra le altre significative stirpi presenti a Roma vi

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furono i Marchetti, i Portoghesi, la cui attività si concluse a Trastevere nei primi decenni del Settecento, i Lauri, forse di origini fiamminghe, operanti già nel Cinquecento.

Con il termine liutaio si indicavano i costruttori di cordofoni ad arco e a pizzico. Gli strumenti a corde pizzicate, come liuti, arciliuti, chitarroni, ebbero una notevole fortuna nella città, e divennero pian piano l’attività primaria dei maestri romani. A partire dalla metà del Seicento il declino del liuto e la crescente fortuna a Roma della chitarra fece sì che la dizione liutaro fosse progressivamente sostituita dal termine chitarraro, presente nei registri parrocchiali già dal 1620-1630 e poi comunemente usato negli ultimi decenni del secolo. Sono gli stessi inventari delle botteghe romane dell’epoca a evidenziare come nella seconda metà del Seicento venivano costruite a Roma molte chitarre e ben pochi violini.

Alcuni “fabri instrumentorum musicalium” avevano la capacità di costruire strumenti molto diversi fra loro, altri erano in grado di suonare i manufatti prodotti, come Giovanni Felice Frezza, che fu liutista in concerti promossi dal cardinale Ottoboni, e Alberto Platner, che si esibì nei concerti dell’Arcadia.

Oltre ai chitarrari vi erano a Roma altre specializzazioni nel campo della costruzione degli strumenti musicali, in particolare organari, cembalari e cordari di budelle.

I cembali erano gli antenati del moderno pianoforte, inventato dal fiorentino Bartolomeo Cristofori e inizialmente definito “cimbalo con martellini”. La vera novità risiedeva infatti nella concezione meccanica, che trasformava l’originario strumento a corde pizzicate in uno strumento a corde percosse da martelletti. Fonti d’archivio ci permettono di conoscere i nomi di alcuni cembalari romani del passato, come Jacomo Ramerini e Giuseppe Boni Cortona oppure famiglie quali i Cremisi da Colonia, attivi per quattro generazioni a partire dalla seconda metà del Seicento.

Nella Roma del passato erano particolarmente importanti anche i costruttori di corde armoniche, ovvero i cordari di budelle, riuniti in corporazione dalla fine del Cinquecento. Se le loro botteghe, concentrate nel rione Regola, erano poco amate perché considerate pericolosi focolai di infezione, le corde “romanesche” erano invece molto apprezzate in tutta Europa. Un’autorevole conferma viene da un manoscritto dei primi decenni del Settecento, opera dell’antiquario Giampiero Pinaroli: «Molti sono i luoghi dove si fabricano simili corde nell’Italia e nella Francia; mà, di tutte, le migliori vengono riputate quelle di Roma. Molti hanno provato ad imitarle, mà nessuno vi è riuscito con sodisfattione. Molti ne attribuiscono l’eccellenza alla perizia dei maestri, molti altri l’attribuiscono all’aria».

In realtà il pregio delle corde di Roma, che richiedevano una lavorazione molto lunga e fino a cinquanta budelli per ogni pezzo, non era dovuto all’aria ma alla giovane età dei capi di bestiame impiegati. La crisi del settore si fece pesantemente sentire nel Settecento, come apprendiamo tra l’altro da un documento della metà del secolo sottoscritto da tre chitarrari e stampato dall’Università dei cordari per ottenere il permesso di aumentare il prezzo delle corde di budello: «Noi sottoscritti chitarrari di Roma facciamo piena, & indubitata fede mediante il nostro giuramento, avanti chi spetta, che da molti anni addietro in Roma si è introdotto l’uso delle chitarre à corde d’acciaro, ed à poco, à poco è cresciuto di maniera tale, che presentemente noi non fabricamo più chitarre à corde di budello, e dove prima ogn’uno di noi chitarrari consumava di dette corde molte centinaia di scudi, al presente non ne compramo per trenta pauoli l’anno per

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armare qualche violino, che noi fabrichiamo, e per esser la verità habbiamo sottoscritto la presente &c. questo di 12 ottobre 1747».

A sfogliare i documenti d’archivio si nota che i costruttori di strumenti musicali, o quantomeno i titolari di bottega, erano nella quasi totalità uomini. Del resto nella Roma dei papi alle donne si cercò talvolta persino di impedire di suonare, come risulta da un Editto del 1703 nel quale si legge che «Essendo ben noti gl’inconvenienti che si esperimentano dall’applicazione delle donne alla musica, per la quale senza discapito di quella modestia, che tanto conviene al loro sesso, si distraono dalle faccende ed occupazioni loro più proprie» volendo rimuovere «le occasioni del male» si vieta a tutte le donne di imparare a «cantare o suonare qualsivoglia musicale istromento dagli uomini».

Anche in tempi più recenti hanno operato a Roma grandi maestri. Tra i liutai del

Novecento si ricordano Politi, Fiorini, Sacconi, Sannino, Rodolfo Fredi e il suo allievo Giuseppe Lucci, liutaio romagnolo chiamato nella capitale alla metà del Novecento per risollevare le sorti del laboratorio del celebre maestro, decaduto alla sua morte. Nel corso degli anni, messosi in proprio, Lucci ha espresso pienamente le proprie singolari capacità costruendo pregiati strumenti, facilmente riconoscibili per l’originale marchio che li caratterizza: due pesci collegati da una lettera G, simboli del nome e cognome dell’autore. Oggi, nell’elegante casa-laboratorio nei pressi del Teatro dell’Opera, che ha ospitato il maestro fino alla sua scomparsa, nel 1991, l’illustre tradizione è proseguita dal genero Rodolfo Marchini, che fabbrica e restaura strumenti musicali a corda.

Il procedimento per la realizzazione artigianale di un violino è tuttora molto lungo, e composto di fasi complesse e particolarmente delicate. Ad esempio, quando al profano il lavoro sembra ormai praticamente finito, cioè “solo” da verniciare, bisogna ancora passargli - se si vuole seguire il procedimento classico – fino a cinquanta mani, una al giorno, di una particolare mistura di sostanze naturali. Sul banco da lavoro di un liutaio si trovano utensili da falegname quali sgorbie, lime e trafori, ma anche coltellini per intagliare le effe o speciali attrezzi come il ferro piegafasce, strumenti che permettono di rinnovare quella “magia” indissolubilmente legata alla nascita di ogni strumento artigianale.

A Roma il mestiere del liutaio ha negli ultimi anni riacquistato prestigio, dopo una crisi in cui ha rischiato l’estinzione, e anche alcuni giovani si sono avvicinati a questa affascinante arte.

PREMESSA Il presente Disciplinare di produzione si propone quale inventario di regole su

materiali e tecniche produttive approntato dal Comune di Roma per definire e individuare le lavorazioni artigiane che presentino elevati requisiti di tipo artistico o esprimano caratteristiche saldamente collegate alla tradizione locale, al fine di predisporre, in generale, un programma di tutela e valorizzazione di tali attività e, nello specifico, un “Albo comunale delle imprese dell’artigianato artistico, tradizionale e del restauro”, d’ora in poi denominato semplicemente Albo comunale.

Il Comune di Roma intende perseguire i seguenti obiettivi:

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tutela dei requisiti di professionalità e di origine delle produzioni

dell’artigianato artistico, tradizionale e del restauro degli oggetti d’arte e di cultura;

salvaguardia e riqualificazione delle lavorazioni tradizionali sotto i profili estetico, stilistico e tecnico;

valorizzazione dei prodotti dell’artigianato artistico e tradizionale nel mercato interno e in quello internazionale;

diffusione e divulgazione della conoscenza delle tecniche e delle produzioni tipiche e dei requisiti di manualità e professionalità insiti nelle lavorazioni artistiche e tradizionali di qualità;

acquisizione di documentazione concernente le origini, lo sviluppo storico-stilistico e i percorsi evolutivi delle lavorazioni;

sostegno alla creazione e allo sviluppo di nuove imprese tramite progetti di recupero e rivitalizzazione di attività locali tradizionali, artistiche e di restauro;

incentivazione alla partecipazione a eventi e manifestazioni culturali e fieristiche collettive quali esposizioni, mostre e mostre mercato;

creazione delle condizioni per la trasmissione del “saper fare” e del “saper essere” da parte dei maestri artigiani alle nuove generazioni, in particolare tramite l’organizzazione di corsi di formazione professionale, l’istituzione di “botteghe scuola”, la programmazione di incentivi che stimolino gli artigiani e i restauratori più esperti a tramandare tecniche e saperi ai giovani.

ART. 1 – PERCORSI CULTURALI Il Disciplinare si rivolge all’impresa che deve saper riconoscere e collocare

criticamente la propria attività nel contesto produttivo tipico che l’ha vista nascere, nel pieno rispetto del percorso storico-culturale che l’ha condotta a produrre l’esperienza di artigianato artistico e tradizionale di qualità.

L’impresa che opera nel campo del restauro, qualsiasi siano le sue dimensioni, deve richiamarsi a principi di etica professionale che pongono quale fondamento dell’attività lavorativa la consapevolezza dell’operare su beni unici e irripetibili. Deve inoltre possedere la capacità di provare le proprie attitudini e conoscenze, dimostrando di agire in base a un corretto approccio metodologico e di padroneggiare gli strumenti di analisi necessari ad affrontare qualsiasi intervento che un restauro potrebbe richiedere.

Devono pertanto essere considerati requisiti peculiari e indispensabili

dell’impresa che chiede di essere iscritta all’Albo comunale:

• il richiamo alla tradizione inteso come acquisizione di una cultura specifica, non solo materiale ma anche storica ed estetica, appartenente all’ambito produttivo o di restauro in cui l’impresa è nata e opera;

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• l’innovazione

ovvero la volontà e, tendenzialmente, la capacità di ricercare e sperimentare nuovi sistemi di ideazione e modelli di produzione che contribuiscano al superamento delle obsolete contrapposizioni tra tecniche tradizionali e nuove tecnologie e si muovano in un territorio scevro da netti confini fra arte, artigianato e design;

• l’aggiornamento professionale

vale a dire la disponibilità a recepire stimoli e sollecitazioni provenienti dalle istituzioni preposte, dagli enti che svolgono attività di tutela, ricerca, valorizzazione del patrimonio culturale e più in generale dal mercato del lavoro;

• il legame con le nuove generazioni

ovvero la disponibilità a offrire reali opportunità di formazione e apprendimento ai giovani, in modo da garantire la continuità dell’impresa artigiana.

ART. 2 - DEFINIZIONE DEL SETTORE Il presente Disciplinare riguarda la produzione e il restauro del settore “Strumenti

Musicali”. La produzione è intesa come creazione di manufatti nei quali predomini il

richiamo alla tradizione o il valore artistico. In essa devono essere presenti: - un alto contenuto di manualità; - una perfezione tecnica che soddisfi, oltre alla qualità costruttiva, la

rispondenza ai criteri delle convenzioni musicali universalmente applicate;

- il rispetto dei valori e delle regole musicali esistenti; - l’artisticità e l’eccellenza dei prodotti, che deve comprendere

accuratezza nella qualità dei materiali, precisione nei particolari funzionali, equilibrio delle caratteristiche foniche, robustezza, adattabilità ai vari generi musicali, oltre che bellezza estetica dello strumento;

- la realizzazione di pezzi unici oppure di serie limitate, a condizione che permangano le stesse caratteristiche di manualità e professionalità che contraddistinguono il pezzo unico.

Le doti di eccellenza dell’artigiano dovranno essere valutate indipendentemente

dalla natura della sua educazione all’arte, sia essa avvenuta per vero e proprio percorso scolastico oppure sia stata acquisita grazie a specifica sensibilità personale accresciuta e perfezionata da un apprendimento al fianco di altri già esperti artigiani o maestri d’arte.

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2.1. Artigianato tradizionale Tradizionale è il prodotto che rispetta e ripropone una tradizione tecnica ed

estetico-formale creatasi e consolidatasi nel corso del tempo nel peculiare contesto storico, culturale e geografico.

2.2. Artigianato artistico Artistico è il prodotto unico o a numero limitato, in qualsivoglia materiale, che sia

eccellente da un punto di vista tecnico, rispetti – ove esistenti - regole e valori prestabiliti, abbia valenza formale innovativa autonoma e si distingua per la bellezza estetica (proporzioni, colori, particolari decorativi). Ovvero comunichi una scelta stilistica e/o esprima il linguaggio proprio del suo creatore, sia un esempio di accuratezza e precisione esecutiva nel solco della tradizione o proponga, a livello sperimentale, nuove procedure di realizzazione.

2.3. Restauro La Carta 1987 della Conservazione e del Restauro degli oggetti d’arte e di

cultura definisce restauro «qualsiasi intervento che, nel rispetto dei principi della conservazione e sulla base di previe indagini conoscitive di ogni tipo, sia rivolto a restituire all’oggetto, nei limiti del possibile, la relativa leggibilità e, ove occorra, l’uso».

ART. 3 – REQUISITI E SOGGETTI Potranno essere iscritte all’Albo comunale solo le imprese che abbiano la

capacità di realizzare manufatti finiti su disegno, commessa o progetto proprio nei comparti di competenza e/o che eseguano su di essi fasi di lavorazione specifica.

Il titolare dell’azienda deve avere una conoscenza del disegno sufficiente per poter interpretare e tradurre eventuali progetti di professionisti esterni, una perfetta conoscenza delle tecniche di lavorazione tradizionali, dei sistemi produttivi, dei materiali. Deve inoltre avere una padronanza dell’intero ciclo di produzione ed essere in grado di partecipare direttamente alle fasi produttive.

È richiesta un’esperienza almeno triennale nel settore e una comprovata capacità. Per le aziende di nuova formazione sarà determinante che il titolare abbia svolto attività produttive nel settore, anche se da dipendente, con mansioni lavorative adeguate, quale operaio o coadiuvante per almeno tre anni. In alternativa è richiesto un diploma di un Istituto Statale d’Arte o un attestato di scuola di formazione professionale del settore.

Nel caso di consorzi è indispensabile che almeno i 4/5 delle imprese che ne fanno parte siano riconosciute imprese dell’artigianato artistico.

ART. 3 – REQUISITI E SOGGETTI Potranno essere iscritte all’Albo comunale solo le imprese che abbiano la

capacità di realizzare manufatti finiti su disegno, commessa o progetto proprio nei comparti di competenza e/o che eseguano su di essi fasi di lavorazione specifica.

Il titolare dell’azienda deve avere una conoscenza del disegno sufficiente per poter interpretare e tradurre eventuali progetti di professionisti esterni, una perfetta conoscenza delle tecniche di lavorazione tradizionali, dei sistemi produttivi, dei

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materiali. Deve inoltre avere una padronanza dell’intero ciclo di produzione ed essere in grado di partecipare direttamente alle fasi produttive.

È richiesta un’esperienza almeno triennale nel settore e una comprovata capacità. Per le aziende di nuova formazione sarà determinante che il titolare abbia svolto attività produttive nel settore, anche se da dipendente, con mansioni lavorative adeguate, quale operaio o coadiuvante per almeno tre anni. In alternativa è richiesto un diploma di un Istituto Statale d’Arte o un attestato di scuola di formazione professionale del settore.

Nel caso di consorzi è indispensabile che almeno i 4/5 delle imprese che ne fanno parte siano riconosciute imprese dell’artigianato artistico.

ART. 4 – RICONOSCIMENTO Per l’ottenimento del riconoscimento le imprese dovranno provare la propria

capacità compilando il questionario predisposto, allegando un dettagliato curriculum nel quale dovranno essere evidenziate esperienze produttive, partecipazione a esposizioni, partecipazione attiva ad associazioni di categoria e una documentazione fotografica di lavorazioni eseguite e prodotti realizzati, dalla quale sia rilevabile la capacità di operare secondo i principi contenuti nel presente Disciplinare.

Si precisa che le tecniche di lavorazione descritte nel presente Disciplinare, oltre che essere patrimonio della conoscenza e della capacità professionale e manuale dell’azienda, dovranno essere utilizzate correntemente per la produzione da parte del soggetto che fa richiesta dell’iscrizione all’Albo comunale.

4.1. Accettazione delle domande La Commissione competente per l’esame delle domande potrà richiedere

specificazioni, documentazioni aggiuntive ed effettuare sopralluoghi presso le aziende richiedenti.

Nel caso di imprese costituite da un periodo inferiore ai tre anni e nel caso di imprese che, volendo iniziare l’attività, non siano ancora in possesso della documentazione necessaria, saranno ritenuti indispensabili dei colloqui e, a discrezione della Commissione esaminatrice, eventuali sopralluoghi nei siti di produzione.

4.2. Attività commerciale Potranno essere riconosciute anche le aziende artigiane che effettuano attività

commerciale, a patto che essa sia secondaria e che non si possa generare confusione tra il manufatto regolarmente prodotto in azienda e quello esclusivamente commercializzato.

4.3. Titolarità Referente per il riconoscimento è il titolare dell’azienda: in caso di società,

almeno uno dei soci deve essere in possesso dei requisiti. Il riconoscimento decadrà nel caso di scioglimento o di modifica della compagine sociale. Potrà comunque essere nuovamente richiesto.

4.4. Cancellazione

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L’impresa sarà cancellata dall’Albo comunale in caso di cessazione dell’attività oppure qualora vengano a mancare i requisiti e la continuità rispetto a quanto dichiarato nella richiesta di iscrizione.

4.5. Ricorsi I ricorsi dovranno essere presentati alla Commissione Comunale per il

Disciplinare di Produzione. 4.6. Iter procedurali A riassunto e chiarimento di quanto sopra espresso si evidenziano le procedure

di riconoscimento che pertanto risultano: a. Compilazione della domanda-questionario; b. Primo grado di valutazione delle imprese del questionario; c. Approfondimento eventuale con richiesta di colloquio; d. Predisposizione di controlli in azienda; e. Previsione della possibilità di ricorso. ART. 5 – CONTROLLI Il Comune potrà in qualsiasi momento attuare procedure di controllo al fine di

verificare il persistere dei requisiti dell’impresa e la continuità rispetto a quanto dichiarato nella richiesta di iscrizione all’Albo comunale.

ART. 6 – DENOMINAZIONE È stata individuata la denominazione “Roma Arte Eccelsa” da attribuire alle

aziende di ogni settore dell’artigianato artistico, tradizionale e del restauro che abbiano ottenuto il riconoscimento e la conseguente annotazione specifica nell’Albo comunale.

Le imprese potranno utilizzare tale denominazione, nonché il marchio predisposto dal Comune di Roma:

- nei documenti sociali; - nelle iniziative commerciali o pubblicitarie; - negli stand presso fiere ed esposizioni; - nelle insegne dei propri laboratori.

L’uso, lo sviluppo e la diffusione di tale marchio sono disciplinati dal Comune di

Roma, che ne rimane proprietario esclusivo.

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PRODUZIONE

A. PRODUZIONE Le classi di costruzione prese in considerazione derivano dalla classificazione

che raggruppa gli strumenti musicali secondo il corpo fisico sollecitato per la produzione del suono. Le categorie principali sono cinque, ognuna delle quali prevede delle sottoclassi:

1. Aerofoni, strumenti nei quali il suono è prodotto dalle vibrazioni di una o più colonne d’aria;

2. Cordofoni, strumenti nei quali il suono è prodotto dalle vibrazioni di corde;

3. Membranofoni, strumenti nei quali il suono è prodotto dalle vibrazioni di membrane o pelli;

4. Idiofoni o autofoni, strumenti nei quali il suono è prodotto dalle vibrazioni di corpi solidi, già dotati di propria autonoma elasticità;

5. Elettrofoni, strumenti nei quali il suono è prodotto dalle vibrazioni determinate dal passaggio di corrente elettrica.

In relazione allo scopo del presente Disciplinare, alla suddivisione soprascritta

sono state apportate alcune modifiche. Si è scelto di escludere gli strumenti elettrofoni (tastiere elettroniche, sintetizzatori, ecc.) in quanto non si ravvisano nella loro produzione caratteri artigianali. Sono stati inoltre unificati i punti 3 e 4 (membranofoni e idiofoni) nella definizione più generica di strumenti a percussione.

In conclusione, i comparti trattati in merito alle caratteristiche di costruzione

sono: Aerofoni; Cordofoni; Strumenti a percussione (Membranofoni e Idiofoni).

A.1. Aerofoni Sono definiti aerofoni tutti gli strumenti nei quali il suono è prodotto dalla

vibrazione dell’aria. Si suddividono in: A.1.1. Strumenti a insufflazione diretta (cosiddetti “fiati”).

Il suono è prodotto dalla messa in vibrazione dell’aria solitamente contenuta in canne o tubi.

A loro volta possono essere ulteriormente suddivisi in:

A.1.1.1. Legni o strumentini (strumenti in legno o costruiti originariamente in legno) Sono inclusi in questa categoria anche gli strumenti costruiti

originariamente in legno e fabbricati ora in metallo (flauti traversi), e quelli

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che pur seguendo le tecniche dei legni, sono costruiti dall’origine in metallo (saxofoni). La tecnica permette di ottenere la gamma dei suoni della scala (verso l’acuto), partendo da un tubo di lunghezza e conseguente intonazione prefissate, praticando lungo il canneggio fori la cui apertura e chiusura sono regolate da tamponi o chiavi.

I legni possono essere:

a) Strumenti a fiato a bocca (o imboccatura naturale),

con tubo aperto o con tubo chiuso Il flusso d’aria proveniente dalle labbra viene indirizzato

contro il bordo di uno spigolo che lo frange, quindi trasmesso alla colonna d’aria contenuta nel tubo, producendo in base alle dimensioni di quest’ultimo una determinata altezza di suono. Ricordiamo i flauti dolci (diritti) tra quelli a fessura, l’ocarina tra quelli a tubo chiuso e i flauti traversi tra quelli privi di fessura.

b) Strumenti a fiato ad ancia semplice È costituita da una sottile lamina elastica, in legno, in canna

o in metallo, applicata all’imboccatura del tubo sonoro. L’ancia semplice può essere battente, quando è appoggiata sull’imboccatura del tubo in modo da “battere” sulla parte iniziale del canneggio (famiglie dei clarinetti, saxofoni); oppure libera se applicata all’ingresso di un’apertura in modo da vibrare “liberamente” avanti e indietro (sopra e sotto), occludendo temporaneamente la chiusura stessa ad ogni passaggio.

c) Strumenti a fiato ad ancia doppia È formata da due linguette contrapposte che nel loro

movimento vibratorio si avvicinano e allontanano alternativamente, chiudendo e aprendo la comunicazione con il canneggio sul quale sono applicate; per sua stessa natura l’ancia doppia è sempre battente (famiglie degli oboi e dei fagotti).

A.1.1.2. Ottoni (strumenti in metallo e specialmente in ottone) Tecnicamente vengono definiti strumenti a bocchino. La tecnica è basata

sulla possibilità di ottenere, da un tubo di lunghezza e intonazione prefissate, una serie di suoni più acuti selezionati dall’esecutore mediante movimenti delle labbra che si appoggiano al bocchino. Con l’aggiunta di parti supplementari di tubo, inseribili sul canneggio principale tramite meccanismi a pistone (trombe) o a leva (corni, tube) o a coulisse (tromboni), si può modificare verso il grave l’intonazione di base.

A.1.1.3. Strumenti “liberi” Sono quegli strumenti nei quali la messa in vibrazione avviene sull’aria

esterna non costretta in tubi. Vi appartiene la categoria delle armoniche a bocca, le cui ance libere (solitamente in metallo) sono alloggiate in un

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supporto di legno o di metallo, in unica fila o in file sovrapposte. Le ance vengono messe in vibrazione dalla bocca dell’esecutore, sia espirando sia inspirando.

A.1.2. Strumenti a insufflazione indiretta, tramite serbatoio d’aria Elemento fondamentale della categoria è il serbatoio, che può essere di

svariate forme, dimensioni e materiali: pelli (come nella cornamusa), legno (come nell’organo); così come può essere alimentato in varie maniere, insufflandovi l’aria direttamente a bocca (cornamusa), oppure tramite apparato di pompe meccaniche o di elettroventilatori (organo).

Fermo restando che il flusso d’aria compresso proviene da un serbatoio o da un mantice, le tecniche di messa in vibrazione ricalcano quelle degli aerofoni a insufflazione diretta (ad esempio la vibrazione di ance libere non applicate su tubi, come nella fisarmonica e nell’armonium) oppure in maniera mista, come può avvenire nell’organo che utilizza sia canne “ad anima”, simili nella formazione della vibrazione al tipo dei flauti, sia canne “ad ancia”, di varie dimensioni e natura. A.2. Cordofoni Sono così definiti tutti gli strumenti nei quali il suono è prodotto dalle vibrazioni di

una o più corde. Si suddividono secondo il sistema utilizzato per ottenere la vibrazione.

A.2.1. Strumenti a corde strofinate La maggioranza di strumenti a corde strofinate è munito di un manico al di

sopra del quale sono tese le corde (non accorciabili) le quali vengono strofinate tramite l’arco. Tra questi troviamo i moderni strumenti ad arco (violino, viola, violoncello, contrabbasso) e tutti gli antichi strumenti che ne furono origine (vielle, antiche viole, lire da braccio e da gamba, ribeca, giga, tromba marina).

A.2.2. Strumenti a corde pizzicate La vibrazione in questi strumenti si ottiene quando l’esecutore interviene

sulle corde “pizzicandole”. Le tecniche variano a seconda che lo strumento sia senza manico, con manico, con tastiera.

Nel primo caso (senza manico) le corde possono essere accorciabili con le dita (cetra da tavolo), oppure avere lunghezza e suono fissi (citara, lira, salterio), oppure semi-fissi (arpa).

Gli strumenti con manico, sul quale sono tese le corde che l’esecutore può accorciare tramite pressione delle dita, si distinguono a loro volta in base alla forma della cassa armonica di risonanza: fondo convesso (famiglie dei liuti e delle mandole), fondo piatto (famiglia delle chitarre).

Per gli strumenti con tastiera le corde (metalliche) vengono pizzicate da plettri innestati su asticciole (saltarelli) che poggiano verticalmente sulla parte terminale interna della barra di ogni tasto. In tutti si ha un telaio orizzontale sul quale sono tese le corde di lunghezza e numero variabile. Le corde possono presentarsi in posizione trasversale rispetto ai tasti (virginale), oppure obliqua (spinetta), oppure parallela (clavicembalo).

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A.2.3. Strumenti a corde percosse Le forme riportano sommariamente a quelle degli strumenti a pizzico. La

differenza è nella tecnica di produzione della vibrazione sulle corde, ottenuta tramite percussione o battito. Questa può essere diretta o indiretta tramite tastiera. Tra le dirette ricordiamo il cimbalom ungherese e il salterio tedesco o dulcimer, nei quali le corde vengono percosse da bacchette ricoperte in genere di cuoio o stoffa. Gli strumenti che adottano la tastiera sono principalmente il pianoforte e l’antico clavicordo. A.3. Strumenti a percussione (idiofoni e membranofoni) Strumenti che usano la percussione diretta, talvolta mediata tramite meccanismi

a tastiera, per produrre le vibrazioni sonore.

A.3.1. Idiofoni Sono definiti idiofoni (anche detti autofoni) gli strumenti che producono il

suono attraverso la messa in vibrazione del materiale stesso di cui sono composti, senza utilizzare altri corpi elastici posti in tensione.

Si suddividono in:

A.3.1.1. A urto Il suono è prodotto da coppie di elementi battuti fra loro come per i piatti e

i cimbali (dischi in metallo), per le nacchere o castagnette e le fruste (tavolette in legno duro), per i crotali (anticamente in legno ora in metallo).

A.3.1.2. A percussione Sono così definiti gli strumenti che vengono posti in vibrazione con

l’ausilio di un elemento sussidiario (mazza, bacchetta, bastoncino, ecc.). Alcuni di questi producono un suono di altezza indeterminata, come il triangolo, il gong, il tam-tam, il wood-block. Altri idiofoni a percussione sono costruiti per realizzare suoni di altezza determinata. Affiancando più elementi, possono produrre le serie di note corrispondenti alle scale musicali. Appartengono alla categoria: le campane, i campanelli o Glockenspiel o carillon, gli xilofoni, le marimbe, i vibrafoni. La celesta è un esempio di idiofono a percussione che utilizza un meccanismo percussivo a martelletti comandati da tastiera.

A.3.1.3. A scotimento Sono gli strumenti che utilizzano elementi mobili (campanelle, sonagli,

dischetti, anelli, ecc.) montati su telai o bastoni. La vibrazione sonora è prodotta dall’agitazione dello strumento. Tra questi troviamo l’antico sistro, i sonagli, la mezzaluna, le maracas e la raganella.

A.3.1.4. A sfregamento Gli esempi più noti sono: la sega (costituita da una normale lama di sega

posta in vibrazione sfregando il lato non dentato con un archetto), l’armonica a bicchieri e strumenti simili (Glasspiel, Glassharmonica), formati da

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bicchieri di cristallo da cui si ricava il suono sfregando leggermente il bordo con le mani oppure tramite congegni meccanici.

A.3.1.4. A pizzico Sistema adottato in strumenti designati come scatole musicali (boîte à

musique o anche carillon), forniti di lamine metalliche diversamente intonate e poste in vibrazione da punte sporgenti montate su un cilindro rotante.

A mano funziona invece lo scacciapensieri, dove la linguetta metallica viene pizzicata dall’esecutore con un dito.

A.3.2. Membranofoni Per membranofoni si intendono tutti gli strumenti nei quali il suono è

prodotto dalle vibrazioni di una membrana tesa sull’apertura di un supporto. La suddivisione normale prevede una distinzione secondo il metodo con cui viene posta in vibrazione la membrana: percussione, sfregamento o urto d’aria. In effetti, a parte alcuni strumenti in cui la tecnica costruttiva prevede soltanto un metodo di vibrazione (come la caccavella napoletana per lo sfregamento, oppure il mirliton, il niastaranga indiano e il kazoo africano per l’urto d’aria), i metodi di vibrazione possono essere molteplici per ciascuno strumento.

Per ciò che attiene specificatamente al presente Disciplinare è appropriato attenersi alle molte varianti costruttive che caratterizzano la grande famiglia dei tamburi. Caratteristiche che variano in relazione alla natura della membrana usata (pelli naturali o sintetiche), al corpo che funge da supporto (in legno, metallo, argilla...) o alla forma (cilindrica, conica, a cornice, a calotta...). A.4. TECNICHE DI LAVORAZIONE Considerando l’estrema varietà e complessità delle tecniche di costruzione degli

strumenti musicali non si ritiene opportuno, né possibile, compilare un elenco esaustivo delle norme, dei materiali, delle tecniche di lavorazione, tradizionali e recenti, alle quali l’artigiano deve attenersi nella creazione dei manufatti. Oltretutto, alcuni strumenti particolarmente complessi prevedono l’impiego di vari tipi di materiali, lignei, metallici e membranacei. Per questo si è preferito, anziché fornire un elenco che comunque non avrebbe avuto caratteristiche di esaustività, compilare a mero titolo esemplificativo alcune descrizioni specifiche riguardanti la natura e la modalità di realizzazione artigianale di strumenti a fiato e strumenti ad arco. Descrizioni che possono essere consultate quale documentazione per chiarire la complessità delle competenze e delle tecniche di lavorazione richieste nei campi specifici. Tali descrizioni si basano prevalentemente sui documenti pubblicati nel Disciplinare degli strumenti musicali della Regione Piemonte.

Per gli scopi del presente Disciplinare riportiamo alle norme indicate negli Artt. 1-2-3, dove sono elencate le caratteristiche indispensabili richieste nella produzione artigianale di eccellenza degli strumenti musicali.

A.4.1. Strumenti a fiato I metodi di lavorazione degli strumenti a fiato si caratterizzano per il

materiale con cui è costruito il corpo. Vengono qui descritte le tecniche di lavorazione degli strumenti a fiato con corpo in legno e corpo in metallo.

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A.4.1.1. Strumenti con corpo in legno I legni (strumenti a fiato con corpo in legno) più conosciuti sono: il

clarinetto, il flauto, l’oboe, il fagotto, il controfagotto e genericamente i pifferi. Fasi di lavorazione:

a) Scelta e trattamento del legno Maggiormente utilizzati sono ebano, palissandro, ulivo, acero e bosso;

più raramente pero, maggiociondolo e altri. Le essenze legnose devono possedere caratteristiche di notevole

durezza e avere porosità molto fine. Il legno deve essere di prima qualità, stagionato e trattato con oli speciali idonei a renderlo impermeabile e resistente all’umidità e all’eccessiva secchezza. La stagionatura iniziale dei tronchi deve durare almeno cinque anni, successivamente si può procedere al taglio in forma di tavole o parallelepipedi (quadrotti) di dimensione adatta alla realizzazione dello strumento desiderato. Dopo il taglio, prima delle successive fasi di lavorazione, si attende ancora un periodo, variabile a seconda del legno scelto, per concludere la stagionatura.

b) Lavorazione Tutte le fasi di lavorazione devono essere eseguite manualmente con

utensili affilati in maniera eccellente, per conservare intatte le fibre del legno e ottenere superfici levigate.

Si creano quindi, in genere tramite lavorazione al tornio, il canneggio interno, la foratura dei toni e i fori filettati sui quali vanno avvitate le colonnine, realizzate normalmente in alpacca oppure ottone, che montano le chiavi.

Dopo essere state avvitate sul corpo dello strumento, le colonnine devono essere lavorate manualmente per la foratura, la filettatura e la fresatura nella parte distale sferica. Sul gambo si praticano, sempre manualmente, i fori centesimali nei quali si infilano le molle ad ago per il movimento di ritorno delle chiavi. I fori per le note devono essere leggermente conici e svasati nella parte interna del canneggio per favorire una perfetta fuoriuscita dell’aria.

Generalmente gli strumenti in legno sono formati da più pezzi che si innestano tra di loro. Le parti terminali devono essere lavorate a incastro maschio (spina) e femmina (bicchiere). Le spine sono ricoperte da un sottile strato di sughero applicato in una apposita incavatura per garantire una perfetta tenuta delle giunzioni. Anticamente invece del sughero veniva utilizzato filo di cotone arrotolato nelle incavature delle spine.

La meccanica delle chiavi è generalmente in alpacca od ottone. Le caratteristiche costruttive delle chiavi sono uguali sia per gli strumenti con corpo in legno sia per gli strumenti con corpo in metallo.

A.4.1.2. Strumenti con corpo in metallo Gran parte degli strumenti con corpo in metallo è costituita dai cosiddetti

ottoni (le famiglie dei flicorni, corni, cornette, trombe, tromboni, bassi a tracolla e susafoni). Troviamo inoltre i saxofoni e i flauti traversi oggi costruiti

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generalmente in metallo. Storicamente costruiti in legno, clarinetti, fagotti e controfagotti sono oggi anche con corpo in metallo. Ricordiamo inoltre, anche se in disuso, i sarrusofoni e i contrabbassi ad ancia.

a) Metalli utilizzati I metalli più utilizzati sono l’ottone e l’alpacca. Eccezionale è l’utilizzo di

rame, argento, oro e altre leghe speciali. Per la costruzione dei canneggi lo spessore della lamiera, diversa secondo lo strumento, è tra mm. 0,5 a 0,8 per gli ottoni; tra mm. 0,7 a 0,8 per i saxofoni; mm. 0,5 per i flauti e mm. 1,0 per i clarinetti. Si calcola che uno spessore tra mm. 0,1 e 0,2 circa venga perso durante le operazioni di imbutitura, levigatura e lucidatura.

b) Lavorazione delle canne

b.1. Canne diritte La costruzione di una canna diritta si esegue appoggiando sulla

lastra di metallo il modello campione; seguendone il perimetro si pratica poi un’incisione con una punta d’acciaio. La forma così disegnata viene ritagliata con le cesoie. La sagoma sarà di forma rettangolare per canne cilindriche e a tronco di piramide per le canne coniche. Successivamente la lastra viene arrotolata manualmente per ottenere una forma approssimativamente circolare.

Tenendo uniti i due bordi della lastra con lacci di filo di ferro o molle a pinza si procede alla saldatura. La saldatura (brasatura) deve essere eseguita con leghe di ottone di durezza e colore molto simili al materiale utilizzato, sia per non far notare la saldatura sia per mantenere inalterate le proprietà fisiche del metallo.

Si procede quindi alla battitura della saldatura con appositi martelletti a testa tonda per verificarne l’omogeneità, la compattezza e la resistenza.

Utilizzando una apposita forma in acciaio viene eseguita l’imbutitura, battendo la canna con mazzuole di legno, gomma o cuoio. L’operazione è completata con imbutitori di acciaio a sezione semicircolare fino a ottenere una canna a sezione perfettamente tonda. Infine si procede alla levigatura e lucidatura.

b.2. Canne curve All’interno di una canna diritta si cola del piombo o della pece.

Quando il materiale si è raffreddato si esegue la curvatura utilizzando dei piegatubo di grandezza e angoli diversi, utensili generalmente realizzati dall’artigiano.

Per eseguire la levigatura vanno eliminate le eventuali imperfezioni della piegatura, utilizzando sfere di acciaio all’interno della canna e specifici martelletti e imbutitori semicircolari sulla superficie esterna.

Per realizzare curve tornanti a 180° si usa spesso il metodo dello stampaggio. Si creano quindi le due metà (gusci) tramite stampo a bilanciere o pressa idraulica. I gusci sono successivamente saldati tra loro e lavorati con gli imbutitori di acciaio.

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b.3. Padiglioni (campane) Le tecniche seguite per la lavorazione delle campane sono uguali

a quelle finora descritte, tranne per il lavoro di imbutitura della lastra, che viene eseguito al tornio.

Il bordo ad anello è ottenuto rivoltando e arrotolando su se stessa la lamina metallica. All’interno dell’anello viene collocato un filo di metallo crudo del diametro di mm. 2,0-2,5, solitamente di alpacca o di ottone, per renderlo più rigido.

c) Meccanismo a pistoni e a cilindri Per gli strumenti in metallo con la meccanica a chiavi (saxofoni, flauti), i

fori dei toni o caminetti (grani) possono essere estratti dalla lamina del corpo stesso dello strumento oppure, secondo il metodo artigianale più antico, preparati a parte, fissati al fusto e saldati.

Attualmente gli ottoni utilizzano il meccanismo a pistoni con movimento verticale o a cilindri con movimento rotatorio orizzontale, che ha sostituito nel tempo le chiavi. La lavorazione dei pistoni e dei cilindri è in genere eseguita utilizzando macchine rettificatrici di precisione. La cameratura esterna è normalmente di ottone, mentre per favorire lo scorrimento, il pistone e il cilindro devono essere di materiale diverso e più duro (alpacca). Se viene utilizzato lo stesso materiale per la cameratura esterna e il pistone (o il cilindro), per evitare inceppamenti si utilizza una lamina di nichel-cromo applicata al pistone con processo galvanico. Il movimento del pistone viene azionato tramite pressione di un tasto a forma di bottone, avvitato ad una astina fissata al pistone. Una molla a spirale in acciaio all’interno della cameratura, garantisce il ritorno del pistone nella posizione iniziale.Il cilindro si avvia pigiando una chiave a doppio snodo saldata al tamburo (piccolo contenitore cilindrico), al suo interno una molla piatta a spirale orizzontale assicura il ritorno del cilindro nella posizione di riposo. L’azione del pistone o del cilindro provoca la variazione della lunghezza d’aria contenuta nello strumento, aprendo o chiudendo circuiti d’aria supplementari nel canneggio.

d) Costruzioni delle chiavi Generalmente la chiave è composta da tre parti: leva, fulcro e piattello,

saldati fra loro con lega ad alta percentuale d’argento. Le parti sono ottenute con procedimenti diversi: forgiatura manuale,

fusione in terra, microfusione, stampatura meccanica, pressofusione, taglio laser, ecc. Per gli scopi del presente Disciplinare sono considerate solo la forgiatura manuale e la fusione in terra.

Alto grado di manualità è richiesto anche per i processi di finitura quali la limatura, la saldatura, la levigatura e la lucidatura.

Preparate le chiavi si procede al collaudo o montatura di grezzo. Montati i supporti (colonnine) sullo strumento, avvitati per i corpi in legno o saldati per i corpi in metallo, le chiavi sono avvitate alle colonnine con viti a punta o con perni e quindi collaudate.

e) Operazioni finali

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Se il risultato del collaudo è soddisfacente, si smontano tutte le parti e si procede alle operazioni finali:

decorazioni del fusto (in genere incisione e intarsio per i corpi in legno, cesellatura tramite bulino per i corpi in metallo);

lucidatura del corpo e delle chiavi eseguita con spazzole di tela impregnate con paste abrasive e brillantanti;

verniciatura a stoppino per i legni e a spruzzo per i metalli. Le vernici sono scelte sia per l’estetica dello strumento sia per ottenere particolari timbri di suono.

Infine si procede alla montatura di fino (negli strumenti a chiavi) o

all’allestimento (negli strumenti a pistoni o cilindri), con l’applicazione definitiva di tutte le parti: viti, regolatori, molle, sugheri, tasti, madreperle, rotellini, tamponi di pelle ai piattelli, ecc.

A.4.2. Strumenti ad arco: elementi per la costruzione del violino Le parti principali del violino sono: il corpo, il manico, il cavigliere col riccio e

l’archetto.

A.4.2.1. Il legno Oggi i legni prevalentemente utilizzati sono l’acero montano marezzato

per il fondo, il manico e le fasce; l’abete rosso maschio per la tavola armonica e per la catena, a volte usato anche per i blocchetti e le controfasce; l’ebano per la reggicordiera, il capotasto, la tastiera e, talvolta, per la cordiera, la mentoniera, il bottone e i piroli; il pioppo, il salice e l’ebano per le controfasce e i tasselli (o blocchetti).

Negli strumenti antichi, per il fondo sono stati a volte impiegati il faggio, il pioppo, il salice, il noce, il ciliegio. In periodi di crisi internazionale i liutai, per la rarità e il costo elevato, erano costretti a utilizzare legni locali. È il caso, ad esempio, di alcune produzioni cremonesi durate il secondo conflitto mondiale, quando l’acero campestre ha sostituito il tradizionale acero dei Balcani e il carpino nero l’ebano del Madagascar.

L’abete rosso cresce dalla Scandinavia ai Balcani fino all’arco alpino a quote dai 1000 ai 2300 m. Le caratteristiche di questa essenza sono l’elasticità e l’ottima trasmissione del suono. I suoi canali linfatici sono infatti come minuscole canne d’organo che creano risonanza. Per questo motivo gli alberi vengono abbattuti in luna calante, tra ottobre e novembre, quando nel tronco c’è una minore quantità di linfa.

Gli alberi migliori sono quelli con anelli di crescita molto sottili e perfettamente concentrici, con fibre diritte e fini e scarsa presenza di nodi. La stagionatura del legno, effettuata in luogo asciutto e ventilato, deve durare almeno dieci anni. Più lungo sarà l’invecchiamento, migliore sarà il suono. Si preferirà sempre un legno leggero, duro e compatto.

A.4.2.2. La colla Nell’assemblaggio delle varie parti del violino si fa uso di colle forti,

ottenute dalle ossa di grandi animali. Sciolta a caldo, la colla garantisce caratteristiche di elasticità e inalterata tenuta nel tempo.

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A.4.2.3. Gli attrezzi Gli attrezzi adoperati dal liutaio sono numerosi: seghe, pialle a lama piatta

e tonda (con misure che vanno dai 2 fino ai 50 centimetri), sgorbie di diversa grandezza e curvatura, lime (piatte, tonde, semitonde, ovali e a coda di topo), coltelli, graffietti, scalpelli, trafori, morsetti e morsettini, rasiere, spessimetro, bedano per il filetto, alesatore, temperino, ferro piegafasce, il ferro dell’anima, oltre a tutti gli attrezzi normalmente richiesti nella lavorazione del legno.

A.4.2.4. Il modello La forma (o modello) è la struttura utilizzata dal liutaio per comporre le

forme interne ed esterne dello strumento e l’applicazione delle fasce laterali. Generalmente la forma, costruita in legno di noce o altro legno duro, è disegnata direttamente dall’artigiano, e reca quindi la sua impronta personale.

A.4.2.5. Il corpo La cassa armonica del violino, di lunghezza variabile tra i 34,9 e i 36,2

cm., è composta dalla tavola (la parte superiore del violino), dal fondo (la parte inferiore), e dalle fasce laterali.

A.4.2.5.1. Tavola e fondo

Per costruire la parte superiore (tavola) e quella inferiore (fondo) il liutaio innanzi tutto unisce due pezzi di abete rosso e due di acero marezzato. Se il taglio del legno è sufficientemente grande, tavola e fondo possono essere su un unico pezzo.

Il legno della tavola viene tagliato in direzione del cuore del tronco (taglio radiale o “a spicchi”).

Il taglio del fondo avviene come per la tavola quasi sempre ad anello (taglio radiale) facendo apparire l’effetto ottico della “fiamma” sul fondo dello strumento. Spesso nei violini antichi il taglio si presenta non radiale ma “tangenziale”, caratteristica che evidenzia un disegno più irregolare.

Utilizzando prima le sgorbie, poi i pialletti e infine le rasiere, si procede alla definizione della forma e degli spessori ideali.

La bombatura del fondo si ottiene scolpendo una tavola di legno pieno e spesso all’incirca 2 cm. Lo spessore massimo del fondo nella zona centrale sarà di mm. 4,5, raggiungerà nella parte alta un minimo di mm. 2,4-2,6 e, nella parte inferiore, di mm. 2,6-2,8. La tavola, a bombatura ultimata, avrà uno spessore di circa 3 mm. che scenderanno a 2,5 mm. nella parte alta e 2,6 mm. nella parte bassa, per salire a 4–5mm. verso il bordo.

Il liutaio, tramite l’udito e l’esperienza, battendo con il dito la tavola che sta modellando con la sgorbia deciderà quanto scavare per raggiungere il risultato desiderato.

Oltre alla qualità del legno, è lo spessore che determina l’eccellenza del suono. Si tratta di uno dei segreti dell’arte del maestro artigiano.

Le capacità vibratorie della tavola e del fondo variano a seconda dello spessore e del tipo di taglio utilizzato, radiale o tangenziale. Nella

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tradizione dei grandi maestri liutai italiani spesso tavola e fondo vibrano sulla medesima nota, in alcuni casi la tavola ha un’intonazione di una quinta più bassa rispetto al fondo.

Con qualche goccia di colla, alla forma vengono puntati i blocchetti grezzi, successivamente sagomati. Si completa così il profilo dello strumento. Anche i blocchetti di testa e di fondo vengono tagliati e raccordati alla forma.

I blocchetti sono sei “rinforzi”, per le parti sottoposte a maggior tensione o colpi. Sono piccole sagome di legno tenero (abete, pioppo, salice o tiglio) di cui: quattro all’interno delle punte, uno detto “di testa” perché porta l’incastro del manico (alla sommità della cassa) e uno di “fondo” (in basso e centrale) che regge il bottone e quindi la tensione delle corde. Nel metodo classico, la costruzione dello strumento inizia proprio con l’incollatura e la sagomatura dei sei blocchetti.

Il bottone è un piolo con gambo tronco-conico (stesso legno dei piroli) inserito nella fascia inferiore in corrispondenza del blocchetto di fondo.

A.4.2.5.2. Le fasce

Le fasce del violino, costruite in legno di acero, sono sei. Tramite piallatura vengono modellate, calibrate e sovrapposte a formare le due “C”, le quali, data la loro ridotta curvatura, vengono piegate a caldo con l’uso di un ferro sagomato (piegafasce).

A.4.2.5.3. Le controfasce

Si procede quindi con l’incollatura delle controfasce nella parte interna delle fasce; le controfasce, listelli generalmente in legno di abete (a volte di salice), servono di rinforzo alle fasce e aumentano la superficie di incollatura al fondo e alla tavola. A.4.2.5.4. Le effe

Sono due aperture, a forma di effe corsiva, realizzate con il traforo nella tavola armonica. Delimitano il settore centrale della tavola e indicano, con le tacche interne, la linea centrale del ponticello. Permettono l’uscita delle vibrazioni acustiche provenienti dall’interno dello strumento.

A.4.2.5.5. La catena

Viene quindi applicata la catena o barra, un lungo stelo di legno di abete, leggermente più spesso al centro rispetto alle estremità, incollato in senso longitudinale all’interno della tavola. La catena è un elemento fondamentale nella costruzione del violino, ha funzioni di consolidamento della tavola e fa da contrappeso alla pressione esercitata dalle corde del sol e del re attraverso il ponticello, oltre a trasmettere le vibrazioni a tutta la cassa dello strumento. La sua posizione è definita con precisione e deve passare sotto il piede sinistro (quello delle corde gravi) del ponte.

A.4.2.5.6. Il filetto

Il filetto è composto da tre strati di legno: due scuri (in genere ebano) e uno chiaro (acero o pioppo). Ha funzione essenzialmente decorativa,

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ma contribuisce anche a “legare” le fibre della tavola, dal momento che l’abete tende facilmente a fessurarsi. È anche uno degli elementi della tecnica costruttiva, influente sul timbro armonico. A.4.2.5.7. Nocetta

La nocetta è parte integrante del fondo dello strumento. È la base sulla quale poggia il tallone del manico. L’incavo della nocetta è a forma di coda di rondine.

A.4.2.6. Il manico e la testa Si usa lo stesso legno utilizzato per il fondo e le fasce, in genere un

blocco di acero di taglio radiale. In primo luogo si segna sui due lati del blocco il contorno del manico e del riccio (o chiocciola); si esegue poi una prima sbozzatura con la sega a voltino. Quindi, usando scalpelli, sgorbie, pialle e lime si definiranno le sagome del manico e della testa.

A.4.2.7. La cassetta dei piroli (cavigliere) I piroli (anche detti bischeri) sono quattro chiavi di legno duro (ebano,

bosso, palissandro), solitamente lo stesso della cordiera. Il fusto è tronco-conico e si adatta perfettamente al foro, permettendo così di tendere e mantenere accordata la corda. L’alloggiamento dei piroli, chiamato cavigliere, viene scavato nella testa. Poi si procede alla foratura delle sedi dei piroli tramite un trapano e l’alesatore conico.

Costruita la cassetta dei piroli, l’artigiano passerà alla finitura del dorso della testa, curando la perfetta simmetria delle parti.

A.4.2.8. Incastro del manico Dopo l’intaglio della chiocciola e lo scavo della cassetta dei piroli, il

manico viene sagomato sulla tastiera e inserito a incastro nella cassa (facendo presa nel blocco di testa), poi ultimato con la sagomatura del tallone e della nocetta.

A.4.2.9. Tastiera Il manico viene quindi finito di costruire con l’applicazione della tastiera,

oggi in legno d’ebano. Anticamente era in legno dolce (abete) lastronato in ebano o altro legno duro; era più corta e fortemente a cuneo, dato che il manico era praticamente privo di inclinazione. Oggi il manico è leggermente inclinato rispetto all’asse del corpo, condizionando anche l’inclinazione della tastiera.

A.4.2.10. Capotasto L’assemblaggio del manico con la tastiera si conclude con il capotasto,

barretta di ebano o osso posta in senso trasversale alla sommità della tastiera, leggermente rialzata rispetto al piano della tastiera stessa. Ha dei piccoli solchi per mantenere in posizione le corde.

A.4.2.11. Il ponticello Al ponticello spetta l’importante funzione di trasmettere la vibrazione

sonora al piano armonico. In acero non verniciato, è tenuto in posizione

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dalla pressione delle corde. Le scelte del liutaio sulla densità del legno, della sagoma, dello spessore e in particolare dell’altezza determinano sensibilmente la qualità del timbro.

A.4.2.12. L’anima La vibrazione viene trasmessa dal ponticello all’anima, un piccolo cilindro

di legno di abete stagionato di 10-12 anni, con un diametro di circa mm. 6, a venatura stretta e parallela. Incastrata tra fondo e tavola viene introdotta nello strumento e rizzata con apposito ferro.

Le vibrazioni ottenute stimolando le corde con l’archetto vengono trasmesse dal ponticello alla tavola armonica e, per mezzo dell’anima, al fondo.

Dal piede sinistro del ponticello le vibrazioni sono trasmesse alla superficie della tavola, mentre dal piede destro del ponticello, posto circa 3 mm. davanti all’anima, si propagheranno per prime le vibrazioni delle corde acute al fondo.

Spostando anche di pochissimo la posizione dell’anima viene modificato il timbro. Si otterranno suoni più penetranti diminuendo la sua distanza dal ponticello, più cupi aumentandola.

A.4.2.13. Cordiera La cordiera fissa le corde sulla cassa armonica. Realizzata in legno duro

(ebano, bosso, palissandro), in genere lo stesso dei piroli, è attaccata al bottone per mezzo di una cordina di nylon o budello.

A.4.2.14. La verniciatura Ritenuta ottimale la prova acustica dello strumento, si passa alla

verniciatura. Prima però lo strumento “in bianco” viene rifinito a “lama”. La vernice è di fondamentale importanza, oltre che per la qualità del

suono, anche perché preserva lo strumento dai danni del tempo. Il modo di prepararla e gli ingredienti impiegati costituirono in passato un vero e proprio segreto dei liutai. A seconda del tipo di vernice, il violino presenta un colore che varia dal giallo pallido, ambrato, al bruno-rossiccio.

Dopo aver lasciato riposare lo strumento bianco per qualche settimana, si procede alle operazioni di verniciatura, che consistono nel passare inizialmente mani di vernice trasparente, proseguendo poi con successive mani di vernice a olio o alcool. Per raggiungere il risultato desiderato a volte sono necessarie più di trenta applicazioni. Dopo ognuna di esse bisogna procedere alla levigatura.

A.4.2.15. L’arco (o archetto) L’arco per il violino, la cui lunghezza totale è di circa 74 cm., si compone

di bacchetta, alzo, vite e crini. A.4.2.15.1. La bacchetta

Attualmente è in genere realizzata in legno di pernambuco. È di sezione ottagonale o rotonda. Di forma convessa, ha la parte più incavata a un terzo della sua lunghezza. I crini sono fissati all’estremità superiore (testa) dell’arco tramite una bietta di legno.

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Lo spessore della bacchetta diminuisce procedendo dal tallone (base) alla punta (cima), allargandosi di nuovo nella testa.

Il legno viene curvato a caldo secondo criteri di equilibrio stabiliti. Negli archetti moderni il centro di gravità si trova a circa 25 cm. dal tallone.

Dopo la curvatura viene tagliata la testa, spesso ricoperta da una lamina di avorio. Qui, per mezzo di un cuneo, vengono agganciati i crini nell’incavo appositamente predisposto (mortasa).

L’impugnatura dell’archetto è rinforzata da un filo metallico arrotolato e ricoperto da una guaina di cuoio.

A.4.2.15.2. L’alzo

Costruito in ebano o tartaruga, spesso con ricche decorazioni in metallo nobile, ha lo scopo di fermare e tendere i crini, ed è montato sull’estremità inferiore (nasetto) dell’archetto. La parte inferiore dell’alzo è sovente rivestita di madreperla.

A.4.2.15.3. La vite

La vite è posta nel tallone della bacchetta e permette lo scorrimento dell’alzo.

A.4.2.15.4. I crini

Vengono ricavati dalla coda del cavallo maschio. Per il violino sono in genere scelti crini di colorazione chiara. Le ciocche sono formate da circa 150 crini selezionati con cura tra i più lisci, elastici e resistenti. Si usa la colofonia, estratta dalla resina, per rinforzare la rugosità che li contraddistingue.

I crini passano in un anello (o passante), prima di terminare nella mortasa, dove la ciocca è fissata con una zeppa di legno.

A.5. FASI PRODUTTIVE Le fasi produttive e la tecnica impiegata devono assicurare che il prodotto finito

mantenga inalterate tutte le caratteristiche peculiari delle categorie merceologiche. Le lavorazioni devono essere eseguite all’interno dell’azienda. Fasi di

lavorazione di tipo accessorio potranno essere commissionate ad artigiani esterni solo se anch’essi riconosciuti dell’artigianato artistico, o comunque che si impegnino a loro volta a eseguire le lavorazioni necessarie nel rispetto dei criteri del presente Disciplinare.

A.5.1. Utilizzo dei semilavorati È assolutamente vietato l’utilizzo di complementi realizzati con criteri industriali,

fatta eccezione per gli accessori di assemblaggio. A.5.2. Manualità La percentuale di manualità nel processo lavorativo deve essere preponderante

e non accessoria all’uso di macchinari in tutti i prodotti e i processi di lavorazione. L’utilizzo dei macchinari è consentito in tutti quei casi in cui normative vigenti non

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consentono, per motivi di salvaguardia della salute dei lavoratori, gli originari e tradizionali sistemi di produzione.

Il titolare dell’azienda deve saper dimostrare la sua competenza anche delle lavorazioni in disuso in quanto proprie e tipiche del settore di appartenenza.

A.5.3. Serialità La serialità delle produzioni è assolutamente incompatibile. A.6. TECNOLOGIA La tecnologia deve essere d’aiuto all’artigianato artistico solo in quei frangenti in

cui si richieda salvaguardia personale dei lavoratori, oppure nei casi in cui il prodotto finale abbia fasi di lavorazione intermedie nelle quali l’utilizzo di macchinari (anche ad alto contenuto tecnologico) porti esclusivamente a una velocizzazione di certe procedure senza nulla togliere alla definizione finale del manufatto, fatto salvo quanto precisato riguardo alla serialità.

Per i prodotti innovativi sono consentite tecnologie che assolvano alle esigenze di progetto, a patto che il loro utilizzo dia evidenti garanzie prestazionali e di durata e che le stesse non compromettano la richiesta di manualità che il prodotto finale deve pur sempre mantenere.

A.7. MATERIE PRIME È necessario che sia sempre garantito l’utilizzo dei materiali più idonei alla

realizzazione dei manufatti. A.7.1. Prodotti tradizionali È d’obbligo l’utilizzo di materiali che abbiano riscontro con la tradizione. A.7.2. Prodotti innovativi È consentito l’utilizzo, a fianco ai materiali impiegati nei prodotti tradizionali, di

ogni tipo di materiale che assolva alle esigenze di progetto e di ricerca estetica. Non è consentito lo stampaggio di materiali plastici talvolta usati per strumenti di basso livello musicale oppure destinati al gioco.

A.8. PRODOTTO La produzione dell’artigianato artistico dovrà essere caratterizzata dalla qualità

dell’esecuzione con una particolare attenzione alla valenza estetico-formale, ai materiali, alle tecniche di lavorazione, ai sistemi di assemblaggio, alle finiture e alle decorazioni.

I manufatti possono essere considerati opere dell’artigianato artistico o tradizionale solo a condizione che tutti i suoi componenti siano stati eseguiti seguendo le norme del presente Disciplinare.

A.8.1. Prodotti tradizionali Si ritiene indispensabile l’utilizzo di materiali e tecniche e il rispetto fedele di

modelli, forme, stili, decori che abbiano riscontro con la tradizione.

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A.8.2. Prodotti innovativi È consentito l’utilizzo di materiali e tecniche diversi da quelli tradizionali, là dove

essi siano necessari per particolari situazioni di progetto e di ricerca.

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RESTAURO

B. RESTAURO B.1. PRINCIPI GENERALI I principi generali enunciati nella Carta 1987 della Conservazione e del Restauro

vanno osservati in ogni intervento di restauro. Tale documento deve quindi essere approfonditamente studiato dal titolare di un’impresa che opera nel settore. È altresì indispensabile che ogni operatore sia a conoscenza delle nuove metodologie di analisi e di diagnosi affinché l’intervento non sia mai casuale, ma sempre dettato da precise esigenze progettuali.

Mentre per le norme specifiche da seguire si rinvia ai disciplinari dei singoli

materiali, sono enunciati qui di seguito alcuni principi generali, ripresi in massima parte dalla Carta 1987 della Conservazione e del Restauro, dalla quale sono tratte tutte le frasi virgolettate.

Il restauro è un intervento conservativo che non ha il compito di riportare il manufatto al suo aspetto originale. Esso deve puntare a mantenere l’integrità del valore documentario, storico e culturale dell’oggetto, senza compromettere o annullare le tracce del passaggio del tempo.

L’operazione di restauro deve essere eseguita sulla base di previe indagini conoscitive e dunque di tutte quelle analisi scientifiche e storico-artistiche che permettano di apprendere quanto più possibile dal manufatto, affinché si possa approntare un intervento adeguato e studiato nei particolari.

Per conservazione vanno intesi tutti «gli atti di prevenzione e salvaguardia rivolti ad assicurare una durata tendenzialmente illimitata alla configurazione materiale dell’oggetto».

Sono da considerare come tassative e irrinunciabili la riconoscibilità, la removibilità (o reversibilità) e la compatibilità dell’intervento e dei materiali utilizzati.

Riconoscibilità: qualsiasi parte o reintegrazione aggiunta durante un intervento di restauro deve risultare distinguibile dall’originale a distanza ravvicinata per non disturbare la visione d’insieme del manufatto.

Removibilità: ogni materiale impiegato e ogni intervento eseguito devono poter essere rimossi senza danneggiare l’originale.

Compatibilità: i materiali utilizzati per il restauro non devono arrecare all’originale un danno chimico-fisico-meccanico, ma neanche estetico. Il loro utilizzo deve essere supportato da un’esperienza coerente alla tradizione storica, e corredata da una valutazione scientifica che ne attesti le qualità e l’efficacia nel tempo. L’intervento deve inoltre essere compatibile con le finalità e gli obiettivi della conservazione, ossia garantire caratteri di reversibilità.

Le ricostruzioni di parti mancanti devono avvenire solo nell’ambito della certezza (ad esempio decorazioni modulari frammentarie, parti di panneggi, ma mai visi, mani e altri particolari). Non sono ammessi «completamenti in stile o analogici, anche in forme semplificate, sia pure in presenza di documenti grafici o plastici che possano indicare quale fosse stato o dovesse apparire l’aspetto dell’opera finita».

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Sono ammesse «aggiunte di parti accessorie in funzione statica e reintegrazioni di piccole parti storicamente accertate, marcando in modo chiaro aggiunte e reintegrazioni pur senza eccedere nella segnalazione di esse, onde prevaricare l’armonia del contesto».

Le puliture non dovranno mai arrivare alla nuda superficie della materia e «per le pitture e le sculture policrome, non devono mai giungere alla sostanza pigmentale del colore rispettando la “patina” ed eventuali vernici antiche».

Non sono ammesse «alterazioni o rimozioni delle patine, sempre che non sia analiticamente dimostrato che esse sono irreversibilmente compromesse dall’alterazione del materiale superficiale».

Il manufatto da restaurare deve essere fotografato prima, durante e dopo le varie fasi di intervento. Andrà inoltre redatta una scheda descrittiva che documenti il metodo utilizzato, le materie impiegate ed eventuali informazioni di carattere storico.

B.2. PARAMETRI DI VALUTAZIONE Ai fini dell’iscrizione dell’impresa nell’Albo comunale i parametri di

riconoscimento delle capacità acquisite dall’impresa dovranno essere coerenti con gli assunti teorici e di etica professionale fin qui espressi, e in particolare dovranno valutare:

- la consapevolezza dell’impresa di operare su beni unici e irripetibili; - la conoscenza degli aspetti teorici e pratici di approccio metodologico

al restauro; - il possesso delle nozioni scientifiche e delle tecniche di realizzazione

di un’opera; - la conoscenza della storia intesa sia come contestualità di una cultura

sia come fatto materiale di vita.

B.3. RESTAURO DI STRUMENTI MUSICALI Il restauro degli strumenti musicali sta acquistando un rilievo sempre maggiore,

dal momento che la diffusa organizzazione di concerti e spettacoli che propongono repertori musicali del passato rende auspicabile l’utilizzo di strumenti adeguati agli stili e alle tecniche delle varie epoche, siano essi originali oppure fedeli riproduzioni di modelli antichi.

Il restauro di strumenti musicali è complesso e delicato. Richiede anzitutto conoscenza e competenza storica per determinare con esattezza natura e appartenenza di uno strumento a un’epoca, uno stile, un’area geografica precise. Esige poi rilevanti capacità tecnico-analitiche, per individuare nello strumento stesso il nucleo originale, distinguendovi le eventuali modifiche o alterazioni successive.

Il non risolto dilemma che riguarda i restauri di qualsiasi oggetto antico, tra il ritorno integrale all’originale oppure la salvaguardia delle modificazioni e delle aggiunte posteriori è, nel settore degli strumenti musicali, ancora più delicato. In genere gli strumenti musicali da restaurare non sono solo oggetti da contemplare ma devono comunque rispondere alle esigenze richieste dall’esecuzione musicale.

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Le qualità indispensabili richieste affinché un restauro assuma carattere positivo e non distruttivo sono competenza, prudenza, rispetto dell’esistente, accuratezza tecnica, estrema attenzione alla reversibilità degli interventi.

Doti analoghe sono richieste anche per tutti gli interventi di manutenzione degli strumenti o di riparazione degli inconvenienti provocati dall’uso frequente.

È inoltre richiesto, come per tutti i restauri, che l’artigiano restauratore presenti un’accurata relazione esaustiva sotto gli aspetti storici e tecnici, accompagnata da un preciso progetto di intervento con i relativi documenti d’appoggio.

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Nota bibliografica AA.VV., Almanacco dell’artigianato artistico romano, Roma s.d. BARBIERI P., Cembalaro, organaro, chitarraro e fabbricatore di corde armoniche nella

Polyanthea technica di Pinaroli (1718-32). Con notizie sui liutai e cembalari operanti a Roma, s.l. 1989.

FRANCHI S., SARTORI O., Le botteghe d’arte e la topografia storico-urbanistica di una zona di Roma dalla fine del XVI secolo a oggi. Edifici, botteghe, artigiani nella zona di piazza Pasquino sede storica di liutai e librai, Roma 2001.

Lazio: alla scoperta dell’artigianato, testi di Piergiacomo Sottoriva e Willy Pocino, Novara 1984.

MORELLI G., Le corporazioni romane di arti e mestieri, Roma 1937. PAOLINI C., FALDI F., Glossario delle tecniche artistiche e del restauro, Firenze 2000. REGIONE PIEMONTE, Strumenti musicali. Disciplinare di produzione. STACCIOLI P., NESPOLI S., Roma artigiana. Attualità, storia e tradizioni dell’artigianato

artistico romano, Roma 1996. TORRI A.P., Le Corporazioni romane, Roma 1941. VANNES R., Dictionnaire universel des luthiers, Bruxelles 1951, 4 voll. Roma, aprile 2004.

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Testi di Osvaldo Amato Maurino Stefano Nespoli Paola Staccioli Coordinamento Paola Staccioli