La Contraddizione Dell'Essere Determinato_opiniao Filosofica 2014
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BORDIGNON, Michela. La contraddizione dell’essere determinato
Revista Opinião Filosófica, Porto Alegre, v. 04 ; nº. 02, 2013 118
La contraddizione
dell’essere determinato
The Contradiction of Determinate Being
Michela Bordignon1
Abstract: Scopo di questo contributo è riattraversare la dialettica dell’essere determinato, al fine di far emergere il ruolo che la contraddizione gioca all’interno di questa sezione del sistema logico hegeliano. L’articolo sarà diviso in due parti. Nella prima parte si riassumerà il movimento dialettico su cui si articola l’essere determinato, per mostrare come nel corso dello sviluppo delle diverse determinazioni che esso include l’elemento dell’alterità si trovi progressivamente interiorizzato all’interno della determinatezza. Quest’analisi fungerà da premessa per la seconda parte dell’articolo, in cui si mostrerà come questa progressiva interiorizzazione corrisponda a una progressiva esplicitazione dell’auto-referenzialità della negatività intrinseca alle determinazioni in questione e come quest’ultima dia origine alle strutture auto-contraddittorie del limite e del finito. Parole chiave: contraddizione, negatività, essere determinato, limite, finito. Abstract: The aim of the paper is to investigate the dialectic of determinate being in order shed light on the role that the notion of contradiction plays in this section of Hegel’s logical system. The paper will include two parts. The first one will consist in a recapitulation of the dialectical movement on which determinate being is articulated. This recapitulation will be aimed at showing that in the development of the determinations of this section otherness is progressively interiorized within the structure of determinateness. This analysis will serve as premise for the second part of the article. The increasing inwardisation of otherness will be shown to correspond to the increasing development of the self-referential character of the negativity inherent in the determinations of Dasein, which implies the self-contradictory structures of the limit and the finite. Key words: contradiction, negativity, determinate being, limit, the finite.
Introduzione
In questo articolo si riattraverserà la dialettica dell’essere determinato, al
fine di far emergere il ruolo che la contraddizione gioca all’interno di questa
sezione del sistema logico hegeliano. In questo senso, sarà fondamentale
1 Doutora, Università di Padova, Bolsista PNPD no PPG Filosofia-PUCRS. E-mail: [email protected]. Endereço postal: Av. Ipiranga, 6681 – Prédio 5 – Sala 608 –CEP: 90619-900 – Porto Alegre – RS.
BORDIGNON, Michela. La contraddizione dell’essere determinato
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analizzare il modo in cui la contraddittorietà viene a progressiva esplicitazione
nella struttura della determinatezza sulla base di una progressiva
interiorizzazione della negatività che caratterizza il modo di articolarsi del
Dasein.
Nella sezione dedicata all’essere determinato ogni determinazione si
costituisce nel distinguersi rispetto all’altro da sé, e quindi nel negare questo
altro. Allo stesso tempo, però, l’alterità si trova progressivamente integrata
all’interno della determinatezza: l’altro rispetto a cui la determinatezza si
distingue si mostra in modo sempre più esplicito come una componente
intrinseca alla determinatezza stessa. La determinatezza, quindi, nel negare
questo altro, finisce per negare se stessa. O, in altri termini, la sua negativa
relazione ad altro diviene una negativa relazione a sé. Con il compimento del
processo di integrazione dell’alterità nell’essere determinato – nella
determinazione del finito (il finito ha in sé il suo non essere) – la negatività
intrinseca alla determinatezza è auto-referenziale, e fa sì che la determinatezza
si strutturi in termini esplicitamente auto-contraddittori.
Lo sviluppo dialettico delle determinazioni dell’essere determinato è però
molto complesso. Innanzitutto è opportuno riassumere la dialettica dell’essere
determinato nei suoi diversi momenti, cioè nelle diverse determinazioni in cui
si articola. Questo sarà fatto a partire da una prospettiva in cui si cercherà di
mettere in luce come, nel corso dello sviluppo dialettico dell’essere
determinato, l’elemento dell’alterità si trova progressivamente interiorizzato
all’interno della determinatezza.
Sulla base di questo percorso sarà poi possibile mettere in luce il modo in
cui la progressiva esplicitazione dell’auto-referenzialità della negatività dà
origine alle strutture auto-contraddittorie del limite e del finito.
1. Lo sviluppo dialettico dell’essere determinato: le diverse
declinazioni dell’alterità
Il processo di autodeterminazione dell’essere determinato si articola in
diversi momenti. In questa prima parte si prenderanno naturalmente le mosse
dal Dasein als solches e si mostrerà come vi sia una progressiva interiorizzazione
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della negatività costitutiva rispetto alla determinatezza del Dasein, fino ad
arrivare a una sua compiuta integrazione con la determinatezza stessa
nell’articolazione logica del finito.
1.1. L’essere determinato: alterità come negazione astratta
Il Dasein als solches costituisce la prima immediata declinazione del modo
in cui l’alterità entra nel processo di costituzione della determinatezza. Si tratta
innanzitutto di capire cos’è il Dasein. Il Dasein è un essere caratterizzato da un
qualche tipo di qualità, da una qualche immediata caratterizzazione. L’essere
determinato è il risultato del toglimento del divenire, del dileguarsi del
dileguarsi che «precipita in un resultato calmo2.
Il toglimento del divenire implica dunque il toglimento del perenne
trapassare dell’essere nel nulla e viceversa; ma il toglimento di questo trapassare
non è altro che il calmo sussistere dell’essere e del nulla nella loro immediata
unità3. L’essere determinato è cioè l’«essere con un non essere (Seyn mit einem
Nichtseyn)»4. Questa immediata unità dell’essere determinato con un non essere
è quella che fa sì che questo essere si determini in un modo piuttosto che in un
altro. L’essere determinato è appunto un essere che è quell’essere e non
qualcos’altro.
Qui si incontra la prima caratterizzazione del rapporto ad altro sulla base
del quale la determinatezza si costituisce. Nel Dasein questa relazione ad altro
ha un carattere piuttosto semplice, ed è la semplice relazione che definisce una
determinata qualità come il non essere la mancanza di quella stessa qualità.
2 G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, vol. I, Die objektive Logik, libro 1, Die Lehre vom Seyn (1832), in Gesammelte Werke, vol. XXI, a cura di F. Hogemann e W. Jaeschke, Meiner, Hamburg 1985 (d’ora in poi WdL I), p. 93 (trad. it. di A. Moni, revisione della trad. e nota introduttiva di C. Cesa, Scienza della logica, Laterza, Roma-Bari 1968, p. 99). 3 «Questo resultato è l’essere sparito, ma non come nulla […]. Esso è l’unità dell’essere e del nulla, in quanto è divenuta una quieta semplicità. […] Il divenire, il passare così in quell’unità dell’essere e del nulla, che ha la determinazione dell’essere, ossia la forma dell’immediata unilaterale unità dei due momenti, è l’esser determinato» (WdL I, p. 94 (pp. 99-100)). 4 WdL I, p. 97 (p. 103).
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La relazione ad altro nell’essere determinato potrebbe essere assimilabile
alla relazione di privazione e possesso5. Quella tra la privazione e il possesso è
infatti la relazione di opposizione tra il possesso e il non possesso di una
determinata qualità, come la vista e la cecità6. Infatti l’essere determinato
innanzitutto è come qualità. La qualità, nella misura in cui è, è una realtà. La
realtà si determina solo nel non essere tutto ciò che è altro da sé: «la realtà val
solo come un che di positivo, da cui è escluso il negare, la limitatezza, la
mancanza. La negazione, invece, presa come semplice mancanza, sarebbe
quello stesso ch’è il nulla; ma essa è un esserci, una qualità, solo che
determinata come un non essere»7. Mentre nella definizione classica della
privazione il termine negativo ha significato solo nel confronto estrinseco con
il positivo e solo per la riflessione esteriore che coglie l’opposizione, qui esso è
anch’esso una qualità. Altrettanto il termine positivo non è semplicemente una
qualità semplicemente auto-sussistente, ma sussiste come indipendente solo
sulla base della negazione del proprio non essere, è esso stesso un termine
negativo.
Ciò che rimane, alla fine, sono due determinazioni opposte, ognuna delle
quali è il negativo, ognuna delle quali si determina come la mancanza della
qualità opposta. Entrambe le determinazioni sono il semplice non essere della
determinazione opposta.
In questa semplice e immediata unità dell’essere determinato con un non
essere, il rapporto ad altro si declina quindi come il semplice stare l’una di
fronte all’altra dei termini opposti, ciascuno del tutto esterno rispetto all’altro,
in quanto «nessuno dei due eccede l’ambito dell’altro»8. Ciascuna delle due
determinazioni è l’astratta negazione della determinazione opposta.
5 «La qualità, presa in modo che valga distintamente come essente, è la realtà; come affetta da quel negare, è in generale una negazione, cioè parimenti una qualità, ma però una qualità tale, che ha il significato di una mancanza» (WdL I, p. 98 (p. 105)). 6 «La privazione e il possesso, che sono termini appartenenti al medesimo genere, ma tuttavia tali che l’uno, cioè la privazione, non è il contrario, ma semplicemente l’assenza dell’altro» (E. Berti, La contraddizione, Città Nuova, Roma 1977, p. 10). 7 WdL I, p. 99 (p. 106). 8 WdL I, p. 99 (p. 105). E ancora «la negazione sta immediatamente di contro alla realtà» (WdL I, p. 101 (p. 109)).
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1.2. Qualcosa e il suo altro: alterità come indifferenza reciproca
Il qualcosa risulta dal superamento dell’astratta negazione dell’essere
determinato rispetto al non essere. Ciascuna delle due determinazioni è il non
essere dell’altra. Ciascuna è però altrettanto un essere rispetto al quale l’altra è
un semplice non essere. Ognuna delle due determinazioni finisce per passare
nella determinazione opposta – l’essere determinato è il non essere del proprio
non essere, e il non essere è un essere che sussiste nella sua diversità rispetto
all’essere determinato.
In questo processo di auto-differenziazione ognuna delle due
determinazioni mostra il ruolo costitutivo della determinazione opposta nel
modo in cui viene a costituirsi. L’essere determinato non ha così nella
determinazione opposta un semplice non essere, ma il suo altro, l’altro rispetto
al quale si differenzia. L’essere determinato che si costituisce sulla base di
questo rapporto di differenziazione con il suo altro è il qualcosa (Das Etwas).
Nel differenziarsi dal proprio altro, il qualcosa realizza il proprio specifico
modo d’essere. In questo senso, l’esser determinato è ora «insieme anche
riflesso in sé»9, perché nel distinguersi dal suo altro è identico con sé.
In questo modo il qualcosa mostra di includere in sé il rapporto di
distinzione dall’altro da sé. L’essere determinato ha di fronte il suo (specifico)
altro (Anderes) da cui si distingue. Sia il qualcosa che l’altro sono quindi
specificamente l’altro del termine opposto. Allo stesso tempo, essi sono termini
indipendenti l’uno rispetto all’altro, almeno nella loro tematizzazione
immediata:
in sulle prime essi sono indifferenti l’uno di fronte all’altro;
un altro è anch’esso un esserci che è immediatamente, un
qualcosa; la negazione cade così fuori dei due. Qualcosa è
in sé contro il suo essere per altro. Ma la determinatezza
appartiene anche al suo in sé10.
Il qualcosa e il suo altro stanno quindi in una relazione negativa in cui ognuno
è semplicemente indifferente nei confronti dell’altro. Entrambi infatti
sussistono come dei qualcosa, e allo stesso modo entrambi sono l’altro del
9 WdL I, p. 96 (p. 103). 10 WdL I, p. 104 (p, 112).
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proprio altro, e perciò «è indifferente quale dei due si chiami per primo, e solo
per ciò, qualcosa»11. Il determinare l’una delle due determinazioni come un
qualcosa, e l’altra come l’altro del qualcosa, non dipende dalle determinazioni
stesse, ma da una riflessione esterna, che decide arbitrariamente sulla
determinatezza dei momenti in questione, sul loro essere, cioè, o un qualcosa o
l’altro del qualcosa. La loro specifica determinatezza è però, in questo modo,
persa nel loro essere entrambi e allo stesso modo un qualcosa e un altro, è
persa in questa «medesimezza delle determinazioni», che «cade però anch’essa
soltanto nella riflessione estrinseca, nel confronto dei due»12. La
contraddittorietà della riflessione esterna alle determinazioni, per cui entrambe
sono dei qualcosa ma allo stesso tempo un altro, è però il sintomo di una
tensione interna alle determinazioni stesse, per cui l’indipendenza di ognuna
delle determinazioni rispetto al suo altro (il suo essere un qualcosa) implica
comunque una inevitabile relazione ad esso (il suo essere allo stesso tempo un
altro).
Ognuna delle due determinazioni, nella sua indipendenza, è l’esclusione
da sé del proprio altro. Ma l’esclusione dell’altro rimane comunque una
relazione ad esso, anche se del tutto negativa. Quindi ognuna delle due
determinazioni, nell’escludere da sé il proprio altro, lo include allo stesso
tempo in sé. Questa tensione, però, non è ancora sviluppata in termini
effettivamente contraddittori, perché l’altro è presente nel qualcosa ancora solo
come relazione negativa ad altro, per cui l’altro persiste fuori dal qualcosa.
1.3. L’altro come tale: alterità come mutamento
A causa del ruolo costitutivo della relazione negativa ad altro nel
qualcosa, il qualcosa non è più assolutamente indifferente rispetto all’altro. Il
qualcosa si determina quindi come qualcos’altro rispetto a se stesso, come
l’altro rispetto all’assoluta indifferenza che lo definisce in quanto qualcosa. Il
qualcosa, quindi, si determina come l’altro di se stesso. Il qualcosa è l’altro
come tale (das Andere).
11 WdL I, p. 105 (p. 113). 12 WdL I, p. 106 (p. 114).
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Si passa in questo modo ad un ulteriore sviluppo dell’essere determinato
nella determinazione dell’altro come tale, in cui «l’altro è da prendersi come
isolato, come in relazione a se stesso»; si considera cioè l’altro nella relazione di
alterità rispetto a se stesso, «ossia come l’altro di se stesso (das Andere seiner
selbst)»13. L’altro come tale è la determinazione «assolutamente dissimile, che si
nega, quel che si muta»14.
Quello che Hegel mette in campo con questa determinazione è il
costante processo di alterazione dell’essere determinato. Il rapporto con l’altro
non lascia il qualcosa intatto nella sua immediatezza, ma porta il qualcosa a
mutare, a cambiare, a diventare l’altro di se stesso. Nel suo perenne processo di
alterazione di se stesso, il qualcosa si realizza in quanto altro di se stesso. Il
qualcosa muove dalla propria immediatezza e diventa qualcosa d’altro da sé.
Ma l’altro come tale, in questo processo di alterazione, «resta identico con sé,
perocché quello, in cui si mutava, è l’altro, che non ha veruna determinazione
oltre a quella di essere altro»15.
Nella determinazione dell’altro come tale è evidente come la relazione ad
altro non stia più tra due determinazioni opposte l’una esterna all’altra, ma si
sia spostata all’interno di un’unica determinazione: l’altro come tale è l’altro di
se stesso. Allo stesso tempo, però, l’altro come tale non ha l’altro in cui si
realizza in se stesso, ma nell’altro in cui muta, e quindi, in una certa misura, in
una determinazione che rimane comunque esterna rispetto ad esso. Allo stesso
modo, l’altro in cui esso si muta, si realizza in un ulteriore passaggio nel
proprio altro, e così via all’infinito. Il processo di interiorizzazione dell’alterità
all’interno della determinatezza quindi non può dirsi ancora compiuto, perché
l’altro come tale si realizza sempre e solo in una determinazione che, in quanto
è altra da esso, rimane esterna rispetto ad esso.
1.4. L’‘essere per altro’ e l’‘essere in sé’. Il qualcosa come l’essere
distinto dall’altro.
13 Ibid. 14 Ibid. 15 WdL I, p. 106 (p. 114).
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Ciò che rimane dell’altro come tale è il suo essere un qualcosa che si
realizza proprio nel costitutivo passaggio nel proprio altro, e quindi contiene
essenzialmente in sé il momento dell’alterità16. L’altro come tale si mostra come
un ‘essere per altro’ (Sein-für-Anderes). L’‘essere per altro’ è appunto l’esserci che
«include in sé un non essere»17.
L’altro lato dello stesso processo è però quello per cui il qualcosa
«insieme nella sua negazione si conserva anche»18, ossia il qualcosa nel suo
processo di alterazione rimane identico con sé. Anzi, proprio nel processo di
alterazione esso realizza la propria specifica determinatezza, quindi perviene
alla propria identità con sé, è un ‘essere in sé’(Ansichsein)19.
Questi due lati in cui si specifica il processo di alterazione del qualcosa,
l’‘essere per altro’ e l’‘essere in sé’, sviluppano una tensione dialettica specifica.
Infatti, il qualcosa
si conserva nel suo non essere, ed è essere. Non però essere
in generale, ma come riferimento a sé contro il suo
riferimento ad altro, come uguaglianza con sé contro la sua
disuguaglianza. Un tale essere è essere in sé20.
I due momenti opposti dell’‘essere per altro’ ed ‘essere in sé’ sono lo sviluppo
delle determinazioni del qualcosa e del suo altro, ora riconosciute in quel loro
costitutivo essere in relazione che all’inizio era negato proprio nella sostanziale
indipendenza in cui erano posti il qualcosa e il suo altro. Questo loro essere in
relazione era già implicito in quell’indipendenza, anche se imprigionato
all’interno di una riflessione che, a quel livello, era solo esterna. Ora, col far
emergere la dialettica interna alle determinazioni stesse, il loro trovarsi in
questa relazionalità reciproca viene alla luce come la loro stessa verità:
16 «Note that otherness is now seen to be an irreducible, constitutive moment of something. There is no something without the movement of othering or change, since something preserves and constitutes itself in the very process of change. Yet being something is at the same time different from simply being other because something subsists insofar as sheer otherness negates itself. Otherness is thus a moment of something and yet is also logically distinct from it. In other words, otherness, or being-other (Anderssein), is that quality in the negating of which something consists» (S. Houlgate, The Opening of Hegel’s Logic, Purdue University Press, West Lafayette 2006, p. 332). 17 WdL I, p. 106 (p. 115). 18 Ibid. 19 «Something certainly gains determinacy by not just being endless change but exhibiting a definite identity through change» (S. Houlgate, The Opening of Hegel’s Logic, cit., p. 333). 20 WdL I, p. 107 (p. 115).
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Le prime contengono l’irrelatività della loro determinatezza;
il qualcosa e l’altro cadon l’uno fuori dall’altro. Ma la lor
verità è la lor relazione. L’esser per altro e l’essere in sé
sono quindi quelle medesime determinazioni poste come
momenti di uno stesso, come determinazioni che son
relazioni, e che restano nella loro unità, nell’unità dell’esser
determinato. Ciascuno di questi momenti contien quindi in
pari tempo in sé anche il momento da lui diverso21.
È evidente come la struttura oppositiva individuata all’interno dell’altro come
tale sia qui portata ad un ulteriore sviluppo. Infatti ‘essere in sé’ ed ‘essere per
altro’ non sono due determinazioni distinte, ma due momenti opposti di una
medesima struttura logica che, tramite la tensione che le lega, sta cominciando
a trovare una propria consistenza. In effetti, l’indipendenza delle
determinazioni opposte nel caso del qualcosa e del suo altro era ciò che
permetteva di tenere ancora lontana la contraddizione, relegata in una
riflessione ancora solo esterna. Allo stesso tempo, però, questa stessa
indipendenza era ciò che teneva sostanzialmente separate le due
determinazioni, impedendo loro di dispiegare la loro costitutiva relazione
reciproca e quindi di portare a compiuto sviluppo la loro intrinseca
determinatezza: il qualcosa e il suo altro sono appunto tali solo in base ad una
riflessione esterna che li porta a confondersi l’uno con l’altro.
Ora, invece, ‘essere per altro’ ed ‘essere in sé’ sono due momenti opposti
interni alla medesima determinazione. Il qualcosa è un ‘essere in sé’, che si
mantiene identico con sé, ma che ha allo stesso tempo in sé il momento
dell’alterità. Nel qualcosa come ‘essere in sé’ non è ancora presente l’altro come
tale, e per questo la relazione tra i due momenti opposti non è ancora
compiutamente contraddittoria. Allo stesso tempo, però, l’altro, nel qualcosa
come ‘essere in sé’, non è più una determinazione assolutamente indipendente
da esso (come nel caso del qualcosa e del suo altro), come non è più un altro
che ha solo implicitamente in sé, ma che è esplicitato solo nel passaggio in una
nuova determinazione (come nell’altro come tale). L’altro, nel qualcosa come
21 Ibid.
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‘essere in sé’, è presente come la relazione costitutiva ad altro, una relazione
sulla cui base si struttura lo stesso ‘essere in sé’ del qualcosa22.
‘Essere in sé’ ed ‘essere per altro’ stanno però all’inizio, nella loro
immediatezza, come due momenti ancora distinti l’uno rispetto all’altro, posti
l’uno contro l’altro: «sulle prime l’essere in sé e l’essere per altro son diversi
(verschieden)»23. In particolare
L’essere in sé è primariamente relazione negativa al non
esserci, ha l’esser altro fuori di sé, e gli sta di contro; in
quanto qualcosa è in sé, è sottratto all’esser altro e all’esser
per altro. […] L’esser per altro, poi, è primariamente
negazione della semplice relazione dell’essere a sé, la quale
ha da essere anzitutto esserci e qualcosa; in quanto qualcosa
è in un altro o per un altro, è privo del suo proprio essere24.
In questo loro immediato stare l’uno di contro all’altro, però, sta
implicitamente l’effettiva relazione che lega ‘essere in sé’ ed ‘essere per altro’ su
cui si costituisce il loro concreto modo d’essere.
In effetti Hegel mette in evidenza come l’‘essere in sé’ «in secondo luogo
ha anche in sé il non essere, poiché è appunto il non essere dell’esser per altro»;
altrettanto l’‘essere per altro’ «non è il non esserci come puro nulla; è un non
esserci che accenna all’‘essere in sé’ come al suo essere riflesso in sé, così come
vicendevolmente l’‘essere in sé’ accenna all’‘essere per altro’»25. Detto più
semplicemente, l’immediata opposizione reciproca di ‘essere in sé’ ed ‘essere
per altro’ è una relazione tale per cui ognuna delle due determinazioni include
in sé la determinazione opposta almeno come momento da cui si distingue per
pervenire alla propria uguaglianza con sé. Quindi, entrambi i momenti
contengono al proprio interno come componente costitutiva il momento
opposto. In questo modo, sia l’‘essere in sé’ che l’‘essere per altro’ sussistono
solo nella necessaria relazione col proprio opposto.
22 «Sta dunque in relazione con il suo altro; non è puramente il suo esser altro. L’esser altro è in pari tempo contenuto in lui, e in pari tempo ancora da lui separato; è esser per altro» (WdL I, p. 106 (pp. 114-115)). 23 WdL I, p. 108 (p. 116). 24 WdL I, pp. 107-108 (pp. 115-116). 25 WdL I, pp. 107-108 (p. 116).
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1.4. Destinazione e costituzione: il qualcosa come il distinguersi
dall’altro
Si è quindi superato il passaggio in cui l’essere determinato si articola
sulla base del rapporto tra il qualcosa e il suo altro. Ora viene preso in analisi il
processo di auto-determinazione del qualcosa in se stesso che include
necessariamente in sé il momento dell’alterità, il momento dell’essere per altro.
La relazione ad altro interna al qualcosa è caratterizzata da due aspetti
opposti. Essa è innanzitutto la destinazione (Bestimmung) del qualcosa:
La destinazione è la determinatezza affermativa, come
essere in sé, a cui il qualcosa nel suo esserci contro il suo
intreccio con altro, da cui verrebbe determinato, riman
conforme, mantenendosi nella sua uguaglianza con sé, e
facendola valere nel suo esser per altro. Il qualcosa adempie
alla sua destinazione, in quanto l’ulterior determinatezza,
che dapprima cresce in vario modo per il contegno del
qualcosa verso altro, conforme al suo essere in sé, diventa
la sua pienezza26.
La Bestimmung è quindi il modo in cui qualcosa si caratterizza come ciò che è, e
mantiene questa caratterizzazione, proprio nella relazione di distinzione
dall’altro da sé27. Hegel fa riferimento all’esempio della ragione pensante come
destinazione dell’uomo: solo nel portare a realizzazione la propria natura
razionale nel confronto con il mondo esterno l’uomo è identico con sé, realizza
se stesso, la propria intrinseca Bestimmung28.
La Bestimmung di qualcosa è quindi quella essenziale qualità che il
qualcosa ha in sé e che il qualcosa deve sviluppare per realizzarsi, per
determinarsi appunto come ciò che è nella distinzione rispetto all’altro da sé. In
questo processo, però, il qualcosa lascia l’altro in qualche modo fuori da sé,
26 WdL I, pp. 110-111 (p. 120). 27 Angelica Nuzzo scrive: «As such, it [Bestimmung] appears as the internal Ansichsein that we cherish as something to which we «remain faithful» in an existence that sees us constantly and unavoidably entangled (Verwicklung) with the other, always compromising with him or her. Althought the other is still always determining us (and is indeed changing who or what we are), we consider our determination as something fixed, as that in which we «preserve» our inner integrity, remaining identical with ourselves (Gleichheit mit sich) against our changing environment. In our determination we proudly prove our value and make ourselves heard in our relation to the other – in our Sein-für-Anderes» (A. Nuzzo, Changing Identities, in P.T. Grier (ed.), Identity and Difference, State University of New York Press, Albany 2007, p. 140). 28 Cfr. WdL I, pp. 110-111 (pp. 120-121).
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proprio perché si determina nel togliere questo altro, nel distinguersi da esso.
In altri termini, se la necessaria relazione all’altro da sé (l’‘essere per altro’) si
sviluppa come una distinzione dell’‘essere in sé’ rispetto ad esso, allora questa
relazione ad altro è compresa nell’‘essere in sé’ come tolta. In questo senso
l’essere per altro «resta fuori dalla destinazione»29. Si era infatti fatto riferimento
ad un’unità intrinseca di ‘essere in sé’ ed ‘essere per altro’. In quest’unità però le
due determinazioni opposte non sono ancora nella loro assoluta identità.
L’altro resta comunque fuori da quest’identità, o piuttosto è presente in essa
solo come costitutiva relazione ad altro da cui il qualcosa si distingue.
Il secondo aspetto della relazione ad altro tramite cui il qualcosa si auto-
determina come tale si costituisce proprio sulla base di quest’alterità che la
destinazione lascia fuori da sé. Questo secondo lato della relazione ad altro
intrinseca al qualcosa è la costituzione (Beschaffenheit). La costituzione è il
residuo di alterità non incluso nella Bestimmung. Questo non significa che l’altro
sussistente come tolto rispetto al qualcosa, distinto da esso, non sia costitutivo
rispetto al modo di determinarsi del qualcosa stesso, perché si è visto come, nel
passaggio precedente, Hegel mostri proprio il contrario. L’esteriorità
dell’alterità consiste qui solo nel fatto che, almeno a livello immediato, il modo
in cui l’altro interviene nella determinazione del qualcosa non dipende
completamente dall’essenziale caratterizzazione interna del qualcosa stesso, ma
dipende anche da ciò che è appunto altro da esso30. In questo senso, il modo in
29 WdL I, p. 111 (p. 122). In questa tematizzazione ancora immediata e astratta della Destinazione, c’è un chiaro riferimento critico alla riflessione kantiana e fichtiana. Fichte, con l’idea della Bestimmung des Menschen, intendeva mettere in evidenza il formalismo dell’imperativo morale kantiano, ma allo stesso tempo porvi rimedio, conferendovi un contenuto concreto. (Cfr. L. Fonnesu, Antropologia e idealismo. La destinazione dell’uomo nell’etica di Fichte, Laterza, Roma-Bari 1993). Per Hegel però, proprio questa nozione di Bestimmung, è ancora affetta dall’astrazione. In essa non è ancora possibile individuare una concreta realizzazione della libertà. Nella destinazione, infatti, sembra sussistere una libertà che si costituisce come non dipendenza, indifferenza rispetto al rapporto ad altro. Per Hegel, come noto, la vera libertà sussiste nell’esatto contrario, ossia nell’essere essenzialmente se stessi non astraendo, ma proprio all’interno del rapporto con l’altro. Fuori dalla relazione con l’alterità, la Bestimmung rimane certo uguale con se stessa, ma quest’uguaglianza rimane anche assolutamente vuota: la destinazione in sé, nell’indipendenza dal rapporto ad altro, rimane assolutamente indeterminata. 30 «The otherrelatedness of something that is not determined by something’s own character is its constitution (Beschaffenheit). If the constitution of something is not governed by what the thing itself is, it can only be determined by the other things to which something relates» (S. Houlgate, The Opening of Hegel’s Logic, cit., p. 349).
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cui il qualcosa si determina in relazione all’altro da sé non appartiene alla
destinazione del qualcosa stesso, ma all’altro dal qualcosa:
Quello che il qualcosa ha in lui, si divide così, ed è, da
questo lato, estrinseco esserci del qualcosa, che è anche un
suo esserci, ma non appartiene però al suo essere in sé. La
determinatezza è così costituzione (Beschaffenheit).
Costituito così o altrimenti, il qualcosa è preso come
nell’influsso e nei rapporti esterni. Questa relazione
estrinseca, da cui dipende la costituzione e il venir
determinato da un altro, appare come un che di accidentale.
Ma è qualità del qualcosa, di esser dato in preda a questa
esteriorità e di avere una costituzione31.
La costituzione, quindi, non consiste semplicemente nel valore costitutivo della
relazione ad altro, che emerge già nella relazione tra ‘essere per altro’ ed ‘essere
in sé’. Essa fa riferimento piuttosto al modo in cui questa relazione entra in
azione nel processo di determinazione del qualcosa. Il modo in cui la relazione
ad altro determina l’articolazione del qualcosa non dipende completamente dal
qualcosa stesso, ma anche da questo altro e dal suo modo di articolarsi.
La costituzione consiste dunque in quest’apertura del qualcosa ad essere
determinato dall’influsso e dai rapporti esterni. In questo suo essere
determinato dal proprio altro, il qualcosa muta, ri-articola il proprio modo
d’essere, e la costituzione non è appunto nient’altro che questa continua
ristrutturazione del qualcosa che si sviluppa sulla base dei rapporti con ciò che
è esterno rispetto ad esso32. Il cambiamento è un continuo ri-articolarsi del
qualcosa. Ma essendo indotto da fattori esterni al qualcosa stesso, questo
processo di ri-articolazione non sembra toccare la caratterizzazione intrinseca
al qualcosa, non sembra cioè avere effetto sulla sua Bestimmung. Questi influssi
esterni sembrano avere un carattere accidentale, sembrano toccare
semplicemente la superficie del qualcosa, e non la natura intrinseca del
qualcosa, ovvero quella destinazione che lo porta ad essere necessariamente ciò
che è e che altrettanto necessariamente rimane immutata nel corso di questo
31 WdL I, p. 111 (p. 122). 32 «This side of ourselves is the side in which identity is compromised with difference, the self with the other, the ideal with the real. It is that part of ourselves that may change and become completely other» (A. Nuzzo, Changing Identities, cit., p. 141).
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mutamento dettato dagli influssi esterni33. Considerate nella loro immediatezza,
«la destinazione e la costituzione son così distinte una dall’altra; il qualcosa è,
secondo la sua destinazione, indifferente verso la sua costituzione»34.
Hegel mostra però come questa caratterizzazione immediata, in cui
destinazione e costituzione si mostrano nella loro contrapposizione, finisca per
cadere su se stessa e come le determinazioni opposte non siano altro che due
lati di un unico movimento dialettico.
Il termine medio è la determinatezza come tale; alla sua
identità appartiene tanto la destinazione quanto la
costituzione. Ma la destinazione trapassa per se stessa in
costituzione e questa in quella35.
La determinatezza costituisce il termine medio tra destinazione e costituzione
in quanto è proprio in essa che queste due determinazioni opposte trovano la
loro unità. Destinazione e costituzione non sono in effetti altro che due aspetti
speculari del processo di auto-articolazione del qualcosa nel rapporto all’altro
da sé. In questo senso, mutando il punto di vista a partire dal quale questo
processo viene considerato, l’una determinazione trapassa nell’altra. Ogni cosa
è portata necessariamente a sviluppare la propria destinazione; ma questo
processo di sviluppo trova concreta realizzazione nella progressiva ri-
articolazione del qualcosa stesso sulla base degli influssi esterni, si costruisce,
cioè, sulla base della costituzione della cosa e del modo in cui questa
progressivamente viene a definirsi. Altrettanto la cosa stessa sta
necessariamente in rapporto ad altro. In altri termini, essa è caratterizzata da
una determinata costituzione, la cui struttura dipende dal suo modo d’essere,
dalla sua destinazione. Il modo in cui qualcosa entra nella relazione ad altro e si
ri-articola sulla base di questa relazione dipende dalla sua natura intrinseca,
dalla sua Bestimmung:
quello che qualcosa è in sé, sta anche in lui, è affetto
dall’esser per altro; quindi la destinazione è, come tale,
33 «In quanto qualcosa si muta, il mutamento cade nella costituzione; essa è nel qualcosa quello che diventa un altro. Il qualcosa stesso si conserva nel mutamento, che colpisce soltanto questa instabile superficie del suo esser per altro, e non la sua destinazione» (WdL I, pp. 111-112 (p. 122)). 34 WdL I, p. 112 (pp. 122-123). 35 WdL I, p. 112 (p. 123).
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aperta al rapporto ad altro. La determinatezza è insieme
momento, ma contien insieme la differenza qualitativa,
diversa dall’essere in sé, di essere il negativo di qualcosa,
vale a dire un altro esserci. La determinatezza
comprendente così in sé l’altro, unità coll’essere in sé, porta
l’esser altro nell’essere in sé o nella destinazione, la quale si
trova con ciò rabbassata a costituzione. – Viceversa l’esser
per altro, isolato qual costituzione e posto per sé, è in lui lo
stesso di quel ch’è l’altro come tale, l’altro in lui stesso, vale
a dire, di se stesso; ma così esso è un esser determinato
riferentesi a sé, quindi essere in sé con una determinatezza
epperò destinazione36.
Dalla dialettica della destinazione e della costituzione risulta quindi una
struttura logica in cui emerge ancora una volta l’unità delle determinazioni
opposte, nella loro identità ma altrettanto nella loro differenza. La particolare
declinazione della relazione ad altro che si incontra con le determinazioni della
destinazione e della costituzione è tale per cui ognuna delle due determinazioni
sussiste solo nella relazione con l’altra, dove la relazione è un rapporto di co-
determinazione dinamica. Il qualcosa si mostra, in questo passaggio, nel suo
processo di alterazione nella relazione con l’altro da sé, una relazione con l’altro
che muta la sua intrinseca natura ma che allo stesso tempo è determinata da
questa stessa natura:
Con ciò, in quanto ambedue son anche da tener separati, la
costituzione, che sembra in generale fondata in un
estrinseco, in un altro, dipende anche dalla destinazione, e il
destinare estraneo è in pari tempo determinato dalla
destinazione propria, immanente, del qualcosa. Ma la
costituzione appartiene inoltre a quello che il qualcosa è in
sé; colla sua costituzione il qualcosa si muta37.
In questo passaggio vi sono dunque le stesse componenti e la stessa unità di
‘essere in sé’ ed ‘essere per altro’; questa stessa unità diviene però ora dinamica.
Essa non è altro che il processo di sviluppo del qualcosa, quell’intrinseco
mutamento tramite cui esso viene ad essere ciò che è; un mutamento in cui
però allo stesso tempo l’altro dal qualcosa viene integrato all’interno di questo
suo modo di determinarsi. Non è più il mutamento dell’altro come tale
36 WdL I, p. 112 (p. 123). 37 Ibid.
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nell’altro da sé in cui non si realizza mai la sua compiuta identità e riflessione
con se stesso (perché è sempre rimandato in un ulteriore altro), ma è un
mutamento che comprende compiutamente in sé la relazione ad altro. Si
perviene qui ad un maggior grado di concretezza della determinatezza proprio
grazie a questa maggiore integrazione dell’elemento dell’alterità, e quindi della
negatività, all’interno del qualcosa38. Questa maggiore integrazione del qualcosa
con l’altro corrisponde ad una maggiore tensione tra le determinazioni opposte.
La tensione tra le determinazioni opposte non è però ancora una volta
effettivamente contraddittoria, nella misura in cui l’alterità non è ancora
compiutamente integrata nel processo di auto-determinazione del qualcosa.
Il qualcosa si riferisce così di per se stesso all’altro, perché
l’esser altro è posto in lui come suo proprio momento; il
suo esser dentro di sé comprende in sé la negazione
mediante la quale esso ha ora in generale il suo affermativo
esserci. Ma da questo l’altro resta anche qualitativamente
distinto, col che è posto fuor dal qualcosa39.
L’essere altro è quindi integrato nel qualcosa come momento costitutivo nel
suo processo di auto-determinazione. Allo stesso tempo, l’altro rimane ancora
esterno al qualcosa nella misura in cui determina il qualcosa comunque
dall’esterno. La componente dell’altro interna al qualcosa consiste ancora solo
nel fatto che il qualcosa non è semplicemente determinato dall’altro da sé, ma il
modo in cui l’altro lo determina dipende dall’articolazione interna del qualcosa
stesso. Il qualcosa non è il semplice essere distinto dal proprio altro, ma il
distinguersi da esso: il qualcosa non subisce passivamente il valore
determinante della relazione ad altro, ma determina esso stesso il modo in cui
questa relazione si articola e influisce sul suo stesso modo d’essere. L’altro, di
per se stesso, rimane perciò ancora una volta esterno al qualcosa. In questo
senso l’altro è sia interno al qualcosa come momento della sua specifica
determinatezza, sia esterno rispetto ad esso.
38 «Questo mutamento del qualcosa non è più il primo semplice mutamento del qualcosa secondo il suo esser per altro. Quel primo non era che il mutamento in sé, il mutamento appartenente al concetto interno; il mutamento è ormai anche il mutamento posto nel qualcosa. – Il qualcosa stesso è ulteriormente determinato, e la negazione è posta come immanente in lui, come il suo sviluppato esser dentro di sé» (WdL I, p. 112 (p. 123)). 39 WdL I, p. 113 (p. 124).
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1.5. Il limite: l’incontro del qualcosa con l’altro
Il fatto che l’altro sia un momento interno al processo di auto-
determinazione del qualcosa, ma allo stesso tempo rimanga esterno e distinto
da esso, viene ulteriormente sviluppato nella determinazione del limite (Grenze):
È un’unica determinatezza loro, che è insieme identica
coll’esser dentro di sé dei qualcosa, come negazione della
negazione, ed anche, in quanto queste negazioni stan l’una
contro l’altra come altri qualcosa, stringe questi assieme da
loro stessi, e parimenti, ciascuno di essi negando l’altro, li
separa l’uno dall’altro – il limite (die Grenze)40.
Nella co-determinazione reciproca della destinazione e della costituzione il
qualcosa sussiste come costitutiva unità intrinseca di identità e differenza del
proprio altro. La capacità determinante dell’altro rispetto al qualcosa e del
qualcosa rispetto all’altro si trova ora integrata all’interno del qualcosa stesso, è
parte costitutiva della sua intrinseca natura. Questo però non significa ancora
che, all’interno di questa dinamica e all’interno del qualcosa, l’altro sia stato
integrato in modo compiuto. Ora come ora, il qualcosa comprende
concretamente in sé il modo in cui l’altro lo determina in modo essenziale, ma
non comprende ancora in sé l’altro come tale. L’altro rimane comunque ancora
qualcosa di distinto ed esterno al qualcosa, posto di contro al limite che lo
separa da esso.
Il rapporto tra il qualcosa e il suo altro, rapporto in base al quale queste
due determinazioni articolano il loro specifico modo d’essere, si sviluppa
appunto come limite41. Nel limite il qualcosa e l’altro si trovano nella loro
costitutiva e intrinseca identità, ma altrettanto nella loro costitutiva e intrinseca
distinzione.
Ognuna delle due componenti in questione non è altro che la negazione
dell’altra, il non essere dell’altra. Il limite però non rappresenta solo il luogo in
cui il qualcosa e il suo altro permangono nella loro separazione, non è cioè solo
il luogo in cui il qualcosa e il suo altro finiscono di essere ciò che sono per dare
40 WdL I, p. 113 (p. 124). 41 Per un’analisi del processo dialettico su cui si sviluppa l’articolazione del limite all’interno della logica hegeliana cfr. L. Illetterati, Figure del limite. Esperienze e forme della finitezza, Verifiche, Trento 1996.
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spazio alla determinazione opposta. Il limite è anche il luogo in cui questi
opposti si incontrano, è anche il luogo in cui ognuno comincia ad essere ciò
che è. Perciò, se il limite è il luogo del non essere sia del qualcosa sia del suo
altro, ma altrettanto è il luogo che determina l’essere tanto del qualcosa quanto
dell’altro, il limite risulta essere allo stesso tempo e sotto il medesimo rispetto
tanto il luogo dell’assoluta separazione quanto il luogo dell’assoluta identità del
qualcosa e del suo altro. La struttura logica del limite, in questo modo, si
mostra essere quella dell’identità dell’identità e della non identità di questi due
termini opposti.
1.6. La finità: l’interiorizzazione dell’alterità nella determinatezza
La contraddizione del limite è la contraddizione del qualcosa in quanto
limitato: il qualcosa si realizza in quanto limitato nella misura in cui è separato
ma allo stesso tempo identico con il suo altro. Ma quest’identità è ciò che lo
spinge a passare nel proprio altro, nel proprio non essere. In questo passare nel
proprio altro, il qualcosa non si realizza solo in quanto limitato, ma si mostra
nella sua intrinseca finitezza:
Il qualcosa posto col suo limite immanente come la
contraddizione di se stesso (der Widerspruch seiner selbst), dalla
quale è indirizzato e cacciato oltre a sé, è il finito
(Endliche)42.
Il qualcosa, in quanto limitato, si sviluppa nel qualcosa in quanto finito, con il
passaggio dalla concezione statica alla concezione dinamica del limite. Nella
concezione statica il limite è semplicemente il non essere delle determinazioni
opposte, e quindi è ciò che le tiene separate l’una dall’altra. La negatività che le
separa è loro esterna, come esterno risulta essere il limite in cui essa prende
corpo. Nella concezione dinamica del limite, la negatività su cui esso si
costituisce è immanente al qualcosa stesso. Il limite è il non essere del qualcosa
in cui allo stesso tempo il qualcosa ha il suo essere, la sua determinatezza. In
questo modo il qualcosa ha in sé il suo non essere, accenna in sé al suo altro, e
quindi passa in esso:
42 WdL I, p. 116 (p. 128).
BORDIGNON, Michela. La contraddizione dell’essere determinato
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Ma questa negazione sviluppata, per modo che
l’opposizione dell’esserci e della negazione come limite
immanente al qualcosa sia essa stessa, questa opposizione,
l’esser dentro sé del qualcosa, e questo non sia perciò in se
stesso altro che un divenire, – questo fa la finità
(Endlichkeit) del qualcosa43.
Quindi, nel focalizzare l’attenzione sulla concezione dinamica del limite, che
corrisponde alla concezione concreta e quindi alla verità del limite stesso, il
qualcosa si mostra come finito. La natura concreta del limite altro non è che
una negazione che si rivela essere l’opposizione interna al qualcosa stesso. Il
qualcosa esclude da sé il proprio non essere, il proprio altro. Ma avendo il suo
non essere in sé, il qualcosa si respinge da se stesso e passa necessariamente
nell’altro da sé44. Il qualcosa ha in sé il passaggio nel proprio altro, e si mostra
quindi come finito45. Questo non essere, questa negazione, il suo finire e
passare nel proprio altro, è la positiva natura in base alla quale il qualcosa si
determina appunto come finito.
Quando delle cose diciamo che son finite, con ciò s’intende
che […] la lor natura, il loro essere, è costituito dal non
essere (das Nichtseyn ihre Natur, ihr Sein ausmacht)46.
Nel finito il processo di integrazione dell’alterità all’interno della
determinatezza giunge a compimento. L’essere del finito, la sua specifica
determinatezza, è dato dal suo stesso non essere. Il finito viene a determinarsi
come tale, realizza la sua finitezza, nella misura in cui cessa, passa nel suo non
essere. Quindi il finito, proprio in quanto finito, ha già in sé questo passaggio al
43 Ibid. 44 «In proving itself to be finite, something in its very self relation proves itself to be self-negating being» (S. Houlgate, The Opening of Hegel’s Logic, cit., p. 376). 45 Cingoli sottolinea come il finito non è altro che il compimento del processo di interiorizzazione della negazione nella determinatezza, per cui l’altro toglie progressivamente la propria indifferenza rispetto al qualcosa per diventare parte integrante, anzi, essenziale, del qualcosa stesso: «La dialettica del qualcosa ed un altro ci conduce al finito, al suo intimo contraddirsi. Ciò che viene approfondito in modo sempre più determinato è proprio la categoria della negazione. In origine noi siamo in presenza di qualcosa indifferenti gli uni agli altri; se si osserva il limite dei qualcosa (che è ciò per cui ciascuno limita l’altro) si vede la negazione posta come immanente, come costitutiva, in quanto ciascuno contiene dentro di sé l’altro, e dunque ciascuno contiene dentro di sé la contraddizione: il finito è dunque contraddittorio e per sua natura tende dunque ad andare oltre se stesso» (M. Cingoli, La qualità nella Scienza della Logica di Hegel, Guerini e Associati, Milano 1997, p. 175). 46 WdL I, p. 116 (p. 128).
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suo non essere, ha già in sé questo non essere, e realizza la propria finitezza, la
propria verità, solo nella misura in cui esplicita questa componente negativa
che caratterizza il suo modo di darsi, ossia nella misura in cui cessa, si nega, per
passare in quel non essere che ha già in sé.
Quindi, l’identità tra il qualcosa e l’altro dispiegata all’interno del finito è
ancora più esplicita di quella che abbiamo incontrato nel limite. Non si ha
infatti più solo lo stare insieme del qualcosa e del suo altro nel limite stesso,
ovvero nel luogo che unisce ma anche separa il qualcosa e il suo altro. Il non
essere del qualcosa non è più una componente che affetta costitutivamente il
modo d’essere del qualcosa ma allo stesso tempo rimane esterno e separato
rispetto ad esso. Nel qualcosa in quanto finito il non essere è interno e
compiutamente integrato nel qualcosa stesso, è la sua costitutiva natura.
Quindi, la contraddittorietà non è più la struttura della relazione (il limite) tra il
qualcosa e il suo altro. Ora la contraddittorietà è interna al qualcosa stesso. Il
qualcosa stesso, in quanto finito, è in se stesso contraddittorio, è appunto auto-
contraddittorio.
Lo sviluppo dell’auto-contraddittorietà del limite nell’auto-
contraddittorietà del finito dipende quindi dalla compiuta integrazione
dell’alterità nel qualcosa, per cui essa non lascia più alcun residuo esterno al
qualcosa stesso, è compiutamente ripiegata all’interno del qualcosa. Il rapporto
ad altro del qualcosa, la sua negazione nell’altro, diviene un rapporto a sé.
Questa negatività rappresenta lo stesso determinarsi del qualcosa nella
relazione negativa a sé, è il riferirsi del qualcosa a se stesso come negativo: il
qualcosa nell’essere se stesso nega se stesso; ma, allo stesso tempo, nel negare
se stesso, realizza la propria intrinseca natura.
A questo punto, esaminate le diverse forme di rapporto tra la
determinatezza e l’alterità, si tratta di andare ad esaminare più in dettaglio il
modo in cui questa negatività che assume progressivamente, all’interno della
sezione dedicata all’essere determinato, una struttura dell’auto-referenziale,
porta a esplicitazione dell’articolazione auto-contraddittoria della
determinatezza, in particolare nella determinazione del finito.
BORDIGNON, Michela. La contraddizione dell’essere determinato
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2. Lo sviluppo dialettico dell’auto-contraddittorietà della
determinatezza
All’interno del processo dialettico dell’essere determinato, ogni
determinazione si articola secondo i caratteri generali della Übergangsdialektik.
Ogni determinazione si individua nel delimitarsi rispetto a un determinato tipo
di alterità, e nel tenersi lontano da quest’alterità si pretende essere in una
qualche misura indipendente e auto-sussistente rispetto ad essa. Allo stesso
tempo, la negazione del rapporto con tale alterità è già di per se stessa un
qualche tipo di rapporto con essa. Abbiamo quindi una negazione della
relazione ad altro che è già di per sé una relazione con l’altro, e che in quanto
negazione di questo tipo di relazione nega anche se stessa. Le determinazioni
dell’essere determinato, articolandosi sulla base di questo auto-riferimento della
propria intrinseca negatività, si articolano in modo auto-contraddittorio, e
risultano caratterizzate in due modi che si escludono reciprocamente, e cioè
sono una negazione del rapporto ad altro che esse stesse implicano, e quindi
una negazione di se stesse.
L’auto-contraddittorietà delle determinazioni in questione soggiace allo
sviluppo dell’essere determinato, ma non si trova compiutamente esplicitata fin
dal primo momento della sezione. L’auto-contraddittorietà rimane, all’inizio, in
un certo senso implicita nella tensione delle determinazioni opposte, che però
non sono ancora in se stesse propriamente auto-contraddittorie. Quest’auto-
contraddittorietà, però, si fa a mano a mano più esplicita nella misura in cui
l’altro cui le determinazioni fanno riferimento si mostra come interno alle
determinazioni stesse. Nella progressiva interiorizzazione dell’alterità, il
qualcosa stesso, nel suo escludere da sé il proprio altro, si mostra come
l’esclusione di se stesso. La negatività sulla base della quale il qualcosa si
determina, perciò, si basa su una progressiva interiorizzazione dell’alterità.
Questa dà origine a quell’auto-referenzialità della negazione che è la dinamica
chiave che porta allo sviluppo di strutture logiche auto-contraddittorie.
Nell’anticipare i momenti principali dello sviluppo dell’essere
determinato, Hegel sottolinea proprio questo carattere della negatività
BORDIGNON, Michela. La contraddizione dell’essere determinato
Revista Opinião Filosófica, Porto Alegre, v. 04 ; nº. 02, 2013 139
immanente a questo sviluppo, ovvero il suo progressivo articolarsi come una
negatività riferita a se stessa:
per mezzo della sua qualità qualcosa è contro un altro, è
mutevole e finito, e determinato non solo contro un altro,
ma addirittura negativamente in se stesso47.
Qui Hegel anticipa i vari passaggi della sezione, ossia l’essere determinato in
generale, il qualcosa nella sua relazione oppositiva al suo altro, lo sviluppo di
questa relazione costitutiva del qualcosa, per cui esso viene a determinarsi
come finito.
In quest’ultimo passaggio il qualcosa si definisce negativamente non solo
di contro all’altro da sé, ma anche di contro a se stesso, proprio perché, come
si è visto, ha il proprio altro in se stesso. Questa negazione ripiegata in se stessa
e negante se stessa dispiega la struttura del finito e porta alla luce la struttura
essenzialmente auto-contraddittoria che contraddistingue il modo di darsi della
determinatezza.
2.1. Essere determinato
Nell’essere determinato ogni determinazione si costituisce nel
distinguersi dalla determinazione opposta. Questo distinguersi è la negatività
che caratterizza lo sviluppo della determinatezza.
Nell’essere determinato come tale questa negatività è ancora
massimamente astratta. Da una parte il Dasein è la semplice e astratta negazione
del proprio non essere, e dall’altra il non essere è la semplice e astratta
negazione dell’essere determinato. Ognuno è semplicemente la negazione della
determinazione opposta nella misura in cui si costituisce come l’astratto non
essere di questa stessa determinazione.
Questa stessa negatività è, allo stesso tempo, il processo tramite cui
ognuna delle due determinazioni realizza se stessa, la propria identità. Il punto
critico di questo processo consiste nel fatto che ognuna delle due
determinazioni non è altro che l’astratto non essere della determinazione
opposta, e quindi né l’essere determinato né il non essere è in grado di
47 WdL I, p. 96 (p. 102).
BORDIGNON, Michela. La contraddizione dell’essere determinato
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costituire una sua concreta identità contrapposta alla determinazione opposta.
Entrambe finiscono semplicemente per determinarsi come la determinazione
opposta. Il Dasein in quanto non essere del proprio non essere è esso stesso un
non essere. Altrettanto il non essere è esso stesso un essere determinato.
Ognuna delle due determinazioni è quindi tanto se stessa quanto la
determinazione opposta48. Ogni determinazione nell’essere se stessa passa
immediatamente nella determinazione opposta.
Tanto l’essere determinato quanto il non essere sembrano costituirsi
quindi sulla base di una struttura logica contraddittoria. Questa
contraddittorietà risulta sulla base della riflessione interna alle determinazioni
stesse. Questa riflessione è il loro costitutivo processo di auto-articolazione,
basato su quella negatività per cui ognuna si determina come il non essere
dell’altra. Ma l’essere determinato, nel determinarsi come non essere del
proprio non essere, è esso stesso il non essere che esclude da sé, e quindi nega
se stesso, cioè nega quella sua pretesa auto-sussistenza rispetto al non essere
sulla base della quale si costituisce in quanto essere determinato. L’essere
determinato è quindi se stesso e la propria negazione, è un essere determinato
ma allo stesso tempo è un non essere in relazione al proprio non essere, e
quindi trapassa immediatamente nella determinazione opposta. Allo stesso
modo il non essere non è il nulla, ma un non essere determinato. È esso stesso
un Dasein, ma determinandosi come non essere del Dasein nega qualcosa che
esso stesso è, passando quindi immediatamente nella determinazione opposta.
Entrambe le determinazioni si costruiscono sulla base di un’auto-
negazione, per cui la loro identità finisce per determinarsi come la loro stessa
negazione, e la loro auto-negazione è il loro passare nella determinazione
opposta, che le porta ad articolarsi nella loro concreta verità, cioè nell’unità con
la determinazione opposta.
Va però specificato che la struttura logica delle determinazioni in
questione è ancora solo implicitamente contraddittoria. Infatti, nel passaggio
dell’una nell’altra tramite la loro auto-negazione ognuna permane ancora
qualcosa di esterno rispetto all’altra. La loro stessa unità si può definire un’unità
48 «Per quanto l’esser determinato è, per altrettanto è desso un non essere» (WdL I, p. 98 (p. 105)).
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solo esterna, non è ancora una vera e propria identità. La loro riflessione in sé,
la realizzazione della loro identità, implica il loro distinguersi dalla
determinazione opposta. Quindi la loro relazione a sé implica una loro
relazione all’altro da sé. Questa relazione ad altro, però, è una negazione della
loro costitutiva auto-sussistenza e in questa negazione, nel passaggio
immediato nella determinazione opposta, ognuna perde se stessa. La relazione
ad altro non è ricompresa all’interno della riflessione in sé della
determinazione, all’interno del modo in cui essa costituisce la propria
determinatezza. In questo passaggio immediato nel proprio opposto, ogni
determinazione semplicemente perde se stessa, per cui ognuna delle due
determinazioni rimane sempre esterna all’altra. Le determinazioni in questione
non riescono ancora effettivamente a determinarsi in questo rapporto con
l’altro da sé. Quest’auto-negazione e questo passaggio nella determinazione
opposta, l’essere di ogni determinazione sia se stessa sia la determinazione
opposta, indica, a questo livello, l’indeterminatezza di un processo di
determinazione basato su un tipo di negatività ancora astratta, che porta al
confondersi di una determinazione con l’altra. Dall’altra parte però viene anche
messo in luce come ogni determinatezza non abbia al di là di sé un semplice
non essere, ma un altro che diviene un momento costitutivo nel suo processo
di articolazione. Il fatto che l’essere determinato sia il non essere che esso
stesso nega significa semplicemente che il Dasein si costituisce come negazione
della negazione, ossia come esclusione da sé del proprio altro. Allo stesso
modo, il fatto che il non essere determinato si articoli esso stesso come un
essere determinato, pur essendo il non essere dell’essere determinato, significa
che esso ha una determinatezza specifica che si costituisce sulla base
dell’esclusione da sé del suo altro.
Quindi, per quanto riguarda la struttura logica del Dasein, quella che si è
inizialmente definita una contraddizione è in realtà ancora solo una tensione tra
le due determinazioni opposte per cui ognuna si determina nel respingere da sé
il proprio altro. Questa tensione risulta fondamentale nel processo di
determinazione del Dasein, perché implica il superamento del Dasein stesso per
come esso si determina nella sua immediatezza, ovvero nella sua pretesa auto-
sussistenza rispetto al proprio non essere, come semplice negazione astratta di
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questo non essere. Questa tensione mostra che il non essere del Dasein non è
semplicemente il suo non essere, ma un momento determinante nel processo
di mediazione del Dasein stesso. Il Dasein articola concretamente la propria
determinatezza solo nella misura in cui si definisce in relazione al proprio non
essere, al proprio altro. In questo modo il Dasein trova nella determinazione
opposta non un semplice non essere che gli sta di contro e rispetto al quale
non instaura alcun tipo di relazione determinante, ma trova piuttosto il suo
altro, un opposto rispetto al quale si distingue, e nel distinguersi dal quale torna
propriamente nella propria identità con sé.
La tensione tra le determinazioni opposte mette quindi in campo
un’ulteriore determinazione del Dasein, in cui viene in evidenza il valore
determinante della negatività. In questo senso, l’essere determinato diviene una
«determinatezza distinta, riflessa», perché torna nella propria identità con sé
solo nel distinguersi dal proprio altro.
Allo stesso tempo, «il nulla» non è più immediatamente il semplice non
essere dell’essere determinato, ma «negazione». La negatività comincia a
perdere l’iniziale, immediata caratterizzazione astratta e statica per divenire
processo di negazione, cioè quel processo costitutivo e determinante che è il
riflettersi negativo del determinato in se stesso tramite la mediazione del
proprio altro: «la realtà è qualità, esserci. Contien quindi il momento del
negativo, e solo per questo è quel determinato, ch’essa è»49.
Emerge qui il valore costitutivo della negatività, concretamente intesa,
rispetto alla determinatezza. Solo a partire da questa negatività in cui l’essere
determinato è il processo di distinzione dal proprio non essere, esso può
tornare riflessivamente in sé nella propria specifica determinatezza. L’essere
determinato che torna nella propria identità con sé tramite il processo di
differenziazione dal suo altro è il qualcosa. In questo senso il qualcosa ‘torna in
sé’, è un «essere dentro sé (Insichseyn)»50.
49 WdL I, pp. 99-100 (p. 107). 50 WdL I, p. 103 (p. 110). «Consequently, it is one in which determinate being differs from, and relates to, nothing but itself. Recognizing this marks an important turning point in the unfolding of determinate being: for it now becomes apparent that determinate being is in truth inwardly differentiated, self-relating determinacy» (S. Houlgate, The Opening of Hegel’s Logic, cit., p. 314).
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2.2. Il qualcosa e il suo altro
La determinatezza di qualcosa è tale per cui esso è appunto questo
qualcosa e non il suo altro. Questa costitutiva relazione ad altro è il tipo di
negatività sulla base della quale il qualcosa può darsi nella sua specifica
determinatezza.
La negatività interna al qualcosa è il risultato della dialettica dell’essere
determinato come «essere dentro sé», come quell’essere che realizza la propria
identità con sé nel processo di auto-distinzione dal suo non essere. In quanto si
distingue (è negazione) dal proprio altro (della propria negazione), il qualcosa
risulta essere «la prima negazione della negazione (die erste Negation der
Negation)»51. Il qualcosa quindi si costituisce sulla base di una negatività che si
mostra essere in relazione a se stessa: «qualcosa è, è essente, in quanto è la
negazione della negazione, poiché questa è il ristabilirsi del semplice
riferimento a sé»52.
Con il qualcosa si entra nel campo della finità (die Endlichkeit), in cui
vengono sviluppate diverse declinazioni della negatività concreta, della
negazione della negazione. L’articolazione più immediata di questa negazione
riflessa in sé, di questa auto-negazione, si dà appunto nella determinazione del
qualcosa53.
Questa negatività non è altro che il modo in cui il qualcosa viene a
determinarsi nel rapporto di distinzione rispetto all’altro da sé. Essa è «la
mediazione con sé […] posta nel qualcosa, in quanto questo è determinato
quale un semplice identico»54. Questa identità con sé del qualcosa nel rapporto
di distinzione dal proprio altro è la riflessione interna al qualcosa, la sua
intrinseca dialettica. Infatti questa relazione del qualcosa al suo altro risulta
essere costitutiva rispetto al qualcosa, è una relazione necessaria, una relazione
51 WdL I, p. 103 (p, 110). 52 WdL I, p. 103 (p. 111). 53 «Determinate being […] has acquired a new dimension that is not characteristic of mere determinacy as such, namely, self-relation. Determinacy as such consists in being stable or real and in being differentiated or negative. It consists in being what it is and in not being what it is not. Something retains these characteristics but is not reducible to them. It is real being, but real being that is self-relating. It is also negation, but again negation that is self-relating. Self-relating negation, however, is necessarily «self-negating» negation because it is negation that is not mere negation after all» (S. Houlgate, The Opening of Hegel’s Logic, p. 317). 54 WdL I, pp. 103-104 (p. 111).
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che il qualcosa deve necessariamente porre per costituirsi come tale. Quindi
questa relazione del qualcosa al suo altro è anche una relazione del qualcosa a
sé.
Il processo di auto-differenziazione del qualcosa dal proprio altro, il suo
costituirsi sulla base di una negazione della negazione, e cioè di una negatività
riferita a se stessa, sembra dare luogo ad una struttura logica contraddittoria.
La contraddittorietà in questione non ha tanto a che fare con il fatto che
sia il qualcosa sia l’altro sono allo stesso tempo se stessi e la determinazione
opposta, fatto che dipende da una riflessione che, come viene sottolineato da
Hegel, è estrinseca, e quindi non ha a che fare propriamente con le
determinazioni stesse. Questa contraddittorietà è piuttosto un sintomo della
contraddittorietà radicata nel modo in cui la negatività costitutiva del qualcosa
è, in una certa misura, riferita a se stessa.
In particolare, la negatività costitutiva del qualcosa è tale per cui il
qualcosa si distingue dal proprio altro, lo esclude da sé, si dà come
indipendente e indifferente rispetto al proprio altro55. Ma questo rapporto di
indifferenza è proprio quello stesso che permette al qualcosa di costituirsi
come tale56. Quello che è un rapporto di indifferenza del qualcosa al proprio
altro, in base al quale sembra che questo altro possa darsi o meno senza
conseguenze per la sussistenza del qualcosa, è in realtà necessario al qualcosa
stesso. Quindi la sussistenza o meno dell’altro rispetto al qualcosa è
indifferente per il qualcosa. Ma questa stessa sussistenza, proprio nella sua
indifferenza, è allo stesso tempo necessaria affinché il qualcosa si costituisca
nella sua specifica determinatezza. È infatti proprio questa indifferenza, questa
esteriorità della relazione al proprio altro, che definisce il qualcosa come tale. Il
qualcosa non si determina solo tramite l’esclusione della determinazione
opposta, ma nell’esclusione della relazione all’altro da sé (l’indifferenza).
Tuttavia, questa stessa esclusione rimane pur sempre una relazione del qualcosa
55 «L’esser altro sembra quindi una determinazione esterna all’esserci così determinato; sembra cioè che l’altro stia fuori dell’un esserci» (WdL I, p. 105 (p. 113)). 56 «Negation is a constitutive moment that falls within something, but the otherness that something necessarily brings with it must form an interior sphere of its own that stands apart from something. The paradox that Hegel uncovers in something is that something’s own logical structure requires that it must also take the form of, and so be accompanied by, that which is other than itself» (S. Houlgate, The Opening of Hegel’s Logic, cit., p. 323).
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rispetto all’altro, e più in particolare una relazione che risulta essere intrinseca e
costitutiva rispetto al modo d’esser del qualcosa. Essa è una sorta di relazione
che esclude e implica se stessa allo stesso tempo. Il qualcosa patisce la
contraddittorietà di questa relazione costitutiva rispetto alla sua determinatezza.
Questa contraddittorietà è legata al fatto che il qualcosa non si costituisce
come semplice negazione dell’altro da sé. La negatività del qualcosa è una
negatività ‘riflessa in sé’. Quest’esclusione indifferente dell’altro è una relazione
tramite cui il qualcosa definisce se stesso. In questo senso si mostra essere
un’indifferenza che non è indifferente, perché è anzi essenziale nel processo di
auto-determinazione del qualcosa.
L’auto-riferimento nella negazione nel qualcosa si declina quindi come
un’indifferenza che nega se stessa come indifferenza. Questa indifferenza non
indifferente. Questa auto-negazione, non origina ancora però una struttura
propriamente contraddittoria, nella misura in cui il qualcosa non ha ancora
effettivamente in sé quell’altro che allo stesso tempo viene escluso da sé. Il
qualcosa non è ancora effettivamente questo altro da sé che allo stesso tempo è
distinto da esso. Il qualcosa non è ancora la compiuta identità dell’identità e
della non identità con la determinazione opposta, perché la determinazione
opposta è semplicemente in esso come relazione ad altro nella sua indifferenza
e nel toglimento di questa stessa indifferenza. L’altro come tale permane
esternamente al qualcosa57. Ciò che viene superato nel processo dialettico del
qualcosa è l’immediatezza della semplice relazione tra il qualcosa e il suo altro,
l’astratta indifferenza tra le determinazioni opposte. Essa si mostra piuttosto
come un’indifferenza non indifferente, ossia come un’indifferenza che toglie se
stessa.
La tensione interna all’indifferenza non indifferente nella relazione del
qualcosa al suo altro porta alla luce la verità del qualcosa. Il qualcosa non può
sussistere nella sua indifferenza rispetto al suo altro. Come l’indifferenza non
indifferente toglie se stessa, così anche il qualcosa che si costituisce sulla base
57 «Dann ist es das Etwas und jenes erste Daseinende ein Anderes. Das reine Denken hat logischen Raum, ohne dies Wahrzuhaben, geteilt und sich selbst dabei verzweigt. Der stets drohende Widerspruch ist vermieden, weil noch kein Zweig von anderen weiß» (A.F. Koch, Dasein und Fürsichsein (Hegels Logik der Qualität), in A.F. Koch - F. Schick (hrsg.), G.W.F. Hegel. Wissenschaft der Logik, Akademie Verlag, Berlin 2002, p. 35).
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di questa indifferenza si toglie e diviene altro da sé. Il qualcosa si sviluppa
nell’altro come tale.
2.3. L’altro come tale
L’altro come tale, allo stesso modo delle determinazioni precedenti, si
costituisce sulla base di una tensione interna, realizzandosi nel processo di
mutamento nel proprio altro, e quindi nella propria negazione:
Ora quello, che si mutava, non è già determinato in una
guisa diversa, ma nella stessa, cioè come altro. Nel suo
andare nell’altro non va perciò che con se stesso. Esso è
posto così come un che di riflesso in sé insieme col togliersi
dell’esser altro, come un qualcosa di identico con sé, da cui
perciò l’esser altro, che è in pari tempo un suo momento, è
un che di diverso, che non gli compete in quanto
qualcosa58.
La negatività, nell’altro come tale, consiste nel suo diventare altro da sé, nel suo
mutare in questo altro. La sua è una vera e propria auto-negazione. In questa
auto-negazione, però, l’altro come tale realizza se stesso, la propria concreta
identità. L’altro, in questo modo, è allo stesso tempo diverso e identico con sé:
«Il qualcosa si conserva nel suo non essere; è essenzialmente uno con questo
non essere, è essenzialmente non uno con esso»59.
L’altro come tale è quindi identico con sé nel passaggio nel proprio altro,
e perciò sembra costituirsi sulla base di una struttura esplicitamente
contraddittoria. In realtà la struttura in questione non è ancora propriamente
contraddittoria, perché l’altro in cui si compie il mutamento non è ancora
integrato all’interno della determinatezza. L’altro come tale muta in un altro
che non ha in sé, ma che sta oltre se stesso, e che allo stesso modo è un altro
che si realizza come tale nel passaggio in un nuovo altro, e così via all’infinito.
Il farsi altro dell’altro come tale, tramite cui esso realizza se stesso
58 WdL I, p. 106 (p. 114). 59 WdL I, p. 106 (p. 114). Si ha il riemergere del divenire come cambiamento, come divenire del qualcosa. Il cambiamento riflette i tratti della contraddittorietà del divenire. Tra l’altro in sé e l’altro in cui esso diviene si instaura un rapporto che è insieme allo stesso tempo e sotto il medesimo rispetto di identità e di differenza: «in changing the other not only becomes other than itself but «others» or negates itself into something self-identical» (S. Houlgate, The Opening of Hegel’s Logic, cit., p. 332).
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conservandosi come altro, non è un processo conchiuso, non è mai una
dinamica compiuta. Il farsi altro dell’altro è perpetuo. Nella sua alterità, l’altro
come tale sussiste nel suo perenne diventare l’altro da sé.
La relazione ad altro dell’altro come tale, il passaggio immediato nel
proprio altro, non è mai compiutamente una relazione a sé. Nella propria
negazione e nel proprio mutamento in un altro, l’altro tende a realizzare
un’identità che non è mai raggiunta in modo definitivo, perché viene
comunque rimandato in un nuovo altro. L’altro come tale non può
comprendere in sé l’auto-riferimento della negazione, non è mai
compiutamente la propria negazione, perché il suo negare se stesso lo porta a
passare in un altro che esso non contiene in sé, ma che sta sempre oltre se
stesso. In questo modo la negatività dell’altro come tale non porta mai questa
determinazione ad una compiuta realizzazione del suo processo di riflessione in
sé, nella propria identità con sé. Questa negatività lo conduce piuttosto ad un
processo di riflessione in un altro, in cui passa nel proprio stesso processo di
alterazione (Veränderung).
La verità del processo di alterazione e della tensione interna che lo
caratterizza consiste quindi nel fatto che la riflessione in sé del qualcosa è
sempre una riflessione in altro, o, detto più semplicemente, lo sviluppo
dell’identità specifica del qualcosa implica sempre e comunque la relazione ad
altro del qualcosa stesso. Il qualcosa costituisce la propria determinatezza solo
nella relazione ad altro. In questo senso, Hegel afferma che il qualcosa, nel suo
perenne diventare un altro da sé, è un ‘essere per altro’. Allo stesso tempo, il
qualcosa mantiene se stesso, si conserva, nel rapporto di alterazione in cui
entra costitutivamente in relazione con il suo altro. Il qualcosa è cioè un ‘essere
in sé’.
2.4. ‘Essere per altro’ ed ‘essere in sé’
‘Essere in sé’ (Ansichsein) e ‘essere per altro’ (Sein-für-Anderes) sono due
momenti interni al processo di determinazione del qualcosa. Essi rispecchiano
le due dinamiche costitutive del processo di determinazione del qualcosa.
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La negatività costitutiva dell’‘essere per altro’ è tale per cui il qualcosa si
costituisce solo nel necessario rapporto al proprio altro, come distinzione
rispetto al proprio altro. Allo stesso tempo, attraverso questo rapporto di
distinzione, attraverso questa negatività, il qualcosa realizza la propria identità,
è ciò che è, è un ‘essere in sé’.
‘Essere per altro’ ed ‘essere in sé’, quindi, non sussistono come due
dinamiche indipendenti, ma risultano essere due momenti del medesimo
movimento dialettico. La negatività del qualcosa, a questo livello dello sviluppo
dialettico, non consiste nel semplice rapporto con l’astratto non essere, né con
un altro da cui il qualcosa si pretende indipendente. Nell’‘essere per altro’ il
rapporto di distinzione dall’altro da sé viene ricompreso come componente
costitutiva del qualcosa come tale, del qualcosa come ‘essere in sé’. Quindi la
prima negazione, la relazione ad altro, è una seconda negazione, è una
distinzione tramite cui il qualcosa è in relazione a se stesso, realizza la propria
concreta natura60. Anche in questo caso la negatività del qualcosa si trova ad
essere in riferimento a se stessa, e proprio quest’auto-riferimento fonda l’unità
delle determinazioni opposte, ciò che porta ‘essere in sé’ ed ‘essere per altro’ ad
essere lati speculari di quell’unico movimento, momenti opposti di un’unica
determinazione:
Ambedue i momenti son determinazioni di uno stesso. […]
che qualcosa abbia anche in lui quel medesimo ch’esso è in
sé e, viceversa, che sia anche in sé ciò ch’è come esser per
altro, – questa è l’identità dell’essere in sé e dell’esser per
altro, secondo la determinazione che il qualcosa è appunto
la medesimezza dei due momenti, cosicché questi vi stanno
inseparati61.
In altri termini, l’auto-riferimento della negazione porta il qualcosa a costituirsi
esplicitamente come l’identità dell’‘essere in sé’ e dell’‘esser per altro’, come la
‘medesimezza dei due momenti’. Quindi, se nell’altro come tale quest’identità
non era ancora compiuta, in quanto la relazione ad altro non era mai del tutto
ricompresa nell’identità del qualcosa, che veniva sempre rimandato in un
60 «L’in sé, in cui il qualcosa è riflesso in sé dal suo esser per altro, non è più astratto In sé, ma come negazione del suo esser per altro è mediato da questo, il quale è così suo momento» (WdL I, p. 110 (p. 119)). 61 WdL I, p. 108 (p. 116).
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ulteriore altro (l’altro realizza se stesso in un processo di alterazione in cui allo
stesso tempo perde sempre se stesso), qui invece la negatività si trova
compiutamente ripiegata all’interno del qualcosa, perché solo nel negativo
rapporto ad altro il qualcosa è compiutamente nell’identità con sé, è appunto
un ‘essere in sé’62. In altri termini, l’elemento discriminante tra ‘l’altro come
tale’ e ‘il qualcosa’ come sintesi dell’‘essere in sé’ e dell’‘essere per altro’,
consiste nel fatto che nel primo caso il qualcosa si trova necessariamente
spezzato nei diversi momenti del processo di alterazione, in cui ogni momento,
pur rimandando all’altro, rimane esterno rispetto all’altro; nel secondo caso
invece abbiamo un qualcosa che è in sé l’unità dei momenti opposti –
dell’‘essere in sé’ e dell’‘essere per altro’ – nella misura in cui il processo tramite
cui il qualcosa viene ad essere identico con sé, in cui è ‘essere in sé’, è il
processo di auto-negazione in cui il qualcosa si determina solo nel rapporto
con l’altro da sé, è ‘essere per altro’.
L’unità dell’‘essere in sé’ e dell’‘essere per altro’ interna al qualcosa non è
quindi la semplice unità immediata del qualcosa63, né l’unità esterna del
qualcosa con il suo altro, e nemmeno l’unità in cui l’altro come tale muta nel
proprio altro non trovando mai in questo compiutamente se stesso. L’unità
intrinseca dei momenti opposti è invece tale per cui ognuno ha
necessariamente in sé e per sé il proprio altro. Proprio quest’unità intrinseca dà
luogo ad un’ulteriore radicalizzazione della tensione tra i momenti opposti che
già contraddistingueva il rapporto del qualcosa con il suo altro e dell’altro come
tale.
62 «L’essere per altro sta nel qualcosa, perché l’in sé è il togliersi di esso, è in sé da esso; ma però anche perché è astratto, e quindi essenzialmente affetto da una negazione, da un esser per altro. Quello che si ha qui […] è una determinatezza che è in sé, e lo sviluppo consiste nel porla come questa determinatezza in sé riflessa» (WdL I, p. 110 (p. 120)). Houlgate sottolinea come il qualcosa venga a determinarsi qui intrinsecamente come questa negatività riflessa in sé, per cui ‘essere in sé’ ed ‘essere per altro’ non rappresentano due determinazioni indipendenti, ma due momenti opposti interni al modo stesso in cui il qualcosa si costituisce: «This is because in each case we are dealing with one and the same something. We noted above that there are not two wholly separate spheres of being: being-in-itself and being-for-other. These qualities of being are merely moments or aspects of one self-relating, self-identical something. This means that it is the same something that is what it is in itself and that stands in relation to other somethings. This in turn means that something must be what it is in itself in its relations to others and must stand in relation to others as what it is in itself» (S. Houlgate, The Opening of Hegel’s Logic, cit., p. 337). 63 «Non è soltanto l’identità immediata del qualcosa con sé, ma quell’identità per la quale il qualcosa è anche in lui quello ch’esso è in sé» (WdL I, pp. 110 (pp. 119-120)).
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L’unità dei momenti opposti genera quindi una tensione interna al
qualcosa, che è quella stessa tensione che guida il processo di auto-
determinazione del qualcosa stesso: ogni cosa muta, cambia, si sviluppa e
realizza se stessa solo nel rapporto con l’altro. Allo stesso tempo, però, questa
tensione non fa ancora sì che il qualcosa si articoli sulla base di una struttura
propriamente auto-contraddittoria. Questo perché l’altro in relazione al quale il
qualcosa si costituisce come tale è presente nel qualcosa ancora solo come
relazione ad altro. L’altro come tale rimane ancora in una certa misura esterno
al qualcosa. L’altro non è certo più assolutamente esterno al qualcosa, né
semplicemente indifferente, né un l’al di là del qualcosa in cui il qualcosa cerca
di realizzarsi. L’altro del qualcosa entra costitutivamente in relazione con esso.
Ciononostante l’altro rimane ancora contrapposto al qualcosa. Il qualcosa non
si è ancora mostrato come avente in se stesso il proprio non essere. Il qualcosa
non si è sviluppato ancora come l’identità dell’identità (del qualcosa con sé) e
della differenza (del qualcosa con il proprio altro). Il qualcosa è ancora separato
dal suo altro e anzi si determina ancora proprio nel rapporto di distinzione
rispetto al suo altro.
2.5. Destinazione e costituzione
Il valore costitutivo del rapporto di distinzione rispetto all’altro da sé del
qualcosa si declina in due aspetti, ‘destinazione’ (Bestimmung) e ‘costituzione’
(Beschaffenheit). La destinazione è il modo in cui qualcosa si determina
intrinsecamente per ciò che è, la sua Bestimmung, appunto. La costituzione è
quella componente del rapporto ad altro del qualcosa che determina il modo
d’essere del qualcosa, ma che non dipende dal qualcosa stesso, e che va a
influire in modo accidentale sulla superficie del qualcosa, senza intaccarne
l’intrinseca determinatezza.
Si è visto, però, come queste due determinazioni opposte non siano
affatto distinte, ma al contrario dipendano l’una dall’altra: la destinazione si
realizza sulla base degli influssi esterni che implicano il mutamento della cosa
stessa; la costituzione, e cioè il modo in cui questi influssi esterni entrano in
BORDIGNON, Michela. La contraddizione dell’essere determinato
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relazione con la cosa in questione e ne determinano il cambiamento, dipende
dalla natura interna alla cosa stessa.
Ne risulta quindi l’unità delle determinazioni opposte. La strutturazione
di quest’unità, ancora una volta, si basa su una sorta di auto-riferimento della
negatività. La negatività consiste nell’essere determinato del qualcosa dal
proprio altro, nel suo patire gli influssi esterni – prima negazione (costituzione).
Allo stesso tempo, questa negazione nega se stessa – è una seconda negazione
– in quanto la determinazione negativa da parte dell’altro del qualcosa è
fondata sulla natura del qualcosa stesso (destinazione), e anzi, proprio in questa
determinazione, il qualcosa realizza concretamente questa stessa natura.
In questo modo il qualcosa ha in sé il proprio altro, nella misura in cui
non solo è determinato da esso, ma interagisce attivamente in questo processo
di determinazione, il cui sviluppo dipende dallo specifico modo d’essere del
qualcosa stesso. Quindi il valore determinante della negazione si mostra non
solo come valore determinante dell’altro sul qualcosa, ma come «la qualità del
qualcosa» stesso. La negatività determina il qualcosa non solo nella misura in
cui l’altro è diverso dal qualcosa, ma sulla base del fatto che il qualcosa stesso è
questa stessa negatività che è la sua qualità, è questo stesso distinguersi dal suo
altro, il qualcosa è ciò che è «in quanto è questo togliere il suo altro»64.
Questa dinamica in cui nel qualcosa viene a togliere la sua negazione non
è altro che il positivo sviluppo della determinatezza del qualcosa stesso, della
sua qualità. Ma questo togliere la negazione altro non è che l’auto-riferimento
della negatività interna al qualcosa stesso, un auto-riferimento in cui il qualcosa
viene compiutamente a realizzare se stesso, la propria Bestimmmung, la propria
riflessione in sé65. La negatività interna al qualcosa e la sua riflessione, il modo
in cui articola la propria concreta natura, si trovano qui compiutamente
integrate, e danno origine a quella struttura contraddittoria che verrà
compiutamente esplicitata nel limite, in cui il qualcosa è, ma allo stesso tempo
non è, il proprio altro.
64 WdL I, p. 113 (p. 124). 65 «Ecco, ciascuno si riferisce a sé, va dentro di sé, alla propria destinazione, mediante la negazione dell’esser tolto o di ciò che lo nega; quindi l’altro è essenzialmente dentro di lui, come negazione della negazione. I qualcosa non sono più indifferenti tra loro, ma l’uno costituisce l’altro» (M. Cingoli, La qualità nella Scienza della Logica di Hegel, cit., p. 183).
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In effetti, la costitutiva relazione del qualcosa al proprio altro non
consiste più nel semplice essere distinto da esso, nell’‘essere tolto’ del suo altro.
Il qualcosa è ora attivamente il ‘togliere di questo altro’. Il togliere la propria
negazione in sé presuppone la sussistenza di questa stessa negazione, del
proprio altro, all’interno del qualcosa stesso. Se l’altro non sussistesse in
qualche modo nel qualcosa, il qualcosa stesso non potrebbe essere il togliere di
questo altro. Allo stesso tempo, l’altro si mostra nella sua sostanziale
distinzione da esso, proprio in quanto viene tolto dal qualcosa all’interno del
processo in cui il qualcosa si conserva e si realizza come tale66.
Il sussistere dell’altro all’interno del qualcosa ma altrettanto il suo essere
esterno e distinto rispetto ad esso non è altro che l’anticipazione della
contraddizione che segna esplicitamente la struttura logica del limite:
Questo altro, l’esser dentro di sé del qualcosa come
negazione della negazione è il suo essere in sé, e nello
stesso tempo questo togliere è come semplice negazione in
lui, cioè come sua negazione dell’altro qualcosa a lui
esterno. È quest’unica determinatezza loro, che è insieme
identica coll’esser dentro di sé dei qualcosa, come
negazione della negazione, ed anche, in quanto queste
negazioni stan l’una contro l’altra come altri qualcosa,
stringe questi assieme da loro stessi, e parimenti, ciascuno
di essi negando l’altro, li separa l’uno dall’altro – il limite67.
Il qualcosa e l’altro, nello stare insieme di destinazione e costituzione, si
mostrano nella loro unità ma allo stesso tempo nella loro separazione. In
questa struttura logica è dunque già implicitamente presente l’auto-
contraddittoria articolazione dell’identità dell’identità e della non-identità che
caratterizza la relazione tra il qualcosa e il suo altro all’interno della
determinazione del limite.
2.6. La contraddizione del limite
66 «[…] l’esser determinato è trapassato nell’esser altro, il qualcosa nell’altro, il qualcosa, non meno dell’altro, è un altro. In quanto ora l’esser dentro sé è il non essere dell’esser altro, che è contenuto in esso, ma insieme, in quanto essente, ne è anche distinto, il qualcosa stesso è la negazione, il cessare di un altro in lui; esso è posto come tale che si conduce negativamente verso di quello, e così appunto si conserva» (WdL I, p. 113 (p. 124)). 67 WdL I, p. 113 (p. 124).
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La contraddizione del limite, per cui in esso sia il qualcosa sia l’altro allo
stesso tempo è e non è, non è altro che il risultato del compiuto auto-riferimento
della negatività su cui si costituisce il modo d’essere dell’essere determinato:
La contraddizione si trova subito in questo, che il limite,
come negazione in sé riflessa del qualcosa, contiene in sé
idealmente i momenti del qualcosa e dell’altro68.
La contraddizione non è altro che la struttura logica articolata sulla base
dell’auto-referenzialità della negatività che si sviluppa nel corso del processo
dialettico sulla base del quale si articola l’essere determinato, e che trova una
sua prima compiuta esplicitazione nella determinazione del limite. Si tratta ora
di capire in che senso questa struttura logica sia contraddittoria, ovvero, in che
senso essa contenga in sé sia il qualcosa sia il suo altro, proprio sulla base
dell’auto-riferimento della negatività ad essa costitutiva:
Il qualcosa, dunque, è un immediato esserci riferentesi a se
stesso, ed ha un limite anzitutto come contro altro. Cotesto
limite è il non essere dell’altro […] il qualcosa limita in esso
il suo altro. – Ma l’altro è esso stesso in generale un
qualcosa. Dunque il limite, che il qualcosa ha contro l’altro,
è anche limite dell’altro come qualcosa, è il suo limite con
cui esso tien lungi da sé il primo qualcosa come suo altro,
ossia è il non essere di quel qualcosa. Così il limite non è
soltanto il non essere dell’altro, ma il non essere così
dell’uno come dell’altro qualcosa, epperò del qualcosa, in
generale69.
Il limite è il luogo in cui il qualcosa e il suo altro sussistono come separati l’uno
dall’altro. In questo senso il limite è il luogo in cui l’altro rispetto al qualcosa
non è, ma altrettanto il qualcosa rispetto al suo altro non è. Il limite può
definirsi come il luogo del non essere tanto del qualcosa quanto del suo altro,
cioè il luogo in cui entrambi cessano di essere, in cui non sono, in cui si dà la
loro negazione.
Allo stesso tempo, però, il limite è anche il luogo in cui il qualcosa
comincia ad essere, e anzi il luogo in base al quale il qualcosa definisce la
propria specifica determinatezza:
68 WdL I, p. 113 (p. 125). 69 WdL I, pp. 113-114 (p. 125).
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Ma esso è essenzialmente anche il non essere dell’altro, e
così qualcosa è, insieme, per via del suo limite. In quanto
qualcosa è limitante, è certo rabbassato ad essere esso
stesso limitato, ma, in quanto è un cessare dell’altro in lui, il
suo limite non è in pari tempo esso stesso altro che l’essere
del qualcosa. Il qualcosa è in grazia del limite ciò ch’esso è,
ossia, ha nel limite la sua qualità70.
Il limite, in quanto è il non essere del qualcosa rispetto all’altro e allo stesso
tempo il non essere dell’altro rispetto al qualcosa, è anche rispettivamente
l’essere dell’altro rispetto al qualcosa e del qualcosa rispetto ad altro. Ma sia il
qualcosa sia il suo altro sono dei qualcosa. Perciò, il limite può definirsi in
generale come il luogo dell’essere del qualcosa, il luogo in cui il qualcosa
comincia ad essere, in cui qualcosa è, in cui si dà la sua positiva determinazione
proprio tramite la negazione dell’altro.
Questo rapporto è l’esteriore manifestazione di ciò, che il
limite è negazione semplice, ossia è la prima negazione,
mentre l’altro è in pari tempo la negazione della negazione,
l’esser dentro di sé del qualcosa71.
Hegel non intende dire che l’essere del limite si riduce alla semplice negazione,
alla negazione astratta, altrimenti il limite di qualcosa sarebbe riducibile al
semplice non essere rispetto a questo qualcosa. Ma questo, come Hegel stesso
nota, non è ancora sufficiente per dire cos’è il limite. Il semplice non essere
rispetto al qualcosa infatti comprende in sé non solo il limite del qualcosa, ma
tutta la sfera dell’altro del qualcosa stesso. Determinare il limite del qualcosa
semplicemente come la sua astratta negazione significa quindi fornire una
definizione immediata del limite, una definizione che coglie una componente
fondamentale di questa determinazione logica – la negazione appunto – che
però è una condizione solo necessaria ma non ancora sufficiente ad
un’individuazione della concreta natura del limite stesso. Questa si trova
esplicitata solo se si mette in luce la negatività sottesa all’articolazione della
struttura del limite come negazione della negazione, come una negazione
riflessa in sé:
70 WdL I, p. 114 (p. 125). 71 WdL I, p. 114 (p. 125).
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il qualcosa è dunque, come immediato esserci, il limite
contro un altro qualcosa. Se non che il qualcosa ha il limite
in lui stesso ed è qualcosa per la mediazione di quello, che è
insieme anche il suo non essere. Il limite è la mediazione,
per cui qualcosa ed altro tanto è quanto non è (Etwas und
Anderes sowohl ist, als nicht ist)72.
Il limite, quindi, non è solo il non essere del qualcosa. Il qualcosa ha questo
limite, questo non essere, in sé, cioè il limite è anche parte dell’essere del
qualcosa, è anzi il luogo in cui il qualcosa si determina nella relazione rispetto
all’altro73. In questo senso, nel limite il qualcosa ‘tanto è quanto non è’. Il limite
è sì negazione, ma una negazione che nella sua funzione costitutiva e
determinante è ricompresa in sé dal qualcosa, che appunto è se stesso proprio
in questa negazione. Questa negazione che a livello immediato sembra essere
una semplice negazione, per cui il limite è il punto in cui qualcosa finisce nel
proprio altro, è in realtà una negazione della negazione, una negazione riflessa
in sé nel qualcosa, attraverso la quale si costituisce la determinatezza propria
del qualcosa nel suo rapporto all’altro.
Hegel muove da una caratterizzazione immediata e unilaterale del limite,
in cui la sua costitutiva negatività sussiste solo nella sua astrazione, come
semplice non essere del qualcosa:
In quanto ora il qualcosa nel suo limite è e non è, e questi
momenti sono una differenza immediata, qualitativa, il non
esserci e l’esserci del qualcosa cadono uno fuori dall’altro.
Qualcosa ha il suo esserci fuori […] il suo limite; parimenti
anche l’altro, essendo qualcosa, è fuori del limite. Il limite è
in mezzo fra i due, in cui essi cessano. Essi hanno l’esserci
72 WdL I, p. 114 (p. 126). Il limite «è il punto in cui tanto ciò che è determinato, quanto ciò che nella determinazione stessa viene negato, insieme ricevono il loro essere e cessano di essere» (L. Illetterati, Figure del limite, cit., p. 40). 73 Questo secondo aspetto del limite non è colto da quelle interpretazioni che mettono in luce il valore semplicemente negativo del limite. Ad esempio Nuzzo scrive: «Paradoxically, the strategy of gaining identity by drawing limits leads to a sort of eccentric identity – that is, an identity that is not placed in oneself but is somewhere else, namely, in the Difference, in the different Other defined precisely by the limit» (A. Nuzzo, Changing Identities, cit., p. 138). In primo luogo, la Nuzzo vede nel limite qualcosa di ‘disegnato’, qualcosa di posto non nel qualcosa ma nel suo altro. Ciò in base a cui il limite è posto non è quindi la dialettica interna al qualcosa, ma una riflessione esterna ad esso. È proprio sulla base di questa riflessione esterna, che il limite viene visto semplicemente come il non essere del qualcosa, e non come il suo principio di determinazione. Certo, il qualcosa ha la sua identità nel limite, ma questa identità, proprio in quanto sta nel limite, che è visto semplicemente come non essere del qualcosa, è un’identità che non sta nel qualcosa stesso ma nell’altro, ad esso esterno.
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al di là l’uno dell’altro e del loro limite. Il limite essendo il
non esserci di ciascuno, è l’altro di tutti e due74.
La negatività rappresenta l’essenza del limite75. Allo stesso tempo, questa
negatività, intesa come il semplice non essere del qualcosa, non dispiega quel
valore determinante che invece contraddistingue il concreto modo d’essere del
limite. Infatti, questo modo d’intendere la negatività costitutiva del limite
corrisponde a quello di una riflessione semplicemente esterna, in cui il limite è
altro sia dal qualcosa sia dal suo altro76. Il limite, inteso in questo modo
immediato, de-limita, individua negativamente entrambe le determinazioni
opposte, ma non definisce propriamente nessuna delle due. La negatività
costitutiva del limite, in questa sua caratterizzazione astratta semplicemente
negativa, priva di ogni carattere determinante, tiene separati il qualcosa e il suo
altro. Ogni determinazione rimane esterna all’altra e al suo limite e sussiste
quindi nella sua indeterminata diversità77.
La negatività in azione in questa caratterizzazione ancora astratta del
limite non ha e non può avere un valore determinante rispetto al qualcosa e al
suo altro, poiché essa è ancora solo quella prima negazione in cui il limite è
semplicemente il non essere del qualcosa, o ancor meglio l’esser negato del
qualcosa. Questa negatività dispiega quindi una sorta di configurazione statica
del limite, per cui esso si mostra solo nel suo tenere il qualcosa e il suo altro
fissamente separati nella loro contrapposizione. Va riconosciuto invece come la
74 WdL I, p. 114 (p. 126). 75 «The limit is the moment of radical negation in any something that marks it off completely from any other. Such negation is to be regarded as the limit because it is the point in this something at which another something stops» (S. Houlgate, The Opening of Hegel’s Logic, cit., p. 357). Illetterati sottolinea come la relazione tra la negazione e il limite viene messa a tema in termini simili a quelli hegeliani già con Kant. La negazione cui è legata la categoria del limite in Kant è caratterizzata da una valenza determinante: «in Kant la categoria della limitazione trova la sua corrispondenza nella tabella dei giudizi con la forma di giudizio che egli chiama “infinito”, o anche appunto “limitativo” (beschränkende), la caratteristica fondamentale di questa forma di giudizio è che esso implica sì una negazione (A è non-B), ma non una negazione pura e semplice quale è quella propria del giudizio negativo (A non è B), ma una negazione che è anche, a un tempo, una determinazione positiva, in quanto in essa si indica positivamente un ambito, il quale può anche essere infinito, in cui è possibile rintracciare il soggetto del giudizio» (L. Illetterati, Figure del limite, cit., p. 17). 76 Infatti Hegel specifica come sia «questo il lato per cui il limite cade anzitutto nella rappresentazione (Vorstellung)» (WdL I, p. 114 (p. 126)). In Hegel il pensiero per come si sviluppa all’interno del paradigma rappresentativo si colloca sempre all’interno di una prospettiva esterna alle cose rappresentate. 77 Come si vedrà nell’analisi delle determinazioni della riflessione, la diversità è proprio il modo in cui la differenza si declina all’interno della prospettiva della riflessione esterna.
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negatività su cui si fonda il limite non sia esterna al qualcosa, ma sia invece una
negatività attraverso cui il qualcosa si determina positivamente; essa è quindi
parte integrante e costitutiva di ciò che limita78. Questa negatività e il limite che
essa fonda è quindi una sorta di movimento che il qualcosa ricomprende in sé
nel proprio processo di determinazione. Essa è anzi la dinamica che fonda
questo processo di determinazione nel rapporto di distinzione del qualcosa
rispetto al proprio altro. In questo senso, nel limite il qualcosa non solo non è,
cioè cessa di essere se stesso, ma allo stesso tempo e sotto il medesimo rispetto
è se stesso.
Il limite è quindi certamente una negatività, ma una negatività
costitutivamente riflessa in sé: esso non è solo il luogo del delimitarsi del
qualcosa rispetto ad altro, ma anche il luogo in cui il qualcosa, proprio tramite
questa delimitazione, costituisce se stesso. In limite è principio di
determinazione del qualcosa. Nel limite il qualcosa è ciò che è. Il questo modo
il limite non è solo la prima negazione – il non essere del qualcosa – ma anche
la seconda negazione – il toglimento di questo non essere nel processo di
costituzione del qualcosa79. La negatività costitutiva del limite è perciò
esplicitamente auto-referenziale, e proprio sulla base di questa auto-
referenzialità si passa da una configurazione statica a una configurazione
dinamica del limite. Nel costituirsi come il luogo del toglimento (negazione) del
proprio altro (della negazione) da parte del qualcosa, il limite si determina come il
luogo in cui qualcosa allo stesso tempo e sotto il medesimo rispetto è se stesso
e la propria negazione. Il limite è quindi il luogo in cui il qualcosa passa nel
proprio altro:
Ma questo loro esserci, che dapprima era immediato, ora è
posto con la determinatezza qual limite, in cui ambedue son
quel che sono, diversi uno dall’altro. Il limite è però
78 Il limite non può essere un altro, un terzo, rispetto al qualcosa e al suo altro: «The limit cannot be such a third thing, however, because it is not other than something and its other in the full sense but is simply their common negation, or Nichtsein. The limit cannot, therefore, «other» itself into being something. It is merely the joint coming-to-a stop or ceasing-to-be that lies between what each thing is but that equally forms an essential ingredient of each thing as a whole. It is the mutual boundary through which each one is what it is» (S. Houlgate, The Opening of Hegel’s Logic, cit., p. 366). 79 «In limiting its other, something is not only the simple negation of that other but also self-relating negation, or something in its own right» (ivi, p. 358).
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anch’esso la lor comune diversità, l’unità e diversità loro,
come l’esserci80.
Il limite quindi, nell’essere il luogo in cui allo stesso tempo sia il qualcosa sia il
suo altro è e non è, è il luogo in cui essi sono uniti e distinti, in cui essi si
incontrano ma allo stesso tempo si scontrano81. Il limite è il luogo in cui il
qualcosa e il suo altro sono lo stesso ma allo stesso tempo permangono nella
loro distinzione. Nel limite ognuno – il qualcosa e il suo altro – è se stesso ma
anche il suo non essere, il suo altro; anzi è se stesso proprio nell’essere in sé
questo non essere. Questo implica quindi necessariamente il passare dell’uno
nell’altro proprio nel compiuto ritorno di ciascuno in se stesso. Questo passare
è la necessaria negazione di ognuno nell’altro come sviluppo del processo della
riflessione in sé. Questa negativa riflessione in sé si costituisce in termini
eminentemente contraddittori. La determinatezza che essa mette in campo è
una sorta di ‘doppia identità’:
Questa doppia identità dei due, l’esserci e il limite, contien
questo, che il qualcosa ha il suo esserci soltanto nel limite, e
che, il limite e l’esserci immediato essendo tutti e due
insieme il negativo l’uno dell’altro, il qualcosa, che è
soltanto nel suo limite, si separa in pari tempo da se stesso
ed accenna al di là di sé al suo non essere, lo pronuncia
come suo essere, e passa così in quello82.
La determinatezza sia del qualcosa sia del limite è caratterizzata da una ‘doppia
identità’, un’identità intrinsecamente contraddittoria83. Da una parte il qualcosa
80 WdL I, p. 115 (p. 126). «Abbiamo due qualcosa che sono distinti dal limite. Il limite ha due funzioni. In primo luogo è «ciò che stringe assieme» il qualcosa, ciò che lo fa essere. In questo modo il limite è la negazione dell’altro, negazione che costituisce il qualcosa stesso; l’altro è dentro il qualcosa, lo costituisce, è proprio l’in sé del qualcosa. Così il limite si presenta come negazione doppia, come negazione della negazione, cioè come negazione di quella negazione che è l’altro» (M. Cingoli, La qualità nella Scienza della Logica di Hegel, cit., p. 184). 81 «Il limite, infatti, poiché è la determinazione del qualcosa – ciò che appunto consente di distinguere qualcosa rispetto ad altro, sullo sfondo del quale esso appare determinato come qualcosa -, si rappresenta da subito come una struttura in cui questi opposti, il qualcosa e l’altro rispetto al qualcosa, vengono in qualche modo a coincidere […] esso è il punto in cui tanto ciò che è determinato, tanto ciò che nella determinazione stessa viene negato, insieme ricevono il loro essere e cessano di essere» (L. Illetterati, Figure del limite, cit., pp. 39-40). 82 WdL I, p. 115 (p. 126). 83 «Mit der Grenze ist die Symmetrie des logischen Raumes für das reine Denken wiederherstellt und daher schlägt, wenn E1 seinen Stand im logischen Raum auf Kosten von E2
gewinnt, dies unmittelbar auf E1 zurück, weil auch E2 seinen Stand auf Kosten von E1 gewinnt. Wir haben hier den Widerspruch eines logischen Raumes, der aus zwei primitiven Welten, E1
und E2 , besteht» (A.F. Koch, Dasein und Fürsichsein, cit., p. 40).
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e il limite sono il ‘negativo’ l’uno dell’altro, ognuno ha nell’altro il suo non
essere. Dall’altra parte il qualcosa ‘è soltanto nel suo limite’, e quindi il limite è
parte integrante dell’identità del qualcosa stesso, del suo essere. È quindi
evidente l’auto-referenzialità della negatività – limite è il non essere del
qualcosa che è allo stesso tempo negato come non essere, in quanto
componente determinante del qualcosa stesso – come componente costitutiva
della contraddizione. Le due caratteristiche dell’auto-contraddittorietà del limite
– il limite nel qualcosa sia è sia non è – solo congiuntamente risultano essere
condizioni necessarie e sufficienti alla costituzione della determinatezza del
qualcosa in quanto limitato. In questo modo la contraddizione si mostra per la
prima volta in modo esplicito come principio di determinazione. Houlgate
sottolinea a chiare lettere il valore ontologico della contraddizione nel limite:
This contradiction is not just in our concept of the limit but
in the very structure of being limited. On the one hand, the
limit is the point between the being or Dasein of something
and its other at which both cease. Insofar as the limit is the
nonbeing of each, it does not belong to their being as such
but falls between what each one is. What each is thus lies
within, or on the other side of, their common boundary.
On the other hand, the limit is nothing apart from the two
things it conjoins and disjoins but belongs irreducibly to
both of them. It is the common boundary at which each
thing stops and through which each gains a definite
identity84.
Il limite è quel negativo in cui il qualcosa torna in sé e articola concretamente la
propria determinatezza: «l’una determinazione è che il qualcosa è, quello che è,
soltanto nel suo limite»85. In questo modo il qualcosa ha contraddittoriamente
in sé il proprio altro, e proprio questa sua articolazione contraddittoria è ciò
che lo muove verso il proprio altro, per cui «[…] l’altra determinazione è
84 S. Houlgate, The Opening of Hegel’s Logic, cit., p. 367. 85 WdL I, p. 115 (pp. 126-127). Facendo riferimento all’ambito della matematica, Hegel precisa: «Così il punto non è soltanto limite della linea nel senso che questa, nel punto, non faccia che cessare, e sia invece, come esserci, fuori del punto; la linea non è solo così limite della superficie, che questa, nella linea, cessi soltanto, e in pari modo la superficie come limite del solido. Ma nel punto la linea comincia anche; il punto è anche il suo assoluto cominciamento. Quindi anche in quanto s’immagina la linea come illimitata da tutte e due le parti […], il punto costituisce il suo elemento come la linea costituisce l’elemento della superficie, e la superficie quella del corpo. Questi limiti sono il principio di quello ch’essi limitano» (WdL I, p. 115 (p. 127)).
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l’inquietudine del qualcosa, che consiste nell’essere, nel suo limite in cui è
immanente, la contraddizione, che lo spinge oltre se stesso»86.
2.7. La contraddittorietà del finito
La contraddizione che spinge il qualcosa oltre se stesso è la struttura
logica che mostra come il qualcosa, in questo andare oltre se stesso, sia un
qualcosa di finito (endlich). La finitezza del qualcosa consiste appunto nel suo
passare in quel non essere che il qualcosa ha in sé.
Hegel prende le mosse, come sempre, dalla caratterizzazione immediata
del finito, in cui il finito sussiste come indipendente e auto-sussistente rispetto
al proprio altro, rispetto all’infinito. L’intelletto si ferma solo a questa
determinazione immediata del finito, per cui il finito è tenuto nell’unilaterale
identità con sé, nell’astrazione da ogni rapporto ad altro. A tal fine l’intelletto
fissa il finito in una salda contrapposizione rispetto al termine opposto. In
questo modo l’intelletto coglie la negatività che caratterizza il finito, ma solo
come negatività astratta, cioè come astratta negazione dell’infinito rispetto al
finito:
La finità è la negazione come fissata in sé (an sich fixierte
Negation), epperò si erge rigida di contro al suo affermativo.
Quindi è che il finito […] consiste appunto in questo,
nell’esser destinato alla sua fine, ma soltanto alla sua fine; –
anzi è il rifiuto di lasciarsi affermativamente portare al suo
affermativo, all’infinito, di lasciarsi unire con quello. Il
finito è posto dunque inseparabilmente dal suo nulla, ed
ogni conciliazione sua col suo altro, coll’affermativo, è così
impedita87.
Questa concezione astratta del finito, come si è detto, si fonda sull’astratta
negazione dell’infinito rispetto al finito. La negatività in questione, però, in
86 WdL I, p. 115 (p. 127). Ritornando all’esempio matematico, Hegel precisa: «così il punto è questa sua dialettica consistente nel farsi linea; la linea, la dialettica di farsi superficie; la superficie, la dialettica spazio totale. Della linea, della superficie, e dell’intero spazio vien data una seconda definizione, che cioè la linea sorge dal movimento del punto, la superficie dal movimento della linea etc. […] Che il punto, la linea, la superficie, per sé, si contraddicano e siano cominciamenti che si respingono di per sé da se stessi, e che il punto quindi passi di per sé per mezzo del suo concetto nella linea, si muova in sé e faccia sorger la linea etc., - ciò sta nel concetto del limite immanente al qualcosa» (WdL I, p. 115 (p. 127)). 87 WdL I, p. 117 (p. 129).
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questo modo, non è la negatività immanente al finito stesso. Il finito è, nella
sua natura, l’andare oltre se stesso, si costituisce dunque su una negatività che
non lo tiene in un’astratta separazione dal proprio altro. Esso si determina
piuttosto sulla base di una negatività riferita a se stessa, per cui esso si nega e
quindi cessa, finisce, e passa nel proprio altro. Il finito si costituisce in quella
negazione di sé che è il suo stesso passare nell’altro da sé.
Ma questa negatività riflessa in sé attraverso cui il finito è portato
necessariamente a respingersi da sé e a passare nel proprio altro, e la struttura
auto-contraddittoria che risulta da questo tipo di negatività, è ciò da cui da cui
l’intelletto intende rifuggire, per sviluppare così un resoconto del tutto coerente
della finitezza. La negatività attraverso la quale l’intelletto fa emergere la fissa
contrapposizione di finito e infinito è una negatività astratta ed esterna alle
determinazioni stesse, una negatività in cui esse sono tenute l’una fuori
dall’altra proprio per salvaguardare la coerenza della loro caratterizzazione88.
L’intelletto vede solo un lato della negatività del finito, una negatività tale per
cui il finito respinge da sé il proprio altro. Ciò che non vede, è che il finito ha il
proprio altro, il proprio non essere, in lui stesso, e che quindi è
necessariamente portato a riflettere su di sé questa negatività, a negare se stesso
e a passare nel proprio altro. L’intelletto finisce per prescindere dall’auto-
referenzialità della negatività costitutiva del finito. Astraendo da quest’aspetto e
limitandosi a considerare le determinazioni opposte nell’astratta negazione
dell’una contro l’altra si evita quindi quella contraddittorietà che deriva
dall’auto-referenzialità della negatività interna al finito, e che porta l’infinito al
necessario passaggio nel proprio non essere.
L’intelletto però, nel tenere il finito nella sua fissa separazione rispetto
all’infinito, trasforma il finito stesso in un assoluto, e finisce per contraddire se
stesso:
L’intelletto persiste dunque in questa mestizia della finità,
facendo del suo non essere la destinazione delle cose e
prendendolo insieme come imperituro e assoluto. […] Ma
questa finità è la lor qualità immutabile, non trapassante
cioè nel suo altro, non trapassante nel suo affermativo. E
88 «È affermazione espressa che il finito sia incompatibile e incongiungibile coll’infinito, che il finito sia assolutamente opposto all’infinito» (WdL I, p. 117 (p. 130)).
BORDIGNON, Michela. La contraddizione dell’essere determinato
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così è eterna. […] Il contrario si trova anzi espressamente
nell’affermazione del finito: il finito è il limitato, il perituro;
il finito è soltanto il finito, non l’imperituro89.
L’articolazione intellettualistica del finito produce quindi un’assolutizzazione
del finito stesso. Questa tematizzazione del finito si contraddice nella misura in
cui, volendo tener il finito posto fissamente di contro all’assoluto, all’infinito,
non fa altro che rendere il finito stesso un assoluto90.
Nella contraddizione dell’intelletto si trova un’assunzione rispetto al
finito – la sua contrapposizione all’infinito che esclude ogni tipo di unità con
esso – che è contraddetta dalle conclusioni derivanti dall’assunzione stessa91. Si
conclude così quello che nell’assunzione di partenza si enuncia come
impossibile. Proprio per questo l’approccio a questa contraddizione è lo stesso
che si assume in una reductio ad absurdum, in cui da una contraddizione del tipo
sopra descritto si deriva la negazione della premessa di partenza92. Viene così
mostrato come il finito, in questa sua astratta contrapposizione rispetto
all’infinito, ‘si distrugge da sé’. Ciò che viene meno, però, non è tanto il finito
come tale, ma l’ipotesi di partenza dell’assoluta separazione rispetto all’infinito.
La contraddizione non ha però solo un valore critico e negativo rispetto
alle assunzioni astratte dell’intelletto su una determinata categoria logica. Essa
ha anche un valore speculativo-positivo nella misura in cui mette in campo la
verità della determinazione stessa, ossia il necessario passaggio del finito nel
proprio altro, nell’infinito. La contraddizione della concezione intellettualistica
del finito mostra appunto come il finito non possa sussistere di contro
89 WdL I, p. 117 (p. 129). 90 «Posto come tale che non si possa unire coll’infinito, il finito rimane assoluto da parte sua» (WdL I, pp. 117-118 (p. 130)). 91 «The understanding can be criticized even at this point, in Hegel’s view, because it actually fails to think what it claims to think, namely, the process of sheer passing away. It fails in this regard because, precisely by clinging on to pure and simple passing away, it turns it into something enduring and eternal—that is, into that which is not just pure passing away after all. The understanding, as I have noted, is not wrong to formulate the thought of pure finitude in the first place […]. The understanding is open to criticism, therefore, because it violates its own conception of finitude, regardless of the way Hegel may conceive of it now or later. This is not, of course, to maintain that the understanding ends up regarding individual finite things as eternal. It is, however, to assert that the understanding fails to think of finitude as such as involving nothing except ceasing to be and passing away, as soon as it insists that finitude remains nothing but such ceasing to be» (S. Houlgate, The Opening of Hegel’s Logic, cit., p. 382). 92 Non a caso qui si ragiona nei termini della logica formale. Infatti il ragionamento dell’intelletto si sviluppa sulla base di un tipo di negazione che, come si è visto, è astratta e tiene separati e termini opposti, ognuno come il semplice non essere dell’altro, e perciò è riducibile alla semplice negazione formale della logica tradizionale.
BORDIGNON, Michela. La contraddizione dell’essere determinato
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all’infinito, perché, come tale, diviene infinito esso stesso. L’infinitizzazione del
finito contraddice le assunzioni dell’intelletto sul finito, ma allo stesso tempo
mette in campo quel passaggio del finito nel proprio altro, il passaggio del
finito nell’infinito, che è la struttura concreta, la verità, del finito stesso. Alla
ragione non resta quindi altro che riconoscere la verità di questa
contraddizione. Il finito stesso, a partire dalla sua stessa immediatezza, si è
determinato come questo passaggio nel proprio altro in cui si mostra costituito
in termini esplicitamente auto-contraddittori. L’immediata riflessione in sé del
finito, quell’astratta relazione a sé in cui è semplicemente identico con sé,
mostra di contenere già in sé la riflessione nell’altro da sé, quella relazione ad
altro che è la negatività stessa del finito, il suo negarsi e passare nell’altro da sé
in cui effettivamente il finito realizza la propria identità, la propria concreta
natura, la propria finitezza.
L’astratta relazione del finito a sé è già di per sé la relazione del finito
all’altro. Il suo essere se stesso è un cessare ed essere il proprio altro. Il finito
ha in sé il non essere che nega, e quindi si costituisce su una negatività in
riferimento a se stessa. Il finito è la propria stessa auto-negazione, che non
traspare agli occhi di una considerazione astratta di questa determinazione
logica. Questa stessa negatività rappresenta però il cuore di questa
determinazione, il movimento sulla base del quale essa viene a realizzare la
propria costitutiva determinatezza93. La finità è appunto «la negazione
qualitativa spinta al suo estremo, perché alle cose, nella semplicità di codesta
determinazione, non è più lasciato un essere affermativo distinto dalla lor
destinazione a perire»94. La negazione che caratterizza il finito non è un tipo di
relazione per cui esso entra in rapporto con altre determinazioni. La negazione
è la sua stessa qualità, il suo ‘essere affermativo’, la sua essenza, il modo in cui
realizza se stesso in quanto finito. Il finito è tale nella misura in cui è esso
stesso questa negazione. Il finito è il negare se stesso, il proprio cessare nel
proprio altro. In questo modo, la riflessione in sé del finito, la propria relazione
93 «Questo immanente autosuperamento è ciò che definisce l’intima “natura” del finito, che è appunto questo movimento in sé dell’andare oltre se stesso, e non solo semplice negazione. Allo stesso tempo, se è vero questo, ossia che il finito si “realizza” andando oltre se stesso, conseguentemente esso ritrova la propria “verità” nel limite che lo definisce come tale» (G. Mendola, Lo statuto “logico” del finito in Hegel, in «Verifìche», XXXII (2003), n. 3-4, p. 243). 94 WdL I, p. 117 (p. 129).
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a sé in cui viene ad articolare la propria concreta natura, è questa stessa
negazione di se stesso:
Le cose finite sono, ma la lor relazione a se stesse è che si
riferiscono a se stesse come negative (ihre Beziehung auf sich
selbst ist, daß sie als negativ sich auf sich selbst beziehen), che
appunto in quella relazione a sé si mandano al di là di se
stesse, al di là del loro essere. Esse sono, ma la verità del
loro essere è la loro fine. […] l’essere delle cose finite, come
tale, sta nell’avere per loro esser dentro di sé il germe del
perire: l’ora della loro nascita è l’ora della loro morte95.
L’auto-riferimento della negazione all’interno del finito porta il finito stesso ad
articolarsi secondo una struttura auto-contraddittoria96. Sulla base del suo
proprio negarsi, il finito si realizza nel suo altro, l’essere del finito è il suo non
essere. Il finito, in questa negazione, non perde se stesso. Il suo essere e il suo
non essere non sono due elementi l’uno esterno all’altro, perché, come si è
visto, l’essere del finito è il suo stesso non essere. La relazione ad altro, la
relazione del finito al suo non essere, è quindi una relazione del finito a se
stesso, ed è totalmente ricompresa all’interno della sua finitezza. Nel suo non
essere, nel suo cessare, il finito torna compiutamente in sé nella concreta
identità con se stesso. Questo è possibile perché il suo negarsi è il suo stesso
essere97.
Il finito tiene quindi insieme in sé, allo stesso tempo e sotto il medesimo
rispetto, il suo essere e il suo non essere. Sulla base del compiuto auto-
riferimento della negatività interna al finito è possibile mostrare come il finito
si determina quindi in due modi che si escludono a vicenda – il suo essere e il
suo non essere – ma che allo stesso tempo stanno, proprio all’interno della
struttura del finito, in una concreta identità98.
95 WdL I, p. 116 (p. 128). 96 Infatti, la struttura auto-contraddittoria del finito non è altro che lo sviluppo della struttura contraddittoria del limite per cui «l’esser dentro di sé con sé identico si riferisce così a se stesso come il suo proprio non essere, ma come negazione della negazione, come negante quello stesso, che conserva in pari tempo in lui l’esserci, poiché è la qualità del suo esser dentro di sé» (WdL I, p. 119 (p. 131)). 97 «Lo scandalo o il paradosso del finito, in breve, è questo, che il suo dover essere, ossia il toglimento di sè, della propria negazione, non è altro o oltre se stesso, ma è “presente”, si dà in esso; il suo essere è il suo non essere, la sua affermazione è il suo immanente togliersi» (G. Mendola, Lo statuto “logico” del finito in Hegel, cit., p. 248). 98 Koch esplicita il valore di questa struttura formale e l’autocontraddittorietà che essa indica nel modo seguente: «Das Endliche in seinem Widerspruch geht über in sein Gegenteil, das
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Quindi, il finito, in quella negazione di sé che lo porta a passare nell’altro
da sé, realizza compiutamente la propria finitezza, viene ad essere
compiutamente identico con sé. Il momento del cessare del finito nel proprio
non essere è costituito dall’assoluta identità di un essere determinato e di un non
essere determinato nella loro altrettanto assoluta differenza. Il finito è la
contraddizione di sé in sé, è cioè intrinsecamente contraddittorio nella misura in cui
è questo passare (übergehen) in cui realizza il proprio essere in questo suo non
essere, ed è questo non essere che è. Essere e non essere nel finito sono
un’unica e medesima cosa99.
2.8. Quale contraddizione nel finito?
Delineerò infine brevemente i principali caratteri della contraddizione
che è emersa come struttura portante della finitezza e, più in generale,
dell’essere determinato.
Va notato innanzitutto come la contraddizione del finito non sia la sua
contraddizione rispetto a qualcosa d’altro da sé, ma la contraddizione del finito
in se stesso. Il finito è auto-contraddittorio, il finito si contraddice, e la sua
contraddizione non è altro che la struttura in base alla quale si sviluppa il suo
passare nell’altro da sé, che è la realizzazione della sua stessa finitezza.
La contraddizione in questione naturalmente non è una contraddizione
formale, ma si origina sulla base del contenuto stesso della determinazione del
finito. Questo contenuto è la negazione riflessa in sé, l’auto-negazione, del
finito stesso. Proprio questa negazione lo porta a respingersi da sé, a passare
nel proprio non essere, e a realizzarsi in esso. Proprio in quanto il finito
realizza il suo essere nel suo non essere, sulla base dell’auto-negatività ad esso
intrinseco, si struttura in modo auto-contraddittorio100.
wiederum das Endliche ist usf., in einem infiniten Progress der Selbstzerstörung, einem paradoxen unvergänglichen Vergehen» (A. F. Koch, Dasein und Fürsichsein, cit., p. 40) 99 Questo passare nel proprio altro del finito e la contraddittorietà che contraddistingue questo passaggio logico altro non è che la trasposizione, all’interno del campo della determinatezza, della stessa contraddittorietà che segnava costitutivamente la struttura logica del divenire. 100 Va però notato che questa auto-contraddittorietà del finito, pur non essendo una contraddizione formale, una volta espressa in forma proposizionale, da luogo a una vera e propria contraddizione sintattica: nella misura in cui l’essere del finito è il suo non essere, il finito è il suo essere, e l’essere del finito è il suo non essere. Questa contraddizione esprime il
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Quindi la contraddizione del finito non costituisce primariamente il
segnale di una tematizzazione astratta e unilaterale del finito stesso. Essa ha
questa funzione critico-negativa, ma in senso derivato. La contraddizione
dell’intelletto, da cui emerge la necessità del passaggio del finito nel proprio
altro, nel proprio non essere, mette infatti in luce come una concezione del
finito come indipendente e assolutamente separato rispetto al proprio altro non
possa sussistere101. Ma questa funzione critica rappresenta in qualche modo
solo il riflesso negativo della contraddizione costitutiva del finito, ovvero di
quella contraddizione che funge da principio di determinazione del finito
stesso.
La funzione speculativo-positiva della contraddizione del finito è quella
per cui essa rappresenta la verità del finito stesso. Questo significa che il finito,
nel dispiegare quella struttura auto-contraddittoria per cui il suo essere è il suo
stesso non essere – che è la struttura in cui esso viene a determinarsi come il
suo cessare nell’altro da sé – realizza compiutamente se stesso, la propria
finitezza.
La contraddizione è principio di determinazione del finito, e lo è in due
sensi, entrambi naturalmente legati alla negatività che costituisce il finito stesso.
In primo luogo questa negatività, nella sua immediatezza, dà luogo alla
contraddizione dell’intelletto, e la contraddizione dell’intelletto mostra come il
finito non possa sussistere nella separazione rispetto al proprio altro,
all’infinito. In secondo luogo questa contraddizione mette in luce il cessare e il
necessario passaggio del finito nel proprio altro, allo stesso modo in cui la contraddizione del divenire esprimeva il necessario passaggio dell’essere nel nulla. In questo senso, dato che «una determinatezza dell’essere è necessariamente un passare nell’opposto; la negativa di ciascuna determinatezza è così necessaria come la determinatezza stessa […]. Quando queste categorie si raccolgono in tali proposizioni, vengon fuori in pari tempo anche le proposizioni opposte; ambedue si presentano con egual necessità, ed hanno come affermazioni immediate per lo meno egual diritto» (WdL II, p. 261 (p. 455)). 101 Interpretazioni come quelle coerentiste mettono in luce semplicemente questa funzione critico-negativa della contraddizione del finito: «a) quella contraddizione che è il finito non può stare per sé, giustificando sé con se stessa. In secondo luogo b) essa «si distrugge da sé», nel senso che annienta la contraddittorietà che essa porta con sé, in quanto sistema del contraddirsi e della contraddittorietà. Inoltre c) l’annientamento della contraddittorietà della contraddizione è la risoluzione effettuale della contraddizione stessa. E infine d) la risoluzione non chiude al nulla la contraddizione, ma è il nulla del nulla che la contraddittorietà è, allo sguardo della verità» (P. Bettineschi, Contraddizione e verità nella logica di Hegel, Vita e Pensiero, Milano 2010, p. 52). Questo tipo di letture non interpretano la contraddittorietà del finito come il suo togliersi in quel non essere che è il loro stesso essere, ma come la contraddizione della tematizzazione astratta del finito, che proprio in quanto astratta è falsa e va necessariamente negata, risolta, annullata.
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passaggio nella determinazione opposta come tratto costitutivo del finito, e
quindi dispiega quello che è l’effettivo modo in cui il finito essenzialmente si
determina come tale.
In questo senso, la contraddizione del finito è una contraddizione che ha
primariamente un valore ontologico. È una contraddizione che non è altro che
la struttura che determina il modo in cui si costituisce ogni cosa finita, nella sua
finitezza. Ogni cosa finita, nel suo cessare e passare nell’altro da sé, si sviluppa
in base alla struttura contraddittoria per cui il suo modo d’essere si determina,
allo stesso tempo e sotto il medesimo rispetto, in due modi che si escludono a
vicenda. Anzi, questi due modi sono in realtà un’unica relazione negativa della
cosa finita, che è intrinsecamente portata ad escludere se stessa: il suo essere è
il suo stesso non essere, e viceversa.
Questa contraddizione sta alla base della dinamica che porta ogni cosa
finita a realizzare la propria finitezza nel passaggio all’altro da sé. All’interno
della sezione dedicata alla quantità, Hegel torna sulla questione della finitezza, e
nel riferimento critico alla prima antinomia kantiana sottolinea appunto il
valore ontologico della contraddizione proprio come principio di
determinazione di ogni cosa finita: «il cosiddetto mondo […] non manca perciò
menomamente della contraddizione; se non che non la può sopportare, e
questa è la ragione per cui è dato in preda al nascere e al perire»102. È forse
proprio alle cose finite che Hegel fa riferimento, quando, all’interno della
dottrina dell’essenza, afferma che «tutte le cose sono in se stesse
contraddittorie»103.
Infine, la contraddizione del finito dispiega non solo la verità del finito
stesso, il suo concreto modo di articolarsi, ma anche il togliersi del finito
stesso, e con esso il venir meno della contraddizione che lo caratterizza. A
livello ontologico, l’insostenibilità della contraddizione si declina infatti nel
senso per cui ciò che è caratterizzato dalla contraddizione è portato a togliere
se stesso, e appunto questo è quello che accade nel finito:
102 WdL I, p. 232 (p. 260). 103 G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, vol. I, Die objektive Logik, libro 2, Die Lehre vom Wesen (1813), in Gesammelte Werke, vol. XI, a cura di F. Hogemann e W. Jaeschke, Meiner, Amburgo 1978, p. 286 (Scienza della logica, cit., p. 490).
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è la natura stessa del finito, di sorpassarsi, di negare la sua
negazione e di diventare infinito […]. L’infinito non sta
quindi, come un che di già per sé dato sopra il finito,
cosicché il finito continui a restar fuori o al di sotto di
quello. E nemmeno andiamo soltanto noi, come una
ragione soggettiva, al di là del finito nell’infinito […] è il
finito stesso che vien sollevato nell’infinito […] il finito è
soltanto questo, di diventare infinito esso stesso per la sua
natura104.
La soluzione della contraddizione è quindi il togliersi del finito nel proprio
altro, nell’infinito, in cui il finito necessariamente passa. Questo togliersi del
finito e della contraddizione che lo definisce non è dettato da un principio
esterno dal finito. È anzi il finito stesso, nella sua struttura contraddittoria, che
è portato a togliersi nel proprio altro. Questa considerazione permette di
mettere in luce come l’intendere la contraddizione come la verità di una
determinazione non implichi il blocco del processo dialettico, e questo nella
misura in cui la verità che la contraddizione porta alla luce è il togliersi stesso
della determinazione in questione.
Allo stesso tempo, va sottolineato come il togliersi del finito nell’infinito,
e con esso il togliersi della contraddizione sulla base della quale il finito si
definisce, non significa l’eliminazione della contraddizione all’interno del
sistema. La contraddizione rimane come momento costitutivo ed essenziale del
sistema in quanto verità e principio di determinazione del finito stesso. Per di
più il finito e la contraddizione che lo definisce permangono all’interno della
struttura dell’infinito stesso, in quanto l’infinito si costituisce come il processo
dell’infinito togliersi del finito, e quindi si sostanzia appunto delle
contraddizioni che fondano il processo del toglimento di ogni finito105.
Quindi la contraddizione non costituisce affatto un ostacolo per il
pensiero, ma è anzi quell’articolazione logica in cui si dischiude in modo
concreto e completo la struttura del finito e, con esso, la struttura dell’essere
determinato stesso.
104 WdL I, p. 125 (p. 139). 105 «La finità è solo come un sorpassare se stesso (Hinausgehen über sich). In essa è quindi contenuta l’infinità (Unendlichkeit), il suo proprio altro. In pari maniera l’infinità è solo come un sorpassare il finito (Eben so ist die Unendlichkeit nur als Hinausgehen über das Endliche). Contien dunque essenzialmente il suo altro, ed è perciò in lei l’altro di se stessa. Il finito non vien tolto dall’infinito quasi da una potenza che fosse data fuori di lui, ma è la sua infinità, di toglier via se stesso (es ist seine Unendlichkeit, sich selbst aufzuheben)» (WdL I, p. 133 (p. 149)).
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3. Conclusione
In questo articolo è stata analizzata la dialettica dell’essere determinato
mettendone in luce due aspetti. Da una parte, tramite l’esame delle diverse
declinazioni della relazione ad altro nelle diverse determinazioni dell’esser
determinato, dal Dasein nella sua immediatezza al finito, si è mostrato come nel
corso di questa dialettica vi sia una progressiva interiorizzazione dell’alterità
all’interno delle determinazioni in questione. Dall’altra parte si è mostrato
come questa progressiva interiorizzazione corrisponda ad una progressiva
esplicitazione dell’auto-referenzialità della negatività immanente alle
determinazioni logiche, e quindi ad un progressiva esplicitazione della auto-
contraddittorietà costitutiva della determinatezza stessa. Quest’auto-
contraddittorietà trova il suo compiuto sviluppo nella determinazione del
finito, che rappresenta un esempio paradigmatico di come nella logica
hegeliana la contraddizione, lungi dall’essere il segnale di una perdita di
consistenza della caratterizzazione di una determinazione logica, è anzi
l’articolazione dinamica interna delle determinazioni stesse e ne porta alla luce
la verità più profonda.
Bibliografia Opere di Hegel G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, vol. I, Die objektive Logik, libro 1, Die Lehre vom Seyn (1832), in Gesammelte Werke, vol. XXI, a cura di F. Hogemann e W. Jaeschke, Meiner, Hamburg 1985 (trad. it. di A. Moni, revisione della trad. e nota introduttiva di C. Cesa, Scienza della logica, Laterza, Roma-Bari 1968, pp. 9-430). G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, vol. I, Die objektive Logik, libro 2, Die Lehre vom Wesen (1813), in Gesammelte Werke, vol. XI, a cura di F. Hogemann e W. Jaeschke, Meiner, Hamburg 1978, pp. 233-409 (Scienza della logica, cit., pp. 431-646). Letteratura secondaria E. Berti, La contraddizione, Città Nuova, Roma 1977.
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P. Bettineschi, Contraddizione e verità nella logica di Hegel, Vita e Pensiero, Milano 2010. M. Cingoli, La qualità nella Scienza della Logica di Hegel, Guerini e Associati, Milano 1997. L. Fonnesu, Antropologia e idealismo. La destinazione dell’uomo nell’etica di Fichte, Laterza, Roma-Bari 1993. L. Illetterati, Figure del limite. Esperienze e forme della finitezza, Verifiche, Trento 1996. S. Houlgate, The Opening of Hegel’s Logic, Purdue University Press, West Lafayette 2006. A.F. Koch, Dasein und Fürsichsein (Hegels Logik der Qualität), in A.F. Koch - F. Schick (hrsg.), G.W.F. Hegel. Wissenschaft der Logik, Akademie Verlag, Berlin 2002, pp. 27-50 G. Mendola, Lo statuto logico del ‘finito’ in Hegel, in «Verifiche», XXXII (2003), n. 3-4, pp. 211-254. A. Nuzzo, Changing Identities, in P.T. Grier (ed.), Identity and Difference, State
University of New York Press, Albany 2007, pp. 131-154.
Data de Recebimento: 26 de dezembro de 2013;
Data de Aceite para Publicação: 09 de janeiro de 2014.