La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse,...

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Maria BorgeseLa contessa Lara

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: La contessa LaraAUTORE: Borgese, MariaTRADUTTORE: CURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: La contessa Lara : una vita di passione edi poesia nell'Ottocento italiano / Maria Borgese. -2. ed. - Milano : Treves, stampa 1936. - VI, 283 p.,[34] p. di tav. : fot. ; 21 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 29 maggio 2018

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 1

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TRATTO DA: La contessa Lara : una vita di passione edi poesia nell'Ottocento italiano / Maria Borgese. -2. ed. - Milano : Treves, stampa 1936. - VI, 283 p.,[34] p. di tav. : fot. ; 21 cm.

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0: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:BIO007000 BIOGRAFIA E AUTOBIOGRAFIA / Letteraria

DIGITALIZZAZIONE:Catia Righi, [email protected]

REVISIONE:Paolo Alberti, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Catia Righi, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4PREFAZIONE................................................................8BIBLIOGRAFIA SOMMARIA...................................11CAPITOLO PRIMO.....................................................12CAPITOLO SECONDO...............................................43CAPITOLO TERZO.....................................................81CAPITOLO QUARTO...............................................119CAPITOLO QUINTO................................................162CAPITOLO SESTO...................................................197CAPITOLO SETTIMO..............................................218CAPITOLO OTTAVO................................................259CAPITOLO NONO....................................................285INDICE DEI NOMI...................................................291INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI..........................304INDICE DEI CAPITOLI............................................306

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4PREFAZIONE................................................................8BIBLIOGRAFIA SOMMARIA...................................11CAPITOLO PRIMO.....................................................12CAPITOLO SECONDO...............................................43CAPITOLO TERZO.....................................................81CAPITOLO QUARTO...............................................119CAPITOLO QUINTO................................................162CAPITOLO SESTO...................................................197CAPITOLO SETTIMO..............................................218CAPITOLO OTTAVO................................................259CAPITOLO NONO....................................................285INDICE DEI NOMI...................................................291INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI..........................304INDICE DEI CAPITOLI............................................306

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Evelina Cattermole Mancini (1875).

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Evelina Cattermole Mancini (1875).

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MARIA BORGESE

LA CONTESSA LARA

UNA VITA DI PASSIONE E DI POESIANELL’OTTOCENTO ITALIANO

Con 43 illustrazioni

SECONDA EDIZIONE

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MARIA BORGESE

LA CONTESSA LARA

UNA VITA DI PASSIONE E DI POESIANELL’OTTOCENTO ITALIANO

Con 43 illustrazioni

SECONDA EDIZIONE

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PREFAZIONE

La Contessa Lara: un nome celebre, quasi glorioso,di poesia femminile, sullo scorcio dell’Ottocento. Se neparlò conte di una nuova Saffo, di una nuova GasparaStampa.

È un nome celebre di passione. La sua vita è chiusafra due truci fatti di sangue che allora riempirono dipietà e di clamore l’Italia.

Oggi, oltre il nome, resta poco di lei. Non molti cer-cano i suoi libri dove pure, fra cose mediocri, sono cosevive, eccellenti. Non molti della tragica cronaca ricor-dano altro che l’eco.

L’autrice di queste pagine ha fatto del suo meglio perraccogliere quanto poteva di notizie, e documenti, e im-magini, dall’atto di nascita alle circostanze più dram-matiche e decisive di questa vita e di questa morte. Ben-chè su certi fatti e nomi sia stata costretta a tenere il ri-serbo o addirittura il silenzio, essa spera di avere illu-minato non inutilmente un episodio notevole, e finorapochissimo studiato, della vita sentimentale e poeticaitaliana alla fine del secolo scorso.

Parecchi le furono larghi di consiglio e di aiuto, du-rante le ricerche, ai quali va la sua gratitudine. Alcuni,uomini e donne che conobbero la Contessa Lara, la in-

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PREFAZIONE

La Contessa Lara: un nome celebre, quasi glorioso,di poesia femminile, sullo scorcio dell’Ottocento. Se neparlò conte di una nuova Saffo, di una nuova GasparaStampa.

È un nome celebre di passione. La sua vita è chiusafra due truci fatti di sangue che allora riempirono dipietà e di clamore l’Italia.

Oggi, oltre il nome, resta poco di lei. Non molti cer-cano i suoi libri dove pure, fra cose mediocri, sono cosevive, eccellenti. Non molti della tragica cronaca ricor-dano altro che l’eco.

L’autrice di queste pagine ha fatto del suo meglio perraccogliere quanto poteva di notizie, e documenti, e im-magini, dall’atto di nascita alle circostanze più dram-matiche e decisive di questa vita e di questa morte. Ben-chè su certi fatti e nomi sia stata costretta a tenere il ri-serbo o addirittura il silenzio, essa spera di avere illu-minato non inutilmente un episodio notevole, e finorapochissimo studiato, della vita sentimentale e poeticaitaliana alla fine del secolo scorso.

Parecchi le furono larghi di consiglio e di aiuto, du-rante le ricerche, ai quali va la sua gratitudine. Alcuni,uomini e donne che conobbero la Contessa Lara, la in-

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coraggiarono a questo lavoro. Essa non la conobbemai, ma fu sempre animata da una grande umana sim-patia, di donna a donna, per questa infelicissima che futanto migliore della sua fama.

M. B.

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coraggiarono a questo lavoro. Essa non la conobbemai, ma fu sempre animata da una grande umana sim-patia, di donna a donna, per questa infelicissima che futanto migliore della sua fama.

M. B.

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“....Ella era una fantasticaDonna vestita a brunoChe adorò i fiori, i dolci canti e i verginiSorrisi de l’infanzia.Ha pianto molto.... e non la pianse alcuno.”

CONTESSA LARA

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“....Ella era una fantasticaDonna vestita a brunoChe adorò i fiori, i dolci canti e i verginiSorrisi de l’infanzia.Ha pianto molto.... e non la pianse alcuno.”

CONTESSA LARA

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BIBLIOGRAFIA SOMMARIA

Canti e Ghirlande (Eva Cattermole), ed. Le Monnier, Firen-ze 1867.

Versi, ed. Sommaruga. Roma, 1883.Ancora versi, ed. Sersale, Firenze, 1886.Nuovi versi, ed. postuma, Galli, Milano, 1893.Così è (novelle), ed. Triverio, Torino, 1887.L'Innamorata (romanzo), ed. Giannotta, Catania, 1892.Storie di Natale (novelle), biblioteca della Roma letteraria,

ed. Licinio Cappelli, Rocca San Casciano, 1897.Una famiglia di topi (romanzo per fanciulli), ed. Bemporad,

Firenze.Il Romanzo della bambola, Hoepli, 1896.Opuscolo di lettere intime (a cura di E. Bottini), tipografia

della Camera dei deputati, Roma, 1897.

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BIBLIOGRAFIA SOMMARIA

Canti e Ghirlande (Eva Cattermole), ed. Le Monnier, Firen-ze 1867.

Versi, ed. Sommaruga. Roma, 1883.Ancora versi, ed. Sersale, Firenze, 1886.Nuovi versi, ed. postuma, Galli, Milano, 1893.Così è (novelle), ed. Triverio, Torino, 1887.L'Innamorata (romanzo), ed. Giannotta, Catania, 1892.Storie di Natale (novelle), biblioteca della Roma letteraria,

ed. Licinio Cappelli, Rocca San Casciano, 1897.Una famiglia di topi (romanzo per fanciulli), ed. Bemporad,

Firenze.Il Romanzo della bambola, Hoepli, 1896.Opuscolo di lettere intime (a cura di E. Bottini), tipografia

della Camera dei deputati, Roma, 1897.

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CAPITOLO PRIMO.

La Badia Fiesolana. – I Cattermole. Evelina Cattermole e le sueprime liriche. – I Poniatowski. – La principessa internazionale. –La Corinna italica. – Pasquale Stanislao Mancini. – Le nozze di

Evelina.

Piero Barbèra nei Quaderni di memorie ci dice comela storica Badia Fiesolana verso il 1850 fosse stata divi-sa in quartierini più o meno piccoli, e affittati per la vil-leggiatura a prezzi irrisori, a otto o nove famiglie moltobene raccomandate all’arcivescovado fiorentino, a cui laBadia Fiesolana apparteneva. Fra i villeggianti c’era uncerto Guglielmo Cattermole che invitava spesso Gaspe-ro Barbèra, il quale conobbe proprio alla Badia Fiesola-na il prete Giambattista Pierucci (di cui c’è un profilonelle Memorie di un editore) con la sorellastra e una ni-potina di diciassette anni. Questa signorina divenne lamoglie di Gaspero Barbèra e la madre di Piero e di Lui-gi, ora scomparsi, e di Gino, continuatore della bella eviva casa editrice, creata dal loro padre.

Strana gente i Cattermole. Il padre era venuto dallaScozia dove s’era già creato una prima famiglia, poi unaseconda. A Firenze in terze nozze sposò una bella signo-rina bionda, di nome Elisa e di cognome straniero – ec-

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CAPITOLO PRIMO.

La Badia Fiesolana. – I Cattermole. Evelina Cattermole e le sueprime liriche. – I Poniatowski. – La principessa internazionale. –La Corinna italica. – Pasquale Stanislao Mancini. – Le nozze di

Evelina.

Piero Barbèra nei Quaderni di memorie ci dice comela storica Badia Fiesolana verso il 1850 fosse stata divi-sa in quartierini più o meno piccoli, e affittati per la vil-leggiatura a prezzi irrisori, a otto o nove famiglie moltobene raccomandate all’arcivescovado fiorentino, a cui laBadia Fiesolana apparteneva. Fra i villeggianti c’era uncerto Guglielmo Cattermole che invitava spesso Gaspe-ro Barbèra, il quale conobbe proprio alla Badia Fiesola-na il prete Giambattista Pierucci (di cui c’è un profilonelle Memorie di un editore) con la sorellastra e una ni-potina di diciassette anni. Questa signorina divenne lamoglie di Gaspero Barbèra e la madre di Piero e di Lui-gi, ora scomparsi, e di Gino, continuatore della bella eviva casa editrice, creata dal loro padre.

Strana gente i Cattermole. Il padre era venuto dallaScozia dove s’era già creato una prima famiglia, poi unaseconda. A Firenze in terze nozze sposò una bella signo-rina bionda, di nome Elisa e di cognome straniero – ec-

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cellente pianista – la cui madre si chiamava AntoniettaFanciullacci e parlava con forte accento romagnolo. Sisussurrava, dice Piero Barbèra, che un frate di San Mar-co avesse per la ragazza un affetto paterno. Ogni tantoandavano alla Badia Fiesolana anche i figli, diciamocosì, scozzesi. Uno, figlio della prima moglie, si chia-mava come il padre, Guglielmo. Aveva studiato a Firen-ze il violino alla grande scuola del Giorgetti, poi a Mila-no col celebre Bazzini, infine coi maggiori violinistibelgi. In Belgio sposò la figlia di Francesco GiuseppeFetis1 compositore e musicografo belga. Ma il legamefra Guglielmo Cattermole e la figlia di Fetis non fu feli-ce, si dice per causa della moglie, e presto fu spezzato.Dal 1890 a circa il 1897 Guglielmo suonò nell’orchestradi Montecarlo; non era un solista, ma era assai apprez-zato fra gli intenditori.

Magro, altissimo, con occhi azzurri, la fronte spor-gente, era molto generoso, buono e sentiva profonda-mente l’amicizia. È sepolto nel Principato di Monacodove molti lo ricordano. Parlava benissimo, oltrel’inglese e il francese, anche l’italiano con un forte ac-cento fiorentino.

1 Il Fetis, come compositore, aveva più scienza che ispirazione. Fu diretto-re del conservatorio di Bruxelles e maestro della cappella reale. Fra le sue mol-te opere didattiche e storiche è notevolissima L’Histoire générale de la musi-que depuis les temps les plus anciens jusqu’à nos jours, ma la morte avvenutanel 1871 non gli permise di finire questo lavoro. Sua moglie, una francese,Louise Cathérine Robert, fece una eccellente traduzione nella propria lingua del’Histoire de la musique di Stafford, con note del marito.

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cellente pianista – la cui madre si chiamava AntoniettaFanciullacci e parlava con forte accento romagnolo. Sisussurrava, dice Piero Barbèra, che un frate di San Mar-co avesse per la ragazza un affetto paterno. Ogni tantoandavano alla Badia Fiesolana anche i figli, diciamocosì, scozzesi. Uno, figlio della prima moglie, si chia-mava come il padre, Guglielmo. Aveva studiato a Firen-ze il violino alla grande scuola del Giorgetti, poi a Mila-no col celebre Bazzini, infine coi maggiori violinistibelgi. In Belgio sposò la figlia di Francesco GiuseppeFetis1 compositore e musicografo belga. Ma il legamefra Guglielmo Cattermole e la figlia di Fetis non fu feli-ce, si dice per causa della moglie, e presto fu spezzato.Dal 1890 a circa il 1897 Guglielmo suonò nell’orchestradi Montecarlo; non era un solista, ma era assai apprez-zato fra gli intenditori.

Magro, altissimo, con occhi azzurri, la fronte spor-gente, era molto generoso, buono e sentiva profonda-mente l’amicizia. È sepolto nel Principato di Monacodove molti lo ricordano. Parlava benissimo, oltrel’inglese e il francese, anche l’italiano con un forte ac-cento fiorentino.

1 Il Fetis, come compositore, aveva più scienza che ispirazione. Fu diretto-re del conservatorio di Bruxelles e maestro della cappella reale. Fra le sue mol-te opere didattiche e storiche è notevolissima L’Histoire générale de la musi-que depuis les temps les plus anciens jusqu’à nos jours, ma la morte avvenutanel 1871 non gli permise di finire questo lavoro. Sua moglie, una francese,Louise Cathérine Robert, fece una eccellente traduzione nella propria lingua del’Histoire de la musique di Stafford, con note del marito.

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Si occupava pure di botanica e soprattutto di giardi-naggio; spesso era trascurato nel vestire per quantoavesse innato il senso dell’eleganza. Quando già si usa-vano le biciclette, Guglielmo Cattermole amava inforca-re il velocipede primitivo formato da una grandissima eda una minuscola ruota, e così alto com’era, a cavallo diquel trabiccolo, sembrava che dovesse ruzzolare da unmomento all’altro. Abitò per molti anni, e fino alla mor-te, con una famiglia Babin, padre, madre e una figlia let-terata. Era con soddisfazione un po’ infantile che si van-tava di aver conosciuto i più grandi musicisti europei.L’altra sorella, Eufròsina, figlia della seconda moglie, sisposò nel 1864 a Firenze con un certo Giuseppe Cheru-bini e andò a stare a Marciana Marina, dove ebbe un pri-mo figlio che l’Evelina tenne a battesimo e al quale simise il nome di Agostino. In seguito, i coniugi Cherubi-ni si stabilirono a Caracas nel Venezuela, dove l’Eufrò-sina rimase vedova con diversi figli. Dal matrimoniocon l’Elisa il Cattermole ebbe solamente l’Evelina chelo stesso Piero Barbèra ci descrive così nei suoi ricordidi quando aveva cinque o sei anni: «Una bambina pres-so a poco della mia età che vedevo spesso nel giardinoannesso al loro appartamento, vestita come quei bambi-ni che vanno in processione, i così detti angioli: e un an-gioletto sembrava veramente, così bianca bionda e dia-fana. I suoi genitori, gli amici, anche chi non la cono-sceva, l’ammiravano, l’accarezzavano, la mangiavanoco’ baci. Tutti andavano a gara inconsciamente nel gua-starla. Io non l’avvicinai mai, sebbene me ne strugges-

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Si occupava pure di botanica e soprattutto di giardi-naggio; spesso era trascurato nel vestire per quantoavesse innato il senso dell’eleganza. Quando già si usa-vano le biciclette, Guglielmo Cattermole amava inforca-re il velocipede primitivo formato da una grandissima eda una minuscola ruota, e così alto com’era, a cavallo diquel trabiccolo, sembrava che dovesse ruzzolare da unmomento all’altro. Abitò per molti anni, e fino alla mor-te, con una famiglia Babin, padre, madre e una figlia let-terata. Era con soddisfazione un po’ infantile che si van-tava di aver conosciuto i più grandi musicisti europei.L’altra sorella, Eufròsina, figlia della seconda moglie, sisposò nel 1864 a Firenze con un certo Giuseppe Cheru-bini e andò a stare a Marciana Marina, dove ebbe un pri-mo figlio che l’Evelina tenne a battesimo e al quale simise il nome di Agostino. In seguito, i coniugi Cherubi-ni si stabilirono a Caracas nel Venezuela, dove l’Eufrò-sina rimase vedova con diversi figli. Dal matrimoniocon l’Elisa il Cattermole ebbe solamente l’Evelina chelo stesso Piero Barbèra ci descrive così nei suoi ricordidi quando aveva cinque o sei anni: «Una bambina pres-so a poco della mia età che vedevo spesso nel giardinoannesso al loro appartamento, vestita come quei bambi-ni che vanno in processione, i così detti angioli: e un an-gioletto sembrava veramente, così bianca bionda e dia-fana. I suoi genitori, gli amici, anche chi non la cono-sceva, l’ammiravano, l’accarezzavano, la mangiavanoco’ baci. Tutti andavano a gara inconsciamente nel gua-starla. Io non l’avvicinai mai, sebbene me ne strugges-

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si.» E l’ambiente della Badia Fiesolana deve essere ri-masto molto vivo anche nella memoria della bambinaCattermole, se molti anni più tardi, e cioè nel 1893 potèdescriverlo molto vivacemente, in una sua novella inti-tolata la Rosona, e che fa parte del volume Storied’amore e di dolore.

*

Quando era nata l’Evelina, e dove? Il De Gubernatisnel suo Dictionnaire international des écrivains du jourdice: «Lara (Contessa) nom de plume d’une femme poè-te anglo-franco-russe (mademoiselle Eveline Cattermo-le) née, de père anglais et de mère russe, à Cannes, enProvence, le 23 ottobre 1858. Elle a été élevée pendantquattre ans au Sacré Cœur de Paris et a achevé son édu-cation en famille...» Anche Guido Mazzoni, nell’Otto-cento segue la data del De Gubernatis.

Eugenia Levi in Dai nostri poeti viventi, e dopo di leiil Croce ed altri la fanno nascere a Firenze nel 1851.Nessuna delle due date è convincente se si considerache il primo volume di Eva Cattermole è del 1867; ciòsignificherebbe che fu pubblicato quando l’autrice ave-va nove, o nel migliore dei casi sedici anni. Impossibile,perchè il volume, pur non essendo niente di eccezionale,dimostra una conoscenza della vita troppo difficile aquell’età. D’altro canto le ricerche fatte negli archivi del

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si.» E l’ambiente della Badia Fiesolana deve essere ri-masto molto vivo anche nella memoria della bambinaCattermole, se molti anni più tardi, e cioè nel 1893 potèdescriverlo molto vivacemente, in una sua novella inti-tolata la Rosona, e che fa parte del volume Storied’amore e di dolore.

*

Quando era nata l’Evelina, e dove? Il De Gubernatisnel suo Dictionnaire international des écrivains du jourdice: «Lara (Contessa) nom de plume d’une femme poè-te anglo-franco-russe (mademoiselle Eveline Cattermo-le) née, de père anglais et de mère russe, à Cannes, enProvence, le 23 ottobre 1858. Elle a été élevée pendantquattre ans au Sacré Cœur de Paris et a achevé son édu-cation en famille...» Anche Guido Mazzoni, nell’Otto-cento segue la data del De Gubernatis.

Eugenia Levi in Dai nostri poeti viventi, e dopo di leiil Croce ed altri la fanno nascere a Firenze nel 1851.Nessuna delle due date è convincente se si considerache il primo volume di Eva Cattermole è del 1867; ciòsignificherebbe che fu pubblicato quando l’autrice ave-va nove, o nel migliore dei casi sedici anni. Impossibile,perchè il volume, pur non essendo niente di eccezionale,dimostra una conoscenza della vita troppo difficile aquell’età. D’altro canto le ricerche fatte negli archivi del

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Sacré Cœur a Parigi non hanno dato nessuna traccia del-la educanda Eva Cattermole.

Federigo Verdinois nei suoi Ricordi Giornalistici,scherzando, molto probabilmente ha ragione quando af-ferma che il Dizionario del De Gubernatis è stato com-pilato da ciascun autore per proprio conto. La contessaLara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poiscrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre russa oltre che dapadre inglese, e di essere stata educata al Sacré Cœur.Questa sua fantasticheria di essere nata in Francia, la ri-troviamo poi nel 1892 nella Tribuna Illustrata in una ru-brica che la Contessa Lara scriveva sotto il titolo diCronaca femminile, dove parlava quasi esclusivamentedi mode. In una di queste cronache, facendo della recla-me ad una casa di profumi di Francoforte sul Meno elladice:

«Ero un po’ prevenuta contrariamente, lo confesso:non per niente si è nati dal suolo di Francia. Ma dinanziall’evidenza dei fatti... ecc., ecc.»

In quanto al diminuirsi gli anni il peccato è tanto co-mune che non è più peccato. Una volta un amico lechiese:

— Quando sei nata?Al che ella rispose con quella grazia che era solamen-

te sua:— Il giorno tale, del mese tale, dell’anno tale, quando

mi baciasti la prima volta.

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Sacré Cœur a Parigi non hanno dato nessuna traccia del-la educanda Eva Cattermole.

Federigo Verdinois nei suoi Ricordi Giornalistici,scherzando, molto probabilmente ha ragione quando af-ferma che il Dizionario del De Gubernatis è stato com-pilato da ciascun autore per proprio conto. La contessaLara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poiscrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre russa oltre che dapadre inglese, e di essere stata educata al Sacré Cœur.Questa sua fantasticheria di essere nata in Francia, la ri-troviamo poi nel 1892 nella Tribuna Illustrata in una ru-brica che la Contessa Lara scriveva sotto il titolo diCronaca femminile, dove parlava quasi esclusivamentedi mode. In una di queste cronache, facendo della recla-me ad una casa di profumi di Francoforte sul Meno elladice:

«Ero un po’ prevenuta contrariamente, lo confesso:non per niente si è nati dal suolo di Francia. Ma dinanziall’evidenza dei fatti... ecc., ecc.»

In quanto al diminuirsi gli anni il peccato è tanto co-mune che non è più peccato. Una volta un amico lechiese:

— Quando sei nata?Al che ella rispose con quella grazia che era solamen-

te sua:— Il giorno tale, del mese tale, dell’anno tale, quando

mi baciasti la prima volta.

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E per parecchi anni, quel giorno, ella festeggiò lanuova data di nascita.

Ma bisognava trovare la data vera. Cercarla a Can-nes? A Firenze? Certo dall’atto di morte doveva risulta-re l’anno di nascita. Delusione. L’atto di morte del Co-mune di Roma è inesatto; in esso si certifica che: «....nel giorno primo dicembre corrente (1896) morì inRoma Cattermole Evelina di anni quarantadue, pubblici-sta, residente in Roma Via Sistina N. 27; nata a Cannes(Francia) dal fu Cesare e da (ignorasi), coniugata aMancini Eugenio».

Secondo questo atto l’Evelina sarebbe dunque natanel 1854. Finalmente dal R. Archivio di Stato di Firen-ze, Sezione 3, Stato civile Toscano, ho potuto avere ilcertificato di nascita:

«Cattermole Eva Giovanna Antonietta di Guglielmo edi Sandusch Elisa, nacque a Firenze il ventisei ottobre1849».

Come si vede nell’atto di morte, oltre la data di nasci-ta, è sbagliata la paternità e mancano nome e cognomedella madre.

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Guglielmo Cattermole non era molto alto di statura,un poco pingue, con la testa ricciuta e già grigia nel1868 quando si recava a dare lezione d’inglese a Luigi,

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E per parecchi anni, quel giorno, ella festeggiò lanuova data di nascita.

Ma bisognava trovare la data vera. Cercarla a Can-nes? A Firenze? Certo dall’atto di morte doveva risulta-re l’anno di nascita. Delusione. L’atto di morte del Co-mune di Roma è inesatto; in esso si certifica che: «....nel giorno primo dicembre corrente (1896) morì inRoma Cattermole Evelina di anni quarantadue, pubblici-sta, residente in Roma Via Sistina N. 27; nata a Cannes(Francia) dal fu Cesare e da (ignorasi), coniugata aMancini Eugenio».

Secondo questo atto l’Evelina sarebbe dunque natanel 1854. Finalmente dal R. Archivio di Stato di Firen-ze, Sezione 3, Stato civile Toscano, ho potuto avere ilcertificato di nascita:

«Cattermole Eva Giovanna Antonietta di Guglielmo edi Sandusch Elisa, nacque a Firenze il ventisei ottobre1849».

Come si vede nell’atto di morte, oltre la data di nasci-ta, è sbagliata la paternità e mancano nome e cognomedella madre.

*

Guglielmo Cattermole non era molto alto di statura,un poco pingue, con la testa ricciuta e già grigia nel1868 quando si recava a dare lezione d’inglese a Luigi,

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a Camillo, a Giannino Antona Traversi (allora piccolis-simo) e alla loro sorella Margherita, divenuta poi Con-tessa Colleoni; le altre due sorelle, Teresita, ora vedovaGiampietro, e Bice moglie del Presidente dell’Accade-mia d’Italia Tommaso Tittoni, erano allora troppo picci-ne per imparare le lingue straniere. La famiglia AntonaTraversi si era nel 1868 stabilita a Firenze perchè il pa-dre era deputato al Parlamento Nazionale e rappresenta-va il Collegio di Massafra di Lecce. Abitavano il pianoterreno del magnifico palazzo Poniatowski che fu poiacquistato dal conte di Mirafiori e quindi dal marchesedi Montagliari.

Guglielmo Cattermole parlava spesso agli scolari del-la sua figliuola Eva, esaltandone l’ingegno e la grandebellezza bionda; era anche dilettante pittore, tipo strano,vivace, e pieno di debiti. Era stato console a Cannes;poi, forse per il suo spirito inquieto, andò a piantare letende a Firenze e per protezione, pare, della Corte di Lo-rena ottenne un posto d’insegnante d’inglese all’IstitutoTecnico. La piccola Eva imparava musica dalla madre ele lingue straniere dal padre, così che prestissimo ellapotè parlare e scrivere, oltre l’italiano, il francese,l’inglese e lo spagnolo.

Per l’italiano ebbe maestra la signorina MariannaGiarrè che passava per buona educatrice. Era figlia delGiarrè, famoso maestro di calligrafia, editore dei suoimodelli calligrafici. Marianna scriveva dei versi leggia-dri che piacquero anche al Carducci per una certa venaaggraziata e fluida. Una raccolta di questi versi fu pub-

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a Camillo, a Giannino Antona Traversi (allora piccolis-simo) e alla loro sorella Margherita, divenuta poi Con-tessa Colleoni; le altre due sorelle, Teresita, ora vedovaGiampietro, e Bice moglie del Presidente dell’Accade-mia d’Italia Tommaso Tittoni, erano allora troppo picci-ne per imparare le lingue straniere. La famiglia AntonaTraversi si era nel 1868 stabilita a Firenze perchè il pa-dre era deputato al Parlamento Nazionale e rappresenta-va il Collegio di Massafra di Lecce. Abitavano il pianoterreno del magnifico palazzo Poniatowski che fu poiacquistato dal conte di Mirafiori e quindi dal marchesedi Montagliari.

Guglielmo Cattermole parlava spesso agli scolari del-la sua figliuola Eva, esaltandone l’ingegno e la grandebellezza bionda; era anche dilettante pittore, tipo strano,vivace, e pieno di debiti. Era stato console a Cannes;poi, forse per il suo spirito inquieto, andò a piantare letende a Firenze e per protezione, pare, della Corte di Lo-rena ottenne un posto d’insegnante d’inglese all’IstitutoTecnico. La piccola Eva imparava musica dalla madre ele lingue straniere dal padre, così che prestissimo ellapotè parlare e scrivere, oltre l’italiano, il francese,l’inglese e lo spagnolo.

Per l’italiano ebbe maestra la signorina MariannaGiarrè che passava per buona educatrice. Era figlia delGiarrè, famoso maestro di calligrafia, editore dei suoimodelli calligrafici. Marianna scriveva dei versi leggia-dri che piacquero anche al Carducci per una certa venaaggraziata e fluida. Una raccolta di questi versi fu pub-

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blicata dal Sansoni di Firenze. Erano amici della giova-ne Marianna e discutevano e conversavano piacevol-mente con lei, Pietro Giannone, l’Aleardi, il Tommaseo,il veneziano Dall’Ongaro, il Prati e i più noti scrittori ederuditi del tempo. Nel ’66 era fidanzata ad un giovane,Luigi Billi, che divenne poi un bravissimo medico. Fuallora che la Marianna gli cucì con le sue mani la cami-cia rossa, e gli nascose tra la fodera e la stoffa una me-daglia benedetta e credette sempre che, se il suo Luigiritornò sano e salvo dopo Bezzecca, lo dovè proprio aquell’amuleto.

La felicità pareva aver preso dimora nella casa dei co-niugi Giarrè-Billi; da due anni anche una bimba era ve-nuta con la gioia del suo sorriso. Ma la morte se la portòvia. In una vetrina del salotto la signora Marianna tennesempre la maschera in gesso della piccola morta ravvol-ta in veli bianchi e un orologio che nessuno mai piùebbe il coraggio di caricare. L’orologio sul comodinodella bambina ammalata serviva per segnare l’ora disomministrarle le medicine e quando la bambina spirò,per un caso veramente strano, anche l’orologio rimasefermo.

In questa casa il Carducci fu sempre ospite ogni voltache da Bologna andò per ragioni di studio o per diportoa Firenze.

Si dice anche che i coniugi Billi si adoperassero comepacieri, ma inutilmente, fra Carducci e Rapisardi dopole famose polemiche sull’undecimo canto del Lucifero.

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blicata dal Sansoni di Firenze. Erano amici della giova-ne Marianna e discutevano e conversavano piacevol-mente con lei, Pietro Giannone, l’Aleardi, il Tommaseo,il veneziano Dall’Ongaro, il Prati e i più noti scrittori ederuditi del tempo. Nel ’66 era fidanzata ad un giovane,Luigi Billi, che divenne poi un bravissimo medico. Fuallora che la Marianna gli cucì con le sue mani la cami-cia rossa, e gli nascose tra la fodera e la stoffa una me-daglia benedetta e credette sempre che, se il suo Luigiritornò sano e salvo dopo Bezzecca, lo dovè proprio aquell’amuleto.

La felicità pareva aver preso dimora nella casa dei co-niugi Giarrè-Billi; da due anni anche una bimba era ve-nuta con la gioia del suo sorriso. Ma la morte se la portòvia. In una vetrina del salotto la signora Marianna tennesempre la maschera in gesso della piccola morta ravvol-ta in veli bianchi e un orologio che nessuno mai piùebbe il coraggio di caricare. L’orologio sul comodinodella bambina ammalata serviva per segnare l’ora disomministrarle le medicine e quando la bambina spirò,per un caso veramente strano, anche l’orologio rimasefermo.

In questa casa il Carducci fu sempre ospite ogni voltache da Bologna andò per ragioni di studio o per diportoa Firenze.

Si dice anche che i coniugi Billi si adoperassero comepacieri, ma inutilmente, fra Carducci e Rapisardi dopole famose polemiche sull’undecimo canto del Lucifero.

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Quando Evelina cominciò a scrivere versi? Ce lo dicelei stessa in un articolo su Marianna Giarrè Billi: «...cor-revo nel giardino dove rovinavo le piante per fare il soli-to mazzo a mia madre, m’era saltato in testa di offrir-glielo con dei versi. Detto fatto, insudicio un foglio conla mia grossa calligrafia incerta, un bel foglio dov’era acapo un cuore scarlatto a fiamme gialle, traversato dauna freccia d’argento, di quelli sui quali la cameriera mifaceva scrivere al damo; e contenta di me, vado a posartutto, fiori e versi, sulle ginocchia di mia madre. Ellaprese il mazzo, mi abbracciò: poi posati gli occhi sullacarta: – Da dove hai copiato questa roba? – domandòscherzando. Io, timida, con un risolino fanciullesco e di-ventando un buon po’ rossa, le risposi che erano versimiei; ma allora mia madre, fatta seria, m’intimò di dirlesubito la pura e schietta verità, sotto pena d’una punizio-ne: e siccome io, piagnucolando, badavo a sostenere chequella era proprio tutta farina del mio grano, ella, noncredendo alle mie proteste, mi discacciò, stizzita, dallastanza.

«Per buona sorte, capitò in casa nostra Dall’Ongaro.Chi non se lo ricorda quel bel vecchio dagli occhi riden-ti più delle labbra, dall’espressione dolce e spiritosa?Dall’Ongaro vedendomi imbronciata e con gli occhirossi, domandò a mia madre che cosa avessi.

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Quando Evelina cominciò a scrivere versi? Ce lo dicelei stessa in un articolo su Marianna Giarrè Billi: «...cor-revo nel giardino dove rovinavo le piante per fare il soli-to mazzo a mia madre, m’era saltato in testa di offrir-glielo con dei versi. Detto fatto, insudicio un foglio conla mia grossa calligrafia incerta, un bel foglio dov’era acapo un cuore scarlatto a fiamme gialle, traversato dauna freccia d’argento, di quelli sui quali la cameriera mifaceva scrivere al damo; e contenta di me, vado a posartutto, fiori e versi, sulle ginocchia di mia madre. Ellaprese il mazzo, mi abbracciò: poi posati gli occhi sullacarta: – Da dove hai copiato questa roba? – domandòscherzando. Io, timida, con un risolino fanciullesco e di-ventando un buon po’ rossa, le risposi che erano versimiei; ma allora mia madre, fatta seria, m’intimò di dirlesubito la pura e schietta verità, sotto pena d’una punizio-ne: e siccome io, piagnucolando, badavo a sostenere chequella era proprio tutta farina del mio grano, ella, noncredendo alle mie proteste, mi discacciò, stizzita, dallastanza.

«Per buona sorte, capitò in casa nostra Dall’Ongaro.Chi non se lo ricorda quel bel vecchio dagli occhi riden-ti più delle labbra, dall’espressione dolce e spiritosa?Dall’Ongaro vedendomi imbronciata e con gli occhirossi, domandò a mia madre che cosa avessi.

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«— La sgridi, la sgridi, professore – gli rispondevaella rabbonita, scrollando il capo su cui l’onde dei capel-li gettavano dei riflessi d’oro. – È cattiva, dice delle bu-gie alla mamma. Si figuri che c’è stata burrasca perchèmi vorrebbe far credere che questi versi sono suoi; li hasciupati lei, s’intende, ma chi sa dove li ha presi! – Eporgeva, così dicendo, il mio scarabocchio al poeta.Egli, che mi teneva sulle ginocchia, lo prese col suo so-lito sorriso fino, sorriso che andava facendosi ancor piùdolce man mano che leggeva quella mia birbonata zop-pa ed informe e ch’io mi gingillavo confusa, intreccian-do la sua lunga barba bianca colle ditine. Quand’ebbe fi-nito, ripiegò il foglio, lo restituì a mia madre, fra i cui ri-cordi si trova ancora, e baciandomi in faccia, mi disse: –D’ora innanzi, quando scriverai de’ versi, falli vedere ame! Poi, lascia fare, ti troverò io una maestra brava, unapoetessa vera.... E questa fu Marianna Giarrè, che nonseppe dir di no al comune amico quand’egli la pregò dioccuparsi de’ miei primi tentativi letterarî.»

Fra musica, arte e poesia, cresceva e fioriva l’Evelina.Era già nota per i suoi garbati versi, dice Ugo Pesci inFirenze Capitale, una graziosissima signorina bionda,che pareva scesa da un quadro di Watteau o di Boucher,quando, uscendo dalla Messa della Santissima Annun-ziata, andava verso San Marco e per via Cavour....

Nel 1867 uscì coi tipi di M. Cellini e C. alla Galileia-na in Firenze un libro di poesie Canti e Ghirlande dedi-cato alla madre che frattanto era morta. Il libro di circatrecento pagine è diviso in sei parti. La prima, Primi

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«— La sgridi, la sgridi, professore – gli rispondevaella rabbonita, scrollando il capo su cui l’onde dei capel-li gettavano dei riflessi d’oro. – È cattiva, dice delle bu-gie alla mamma. Si figuri che c’è stata burrasca perchèmi vorrebbe far credere che questi versi sono suoi; li hasciupati lei, s’intende, ma chi sa dove li ha presi! – Eporgeva, così dicendo, il mio scarabocchio al poeta.Egli, che mi teneva sulle ginocchia, lo prese col suo so-lito sorriso fino, sorriso che andava facendosi ancor piùdolce man mano che leggeva quella mia birbonata zop-pa ed informe e ch’io mi gingillavo confusa, intreccian-do la sua lunga barba bianca colle ditine. Quand’ebbe fi-nito, ripiegò il foglio, lo restituì a mia madre, fra i cui ri-cordi si trova ancora, e baciandomi in faccia, mi disse: –D’ora innanzi, quando scriverai de’ versi, falli vedere ame! Poi, lascia fare, ti troverò io una maestra brava, unapoetessa vera.... E questa fu Marianna Giarrè, che nonseppe dir di no al comune amico quand’egli la pregò dioccuparsi de’ miei primi tentativi letterarî.»

Fra musica, arte e poesia, cresceva e fioriva l’Evelina.Era già nota per i suoi garbati versi, dice Ugo Pesci inFirenze Capitale, una graziosissima signorina bionda,che pareva scesa da un quadro di Watteau o di Boucher,quando, uscendo dalla Messa della Santissima Annun-ziata, andava verso San Marco e per via Cavour....

Nel 1867 uscì coi tipi di M. Cellini e C. alla Galileia-na in Firenze un libro di poesie Canti e Ghirlande dedi-cato alla madre che frattanto era morta. Il libro di circatrecento pagine è diviso in sei parti. La prima, Primi

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pensieri, è dedicata al padre; la seconda, Melanconie,alla sorella Eufròsina; la terza, Garzoni, a Pietro Gian-none, il martire repubblicano, vissuto per ventotto annisenza casa, senza tetto, senza rifugio;2 la quarta, Ricordi,a S. A. la Principessa Elisa Poniatowska; la quinta, Bal-late, all’amica Elvira Spannocchia; e l’ultima, Rispetti, aMarianna Giarrè.

Il libro rende molto bene il carattere della giovinetta:tenero, semplice, sincero, tutto pervaso da affetti fami-liari, educato alla poesia dell’aereo romanticismo verbo-so dell’Aleardi e del Prati. E la sua musa è tutta infioratadella usuale paccottiglia dell’epoca: viole del pensiero,non-ti-scordar-di-me, luna, cimiteri, e tutte le melanco-nie sentimentali possibili e immaginabili. C’è una poe-sia intitolata Per aver perduto un cuoricino donatomidalla mamma. Un’altra L’avvenire color di rosa,un’altra Sempre mesta; e c’è anche, sì, un Passero soli-tario ridotto a strofe metastasiane. Non mancano natu-ralmente i canti patriottici come Il Garibaldino morente:

Evviva GaribaldiE tutti i so’ soldà!

oppure L’addio del soldato italiano o la Figlia del Reg-gimento che dice:

2 Nato a Camposanto di Modena il 16 marzo 1798, morto a Firenze il 24dicembre 1872. Fu autore del poemetto L’Esule e il Giusti gli dedicò La repub-blica.

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pensieri, è dedicata al padre; la seconda, Melanconie,alla sorella Eufròsina; la terza, Garzoni, a Pietro Gian-none, il martire repubblicano, vissuto per ventotto annisenza casa, senza tetto, senza rifugio;2 la quarta, Ricordi,a S. A. la Principessa Elisa Poniatowska; la quinta, Bal-late, all’amica Elvira Spannocchia; e l’ultima, Rispetti, aMarianna Giarrè.

Il libro rende molto bene il carattere della giovinetta:tenero, semplice, sincero, tutto pervaso da affetti fami-liari, educato alla poesia dell’aereo romanticismo verbo-so dell’Aleardi e del Prati. E la sua musa è tutta infioratadella usuale paccottiglia dell’epoca: viole del pensiero,non-ti-scordar-di-me, luna, cimiteri, e tutte le melanco-nie sentimentali possibili e immaginabili. C’è una poe-sia intitolata Per aver perduto un cuoricino donatomidalla mamma. Un’altra L’avvenire color di rosa,un’altra Sempre mesta; e c’è anche, sì, un Passero soli-tario ridotto a strofe metastasiane. Non mancano natu-ralmente i canti patriottici come Il Garibaldino morente:

Evviva GaribaldiE tutti i so’ soldà!

oppure L’addio del soldato italiano o la Figlia del Reg-gimento che dice:

2 Nato a Camposanto di Modena il 16 marzo 1798, morto a Firenze il 24dicembre 1872. Fu autore del poemetto L’Esule e il Giusti gli dedicò La repub-blica.

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Quando il soldato – per la mitragliaVeggo morente – nella battagliaIo gli sussurro – dolente – addio –Martire santo – del suol natìo;

c’è una Serenata in Ispagna che comincia:

Salve o gentil dimora

che ricorda molto da vicino il libretto del Faust:

Salve o dimora casta e pura

e c’è anche un Lamento di Margherita che è una invo-lontaria parodia goethiana.

L’Evelina comincia a pensare all’amore:

IL PRIMO AMORE

Io lo conobbi nell’età primieraIl giovanetto che m’accese il cor,Tanto l’amai, che mio pensier sol eraDi partire con lui pene e dolor.

O come mi pareva bello e gentileQuando vèr me il vedea muovere il pièE il suo parlare a un’armonia simìlePromessa eterna mi parea di fe’.

Come era bella la sua chioma brunaCarezzata dal mite venticel,

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Quando il soldato – per la mitragliaVeggo morente – nella battagliaIo gli sussurro – dolente – addio –Martire santo – del suol natìo;

c’è una Serenata in Ispagna che comincia:

Salve o gentil dimora

che ricorda molto da vicino il libretto del Faust:

Salve o dimora casta e pura

e c’è anche un Lamento di Margherita che è una invo-lontaria parodia goethiana.

L’Evelina comincia a pensare all’amore:

IL PRIMO AMORE

Io lo conobbi nell’età primieraIl giovanetto che m’accese il cor,Tanto l’amai, che mio pensier sol eraDi partire con lui pene e dolor.

O come mi pareva bello e gentileQuando vèr me il vedea muovere il pièE il suo parlare a un’armonia simìlePromessa eterna mi parea di fe’.

Come era bella la sua chioma brunaCarezzata dal mite venticel,

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Allorquando splendea vaga la lunaCome candida gemma in mezzo al ciel!

O giovinetto la tua ricordanzaSì dolce parmi che m’avviva il cor.Or che l’ultima mia mesta speranzaCome un raggio di sol celasi e muor!

Tanto i canti patriottici con tutto il garibaldinismo e lestrofe per Venezia – scritte prima del ’66 – come del re-sto il gusto dei rispetti popolari sono certamente sottol’influsso diretto del Dall’Ongaro.

L’Evelina che frequentava anche molto la coloniastraniera conosceva pure i poeti inglesi; e già in questovolume ha delle aggraziate traduzioni di Moore comeHere’s the Bower e un frammento dell’Ode a Nea.

In Canti e Ghirlande vi sono spesso accenni a quelsuo primo amore di fanciulla per un giovane – pare –sud-americano che un bel giorno se ne tornò in patria la-sciando l’Evelina a meditare e a verseggiare assai me-lanconicamente sui giuramenti e sulla fedeltà degli uo-mini. Ne dànno esempio le poesie: Vivi felice, la grazio-sa e semplice Preghiera, la Tradita e anche Non m’amipiù:

Ma il tuo nome l’ho già dimenticato,Non lo ripete l’eco mai quaggiù....Fra le meste memorie del passatoHo scritto quella che non m’ami più.

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Allorquando splendea vaga la lunaCome candida gemma in mezzo al ciel!

O giovinetto la tua ricordanzaSì dolce parmi che m’avviva il cor.Or che l’ultima mia mesta speranzaCome un raggio di sol celasi e muor!

Tanto i canti patriottici con tutto il garibaldinismo e lestrofe per Venezia – scritte prima del ’66 – come del re-sto il gusto dei rispetti popolari sono certamente sottol’influsso diretto del Dall’Ongaro.

L’Evelina che frequentava anche molto la coloniastraniera conosceva pure i poeti inglesi; e già in questovolume ha delle aggraziate traduzioni di Moore comeHere’s the Bower e un frammento dell’Ode a Nea.

In Canti e Ghirlande vi sono spesso accenni a quelsuo primo amore di fanciulla per un giovane – pare –sud-americano che un bel giorno se ne tornò in patria la-sciando l’Evelina a meditare e a verseggiare assai me-lanconicamente sui giuramenti e sulla fedeltà degli uo-mini. Ne dànno esempio le poesie: Vivi felice, la grazio-sa e semplice Preghiera, la Tradita e anche Non m’amipiù:

Ma il tuo nome l’ho già dimenticato,Non lo ripete l’eco mai quaggiù....Fra le meste memorie del passatoHo scritto quella che non m’ami più.

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La badia fiesolana.

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La badia fiesolana.

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Il prof. Guglielmo Cattermole (padre della contessa).

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Il prof. Guglielmo Cattermole (padre della contessa).

Page 27: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

Sono da notarsi in queste poesie così giovanili alcunisintomi di stanchezza della vita, di bisogno di riposo: ri-corre spesso il motivo dormirò, dormirò che poi trove-remo sviluppato nella tragica veemenza – dopo moltianni – degli ultimi versi.

Poesie di una signorina sensibile e intelligente – nien-te altro questi Canti e Ghirlande – che si commuove an-che molto per Carlotta e Massimiliano i quali le ispira-no delle sestine facilone e risonanti.

Nei rispetti ce n’è di veramente graziosi, alcuni deiquali furono musicati. Eccone uno fra gli altri:

SE SIETE BUONA

Se siete buona vi darò un anelloDove nel mezzo ci sarà un rubino,Se siete buona vi darò un augelloChe avrà le penne del color turchino,Che avrà le penne del color del sole,E un mazzolin di rose e di viole;Poi vi darò la chiave del mio core,Quando l’aprite troverete AmoreE del mio core vi farò padronaMa bene inteso.... Se sarete buona!

*

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Sono da notarsi in queste poesie così giovanili alcunisintomi di stanchezza della vita, di bisogno di riposo: ri-corre spesso il motivo dormirò, dormirò che poi trove-remo sviluppato nella tragica veemenza – dopo moltianni – degli ultimi versi.

Poesie di una signorina sensibile e intelligente – nien-te altro questi Canti e Ghirlande – che si commuove an-che molto per Carlotta e Massimiliano i quali le ispira-no delle sestine facilone e risonanti.

Nei rispetti ce n’è di veramente graziosi, alcuni deiquali furono musicati. Eccone uno fra gli altri:

SE SIETE BUONA

Se siete buona vi darò un anelloDove nel mezzo ci sarà un rubino,Se siete buona vi darò un augelloChe avrà le penne del color turchino,Che avrà le penne del color del sole,E un mazzolin di rose e di viole;Poi vi darò la chiave del mio core,Quando l’aprite troverete AmoreE del mio core vi farò padronaMa bene inteso.... Se sarete buona!

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La principessa Elisa Poniatowska aveva un salottofrequentato da amici intimi e maestri di musica che fu erimase per tutta la vita la sua passione.

I Poniatowski, narra Ferdinando Martini in Confes-sioni e ricordi, erano discendenti di un re, Stanislao diPolonia, ma vollero la cittadinanza toscana. «Erano trefratelli. Michele deforme, fattasi della deformità una in-fermità, si pose un bel giorno a letto, e a letto rimase peruna trentina di anni fino alla morte. Carlo e Giuseppenacquero con singolari attitudini alla musica, all’arte delcanto particolarmente; attitudini che lo studio e l’eserci-zio condussero a grande maestria, Carlo si sposò conuna contessa Montecatini, cantatrice eccellente, i tre nonsdegnarono di montare sui teatri di Livorno, di Lucca, diFirenze ed aiutarvi con gli incassi, pingui per la curiosi-tà del pubblico e la valentia degli artisti, questo o quelloistituto di beneficenza. E a Firenze si serbò lungamentememoria di una Lucrezia Borgia rappresentata al teatrodel Cocomero, spettacolo memorando anche per questo:che fra un atto e l’altro, si servirono, a spese dei cantantirinfreschi agli spettatori, e una cena da ultimo.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .....Donizetti che scrisse per loro e nella casa loro la Pa-risina da rappresentarsi sul teatro imperiale di Vienna: ilDonizetti il quale asserì che la sua Lucrezia non ebbemai esecuzione come quella perfetta, e nessun tenorecantò meglio di Giuseppe Poniatowski la cavatina diGennaro, nessuno con altrettale felicità di espressione.»

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La principessa Elisa Poniatowska aveva un salottofrequentato da amici intimi e maestri di musica che fu erimase per tutta la vita la sua passione.

I Poniatowski, narra Ferdinando Martini in Confes-sioni e ricordi, erano discendenti di un re, Stanislao diPolonia, ma vollero la cittadinanza toscana. «Erano trefratelli. Michele deforme, fattasi della deformità una in-fermità, si pose un bel giorno a letto, e a letto rimase peruna trentina di anni fino alla morte. Carlo e Giuseppenacquero con singolari attitudini alla musica, all’arte delcanto particolarmente; attitudini che lo studio e l’eserci-zio condussero a grande maestria, Carlo si sposò conuna contessa Montecatini, cantatrice eccellente, i tre nonsdegnarono di montare sui teatri di Livorno, di Lucca, diFirenze ed aiutarvi con gli incassi, pingui per la curiosi-tà del pubblico e la valentia degli artisti, questo o quelloistituto di beneficenza. E a Firenze si serbò lungamentememoria di una Lucrezia Borgia rappresentata al teatrodel Cocomero, spettacolo memorando anche per questo:che fra un atto e l’altro, si servirono, a spese dei cantantirinfreschi agli spettatori, e una cena da ultimo.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .....Donizetti che scrisse per loro e nella casa loro la Pa-risina da rappresentarsi sul teatro imperiale di Vienna: ilDonizetti il quale asserì che la sua Lucrezia non ebbemai esecuzione come quella perfetta, e nessun tenorecantò meglio di Giuseppe Poniatowski la cavatina diGennaro, nessuno con altrettale felicità di espressione.»

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Ma dopo il «’48 Firenze vide ancora la PrincipessaElisa attorniata dalla affettuosa compagnia di amici nu-merosissimi; seppe sovvenuta co’ resti dell’antica opu-lenza ogni utile istituzione paesana; ma i balli di casaPoniatowski, splendidi esempi di sontuosità signorile edi buon gusto, bisognò si contentasse di ricordarli.»3 Nel1867, la principessa Poniatowska, volle che a benefiziodi un pio istituto alcuni giovani che frequentavano il suosalotto recitassero sulle scene del teatro Niccolini loSganarello di Molière tradotto da Don Lorenzo dei Prin-cipi Corsini. Ferdinando Martini era Lelio, Celia la si-gnorina Evelina Cattermole, rosea e biondissima, il cuipadre era un assiduo del salotto di Elisa Poniatowska.

*

Oltre il salotto Poniatowski l’Evelina andava ai diver-tentissimi giovedì nella lussuosa casa in piazza SantoSpirito di Maria Solms Bonaparte Wyse de Rude mogliedi Urbano Rattazzi e che Alfonso Daudet aveva chiama-ta «la principessa internazionale», la quale ebbe unagrande celebrità a Firenze più che altro per le sue strava-ganze dal 1864 al 1870.

Racconta Ugo Pesci in Firenze Capitale che la signo-ra Rattazzi era instancabile. «Miope all’eccesso prende-

3 FERDINANDO MARTINI, Confessioni e ricordi, (Firenze Granducale),Milano, Treves.

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Ma dopo il «’48 Firenze vide ancora la PrincipessaElisa attorniata dalla affettuosa compagnia di amici nu-merosissimi; seppe sovvenuta co’ resti dell’antica opu-lenza ogni utile istituzione paesana; ma i balli di casaPoniatowski, splendidi esempi di sontuosità signorile edi buon gusto, bisognò si contentasse di ricordarli.»3 Nel1867, la principessa Poniatowska, volle che a benefiziodi un pio istituto alcuni giovani che frequentavano il suosalotto recitassero sulle scene del teatro Niccolini loSganarello di Molière tradotto da Don Lorenzo dei Prin-cipi Corsini. Ferdinando Martini era Lelio, Celia la si-gnorina Evelina Cattermole, rosea e biondissima, il cuipadre era un assiduo del salotto di Elisa Poniatowska.

*

Oltre il salotto Poniatowski l’Evelina andava ai diver-tentissimi giovedì nella lussuosa casa in piazza SantoSpirito di Maria Solms Bonaparte Wyse de Rude mogliedi Urbano Rattazzi e che Alfonso Daudet aveva chiama-ta «la principessa internazionale», la quale ebbe unagrande celebrità a Firenze più che altro per le sue strava-ganze dal 1864 al 1870.

Racconta Ugo Pesci in Firenze Capitale che la signo-ra Rattazzi era instancabile. «Miope all’eccesso prende-

3 FERDINANDO MARTINI, Confessioni e ricordi, (Firenze Granducale),Milano, Treves.

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Page 30: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

va dei curiosi equivoci, e si doveva forse a questa mio-pia la confusione che regnava nella sua casa e la indi-screta indisciplina con la quale al momento della cena,provvedutosi ciascuno di un piatto di risotto o di galan-tina o di una bottiglia di champagne, gli invitati si spar-pagliavano per tutte le stanze. Le allegre riunioni nonterminavano mai prima di giorno, perchè dopo cena,l’onorevole ex-presidente del Consiglio si ritirava, gliuomini politici sparivano e si cominciava un cotillonanimatissimo.»

La Rattazzi pubblicava Les matinées italiennes. Lon-tana parente dell’Imperatore e amica di letterati e di po-litici, non le mancavano certo gli editori. Pubblicò unromanzo Le chemin du Paradis, uscito quando Rattazziera presidente del Consiglio che destò un immenso scal-pore, perchè in un capitolo che faceva parte d’una serieintitolata Le piège aux maris e che portava il sottotitoloBicheville, vi si riconobbero dipinti vivacemente, e nonbenevolmente, uomini e signore del tempo. Lo scandalodilagò, si disse di una quantità di vertenze cavallereschefra Rattazzi e i gentiluomini offesi; ma il più indignatodi tutti fu il marchese Carlo Giovacchino Pepoli, senato-re e buon diplomatico imparentato lui pure con la fami-glia imperiale napoleonica e per parte di moglie anchecon gli Hohenzollern. Fra lui e la Rattazzi ci fu odiogiurato, e il Pepoli arrivò a dire che, se la principessa in-ternazionale avesse ancora osato presentarsi al suo pa-lazzo, l’avrebbe fatta scacciare dai servi. Di qui nacquela questione personale fra lui e Rattazzi, per cui Vittorio

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va dei curiosi equivoci, e si doveva forse a questa mio-pia la confusione che regnava nella sua casa e la indi-screta indisciplina con la quale al momento della cena,provvedutosi ciascuno di un piatto di risotto o di galan-tina o di una bottiglia di champagne, gli invitati si spar-pagliavano per tutte le stanze. Le allegre riunioni nonterminavano mai prima di giorno, perchè dopo cena,l’onorevole ex-presidente del Consiglio si ritirava, gliuomini politici sparivano e si cominciava un cotillonanimatissimo.»

La Rattazzi pubblicava Les matinées italiennes. Lon-tana parente dell’Imperatore e amica di letterati e di po-litici, non le mancavano certo gli editori. Pubblicò unromanzo Le chemin du Paradis, uscito quando Rattazziera presidente del Consiglio che destò un immenso scal-pore, perchè in un capitolo che faceva parte d’una serieintitolata Le piège aux maris e che portava il sottotitoloBicheville, vi si riconobbero dipinti vivacemente, e nonbenevolmente, uomini e signore del tempo. Lo scandalodilagò, si disse di una quantità di vertenze cavallereschefra Rattazzi e i gentiluomini offesi; ma il più indignatodi tutti fu il marchese Carlo Giovacchino Pepoli, senato-re e buon diplomatico imparentato lui pure con la fami-glia imperiale napoleonica e per parte di moglie anchecon gli Hohenzollern. Fra lui e la Rattazzi ci fu odiogiurato, e il Pepoli arrivò a dire che, se la principessa in-ternazionale avesse ancora osato presentarsi al suo pa-lazzo, l’avrebbe fatta scacciare dai servi. Di qui nacquela questione personale fra lui e Rattazzi, per cui Vittorio

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Emanuele stesso dovette interporsi ed accomodarel’incresciosa faccenda. Fu composto un giurì d’onore dicui fece parte anche il giurista Carlo Cadorna, fratellodel generale Raffaele. Ma intanto la signora Rattazziscriveva alla Gazzetta d’Italia che nello Chemin du Pa-radis non aveva mai pensato di fare allusioni a Firenze emolto meno ai fiorentini e alle fiorentine. Dopo di che laprincipessa pensò bene di cambiare aria, andò a Parigi, el’incidente fu chiuso.

La Rattazzi aveva fatto costruire a casa un teatro chechiamava le Folies internationales dove si cantava e sirecitavano vaudevilles e commediole in francese che leistessa componeva.

L’Evelina Cattermole ebbe occasione di raccontaremolti anni più tardi a qualche amico come assistette a unricevimento in casa Peruzzi, dove la Rattazzi comparvevestita da baccante. Aveva la testa coronata di pampani,e, sopra una maglia carnicina gettata a guisa di tunica,una pelle di belva; e nulla più.

Ah, che indignazione per la signora Emilia Peruzzi:proprio in casa sua quello scandalo che, se aveva fattoaguzzare gli occhi al sesso forte, li aveva altresì fatti ri-torcere pudicamente a quello debole! Per molto tempola signora Emilia non seppe darsi pace dell’accaduto;ella poi che era così modesta e senza pretesa nell’abbi-gliamento! Una volta in un ballo aveva seminato unaquantità di fiocchetti rosei che le ornavano il vestito.Ferdinando Martini, con zelo eccessivo dovuto alla suagrande giovinezza, corse premuroso a raccoglierli e li

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Emanuele stesso dovette interporsi ed accomodarel’incresciosa faccenda. Fu composto un giurì d’onore dicui fece parte anche il giurista Carlo Cadorna, fratellodel generale Raffaele. Ma intanto la signora Rattazziscriveva alla Gazzetta d’Italia che nello Chemin du Pa-radis non aveva mai pensato di fare allusioni a Firenze emolto meno ai fiorentini e alle fiorentine. Dopo di che laprincipessa pensò bene di cambiare aria, andò a Parigi, el’incidente fu chiuso.

La Rattazzi aveva fatto costruire a casa un teatro chechiamava le Folies internationales dove si cantava e sirecitavano vaudevilles e commediole in francese che leistessa componeva.

L’Evelina Cattermole ebbe occasione di raccontaremolti anni più tardi a qualche amico come assistette a unricevimento in casa Peruzzi, dove la Rattazzi comparvevestita da baccante. Aveva la testa coronata di pampani,e, sopra una maglia carnicina gettata a guisa di tunica,una pelle di belva; e nulla più.

Ah, che indignazione per la signora Emilia Peruzzi:proprio in casa sua quello scandalo che, se aveva fattoaguzzare gli occhi al sesso forte, li aveva altresì fatti ri-torcere pudicamente a quello debole! Per molto tempola signora Emilia non seppe darsi pace dell’accaduto;ella poi che era così modesta e senza pretesa nell’abbi-gliamento! Una volta in un ballo aveva seminato unaquantità di fiocchetti rosei che le ornavano il vestito.Ferdinando Martini, con zelo eccessivo dovuto alla suagrande giovinezza, corse premuroso a raccoglierli e li

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presentò col più galante degli inchini alla proprietaria:ma a questa cortesia poco opportuna, la signora Emiliadisse un grazie asciutto asciutto, e gli voltò le spalle.L’eleganza, del resto, non era il forte dei coniugi Peruz-zi, e i calzoni di Ubaldino, corti per lunghi e lunghi percorti come li definì Giuseppe Giusti, sono ancora rima-sti proverbiali nel repertorio delle battute spiritose deifiorentini. L’ultimo giovedì in casa Rattazzi fu alla finedi giugno del 1870 e in quella occasione Giovanni Pratifece un evviva al cuoco per un prodigioso risotto. Si ca-pisce come questo ambiente dovesse influire sull’Eveli-na, intelligente, vivace, fantastica, acclamata per la suabellezza, per lo spirito, per l’intelligenza, e già consape-vole della sua grazia, che fino da allora apparve irresisti-bile. E che Eva cominciasse ad essere civettina non c’èdubbio. Fu proprio la Marianna Giarrè che poi ebbe araccontarlo scandalizzata, che sorprese la fanciulla da-vanti allo specchio a provarsi in qual modo le sarebberostati meglio i veli da lutto, mentre era per svolgersi il fu-nerale della mamma. E non è da dire che non soffrissedi questa morte!

Ma già si delineava in Evelina quel carattere strana-mente complicato che conservò poi e che fu il segnoprincipale della sua personalità.

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presentò col più galante degli inchini alla proprietaria:ma a questa cortesia poco opportuna, la signora Emiliadisse un grazie asciutto asciutto, e gli voltò le spalle.L’eleganza, del resto, non era il forte dei coniugi Peruz-zi, e i calzoni di Ubaldino, corti per lunghi e lunghi percorti come li definì Giuseppe Giusti, sono ancora rima-sti proverbiali nel repertorio delle battute spiritose deifiorentini. L’ultimo giovedì in casa Rattazzi fu alla finedi giugno del 1870 e in quella occasione Giovanni Pratifece un evviva al cuoco per un prodigioso risotto. Si ca-pisce come questo ambiente dovesse influire sull’Eveli-na, intelligente, vivace, fantastica, acclamata per la suabellezza, per lo spirito, per l’intelligenza, e già consape-vole della sua grazia, che fino da allora apparve irresisti-bile. E che Eva cominciasse ad essere civettina non c’èdubbio. Fu proprio la Marianna Giarrè che poi ebbe araccontarlo scandalizzata, che sorprese la fanciulla da-vanti allo specchio a provarsi in qual modo le sarebberostati meglio i veli da lutto, mentre era per svolgersi il fu-nerale della mamma. E non è da dire che non soffrissedi questa morte!

Ma già si delineava in Evelina quel carattere strana-mente complicato che conservò poi e che fu il segnoprincipale della sua personalità.

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Un altro salotto ben differente da quello della Rattaz-zi frequentò pure l’Evelina Cattermole. Quello di LauraBeatrice Oliva e di Pasquale Stanislao Mancini.

I Mancini, come tanti altri italiani e stranieri, si eranotrasferiti a Firenze con la Capitale e vi erano giunti daTorino ai primi del 1865. A Torino come a Firenze e piùtardi a Napoli e a Roma era questa la casa ospitale pereccellenza, senza preferenze ed esclusioni. A Torino gliesuli napoletani avevano trovato in quella casa acco-glienze fraterne e un posto a tavola. Si dice anche di Pa-squale Stanislao Mancini quello che si dice di Dumaspadre, e cioè che spesso non conoscesse nemmeno ilnome di qualche commensale.

Mancini era nato a Castelbaronia in provincia diAvellino, nel 1817, dall’avvocato Francesco Saveriosessantenne e già vedovo e da Maria Grazia Riola diMontefusco che aveva ventisei anni. Donna straordina-ria, Maria Grazia; messa piccolissima nel monasterodella Visitazione presso Benevento vi era stata educatacome tutte le signorine del tempo, il che non poteva ba-stare per il suo vivido ingegno. E chiusa con quel vec-chio marito alquanto geloso a Castelbaronia, ella trovònella ricca biblioteca di famiglia i libri, gli amici cari,che dovevano consolare la sua vita non certo felice. Mala felicità arrivò con la nascita del piccolo Pasquale Sta-nislao. Fu allora che, lasciati i libri da parte, ella si dedi-cò intieramente a lui; gli dette il suo latte e seguì i primibalbettii, i primi passi, e mosse la culla accompagnandoil dondolìo con canzoni di Paisiello e di Gluck. Forse

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Un altro salotto ben differente da quello della Rattaz-zi frequentò pure l’Evelina Cattermole. Quello di LauraBeatrice Oliva e di Pasquale Stanislao Mancini.

I Mancini, come tanti altri italiani e stranieri, si eranotrasferiti a Firenze con la Capitale e vi erano giunti daTorino ai primi del 1865. A Torino come a Firenze e piùtardi a Napoli e a Roma era questa la casa ospitale pereccellenza, senza preferenze ed esclusioni. A Torino gliesuli napoletani avevano trovato in quella casa acco-glienze fraterne e un posto a tavola. Si dice anche di Pa-squale Stanislao Mancini quello che si dice di Dumaspadre, e cioè che spesso non conoscesse nemmeno ilnome di qualche commensale.

Mancini era nato a Castelbaronia in provincia diAvellino, nel 1817, dall’avvocato Francesco Saveriosessantenne e già vedovo e da Maria Grazia Riola diMontefusco che aveva ventisei anni. Donna straordina-ria, Maria Grazia; messa piccolissima nel monasterodella Visitazione presso Benevento vi era stata educatacome tutte le signorine del tempo, il che non poteva ba-stare per il suo vivido ingegno. E chiusa con quel vec-chio marito alquanto geloso a Castelbaronia, ella trovònella ricca biblioteca di famiglia i libri, gli amici cari,che dovevano consolare la sua vita non certo felice. Mala felicità arrivò con la nascita del piccolo Pasquale Sta-nislao. Fu allora che, lasciati i libri da parte, ella si dedi-cò intieramente a lui; gli dette il suo latte e seguì i primibalbettii, i primi passi, e mosse la culla accompagnandoil dondolìo con canzoni di Paisiello e di Gluck. Forse

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Page 34: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

furono le melodie cantate dalla madre in certe lunghesere, perchè il sonno arrivasse con gli angeli intorno alsuo bambino, che suscitarono la passione della musica,una delle più forti in tutta la vita del grande giureconsul-to.

Fin dalla prima infanzia egli suonava il clavicembaloin un modo stupefacente, mentre il padre gl’insegnava illatino e la madre il francese e la storia. Nei momenti piùdifficili della vita, sia privata che politica, Pasquale Sta-nislao Mancini era solito mettersi al piano, e a memoriasuonare opere intiere di Donizetti, Bellini, Rossini – tal-volta accennando anche il canto – e trovava in questosvago un gran riposo e una calma infinita.

Fu notata, e con un certo compiacimento dello stessoMancini, la strana somiglianza di lui con Vincenzo Bel-lini, tanto che da giovane egli fu scambiato più voltecon l’autore della Norma. Ma a Castelbaronia non pote-va istruirsi il piccolo Mancini e la madre dovette sepa-rarsene per mandarlo prima nel seminario di Ariano, poia Napoli dallo zio materno, Giovanni Battista Riola,anch’egli uomo di legge.

Lontana dal figlio adorato, Maria Grazia ritornò ai li-bri fedeli e fu allora che si mise a scrivere quel librettoche si potrebbe definire un breviario dell’amore maternoe che più tardi la nipote Grazia Pierantoni Mancini pub-blicò col titolo Il Manoscritto della Nonna.

«Come si acquista la vera gloria? – concludeva MariaGrazia – Compi i tuoi doveri, figlio mio. Semina di virtùil cammino della tua vita e non ti allontanare mai dagli

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furono le melodie cantate dalla madre in certe lunghesere, perchè il sonno arrivasse con gli angeli intorno alsuo bambino, che suscitarono la passione della musica,una delle più forti in tutta la vita del grande giureconsul-to.

Fin dalla prima infanzia egli suonava il clavicembaloin un modo stupefacente, mentre il padre gl’insegnava illatino e la madre il francese e la storia. Nei momenti piùdifficili della vita, sia privata che politica, Pasquale Sta-nislao Mancini era solito mettersi al piano, e a memoriasuonare opere intiere di Donizetti, Bellini, Rossini – tal-volta accennando anche il canto – e trovava in questosvago un gran riposo e una calma infinita.

Fu notata, e con un certo compiacimento dello stessoMancini, la strana somiglianza di lui con Vincenzo Bel-lini, tanto che da giovane egli fu scambiato più voltecon l’autore della Norma. Ma a Castelbaronia non pote-va istruirsi il piccolo Mancini e la madre dovette sepa-rarsene per mandarlo prima nel seminario di Ariano, poia Napoli dallo zio materno, Giovanni Battista Riola,anch’egli uomo di legge.

Lontana dal figlio adorato, Maria Grazia ritornò ai li-bri fedeli e fu allora che si mise a scrivere quel librettoche si potrebbe definire un breviario dell’amore maternoe che più tardi la nipote Grazia Pierantoni Mancini pub-blicò col titolo Il Manoscritto della Nonna.

«Come si acquista la vera gloria? – concludeva MariaGrazia – Compi i tuoi doveri, figlio mio. Semina di virtùil cammino della tua vita e non ti allontanare mai dagli

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Page 35: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

avvertimenti che per te ho scritto; è tutto! Io ti vorrei fe-lice, io ti vorrei (mio Dio perdona il mio eccesso) im-mortale sulla terra.... Io m’immagino che se un giorno tufinissi di vivere, mi agiterei nella polvere del mio sepol-cro, e che le mie ossa fremerebbero».

Il libretto fu tradotto in diverse lingue e dovunque ac-colto con simpatia.

A Napoli viveva in quei tempi un letterato, il profes-sore Domenico Simeone Oliva che era stato insegnantedei figli di Gioacchino Murat e in seguito, benchè colpi-to da paralisi, teneva dei corsi di letteratura classicamolto frequentati. Era sempre accompagnato da una fi-gliuola quindicenne, bellissima, che già conosceva ilgreco e il latino e recitava meravigliosamente i nostriclassici anche per consolare il padre nelle sofferenze.Ella aveva nome Laura Beatrice e il giovane PasqualeStanislao se ne innamorò perdutamente. La famiglia dilui aspirava ad un matrimonio più grandioso, ma l’amo-re vinse ogni ostacolo e lo sposalizio fu celebrato nel1840. Laura Beatrice era di spirito democratico e libera-le, e in questo senso influì moltissimo sulla vita del ma-rito che divenne ben presto l’avvocato gratuito di tutti ipatriotti compromessi.

Una volta all’Accademia Pontaniana Laura Beatrice,tutta vestita di nero con una gran sciarpa tricolore, disseun suo inno per la commemorazione della poetessa Giu-seppina Guacci4 che aveva dei versi come questi:

4 Giuseppina Guacci Nobile primeggiò nella Scuola Classica Napoletana,fiorita nella prima metà del sec. XIX. Appartiene a tutto quel fervore di rinno-

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avvertimenti che per te ho scritto; è tutto! Io ti vorrei fe-lice, io ti vorrei (mio Dio perdona il mio eccesso) im-mortale sulla terra.... Io m’immagino che se un giorno tufinissi di vivere, mi agiterei nella polvere del mio sepol-cro, e che le mie ossa fremerebbero».

Il libretto fu tradotto in diverse lingue e dovunque ac-colto con simpatia.

A Napoli viveva in quei tempi un letterato, il profes-sore Domenico Simeone Oliva che era stato insegnantedei figli di Gioacchino Murat e in seguito, benchè colpi-to da paralisi, teneva dei corsi di letteratura classicamolto frequentati. Era sempre accompagnato da una fi-gliuola quindicenne, bellissima, che già conosceva ilgreco e il latino e recitava meravigliosamente i nostriclassici anche per consolare il padre nelle sofferenze.Ella aveva nome Laura Beatrice e il giovane PasqualeStanislao se ne innamorò perdutamente. La famiglia dilui aspirava ad un matrimonio più grandioso, ma l’amo-re vinse ogni ostacolo e lo sposalizio fu celebrato nel1840. Laura Beatrice era di spirito democratico e libera-le, e in questo senso influì moltissimo sulla vita del ma-rito che divenne ben presto l’avvocato gratuito di tutti ipatriotti compromessi.

Una volta all’Accademia Pontaniana Laura Beatrice,tutta vestita di nero con una gran sciarpa tricolore, disseun suo inno per la commemorazione della poetessa Giu-seppina Guacci4 che aveva dei versi come questi:

4 Giuseppina Guacci Nobile primeggiò nella Scuola Classica Napoletana,fiorita nella prima metà del sec. XIX. Appartiene a tutto quel fervore di rinno-

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Delle greche virtudi ammiratrice,Lieta sentisti in coreChe un dì schernite, oggi levar la frontePossiam d’Italia in faccia all’oppressore.Già dell’Adriaco mar l’alma FeniceAccoglie d’ogni parte i nostri natiNè più la patria invidia i tempi andati,Che già per lei, non pe’ tiranni suoi,Folte schiere d’eroiLa sacra terra fêr di sangue rossa,Dove stampa tuttor crudeli impronteLa fera stirpe e rea di Barbarossa.Se fortuna mancò, l’itala manoBen rinnovò la gloria di Legnano.

Beatrice Oliva scrisse e disse questi versi al tempodell’assedio di Venezia.

Dopo queste ed altre simili dimostrazioni, sue e delmarito, egli fu avvisato di stare attento. Ma il Mancininon se ne diede per inteso; fatta amicizia col consolefrancese, cercava continuamente – e ci riusciva – di ot-tenere da lui il trasporto gratuito su navi francesi di suoiamici da mettere in salvo durante quell’atroce ’48 napo-letano di oppressione e terrore.

Dopo il famoso 15 maggio5 dovette ricorrere per sestesso, oltre che per un gruppo di amici, a questo protet-vamento culturale che si accese a Napoli prima del ’48 e sino dai tempi degliultimi anni della vita di Leopardi intorno al giornale Il Progresso.

5 L’episodio certo più notevole nella vita di P. S. Mancini fu la protestach’egli redasse per la Camera sciolta a Monteoliveto (15 maggio 1849), dondela condanna a morte e la fuga.

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Delle greche virtudi ammiratrice,Lieta sentisti in coreChe un dì schernite, oggi levar la frontePossiam d’Italia in faccia all’oppressore.Già dell’Adriaco mar l’alma FeniceAccoglie d’ogni parte i nostri natiNè più la patria invidia i tempi andati,Che già per lei, non pe’ tiranni suoi,Folte schiere d’eroiLa sacra terra fêr di sangue rossa,Dove stampa tuttor crudeli impronteLa fera stirpe e rea di Barbarossa.Se fortuna mancò, l’itala manoBen rinnovò la gloria di Legnano.

Beatrice Oliva scrisse e disse questi versi al tempodell’assedio di Venezia.

Dopo queste ed altre simili dimostrazioni, sue e delmarito, egli fu avvisato di stare attento. Ma il Mancininon se ne diede per inteso; fatta amicizia col consolefrancese, cercava continuamente – e ci riusciva – di ot-tenere da lui il trasporto gratuito su navi francesi di suoiamici da mettere in salvo durante quell’atroce ’48 napo-letano di oppressione e terrore.

Dopo il famoso 15 maggio5 dovette ricorrere per sestesso, oltre che per un gruppo di amici, a questo protet-vamento culturale che si accese a Napoli prima del ’48 e sino dai tempi degliultimi anni della vita di Leopardi intorno al giornale Il Progresso.

5 L’episodio certo più notevole nella vita di P. S. Mancini fu la protestach’egli redasse per la Camera sciolta a Monteoliveto (15 maggio 1849), dondela condanna a morte e la fuga.

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tore il quale, fatto venire da Civitavecchia l’Ariel, lomise in salvo a Genova, da dove passò poi a Torino.

Fu solo dopo un anno di separazione che la sposa coibambini potè raggiungere il marito. Ma la madre MariaGrazia non volle. Rimasta vedova sarebbe potuta andarecol figliuolo e la sua famiglia che l’adoravano, ma pre-ferì ritirarsi ad Avellino col fratello per potere sorveglia-re le terre e la casa già confiscate dagli sbirri di Ferdi-nando II. Quando infatti, sotto un futile pretesto, la casadi Castelbaronia fu messa all’asta pubblica, Maria Gra-zia vestita in gramaglie – al suo passaggio tutti le fecerolargo – andò a riscattare la casa del figlio suo. Dodicianni stette questa nobilissima madre senza riabbracciar-lo, e non potè rivederlo se non pochi anni prima dellamorte. Per un triste destino anche in quel momento (lu-glio 1863) il figlio le fu lontano.

*

Salotto vivace quello dei Mancini, dove, oltre la poli-tica, le muse regnavano sovrane poichè a Laura Beatri-ce, che fu detta la Corinna Italica e che fu anche buonapittrice, si univano, ed erano chi più chi meno poeti emusicisti, le quattro figlie e i due maschi, i superstiti didodici figli chè tanti ne ebbero i Mancini. Letterati, arti-sti, uomini politici s’incontravano nella casa ospitale. ANapoli e a Roma Tosti e Denza ai loro primi passi, qual-

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tore il quale, fatto venire da Civitavecchia l’Ariel, lomise in salvo a Genova, da dove passò poi a Torino.

Fu solo dopo un anno di separazione che la sposa coibambini potè raggiungere il marito. Ma la madre MariaGrazia non volle. Rimasta vedova sarebbe potuta andarecol figliuolo e la sua famiglia che l’adoravano, ma pre-ferì ritirarsi ad Avellino col fratello per potere sorveglia-re le terre e la casa già confiscate dagli sbirri di Ferdi-nando II. Quando infatti, sotto un futile pretesto, la casadi Castelbaronia fu messa all’asta pubblica, Maria Gra-zia vestita in gramaglie – al suo passaggio tutti le fecerolargo – andò a riscattare la casa del figlio suo. Dodicianni stette questa nobilissima madre senza riabbracciar-lo, e non potè rivederlo se non pochi anni prima dellamorte. Per un triste destino anche in quel momento (lu-glio 1863) il figlio le fu lontano.

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Salotto vivace quello dei Mancini, dove, oltre la poli-tica, le muse regnavano sovrane poichè a Laura Beatri-ce, che fu detta la Corinna Italica e che fu anche buonapittrice, si univano, ed erano chi più chi meno poeti emusicisti, le quattro figlie e i due maschi, i superstiti didodici figli chè tanti ne ebbero i Mancini. Letterati, arti-sti, uomini politici s’incontravano nella casa ospitale. ANapoli e a Roma Tosti e Denza ai loro primi passi, qual-

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che volta Cavallotti giovanissimo, un po’ goffo. Fra ipittori c’era l’Esposito, fra gli scultori il Genua, figlio dicontadini avellinesi che Mancini fece studiare a sue spe-se. Si debbono a questo scultore alcune delle non bellestatue della nuova Roma. A Firenze Laura Beatrice fucondotta assai malata e la trepida speranza dei figli e delmarito era che il dolce clima le avrebbe ridate le forze;ma il 17 luglio del ’69 la cara donna morì nella villaNiccolini fuori di porta a San Gallo. Di lei nel 1874 fupubblicato un volume di versi da Le Monnier col titoloPatria ed amore, canti lirici editi e postumi, con un ra-gionamento di Terenzio Mamiani e con cenni biografici.Anche l’Evelina Cattermole fu accolta da Laura Beatri-ce con la generosità di cuore che la distingueva; essafece conoscere al suo circolo la giovanissima poetessache recitava i suoi versi con una grazia squisita e conquella voce armoniosa che, udita una volta, non si di-menticava più. E ben presto l’Evelina divenne amicadelle quattro sorelle Mancini, Grazia, Eleonora, Rosa eFlorestana. Grazia, la primogenita, era stata un po’ sem-pre come un’altra mamma per le sorelle, e pur essendocoltissima – De Sanctis l’ebbe fra le allieve preferite – sioccupava anche molto del non facile menage. Nel 1868Grazia aveva sposato l’avvocato Augusto Pierantoni giàprofessore di Università a venticinque anni e valorosoreduce del ’66. Qualche tempo prima Eleonora, biondis-sima e placida, scrittrice lei pure di graziosi versi, avevaunito il suo destino a un Genina piemontese che aveva isuoi beni a Mezzenile presso Torino; ma rimase vedova

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che volta Cavallotti giovanissimo, un po’ goffo. Fra ipittori c’era l’Esposito, fra gli scultori il Genua, figlio dicontadini avellinesi che Mancini fece studiare a sue spe-se. Si debbono a questo scultore alcune delle non bellestatue della nuova Roma. A Firenze Laura Beatrice fucondotta assai malata e la trepida speranza dei figli e delmarito era che il dolce clima le avrebbe ridate le forze;ma il 17 luglio del ’69 la cara donna morì nella villaNiccolini fuori di porta a San Gallo. Di lei nel 1874 fupubblicato un volume di versi da Le Monnier col titoloPatria ed amore, canti lirici editi e postumi, con un ra-gionamento di Terenzio Mamiani e con cenni biografici.Anche l’Evelina Cattermole fu accolta da Laura Beatri-ce con la generosità di cuore che la distingueva; essafece conoscere al suo circolo la giovanissima poetessache recitava i suoi versi con una grazia squisita e conquella voce armoniosa che, udita una volta, non si di-menticava più. E ben presto l’Evelina divenne amicadelle quattro sorelle Mancini, Grazia, Eleonora, Rosa eFlorestana. Grazia, la primogenita, era stata un po’ sem-pre come un’altra mamma per le sorelle, e pur essendocoltissima – De Sanctis l’ebbe fra le allieve preferite – sioccupava anche molto del non facile menage. Nel 1868Grazia aveva sposato l’avvocato Augusto Pierantoni giàprofessore di Università a venticinque anni e valorosoreduce del ’66. Qualche tempo prima Eleonora, biondis-sima e placida, scrittrice lei pure di graziosi versi, avevaunito il suo destino a un Genina piemontese che aveva isuoi beni a Mezzenile presso Torino; ma rimase vedova

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dopo poco tempo. Rosa si maritò con l’avvocato Teodo-rico Bonacci, che fu ministro di Grazia e Giustizia nelministero Di Rudinì, l’anno 1898. Florestana o Flora,dolce bruna, come più tardi ebbe a chiamarla la Contes-sa Lara in un sonetto, aveva sposato l’ingegnere Dome-nico Piccoli che fu deputato di sinistra e che morì tragi-camente a Pizzo Calabria il 14 marzo 1921.

Grazia Pierantoni Mancini fu delle quattro sorelle lavera scrittrice. Ha lasciato una ventina di volumi fra ver-si, commedie, traduzioni; ma sopratutto restano interes-santi i due libri di memorie: Alla Vigilia (1858-1859) eImpressioni e ricordi (1856-1864). Morì a Roma nel1915.

Oltre alle quattro sorelle Mancini, c’erano, come ab-biamo detto, due maschi, Angelo e Francesco SaverioEugenio, nato a Napoli il 28 maggio 1842 e terzogenitodei dodici fratelli.

Nella prefazione al volume Patria ed Amore si dice aproposito del patriottismo di Laura Beatrice:

«De’ figli maschi due soli eranle rimasti: nondimenonon pure tollerò, ma con deliberato animo volle nel1859 che il maggiore (Eugenio), quantunque non ancordiciottenne (essendo l’altro fanciullo), combattesse lebattaglie dell’indipendenza; e nel 1866, trovandosi ilminore già pervenuto alla prima giovinezza, fu contentache entrambi andassero ad incontrare i rinnovati perico-li; e preferì piuttosto di sentirsi schiantare il cuore, chenegare l’aiuto del suo sangue alla gran madre, la quale

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dopo poco tempo. Rosa si maritò con l’avvocato Teodo-rico Bonacci, che fu ministro di Grazia e Giustizia nelministero Di Rudinì, l’anno 1898. Florestana o Flora,dolce bruna, come più tardi ebbe a chiamarla la Contes-sa Lara in un sonetto, aveva sposato l’ingegnere Dome-nico Piccoli che fu deputato di sinistra e che morì tragi-camente a Pizzo Calabria il 14 marzo 1921.

Grazia Pierantoni Mancini fu delle quattro sorelle lavera scrittrice. Ha lasciato una ventina di volumi fra ver-si, commedie, traduzioni; ma sopratutto restano interes-santi i due libri di memorie: Alla Vigilia (1858-1859) eImpressioni e ricordi (1856-1864). Morì a Roma nel1915.

Oltre alle quattro sorelle Mancini, c’erano, come ab-biamo detto, due maschi, Angelo e Francesco SaverioEugenio, nato a Napoli il 28 maggio 1842 e terzogenitodei dodici fratelli.

Nella prefazione al volume Patria ed Amore si dice aproposito del patriottismo di Laura Beatrice:

«De’ figli maschi due soli eranle rimasti: nondimenonon pure tollerò, ma con deliberato animo volle nel1859 che il maggiore (Eugenio), quantunque non ancordiciottenne (essendo l’altro fanciullo), combattesse lebattaglie dell’indipendenza; e nel 1866, trovandosi ilminore già pervenuto alla prima giovinezza, fu contentache entrambi andassero ad incontrare i rinnovati perico-li; e preferì piuttosto di sentirsi schiantare il cuore, chenegare l’aiuto del suo sangue alla gran madre, la quale

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Guglielmo Cattermole (fratello della contessa).

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Guglielmo Cattermole (fratello della contessa).

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Eufròsina Cattemole(da una pittura a olio fatta dal padre prof. Guglielmo nel 1848).

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Eufròsina Cattemole(da una pittura a olio fatta dal padre prof. Guglielmo nel 1848).

Page 42: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

all’uopo estremo, dimandava a tutti i suoi figli soccor-so».

A Castelbaronia si conserva fra i ritratti di famigliaquello di Francesco Eugenio o Ciccillo, come lo si chia-mava in casa. È in uniforme dei bersaglieri, il petto de-corato di tre medaglie al valore; biondo, bello, sorriden-te dai grandi occhi azzurri dolci e tristi: ricco d’ingegnoanche lui come tutti i Mancini, colto, bel parlatore epoeta. Alcune sue liriche sono state musicate dal Tosti eda altri maestri meridionali. Era agile, audace fino allatemerità, tiratore infallibile.

Eugenio ed Evelina s’innamorarono, e come già eraaccaduto per Pasquale Stanislao e Laura Beatrice, anchequesta volta non mancarono i contrasti. Ma l’amore dinuovo fu vittorioso. Il tenente Mancini, prima di partirecol suo reggimento per la presa di Roma nel settembredel 1870, salutando i suoi, si fece promettere nella com-mozione del momento che, se fosse ritornato sano e sal-vo con onore, avrebbe avuto come premio il consensoall’unione coll’Evelina. Il matrimonio fu celebrato a Fi-renze il 5 marzo 1871.

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all’uopo estremo, dimandava a tutti i suoi figli soccor-so».

A Castelbaronia si conserva fra i ritratti di famigliaquello di Francesco Eugenio o Ciccillo, come lo si chia-mava in casa. È in uniforme dei bersaglieri, il petto de-corato di tre medaglie al valore; biondo, bello, sorriden-te dai grandi occhi azzurri dolci e tristi: ricco d’ingegnoanche lui come tutti i Mancini, colto, bel parlatore epoeta. Alcune sue liriche sono state musicate dal Tosti eda altri maestri meridionali. Era agile, audace fino allatemerità, tiratore infallibile.

Eugenio ed Evelina s’innamorarono, e come già eraaccaduto per Pasquale Stanislao e Laura Beatrice, anchequesta volta non mancarono i contrasti. Ma l’amore dinuovo fu vittorioso. Il tenente Mancini, prima di partirecol suo reggimento per la presa di Roma nel settembredel 1870, salutando i suoi, si fece promettere nella com-mozione del momento che, se fosse ritornato sano e sal-vo con onore, avrebbe avuto come premio il consensoall’unione coll’Evelina. Il matrimonio fu celebrato a Fi-renze il 5 marzo 1871.

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CAPITOLO SECONDO.

Vita coniugale di Evelina Cattermole. – Mancini a Milano. – Lascapigliatura. – Prime nubi. – Giuseppe Bennati di Baylon. – Lasorpresa in via Unione. – Il duello. – La morte dell’amante. – La

separazione dal marito.

Gli sposi, dopo un breve soggiorno a Roma, si stabili-rono a Napoli, dove Eugenio raggiunse il sesto reggi-mento dei bersaglieri.

L’Evelina appare felice. Vi sono lettere sue al suocerodel ’71, del ’72, del ’73 in cui lo dichiara. Dice in una:

«Eugenio è un angelo di bontà e vi assicuro che mirende la donna la più felice della terra. Il suo carattere èdivenuto assai più mite, talchè non potrei bramarlo mi-gliore. Ve lo scrivo giacchè sono sicura di farvi cosagrata».

È molto tenera con Pasquale Stanislao Mancini a cuiscrive «amatissimo papà mio», prende interesse a peneintime della famiglia e chiama le cognate «sorelle».

Al suocero che, sempre generosissimo, offre del de-naro nonostante molte traversie e spese avute in queitempi, la nuora risponde:

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CAPITOLO SECONDO.

Vita coniugale di Evelina Cattermole. – Mancini a Milano. – Lascapigliatura. – Prime nubi. – Giuseppe Bennati di Baylon. – Lasorpresa in via Unione. – Il duello. – La morte dell’amante. – La

separazione dal marito.

Gli sposi, dopo un breve soggiorno a Roma, si stabili-rono a Napoli, dove Eugenio raggiunse il sesto reggi-mento dei bersaglieri.

L’Evelina appare felice. Vi sono lettere sue al suocerodel ’71, del ’72, del ’73 in cui lo dichiara. Dice in una:

«Eugenio è un angelo di bontà e vi assicuro che mirende la donna la più felice della terra. Il suo carattere èdivenuto assai più mite, talchè non potrei bramarlo mi-gliore. Ve lo scrivo giacchè sono sicura di farvi cosagrata».

È molto tenera con Pasquale Stanislao Mancini a cuiscrive «amatissimo papà mio», prende interesse a peneintime della famiglia e chiama le cognate «sorelle».

Al suocero che, sempre generosissimo, offre del de-naro nonostante molte traversie e spese avute in queitempi, la nuora risponde:

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«Siamo rimasti commossi fino alle lacrime della ge-nerosità vostra, ma abbiamo deciso, Papà mio, di nonvolere profittare affatto...»

E nella stessa lettera:«Credo che facendo grandissima economia potremo

andare avanti poichè fra pochi giorni avremo la renditadella mia dote, ed Eugenio deve ancora ricevere 60 liredel suo stipendio arretrato; vedete che questo non è af-fatto un sacrificio, ma il più semplice dei doveri. Nonsapevo che zio Cesare6 vi avesse scritto riguardo ai no-stri affari; poverino, è così buono anche egli con noi es’interessa tanto alla nostra casetta. Vi ripeto però quelloche vi dissi più sopra, faremo alla meglio, per non pri-varvi di quel denaro che in quest’anno di grandissimespese può esservi utile».

Scrive, il 31 dicembre ’71: «Domani noi saremo tuttida Alfonsina7 e spero che incominceremo bene l’anno.»

Dopo Napoli, Eugenio Mancini passò da tenente a ca-pitano, dal sesto all’ottavo reggimento dei bersaglieri diguarnigione a Milano, e con la sposa andò ad abitarenella casa di Via S. Simone, numero 12.8 L’Evelina chenell’intimità era chiamata con l’abbreviativo di Lina co-minciò a tenere circolo musicale e letterario brillantissi-mo. Suonava e cantava deliziosamente. S’era in pienascapigliatura e non è da dubitare che la morale degli

6 Lo zio Cesare fratello di Laura Beatrice Oliva e Alfonsina Costa sua mo-glie (morta nel febbraio ’29) erano i genitori di Domenico e di Manfredi Oliva.

7 Vedi nota precedente.8 Via San Simone, oggi via Cesare Correnti.

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«Siamo rimasti commossi fino alle lacrime della ge-nerosità vostra, ma abbiamo deciso, Papà mio, di nonvolere profittare affatto...»

E nella stessa lettera:«Credo che facendo grandissima economia potremo

andare avanti poichè fra pochi giorni avremo la renditadella mia dote, ed Eugenio deve ancora ricevere 60 liredel suo stipendio arretrato; vedete che questo non è af-fatto un sacrificio, ma il più semplice dei doveri. Nonsapevo che zio Cesare6 vi avesse scritto riguardo ai no-stri affari; poverino, è così buono anche egli con noi es’interessa tanto alla nostra casetta. Vi ripeto però quelloche vi dissi più sopra, faremo alla meglio, per non pri-varvi di quel denaro che in quest’anno di grandissimespese può esservi utile».

Scrive, il 31 dicembre ’71: «Domani noi saremo tuttida Alfonsina7 e spero che incominceremo bene l’anno.»

Dopo Napoli, Eugenio Mancini passò da tenente a ca-pitano, dal sesto all’ottavo reggimento dei bersaglieri diguarnigione a Milano, e con la sposa andò ad abitarenella casa di Via S. Simone, numero 12.8 L’Evelina chenell’intimità era chiamata con l’abbreviativo di Lina co-minciò a tenere circolo musicale e letterario brillantissi-mo. Suonava e cantava deliziosamente. S’era in pienascapigliatura e non è da dubitare che la morale degli

6 Lo zio Cesare fratello di Laura Beatrice Oliva e Alfonsina Costa sua mo-glie (morta nel febbraio ’29) erano i genitori di Domenico e di Manfredi Oliva.

7 Vedi nota precedente.8 Via San Simone, oggi via Cesare Correnti.

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scapigliati, ribelle alle consuetudini, dovette avereun’influenza sull’animo e sulla vita della bella donna, icui meravigliosi occhi molto miopi, e che forse per que-sto avevano un fascino maggiore, furono detti d’acciaioe di velluto. Anche certe forme esteriori, certi gusti unpo’ strambi, furono subitamente acquisiti dalla Lina; peresempio l’amore quasi morboso per le bestie. Due anniprima, propriamente il 25 marzo 1869, Iginio Ugo Tar-chetti era morto nelle fraterne braccia di Salvatore Fari-na, ed è nota la passione di quel poeta per i topi bianchiche teneva anche nelle tasche della giacca; sicchè nonera strano il caso di vederglieli a volte passeggiare sullebraccia o sulle spalle. Parecchi anni più tardi, quando laLina diventò la Contessa Lara, i topi bianchi furonopure la sua passione e spesso d’inverno ne portava unonel manicotto. Col tempo, ricordando la casa di Milano,diceva che spesso dava da mangiare ad un topolino cheveniva da un buco nel pavimento della sua stanza.

Ogni giorno si riceveva in casa Mancini: ufficiali,giovani signori, politici, molti letterati. Era l’epoca incui Rovani, «maestro e donno della scapigliatura», entu-siasmava i lettori della Gazzetta di Milano (ch’egli ave-va battezzato «la giovane dalle cento mammelle»), conle sue appendici settimanali. Molti in quei giorni non at-tendevano in casa il giornale come abbonati, ma anda-vano a prenderlo alla tipografia in via San Pietroall’Orto numero 18, e leggevano il romanzo per la stra-da.

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scapigliati, ribelle alle consuetudini, dovette avereun’influenza sull’animo e sulla vita della bella donna, icui meravigliosi occhi molto miopi, e che forse per que-sto avevano un fascino maggiore, furono detti d’acciaioe di velluto. Anche certe forme esteriori, certi gusti unpo’ strambi, furono subitamente acquisiti dalla Lina; peresempio l’amore quasi morboso per le bestie. Due anniprima, propriamente il 25 marzo 1869, Iginio Ugo Tar-chetti era morto nelle fraterne braccia di Salvatore Fari-na, ed è nota la passione di quel poeta per i topi bianchiche teneva anche nelle tasche della giacca; sicchè nonera strano il caso di vederglieli a volte passeggiare sullebraccia o sulle spalle. Parecchi anni più tardi, quando laLina diventò la Contessa Lara, i topi bianchi furonopure la sua passione e spesso d’inverno ne portava unonel manicotto. Col tempo, ricordando la casa di Milano,diceva che spesso dava da mangiare ad un topolino cheveniva da un buco nel pavimento della sua stanza.

Ogni giorno si riceveva in casa Mancini: ufficiali,giovani signori, politici, molti letterati. Era l’epoca incui Rovani, «maestro e donno della scapigliatura», entu-siasmava i lettori della Gazzetta di Milano (ch’egli ave-va battezzato «la giovane dalle cento mammelle»), conle sue appendici settimanali. Molti in quei giorni non at-tendevano in casa il giornale come abbonati, ma anda-vano a prenderlo alla tipografia in via San Pietroall’Orto numero 18, e leggevano il romanzo per la stra-da.

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Page 46: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

«Rovani talvolta li vedeva questi suoi appassionatilettori ed olimpicamente sorrideva di compiacenzaemettendo dei sonori Mah! e dei seducenti Gentile!mentre col suo cappellino a cencio sulle ventiquattro edil suo bastoncello stretto nell’aristocratica mano – di cuimenava gran vanto – si avvicinava alla celebre liquore-ria Hagy dove pur troppo lo aspettava l’assenzio, «ilverde veleno» che lo affrettò sulla strada della fossa pre-coce».9

Una volta Rovani se ne stava solo e meditabondo inun angolo del caffè deserto. Ad un tratto si alza e conpasso felino, gli occhi spiritati, si avvicina a Costantino,il tavoleggiante, che dietro il banco mette in ordine bic-chieri e bottiglie e con voce cavernosa gli declama:

Non è credibilecom’è terribilela vista orribiled’un creditor.

Dopo di che, se ne va, lasciando l’onesto Costantino al-quanto sbigottito per le facoltà mentali del sciur Rovani.

Fiorivano in quei tempi, oltre la Gazzetta di Milano diFelice Cavallotti, dove Francesco Giarelli, che si puòdire il creatore della Cronaca, fece le sue prime armi, IlGazzettino Rosa, La Perseveranza, Il Pungolo di LeoneFortis e il Corriere di Milano di Emilio Treves.

9 FRANCESCO GIARELLI, Venti anni di giornalismo.

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«Rovani talvolta li vedeva questi suoi appassionatilettori ed olimpicamente sorrideva di compiacenzaemettendo dei sonori Mah! e dei seducenti Gentile!mentre col suo cappellino a cencio sulle ventiquattro edil suo bastoncello stretto nell’aristocratica mano – di cuimenava gran vanto – si avvicinava alla celebre liquore-ria Hagy dove pur troppo lo aspettava l’assenzio, «ilverde veleno» che lo affrettò sulla strada della fossa pre-coce».9

Una volta Rovani se ne stava solo e meditabondo inun angolo del caffè deserto. Ad un tratto si alza e conpasso felino, gli occhi spiritati, si avvicina a Costantino,il tavoleggiante, che dietro il banco mette in ordine bic-chieri e bottiglie e con voce cavernosa gli declama:

Non è credibilecom’è terribilela vista orribiled’un creditor.

Dopo di che, se ne va, lasciando l’onesto Costantino al-quanto sbigottito per le facoltà mentali del sciur Rovani.

Fiorivano in quei tempi, oltre la Gazzetta di Milano diFelice Cavallotti, dove Francesco Giarelli, che si puòdire il creatore della Cronaca, fece le sue prime armi, IlGazzettino Rosa, La Perseveranza, Il Pungolo di LeoneFortis e il Corriere di Milano di Emilio Treves.

9 FRANCESCO GIARELLI, Venti anni di giornalismo.

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Page 47: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

Curioso tipo di giornalista Francesco Giarelli, avvo-cato piacentino che non si occupò mai di codici altroche per la professione di giornalista, e che scrisse, scris-se, scrisse su tanti giornali, di tante cose diverse, dallacronaca alla politica estera ed interna, di lettere, di tea-tri, di scienze; a getto continuo, cambiando di giornalevolta a volta che l’occasione gli si presentasse, con gransemplicità, così, come avrebbe potuto cambiare vestito.

Scrisse anche un Re dei cuochi, nonchè delle tragediefra cui un Agesilao Milano, protagonista il soldato napo-letano che in una rivista spianò il fucile contro Ferdi-nando II.

Francesco Giarelli scrisse anche nel Monitore deldroghiere; e le dieci lire ad articolo, fissate per il suocompenso, gli venivano pagate in natura: caffè, zucche-ro, candele steariche, lucido da scarpe, pasta, riso, salsadi pomodoro; un ben di Dio, per la casa Giarelli, marito,moglie e un piccolino, costretti da una rigida economiaa fare ogni giorno una cura intensiva di odiose patate inumido.

Nella Gazzetta di Milano, Francesco Giarelli prese ilposto di Giulio Pinchetti, il triste poeta che l’8 di giugnodel 1870 si tirò un colpo di pistola, alla scrivania doveCavallotti lo raccolse morente, dopo aver scritto questiversi:

Placata alfin ti spero, ombra di morte!Non più terror, non più bugiarda spemeAl grand’atto or mi fan tremulo il ferro.

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Curioso tipo di giornalista Francesco Giarelli, avvo-cato piacentino che non si occupò mai di codici altroche per la professione di giornalista, e che scrisse, scris-se, scrisse su tanti giornali, di tante cose diverse, dallacronaca alla politica estera ed interna, di lettere, di tea-tri, di scienze; a getto continuo, cambiando di giornalevolta a volta che l’occasione gli si presentasse, con gransemplicità, così, come avrebbe potuto cambiare vestito.

Scrisse anche un Re dei cuochi, nonchè delle tragediefra cui un Agesilao Milano, protagonista il soldato napo-letano che in una rivista spianò il fucile contro Ferdi-nando II.

Francesco Giarelli scrisse anche nel Monitore deldroghiere; e le dieci lire ad articolo, fissate per il suocompenso, gli venivano pagate in natura: caffè, zucche-ro, candele steariche, lucido da scarpe, pasta, riso, salsadi pomodoro; un ben di Dio, per la casa Giarelli, marito,moglie e un piccolino, costretti da una rigida economiaa fare ogni giorno una cura intensiva di odiose patate inumido.

Nella Gazzetta di Milano, Francesco Giarelli prese ilposto di Giulio Pinchetti, il triste poeta che l’8 di giugnodel 1870 si tirò un colpo di pistola, alla scrivania doveCavallotti lo raccolse morente, dopo aver scritto questiversi:

Placata alfin ti spero, ombra di morte!Non più terror, non più bugiarda spemeAl grand’atto or mi fan tremulo il ferro.

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Preclusa è l’ora e la preclude il mioDisperato dolor. Tregua ai consigliGiovane io moro, e non però lamentoI molti dì ch’anco durar potea,Chè della vita omai nessun misteroÈ a me celato, e ben mi so che tutto,Tutto è dolor....

Intorno a Rovani, ormai celebre per i Cent’anni, La Li-bia d’oro, La Giovinezza di Giulio Cesare c’erano i gio-vani, ma pochissimi egli ne amava, fra i quali il Giarelli,Luigi Perelli che gli fu come figlio, e più che altro perl’amicizia che lo legava al Perelli anche il ferrarese Pri-mo Levi, giovanissimo, pallido, quasi effeminato, conuna prolissa zazzera bruna, ammesso nel numero dei di-scepoli benchè il Rovani lo chiamasse non senza diffi-denza un «intellettuale».

Primo Levi, avanti di essere critico musicale dellaRagione, scriveva di mode con svariati pseudonimi fem-minili. Poi andò a Roma direttore della Riforma crispi-na. Amministratore ne fu l’amico inseparabile Luigi Pe-relli. Lo pseudonimo di Primo Levi fu poi L’Italico.

Rovani aveva amori e odii. Odio per Monti e amoreper Foscolo. Però nei momenti di cattivo umore alzava ipugni contro il ritratto del poeta prediletto appeso allaparete vicino alla scrivania e con parole niente affattoparlamentari gli rimproverava di essere rosso di pelo.

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Preclusa è l’ora e la preclude il mioDisperato dolor. Tregua ai consigliGiovane io moro, e non però lamentoI molti dì ch’anco durar potea,Chè della vita omai nessun misteroÈ a me celato, e ben mi so che tutto,Tutto è dolor....

Intorno a Rovani, ormai celebre per i Cent’anni, La Li-bia d’oro, La Giovinezza di Giulio Cesare c’erano i gio-vani, ma pochissimi egli ne amava, fra i quali il Giarelli,Luigi Perelli che gli fu come figlio, e più che altro perl’amicizia che lo legava al Perelli anche il ferrarese Pri-mo Levi, giovanissimo, pallido, quasi effeminato, conuna prolissa zazzera bruna, ammesso nel numero dei di-scepoli benchè il Rovani lo chiamasse non senza diffi-denza un «intellettuale».

Primo Levi, avanti di essere critico musicale dellaRagione, scriveva di mode con svariati pseudonimi fem-minili. Poi andò a Roma direttore della Riforma crispi-na. Amministratore ne fu l’amico inseparabile Luigi Pe-relli. Lo pseudonimo di Primo Levi fu poi L’Italico.

Rovani aveva amori e odii. Odio per Monti e amoreper Foscolo. Però nei momenti di cattivo umore alzava ipugni contro il ritratto del poeta prediletto appeso allaparete vicino alla scrivania e con parole niente affattoparlamentari gli rimproverava di essere rosso di pelo.

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Page 49: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

*

Di Emilio Praga la Contessa Lara conservò semprefra le cose più care un libro con una dedica caldad’ammirazione. Di questo amaro eppur tanto dolce poe-ta fantastico, che molto dovette soffrire, parecchi hannoparlato e discusso, tra gli altri Piero Nardi, nel suo bellostudio sulla scapigliatura; ma nessuno, ch’io mi sappia,ha ancora intuito tutto il dramma intimo di quella vitache l’eccesso di fantasia sconvolse e travolse.

Moveva alle prime battaglie Arrigo Boito; Cletto Ar-righi creò il teatro milanese ed era già stato l’animatoredi quel periodico umoristico L’uomo di pietra non moltoben visto durante la dominazione austriaca; e con loroerano Ferdinando Fontana e Carlo Dossi e Luigi dellaBeffa, riduttore di romanzi a forti tinte in drammi daarena, e Tullo Massarani e Felice Cameroni dagli infinitipseudonimi, tutti schierati e in guardia contro la consor-teria dei tre F: cioè Ferrari, Filippi e Fortis.

Felice Cameroni – nessuno come lui conosceva allorala letteratura francese – fu detto il precursore del veri-smo. Nella strenna del Gazzettino Rosa del 1872 eglicosì si descrive:

«Per cogliermi in flagrante ridicolaggine di adulazio-ne, mi s’impone l’obbligo di tratteggiare il mio profilo:Cipperimerli!

«Sono il più brutto, il più spostato ed il più rozzo fra iperduti. Per essere amato da una donna, dovrei possede-

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*

Di Emilio Praga la Contessa Lara conservò semprefra le cose più care un libro con una dedica caldad’ammirazione. Di questo amaro eppur tanto dolce poe-ta fantastico, che molto dovette soffrire, parecchi hannoparlato e discusso, tra gli altri Piero Nardi, nel suo bellostudio sulla scapigliatura; ma nessuno, ch’io mi sappia,ha ancora intuito tutto il dramma intimo di quella vitache l’eccesso di fantasia sconvolse e travolse.

Moveva alle prime battaglie Arrigo Boito; Cletto Ar-righi creò il teatro milanese ed era già stato l’animatoredi quel periodico umoristico L’uomo di pietra non moltoben visto durante la dominazione austriaca; e con loroerano Ferdinando Fontana e Carlo Dossi e Luigi dellaBeffa, riduttore di romanzi a forti tinte in drammi daarena, e Tullo Massarani e Felice Cameroni dagli infinitipseudonimi, tutti schierati e in guardia contro la consor-teria dei tre F: cioè Ferrari, Filippi e Fortis.

Felice Cameroni – nessuno come lui conosceva allorala letteratura francese – fu detto il precursore del veri-smo. Nella strenna del Gazzettino Rosa del 1872 eglicosì si descrive:

«Per cogliermi in flagrante ridicolaggine di adulazio-ne, mi s’impone l’obbligo di tratteggiare il mio profilo:Cipperimerli!

«Sono il più brutto, il più spostato ed il più rozzo fra iperduti. Per essere amato da una donna, dovrei possede-

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Page 50: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

re almeno cinquantamila lire di rendita. Per farmi subireda un uomo è necessario almeno un semestre d’intimità.Non credo punto in Dio, spero pochissimo nella società.La scienza mi affascina, ma non mi sento abbastanzapaziente per istudiarla. L’arte mi abbaglia, ma mi mancail coraggio per impararla. Odio l’azzurro (egli infatti sifirmava talvolta Kyaneofobo) eppure trovo noioso il di-letto dei sensi. Mi credo un positivista, eppure propugnoun ideale che non si realizzerà mai. E sbraito di seguirsempre e null’altro se non la logica la più rigorosa.

«In filosofia prediligo il materialismo di Büchner, inpolitica la repubblica sociale, in letteratura gli aforismidi Victor Hugo ed i paradossi della scapigliatura.

«Preferisco Meyerbeer a Verdi, Courbet a Raffaello, ilColosseo a San Pietro, un appartamento in via Rivoli aduna villa a Sorrento, una cena da Bohèmes ad un’orgiafra provocanti cocottes. Subirei con minor dolore un di-scorso parlamentare sul bilancio anzichè una festa daballo od una conversazione con una bella signora.

«Mi credono un brutto originale ed ho la certezza diesserlo. Mi dà ai nervi il convenzionalismo sotto qua-lunque maschera, compresi i «madrigali» del Gazzetti-no.

«Segni particolari: abuso del paradosso e delle cita-zioni in lingua francese. Nei rapporti sociali sono goffa-mente selvatico. Atta-Troll (altro pseudonimo del Came-roni) in cappello a tuba. Ho la pretesa di essere un gio-vane grave e riesco invece pesante.»

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re almeno cinquantamila lire di rendita. Per farmi subireda un uomo è necessario almeno un semestre d’intimità.Non credo punto in Dio, spero pochissimo nella società.La scienza mi affascina, ma non mi sento abbastanzapaziente per istudiarla. L’arte mi abbaglia, ma mi mancail coraggio per impararla. Odio l’azzurro (egli infatti sifirmava talvolta Kyaneofobo) eppure trovo noioso il di-letto dei sensi. Mi credo un positivista, eppure propugnoun ideale che non si realizzerà mai. E sbraito di seguirsempre e null’altro se non la logica la più rigorosa.

«In filosofia prediligo il materialismo di Büchner, inpolitica la repubblica sociale, in letteratura gli aforismidi Victor Hugo ed i paradossi della scapigliatura.

«Preferisco Meyerbeer a Verdi, Courbet a Raffaello, ilColosseo a San Pietro, un appartamento in via Rivoli aduna villa a Sorrento, una cena da Bohèmes ad un’orgiafra provocanti cocottes. Subirei con minor dolore un di-scorso parlamentare sul bilancio anzichè una festa daballo od una conversazione con una bella signora.

«Mi credono un brutto originale ed ho la certezza diesserlo. Mi dà ai nervi il convenzionalismo sotto qua-lunque maschera, compresi i «madrigali» del Gazzetti-no.

«Segni particolari: abuso del paradosso e delle cita-zioni in lingua francese. Nei rapporti sociali sono goffa-mente selvatico. Atta-Troll (altro pseudonimo del Came-roni) in cappello a tuba. Ho la pretesa di essere un gio-vane grave e riesco invece pesante.»

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Fra i pittori Ranzoni, Tranquillo Cremona e Conconipassavano per rivoluzionari come gli scultori GiuseppeGrandi (celebre con Cremona per le gare a chi facevapiù epigrammi e più salaci) e Pietro Magni l’autore del-la Leggitrice e del monumento a Leonardo da Vinci chesi trova in Piazza della Scala a Milano e bevitore fra ipiù accreditati. L’opera del Magni suscitò una infinità dipolemiche nei caffè; ognuno voleva dire la sua, e Rova-ni, caso strano, taceva, della qual cosa il Magni era al-quanto turbato. Ma nonostante le replicate richieste del-lo scultore, lo scrittore seguitava a star zitto. Una voltaperò alle insistenze del Magni, il Rovani che si trovavacon lui e altri due amici al caffè si fa portare una botti-glia di vino, che mette nel mezzo a quattro bicchieri edesclama:

— Ecco il tuo monumento. On liter in quater.Le risate furono omeriche, meno s’intende che da

parte di Magni.Del resto Rovani si divertiva a dire che la fama del

Magni l’aveva fatta lui, proprio lui, sicuro. Un giornoegli va nello studio dell’amico mentre scolpisce un SanPietro. A Rovani non piace e con la franchezza abitualelo dice all’autore, il quale vuole frantumare il lavoro.Ma Rovani lo trattiene e gli propone:

— Schiacciagli il naso.— A chi?— A San Pietro.— A San Pietro?— Sicuro, così diventa Socrate.

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Fra i pittori Ranzoni, Tranquillo Cremona e Conconipassavano per rivoluzionari come gli scultori GiuseppeGrandi (celebre con Cremona per le gare a chi facevapiù epigrammi e più salaci) e Pietro Magni l’autore del-la Leggitrice e del monumento a Leonardo da Vinci chesi trova in Piazza della Scala a Milano e bevitore fra ipiù accreditati. L’opera del Magni suscitò una infinità dipolemiche nei caffè; ognuno voleva dire la sua, e Rova-ni, caso strano, taceva, della qual cosa il Magni era al-quanto turbato. Ma nonostante le replicate richieste del-lo scultore, lo scrittore seguitava a star zitto. Una voltaperò alle insistenze del Magni, il Rovani che si trovavacon lui e altri due amici al caffè si fa portare una botti-glia di vino, che mette nel mezzo a quattro bicchieri edesclama:

— Ecco il tuo monumento. On liter in quater.Le risate furono omeriche, meno s’intende che da

parte di Magni.Del resto Rovani si divertiva a dire che la fama del

Magni l’aveva fatta lui, proprio lui, sicuro. Un giornoegli va nello studio dell’amico mentre scolpisce un SanPietro. A Rovani non piace e con la franchezza abitualelo dice all’autore, il quale vuole frantumare il lavoro.Ma Rovani lo trattiene e gli propone:

— Schiacciagli il naso.— A chi?— A San Pietro.— A San Pietro?— Sicuro, così diventa Socrate.

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Magni lo guardò allibito e non rispose. Ma più tardidovette ripensare al consiglio poichè il naso di San Pie-tro venne riformato a dovere e ne riuscì un Socrate chela critica accolse benevolmente e che è abbastanza noto.

*

I coniugi Mancini facevano vita brillante e spensiera-ta. Raffaello Barbiera nel Salotto della Contessa Maffeicosì ci descrive la Lina:

«....Scrittrice giovanissima questa, lieve nel passo esottile come silfo, magnifica nello sguardo, ammaliatri-ce nel sorriso. Quando entra nella chiesa è

....un profanodi testo sviamento,

come l’Aleardi canta di un’altra dea terrena. Quando sipresenta in un palco alla Scala, i canocchiali s’appunta-no verso di lei.

«Quando arriva nel salotto Maffei col suo abito divelo rosso trasparente, i crocchi tacciono, ognunol’ammira. È una poetessa, sposa felice Evelina Catter-mole. Viene nel salotto talvolta accompagnata dal mari-to....»

Dai Mancini si giocava; Eugenio ebbe sempre unapredilezione per il giuoco. Si faceva musica, si cantava,

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Magni lo guardò allibito e non rispose. Ma più tardidovette ripensare al consiglio poichè il naso di San Pie-tro venne riformato a dovere e ne riuscì un Socrate chela critica accolse benevolmente e che è abbastanza noto.

*

I coniugi Mancini facevano vita brillante e spensiera-ta. Raffaello Barbiera nel Salotto della Contessa Maffeicosì ci descrive la Lina:

«....Scrittrice giovanissima questa, lieve nel passo esottile come silfo, magnifica nello sguardo, ammaliatri-ce nel sorriso. Quando entra nella chiesa è

....un profanodi testo sviamento,

come l’Aleardi canta di un’altra dea terrena. Quando sipresenta in un palco alla Scala, i canocchiali s’appunta-no verso di lei.

«Quando arriva nel salotto Maffei col suo abito divelo rosso trasparente, i crocchi tacciono, ognunol’ammira. È una poetessa, sposa felice Evelina Catter-mole. Viene nel salotto talvolta accompagnata dal mari-to....»

Dai Mancini si giocava; Eugenio ebbe sempre unapredilezione per il giuoco. Si faceva musica, si cantava,

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si dicevano versi. La poetica della così detta scapigliatu-ra lombarda era ispirata all’individualismo passionale,esasperato, in aperta rivolta con la morale borghese del-la società contemporanea: del byronismo filtrato attra-verso De Musset, Baudelaire, Heine, quest’ultimo cono-sciuto in Italia attraverso le traduzioni del Maffei e delVarese.

In un suo studio su Verga, il Cesareo osserva:«I motivi preferiti consistono nell’accesa esaltazione

della colpa commessa per un delirio del sentimento, nel-la nostalgia lacrimosa ed inutile dell’innocenza, dellabontà, della famiglia, delle cose umili e pure,nell’avversione alla virtù senza eroismo, consideratacome vile bigotteria, e dunque all’obbedienza a’ parenti,alla fedeltà nel matrimonio, alla temperanza, alla parsi-monia e così via seguitando. Alfredo De Musset avevascritto fra gli altri:

Mais je hais les cafards et la race hypocriteDes tartufes des moeurs, comédiens insolentsQui mettent leurs vertus en mettant leurs gants blancs.

E Ferdinando Fontana ripeteva per tutti:

Il labbro che ti predicaL’azzurro e la moraleBeve, nell’ombra, al luridoNappo del baccanale:Le donne oneste mostranoNudo a’ teatri il seno....»

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si dicevano versi. La poetica della così detta scapigliatu-ra lombarda era ispirata all’individualismo passionale,esasperato, in aperta rivolta con la morale borghese del-la società contemporanea: del byronismo filtrato attra-verso De Musset, Baudelaire, Heine, quest’ultimo cono-sciuto in Italia attraverso le traduzioni del Maffei e delVarese.

In un suo studio su Verga, il Cesareo osserva:«I motivi preferiti consistono nell’accesa esaltazione

della colpa commessa per un delirio del sentimento, nel-la nostalgia lacrimosa ed inutile dell’innocenza, dellabontà, della famiglia, delle cose umili e pure,nell’avversione alla virtù senza eroismo, consideratacome vile bigotteria, e dunque all’obbedienza a’ parenti,alla fedeltà nel matrimonio, alla temperanza, alla parsi-monia e così via seguitando. Alfredo De Musset avevascritto fra gli altri:

Mais je hais les cafards et la race hypocriteDes tartufes des moeurs, comédiens insolentsQui mettent leurs vertus en mettant leurs gants blancs.

E Ferdinando Fontana ripeteva per tutti:

Il labbro che ti predicaL’azzurro e la moraleBeve, nell’ombra, al luridoNappo del baccanale:Le donne oneste mostranoNudo a’ teatri il seno....»

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Imbevuta di questa letteratura che zampillava, si puòdire, da torno a lei, maturata all’inebriante tepore diquest’atmosfera di vizio estetico, si capisce come la si-gnora Lina potesse assimilarne il corrosivo scetticismomorale; per quanto non sia giusto considerare la scapi-gliatura dal solo lato peggiore. Essa era pure un’arte dirivolta contro l’Italia grigia e bigotta, e il progenitore diquesta mentalità era stato il Foscolo. Questa ribellionealle convenzioni sociali, questa tendenza ad affermaread ogni modo i diritti dell’anima al di sopra di qualun-que altra esigenza umana, rappresentava una forma direazione che ne precorreva forse altre più vitali e fecon-de.

In casa Mancini erano assidui il capitano Emilio Ran-za, bella figura di soldato e di democratico, espertissimonella scienza delle armi; molto colto e legato da fraternoaffetto a Felice Cavallotti. Addetto alla dodicesimacompagnia dell’ottavo reggimento bersaglieri, e quindisotto gli ordini del Ranza che la comandava, c’era un te-nente svedese Axel Wimnel mandato dal suo governo astudiare l’ordinamento dei nostri bersaglieri. Anch’eglifrequentava Casa Mancini insieme a Eugenio Torelli-Violler, napoletano, noto per la sua imperturbabile cal-ma nei momenti più difficili della vita, oltre che per averdiretto per parecchio tempo La Lombardia e per averfondato il 4 marzo del 1876 il Corriere della Sera. Il To-relli era anche stato segretario di Alessandro Dumas pa-dre, quando seguì Garibaldi nella spedizione di Sicilia.Pasquale Stanislao Mancini aveva pregato l’ex-onorevo-

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Imbevuta di questa letteratura che zampillava, si puòdire, da torno a lei, maturata all’inebriante tepore diquest’atmosfera di vizio estetico, si capisce come la si-gnora Lina potesse assimilarne il corrosivo scetticismomorale; per quanto non sia giusto considerare la scapi-gliatura dal solo lato peggiore. Essa era pure un’arte dirivolta contro l’Italia grigia e bigotta, e il progenitore diquesta mentalità era stato il Foscolo. Questa ribellionealle convenzioni sociali, questa tendenza ad affermaread ogni modo i diritti dell’anima al di sopra di qualun-que altra esigenza umana, rappresentava una forma direazione che ne precorreva forse altre più vitali e fecon-de.

In casa Mancini erano assidui il capitano Emilio Ran-za, bella figura di soldato e di democratico, espertissimonella scienza delle armi; molto colto e legato da fraternoaffetto a Felice Cavallotti. Addetto alla dodicesimacompagnia dell’ottavo reggimento bersaglieri, e quindisotto gli ordini del Ranza che la comandava, c’era un te-nente svedese Axel Wimnel mandato dal suo governo astudiare l’ordinamento dei nostri bersaglieri. Anch’eglifrequentava Casa Mancini insieme a Eugenio Torelli-Violler, napoletano, noto per la sua imperturbabile cal-ma nei momenti più difficili della vita, oltre che per averdiretto per parecchio tempo La Lombardia e per averfondato il 4 marzo del 1876 il Corriere della Sera. Il To-relli era anche stato segretario di Alessandro Dumas pa-dre, quando seguì Garibaldi nella spedizione di Sicilia.Pasquale Stanislao Mancini aveva pregato l’ex-onorevo-

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le e avvocato Pier Andrea Curti di andare a trovare lanuora che egli amava teneramente e il Curti vi si recavaspesso e parlava volentieri di letteratura con la signora,consolandosi così delle amarezze politiche. Era stato de-putato con Rattazzi e gli restò fedelissimo anche quandodiventò impopolare, specie a Milano, e questa devozio-ne metteva anche il Curti sotto una luce poco simpaticain taluni ambienti dai quali seppe ritirarsi in buon ordi-ne, dandosi tutto alla letteratura storica. Fu autore di duelibri, su Pompei e Livia Augusta. Nella Voce del Popolo,diretta da Giarelli e da Luigi Fontana, anche questo sui-cida, faceva le cronache letterarie e teatrali firmando Ti-bicen. Un altro frequentatore della casa Mancini fu ungiovane veneziano impiegato al Banco di Napoli. Erabiondo, bellissimo, elegante. Si chiamava GiuseppeBennati di Baylon.

*

Pasquale Stanislao e Laura Beatrice Mancini avevanodemocraticamente abolito i loro titoli nobiliari, non cosìi figli che portarono il titolo di conte e la nuora cheinaugurò le sue carte da visita con tanto di «ContessaEvelina Mancini dei Marchesi di Fusignano». Sembra-rono, e furono per qualche tempo, una coppia felice Eu-genio e la Lina, ma poi il marito cominciò a trascurarela giovane sposa. Lo attiravano, fuori di casa, il giuoco e

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le e avvocato Pier Andrea Curti di andare a trovare lanuora che egli amava teneramente e il Curti vi si recavaspesso e parlava volentieri di letteratura con la signora,consolandosi così delle amarezze politiche. Era stato de-putato con Rattazzi e gli restò fedelissimo anche quandodiventò impopolare, specie a Milano, e questa devozio-ne metteva anche il Curti sotto una luce poco simpaticain taluni ambienti dai quali seppe ritirarsi in buon ordi-ne, dandosi tutto alla letteratura storica. Fu autore di duelibri, su Pompei e Livia Augusta. Nella Voce del Popolo,diretta da Giarelli e da Luigi Fontana, anche questo sui-cida, faceva le cronache letterarie e teatrali firmando Ti-bicen. Un altro frequentatore della casa Mancini fu ungiovane veneziano impiegato al Banco di Napoli. Erabiondo, bellissimo, elegante. Si chiamava GiuseppeBennati di Baylon.

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Pasquale Stanislao e Laura Beatrice Mancini avevanodemocraticamente abolito i loro titoli nobiliari, non cosìi figli che portarono il titolo di conte e la nuora cheinaugurò le sue carte da visita con tanto di «ContessaEvelina Mancini dei Marchesi di Fusignano». Sembra-rono, e furono per qualche tempo, una coppia felice Eu-genio e la Lina, ma poi il marito cominciò a trascurarela giovane sposa. Lo attiravano, fuori di casa, il giuoco e

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Page 56: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

le donne di teatro. Troppo spesso fu udito dire agli ami-ci: – Tenete compagnia a mia moglie, io esco. – La Linache era veramente innamorata del marito e gelosissimasoffriva di questo abbandono e scriveva:

DI SERAEd eccomi qui sola a udire ancoraIl lieve brontolìo de’ tizzi ardenti;Eccomi ad aspettarlo: è uscito or oraCanticchiando co ’l sigaro tra i denti.Gravi faccende lo chiamavan fuora:Gli amici, a ’l giuoco de le carte intentiOd un soprano che di vezzi infiorad’una storpiata melodia gli accenti.E per questo riman da me divisoFin che la mezzanotte o il tocco suonaA l’orologio d’una chiesa accanto.Poi torna allegro, m’accarezza il viso,E mi domanda se son stata buona,Senza nemmeno sospettar che ho pianto.

Dolore dunque, a cui seguirono scene e minacce reci-proche; e mentre il marito più si distaccava, i corteggia-tori si facevano più assidui. Dopo le scenate tornava lapace, ma per poco perchè la Lina aveva la coscienza diessere bella, giovane, elegante, intelligente e mal sop-portava d’essere trascurata; e molti di quegli stati d’ani-mo ella descriveva con tutta la passione del suo cuoredeluso:

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le donne di teatro. Troppo spesso fu udito dire agli ami-ci: – Tenete compagnia a mia moglie, io esco. – La Linache era veramente innamorata del marito e gelosissimasoffriva di questo abbandono e scriveva:

DI SERAEd eccomi qui sola a udire ancoraIl lieve brontolìo de’ tizzi ardenti;Eccomi ad aspettarlo: è uscito or oraCanticchiando co ’l sigaro tra i denti.Gravi faccende lo chiamavan fuora:Gli amici, a ’l giuoco de le carte intentiOd un soprano che di vezzi infiorad’una storpiata melodia gli accenti.E per questo riman da me divisoFin che la mezzanotte o il tocco suonaA l’orologio d’una chiesa accanto.Poi torna allegro, m’accarezza il viso,E mi domanda se son stata buona,Senza nemmeno sospettar che ho pianto.

Dolore dunque, a cui seguirono scene e minacce reci-proche; e mentre il marito più si distaccava, i corteggia-tori si facevano più assidui. Dopo le scenate tornava lapace, ma per poco perchè la Lina aveva la coscienza diessere bella, giovane, elegante, intelligente e mal sop-portava d’essere trascurata; e molti di quegli stati d’ani-mo ella descriveva con tutta la passione del suo cuoredeluso:

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GUERRAI.

Seduti insiem ne la poltrona istessa,Abbracciati siam lì vicino al fuoco:Si parla de i cavalli o pur de ’l cuoco,De ’l tempo, d’una donna o de la messa.Una donna! Modista o principessa,Il soggetto è scabroso; e a poco a pocoIo mi cruccio, m’esalto e i santi invoco:«Perch’egli manca ad ogni sua promessa.Perch’egli l’ama quella donna, è certo,Se n’ha un mucchio di fogli e di ritratti,A dispetto di quanto io n’ho sofferto!E mi farà morir.... Ma, tanto, basta,Noi per vivere insiem non siamo adatti!...»Io piango, ei sgrida; e la giornata è guasta.

PACEII.

Ei stuzzica la legna de ’l camino,Con un piglio di sdegno e d’importanza;Io m’aggiro in silenzio per la stanzaCo ’l fazzoletto in mano e il capo chino.Or apro un libro accanto a un tavolino,Ora su ’l pianoforte una romanza;Poi m’appoggio a ’l balcone, e in lontananzaSpingo lo sguardo, e penso al mio destino,Penso che il mondo è vasto e ch’io son sola:Ch’altro nido non vo’ che le sue braccia

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GUERRAI.

Seduti insiem ne la poltrona istessa,Abbracciati siam lì vicino al fuoco:Si parla de i cavalli o pur de ’l cuoco,De ’l tempo, d’una donna o de la messa.Una donna! Modista o principessa,Il soggetto è scabroso; e a poco a pocoIo mi cruccio, m’esalto e i santi invoco:«Perch’egli manca ad ogni sua promessa.Perch’egli l’ama quella donna, è certo,Se n’ha un mucchio di fogli e di ritratti,A dispetto di quanto io n’ho sofferto!E mi farà morir.... Ma, tanto, basta,Noi per vivere insiem non siamo adatti!...»Io piango, ei sgrida; e la giornata è guasta.

PACEII.

Ei stuzzica la legna de ’l camino,Con un piglio di sdegno e d’importanza;Io m’aggiro in silenzio per la stanzaCo ’l fazzoletto in mano e il capo chino.Or apro un libro accanto a un tavolino,Ora su ’l pianoforte una romanza;Poi m’appoggio a ’l balcone, e in lontananzaSpingo lo sguardo, e penso al mio destino,Penso che il mondo è vasto e ch’io son sola:Ch’altro nido non vo’ che le sue braccia

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Francesco Dall’Ongaro.

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Francesco Dall’Ongaro.

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Ferdinando Martini.

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Ferdinando Martini.

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Ed altra fede che la sua parola,E allor mi corre un brivido le vene,E me gli accosto, e gli susurro in faccia:Lo sai, Dio mio! ti voglio troppo bene!

Ecco come in quel troppo c’è già il tormento della ri-volta e il dramma che si matura. Prima di tradire suomarito, ella passa attraverso acute fasi di combattimen-to: non le sembra che egli meriti il bene che gli vuole, lapersonalità oppressa si ribella al suo disamore.

Quando il capitano è punito con gli arresti la Lina incuor suo ne è molto, molto felice, e lo dichiara con spi-rito grazioso.

ARRESTIArresti di rigore. Egli ha mancatoNon mi ricordo a qual regolamento,Ma con la disciplina de ’l soldatoNessun fa, non c’è Cristi, a suo talento.Ed eccolo qui in casa sequestrato:Addio cavalli, addio divertimento!E forse in nulla, chi lo sa? sfumatoD’un capriccio il segreto abboccamento.Tacito e grave ei legge: io, gli occhi mestiGli lascio addosso e di crucciarmi fingoCo ’l suo malvagio superior scortese.Ma è tutto una commedia. O santi arresti!Per farmelo più serio e casalingoCi vorrebbero almen due volte a ’l mese.

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Ed altra fede che la sua parola,E allor mi corre un brivido le vene,E me gli accosto, e gli susurro in faccia:Lo sai, Dio mio! ti voglio troppo bene!

Ecco come in quel troppo c’è già il tormento della ri-volta e il dramma che si matura. Prima di tradire suomarito, ella passa attraverso acute fasi di combattimen-to: non le sembra che egli meriti il bene che gli vuole, lapersonalità oppressa si ribella al suo disamore.

Quando il capitano è punito con gli arresti la Lina incuor suo ne è molto, molto felice, e lo dichiara con spi-rito grazioso.

ARRESTIArresti di rigore. Egli ha mancatoNon mi ricordo a qual regolamento,Ma con la disciplina de ’l soldatoNessun fa, non c’è Cristi, a suo talento.Ed eccolo qui in casa sequestrato:Addio cavalli, addio divertimento!E forse in nulla, chi lo sa? sfumatoD’un capriccio il segreto abboccamento.Tacito e grave ei legge: io, gli occhi mestiGli lascio addosso e di crucciarmi fingoCo ’l suo malvagio superior scortese.Ma è tutto una commedia. O santi arresti!Per farmelo più serio e casalingoCi vorrebbero almen due volte a ’l mese.

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Page 61: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

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Dopo molti pianti e preghiere, non prese in considera-zione dal marito, la Lina finì col cedere alla tenerezzache le dimostrava Giuseppe Bennati di Baylon della cuiassiduità verso la signora tutti si erano avvisti. Il marito,essendo grandissimo amico del Bennati da molti anni edavendo piena fiducia in lui, come nella moglie, ebbequalche sospetto e si mise a pedinarla. Egli la mattinadalle cinque alle sei andava in Piazza d’Armi, e la mo-glie usciva poco dopo di lui. Anzi essa stessa glielo dis-se:

— Esco, non so che fare in casa, mi piace girare dimattina presto. Vado in chiesa.

La Lina fu sempre religiosa, benchè a modo suo, valea dire senza una scrupolosa osservanza dei precetti.

Il capitano Mancini seguitava a indagare ma non gliera riuscito ancora di sapere dove la moglie si recasse,sebbene avesse già conosciuta la strada, che non era ViaSolferino 7, dove abitava il Bennati, ma Via Unione. Equando i suoi sospetti erano quasi divenuti certezza, unamattina, incontrando il Bennati, scese da cavallo e congrande lealtà e, infinita pena gli disse del dubbio che loassillava.

Bennati divenne pallido, ma si riprese subito.— No, no, sul mio onore, ti assicuro che ti amo come

un fratello, lo sai, e per tua moglie ho una calda, devota

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Dopo molti pianti e preghiere, non prese in considera-zione dal marito, la Lina finì col cedere alla tenerezzache le dimostrava Giuseppe Bennati di Baylon della cuiassiduità verso la signora tutti si erano avvisti. Il marito,essendo grandissimo amico del Bennati da molti anni edavendo piena fiducia in lui, come nella moglie, ebbequalche sospetto e si mise a pedinarla. Egli la mattinadalle cinque alle sei andava in Piazza d’Armi, e la mo-glie usciva poco dopo di lui. Anzi essa stessa glielo dis-se:

— Esco, non so che fare in casa, mi piace girare dimattina presto. Vado in chiesa.

La Lina fu sempre religiosa, benchè a modo suo, valea dire senza una scrupolosa osservanza dei precetti.

Il capitano Mancini seguitava a indagare ma non gliera riuscito ancora di sapere dove la moglie si recasse,sebbene avesse già conosciuta la strada, che non era ViaSolferino 7, dove abitava il Bennati, ma Via Unione. Equando i suoi sospetti erano quasi divenuti certezza, unamattina, incontrando il Bennati, scese da cavallo e congrande lealtà e, infinita pena gli disse del dubbio che loassillava.

Bennati divenne pallido, ma si riprese subito.— No, no, sul mio onore, ti assicuro che ti amo come

un fratello, lo sai, e per tua moglie ho una calda, devota

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ammirazione, nulla più. Sarebbe la più grande infamiatradire l’ospitalità e l’amicizia.... vivi sereno, tranquillo.

Uguali assicurazioni gli fece la moglie; ma egli pursforzandosi, pur volendo credere, era torturato dal dub-bio atroce, continuo, implacabile.

Fu in quei giorni che qualcuno intese dire al Bennati:— Io sono perduto.Aveva lottato disperatamente per mantenere il propo-

sito di non tradire l’amico fraterno, ma la passione lotravolse; ed ora ne vedeva tutto l’abisso. Mancini, unpo’ perchè si alzava presto per andare in Piazza d’Armi,un po’ perchè la notte era sempre più preso dal giuoco,soleva dormire nel pomeriggio; la Lina e il Bennati neapprofittavano per incontrarsi in Via Unione al numerouno. La cameriera della signora, Giuseppina Dones diventiquattro anni, era a parte del segreto e aveva l’ordi-ne, appena il capitano si svegliasse, di correre ad avver-tire la padrona, poichè la distanza fra una casa e l’altraera brevissima. Però la Dones strideva a questa incom-benza: si disse che era segretamente innamorata del ca-pitano e odiava la moglie considerandola come la fortu-nata rivale e come la sposa indegna che tradiva l’uomodegno, secondo lei, di essere adorato in ginocchio.

S’era alla metà del maggio 1875, e pochi giorni primadel fatto che andiamo narrando la Lina era stata ammi-ratissima ad un gran ballo dato alla Società del Giardi-no.

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ammirazione, nulla più. Sarebbe la più grande infamiatradire l’ospitalità e l’amicizia.... vivi sereno, tranquillo.

Uguali assicurazioni gli fece la moglie; ma egli pursforzandosi, pur volendo credere, era torturato dal dub-bio atroce, continuo, implacabile.

Fu in quei giorni che qualcuno intese dire al Bennati:— Io sono perduto.Aveva lottato disperatamente per mantenere il propo-

sito di non tradire l’amico fraterno, ma la passione lotravolse; ed ora ne vedeva tutto l’abisso. Mancini, unpo’ perchè si alzava presto per andare in Piazza d’Armi,un po’ perchè la notte era sempre più preso dal giuoco,soleva dormire nel pomeriggio; la Lina e il Bennati neapprofittavano per incontrarsi in Via Unione al numerouno. La cameriera della signora, Giuseppina Dones diventiquattro anni, era a parte del segreto e aveva l’ordi-ne, appena il capitano si svegliasse, di correre ad avver-tire la padrona, poichè la distanza fra una casa e l’altraera brevissima. Però la Dones strideva a questa incom-benza: si disse che era segretamente innamorata del ca-pitano e odiava la moglie considerandola come la fortu-nata rivale e come la sposa indegna che tradiva l’uomodegno, secondo lei, di essere adorato in ginocchio.

S’era alla metà del maggio 1875, e pochi giorni primadel fatto che andiamo narrando la Lina era stata ammi-ratissima ad un gran ballo dato alla Società del Giardi-no.

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Mancini si svegliò quel pomeriggio del sabato 22maggio e chiese della moglie alla cameriera; questa glirispose con un sogghigno sinistro.

Egli le fu addosso, la scosse, l’afferrò alla gola, la co-strinse a dire tutto, tutto quello che sapeva. E la came-riera parlò: sì, la padrona, era l’amante del signor Cava-lier Bennati da un po’ di tempo. Credeva che il signorcapitano lo sapesse come lo sapevano tutti. Ora lei do-veva andare in Via Unione al numero uno: saliva unascala, faceva tre colpi così a una porta, le aprivano; en-trava per rivestire la signora, ecco tutto.... ma credeva,credeva proprio che il signor capitano sapesse....

Egli liberò la donna dalla stretta e andò ad un mobilenella camera, dove teneva il revolver; non lo trovò. Spa-rito. Era in divisa, ma inerme, e corse in Via Unione;fece di volo affannando la scala, picchiò tre volte con lenocche alla porta e attese in agguato. Sentì Bennati checanterellando veniva ad aprirgli. Vedendo Mancini cac-ciò un urlo e fece per tornare sui suoi passi, ma Eugeniolo tenne fermo. Allora l’amante gridò:

— Lina, porta il revolver!L’arma che Mancini non aveva trovata in casa era sta-

ta presa dalla moglie e portata all’amante per difesacontro di lui.

L’urto fra i due fu terribile. La moglie accorse allachiamata dell’amico e porse il revolver a Bennati che loimpugnò. In quell’istante accorsero i portinai, le guardiedi pubblica sicurezza, i carabinieri, una folla di genteche divise i rivali; e mentre il Bennati era protetto dai

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Mancini si svegliò quel pomeriggio del sabato 22maggio e chiese della moglie alla cameriera; questa glirispose con un sogghigno sinistro.

Egli le fu addosso, la scosse, l’afferrò alla gola, la co-strinse a dire tutto, tutto quello che sapeva. E la came-riera parlò: sì, la padrona, era l’amante del signor Cava-lier Bennati da un po’ di tempo. Credeva che il signorcapitano lo sapesse come lo sapevano tutti. Ora lei do-veva andare in Via Unione al numero uno: saliva unascala, faceva tre colpi così a una porta, le aprivano; en-trava per rivestire la signora, ecco tutto.... ma credeva,credeva proprio che il signor capitano sapesse....

Egli liberò la donna dalla stretta e andò ad un mobilenella camera, dove teneva il revolver; non lo trovò. Spa-rito. Era in divisa, ma inerme, e corse in Via Unione;fece di volo affannando la scala, picchiò tre volte con lenocche alla porta e attese in agguato. Sentì Bennati checanterellando veniva ad aprirgli. Vedendo Mancini cac-ciò un urlo e fece per tornare sui suoi passi, ma Eugeniolo tenne fermo. Allora l’amante gridò:

— Lina, porta il revolver!L’arma che Mancini non aveva trovata in casa era sta-

ta presa dalla moglie e portata all’amante per difesacontro di lui.

L’urto fra i due fu terribile. La moglie accorse allachiamata dell’amico e porse il revolver a Bennati che loimpugnò. In quell’istante accorsero i portinai, le guardiedi pubblica sicurezza, i carabinieri, una folla di genteche divise i rivali; e mentre il Bennati era protetto dai

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carabinieri, Mancini gli disse: «Fra un’ora ci rivedre-mo».

*

Giuseppe Bennati partì la sera stessa per Belluno, persistemare alcuni affari personali; nel medesimo tempo ilcapitano Mancini mandò l’ordinanza dall’avvocato PierAndrea Curti con la preghiera di andare subito da lui peruna grande sciagura. Il Curti si recò in casa dell’amico elo trovò in uno stato deplorevole e in preda a convulsio-ni. Telegrafò immediatamente a Pasquale StanislaoMancini il quale, malato d’artrite, non potè muoversi daRoma e pregò il Curti di rappresentarlo in tutto e pertutto. Contemporaneamente il Curti, che era amico tantodel Mancini quanto del Bennati, scrisse al cognato diquesto a Firenze, cavalier Parodi, perchè avvertisse ilpadre dell’accaduto.

Il giorno dopo continuarono le crisi del Mancini chepiù volte tentò di gettarsi dalla finestra. La Lina, chiusadal giorno prima nella camera da letto, si ostinava a nonprendere cibo, a non vedere nessuno. Il buon Curti a fu-ria di insistenze fu ricevuto e dopo alcune dolci rimo-stranze, poichè insistere ancora sul fatto compiuto cheella stessa già deplorava sarebbe stato ingeneroso, laconsigliò e la pregò a non volersi lasciar deperire. Ma lasignora assicurava che il solo, il peggiore tormento, era

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carabinieri, Mancini gli disse: «Fra un’ora ci rivedre-mo».

*

Giuseppe Bennati partì la sera stessa per Belluno, persistemare alcuni affari personali; nel medesimo tempo ilcapitano Mancini mandò l’ordinanza dall’avvocato PierAndrea Curti con la preghiera di andare subito da lui peruna grande sciagura. Il Curti si recò in casa dell’amico elo trovò in uno stato deplorevole e in preda a convulsio-ni. Telegrafò immediatamente a Pasquale StanislaoMancini il quale, malato d’artrite, non potè muoversi daRoma e pregò il Curti di rappresentarlo in tutto e pertutto. Contemporaneamente il Curti, che era amico tantodel Mancini quanto del Bennati, scrisse al cognato diquesto a Firenze, cavalier Parodi, perchè avvertisse ilpadre dell’accaduto.

Il giorno dopo continuarono le crisi del Mancini chepiù volte tentò di gettarsi dalla finestra. La Lina, chiusadal giorno prima nella camera da letto, si ostinava a nonprendere cibo, a non vedere nessuno. Il buon Curti a fu-ria di insistenze fu ricevuto e dopo alcune dolci rimo-stranze, poichè insistere ancora sul fatto compiuto cheella stessa già deplorava sarebbe stato ingeneroso, laconsigliò e la pregò a non volersi lasciar deperire. Ma lasignora assicurava che il solo, il peggiore tormento, era

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di sentire le smanie e il dolore del marito. Arrivaronointanto alcuni ufficiali del reggimento di Mancini e dis-sero che il Bennati aveva accettato la sfida che il Manci-ni gli aveva gettata il giorno 22, e che comunque partitosi teneva a disposizione. Allora Mancini insistè perchèBennati fosse subito richiamato affinchè il duello si fa-cesse al più presto, perchè quello stato di cose era inso-stenibile. Intanto l’avvocato Curti condusse con dolceviolenza a casa sua il Mancini per tenerlo sott’occhi,consolarlo, e nello stesso tempo evitare alla moglie iltormento di quelle grida, di quei singhiozzi.

La scenata era avvenuta il sabato e Bennati ritornò aMilano il mercoledì 26. Anche qui fu di mezzo Pier An-drea Curti, che regolò certe partite di comune interesseesistenti fra i due rivali; e come il Mancini era andato adabitare dal Curti, Bennati non rientrò a casa sua in viaSolferino al numero sette ma andò dal signor Borg, invia Carlo Cattaneo al numero uno.

Si è detto che fra Bennati e Mancini ci erano stati in-teressi comuni, come certe cambiali che avevano la fir-ma di tutti e due; questo impedì di andare sul terreno en-tro le ventiquattro ore dalla provocazione come è di uso.Allora si costituì un giurì d’onore composto dall’avvo-cato Pier Andrea Curti, presidente, dal capitano baroneCarlo Weichlim, dal tenente conte Paolo Negri del deci-mo reggimento cavalleria, dal tenente Cesare Ricottidell’ottavo bersaglieri, dal tenente barone Rechrein,pure dell’ottavo bersaglieri, e dall’aggregato svedeseAxel Wimnel, il quale pur considerate le circostanze per

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di sentire le smanie e il dolore del marito. Arrivaronointanto alcuni ufficiali del reggimento di Mancini e dis-sero che il Bennati aveva accettato la sfida che il Manci-ni gli aveva gettata il giorno 22, e che comunque partitosi teneva a disposizione. Allora Mancini insistè perchèBennati fosse subito richiamato affinchè il duello si fa-cesse al più presto, perchè quello stato di cose era inso-stenibile. Intanto l’avvocato Curti condusse con dolceviolenza a casa sua il Mancini per tenerlo sott’occhi,consolarlo, e nello stesso tempo evitare alla moglie iltormento di quelle grida, di quei singhiozzi.

La scenata era avvenuta il sabato e Bennati ritornò aMilano il mercoledì 26. Anche qui fu di mezzo Pier An-drea Curti, che regolò certe partite di comune interesseesistenti fra i due rivali; e come il Mancini era andato adabitare dal Curti, Bennati non rientrò a casa sua in viaSolferino al numero sette ma andò dal signor Borg, invia Carlo Cattaneo al numero uno.

Si è detto che fra Bennati e Mancini ci erano stati in-teressi comuni, come certe cambiali che avevano la fir-ma di tutti e due; questo impedì di andare sul terreno en-tro le ventiquattro ore dalla provocazione come è di uso.Allora si costituì un giurì d’onore composto dall’avvo-cato Pier Andrea Curti, presidente, dal capitano baroneCarlo Weichlim, dal tenente conte Paolo Negri del deci-mo reggimento cavalleria, dal tenente Cesare Ricottidell’ottavo bersaglieri, dal tenente barone Rechrein,pure dell’ottavo bersaglieri, e dall’aggregato svedeseAxel Wimnel, il quale pur considerate le circostanze per

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le quali era giuocoforza differire la partita d’onore, an-che perchè il Bennati non aveva ancora potuto trovarenè padrini, nè testimoni, assolveva d’ogni responsabilitàper il ritardo tanto il Mancini quanto il Bennati.Quest’ultimo, per mezzo dell’amico John Borg, fece sa-pere a Mancini che avrebbe accettato tutte le sue condi-zioni senza discussione.

*

L’arma designata fu la pistola di misura da duello; ilterreno, scelto dai tenenti Negri e Wimnel, nel bosco dipini a sud-ovest di Senaghino, vicino a Bollate pressoMilano, a cinquecento metri circa da una fornace: sce-gliendo il posto si procurò che i duellanti si trovasseroin pari condizioni sia rispetto alla luce, sia rispetto alterreno. La distanza, trenta metri con barriera centralead intervallo di dieci metri. Il giorno fissato, il 27 mag-gio alle 6¾ pomeridiane. Era la festa del Corpus Domi-ni. Fu concessa la facoltà agli avversari, dopo il segnaleavanti dato dal direttore dello scontro, di avanzare, fer-marsi, puntare e sparare a volontà. Mancando il fuoco incausa della capsula la si poteva cambiare. Gli avversari,occorrendo, avrebbero potuto servirsi della mano sini-stra; lo scontro non si riterrebbe finito se non dietro or-dine dei padrini, previa decisione dei medici che dichia-rassero per ferita gravissima l’assoluta impossibilità di

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le quali era giuocoforza differire la partita d’onore, an-che perchè il Bennati non aveva ancora potuto trovarenè padrini, nè testimoni, assolveva d’ogni responsabilitàper il ritardo tanto il Mancini quanto il Bennati.Quest’ultimo, per mezzo dell’amico John Borg, fece sa-pere a Mancini che avrebbe accettato tutte le sue condi-zioni senza discussione.

*

L’arma designata fu la pistola di misura da duello; ilterreno, scelto dai tenenti Negri e Wimnel, nel bosco dipini a sud-ovest di Senaghino, vicino a Bollate pressoMilano, a cinquecento metri circa da una fornace: sce-gliendo il posto si procurò che i duellanti si trovasseroin pari condizioni sia rispetto alla luce, sia rispetto alterreno. La distanza, trenta metri con barriera centralead intervallo di dieci metri. Il giorno fissato, il 27 mag-gio alle 6¾ pomeridiane. Era la festa del Corpus Domi-ni. Fu concessa la facoltà agli avversari, dopo il segnaleavanti dato dal direttore dello scontro, di avanzare, fer-marsi, puntare e sparare a volontà. Mancando il fuoco incausa della capsula la si poteva cambiare. Gli avversari,occorrendo, avrebbero potuto servirsi della mano sini-stra; lo scontro non si riterrebbe finito se non dietro or-dine dei padrini, previa decisione dei medici che dichia-rassero per ferita gravissima l’assoluta impossibilità di

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proseguire. I due avversari s’impegnarono di non di-chiarare i nomi dei secondi, medici, padrini, testimonied altri presenti alla partita.

Bennati, fermo in ciò che spontaneamente aveva pro-messo, non sollevò nessuna eccezione alle condizioniproposte, accettandole senza riserva. Soltanto si limitò afar conoscere ai rappresentanti di Mancini la sua grandedifficoltà nel procurarsi i secondi; poichè essendosi ri-volto a molti suoi amici, chi per un motivo, chi perl’altro essi non avevano accettato l’incarico. Il giornodel duello Bennati giunse all’appuntamento solamentecol tenente Alberto Reyneri il quale aveva accettatod’accompagnarlo come testimonio, dietro preghierascritta di Mancini affinchè non ci fossero ancora dei ri-tardi. Allora fu pregato il Wimnel di fare da secondo te-stimone del Bennati insieme al Reyneri.

*

Verso le quattro del pomeriggio una carrozza a duecavalli della Società Anonima Omnibus di Milano usci-va dalla rimessa. Fu detto al vetturino che la guidava:«Ti dirigerai al Sempione, dove poco dopo troverai trepersone una delle quali ti presenterà un pezzo di cartatriangolare come questo. Le persone saliranno in carroz-za e tu andrai dove ti sarà ordinato di andare». Il vetturi-no partì. A cento passi oltre il Sempione gli si presentò

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proseguire. I due avversari s’impegnarono di non di-chiarare i nomi dei secondi, medici, padrini, testimonied altri presenti alla partita.

Bennati, fermo in ciò che spontaneamente aveva pro-messo, non sollevò nessuna eccezione alle condizioniproposte, accettandole senza riserva. Soltanto si limitò afar conoscere ai rappresentanti di Mancini la sua grandedifficoltà nel procurarsi i secondi; poichè essendosi ri-volto a molti suoi amici, chi per un motivo, chi perl’altro essi non avevano accettato l’incarico. Il giornodel duello Bennati giunse all’appuntamento solamentecol tenente Alberto Reyneri il quale aveva accettatod’accompagnarlo come testimonio, dietro preghierascritta di Mancini affinchè non ci fossero ancora dei ri-tardi. Allora fu pregato il Wimnel di fare da secondo te-stimone del Bennati insieme al Reyneri.

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Verso le quattro del pomeriggio una carrozza a duecavalli della Società Anonima Omnibus di Milano usci-va dalla rimessa. Fu detto al vetturino che la guidava:«Ti dirigerai al Sempione, dove poco dopo troverai trepersone una delle quali ti presenterà un pezzo di cartatriangolare come questo. Le persone saliranno in carroz-za e tu andrai dove ti sarà ordinato di andare». Il vetturi-no partì. A cento passi oltre il Sempione gli si presentò

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un individuo con un pezzo di carta simile a quello chegli avevano mostrato e, dopo pochi altri, due signorigiunsero in un brumm, discesero, e tutti e tre montarononella carrozza a due cavalli ordinando di andare versoBollate. Essi erano i capitani Mancini, Mandrini e Ran-za.

Un’altra vettura, sempre della stessa società, era an-data a prendere il capitano medico Enrico Barocchini invia Solferino 40; dopo in via San Giuseppe al trediciprese l’avvocato Curti, e in capo alla via Cusani fece sa-lire il tenente medico Gaetano Pironti che attendeva.Questa vettura arrivò a Senaghino, e il conte Negri chegià vi era andato a cavallo insegnò la strada che conducealla fornace, avvertendo di andarvi proprio vicino adaspettare l’altra carrozza che conduceva Mancini, Man-drini e Ranza. Questa vettura, durante la strada, s’erafermata all’albergo Mandelli, dove i signori bevvero eoffrirono del vino anche al vetturale. Erano allegri.Mancini vestiva in borghese, di lana chiara. Tutti del re-sto, eccetto il Negri, erano in borghese. Sulla porta dellasua abitazione nel cortile dell’osteria c’era una donna,certa Maria Restelli. Eugenio le si avvicinò e, scortinell’interno i bachi sui cannicci, chiese di andarli a ve-dere; la donna lo fece passare: ne uscì scherzando, dopodi che rimontarono in vettura andando a raggiungere glialtri alla fornace, dove poco dopo arrivò, terza e ultima,la carrozza con Giuseppe Bennati accompagnato dalReyneri. Tutti si avviarono al bosco di pini, in una radu-ra detta la Prevosta.

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un individuo con un pezzo di carta simile a quello chegli avevano mostrato e, dopo pochi altri, due signorigiunsero in un brumm, discesero, e tutti e tre montarononella carrozza a due cavalli ordinando di andare versoBollate. Essi erano i capitani Mancini, Mandrini e Ran-za.

Un’altra vettura, sempre della stessa società, era an-data a prendere il capitano medico Enrico Barocchini invia Solferino 40; dopo in via San Giuseppe al trediciprese l’avvocato Curti, e in capo alla via Cusani fece sa-lire il tenente medico Gaetano Pironti che attendeva.Questa vettura arrivò a Senaghino, e il conte Negri chegià vi era andato a cavallo insegnò la strada che conducealla fornace, avvertendo di andarvi proprio vicino adaspettare l’altra carrozza che conduceva Mancini, Man-drini e Ranza. Questa vettura, durante la strada, s’erafermata all’albergo Mandelli, dove i signori bevvero eoffrirono del vino anche al vetturale. Erano allegri.Mancini vestiva in borghese, di lana chiara. Tutti del re-sto, eccetto il Negri, erano in borghese. Sulla porta dellasua abitazione nel cortile dell’osteria c’era una donna,certa Maria Restelli. Eugenio le si avvicinò e, scortinell’interno i bachi sui cannicci, chiese di andarli a ve-dere; la donna lo fece passare: ne uscì scherzando, dopodi che rimontarono in vettura andando a raggiungere glialtri alla fornace, dove poco dopo arrivò, terza e ultima,la carrozza con Giuseppe Bennati accompagnato dalReyneri. Tutti si avviarono al bosco di pini, in una radu-ra detta la Prevosta.

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Come era stabilito, i padrini disposero i duellanti alladistanza di trenta metri l’uno dall’altro con facoltà a cia-scuno di avanzare fino a dieci metri per modo che la di-stanza minima fosse appunto tale. Il Ranza aveva procu-rato le pistole perfettamente sconosciute agli avversari;e sul terreno furono tolte da un involto con lo stemmadel Wimnel, che le aveva suggellate in casa sua, dove leaveva portate il tenente Ricotti. Il tenente Negri le cari-cò. Fu lasciata alla sorte l’assegnazione del posto aiduellanti. Ranza porse la pistola a Mancini, Wimnel aBennati. Il segnale fu dato dal Reyneri, anche lui desi-gnato a ciò dalla sorte. Gli avversari si fissarono per ol-tre un minuto, poi il capitano Mancini avanzò in due ri-prese di cinque passi ciascuna e visto che il Bennati per-durava nell’inazione abbassò lentamente l’arma, quasiad avvertire l’avversario di fare lo stesso; quindi colmassimo sangue freddo esplose il suo colpo. Il Bennatiera rimasto fermo al suo posto, con pari sangue freddo epure con la pistola appuntata verso Mancini, ma nontirò. Fece un semigiro a destra in atto di contorcersi, pie-gò le ginocchia e cadde a terra sul fianco ferito, man-dando un lungo lamento. Erano le sette e un quarto. IlCurti, che era andato al duello come amico di tutti edue, s’inginocchiò per far posare sul ginocchio la testadi Bennati. Accorsero i medici, il dottor Barocchini e ildottor Pironti, uno capitano e l’altro tenente, poichè perquanto il Barocchini avesse cercato non era riuscito atrovare un medico borghese che volesse con lui assistereal duello.

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Come era stabilito, i padrini disposero i duellanti alladistanza di trenta metri l’uno dall’altro con facoltà a cia-scuno di avanzare fino a dieci metri per modo che la di-stanza minima fosse appunto tale. Il Ranza aveva procu-rato le pistole perfettamente sconosciute agli avversari;e sul terreno furono tolte da un involto con lo stemmadel Wimnel, che le aveva suggellate in casa sua, dove leaveva portate il tenente Ricotti. Il tenente Negri le cari-cò. Fu lasciata alla sorte l’assegnazione del posto aiduellanti. Ranza porse la pistola a Mancini, Wimnel aBennati. Il segnale fu dato dal Reyneri, anche lui desi-gnato a ciò dalla sorte. Gli avversari si fissarono per ol-tre un minuto, poi il capitano Mancini avanzò in due ri-prese di cinque passi ciascuna e visto che il Bennati per-durava nell’inazione abbassò lentamente l’arma, quasiad avvertire l’avversario di fare lo stesso; quindi colmassimo sangue freddo esplose il suo colpo. Il Bennatiera rimasto fermo al suo posto, con pari sangue freddo epure con la pistola appuntata verso Mancini, ma nontirò. Fece un semigiro a destra in atto di contorcersi, pie-gò le ginocchia e cadde a terra sul fianco ferito, man-dando un lungo lamento. Erano le sette e un quarto. IlCurti, che era andato al duello come amico di tutti edue, s’inginocchiò per far posare sul ginocchio la testadi Bennati. Accorsero i medici, il dottor Barocchini e ildottor Pironti, uno capitano e l’altro tenente, poichè perquanto il Barocchini avesse cercato non era riuscito atrovare un medico borghese che volesse con lui assistereal duello.

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Il proiettile aveva ferito il Bennati fra la sesta e la set-tima costola con lesione del fegato. Medicato, fasciato,gli si misero delle compresse per evitare l’emorragia.

Fu mandata a prendere una delle vetture che erano ri-maste alla fornace, e ci fu gran difficoltà a farla passarenel bosco. Si dovettero staccare i cavalli e farla girare aforza di braccia. Tutti aiutarono il cocchiere. Quando lacarrozza fu pronta il dottor Barocchini e il tenente Negrisollevarono il Bennati alle spalle mentre il dottor Pirontigli sorreggeva i piedi, e lo adagiarono nella vettura cheandò al passo, fermandosi ogni poco per fare odoraredei sali al ferito o per dargli da bere perchè si sentivabruciare dalla sete. La strada era incomoda, malagevole,e ogni scossa era un tormento per Bennati, che non po-tendo reggere a proseguire il viaggio per Milano comeera desiderio di Curti, volle essere condotto in qualun-que posto, purchè fosse il più vicino. Dopo lungo tempoarrivarono a Bollate e, d’accordo col medico condottoche fu subito cercato, fu deciso di ricoverare il ferito, incasa di un certo Frigerio, in una stanza al primo piano. IlNegri alla fornace aveva abbandonato il ferito ai medicie, raggiunta l’ordinanza che teneva i cavalli e il Wimnel,si avviò con loro verso Milano, venendo dal ponte sultorrente dove è la strada per Senago. Si fermaronoall’osteria e bevvero in fretta un litro di vino nero. Ne-gri, come s’è detto, era in divisa, il Wimnel portava unsurtout, il cappello a cilindro, e gli occhiali. Erano alle-gri. Si congratularono con l’ostessa perchè in paese ave-vano fatto una bella festa del Corpus Domini, ma ag-

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Il proiettile aveva ferito il Bennati fra la sesta e la set-tima costola con lesione del fegato. Medicato, fasciato,gli si misero delle compresse per evitare l’emorragia.

Fu mandata a prendere una delle vetture che erano ri-maste alla fornace, e ci fu gran difficoltà a farla passarenel bosco. Si dovettero staccare i cavalli e farla girare aforza di braccia. Tutti aiutarono il cocchiere. Quando lacarrozza fu pronta il dottor Barocchini e il tenente Negrisollevarono il Bennati alle spalle mentre il dottor Pirontigli sorreggeva i piedi, e lo adagiarono nella vettura cheandò al passo, fermandosi ogni poco per fare odoraredei sali al ferito o per dargli da bere perchè si sentivabruciare dalla sete. La strada era incomoda, malagevole,e ogni scossa era un tormento per Bennati, che non po-tendo reggere a proseguire il viaggio per Milano comeera desiderio di Curti, volle essere condotto in qualun-que posto, purchè fosse il più vicino. Dopo lungo tempoarrivarono a Bollate e, d’accordo col medico condottoche fu subito cercato, fu deciso di ricoverare il ferito, incasa di un certo Frigerio, in una stanza al primo piano. IlNegri alla fornace aveva abbandonato il ferito ai medicie, raggiunta l’ordinanza che teneva i cavalli e il Wimnel,si avviò con loro verso Milano, venendo dal ponte sultorrente dove è la strada per Senago. Si fermaronoall’osteria e bevvero in fretta un litro di vino nero. Ne-gri, come s’è detto, era in divisa, il Wimnel portava unsurtout, il cappello a cilindro, e gli occhiali. Erano alle-gri. Si congratularono con l’ostessa perchè in paese ave-vano fatto una bella festa del Corpus Domini, ma ag-

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giunsero che loro ne avevano fatta una migliore poco di-stante da Bollate, senza indicare con precisione il luogoe non spiegandosi sul genere della festa cui alludevano.Rimontarono sui bei cavalli di mantello rossiccio e pre-sero la contrada Maggiore che conduceva a Milano.

Curti aveva telegrafato da Milano avvertendodell’accaduto i padri Bennati e Mancini e col Reyneriaspettò fino verso la mezzanotte fuori porta Sempionequalcuno che portasse notizie del ferito. Le portaronogravissime il Negri e il Wimnel. Intanto furono mandatida Milano al Bennati altri due medici, il dottor Bertolanie Tibaldi che estrassero il proiettile al ferito. Manciniera rimasto impressionato, disfatto.

*

Il giorno dopo il duello la polizia accorse al letto delBennati: egli parlava a stento per la gravità della ferita;dichiarò, per non compromettere alcuno, che da qualchegiorno aveva dei forti dispiaceri di cuore, e che si eradeciso ad uccidersi per togliersi da tutte le pene. Avevaaffittato un calesse senza neppure prendere il numero esi era fatto condurre a caso per la campagna tutto solo.Era sceso forse fra Bollate e Senago dove senza che nes-suno lo vedesse si era ferito con una pistola carica a pal-la alla parte destra del costato. Era dolente di non esseremorto subito. Egli solo era la causa della sua ferita; tan-

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giunsero che loro ne avevano fatta una migliore poco di-stante da Bollate, senza indicare con precisione il luogoe non spiegandosi sul genere della festa cui alludevano.Rimontarono sui bei cavalli di mantello rossiccio e pre-sero la contrada Maggiore che conduceva a Milano.

Curti aveva telegrafato da Milano avvertendodell’accaduto i padri Bennati e Mancini e col Reyneriaspettò fino verso la mezzanotte fuori porta Sempionequalcuno che portasse notizie del ferito. Le portaronogravissime il Negri e il Wimnel. Intanto furono mandatida Milano al Bennati altri due medici, il dottor Bertolanie Tibaldi che estrassero il proiettile al ferito. Manciniera rimasto impressionato, disfatto.

*

Il giorno dopo il duello la polizia accorse al letto delBennati: egli parlava a stento per la gravità della ferita;dichiarò, per non compromettere alcuno, che da qualchegiorno aveva dei forti dispiaceri di cuore, e che si eradeciso ad uccidersi per togliersi da tutte le pene. Avevaaffittato un calesse senza neppure prendere il numero esi era fatto condurre a caso per la campagna tutto solo.Era sceso forse fra Bollate e Senago dove senza che nes-suno lo vedesse si era ferito con una pistola carica a pal-la alla parte destra del costato. Era dolente di non esseremorto subito. Egli solo era la causa della sua ferita; tan-

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Pasquale Stanislao Mancini.

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Pasquale Stanislao Mancini.

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to era vero quello che diceva che in precedenza avevascritto una lettera al Procuratore del Re di Milano, conla quale lo informava del suo proposito. Non sapevaproprio che cosa fosse avvenuto della pistola con la qua-le si era ferito perchè l’aveva abbandonata nel bosco.Dopo aveva perduto i sensi e si era trovato in quella ca-mera....

Ecco la lettera che infatti il Bennati aveva scritto alProcuratore del Re di Milano:

«In seguito a gravi dispiaceri sofferti in questi ultimigiorni, sono venuto nella determinazione di por fine aimiei giorni.

«A scanso di qualunque equivoca interpretazione del-la mia morte, faccio questa dichiarazione che in fede fir-mo

G. BENNATI DI BAYLON.Milano, 27 maggio 1875».

Fra terrore e speranza per la salvezza di Bennati si ar-rivò al giorno 6 di giugno, e parve che lo stato generalefosse molto migliore. Aveva trascorsa la notte più quietadelle precedenti e la febbre era alquanto diminuita. Aimedici s’era aggiunto anche il professore Grerini e sistabilì di trasportare il malato a Milano, nella casa di sa-lute dell’Angelo in Corso Porta Nuova. Così fu fatto.Ma nella notte le cose peggiorarono: il vaneggiamentocominciò, implacabile, straziante, seguìto da continuadepressione. Si manifestò la polmonite e il giorno sette

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to era vero quello che diceva che in precedenza avevascritto una lettera al Procuratore del Re di Milano, conla quale lo informava del suo proposito. Non sapevaproprio che cosa fosse avvenuto della pistola con la qua-le si era ferito perchè l’aveva abbandonata nel bosco.Dopo aveva perduto i sensi e si era trovato in quella ca-mera....

Ecco la lettera che infatti il Bennati aveva scritto alProcuratore del Re di Milano:

«In seguito a gravi dispiaceri sofferti in questi ultimigiorni, sono venuto nella determinazione di por fine aimiei giorni.

«A scanso di qualunque equivoca interpretazione del-la mia morte, faccio questa dichiarazione che in fede fir-mo

G. BENNATI DI BAYLON.Milano, 27 maggio 1875».

Fra terrore e speranza per la salvezza di Bennati si ar-rivò al giorno 6 di giugno, e parve che lo stato generalefosse molto migliore. Aveva trascorsa la notte più quietadelle precedenti e la febbre era alquanto diminuita. Aimedici s’era aggiunto anche il professore Grerini e sistabilì di trasportare il malato a Milano, nella casa di sa-lute dell’Angelo in Corso Porta Nuova. Così fu fatto.Ma nella notte le cose peggiorarono: il vaneggiamentocominciò, implacabile, straziante, seguìto da continuadepressione. Si manifestò la polmonite e il giorno sette

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verso le ore dodici, egli cessava di vivere nelle bracciadel padre. La dichiarazione di morte fu fatta per pleuro-pneumonite traumatica. La madre del Bennati impazzìdal dolore.

Eugenio Mancini, colpito da tante sventure, benchèuomo molto energico, era abbattutissimo. Tuttaviaall’annunzio che gli fu dato della morte del Bennati, dis-se soltanto:

«Me ne duole, ma era necessario.»Dopo l’autopsia ordinata dal Tribunale il cadavere del

Bennati fu ricomposto nel feretro, e alle sei e mezza po-meridiane del giorno nove ebbero luogo i funerali. Pre-cedeva il convoglio funebre un corpo di musica. Ai latidel carro erano il direttore del Banco di Napoli, l’avvo-cato Curti e due parenti del Bennati. Seguivano col pa-dre, amici e conoscenti. L’assoluzione alla salma fu datanella chiesa di San Marco. Al cimitero pronunziaronodiscorsi l’avvocato Pier Andrea Curti e un certo signorLucca intimo amico del Bennati. Quando la folla era perandarsene si udirono delle grida femminili provenientida vicino alla tomba del Bennati. La cameriera dei Man-cini, Giuseppina Dones, aveva ingoiato dell’acido solfo-rico.

La giovane donna, non bella, ma piacente, era stataaddirittura sconvolta per la morte del Bennati. «Credete,diceva, io fui messa alle strette dal padrone, ebbi spa-vento e credevo che sapesse tutto.»

Lasciata la casa Mancini cercò un altro servizio, manon le fu possibile combinare quando si seppe da quale

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verso le ore dodici, egli cessava di vivere nelle bracciadel padre. La dichiarazione di morte fu fatta per pleuro-pneumonite traumatica. La madre del Bennati impazzìdal dolore.

Eugenio Mancini, colpito da tante sventure, benchèuomo molto energico, era abbattutissimo. Tuttaviaall’annunzio che gli fu dato della morte del Bennati, dis-se soltanto:

«Me ne duole, ma era necessario.»Dopo l’autopsia ordinata dal Tribunale il cadavere del

Bennati fu ricomposto nel feretro, e alle sei e mezza po-meridiane del giorno nove ebbero luogo i funerali. Pre-cedeva il convoglio funebre un corpo di musica. Ai latidel carro erano il direttore del Banco di Napoli, l’avvo-cato Curti e due parenti del Bennati. Seguivano col pa-dre, amici e conoscenti. L’assoluzione alla salma fu datanella chiesa di San Marco. Al cimitero pronunziaronodiscorsi l’avvocato Pier Andrea Curti e un certo signorLucca intimo amico del Bennati. Quando la folla era perandarsene si udirono delle grida femminili provenientida vicino alla tomba del Bennati. La cameriera dei Man-cini, Giuseppina Dones, aveva ingoiato dell’acido solfo-rico.

La giovane donna, non bella, ma piacente, era stataaddirittura sconvolta per la morte del Bennati. «Credete,diceva, io fui messa alle strette dal padrone, ebbi spa-vento e credevo che sapesse tutto.»

Lasciata la casa Mancini cercò un altro servizio, manon le fu possibile combinare quando si seppe da quale

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casa veniva. La colse allora una grande disperazione. Sifece condurre in una carrozza alla chiesa di San Tomma-so, stette in preghiera più di mezz’ora e di lì si fece con-durre alla chiesa di San Marco, giungendovi mentre en-trava la bara. Assistette alla funzione e seguì il corteo alcimitero dove si avvelenò.

Supplicava chi la raccolse e la condusse all’ospedale,che la lasciassero morire.

Ma non morì: restò ustionata, poi rimase sempre inuno stato pietoso dl prostrazione morale e di melanco-nia.

*

A Milano intanto, per confortare Eugenio Mancini su-bito dopo il duello, era giunto Teodorico Bonacci, il co-gnato, col quale furono subito presi gli accordi per la se-parazione legale. I coniugi furono come d’uso ascoltatiseparatamente eppoi insieme dal Tribunale Civile e Cor-rezionale e si trovarono in perfetto accordo perchè la se-parazione avvenisse.

Ecco i patti della separazione, patti che, per quantosottoscritti, furono poi violati dall’una parte e dall’altrasenza che per questo nascessero controversie.

«1.° – La signora Evelina Cattermole s’allontaneràimmediatamente da Milano e si recherà presso suo pa-

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casa veniva. La colse allora una grande disperazione. Sifece condurre in una carrozza alla chiesa di San Tomma-so, stette in preghiera più di mezz’ora e di lì si fece con-durre alla chiesa di San Marco, giungendovi mentre en-trava la bara. Assistette alla funzione e seguì il corteo alcimitero dove si avvelenò.

Supplicava chi la raccolse e la condusse all’ospedale,che la lasciassero morire.

Ma non morì: restò ustionata, poi rimase sempre inuno stato pietoso dl prostrazione morale e di melanco-nia.

*

A Milano intanto, per confortare Eugenio Mancini su-bito dopo il duello, era giunto Teodorico Bonacci, il co-gnato, col quale furono subito presi gli accordi per la se-parazione legale. I coniugi furono come d’uso ascoltatiseparatamente eppoi insieme dal Tribunale Civile e Cor-rezionale e si trovarono in perfetto accordo perchè la se-parazione avvenisse.

Ecco i patti della separazione, patti che, per quantosottoscritti, furono poi violati dall’una parte e dall’altrasenza che per questo nascessero controversie.

«1.° – La signora Evelina Cattermole s’allontaneràimmediatamente da Milano e si recherà presso suo pa-

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dre in Firenze ove si obbliga di fissare la sua stabile di-mora.

2.° – Se mai dovesse allontanarsi momentaneamenteda Firenze ella s’impegna di non recarsi a Roma nè inaltro luogo dove potesse risorgere l’occasione degli at-tuali dispiaceri.

3° – La signora Evelina s’impegna inoltre di non farepiù uso del cognome del marito e di tenere una condottaonorata.

4.° – Il signor capitano Mancini rinuncia in corrispet-tivo e non altrimenti ad ogni suo diritto sui frutti dotaliche rilascia interamente a beneficio della signora Eveli-na rimettendole all’uopo l’opportuno mandato di procu-ra per la riscossione non più tardi d’oggi.10

5.° – Lo stesso capitano Mancini consente inoltre perlo stesso titolo di aggiungere ai frutti della dote la som-ma di L. 1600 – Lire milleseicento – o per meglio direlire milleduecento – ripetesi L. 1200 – che saranno ri-messe alla signora Evelina di tre mesi in tre mesi in viaanticipata, cioè lire trecento ogni trimestre a datare daoggi.

6 ° – È formalmente riservata ogni ragione ed azionein qualunque sede che possa competere all’uno oall’altro dei coniugi in caso di inosservanza delle sopra-scritte condizioni.

Letto, confermato, sottoscritto ecc.F.to FRANCESCO EUGENIO MANCINI

10 1.° giugno 1875.

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dre in Firenze ove si obbliga di fissare la sua stabile di-mora.

2.° – Se mai dovesse allontanarsi momentaneamenteda Firenze ella s’impegna di non recarsi a Roma nè inaltro luogo dove potesse risorgere l’occasione degli at-tuali dispiaceri.

3° – La signora Evelina s’impegna inoltre di non farepiù uso del cognome del marito e di tenere una condottaonorata.

4.° – Il signor capitano Mancini rinuncia in corrispet-tivo e non altrimenti ad ogni suo diritto sui frutti dotaliche rilascia interamente a beneficio della signora Eveli-na rimettendole all’uopo l’opportuno mandato di procu-ra per la riscossione non più tardi d’oggi.10

5.° – Lo stesso capitano Mancini consente inoltre perlo stesso titolo di aggiungere ai frutti della dote la som-ma di L. 1600 – Lire milleseicento – o per meglio direlire milleduecento – ripetesi L. 1200 – che saranno ri-messe alla signora Evelina di tre mesi in tre mesi in viaanticipata, cioè lire trecento ogni trimestre a datare daoggi.

6 ° – È formalmente riservata ogni ragione ed azionein qualunque sede che possa competere all’uno oall’altro dei coniugi in caso di inosservanza delle sopra-scritte condizioni.

Letto, confermato, sottoscritto ecc.F.to FRANCESCO EUGENIO MANCINI

10 1.° giugno 1875.

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» EVELINA CATTERMOLE

» CARIZZONI, Presidente» SARTORIO, V. C. »

La sera stessa la Lina partiva per Firenze.

*

Nell’attesa del processo contro Mancini imputato diomicidio commesso in duello, e previsto dagli art. 588 e589 del C. P. egli, date le condizioni di spirito e di salu-te, ottenne una licenza e si recò a Roma dal padre, pre-ceduto da una lettera dell’avvocato Pier Andrea Curtiche lo consigliava ad usare di tutta la sua autorità e delsuo senno per calmare il figliuolo. Il processo ebbe luo-go il 30 luglio al Tribunale Correzionale, e per quanto sisapesse che il dibattito sarebbe stato a porte chiuse, unagran folla si accalcò nel loggiato del Palazzo di Giusti-zia. Presiedeva il cavaliere De Ponti e rappresentava ilP. M. il sostituto procuratore cavaliere Sighele. La dife-sa era rappresentata dall’avvocato Pierantoni deputato ecognato dell’imputato e dall’avvocato Napoleone Perel-li. Mancini molto cavallerescamente espresse il voto chesi avessero tutti i riguardi verso la persona che fu la cau-sa principale di tante sciagure.

Il processo si svolse il 30 a porte chiuse e il 31 il pub-blico, che sempre stazionava nei pressi del tribunale, fu

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» EVELINA CATTERMOLE

» CARIZZONI, Presidente» SARTORIO, V. C. »

La sera stessa la Lina partiva per Firenze.

*

Nell’attesa del processo contro Mancini imputato diomicidio commesso in duello, e previsto dagli art. 588 e589 del C. P. egli, date le condizioni di spirito e di salu-te, ottenne una licenza e si recò a Roma dal padre, pre-ceduto da una lettera dell’avvocato Pier Andrea Curtiche lo consigliava ad usare di tutta la sua autorità e delsuo senno per calmare il figliuolo. Il processo ebbe luo-go il 30 luglio al Tribunale Correzionale, e per quanto sisapesse che il dibattito sarebbe stato a porte chiuse, unagran folla si accalcò nel loggiato del Palazzo di Giusti-zia. Presiedeva il cavaliere De Ponti e rappresentava ilP. M. il sostituto procuratore cavaliere Sighele. La dife-sa era rappresentata dall’avvocato Pierantoni deputato ecognato dell’imputato e dall’avvocato Napoleone Perel-li. Mancini molto cavallerescamente espresse il voto chesi avessero tutti i riguardi verso la persona che fu la cau-sa principale di tante sciagure.

Il processo si svolse il 30 a porte chiuse e il 31 il pub-blico, che sempre stazionava nei pressi del tribunale, fu

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ammesso ad ascoltare il Cavalier Sighele, P. M., checosì parlò, secondo il resoconto della Lombardia:

«Il capitano Mancini aveva un amico, l’amico lo tradìe la sposa macchiò la bianca veste nuziale: ecco i fattiche trascinarono sul banco dell’accusa un valoroso sol-dato. Il ventidue maggio l’accusato sorprendeva in fla-grante adulterio la sposa coll’amico; io accetto il rac-conto del fatto quale fu esposto dall’accusato in ognisuo particolare; egli fu vittima della più atroce ingiuriache possa esser fatta ad un uomo. Mancini sfida imme-diatamente il Bennati. Lo scontro fu ritardato special-mente perchè Bennati non trovava nè testimoni nè medi-ci. Finalmente il duello ebbe luogo a condizioni gravis-sime, ed al Bennati toccò il colpo che lo trasse a morte.Mi preme di rettificare due erronee credenze: i mediciprestarono ogni cura possibile al ferito. Bennati aveval’intenzione di lottare seriamente, se mostrava di essereesperto delle leggi di cavalleria, se più ancora alla matti-na del duello addestravasi al tiro al bersaglio.»

Il rappresentante del P. M. biasima poi il pregiudiziodel duello, qualificando la sfida del Mancini una follegenerosità. Egli che aveva saputo vincersi al momentodell’oltraggio, non doveva assurdamente vendicarsiesponendo la propria vita. Gli uomini che come il Man-cini hanno fregiato il petto di medaglie al valore militarenon possono essere tacciati di viltà: ad essi spetta il co-raggio civile di combattere il pregiudizio del duello.Quando il deputato Morelli interpellò il ministro Ricottiintorno alla triste condizione fatta agli ufficiali dal rego-

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ammesso ad ascoltare il Cavalier Sighele, P. M., checosì parlò, secondo il resoconto della Lombardia:

«Il capitano Mancini aveva un amico, l’amico lo tradìe la sposa macchiò la bianca veste nuziale: ecco i fattiche trascinarono sul banco dell’accusa un valoroso sol-dato. Il ventidue maggio l’accusato sorprendeva in fla-grante adulterio la sposa coll’amico; io accetto il rac-conto del fatto quale fu esposto dall’accusato in ognisuo particolare; egli fu vittima della più atroce ingiuriache possa esser fatta ad un uomo. Mancini sfida imme-diatamente il Bennati. Lo scontro fu ritardato special-mente perchè Bennati non trovava nè testimoni nè medi-ci. Finalmente il duello ebbe luogo a condizioni gravis-sime, ed al Bennati toccò il colpo che lo trasse a morte.Mi preme di rettificare due erronee credenze: i mediciprestarono ogni cura possibile al ferito. Bennati aveval’intenzione di lottare seriamente, se mostrava di essereesperto delle leggi di cavalleria, se più ancora alla matti-na del duello addestravasi al tiro al bersaglio.»

Il rappresentante del P. M. biasima poi il pregiudiziodel duello, qualificando la sfida del Mancini una follegenerosità. Egli che aveva saputo vincersi al momentodell’oltraggio, non doveva assurdamente vendicarsiesponendo la propria vita. Gli uomini che come il Man-cini hanno fregiato il petto di medaglie al valore militarenon possono essere tacciati di viltà: ad essi spetta il co-raggio civile di combattere il pregiudizio del duello.Quando il deputato Morelli interpellò il ministro Ricottiintorno alla triste condizione fatta agli ufficiali dal rego-

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lamento di disciplina su tale materia, gli fu risposto cheera soggetto a Consiglio di disciplina soltanto chi erasospetto di pusillanimità. Questo non era il caso.

Il P. M. ammettendo tutte le circostanze attenuantichiede l’applicazione della pena a tre mesi di confino elire cinquantuna di multa.

Dopo le difese degli avvocati Napoleone Perelli ePierantoni il Tribunale pronunciò sentenza di assoluzio-ne che fu accolta da applausi vivissimi.

Commentano i cronisti del tempo: «Un’assoluzione inTribunale che ha fatto chiasso.»

*

Il padre Cattermole, ebbe la notizia del duello Ben-nati-Mancini in modo brutale. Era all’Istituto Tecnico, eun collega, che il Cattermole aveva beneficato in millemodi, e gli aveva fatto ottenere lì il posto d’insegnante,entrò nella stanza dove il Cattermole era con altri colle-ghi e disse sventolando un giornale:

— Guardi guardi le belle prodezze della sua figliaEva!

Cattermole afferrò il giornale, lesse e fu colto da deli-quio. Lo portarono a casa quasi morente. Poi si riprese,ma non mai bene, come prima.

Quest’episodio lo ricorda suor Elena Cattermole.

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lamento di disciplina su tale materia, gli fu risposto cheera soggetto a Consiglio di disciplina soltanto chi erasospetto di pusillanimità. Questo non era il caso.

Il P. M. ammettendo tutte le circostanze attenuantichiede l’applicazione della pena a tre mesi di confino elire cinquantuna di multa.

Dopo le difese degli avvocati Napoleone Perelli ePierantoni il Tribunale pronunciò sentenza di assoluzio-ne che fu accolta da applausi vivissimi.

Commentano i cronisti del tempo: «Un’assoluzione inTribunale che ha fatto chiasso.»

*

Il padre Cattermole, ebbe la notizia del duello Ben-nati-Mancini in modo brutale. Era all’Istituto Tecnico, eun collega, che il Cattermole aveva beneficato in millemodi, e gli aveva fatto ottenere lì il posto d’insegnante,entrò nella stanza dove il Cattermole era con altri colle-ghi e disse sventolando un giornale:

— Guardi guardi le belle prodezze della sua figliaEva!

Cattermole afferrò il giornale, lesse e fu colto da deli-quio. Lo portarono a casa quasi morente. Poi si riprese,ma non mai bene, come prima.

Quest’episodio lo ricorda suor Elena Cattermole.

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CAPITOLO TERZO.

Firenze. – Suor Elena. – Mario e Giselda Rapisardi. – La mortedella nonna. – Il Fieramosca. – Isabella Gabardi Rossi e Giusep-pe Giusti. – Gabardo Gabardi. – Mario Foresi. – Due poesie per

l’albo di una signora.

Evelina Cattermole, come le fu imposto dall’atto diseparazione coniugale, partì per Firenze la sera del 2giugno 1875, ed è facile immaginare il suo statod’ambascia. A Firenze non potè stabilirsi col padre cheabitava in via del Maglio 14, poichè intanto egli si eracreata una nuova famiglia unendosi a Clementina Laz-zeri ed aveva avuto altri tre figli, Esterina, Enrico e Fau-sto, quest’ultimo morto bambino.

Ma, nonostante il divieto di muoversi da Firenze,quando seppe che il Bennati era morto, riprese il treno eandò a piangere sulla tomba di lui, a pregare, e fu lì chesi recise i capelli per attorcigliarli a veli neri e a ghirlan-de di cui ornò la dimora ultima del suo povero amore.

Intanto la pietà di un amico comune a lei e al Bennati,volle deporre nelle mani della infelicissima gli ultimioggetti che gli avevano appartenuto: la camicia di telainsanguinata e forata che portava al momento delloscontro, il proiettile che l’aveva ucciso, una ciocca di

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CAPITOLO TERZO.

Firenze. – Suor Elena. – Mario e Giselda Rapisardi. – La mortedella nonna. – Il Fieramosca. – Isabella Gabardi Rossi e Giusep-pe Giusti. – Gabardo Gabardi. – Mario Foresi. – Due poesie per

l’albo di una signora.

Evelina Cattermole, come le fu imposto dall’atto diseparazione coniugale, partì per Firenze la sera del 2giugno 1875, ed è facile immaginare il suo statod’ambascia. A Firenze non potè stabilirsi col padre cheabitava in via del Maglio 14, poichè intanto egli si eracreata una nuova famiglia unendosi a Clementina Laz-zeri ed aveva avuto altri tre figli, Esterina, Enrico e Fau-sto, quest’ultimo morto bambino.

Ma, nonostante il divieto di muoversi da Firenze,quando seppe che il Bennati era morto, riprese il treno eandò a piangere sulla tomba di lui, a pregare, e fu lì chesi recise i capelli per attorcigliarli a veli neri e a ghirlan-de di cui ornò la dimora ultima del suo povero amore.

Intanto la pietà di un amico comune a lei e al Bennati,volle deporre nelle mani della infelicissima gli ultimioggetti che gli avevano appartenuto: la camicia di telainsanguinata e forata che portava al momento delloscontro, il proiettile che l’aveva ucciso, una ciocca di

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capelli tagliati sul cadavere, e una lettera che egli le ave-va scritto poche ore prima di recarsi al duello. Nella let-tera fra l’altro c’era questa frase: «Fra un’ora sarò sulterreno. Mi sono voluto aggiustare sulla fronte quellaciocca di capelli che piace a te e che a lui fa tanta rab-bia».

Queste reliquie la contessa Lara le tenne sempre nellasua camera in uno scrigno quattrocentesco, consideran-dole come sacre, insieme a una miniatura del Bennati,bello, dai tratti delicati somiglianti molto a De Musset.Sulla cornice della miniatura aveva fatto incidere:«Muor giovane colui che al cielo è caro».

Vi fu anche un periodo di tempo, in cui ella, certoabusivamente, ma come se ciò la legasse ancor più allamemoria dell’amore infelice, si firmava Lina di Baylon.

Triste e sola ella girò a Firenze per camere ammobi-liate più o meno squallide, e fu in una di queste stanzein via della Scala che un’amica la sorprese una sera acenare a un angolo della tavola, senza tovaglia, con unpo’ di carciofi fritti comprati da lei stessa in una rostic-ceria.

Abitò anche in via Ricasoli e in via Cavour, in unacasa di proprietà della nonna materna; ma siccome c’eranecessità di economia e di lavoro, quella grande casa fuaffittata, e la Lina con la nonna prese un quartierino invia Del Porcellana 14, comprò dei mobili e vi si stabilìrisoluta a vivere in silenzio, per scrivere, ricevere qual-che caro amico rimastole, e ritrovare la fede di cristianache da tempo l’aveva abbandonata. Fu in questo periodo

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capelli tagliati sul cadavere, e una lettera che egli le ave-va scritto poche ore prima di recarsi al duello. Nella let-tera fra l’altro c’era questa frase: «Fra un’ora sarò sulterreno. Mi sono voluto aggiustare sulla fronte quellaciocca di capelli che piace a te e che a lui fa tanta rab-bia».

Queste reliquie la contessa Lara le tenne sempre nellasua camera in uno scrigno quattrocentesco, consideran-dole come sacre, insieme a una miniatura del Bennati,bello, dai tratti delicati somiglianti molto a De Musset.Sulla cornice della miniatura aveva fatto incidere:«Muor giovane colui che al cielo è caro».

Vi fu anche un periodo di tempo, in cui ella, certoabusivamente, ma come se ciò la legasse ancor più allamemoria dell’amore infelice, si firmava Lina di Baylon.

Triste e sola ella girò a Firenze per camere ammobi-liate più o meno squallide, e fu in una di queste stanzein via della Scala che un’amica la sorprese una sera acenare a un angolo della tavola, senza tovaglia, con unpo’ di carciofi fritti comprati da lei stessa in una rostic-ceria.

Abitò anche in via Ricasoli e in via Cavour, in unacasa di proprietà della nonna materna; ma siccome c’eranecessità di economia e di lavoro, quella grande casa fuaffittata, e la Lina con la nonna prese un quartierino invia Del Porcellana 14, comprò dei mobili e vi si stabilìrisoluta a vivere in silenzio, per scrivere, ricevere qual-che caro amico rimastole, e ritrovare la fede di cristianache da tempo l’aveva abbandonata. Fu in questo periodo

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che si dette con slancio alle pratiche religiose. Da allora,e per molti anni le fu devota ed affezionata la camerieraRosina, la quale in seguito soleva dire talvolta a propo-sito dell’amore che la sua padrona aveva per gli animali:

— Peccato! vuol tanto bene alle bestie e fa tanto sof-frire gli uomini!

E Agatina, la sarta, soleva chiamarla: «quella sciagu-ratina». Ma tutti, pur giudicandola, le volevano bene,perchè la bontà impulsiva, gli slanci generosi e la gran-de bellezza di fascinatrice, facevano dimenticare errori efollie.

Ebbe pietà sconfinata per le altrui sofferenze e non dirado si trovò a non avere denaro per provvedere al suopranzo, mentre aveva vuotato tutta la sua borsa a chi leaveva chiesto l’elemosina. Forse per questo caratteresemplice, buono, caritatevole, appassionato, graziosa-mente infantile, in contrasto con la vita irregolare, ellamolto si rammaricava; e soffriva che tante persone a Fi-renze, dopo lo scandalo milanese, ostentassero di non ri-conoscerla o la trattassero con grande riserbo e freddez-za se costrette ad avvicinarla. Ma a poco a poco anche ipiù rigidi s’inchinarono dinanzi all’ingegno di questabella donna, che aveva preso intanto a pubblicare poesieed articoli; parecchie case le furono aperte e vi fu desi-derata. Fra le altre la casa di un generale che aveva fa-miglia numerosissima. Quando la Lina entrava era ilsole, la gioia che entrava con lei; e la buona moglie delgenerale fu costretta a dirle una volta presso a poco così:«Ti prego, ti prego, cara Lina, non ti far più vedere; ma-

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che si dette con slancio alle pratiche religiose. Da allora,e per molti anni le fu devota ed affezionata la camerieraRosina, la quale in seguito soleva dire talvolta a propo-sito dell’amore che la sua padrona aveva per gli animali:

— Peccato! vuol tanto bene alle bestie e fa tanto sof-frire gli uomini!

E Agatina, la sarta, soleva chiamarla: «quella sciagu-ratina». Ma tutti, pur giudicandola, le volevano bene,perchè la bontà impulsiva, gli slanci generosi e la gran-de bellezza di fascinatrice, facevano dimenticare errori efollie.

Ebbe pietà sconfinata per le altrui sofferenze e non dirado si trovò a non avere denaro per provvedere al suopranzo, mentre aveva vuotato tutta la sua borsa a chi leaveva chiesto l’elemosina. Forse per questo caratteresemplice, buono, caritatevole, appassionato, graziosa-mente infantile, in contrasto con la vita irregolare, ellamolto si rammaricava; e soffriva che tante persone a Fi-renze, dopo lo scandalo milanese, ostentassero di non ri-conoscerla o la trattassero con grande riserbo e freddez-za se costrette ad avvicinarla. Ma a poco a poco anche ipiù rigidi s’inchinarono dinanzi all’ingegno di questabella donna, che aveva preso intanto a pubblicare poesieed articoli; parecchie case le furono aperte e vi fu desi-derata. Fra le altre la casa di un generale che aveva fa-miglia numerosissima. Quando la Lina entrava era ilsole, la gioia che entrava con lei; e la buona moglie delgenerale fu costretta a dirle una volta presso a poco così:«Ti prego, ti prego, cara Lina, non ti far più vedere; ma-

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rito, figli grandi, figli piccoli, parentado, servi, amici dicasa, tutti tutti sono innamorati di te; come si può anda-re avanti così?»

E la Lina rideva con la voce d’oro socchiudendo gliocchi che scintillando ridevano più della bella bocca.Avvicinandola, conoscendola, si perdonava tutto, perchètutto era naturale in lei. Invitata ad un ballo, non vi si re-cava mai finchè la mezzanotte non fosse battuta da unpezzo, quando cioè le danzatrici erano stanche, i fiorinon più freschi, le chiome non più in ordine, i vestitisgualciti. L’Evelina compariva allora, riposata, fresca,originalmente elegante, col suo bel sorriso, suscitandoinvidia fra le signore e delirio fra gli uomini, che da quelmomento non avevano sguardi che per lei e si disputa-vano l’onore di un giro di valzer o di una quadriglia.Spesso portava un’antica parure di turchesi che intona-va molto bene col biancore della scollatura e con l’oropallido dei capelli. Al polso destro aveva, saldato e ina-movibile, un braccialetto fatto di scarabei d’argento,mentre in alto del braccio, pure saldata, ma invisibileperchè la moda di allora esigeva la piccola manica an-che nelle vesti da sera, aveva una lastra d’oro, di quelledette alla schiava.

Amava e vedeva talvolta i fratellini, Enrico, Esterinae Fausto che morì piccino e che rievocò con questi sem-plici versi:

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rito, figli grandi, figli piccoli, parentado, servi, amici dicasa, tutti tutti sono innamorati di te; come si può anda-re avanti così?»

E la Lina rideva con la voce d’oro socchiudendo gliocchi che scintillando ridevano più della bella bocca.Avvicinandola, conoscendola, si perdonava tutto, perchètutto era naturale in lei. Invitata ad un ballo, non vi si re-cava mai finchè la mezzanotte non fosse battuta da unpezzo, quando cioè le danzatrici erano stanche, i fiorinon più freschi, le chiome non più in ordine, i vestitisgualciti. L’Evelina compariva allora, riposata, fresca,originalmente elegante, col suo bel sorriso, suscitandoinvidia fra le signore e delirio fra gli uomini, che da quelmomento non avevano sguardi che per lei e si disputa-vano l’onore di un giro di valzer o di una quadriglia.Spesso portava un’antica parure di turchesi che intona-va molto bene col biancore della scollatura e con l’oropallido dei capelli. Al polso destro aveva, saldato e ina-movibile, un braccialetto fatto di scarabei d’argento,mentre in alto del braccio, pure saldata, ma invisibileperchè la moda di allora esigeva la piccola manica an-che nelle vesti da sera, aveva una lastra d’oro, di quelledette alla schiava.

Amava e vedeva talvolta i fratellini, Enrico, Esterinae Fausto che morì piccino e che rievocò con questi sem-plici versi:

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RICORDO D’APRILE

Ritorna il mio pensieroA ’l pallido bambinoChe una sera d’aprileFu portato la giù ne ’l cimitero.Intanto la sorella e il fratellinoGiuocan co ’l suo fucile,Battono il suo tamburo,Ed i guerrieri sgorbianoch’egli tracciò su ’l muro.

E per la sorella Esterina, in Parvula, canterà:

Ella ha cinque anni soli,Ed a cinque anni è triste il monastero:Le fanno invidia i voliDe le vaganti rondiniEd esprime con l’occhio il suo pensiero.

V’è un grand’orto fiorito,Pien di ciliege, per le bimbe fatto;Ma inutile: è proibitoD’avvicinarsi a gli alberi,Di far le corse e di scherzar co ’l gatto.

Son buone e pie le suore,Ma chiuse in neri veli e senza baci;E a tenerla due oreFerma, a imparare a leggereL’alfabeto e a cucir, sono capaci.

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RICORDO D’APRILE

Ritorna il mio pensieroA ’l pallido bambinoChe una sera d’aprileFu portato la giù ne ’l cimitero.Intanto la sorella e il fratellinoGiuocan co ’l suo fucile,Battono il suo tamburo,Ed i guerrieri sgorbianoch’egli tracciò su ’l muro.

E per la sorella Esterina, in Parvula, canterà:

Ella ha cinque anni soli,Ed a cinque anni è triste il monastero:Le fanno invidia i voliDe le vaganti rondiniEd esprime con l’occhio il suo pensiero.

V’è un grand’orto fiorito,Pien di ciliege, per le bimbe fatto;Ma inutile: è proibitoD’avvicinarsi a gli alberi,Di far le corse e di scherzar co ’l gatto.

Son buone e pie le suore,Ma chiuse in neri veli e senza baci;E a tenerla due oreFerma, a imparare a leggereL’alfabeto e a cucir, sono capaci.

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Page 86: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

In un nastro di setaL’un sopra l’altro storti punti mette;Allor che dice: zetaTocca un emme coll’indice;Poi, per guardarsi il grembiulino smette.

E prega: «Ave Maria,Dateci il nostro pane cotidiano....»– No, no, bambina mia,Tu confondi.... – Ma gli angeliCome fanno a sentir tanto lontano? –

E così la svogliataSbaglia le sue lezioni e le sue preci.Io mi son ricordataDe’ viaggi dell’animaA cinque anni, e ho pensato: anch’io li feci.

Non la sgridate. Anch’ioPrima di camminar tra fango e sassiDe ’l compito in oblìo,A caccia de le luccioleVolsi pe’ i campi i vagabondi passi.

E domande e preghiereConfondo anch’oggi, e molte volte ho piantoNe le solinghe sere,Pensando io pur che gli angeliNon odon forse, e son lontani tanto!11

11 CONTESSA LARA, Versi, Ed. Sommaruga.

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In un nastro di setaL’un sopra l’altro storti punti mette;Allor che dice: zetaTocca un emme coll’indice;Poi, per guardarsi il grembiulino smette.

E prega: «Ave Maria,Dateci il nostro pane cotidiano....»– No, no, bambina mia,Tu confondi.... – Ma gli angeliCome fanno a sentir tanto lontano? –

E così la svogliataSbaglia le sue lezioni e le sue preci.Io mi son ricordataDe’ viaggi dell’animaA cinque anni, e ho pensato: anch’io li feci.

Non la sgridate. Anch’ioPrima di camminar tra fango e sassiDe ’l compito in oblìo,A caccia de le luccioleVolsi pe’ i campi i vagabondi passi.

E domande e preghiereConfondo anch’oggi, e molte volte ho piantoNe le solinghe sere,Pensando io pur che gli angeliNon odon forse, e son lontani tanto!11

11 CONTESSA LARA, Versi, Ed. Sommaruga.

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Come differente dalla sorella l’Esterina per chi moltianni più tardi la vide normalista alla scuola MassiminaRosellini di Firenze! Vi andava accompagnata dalle suo-re, ripresa dalle suore al termine delle lezioni. Bruna,slanciata, con degli occhi smisuratamente grandi, umidi,tristi, che parevano illuminare il pallore caldo. E quanticapelli ondulati, stretti in grosse trecce avvolte in croc-chia sulla nuca, ma tanti che era sorprendente come po-tesse reggerne il peso. Si diceva che l’Esterina avesseconfidato a un’amica di essere tanto stanca della vita – avent’anni! – e che, appena finiti gli studi, sarebbe entra-ta in convento per non uscirne. Mantenne la promessa.Più tardi la si vedeva in certi pomeriggi invernali su perla Costa San Giorgio o per Giramontino accompagnatada una suora vecchia, già suora anch’essa, non più Este-rina ma Suor Elena francescana. Il velo nero copriva labella testa di Suor Elena, non più appesantita dai capelliprolissi, e il volto, ancor più pallido, spiccava sul soggo-lo di tela bianca.

Passavano silenziose le suore, fra siepi aride, fra murialti, dove anche d’inverno s’affacciano talvolta piccolibocci striminziti dal freddo, di quelle commoventi rosel-line di ogni mese che a primavera erompono con unagrazia settecentesca di tinte rosee e di lucidi verdi.

*

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Come differente dalla sorella l’Esterina per chi moltianni più tardi la vide normalista alla scuola MassiminaRosellini di Firenze! Vi andava accompagnata dalle suo-re, ripresa dalle suore al termine delle lezioni. Bruna,slanciata, con degli occhi smisuratamente grandi, umidi,tristi, che parevano illuminare il pallore caldo. E quanticapelli ondulati, stretti in grosse trecce avvolte in croc-chia sulla nuca, ma tanti che era sorprendente come po-tesse reggerne il peso. Si diceva che l’Esterina avesseconfidato a un’amica di essere tanto stanca della vita – avent’anni! – e che, appena finiti gli studi, sarebbe entra-ta in convento per non uscirne. Mantenne la promessa.Più tardi la si vedeva in certi pomeriggi invernali su perla Costa San Giorgio o per Giramontino accompagnatada una suora vecchia, già suora anch’essa, non più Este-rina ma Suor Elena francescana. Il velo nero copriva labella testa di Suor Elena, non più appesantita dai capelliprolissi, e il volto, ancor più pallido, spiccava sul soggo-lo di tela bianca.

Passavano silenziose le suore, fra siepi aride, fra murialti, dove anche d’inverno s’affacciano talvolta piccolibocci striminziti dal freddo, di quelle commoventi rosel-line di ogni mese che a primavera erompono con unagrazia settecentesca di tinte rosee e di lucidi verdi.

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Un giorno, nell’estate del 1875, Mario Rapisardi cheabitava in quel tempo a Firenze con la moglie GiseldaFojanesi, tornando a casa tutto entusiasmato disse:

— Ho incontrato la più bella donna del mondo. Bion-da, elegantissima, tutta ravvolta di veli neri con una col-lana di grosse perle nere che le cade in più file sui gi-nocchi. L’ho seguìta, fino a che è entrata in via del Ma-glio 14. Chi sarà mai?

— Ah! – rispose la moglie – è l’Evelina Cattermole.Chi non la conosce almeno di vista? E in via del Maglio14 ci sta suo padre.

Il giorno dopo Rapisardi mandò per il tramite di Pie-tro Fanfani un suo volume di versi, Le ricordanze, alladama vestita di veli neri, la quale rispose lusingata ecommossa. Fu così che si conobbero e furono amici, eamiche divennero subito la Giselda e l’Evelina perchèfu proprio lei a insistere presso Rapisardi per essere pre-sentata alla moglie.

Bella, la signora Giselda, bruna, dai grandi occhi vi-vaci, alta, sottile, elegante, piena di spirito e d’arguzia;così ce la rappresenta la Contessa Lara in questo sonet-to:12

GISELDA

Ne ’l mio cammin cui tante hanno affollatoVarie figure che ritrar vorrei,

12 CONTESSA LARA, Versi, ed. Sommaruga, Roma, 1883.

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Un giorno, nell’estate del 1875, Mario Rapisardi cheabitava in quel tempo a Firenze con la moglie GiseldaFojanesi, tornando a casa tutto entusiasmato disse:

— Ho incontrato la più bella donna del mondo. Bion-da, elegantissima, tutta ravvolta di veli neri con una col-lana di grosse perle nere che le cade in più file sui gi-nocchi. L’ho seguìta, fino a che è entrata in via del Ma-glio 14. Chi sarà mai?

— Ah! – rispose la moglie – è l’Evelina Cattermole.Chi non la conosce almeno di vista? E in via del Maglio14 ci sta suo padre.

Il giorno dopo Rapisardi mandò per il tramite di Pie-tro Fanfani un suo volume di versi, Le ricordanze, alladama vestita di veli neri, la quale rispose lusingata ecommossa. Fu così che si conobbero e furono amici, eamiche divennero subito la Giselda e l’Evelina perchèfu proprio lei a insistere presso Rapisardi per essere pre-sentata alla moglie.

Bella, la signora Giselda, bruna, dai grandi occhi vi-vaci, alta, sottile, elegante, piena di spirito e d’arguzia;così ce la rappresenta la Contessa Lara in questo sonet-to:12

GISELDA

Ne ’l mio cammin cui tante hanno affollatoVarie figure che ritrar vorrei,

12 CONTESSA LARA, Versi, ed. Sommaruga, Roma, 1883.

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Evelina Cattermole Mancini sposa (5 marzo 1871).

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Evelina Cattermole Mancini sposa (5 marzo 1871).

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Francesco Saverio Eugenio Mancini

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Francesco Saverio Eugenio Mancini

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Non ho la mente nè il pensier posatoSu figurina che somigli a lei.

Tutta moderna. Il volto incipriato,I fianchi stretti da un grembiule, i beiCapelli in treccie, il fascino celatoNe lo splendor de i neri occhioni ebrei;

Il garbo egual con che traccia un bozzettoE fa de i panni da stirar la lista,Ordina un pranzo o un abito in merletto,

Formano insieme un tale accordo stranoDi donnina da casa e dama e artistaChe a disegnarla ci si prova invano.

L’intimità fra i coniugi Rapisardi e la Lina divienefraterna, tanto che nelle lettere a Mario ella chiameràGiselda la mia sorellina d’affetto e la madre di lei, la si-gnora Teresa, la mia mamma adottiva.

Poteva arrivare dai suoi amici, con le braccia carichedi fiori, oppure con un gran pacco di pesce fresco sceltoe comprato da lei stessa al mercato e con molta graziaandare in cucina a preparare per il desco comune un sa-porito cacciucco alla livornese.

Nel maggio del 1924 un periodico di Catania,L’Endimione, pubblicò alcune lettere della ContessaLara a Mario Rapisardi a cura del dottor Alfio Tomasel-li, secondo cui queste lettere provano che la ContessaLara fu l’amante del Rapisardi eppoi gli fu infedele.

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Non ho la mente nè il pensier posatoSu figurina che somigli a lei.

Tutta moderna. Il volto incipriato,I fianchi stretti da un grembiule, i beiCapelli in treccie, il fascino celatoNe lo splendor de i neri occhioni ebrei;

Il garbo egual con che traccia un bozzettoE fa de i panni da stirar la lista,Ordina un pranzo o un abito in merletto,

Formano insieme un tale accordo stranoDi donnina da casa e dama e artistaChe a disegnarla ci si prova invano.

L’intimità fra i coniugi Rapisardi e la Lina divienefraterna, tanto che nelle lettere a Mario ella chiameràGiselda la mia sorellina d’affetto e la madre di lei, la si-gnora Teresa, la mia mamma adottiva.

Poteva arrivare dai suoi amici, con le braccia carichedi fiori, oppure con un gran pacco di pesce fresco sceltoe comprato da lei stessa al mercato e con molta graziaandare in cucina a preparare per il desco comune un sa-porito cacciucco alla livornese.

Nel maggio del 1924 un periodico di Catania,L’Endimione, pubblicò alcune lettere della ContessaLara a Mario Rapisardi a cura del dottor Alfio Tomasel-li, secondo cui queste lettere provano che la ContessaLara fu l’amante del Rapisardi eppoi gli fu infedele.

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Page 92: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

Ora, in base alle confidenze di Rapisardi stesso a unamico, e alle dichiarazioni della stessa Lina a molte per-sone fatte in tempi differenti e all’insaputa l’unadell’altra, proprio le stesse lettere che il dottor Tomaselliriproduce provano il contrario. Sono lettere non di unaamante ma di una amica che permetteva a un uomo allo-ra celebre una confidenza eccessiva certo, ma semprenei limiti dell’amicizia; eccone alcune fra le più signifi-cative che devono essere dell’anno fra il 1875 e il 1879,poichè allora Mario Rapisardi fu diverse volte a Firenze;ma secondo la sua abitudine, la Lina raramente mettevala data alle sue lettere e si contentava d’indicare il gior-no senz’altro:

«Caro Mario,

«Mi pare che la mia povera vecchierella stia legger-mente meglio. Il dottore non è venuto perchè si trova incampagna. La mamma13 ha riposato lungo tratto la nottee mi sembra un buon segno. Non vi pare? Non so quan-do dirvi di venire perchè sono sempre accanto al lettodella mamma che ha bisogno di assistenza continua.Scusatemi dunque se rimando la vostra gentilissima ebuona visita a un giorno meno faticoso e meno triste.Abbraccio Giselda cara e la mamma e saluto voi con lapiù amichevole stretta di mano.

LINA».

13 Per maggior tenerezza scrive mamma invece di nonna. La vera madreera morta da un pezzo come già sappiamo.

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Ora, in base alle confidenze di Rapisardi stesso a unamico, e alle dichiarazioni della stessa Lina a molte per-sone fatte in tempi differenti e all’insaputa l’unadell’altra, proprio le stesse lettere che il dottor Tomaselliriproduce provano il contrario. Sono lettere non di unaamante ma di una amica che permetteva a un uomo allo-ra celebre una confidenza eccessiva certo, ma semprenei limiti dell’amicizia; eccone alcune fra le più signifi-cative che devono essere dell’anno fra il 1875 e il 1879,poichè allora Mario Rapisardi fu diverse volte a Firenze;ma secondo la sua abitudine, la Lina raramente mettevala data alle sue lettere e si contentava d’indicare il gior-no senz’altro:

«Caro Mario,

«Mi pare che la mia povera vecchierella stia legger-mente meglio. Il dottore non è venuto perchè si trova incampagna. La mamma13 ha riposato lungo tratto la nottee mi sembra un buon segno. Non vi pare? Non so quan-do dirvi di venire perchè sono sempre accanto al lettodella mamma che ha bisogno di assistenza continua.Scusatemi dunque se rimando la vostra gentilissima ebuona visita a un giorno meno faticoso e meno triste.Abbraccio Giselda cara e la mamma e saluto voi con lapiù amichevole stretta di mano.

LINA».

13 Per maggior tenerezza scrive mamma invece di nonna. La vera madreera morta da un pezzo come già sappiamo.

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Ovvero:

«Carissimo Mario,

«Favoritemi sabato mattina alle 9. Sono dolente oltreogni dire di non potervi vedere prima, ma non è colpamia. Ho un mondo di cose da fare e di gente da vederestamane, poi parto per lassù per restarvi fino a sabatomattina. Vi saluto con tutto l’affetto e abbraccio Gisel-da.

LINA».

Altre lettere:

«Carissimo Mario,

«Una lettera che trovai ieri a casa, mi obbliga ad as-sentarmi quest’oggi per tutto il giorno. Domani mattinavi farò a questa stessa ora tenere una parola colla qualev’indicherò il momento in cui potrò ricevervi in giorna-ta. Scusatemi, ve ne prego, perchè proprio non è colpamia, ma d’una infinità di circostanze avverse.

«Vi stringo la mano.LINA».

«Caro Mario,

«Ieri tornai con molte noie e malanni e mi misi a lettoda dove non mi potei più muovere. Oggi sto un pochinomeglio. Non venite perchè ho la sarta in casa per tutto il

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Ovvero:

«Carissimo Mario,

«Favoritemi sabato mattina alle 9. Sono dolente oltreogni dire di non potervi vedere prima, ma non è colpamia. Ho un mondo di cose da fare e di gente da vederestamane, poi parto per lassù per restarvi fino a sabatomattina. Vi saluto con tutto l’affetto e abbraccio Gisel-da.

LINA».

Altre lettere:

«Carissimo Mario,

«Una lettera che trovai ieri a casa, mi obbliga ad as-sentarmi quest’oggi per tutto il giorno. Domani mattinavi farò a questa stessa ora tenere una parola colla qualev’indicherò il momento in cui potrò ricevervi in giorna-ta. Scusatemi, ve ne prego, perchè proprio non è colpamia, ma d’una infinità di circostanze avverse.

«Vi stringo la mano.LINA».

«Caro Mario,

«Ieri tornai con molte noie e malanni e mi misi a lettoda dove non mi potei più muovere. Oggi sto un pochinomeglio. Non venite perchè ho la sarta in casa per tutto il

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giorno e non ho per conseguenza un momento di libertà.Domattina verrò io da Giselda, ed allora fisseremo inqual giorno mi favorirete. Intanto grazie di tutto, propriocon tutta l’anima. Vogliatemi bene e dite a Giselda chepensi un poco a me anche lei. Alla povera mamma tantecose. Come sta?

«Addio, vi stringo la mano.LINA».

«Caro Mario,

«Potete favorirmi tra l’una e mezza e le due? Spero disì e v’aspetto. Sto un pochino meglio, ma naturalmentedebole, stanca, triste.

LINA».

«Caro Mario,

«Ho passato una notte d’inferno e soffro disperata-mente tanto che nessuno entra nella mia camera. Gridodi continuo, ma passerà. Domattina vi manderò un bi-gliettino avvertendovi a quale ora potrete vedermi ingiornata. Per le 9 no. Sono fuori di me dal male. Vistringo affettuosamente la mano. Vostra

LINA».

«Caro Mario,

«V’avevo scritto a casa per dirvi di venire dopo le 3da me, perchè prima viene il dottore. Con mia meravi-

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giorno e non ho per conseguenza un momento di libertà.Domattina verrò io da Giselda, ed allora fisseremo inqual giorno mi favorirete. Intanto grazie di tutto, propriocon tutta l’anima. Vogliatemi bene e dite a Giselda chepensi un poco a me anche lei. Alla povera mamma tantecose. Come sta?

«Addio, vi stringo la mano.LINA».

«Caro Mario,

«Potete favorirmi tra l’una e mezza e le due? Spero disì e v’aspetto. Sto un pochino meglio, ma naturalmentedebole, stanca, triste.

LINA».

«Caro Mario,

«Ho passato una notte d’inferno e soffro disperata-mente tanto che nessuno entra nella mia camera. Gridodi continuo, ma passerà. Domattina vi manderò un bi-gliettino avvertendovi a quale ora potrete vedermi ingiornata. Per le 9 no. Sono fuori di me dal male. Vistringo affettuosamente la mano. Vostra

LINA».

«Caro Mario,

«V’avevo scritto a casa per dirvi di venire dopo le 3da me, perchè prima viene il dottore. Con mia meravi-

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Page 95: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

glia Giulio14 mi riportò la lettera raccontandomi che acasa vostra gli hanno detto che siete al Nord.15 Figurate-vi come io stia in pena, temendo che sia accaduto qual-che fatto doloroso nella vostra famiglia. E Giseldadov’è? Dio mio, non mi par vero di arrivare alle 3, persapere qualche cosa dal vostro labbro. Se poteste scri-vermi intanto un rigo, ve ne sarei grata per tutta la vita.

«Scusate l’indiscrezione, che però non è tale, ma è ilvivo interesse e l’affetto profondo che io vi porto.

«Vi stringo le mani e vi dico addio, a più tardi.LINA».

Ecco un biglietto a matita, che la Lina, dopo un’ope-razione subita, scrive al suo amico; fu operata e curatadal Dott. Luigi Billi, marito della Marianna Giarrè:

«Carissimo Mario,

«Voglio che le prime parole che posso scrivere sianoper voi. Vi portino esse il più caldo ringraziamento pertutte le vostre premure d’amico e di fratello che mi han-no tanto commossa. Io vado lentissimamente miglioran-do, ma il chirurgo che operò ieri sulla mia povera carneproibì assolutamente che mi si facesse parlare con alcu-no. Figuratevi che mi svengo ad ogni istante, tanto sonosfinita dalle atroci sofferenze e dalla quantità grande disangue perduto nel taglio. La fatica immensa che io

14 Giulio era il figlio della cameriera Rosina.15 Hôtel du Nord.

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glia Giulio14 mi riportò la lettera raccontandomi che acasa vostra gli hanno detto che siete al Nord.15 Figurate-vi come io stia in pena, temendo che sia accaduto qual-che fatto doloroso nella vostra famiglia. E Giseldadov’è? Dio mio, non mi par vero di arrivare alle 3, persapere qualche cosa dal vostro labbro. Se poteste scri-vermi intanto un rigo, ve ne sarei grata per tutta la vita.

«Scusate l’indiscrezione, che però non è tale, ma è ilvivo interesse e l’affetto profondo che io vi porto.

«Vi stringo le mani e vi dico addio, a più tardi.LINA».

Ecco un biglietto a matita, che la Lina, dopo un’ope-razione subita, scrive al suo amico; fu operata e curatadal Dott. Luigi Billi, marito della Marianna Giarrè:

«Carissimo Mario,

«Voglio che le prime parole che posso scrivere sianoper voi. Vi portino esse il più caldo ringraziamento pertutte le vostre premure d’amico e di fratello che mi han-no tanto commossa. Io vado lentissimamente miglioran-do, ma il chirurgo che operò ieri sulla mia povera carneproibì assolutamente che mi si facesse parlare con alcu-no. Figuratevi che mi svengo ad ogni istante, tanto sonosfinita dalle atroci sofferenze e dalla quantità grande disangue perduto nel taglio. La fatica immensa che io

14 Giulio era il figlio della cameriera Rosina.15 Hôtel du Nord.

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Page 96: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

duro nello scrivere queste parole storte vi provi che vivoglio bene. Il mazzolino se lo prese il barbaro che miportò il biglietto. Grazie lo stesso a voi, sentitissime.Appena sarò in grado di dire una parola ve ne avvertiròe verrete a trovarmi. Grazie dei versi pieni di luce e diprofumo per quell’afflitta madre.16 Dunque non sietetornato in famiglia? Povera Giselda e povera mamma!Me ne duole assai per loro. Salutatele, e voi scusate que-sta letterina scucita e prendetevi una affettuosa stretta dimano.

LINA».

Come dice lo stesso Tomaselli a settembre il Rapisar-di partì per Catania e di qui chiese notizie della salutealla Lina che gli rispose con questo telegramma:

«18 settembre 1879. – Grazie infinite carissime mani-festazioni amicizia, sto meglio, riceverete lettere. Millesaluti affettuosi

LINA».

Il lettore che ha scorso queste lettere può ben giudica-re quale veramente fosse il sentimento della Lina versoRapisardi, dopo quattro anni dacchè si conoscevano.Amicizia affettuosa era la sua; egli invece sentiva amoretorbido, assillante; la stessa Lina lo esortava ad essere

16 I versi A una madre di cui parla la Lina sono in Ricordanze di Mario Ra-pisardi e cominciano:

L’anima del tuo bimbo, anima bellaQuando si sciolse dal suo roseo velo.... ecc.

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duro nello scrivere queste parole storte vi provi che vivoglio bene. Il mazzolino se lo prese il barbaro che miportò il biglietto. Grazie lo stesso a voi, sentitissime.Appena sarò in grado di dire una parola ve ne avvertiròe verrete a trovarmi. Grazie dei versi pieni di luce e diprofumo per quell’afflitta madre.16 Dunque non sietetornato in famiglia? Povera Giselda e povera mamma!Me ne duole assai per loro. Salutatele, e voi scusate que-sta letterina scucita e prendetevi una affettuosa stretta dimano.

LINA».

Come dice lo stesso Tomaselli a settembre il Rapisar-di partì per Catania e di qui chiese notizie della salutealla Lina che gli rispose con questo telegramma:

«18 settembre 1879. – Grazie infinite carissime mani-festazioni amicizia, sto meglio, riceverete lettere. Millesaluti affettuosi

LINA».

Il lettore che ha scorso queste lettere può ben giudica-re quale veramente fosse il sentimento della Lina versoRapisardi, dopo quattro anni dacchè si conoscevano.Amicizia affettuosa era la sua; egli invece sentiva amoretorbido, assillante; la stessa Lina lo esortava ad essere

16 I versi A una madre di cui parla la Lina sono in Ricordanze di Mario Ra-pisardi e cominciano:

L’anima del tuo bimbo, anima bellaQuando si sciolse dal suo roseo velo.... ecc.

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Page 97: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

calmo per non tormentare se stesso, la Giselda e la ma-dre di lei. E il Rapisardi scriveva disperatamente per labella donna:

Io, perchè giunga a lei, perchè dei cariLabbri udir mai dolce una voce io possa,Varcherei monti e boschi, abissi e mari,Calpesterei dei miei morti la fossa!17

Ecco ancora una lettera della Lina a Rapisardi che, dinuovo a Firenze con la moglie abitava al Viale PrincipeAmedeo, numero 4, piano secondo. La lettera è del 26agosto 1882:

«Caro Mario mio,

«Il diavolo mette sempre la coda in tutte le mie cose.Ieri, sentendomi così male, avevo deciso di non recarmia Carmignano. Ma stamani ho avuto una lettera della si-gnora Fedeli dove mi si annunzia che alle quattro la suacarrozza sarà a prendermi qui. Per chi potevo io farlaavvisata e pregarla di non incomodarsi?

«Or ora sono scesa in strada per venire costassù davoi, ma ha cominciato a piovere a dirotto. Se aspetto unpoco non faccio più a tempo a venire qua per le quattro.

«Ve lo ripeto: ogni mio progetto è sviato. Fortuna cheso dal caro biglietto di Giselda che voi state meglio as-sai quest’oggi; e fortuna che io starò assente un giorno

17 Le Ricordanze, Ideale, a Lina.

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calmo per non tormentare se stesso, la Giselda e la ma-dre di lei. E il Rapisardi scriveva disperatamente per labella donna:

Io, perchè giunga a lei, perchè dei cariLabbri udir mai dolce una voce io possa,Varcherei monti e boschi, abissi e mari,Calpesterei dei miei morti la fossa!17

Ecco ancora una lettera della Lina a Rapisardi che, dinuovo a Firenze con la moglie abitava al Viale PrincipeAmedeo, numero 4, piano secondo. La lettera è del 26agosto 1882:

«Caro Mario mio,

«Il diavolo mette sempre la coda in tutte le mie cose.Ieri, sentendomi così male, avevo deciso di non recarmia Carmignano. Ma stamani ho avuto una lettera della si-gnora Fedeli dove mi si annunzia che alle quattro la suacarrozza sarà a prendermi qui. Per chi potevo io farlaavvisata e pregarla di non incomodarsi?

«Or ora sono scesa in strada per venire costassù davoi, ma ha cominciato a piovere a dirotto. Se aspetto unpoco non faccio più a tempo a venire qua per le quattro.

«Ve lo ripeto: ogni mio progetto è sviato. Fortuna cheso dal caro biglietto di Giselda che voi state meglio as-sai quest’oggi; e fortuna che io starò assente un giorno

17 Le Ricordanze, Ideale, a Lina.

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solo, domani; altrimenti sarei venuta a malgrado di tuttele piogge e di tutti quelli che mi aspettassero.

«Vi stringo la mano ed abbraccio la mia sorellinad’affetto e la mia mamma adottiva, salutandovi fino alunedì, giorno in cui m’invito da me costà tra voi a fareun po’ di festa al cuore.

«Vostrissima sempreLINA».

Il giorno 28 si sarebbe festeggiato infatti il complean-no della signora Giselda. Intanto Rapisardi ha scritto perla Lina parecchi versi nei quali non fa che lamentarsidella freddezza e dell’indifferenza di lei, magari accu-sandola di crudeltà, secondo il costume di tutti i poetiincompresi in amore dal Petrarca in poi; ma non mai laLina ne scrisse per lui, eccettuata la poesia A un amicoche non mi scriveva da un pezzo, e l’altra che s’intitola:Ultima festa nel volume Versi in risposta a quella cheegli leaveva mandato accompagnandola col dono di unpugnale sulla cui lama era incisa la parola Pax; questiversi della Lina sono fra i non molti di tutta la sua operadove non si parli d’amore.18

ULTIMA FESTAAd un amico che mi regalava un pugnale

con sopra inciso il motto: Pax.

18 CONTESSA LARA, Versi.

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solo, domani; altrimenti sarei venuta a malgrado di tuttele piogge e di tutti quelli che mi aspettassero.

«Vi stringo la mano ed abbraccio la mia sorellinad’affetto e la mia mamma adottiva, salutandovi fino alunedì, giorno in cui m’invito da me costà tra voi a fareun po’ di festa al cuore.

«Vostrissima sempreLINA».

Il giorno 28 si sarebbe festeggiato infatti il complean-no della signora Giselda. Intanto Rapisardi ha scritto perla Lina parecchi versi nei quali non fa che lamentarsidella freddezza e dell’indifferenza di lei, magari accu-sandola di crudeltà, secondo il costume di tutti i poetiincompresi in amore dal Petrarca in poi; ma non mai laLina ne scrisse per lui, eccettuata la poesia A un amicoche non mi scriveva da un pezzo, e l’altra che s’intitola:Ultima festa nel volume Versi in risposta a quella cheegli leaveva mandato accompagnandola col dono di unpugnale sulla cui lama era incisa la parola Pax; questiversi della Lina sono fra i non molti di tutta la sua operadove non si parli d’amore.18

ULTIMA FESTAAd un amico che mi regalava un pugnale

con sopra inciso il motto: Pax.

18 CONTESSA LARA, Versi.

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Page 99: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

Non vedo più davanti agli occhi lassiL’aurea danza de’ sogni e il ciel sereno;Ne ’l sentier buio, a rallentarmi i passi,Non v’ha sirena che mi canti in seno.Fredde, siccome d’invernale aurora,Scorron de ’l tempo mio l’ore solinghe,E un incredulo riso il labbro sfioraDinanzi a ’l giuoco de le altrui lusinghe.Amico, vedi, quella testa biancaChe sotto il lume su ’l lavor si piega?È l’ava mia, la vecchierella stanca,Che, quando impreco, m’accarezza e prega.E se appoggio a ’l suo piè le chiome bionde,Con parole d’amor strane e leggiadreElla ricorda e in un pensier confondeL’infanzia mia, l’infanzia di mia madre.Sacra testa canuta! E verrà giornoChe posi anch’essa in qualche angolo ignoto;Ed io, nata ad amar, guardando attorno,Tutto avrò visto dileguar nel vuoto.Diffusi allor ne la mia chiusa stanzaNembi di fiori da ’l profumo acuto,In un canto a la gloria e a la speranzaVolgerò a ’l mondo un ultimo saluto.E secura in pensar che Dio perdonaMolto a chi molto lacrimò d’amore,De ’l tuo pugnale io premerò la buonaLama che scenda a darmi pace a ’l core.

Per dimostrare come ella avesse amicizia non solo perRapisardi ma anche per la moglie e come da lei ne fosse

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Non vedo più davanti agli occhi lassiL’aurea danza de’ sogni e il ciel sereno;Ne ’l sentier buio, a rallentarmi i passi,Non v’ha sirena che mi canti in seno.Fredde, siccome d’invernale aurora,Scorron de ’l tempo mio l’ore solinghe,E un incredulo riso il labbro sfioraDinanzi a ’l giuoco de le altrui lusinghe.Amico, vedi, quella testa biancaChe sotto il lume su ’l lavor si piega?È l’ava mia, la vecchierella stanca,Che, quando impreco, m’accarezza e prega.E se appoggio a ’l suo piè le chiome bionde,Con parole d’amor strane e leggiadreElla ricorda e in un pensier confondeL’infanzia mia, l’infanzia di mia madre.Sacra testa canuta! E verrà giornoChe posi anch’essa in qualche angolo ignoto;Ed io, nata ad amar, guardando attorno,Tutto avrò visto dileguar nel vuoto.Diffusi allor ne la mia chiusa stanzaNembi di fiori da ’l profumo acuto,In un canto a la gloria e a la speranzaVolgerò a ’l mondo un ultimo saluto.E secura in pensar che Dio perdonaMolto a chi molto lacrimò d’amore,De ’l tuo pugnale io premerò la buonaLama che scenda a darmi pace a ’l core.

Per dimostrare come ella avesse amicizia non solo perRapisardi ma anche per la moglie e come da lei ne fosse

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ricambiata teneramente, basterà leggere il sonetto Viag-gio (a Giselda) in cui esprime il dolore per l’amica cheparte:

Ella parte fra poco, e il quartierinoChe in fondo de i Viali abita adesso,Pien de ’l suo gusto capriccioso e fino,In questi giorni non par più lo stesso.Là uno scialle di pizzo, un mandolino,Mucchi di libri, qualche guanto smesso,Bottiglie vuote di spumante vino,Rado bevute e motteggiando spesso;Qui una gonnella a falpalà di raso,Più giù la gabbia d’un uccello morto,E, senza piante, rovesciato un vaso.Io tutto guardo, e tacita rimango,Lei sta lì in piedi co ’l visetto smorto,Poi mi si butta fra le braccia: io piango.

*

Come si sa, Mario Rapisardi aveva l’abitudine di te-ner copia di tutte le lettere che spediva e si deve a questasingolare previdenza se oggi possiamo leggerne alcunedirette alla Lina.19

19 Epistolario di Mario Rapisardi a cura di Alfio Tomaselli. Pag. 73, lette-ra 36.

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ricambiata teneramente, basterà leggere il sonetto Viag-gio (a Giselda) in cui esprime il dolore per l’amica cheparte:

Ella parte fra poco, e il quartierinoChe in fondo de i Viali abita adesso,Pien de ’l suo gusto capriccioso e fino,In questi giorni non par più lo stesso.Là uno scialle di pizzo, un mandolino,Mucchi di libri, qualche guanto smesso,Bottiglie vuote di spumante vino,Rado bevute e motteggiando spesso;Qui una gonnella a falpalà di raso,Più giù la gabbia d’un uccello morto,E, senza piante, rovesciato un vaso.Io tutto guardo, e tacita rimango,Lei sta lì in piedi co ’l visetto smorto,Poi mi si butta fra le braccia: io piango.

*

Come si sa, Mario Rapisardi aveva l’abitudine di te-ner copia di tutte le lettere che spediva e si deve a questasingolare previdenza se oggi possiamo leggerne alcunedirette alla Lina.19

19 Epistolario di Mario Rapisardi a cura di Alfio Tomaselli. Pag. 73, lette-ra 36.

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«Milano, ottobre 1876.

«Carolina cambia cambia....20

«L’ho sentita or ora, proprio nel momento che finiscodi leggere la vostra lettera. È strano! Mi pare impossibi-le che voi non siate qui. C’è tanto di voi in questo bene-detto paese! A ogni svolto di cantonata dico fra me: oraincontrerò la mia Linuccia! Ci sono tante che vestonocome voi. Ma che! nessuna, nessuna vi somiglia. E que-sto mi piace. Se ci fosse una donna che osasse somi-gliarvi anche poco, anche da lontano, io vi vorrei menobene. Stamane verso le sei, Milano era tutta avvolta nel-la nebbia. Il Duomo era meraviglioso; le sue fantasticheguglie si confondevano col cielo. Quante volte l’avretevedute così e vi sarà parso di volare, malinconica Peri,sostenuta dalle ali di un angelo o dell’amore, e d’immer-gervi nella infinita voluttà della luce, e sparire in un rag-gio di sole!

«Io vi ho dinanzi a questo eterno conquistatoredell’anima che si chiama l’Amore. Ho inclinato la fron-te dinanzi a lui, e ho ripetuto piangendo il tuo nome».

La Lina aveva scritto a Rapisardi, sapendo che dove-va andare a Milano, di portare per lei delle rose al cimi-tero sulla tomba del povero Bennati, e nella stessa lette-ra, abissi del cuore umano, gli scriveva pure di comprar-le in un negozio di Via Monte Napoleone una scatola diquella polvere dorata con cui usava incipriarsi i capelli.

20 Canzonetta allora in voga.

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«Milano, ottobre 1876.

«Carolina cambia cambia....20

«L’ho sentita or ora, proprio nel momento che finiscodi leggere la vostra lettera. È strano! Mi pare impossibi-le che voi non siate qui. C’è tanto di voi in questo bene-detto paese! A ogni svolto di cantonata dico fra me: oraincontrerò la mia Linuccia! Ci sono tante che vestonocome voi. Ma che! nessuna, nessuna vi somiglia. E que-sto mi piace. Se ci fosse una donna che osasse somi-gliarvi anche poco, anche da lontano, io vi vorrei menobene. Stamane verso le sei, Milano era tutta avvolta nel-la nebbia. Il Duomo era meraviglioso; le sue fantasticheguglie si confondevano col cielo. Quante volte l’avretevedute così e vi sarà parso di volare, malinconica Peri,sostenuta dalle ali di un angelo o dell’amore, e d’immer-gervi nella infinita voluttà della luce, e sparire in un rag-gio di sole!

«Io vi ho dinanzi a questo eterno conquistatoredell’anima che si chiama l’Amore. Ho inclinato la fron-te dinanzi a lui, e ho ripetuto piangendo il tuo nome».

La Lina aveva scritto a Rapisardi, sapendo che dove-va andare a Milano, di portare per lei delle rose al cimi-tero sulla tomba del povero Bennati, e nella stessa lette-ra, abissi del cuore umano, gli scriveva pure di comprar-le in un negozio di Via Monte Napoleone una scatola diquella polvere dorata con cui usava incipriarsi i capelli.

20 Canzonetta allora in voga.

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Evelina Cattermole Mancini (1874).

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Evelina Cattermole Mancini (1874).

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Esterina Cattermole.

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Esterina Cattermole.

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Rapisardi si recò infatti al cimitero, e si recò pure nelnegozio acquistando due scatole di polvere dorata. Egliera molto felice di poter soddisfare tutti i desideri dellapiccola amica, di qualunque genere fossero.

«Com’è bella la piccola tomba, la casa modesta deltuo povero amore! Come si deve dormir bene laggiùsotto la fredda lapide nera, sotto la pianticella d’ederache abbraccia amorosamente la croce, sotto le ghirlandebaciate dalle tue labbra, sotto i fiori bagnati dalle tue la-grime!

«Ci sono tornato stamane prestissimo, sono entratonell’asilo del sonno insieme alla folla spensierata deimanovali e ho sussurrato il tuo nome a tutti i poverimorti. Il sole dava il primo raggio alle tombe, gli uccel-letti il loro primo saluto. Quanta luce, quanta armonia,quanta vita là, nella fossa misteriosa dell’eternità!

«Mi sono sdraiato sull’erba verde, bagnata di lagrimee di rugiada; ho guardato a uno a uno i santi ricordi ap-pesi dintorno all’altare dell’amor tuo; ho baciato un bra-no di velo nero che tu certo hai legato a una delle cateneche serrano tutto il mondo della tua vita; mi son provatodi leggere certe cifre misteriose segnate in caratteri rossisull’asfalto della lapide.... Chi può leggere le cifre mi-steriose della morte?

«Ho scritto sull’orlo queste tue parole:

Egli era un eroeEra un fanciullo, e un santo.»21

21 Epistolario di Mario Rapisardi, a cura di Alfio Tomaselli. Lettera 37,

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Rapisardi si recò infatti al cimitero, e si recò pure nelnegozio acquistando due scatole di polvere dorata. Egliera molto felice di poter soddisfare tutti i desideri dellapiccola amica, di qualunque genere fossero.

«Com’è bella la piccola tomba, la casa modesta deltuo povero amore! Come si deve dormir bene laggiùsotto la fredda lapide nera, sotto la pianticella d’ederache abbraccia amorosamente la croce, sotto le ghirlandebaciate dalle tue labbra, sotto i fiori bagnati dalle tue la-grime!

«Ci sono tornato stamane prestissimo, sono entratonell’asilo del sonno insieme alla folla spensierata deimanovali e ho sussurrato il tuo nome a tutti i poverimorti. Il sole dava il primo raggio alle tombe, gli uccel-letti il loro primo saluto. Quanta luce, quanta armonia,quanta vita là, nella fossa misteriosa dell’eternità!

«Mi sono sdraiato sull’erba verde, bagnata di lagrimee di rugiada; ho guardato a uno a uno i santi ricordi ap-pesi dintorno all’altare dell’amor tuo; ho baciato un bra-no di velo nero che tu certo hai legato a una delle cateneche serrano tutto il mondo della tua vita; mi son provatodi leggere certe cifre misteriose segnate in caratteri rossisull’asfalto della lapide.... Chi può leggere le cifre mi-steriose della morte?

«Ho scritto sull’orlo queste tue parole:

Egli era un eroeEra un fanciullo, e un santo.»21

21 Epistolario di Mario Rapisardi, a cura di Alfio Tomaselli. Lettera 37,

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Può sembrare strano ch’egli le dia del tu, mentre essagli dà sempre del voi e così continuerà per parecchianni. Ciò non toglie che i rapporti fra la Lina e Rapisar-di fossero quelli che abbiamo detto, come altre proveverranno a rendere sempre più evidente. Se poi le lettereche abbiamo riprodotte devono considerarsi come lette-re di amore con «inviti e convegni furtivi»22 non c’è dameravigliare che venissero attribuiti a questa donna nonsolo il Rapisardi, ma dozzine di amanti. Egli era perdu-tamente innamorato, ed essa gli fu indulgente, affettuo-sa, perfin tenera, accettò che le rivedesse il volume Ver-si, permise che le desse del tu, e accondiscese più tardi aricambiarglielo, cosa non rara fra scrittore e scrittrice le-gati da una forte simpatia e dalla vita comune del gior-nale e del libro.

*

Un grande affetto la Lina ebbe per la nonna, e quandoil 2 novembre 1880 la cara vecchierella muore, è ungrande schianto per lei che si vede ormai sola nella vitae scrive versi molto commossi, come Stanza chiusa incui tentata dal dolore rientra nelle camere dove la nonnanon è più, e ha l’illusione di rivederla pallida, negli at-teggiamenti usati, ma si riscuote dal sogno:

pag. 74.22 TOMASELLI, Endimione.

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Può sembrare strano ch’egli le dia del tu, mentre essagli dà sempre del voi e così continuerà per parecchianni. Ciò non toglie che i rapporti fra la Lina e Rapisar-di fossero quelli che abbiamo detto, come altre proveverranno a rendere sempre più evidente. Se poi le lettereche abbiamo riprodotte devono considerarsi come lette-re di amore con «inviti e convegni furtivi»22 non c’è dameravigliare che venissero attribuiti a questa donna nonsolo il Rapisardi, ma dozzine di amanti. Egli era perdu-tamente innamorato, ed essa gli fu indulgente, affettuo-sa, perfin tenera, accettò che le rivedesse il volume Ver-si, permise che le desse del tu, e accondiscese più tardi aricambiarglielo, cosa non rara fra scrittore e scrittrice le-gati da una forte simpatia e dalla vita comune del gior-nale e del libro.

*

Un grande affetto la Lina ebbe per la nonna, e quandoil 2 novembre 1880 la cara vecchierella muore, è ungrande schianto per lei che si vede ormai sola nella vitae scrive versi molto commossi, come Stanza chiusa incui tentata dal dolore rientra nelle camere dove la nonnanon è più, e ha l’illusione di rivederla pallida, negli at-teggiamenti usati, ma si riscuote dal sogno:

pag. 74.22 TOMASELLI, Endimione.

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. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .In questa dolce illusione assorta,Io guardo e aspetto tacita, tremante,Ma poi fuggo gridando: È morta! è morta!

Anche il sonetto Il rosario della Nonna è uno dei piùspontanei e sentiti:

Bigotta no: lo spaventevol sensoMe poco turba di future pene:Amo gli effluvi de le algose arenePiù che il mistico odor de ’l sacro incenso.

E se de ’l vero il desiderio intensoMi tragge fuor de le vulgari scene,Più che in chiesa su cime alte e sereneIddio mi parla il suo linguaggio immenso.

Pure da quando la mia santa è morta,Ho a ’l collo il suo rosario e una medagliaCome altra dama un ricco vezzo porta.

Nè di ghigni il pietoso animo curaChè in questa de la vita aspra battagliaCon l’amuleto mio pugno secura.

Appena la nonna morì la Contessa Lara scrisse allasignora Agrippina Bottini, sua diletta e fedele amica:

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. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .In questa dolce illusione assorta,Io guardo e aspetto tacita, tremante,Ma poi fuggo gridando: È morta! è morta!

Anche il sonetto Il rosario della Nonna è uno dei piùspontanei e sentiti:

Bigotta no: lo spaventevol sensoMe poco turba di future pene:Amo gli effluvi de le algose arenePiù che il mistico odor de ’l sacro incenso.

E se de ’l vero il desiderio intensoMi tragge fuor de le vulgari scene,Più che in chiesa su cime alte e sereneIddio mi parla il suo linguaggio immenso.

Pure da quando la mia santa è morta,Ho a ’l collo il suo rosario e una medagliaCome altra dama un ricco vezzo porta.

Nè di ghigni il pietoso animo curaChè in questa de la vita aspra battagliaCon l’amuleto mio pugno secura.

Appena la nonna morì la Contessa Lara scrisse allasignora Agrippina Bottini, sua diletta e fedele amica:

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«Pina mia cara,

«Dolce sorella mia, quale sventura! L’ultimo stameche ancor teneva la mia esistenza dolorosa.... Oh, Dioquanto mi sento male! Non ho neppure la forza di reg-gere la penna; dai miei occhi bruciati per il lungo piantocadono continue lacrime cocenti, e tu ne vedi le traccesulla carta; ogni lacrima è una goccia di sangue, checola dal mio cuore!»

Questo era per lei un dolore atroce e si chiedeva qualemai spaventoso peccato avesse commesso, e se nonavesse espiato abbastanza per essere, ancora percossacosì. In alcuni momenti si sentiva vacillare, la fede nonle dava più conforto e desiderava morire per trovare lapace che invano cercava da anni, e credeva che solo lamorte gliela potesse dare. La nonna soleva chiamarla fi-glia, ed essa che aveva perduto prestissimo la madre,aveva in quell’affetto ritrovata davvero un’altra mam-ma.

Nello stile del tempo la lettera a Pina Bottini conti-nua:

«Ella è morta, Pina mia, e il mio cuore si è infranto!Gli ultimi istanti furono molto penosi. Per tutto il tempoche durò la sua triste agonia, rimasi inginocchiata pressoil capezzale; piangente e quasi fuori di me la supplicavoa non lasciarmi, ad avere pietà di sua figlia infelice esventurata. Ella mi pose una mano sul capo e levò al

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«Pina mia cara,

«Dolce sorella mia, quale sventura! L’ultimo stameche ancor teneva la mia esistenza dolorosa.... Oh, Dioquanto mi sento male! Non ho neppure la forza di reg-gere la penna; dai miei occhi bruciati per il lungo piantocadono continue lacrime cocenti, e tu ne vedi le traccesulla carta; ogni lacrima è una goccia di sangue, checola dal mio cuore!»

Questo era per lei un dolore atroce e si chiedeva qualemai spaventoso peccato avesse commesso, e se nonavesse espiato abbastanza per essere, ancora percossacosì. In alcuni momenti si sentiva vacillare, la fede nonle dava più conforto e desiderava morire per trovare lapace che invano cercava da anni, e credeva che solo lamorte gliela potesse dare. La nonna soleva chiamarla fi-glia, ed essa che aveva perduto prestissimo la madre,aveva in quell’affetto ritrovata davvero un’altra mam-ma.

Nello stile del tempo la lettera a Pina Bottini conti-nua:

«Ella è morta, Pina mia, e il mio cuore si è infranto!Gli ultimi istanti furono molto penosi. Per tutto il tempoche durò la sua triste agonia, rimasi inginocchiata pressoil capezzale; piangente e quasi fuori di me la supplicavoa non lasciarmi, ad avere pietà di sua figlia infelice esventurata. Ella mi pose una mano sul capo e levò al

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Page 108: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

cielo gli occhi ormai spenti; le sue labbra si agitarono;mormorava benedicendomi una preghiera per la salvez-za della mia anima, e mi confidava al buon Dio affinchèmi proteggesse ora che restavo senza appoggio e senzaguida. Poi, debolmente, mi attirò a sè, e toltosi un meda-glione raffigurante l’immagine della Vergine Addoloratame lo pose al collo sorridendomi, poi reclinò il capo. Ilmio cuore in quel momento ebbe uno schianto. Mi chi-nai su quella bocca adorata per deporre e ricevere un ba-cio. Ahimè, fu l’ultimo, come l’ultima era stata la suapreghiera. Ella spirò fra le mie braccia sempre sorriden-domi. Il suo volto è atteggiato a suprema e dolce beati-tudine: i suoi occhi sbarrati mi fissano! Ah nonna, ma-dre mia adorata, perchè non mi parli? perchè non michiami col dolce nome che eri solita rivolgermi? Nonvedi che la figlia tua in ginocchio t’implora? Tu sei mor-ta! Mi hai abbandonata, è vero, ma il sacro tesoro chemi hai posto al collo non mi lascerà giammai; nelle bat-taglie dolorose della vita, lo premerò sul cuore e le mielabbra, allora, mormoreranno la santa preghiera che tum’insegnasti bambina. Che la tua anima santa goda eter-namente le dolcezze del Paradiso. Madre adorata, vegliasopra di me.

«Questa sera, Pina mia, la porteranno al Camposanto!Potessi almeno seguirla anch’io nella tomba e dormirecon Lei il sonno eterno.

«Non posso più reggere alla disperazione: due voltemi sono svenuta nello scriverti questa lettera, che timando bagnata di lacrime e piena del mio dolore.

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cielo gli occhi ormai spenti; le sue labbra si agitarono;mormorava benedicendomi una preghiera per la salvez-za della mia anima, e mi confidava al buon Dio affinchèmi proteggesse ora che restavo senza appoggio e senzaguida. Poi, debolmente, mi attirò a sè, e toltosi un meda-glione raffigurante l’immagine della Vergine Addoloratame lo pose al collo sorridendomi, poi reclinò il capo. Ilmio cuore in quel momento ebbe uno schianto. Mi chi-nai su quella bocca adorata per deporre e ricevere un ba-cio. Ahimè, fu l’ultimo, come l’ultima era stata la suapreghiera. Ella spirò fra le mie braccia sempre sorriden-domi. Il suo volto è atteggiato a suprema e dolce beati-tudine: i suoi occhi sbarrati mi fissano! Ah nonna, ma-dre mia adorata, perchè non mi parli? perchè non michiami col dolce nome che eri solita rivolgermi? Nonvedi che la figlia tua in ginocchio t’implora? Tu sei mor-ta! Mi hai abbandonata, è vero, ma il sacro tesoro chemi hai posto al collo non mi lascerà giammai; nelle bat-taglie dolorose della vita, lo premerò sul cuore e le mielabbra, allora, mormoreranno la santa preghiera che tum’insegnasti bambina. Che la tua anima santa goda eter-namente le dolcezze del Paradiso. Madre adorata, vegliasopra di me.

«Questa sera, Pina mia, la porteranno al Camposanto!Potessi almeno seguirla anch’io nella tomba e dormirecon Lei il sonno eterno.

«Non posso più reggere alla disperazione: due voltemi sono svenuta nello scriverti questa lettera, che timando bagnata di lacrime e piena del mio dolore.

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«Forse nel vostro amore potrei avere un po’ di confor-to; ma neanche ciò mi è dato provare: lo strazio deve es-sere intero e crudele.

«Pina mia cara, ti stringo al mio cuore addolorato e tibacio con tutta l’anima afflitta.

La tua LINA».

*

Nel 1881 nacque a Firenze, diretto da Gaetano Male-notti, il quotidiano Fieramosca, di cui la Lina fu colla-boratrice. Il Fieramosca, per essere più esatti, sorse colnome di Fra Diavolo, ma la contessa Isabella GabardiRossi, poetessa e patriotta, insistè e ottenne che il nomefantasioso venisse cambiato in quello battagliero ederoico di Fieramosca.

Essa era la fiorentina assai bella che fra il 1834 e il1840 fu molto cara al Giusti, e ne ebbe i versi All’amicalontana; si parlò anche di matrimonio fra i due, ma ilGiusti era povero e la Rossi abituata all’agiatezza, cosìche un giorno il senso pratico prevalse sull’amore e lapoetessa ebbe a scrivere all’amico poeta:

Amica ti sarò fino alla morteMa giammai diverrò la tua consorte.

Molti anni più tardi scrisse al Ghivizzani, biografo del

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«Forse nel vostro amore potrei avere un po’ di confor-to; ma neanche ciò mi è dato provare: lo strazio deve es-sere intero e crudele.

«Pina mia cara, ti stringo al mio cuore addolorato e tibacio con tutta l’anima afflitta.

La tua LINA».

*

Nel 1881 nacque a Firenze, diretto da Gaetano Male-notti, il quotidiano Fieramosca, di cui la Lina fu colla-boratrice. Il Fieramosca, per essere più esatti, sorse colnome di Fra Diavolo, ma la contessa Isabella GabardiRossi, poetessa e patriotta, insistè e ottenne che il nomefantasioso venisse cambiato in quello battagliero ederoico di Fieramosca.

Essa era la fiorentina assai bella che fra il 1834 e il1840 fu molto cara al Giusti, e ne ebbe i versi All’amicalontana; si parlò anche di matrimonio fra i due, ma ilGiusti era povero e la Rossi abituata all’agiatezza, cosìche un giorno il senso pratico prevalse sull’amore e lapoetessa ebbe a scrivere all’amico poeta:

Amica ti sarò fino alla morteMa giammai diverrò la tua consorte.

Molti anni più tardi scrisse al Ghivizzani, biografo del

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Giusti queste parole:«Studiandolo trovai che il mio non si fondeva mai col

suo cuore, mentre il mio intelletto rispondeva sempre alsuo...»

La Isabella Rossi sposò poi il conte Olivo GabardiBrocchi di Carpi, che ella aveva in una lirica salutato«poeta del duolo» per le sue Leggende storiche italianescritte in ottave fra il 1837 e il 1843. L’Isabella, ardenteitaliana di vasta cultura classica, scrisse molti versi sen-timentali e visse dal 1808 al 1893. Ebbe corrispondenzavastissima con le personalità più in vista del suo tempo,e il figlio Gabardo Gabardi, poeta anch’egli e giornalistaarguto e vivace, ne pubblicò un interessante epistolarioin due volumi intitolato Mia madre, i suoi tempi, i suoiamici.

Gabardo Gabardi fu buon amico della Lina Cattermo-le, a cui, come confessava egli stesso da vecchio, avevafatto una corte spietata; il ricordo della donna gentile,intelligente, fine, mordace, gli rimase sempre caro. C’èun suo grazioso sonetto dedicato a lei, a cui la Lina ri-spose per le rime, ma non senza amarezza.

Dice Gabardo Gabardi:

A CHI SO IO23

Amo il tuo riso scettico e argentino,Amo quel gelo che ti sta negli occhi,

23 CONTESSA LARA, Versi.

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Giusti queste parole:«Studiandolo trovai che il mio non si fondeva mai col

suo cuore, mentre il mio intelletto rispondeva sempre alsuo...»

La Isabella Rossi sposò poi il conte Olivo GabardiBrocchi di Carpi, che ella aveva in una lirica salutato«poeta del duolo» per le sue Leggende storiche italianescritte in ottave fra il 1837 e il 1843. L’Isabella, ardenteitaliana di vasta cultura classica, scrisse molti versi sen-timentali e visse dal 1808 al 1893. Ebbe corrispondenzavastissima con le personalità più in vista del suo tempo,e il figlio Gabardo Gabardi, poeta anch’egli e giornalistaarguto e vivace, ne pubblicò un interessante epistolarioin due volumi intitolato Mia madre, i suoi tempi, i suoiamici.

Gabardo Gabardi fu buon amico della Lina Cattermo-le, a cui, come confessava egli stesso da vecchio, avevafatto una corte spietata; il ricordo della donna gentile,intelligente, fine, mordace, gli rimase sempre caro. C’èun suo grazioso sonetto dedicato a lei, a cui la Lina ri-spose per le rime, ma non senza amarezza.

Dice Gabardo Gabardi:

A CHI SO IO23

Amo il tuo riso scettico e argentino,Amo quel gelo che ti sta negli occhi,

23 CONTESSA LARA, Versi.

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La posa indifferente e il viperinoScherno che opponi a ’l plauso de gli sciocchi.

Vorrei fare il patito a te vicino,Esser deriso; e in mezzo a’ tuoi balocchiRappresentar la parte del cretino,Fin che ad altri, per turno, essa non tocchi.

T’ho visto in chiesa l’altro giorno: staviInginocchiata ai piedi d’un altare.Cercai d’indovinar perchè pregavi.

Poi ripensando agli usi tuoi cangianti,Ho capito che, tanto per mutare,Ti divertivi a canzonare i santi.

Risponde la contessa per «Chi so io»

Amico, me la folla degli sciocchiGiudichi in varie guise stravaganti,E scopra fuoco o gel dentro quest’occhiDov’è il ricordo de i versati pianti.

Maligno nome a ’l mio sorriso tocchi,Birichino, gli è ver, ma co’ galanti;E quando ad un altar piego i ginocchi,Ben si proclami ch’io canzono i santi.

Troppo arcano, pe ’l vulgo, è questo caroSentimento de ’l ciel, questa mia fedeDi gentildonna e insiem di marinaro;

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La posa indifferente e il viperinoScherno che opponi a ’l plauso de gli sciocchi.

Vorrei fare il patito a te vicino,Esser deriso; e in mezzo a’ tuoi balocchiRappresentar la parte del cretino,Fin che ad altri, per turno, essa non tocchi.

T’ho visto in chiesa l’altro giorno: staviInginocchiata ai piedi d’un altare.Cercai d’indovinar perchè pregavi.

Poi ripensando agli usi tuoi cangianti,Ho capito che, tanto per mutare,Ti divertivi a canzonare i santi.

Risponde la contessa per «Chi so io»

Amico, me la folla degli sciocchiGiudichi in varie guise stravaganti,E scopra fuoco o gel dentro quest’occhiDov’è il ricordo de i versati pianti.

Maligno nome a ’l mio sorriso tocchi,Birichino, gli è ver, ma co’ galanti;E quando ad un altar piego i ginocchi,Ben si proclami ch’io canzono i santi.

Troppo arcano, pe ’l vulgo, è questo caroSentimento de ’l ciel, questa mia fedeDi gentildonna e insiem di marinaro;

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Nè crucciarmi io saprei: ma tu, se maleNon vuoi ritrarre almen quel che si vede,Torna meglio a studiar l’originale.

Un altro buon amico della Lara fu Mario Foresi. In-terrogato sulla strana donna, dice che vi sono due argo-menti validi in sua difesa per chi la conobbe. Il suo in-telletto sorgivo, nonostante una cultura limitata, e il cuo-re ardentissimo. L’uno le creò il sogno di un uomo idea-le; l’altro la indomabile bramosia d’incarnarlo. La ricer-ca dell’uomo ideale sempre delusa e non mai convinta,ne fece agli occhi del volgo una dissoluta, mentre in leinon fu soltanto vizio e non fu mai cupidigia o avidità.

Quando Foresi giovanissimo pubblicò il Canzonierela contessa Lara ne parlò in un articolo sul Fieramoscacon molto calore. Incuriosita di questo poeta volle visi-tarne lo studio a Firenze, mentre egli si trovava all’Isolad’Elba, sua abituale dimora estiva. Una indiscrezionecon la complicità del domestico? È probabile:

«Qua un cavalletto con una bella testina a guazzo,bionda o bruna, secondo il capriccio, donna o Madonna,secondo il culto.... del quarto d’ora; lì sul pianoforte del-le carte di musica sparpagliate, sul tavolo cartelle bi-slunghe formicolanti: ispirazioni, cassature, un po’ ditutto. Lo provano i lampi di genio che sfolgorano a trat-to a tratto nel suo volume di versi.

«Non mi limitai allo studio, girai la casa storica deiDoni, dalle pareti coperte di quadri di pregio.

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Nè crucciarmi io saprei: ma tu, se maleNon vuoi ritrarre almen quel che si vede,Torna meglio a studiar l’originale.

Un altro buon amico della Lara fu Mario Foresi. In-terrogato sulla strana donna, dice che vi sono due argo-menti validi in sua difesa per chi la conobbe. Il suo in-telletto sorgivo, nonostante una cultura limitata, e il cuo-re ardentissimo. L’uno le creò il sogno di un uomo idea-le; l’altro la indomabile bramosia d’incarnarlo. La ricer-ca dell’uomo ideale sempre delusa e non mai convinta,ne fece agli occhi del volgo una dissoluta, mentre in leinon fu soltanto vizio e non fu mai cupidigia o avidità.

Quando Foresi giovanissimo pubblicò il Canzonierela contessa Lara ne parlò in un articolo sul Fieramoscacon molto calore. Incuriosita di questo poeta volle visi-tarne lo studio a Firenze, mentre egli si trovava all’Isolad’Elba, sua abituale dimora estiva. Una indiscrezionecon la complicità del domestico? È probabile:

«Qua un cavalletto con una bella testina a guazzo,bionda o bruna, secondo il capriccio, donna o Madonna,secondo il culto.... del quarto d’ora; lì sul pianoforte del-le carte di musica sparpagliate, sul tavolo cartelle bi-slunghe formicolanti: ispirazioni, cassature, un po’ ditutto. Lo provano i lampi di genio che sfolgorano a trat-to a tratto nel suo volume di versi.

«Non mi limitai allo studio, girai la casa storica deiDoni, dalle pareti coperte di quadri di pregio.

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«— Vede? – mi diceva il buon Giannino Testi, isola-no anche lui, ma più a posto in cantina e nella scuderiache dinanzi a capolavori dell’arte – so che quello lì è unSarto, questo qui un Rosa. C’è un Botticelli, ma non sodove. – Insomma del Botticelli ricordava integro ilnome.

«Vidi la bella libreria; scesi in giardino, lo percorsifino al Mercurio, la votiva statua erettavi da Orazio Fen-zi banchiere (invano, chè questo e quella caddero); sedeisotto un tasso annoso sulla panchina dove più tardiquando conobbi di persona l’autore del Canzoniere, les-si alcuni miei versi.... sfoghi da poeta a poeta.»

*

Per meglio chiarire l’articolo della contessa Lara dire-mo che Giannino Testi fu più che domestico factotum diMario Foresi e restava guardia di casa in assenza dellafamiglia. Badava al cavallo da sella, e lo portava a pas-seggio e sorvegliava l’antica cantina padronale di pro-pria produzione che più tardi Mario Foresi soppresse. Esiccome al Testi piaceva il vino, la contessa Lara fece ilbisticcio su Botticelli.

Mario Foresi possedeva in Corso de’ Tintori a Firenzeun palazzo edificato sulla fine del quattrocento da unAngelo Doni che sposò la Maddalena Strozzi i cui ritrat-ti dipinti proprio in quel palazzo da Raffaello sono oggi

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«— Vede? – mi diceva il buon Giannino Testi, isola-no anche lui, ma più a posto in cantina e nella scuderiache dinanzi a capolavori dell’arte – so che quello lì è unSarto, questo qui un Rosa. C’è un Botticelli, ma non sodove. – Insomma del Botticelli ricordava integro ilnome.

«Vidi la bella libreria; scesi in giardino, lo percorsifino al Mercurio, la votiva statua erettavi da Orazio Fen-zi banchiere (invano, chè questo e quella caddero); sedeisotto un tasso annoso sulla panchina dove più tardiquando conobbi di persona l’autore del Canzoniere, les-si alcuni miei versi.... sfoghi da poeta a poeta.»

*

Per meglio chiarire l’articolo della contessa Lara dire-mo che Giannino Testi fu più che domestico factotum diMario Foresi e restava guardia di casa in assenza dellafamiglia. Badava al cavallo da sella, e lo portava a pas-seggio e sorvegliava l’antica cantina padronale di pro-pria produzione che più tardi Mario Foresi soppresse. Esiccome al Testi piaceva il vino, la contessa Lara fece ilbisticcio su Botticelli.

Mario Foresi possedeva in Corso de’ Tintori a Firenzeun palazzo edificato sulla fine del quattrocento da unAngelo Doni che sposò la Maddalena Strozzi i cui ritrat-ti dipinti proprio in quel palazzo da Raffaello sono oggi

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nella galleria Palatina. Dai Doni il palazzo passò alla fa-miglia Fenzi, arricchita nel periodo napoleonico. OrazioFenzi di Emanuele fece erigere nel giardino la colossalestatua di Mercurio a cui ha accennato la contessa Lara.Poi i Fenzi andarono in rovina, e il palazzo dei Doni, giàpieno di libri e cose d’arte, quando passò a Mario Fore-si, fu da lui ancora accresciuto e abbellito. Lo dette poiin dote all’unica figlia e oggi è il palazzo Foresi-Manzo-ni. Lì abitò D’Annunzio appena uscito dal Collegio Ci-cognini e lì pensò e scrisse il Primo vere. Più tardi egliebbe a scrivere: «Io non ho mai dimenticato la bellacasa ospitale, in quel Corso de’ Tintori che è una fra lemolte strade della mia melanconia.»

Mario Foresi si acquistò poi a Firenze una casa, o ro-mitorio, come lui la chiama, dove abita con due ancellefedeli. La raccolta d’arte e i libri donò al Municipiodell’Elba fondando la Foresiana, pinacoteca e bibliote-ca, consegnata al Sindaco di Portoferraio il 21 settembre1924.

Nella Foresiana c’è una bella raccolta di autografi;ma quando abitava al Corso dei Tintori chi sa quali ami-ci intimi di Foresi gli sottrassero dalla biblioteca unacartelletta con lettere del Guerrazzi, del D’Annunzio,del Rossini e altre. Certo, dice melanconicamente il poe-ta, «i ladri aspettano la mia morte per metter fuori la re-furtiva».

*

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nella galleria Palatina. Dai Doni il palazzo passò alla fa-miglia Fenzi, arricchita nel periodo napoleonico. OrazioFenzi di Emanuele fece erigere nel giardino la colossalestatua di Mercurio a cui ha accennato la contessa Lara.Poi i Fenzi andarono in rovina, e il palazzo dei Doni, giàpieno di libri e cose d’arte, quando passò a Mario Fore-si, fu da lui ancora accresciuto e abbellito. Lo dette poiin dote all’unica figlia e oggi è il palazzo Foresi-Manzo-ni. Lì abitò D’Annunzio appena uscito dal Collegio Ci-cognini e lì pensò e scrisse il Primo vere. Più tardi egliebbe a scrivere: «Io non ho mai dimenticato la bellacasa ospitale, in quel Corso de’ Tintori che è una fra lemolte strade della mia melanconia.»

Mario Foresi si acquistò poi a Firenze una casa, o ro-mitorio, come lui la chiama, dove abita con due ancellefedeli. La raccolta d’arte e i libri donò al Municipiodell’Elba fondando la Foresiana, pinacoteca e bibliote-ca, consegnata al Sindaco di Portoferraio il 21 settembre1924.

Nella Foresiana c’è una bella raccolta di autografi;ma quando abitava al Corso dei Tintori chi sa quali ami-ci intimi di Foresi gli sottrassero dalla biblioteca unacartelletta con lettere del Guerrazzi, del D’Annunzio,del Rossini e altre. Certo, dice melanconicamente il poe-ta, «i ladri aspettano la mia morte per metter fuori la re-furtiva».

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In uno studio nella Rassegna Nazionale Mario Foresidice della contessa Lara:

«La nota lepida della contessa Lara, ve la do comeuna cosa rara, come un esempio unico.

«Si sa come la musa di lei fosse sempre romantica,passionale, malinconica.... Anche quando ella sorride oinneggia alla joie de vivre, c’è sempre un sospiro dietroil suo sorriso.

«La cosa unica dunque?«Si tratta di una o due lirichette apparentemente fri-

vole e scherzevoli che pure nascondono il loro sospiro,il loro spirito di larga morale a illustrare le quali giovach’io premetta una particolare notizia.

«Durante quel periodo di tempo che la bionda Eva di-morò a Firenze in via del Porcellana le fu consueta certaCorinna Benvenuti, una non più acerba ragazza che siera divisa dalla sorella e venuta via da Bologna a Firen-ze; piena di spirito, mobile, benevolmente loquace, in-formata di tutto come una gazzetta. Dirò, per non farnela biografia, che i suoi pregi erano bilanciati da un op-portunismo, da un’accortezza nel tirare ogni acqua alsuo molino che a momenti ella mal dissimulava. Nonche non fosse servizievole e compiacente altrui; ma, aogni caso occorreva che ciò non le scomodasse tropponè la deviasse dalla sua linea. Di che l’arguta scrittricela proverbiava talvolta con molto spirito.

«Vengo ai noccioli. L’amica irrequieta aveva, s’inten-de, lasciato un albo alla contessa Lara, assillandola per-chè le ci scrivesse dei versi; e finalmente i versi furono

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In uno studio nella Rassegna Nazionale Mario Foresidice della contessa Lara:

«La nota lepida della contessa Lara, ve la do comeuna cosa rara, come un esempio unico.

«Si sa come la musa di lei fosse sempre romantica,passionale, malinconica.... Anche quando ella sorride oinneggia alla joie de vivre, c’è sempre un sospiro dietroil suo sorriso.

«La cosa unica dunque?«Si tratta di una o due lirichette apparentemente fri-

vole e scherzevoli che pure nascondono il loro sospiro,il loro spirito di larga morale a illustrare le quali giovach’io premetta una particolare notizia.

«Durante quel periodo di tempo che la bionda Eva di-morò a Firenze in via del Porcellana le fu consueta certaCorinna Benvenuti, una non più acerba ragazza che siera divisa dalla sorella e venuta via da Bologna a Firen-ze; piena di spirito, mobile, benevolmente loquace, in-formata di tutto come una gazzetta. Dirò, per non farnela biografia, che i suoi pregi erano bilanciati da un op-portunismo, da un’accortezza nel tirare ogni acqua alsuo molino che a momenti ella mal dissimulava. Nonche non fosse servizievole e compiacente altrui; ma, aogni caso occorreva che ciò non le scomodasse tropponè la deviasse dalla sua linea. Di che l’arguta scrittricela proverbiava talvolta con molto spirito.

«Vengo ai noccioli. L’amica irrequieta aveva, s’inten-de, lasciato un albo alla contessa Lara, assillandola per-chè le ci scrivesse dei versi; e finalmente i versi furono

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buttati già in un momento di buon umore sull’albo, dalquale oggi li trafugo e trascrivo.

«Scommetterei che alla Benvenuti non andarono mol-to a genio e che nel leggerli torse un po’ la bocca; maringraziò quand même. Il nome dell’autrice era ormaiben noto.

«A me poi sembrano degni di un’antologia. Il primovispo sonettino in ottonari dice:

— Addio – disse – o Garisenda –la minor torre sorella;e partì. Di nobil tendasi munì e cinse gonnella.Non c’è caso che ora pendae che stia; va dritta e snella;ma prosegue la leggendaa chiamarla l’Asinella.Quella è là sempre a Bolognamuta immobile che sogna;questa invece, a più non possogira, fiuta, raglia, scova.Chi la cerca non la trova;a chi l’evita, va addosso.

«La seconda lirica è più fine. C’è del Catullo, c’è delChiabrera, e c’è dell’abate Piron. Sentite:

È la Corinnaun uccellino dalla lieve penna;cinguetta e trilla e nel trillar tentenna

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buttati già in un momento di buon umore sull’albo, dalquale oggi li trafugo e trascrivo.

«Scommetterei che alla Benvenuti non andarono mol-to a genio e che nel leggerli torse un po’ la bocca; maringraziò quand même. Il nome dell’autrice era ormaiben noto.

«A me poi sembrano degni di un’antologia. Il primovispo sonettino in ottonari dice:

— Addio – disse – o Garisenda –la minor torre sorella;e partì. Di nobil tendasi munì e cinse gonnella.Non c’è caso che ora pendae che stia; va dritta e snella;ma prosegue la leggendaa chiamarla l’Asinella.Quella è là sempre a Bolognamuta immobile che sogna;questa invece, a più non possogira, fiuta, raglia, scova.Chi la cerca non la trova;a chi l’evita, va addosso.

«La seconda lirica è più fine. C’è del Catullo, c’è delChiabrera, e c’è dell’abate Piron. Sentite:

È la Corinnaun uccellino dalla lieve penna;cinguetta e trilla e nel trillar tentenna

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Page 117: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

il capino in qua e in là quasi la ninna-nanna cantasse. Mai non chiede un grano,ma poi si seccaa stare invanosopra una stecca;e se non becca,fa una cilecca,sbatte le aline e vola via lontano.È la Corinnaun pesciolino dall’argentea pinna;sì astuta che non v’è rete nè pescanè pescator che a trarla a sè riesca.Intorno all’escagira e rigira,ma se a lungo qualcosa da mangiarenessun le tira,scodinzola un pochino e poi scompare».

Abbiamo riportate queste due poesie con le parole diMario Foresi, pur non essendo mai stati convinti che ap-partenessero alla Contessa Lara. Ella può essere ironica,non mai così pungente; e formalmente sono troppo per-fette, per appartenere al primo periodo lirico della poe-tessa, non solo, ma non si trova traccia, in tutta la suaopera, di quelle forme metriche. Espressi questi dubbi aMario Foresi, egli ha risposto così:

«La Corinna Benvenuti abitava in vicinanza dellaCattermole in Via del Porcellana, e mi assillava perchèle ottenessi dalla Lara alcuni versi da album. Non vollidar seccature. D’altronde la scrittrice in quel tempo la-

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il capino in qua e in là quasi la ninna-nanna cantasse. Mai non chiede un grano,ma poi si seccaa stare invanosopra una stecca;e se non becca,fa una cilecca,sbatte le aline e vola via lontano.È la Corinnaun pesciolino dall’argentea pinna;sì astuta che non v’è rete nè pescanè pescator che a trarla a sè riesca.Intorno all’escagira e rigira,ma se a lungo qualcosa da mangiarenessun le tira,scodinzola un pochino e poi scompare».

Abbiamo riportate queste due poesie con le parole diMario Foresi, pur non essendo mai stati convinti che ap-partenessero alla Contessa Lara. Ella può essere ironica,non mai così pungente; e formalmente sono troppo per-fette, per appartenere al primo periodo lirico della poe-tessa, non solo, ma non si trova traccia, in tutta la suaopera, di quelle forme metriche. Espressi questi dubbi aMario Foresi, egli ha risposto così:

«La Corinna Benvenuti abitava in vicinanza dellaCattermole in Via del Porcellana, e mi assillava perchèle ottenessi dalla Lara alcuni versi da album. Non vollidar seccature. D’altronde la scrittrice in quel tempo la-

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sciò Firenze per Roma. Così scrissi io quegli epigram-metti che firmai – per la Contessa Lara – la quale, con-fessandole io la cosa, ne rise, e volle copia dello scherzoche le trascrissi mentre ero a Roma».

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sciò Firenze per Roma. Così scrissi io quegli epigram-metti che firmai – per la Contessa Lara – la quale, con-fessandole io la cosa, ne rise, e volle copia dello scherzoche le trascrissi mentre ero a Roma».

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CAPITOLO QUARTO.

Angelo Sommaruga e la Farfalla. – Carducci e la Cronaca Bi-zantina. – Pietro Sbarbaro e le Forche Caudine. – Sommarugalancia la Contessa Lara col volume Versi. – Bambola di Norim-berga. – Alcuni poeti scrivono per la poetessa. – Una edizioneinedita di «Donna Clara» del D’Annunzio. – La Contessa Lara

all’isola d’Elba. – Scissura fra la poetessa e Mario Rapisardi.

Angelo Sommaruga, l’editore che doveva «lanciare»la Contessa Lara, fu l’arbitro delle fortune poetiched’allora, personaggio dominante di una cronaca lettera-ria fervida e bizzarra quanto altra mai. Nato a Milano dafamiglia di agiati negozianti che avevano il loro trafficodi legname in Via Cerva al numero 40, fin da ragazzomostrò invece passione grandissima per i libri. Studentedi scuola tecnica verso il 1873-1874 pubblicava un gior-naletto intitolato Miscellanea che era un vero castigo diDio per i professori; e le ire non erano del tutto ingiusti-ficate. Lo pubblicava insieme a Gaetano Moretti che la-sciò poi le velleità letterarie per l’architettura e ricostruìil campanile di Venezia. Il giornaletto si vendeva in unacartoleria di Via Bergamini e si stampava in quella tipo-grafia Gareffi a Porta Romana che stampava pure la ri-vista politica Il libero Pensiero, di Mauro Mauri, un pro-

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CAPITOLO QUARTO.

Angelo Sommaruga e la Farfalla. – Carducci e la Cronaca Bi-zantina. – Pietro Sbarbaro e le Forche Caudine. – Sommarugalancia la Contessa Lara col volume Versi. – Bambola di Norim-berga. – Alcuni poeti scrivono per la poetessa. – Una edizioneinedita di «Donna Clara» del D’Annunzio. – La Contessa Lara

all’isola d’Elba. – Scissura fra la poetessa e Mario Rapisardi.

Angelo Sommaruga, l’editore che doveva «lanciare»la Contessa Lara, fu l’arbitro delle fortune poetiched’allora, personaggio dominante di una cronaca lettera-ria fervida e bizzarra quanto altra mai. Nato a Milano dafamiglia di agiati negozianti che avevano il loro trafficodi legname in Via Cerva al numero 40, fin da ragazzomostrò invece passione grandissima per i libri. Studentedi scuola tecnica verso il 1873-1874 pubblicava un gior-naletto intitolato Miscellanea che era un vero castigo diDio per i professori; e le ire non erano del tutto ingiusti-ficate. Lo pubblicava insieme a Gaetano Moretti che la-sciò poi le velleità letterarie per l’architettura e ricostruìil campanile di Venezia. Il giornaletto si vendeva in unacartoleria di Via Bergamini e si stampava in quella tipo-grafia Gareffi a Porta Romana che stampava pure la ri-vista politica Il libero Pensiero, di Mauro Mauri, un pro-

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pugnatore, fra altre cose, dell’emancipazione della don-na, oggi dimenticato.

In seguito Angelo Sommaruga andò a Cagliari impie-gato nell’amministrazione di certe miniere. Ivi il 27 feb-braio 1876, dette il volo alla Farfalla, bimensile ad ottopagine, stampato nella tipografia del Corriere di Sarde-gna.

Dal suo profilo, pubblicato nella Farfalla riprendia-mo i tratti più salienti.

«È uno fra i piloti dell’yacht farfallino. Due antennesmisurate per gambe: per bocca un’ampia tromba assor-bente. È la piovra dell’alato sodalizio. Nato sul Navi-glio, sono a lui affidate le sorti del Coleottero Cagliari-tano. Ha la pletora del sentimento. Bisogna compatirlo:non ha ancora varcato il capo delle tempeste: ivent’anni. Ama l’arte, il moscato e la repubblica. Amaperdutamente le donne. E le donne lo esecrano perchènon arrivano alla sua maniera letteraria. Scrive rapido,nervoso, a sbalzi. È affetto da lineettite acuta. Una paro-la ed una lineetta: un inciso e due quadratoni: un perio-do e sette traits-d’union. Se i compositori lo vorrebberomorto, quando scrive troppo presto, le virgole gli fareb-bero volentieri da becchino: perchè egli le trascura, ilmalvagio. Ha denti visibilissimi, e non fa l’avvocato. Haidee grandiose e non è professore. La Farfalla è statauna divinazione ed il mago è stato Falena».

Falena altri non era che Sommaruga, il quale firmavatalvolta così i suoi articoli intitolati Succiate farfalline.Talvolta erano anche firmati Farfalla.

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pugnatore, fra altre cose, dell’emancipazione della don-na, oggi dimenticato.

In seguito Angelo Sommaruga andò a Cagliari impie-gato nell’amministrazione di certe miniere. Ivi il 27 feb-braio 1876, dette il volo alla Farfalla, bimensile ad ottopagine, stampato nella tipografia del Corriere di Sarde-gna.

Dal suo profilo, pubblicato nella Farfalla riprendia-mo i tratti più salienti.

«È uno fra i piloti dell’yacht farfallino. Due antennesmisurate per gambe: per bocca un’ampia tromba assor-bente. È la piovra dell’alato sodalizio. Nato sul Navi-glio, sono a lui affidate le sorti del Coleottero Cagliari-tano. Ha la pletora del sentimento. Bisogna compatirlo:non ha ancora varcato il capo delle tempeste: ivent’anni. Ama l’arte, il moscato e la repubblica. Amaperdutamente le donne. E le donne lo esecrano perchènon arrivano alla sua maniera letteraria. Scrive rapido,nervoso, a sbalzi. È affetto da lineettite acuta. Una paro-la ed una lineetta: un inciso e due quadratoni: un perio-do e sette traits-d’union. Se i compositori lo vorrebberomorto, quando scrive troppo presto, le virgole gli fareb-bero volentieri da becchino: perchè egli le trascura, ilmalvagio. Ha denti visibilissimi, e non fa l’avvocato. Haidee grandiose e non è professore. La Farfalla è statauna divinazione ed il mago è stato Falena».

Falena altri non era che Sommaruga, il quale firmavatalvolta così i suoi articoli intitolati Succiate farfalline.Talvolta erano anche firmati Farfalla.

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Il bambino Enrico Cattermole.121

Il bambino Enrico Cattermole.

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Clementina Lazzeri, madre di Esterina e Enrico Cattermole.

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Clementina Lazzeri, madre di Esterina e Enrico Cattermole.

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La Farfalla bimensile uscì per l’ultima volta a Ca-gliari il 9 settembre 1877, dopo di che si trasferì a Mila-no, dove comparve come settimanale il 30 settembredello stesso anno. Portava una bella testata di TranquilloCremona, amene caricature di Tommaso Bianco, e van-tava una collaborazione variatissima di Giarelli, FeliceCameroni, Cesario Testa, Cletto Arrighi, FerdinandoFontana, corrispondente parigino, Primo Levi, RagusaMoleti, Domenico Milelli e Paolo Valera, il «terribilePaolino» come era chiamato in redazione, l’autore diMilano Sconosciuta e degli Scamiciati. Fu un trionfo. Sene vendettero fino a 3000 copie, cifra enorme per queitempi. Il giornale era anche battagliero e Raffaello Bar-biera potè permettersi il lusso di attaccarvi TommasoSalvini.

Felice Cavallotti vi scrisse i suoi sfoghi poetici, a pro-posito dei quali Depretis disse:

— Come uomo politico è detestabile ma come poetanon c’è proprio da dirci niente!

Donde si vede che in fatto di letteratura Depretis eradi manica larga. Fra i più assidui alla Farfalla era il pit-tore Vespasiano Bignami, colto ed arguto, che si firmavaVespa. Ma se la Farfalla si vendeva, e recava al suo pa-drone molto denaro, questo dalle sue mani bucate scivo-lava colla stessa facilità con cui era arrivato, e ai primidel 1882 si fu nell’impossibilità di proseguire. AngeloSommaruga ritornò alle miniere della Sardegna, e laFarfalla, nell’aprile dello stesso anno riprese le pubbli-cazioni con altra direzione ed altri collaboratori.

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La Farfalla bimensile uscì per l’ultima volta a Ca-gliari il 9 settembre 1877, dopo di che si trasferì a Mila-no, dove comparve come settimanale il 30 settembredello stesso anno. Portava una bella testata di TranquilloCremona, amene caricature di Tommaso Bianco, e van-tava una collaborazione variatissima di Giarelli, FeliceCameroni, Cesario Testa, Cletto Arrighi, FerdinandoFontana, corrispondente parigino, Primo Levi, RagusaMoleti, Domenico Milelli e Paolo Valera, il «terribilePaolino» come era chiamato in redazione, l’autore diMilano Sconosciuta e degli Scamiciati. Fu un trionfo. Sene vendettero fino a 3000 copie, cifra enorme per queitempi. Il giornale era anche battagliero e Raffaello Bar-biera potè permettersi il lusso di attaccarvi TommasoSalvini.

Felice Cavallotti vi scrisse i suoi sfoghi poetici, a pro-posito dei quali Depretis disse:

— Come uomo politico è detestabile ma come poetanon c’è proprio da dirci niente!

Donde si vede che in fatto di letteratura Depretis eradi manica larga. Fra i più assidui alla Farfalla era il pit-tore Vespasiano Bignami, colto ed arguto, che si firmavaVespa. Ma se la Farfalla si vendeva, e recava al suo pa-drone molto denaro, questo dalle sue mani bucate scivo-lava colla stessa facilità con cui era arrivato, e ai primidel 1882 si fu nell’impossibilità di proseguire. AngeloSommaruga ritornò alle miniere della Sardegna, e laFarfalla, nell’aprile dello stesso anno riprese le pubbli-cazioni con altra direzione ed altri collaboratori.

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Page 124: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

*

Ma poteva restare inattivo in Sardegna Angelo Som-maruga? Impossibile! Ed ebbe una idea grandiosa:Roma. Andare a Roma, conquistare Roma. Che ne pen-sava Carducci? Sommaruga gli espose il suo program-ma di editore, di giornalista e Carducci gli rispose sì,che cominciasse, subito subito.

E, per cominciare, il novello editore chiese a Carduc-ci di pubblicare immediatamente la polemica fra lui eRocco De Zerbi a proposito di Tibullo, ma l’affare nonfu concluso perchè Carducci già s’era impegnato concasa Treves.

Ciò non pertanto la casa editrice Sommaruga riuscì apubblicare per primo libro Confessioni e battaglie e su-bito dopo Terra Vergine e Canto novo di d’Annunzio.

Carducci soleva dire che Sommaruga lo faceva lavo-rare a macchina. Il 27 agosto del 1887 (quando Angioli-no, come anche Carducci lo chiamava, era in America)gli scriveva da Courmayeur: «.... scrivo non molto,avendo molto da fare per la Istruzione e non avendo piùalle costole Lei».

Carducci, che per i più passava per acre, burbero,duro, era nell’intimità un fanciullone che rideva per nul-la. Le forti antipatie potevano renderlo inesorabile, maera pronto al riso con ingenua allegria. Per quindici sere,di seguito a Roma, in casa Sommaruga, continuò a di-

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Ma poteva restare inattivo in Sardegna Angelo Som-maruga? Impossibile! Ed ebbe una idea grandiosa:Roma. Andare a Roma, conquistare Roma. Che ne pen-sava Carducci? Sommaruga gli espose il suo program-ma di editore, di giornalista e Carducci gli rispose sì,che cominciasse, subito subito.

E, per cominciare, il novello editore chiese a Carduc-ci di pubblicare immediatamente la polemica fra lui eRocco De Zerbi a proposito di Tibullo, ma l’affare nonfu concluso perchè Carducci già s’era impegnato concasa Treves.

Ciò non pertanto la casa editrice Sommaruga riuscì apubblicare per primo libro Confessioni e battaglie e su-bito dopo Terra Vergine e Canto novo di d’Annunzio.

Carducci soleva dire che Sommaruga lo faceva lavo-rare a macchina. Il 27 agosto del 1887 (quando Angioli-no, come anche Carducci lo chiamava, era in America)gli scriveva da Courmayeur: «.... scrivo non molto,avendo molto da fare per la Istruzione e non avendo piùalle costole Lei».

Carducci, che per i più passava per acre, burbero,duro, era nell’intimità un fanciullone che rideva per nul-la. Le forti antipatie potevano renderlo inesorabile, maera pronto al riso con ingenua allegria. Per quindici sere,di seguito a Roma, in casa Sommaruga, continuò a di-

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vertirsi un mondo, giocando «all’oca» con Anton GiulioBarrili, felice, quando poteva gridare:

— Barrili nel pozzo!Nei quattro anni che durò, la Cronaca Bizantina, sot-

to la direzione di Sommaruga, fu un campo aperto allepiù vivaci polemiche, non ultima quella famosa fraScarfoglio e Cavallotti.

Uscito il Ça ira, Sommaruga temeva che nessunoosasse criticare Carducci; e siccome, da intelligente edi-tore, sapeva che anche la critica ostile giovava alla dif-fusione degli autori, sulla copertina della Cronaca Bi-zantina faceva riportare tutti i giudizi, buoni o cattiviche fossero; andò dal Bonghi, che come moderato nonpoteva certo amare il Carducci di quel tempo e gli disse:

— Mi faccia lei l’articolo per la Domenica Letterariasul Ça ira.

Il Bonghi rimase sbalordito.— A me, lei lo chiede? A me, lei? L’editore? Ma sa

che io non potrei che dirne male?— Gli è appunto per questo che sono venuto da lei.E nella Domenica Letteraria l’articolo di Bonghi

comparve come certo Sommaruga lo aveva desiderato.Carducci bollì, ma era incerto se replicare. Ne valeva lapena?

Sicuro che valeva la pena. E ci pensò Angiolino che,messe accanto a carta e a calamaio due bottiglie di vec-chio Barolo e una certa quantità di biscotti, chiuse achiave in una stanza il Carducci, senza di che probabil-mente la polemica con Bonghi non sarebbe stata scritta,

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vertirsi un mondo, giocando «all’oca» con Anton GiulioBarrili, felice, quando poteva gridare:

— Barrili nel pozzo!Nei quattro anni che durò, la Cronaca Bizantina, sot-

to la direzione di Sommaruga, fu un campo aperto allepiù vivaci polemiche, non ultima quella famosa fraScarfoglio e Cavallotti.

Uscito il Ça ira, Sommaruga temeva che nessunoosasse criticare Carducci; e siccome, da intelligente edi-tore, sapeva che anche la critica ostile giovava alla dif-fusione degli autori, sulla copertina della Cronaca Bi-zantina faceva riportare tutti i giudizi, buoni o cattiviche fossero; andò dal Bonghi, che come moderato nonpoteva certo amare il Carducci di quel tempo e gli disse:

— Mi faccia lei l’articolo per la Domenica Letterariasul Ça ira.

Il Bonghi rimase sbalordito.— A me, lei lo chiede? A me, lei? L’editore? Ma sa

che io non potrei che dirne male?— Gli è appunto per questo che sono venuto da lei.E nella Domenica Letteraria l’articolo di Bonghi

comparve come certo Sommaruga lo aveva desiderato.Carducci bollì, ma era incerto se replicare. Ne valeva lapena?

Sicuro che valeva la pena. E ci pensò Angiolino che,messe accanto a carta e a calamaio due bottiglie di vec-chio Barolo e una certa quantità di biscotti, chiuse achiave in una stanza il Carducci, senza di che probabil-mente la polemica con Bonghi non sarebbe stata scritta,

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come non furono mai scritte quattro novelle a cui Car-ducci pensò, di cui comunicò perfino i temi al suo ami-co, senza che poi mai si decidesse a metterle al mondo.

Tanta parte della vita del Carducci è legata a quelladel Sommaruga. Questi, che ora vive a Parigi ma di tan-to in tanto viene a Milano, vi può raccontare come ilCarducci rifacesse una prima volta a Bologna, mentrelui, Sommaruga e Luigi Lodi lo aspettavano girando sue giù sotto i portici, quasi tutte le Ragioni metriche ecome avvenisse che per un errore di stampa il sesto so-netto, ultima terzina, subisse un mutamento casuale poirimato. Dove era nel manoscritto:

Marat vede ne l’aria oscura tormeD’uomini coi pugnali erti passando,E piove sangue donde son passati. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

venne invece fuori nella stampa:

Marat vede nell’aria oscure torme, ecc. ecc.

A Carducci lo sbaglio piacque e lo lasciò così.

*

Il braccio destro di Sommaruga era Cesario Testa, let-terato di valore e gran latinista, grande amico di Carduc-

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come non furono mai scritte quattro novelle a cui Car-ducci pensò, di cui comunicò perfino i temi al suo ami-co, senza che poi mai si decidesse a metterle al mondo.

Tanta parte della vita del Carducci è legata a quelladel Sommaruga. Questi, che ora vive a Parigi ma di tan-to in tanto viene a Milano, vi può raccontare come ilCarducci rifacesse una prima volta a Bologna, mentrelui, Sommaruga e Luigi Lodi lo aspettavano girando sue giù sotto i portici, quasi tutte le Ragioni metriche ecome avvenisse che per un errore di stampa il sesto so-netto, ultima terzina, subisse un mutamento casuale poirimato. Dove era nel manoscritto:

Marat vede ne l’aria oscura tormeD’uomini coi pugnali erti passando,E piove sangue donde son passati. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

venne invece fuori nella stampa:

Marat vede nell’aria oscure torme, ecc. ecc.

A Carducci lo sbaglio piacque e lo lasciò così.

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Il braccio destro di Sommaruga era Cesario Testa, let-terato di valore e gran latinista, grande amico di Carduc-

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ci e di Pascoli. Fu lui che trovò il titolo alla Cronaca Bi-zantina. Contemporanei approssimativamente a questa ead altre pubblicazioni minori, uscivano il Nabab e leForche Caudine, sempre di Sommaruga che stampava igiornali nelle tipografie Centenari e Perino, e i libri ingran parte presso il Landi di Firenze. Il Landi era un ar-tista nel suo genere, dirigeva la rivista L’Arte dellaStampa, dove era lui a dare il la ad ogni movimento dinovità e di ricerca: fu il relatore per la stampa all’Espo-sizione di Torino nel 1884 e pubblicò Il manuale del ti-pografo.

Il Nabab era diretto da Enrico Panzacchi e vi scrive-vano Giustino Ferri, G. A. Cesareo allora giovanissimo,Arturo Colautti, Alfredo Oriani, Carlo Del Balzo, laContessa Lara e molti altri. Segretario di redazione eraTullo Fornioni.

Le Forche Caudine erano compilate da Pietro Sbarba-ro, uomo d’ingegno e di larga cultura, un vero tipo di ri-belle esaltato, professore di filosofia all’università pave-se. Il Ministero della Pubblica Istruzione, retto allora daGuido Baccelli, aveva deciso di pubblicare una prolu-sione dello Sbarbaro ed era stata preventivata una certasomma per questo scopo. Ma la prolusione fu dall’auto-re talmente allungata che la spesa sarebbe stata per lomeno il triplo, alla qual cosa Guido Baccelli credè dinon poter aderire. Apriti cielo. Sbarbaro scrisse una pe-tizione al Sottosegretario all’Istruzione con epiteti e fra-si che restarono celebri. Dopo di che fu destituito. Som-maruga comprese che il professore perseguitato e ira-

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ci e di Pascoli. Fu lui che trovò il titolo alla Cronaca Bi-zantina. Contemporanei approssimativamente a questa ead altre pubblicazioni minori, uscivano il Nabab e leForche Caudine, sempre di Sommaruga che stampava igiornali nelle tipografie Centenari e Perino, e i libri ingran parte presso il Landi di Firenze. Il Landi era un ar-tista nel suo genere, dirigeva la rivista L’Arte dellaStampa, dove era lui a dare il la ad ogni movimento dinovità e di ricerca: fu il relatore per la stampa all’Espo-sizione di Torino nel 1884 e pubblicò Il manuale del ti-pografo.

Il Nabab era diretto da Enrico Panzacchi e vi scrive-vano Giustino Ferri, G. A. Cesareo allora giovanissimo,Arturo Colautti, Alfredo Oriani, Carlo Del Balzo, laContessa Lara e molti altri. Segretario di redazione eraTullo Fornioni.

Le Forche Caudine erano compilate da Pietro Sbarba-ro, uomo d’ingegno e di larga cultura, un vero tipo di ri-belle esaltato, professore di filosofia all’università pave-se. Il Ministero della Pubblica Istruzione, retto allora daGuido Baccelli, aveva deciso di pubblicare una prolu-sione dello Sbarbaro ed era stata preventivata una certasomma per questo scopo. Ma la prolusione fu dall’auto-re talmente allungata che la spesa sarebbe stata per lomeno il triplo, alla qual cosa Guido Baccelli credè dinon poter aderire. Apriti cielo. Sbarbaro scrisse una pe-tizione al Sottosegretario all’Istruzione con epiteti e fra-si che restarono celebri. Dopo di che fu destituito. Som-maruga comprese che il professore perseguitato e ira-

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Page 128: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

condo era l’uomo che ci voleva per lui e gli fondò leForche Caudine, bisettimanale che ebbe una tiratura diquarantamila copie; e Baccelli, Pierantoni, Mancini,Minghetti, tutti gli uomini politici del tempo e anche al-cune loro donne, vi furono attaccati con calunnie vera-mente nefande; Sbarbaro ce l’aveva a morte coi ministridel re. E i processi di diffamazione piovvero, e i seque-stri furono infiniti; una volta si giunse ad averne cinquein un sol giorno, finchè lo Sbarbaro fu arrestato. Som-maruga più per solidarietà con Sbarbaro che per altromotivo continuò le Forche Caudine dirigendole egli me-desimo, finchè dopo un mese egli stesso fu arrestato erimase in carcere sei mesi. Di tutti gli amici, della genteda lui beneficata, sostenuta, messa avanti letterariamen-te, gli rimasero fedeli Barrili che gli scriveva da Geno-va, Carducci, Cesareo e la Contessa Lara che andaronoa visitarlo in carcere.

Dopo il carcere, e prima del processo in appello,Sommaruga riparò all’estero, e passando per Bolognaalle tre di notte trovò il Carducci che l’aspettava alla sta-zione per dargli il saluto di un cuore fedele.

Nel 1910 Eduardo Scarfoglio, nella prefazione peruna nuova edizione al libro di Don Chisciotte, così parladel periodo sommarughiano:

«Esso fu il prodotto necessario dell’incontro, o, semeglio vi piace, dello scontro di due elementi radical-mente opposti e apparentemente inconciliabili: la cultu-ra della scuola e della biblioteca, e il bluff. Un quarto disecolo prima ch’essa diventasse Europea la legge comu-

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condo era l’uomo che ci voleva per lui e gli fondò leForche Caudine, bisettimanale che ebbe una tiratura diquarantamila copie; e Baccelli, Pierantoni, Mancini,Minghetti, tutti gli uomini politici del tempo e anche al-cune loro donne, vi furono attaccati con calunnie vera-mente nefande; Sbarbaro ce l’aveva a morte coi ministridel re. E i processi di diffamazione piovvero, e i seque-stri furono infiniti; una volta si giunse ad averne cinquein un sol giorno, finchè lo Sbarbaro fu arrestato. Som-maruga più per solidarietà con Sbarbaro che per altromotivo continuò le Forche Caudine dirigendole egli me-desimo, finchè dopo un mese egli stesso fu arrestato erimase in carcere sei mesi. Di tutti gli amici, della genteda lui beneficata, sostenuta, messa avanti letterariamen-te, gli rimasero fedeli Barrili che gli scriveva da Geno-va, Carducci, Cesareo e la Contessa Lara che andaronoa visitarlo in carcere.

Dopo il carcere, e prima del processo in appello,Sommaruga riparò all’estero, e passando per Bolognaalle tre di notte trovò il Carducci che l’aspettava alla sta-zione per dargli il saluto di un cuore fedele.

Nel 1910 Eduardo Scarfoglio, nella prefazione peruna nuova edizione al libro di Don Chisciotte, così parladel periodo sommarughiano:

«Esso fu il prodotto necessario dell’incontro, o, semeglio vi piace, dello scontro di due elementi radical-mente opposti e apparentemente inconciliabili: la cultu-ra della scuola e della biblioteca, e il bluff. Un quarto disecolo prima ch’essa diventasse Europea la legge comu-

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Page 129: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

ne del commercio e la ragione prima del successo, An-gelo Sommaruga, che non ancora conosceva l’America,ebbe la divinazione della réclame impudente e insolen-te, che turba e quasi spaventa il pubblico, che tiene ilsuo sistema nervoso in uno stato di eccitazione perenne,che lo suggestiona e s’impone alla sua volontà. Per An-gelo Sommaruga l’editore non era l’impresario d’unascuola letteraria, ma il produttore d’una merce, il cuicòmpito si riduce a spacciarne la maggior quantità pos-sibile. Ecco tutta la psicologia sommarughiana, psicolo-gia che ha ora invaso tutto il campo della libreria e delgiornalismo, ma che venticinque anni fa pareva cosaesecrabile e quasi criminale. Se egli avesse trovato inistato di sciopero la piccola letteratura mercantile deri-vata dalla putrefazione del romanticismo, avrebbe pro-babilmente fatto una grossa fortuna e sarebbe commen-datore e Senatore del Regno, ma essa era accaparratadagli editori del Nord, e il nuovo venuto dovette orientarla sua barca verso la terra meno adatta ad essere fecon-data dal suo genio americano».

*

La Lina mandò il manoscritto dei Versi al Sommaru-ga, firmandolo Contessa Lara. L’editore capì subito ilvalore della poetessa, di cui gli piacque anche lo pseu-donimo, e la giudicò senza chieder consigli ad altri

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ne del commercio e la ragione prima del successo, An-gelo Sommaruga, che non ancora conosceva l’America,ebbe la divinazione della réclame impudente e insolen-te, che turba e quasi spaventa il pubblico, che tiene ilsuo sistema nervoso in uno stato di eccitazione perenne,che lo suggestiona e s’impone alla sua volontà. Per An-gelo Sommaruga l’editore non era l’impresario d’unascuola letteraria, ma il produttore d’una merce, il cuicòmpito si riduce a spacciarne la maggior quantità pos-sibile. Ecco tutta la psicologia sommarughiana, psicolo-gia che ha ora invaso tutto il campo della libreria e delgiornalismo, ma che venticinque anni fa pareva cosaesecrabile e quasi criminale. Se egli avesse trovato inistato di sciopero la piccola letteratura mercantile deri-vata dalla putrefazione del romanticismo, avrebbe pro-babilmente fatto una grossa fortuna e sarebbe commen-datore e Senatore del Regno, ma essa era accaparratadagli editori del Nord, e il nuovo venuto dovette orientarla sua barca verso la terra meno adatta ad essere fecon-data dal suo genio americano».

*

La Lina mandò il manoscritto dei Versi al Sommaru-ga, firmandolo Contessa Lara. L’editore capì subito ilvalore della poetessa, di cui gli piacque anche lo pseu-donimo, e la giudicò senza chieder consigli ad altri

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Page 130: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

come faceva per ogni manoscritto che gli pervenisse. Leoffrì il venticinque per cento sul prezzo di copertina. Sirecò a Firenze dalla Lina, in via del Porcellana, per lafirma del contratto. Essendosi annunziato il Sommaru-ga, la Contessa Lara disdisse una visita che Mario Rapi-sardi le aveva promessa per lo stesso giorno; donde col-lera del poeta e broncio alla bella amica, con cui dovetteessere proprio la signora Rapisardi a rappacificarlo. LaContessa Lara si recò poi a Roma e combinò, nell’attesache il volume uscisse, altre pubblicazioni nei periodicisommarughiani. Non scrisse però mai nella Cronaca Bi-zantina, ma spesso nel Nabab.

Una volta lasciando Roma scrive a Sommaruga:

«Lunedì sera.

«Caro Sommaruga,

«Il telegramma che io aspettavo da Napoli sospendela mia gita laggiù. Torno dunque invece a Firenze dovespero vedervi a giorni. Avvisatemi un giorno avanti delvostro arrivo. Dopo domani avrete i versi da illustrarlicome abbiamo combinato. Vi ricordo intanto tutte le vo-stre promesse d’oggi. Vedremo se avrete altrettanta me-moria quanta avete cortesia. Vi sono gratissima dellapreziosa conoscenza che mi avete fatto fare quest’oggidella Matilde Serao, alla quale scrivo una parola primadi mettermi in treno. Stornellando alla toscana direi dilei:

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come faceva per ogni manoscritto che gli pervenisse. Leoffrì il venticinque per cento sul prezzo di copertina. Sirecò a Firenze dalla Lina, in via del Porcellana, per lafirma del contratto. Essendosi annunziato il Sommaru-ga, la Contessa Lara disdisse una visita che Mario Rapi-sardi le aveva promessa per lo stesso giorno; donde col-lera del poeta e broncio alla bella amica, con cui dovetteessere proprio la signora Rapisardi a rappacificarlo. LaContessa Lara si recò poi a Roma e combinò, nell’attesache il volume uscisse, altre pubblicazioni nei periodicisommarughiani. Non scrisse però mai nella Cronaca Bi-zantina, ma spesso nel Nabab.

Una volta lasciando Roma scrive a Sommaruga:

«Lunedì sera.

«Caro Sommaruga,

«Il telegramma che io aspettavo da Napoli sospendela mia gita laggiù. Torno dunque invece a Firenze dovespero vedervi a giorni. Avvisatemi un giorno avanti delvostro arrivo. Dopo domani avrete i versi da illustrarlicome abbiamo combinato. Vi ricordo intanto tutte le vo-stre promesse d’oggi. Vedremo se avrete altrettanta me-moria quanta avete cortesia. Vi sono gratissima dellapreziosa conoscenza che mi avete fatto fare quest’oggidella Matilde Serao, alla quale scrivo una parola primadi mettermi in treno. Stornellando alla toscana direi dilei:

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Page 131: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

Tre cose non si possono scordareL’ingegno, gli occhi e le manine rare.

«A proposito di mani, stringo la vostra e vi dico ad-dio.

CONTESSA LARA».

Quando il volume Versi esce nella graziosa, eleganteedizione di Sommaruga, il successo è clamoroso di criti-ca e di vendita. Alcuni, fra cui il critico del Corrieredella Sera, sospettano che quello pseudonimo byronianosia una nuova trovata di Lorenzo Stecchetti. Questo er-rore dà modo al poeta di scrivere una lettera aperta aFerdinando Martini, direttore de La Domenica letteraria(11 febbraio 1883) dove fa sfoggio del suo solito spirito,non sempre di buon gusto.

La Contessa Lara ha la sua celebrità e l’editore laesorta a polemizzare coi critici perchè si faccia semprepiù chiasso intorno al volume. Ma la poetessa non nevuol sapere e gli risponde con fierezza così:

«7 febbraio ’83.

«Gentilissimo Sommaruga,

«Ho riso del marron fatto dal Corriere della Sera.Mandatemi, ve ne prego, quel numero in cui esso attri-buisce a Stecchetti la paternità del mio volume. Si dicapure sul conto mio e de’ miei versi ciò che si vuole; ionon risponderò. Non intendo di far questo onore a tanti

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Tre cose non si possono scordareL’ingegno, gli occhi e le manine rare.

«A proposito di mani, stringo la vostra e vi dico ad-dio.

CONTESSA LARA».

Quando il volume Versi esce nella graziosa, eleganteedizione di Sommaruga, il successo è clamoroso di criti-ca e di vendita. Alcuni, fra cui il critico del Corrieredella Sera, sospettano che quello pseudonimo byronianosia una nuova trovata di Lorenzo Stecchetti. Questo er-rore dà modo al poeta di scrivere una lettera aperta aFerdinando Martini, direttore de La Domenica letteraria(11 febbraio 1883) dove fa sfoggio del suo solito spirito,non sempre di buon gusto.

La Contessa Lara ha la sua celebrità e l’editore laesorta a polemizzare coi critici perchè si faccia semprepiù chiasso intorno al volume. Ma la poetessa non nevuol sapere e gli risponde con fierezza così:

«7 febbraio ’83.

«Gentilissimo Sommaruga,

«Ho riso del marron fatto dal Corriere della Sera.Mandatemi, ve ne prego, quel numero in cui esso attri-buisce a Stecchetti la paternità del mio volume. Si dicapure sul conto mio e de’ miei versi ciò che si vuole; ionon risponderò. Non intendo di far questo onore a tanti

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Page 132: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

che non hanno quello di conoscermi. Vi ricordate quan-to vi dissi appunto su questo argomento il giorno che Vivendei il manoscritto? La risposta a’ miei critici stanell’ultimo sonetto che chiude il libro. Se poi, per esem-pio, a una bestia suina qualunque (lasciamo stare il po-vero somaro che raglia omelie) saltasse in testa di affer-mare che io faccio de’ versi troppo lunghi, padrone, mapenserò che deve averli tirati credendoli elastici come lasua coscienza – volevo dire come la sua cotenna. Se poiuna casta donnetta mi cantasse che la mia posizione èstrana, è anormale, padronissima; penserò che è meglio,assai meglio non aver seco un marito che aver quellod’un’altra.

«Ma rispondere con una polemica giammai. M’ètroppo sacro il mio decoro. Non me ne parlate dunquepiù – e Dio ve ne renda merito.

«Al Fortis ho spedito oggi direttamente quattro de’miei nuovi sonetti – e ciò soltanto perchè non si perdes-se tanto tempo a farli viaggiare tutta l’Italia. E il mio ri-tratto fatto da Mario Rapisardi quando si pubblicheràcostì? Se non è subito, rimandatemelo perchè ho ungiornale che fa fuoco e fiamma per averlo.

«Spero che, come avete riprodotto l’articolo del Mar-tire che martirizza i miei versi con quella prosa scellera-ta, riprodurrete pure quanto ne scrissero l’Illustrazione,il Bellini di Catania, la Gazzetta Italiana (Stiavelli) e ilPungolo della Domenica. Lo spero per me, ed anche unpo’ per Voi perchè è interesse nostro comune che il libro

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che non hanno quello di conoscermi. Vi ricordate quan-to vi dissi appunto su questo argomento il giorno che Vivendei il manoscritto? La risposta a’ miei critici stanell’ultimo sonetto che chiude il libro. Se poi, per esem-pio, a una bestia suina qualunque (lasciamo stare il po-vero somaro che raglia omelie) saltasse in testa di affer-mare che io faccio de’ versi troppo lunghi, padrone, mapenserò che deve averli tirati credendoli elastici come lasua coscienza – volevo dire come la sua cotenna. Se poiuna casta donnetta mi cantasse che la mia posizione èstrana, è anormale, padronissima; penserò che è meglio,assai meglio non aver seco un marito che aver quellod’un’altra.

«Ma rispondere con una polemica giammai. M’ètroppo sacro il mio decoro. Non me ne parlate dunquepiù – e Dio ve ne renda merito.

«Al Fortis ho spedito oggi direttamente quattro de’miei nuovi sonetti – e ciò soltanto perchè non si perdes-se tanto tempo a farli viaggiare tutta l’Italia. E il mio ri-tratto fatto da Mario Rapisardi quando si pubblicheràcostì? Se non è subito, rimandatemelo perchè ho ungiornale che fa fuoco e fiamma per averlo.

«Spero che, come avete riprodotto l’articolo del Mar-tire che martirizza i miei versi con quella prosa scellera-ta, riprodurrete pure quanto ne scrissero l’Illustrazione,il Bellini di Catania, la Gazzetta Italiana (Stiavelli) e ilPungolo della Domenica. Lo spero per me, ed anche unpo’ per Voi perchè è interesse nostro comune che il libro

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vada. A proposito il pacco postale non mi è giunto – mave ne ringrazio anticipatamente.

«Vi stringo la mano e v’auguro fortuna,CONTESSA LARA».

Ed ecco la risposta anticipata ai critici cui accenna laContessa Lara nella lettera precedente.

I MIEI VERSI

Peggio che al vento, se n’andran dispersiLà giù tra ’l fango de’ l’oscura via,Risa, baci, sospir fatti armonia,Fatti profumo in questi fogli tersi.

Qualche somaro che il sentier traversiLi calcherà ragliando un’omelia;E Tizio ghignerà: La poesiaSta ne’ fogli di banca, e non ne’ versi.

La casta dama che fin dietro i lettiBianchi de’ bimbi i frolli amanti cela,Scandalizzar faranno i miei sonetti.

Io sempre, ricca d’alti sensi il core,Avrò ne ’l canto che il pensier rivelaCulto la verità, nume l’amore.

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vada. A proposito il pacco postale non mi è giunto – mave ne ringrazio anticipatamente.

«Vi stringo la mano e v’auguro fortuna,CONTESSA LARA».

Ed ecco la risposta anticipata ai critici cui accenna laContessa Lara nella lettera precedente.

I MIEI VERSI

Peggio che al vento, se n’andran dispersiLà giù tra ’l fango de’ l’oscura via,Risa, baci, sospir fatti armonia,Fatti profumo in questi fogli tersi.

Qualche somaro che il sentier traversiLi calcherà ragliando un’omelia;E Tizio ghignerà: La poesiaSta ne’ fogli di banca, e non ne’ versi.

La casta dama che fin dietro i lettiBianchi de’ bimbi i frolli amanti cela,Scandalizzar faranno i miei sonetti.

Io sempre, ricca d’alti sensi il core,Avrò ne ’l canto che il pensier rivelaCulto la verità, nume l’amore.

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I sonetti spediti al Fortis a cui la Contessa Lara accen-na nella lettera erano per il Pungolo della Domenica cheegli dirigeva a Milano.

Ecco un foglietto scritto su tutte e due le pagine e consovrapposta la scrittura in tutti e due i sensi. È diretto alSommaruga.

«Ho letto l’articolo della Serao sul Fracassa e misento così poco bambola di Norimberga che ho riso dicuore. Quell’articolo è pieno di contradizioni, di mali-gnità tutte femminili delle quali non avrei creduta capa-ce la Serao che ha dello spirito. Quanta differenza dalmodo in cui io l’ho giudicata e da quello in cui essa giu-dica me! Pazienza. A proposito del nostro volume, ilLandi non me ne ha mandate che 28 copie delle quali 9su carta distinta, mentre voi me ne avete promesso 50.Avvertitelo d’esser più esatto, ve ne prego. Rapisardi midice che ne mandiate un paio di dozzine al libraio Gian-notta a Catania dove sono ricercatissime.

«Chi è l’altiero fanciul che passa? E di qual sonettoparlate? Nel mio sonetto Capodanno (di cui non mi fateparola) non vi sono altieri fanciulli. Aspetto la lunga let-tera in segno di pace.

LINA».

«P.S. Ricevo in questo momento il vostro telegrammaa cui rispondo col dirvi che ho spedito a Roma una lette-ra dove vi ringraziavo il 14 corrente – giorno in cui sonotornata a Firenze dopo un’assenza di molti giorni. Mi

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I sonetti spediti al Fortis a cui la Contessa Lara accen-na nella lettera erano per il Pungolo della Domenica cheegli dirigeva a Milano.

Ecco un foglietto scritto su tutte e due le pagine e consovrapposta la scrittura in tutti e due i sensi. È diretto alSommaruga.

«Ho letto l’articolo della Serao sul Fracassa e misento così poco bambola di Norimberga che ho riso dicuore. Quell’articolo è pieno di contradizioni, di mali-gnità tutte femminili delle quali non avrei creduta capa-ce la Serao che ha dello spirito. Quanta differenza dalmodo in cui io l’ho giudicata e da quello in cui essa giu-dica me! Pazienza. A proposito del nostro volume, ilLandi non me ne ha mandate che 28 copie delle quali 9su carta distinta, mentre voi me ne avete promesso 50.Avvertitelo d’esser più esatto, ve ne prego. Rapisardi midice che ne mandiate un paio di dozzine al libraio Gian-notta a Catania dove sono ricercatissime.

«Chi è l’altiero fanciul che passa? E di qual sonettoparlate? Nel mio sonetto Capodanno (di cui non mi fateparola) non vi sono altieri fanciulli. Aspetto la lunga let-tera in segno di pace.

LINA».

«P.S. Ricevo in questo momento il vostro telegrammaa cui rispondo col dirvi che ho spedito a Roma una lette-ra dove vi ringraziavo il 14 corrente – giorno in cui sonotornata a Firenze dopo un’assenza di molti giorni. Mi

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Page 135: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

meraviglio che non abbiate avuto quella mia lettera e midispiace immensamente d’aver fatto contro mia vogliacattiva figura con voi. Perdonatemi.

«Gentilissimo Sommaruga,

«Eccovi i martelliani di Rapisardi da pubblicare sullaDomenica letteraria a condizione però che io stessa necorregga le bozze. Ricordatevi che la suddetta condizio-ne è sine qua non. Aspetto dunque e intanto vi stringo lamano.

CONTESSA LARA.»

I martelliani di Rapisardi di cui la Contessa Lara do-veva correggere le bozze s’intitolano Ritratto. Il ritrattoè naturalmente della poetessa e termina dicendo:

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Io quando ascolto i suoi versi, o nobil signora,Sento sì, ch’è una maga, ma ch’è una donna ancora;Sento ch’ella ama, piange, ricorda, oblia, perdona;Ch’è capace di tutto, perfin d’essere buona.

*

Altri poeti cantarono per questa nuova poetessa inversi più o meno originali. Già fino dal 1876 FerdinandoFontana, aveva scritto A una donna intelligente, poesia

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meraviglio che non abbiate avuto quella mia lettera e midispiace immensamente d’aver fatto contro mia vogliacattiva figura con voi. Perdonatemi.

«Gentilissimo Sommaruga,

«Eccovi i martelliani di Rapisardi da pubblicare sullaDomenica letteraria a condizione però che io stessa necorregga le bozze. Ricordatevi che la suddetta condizio-ne è sine qua non. Aspetto dunque e intanto vi stringo lamano.

CONTESSA LARA.»

I martelliani di Rapisardi di cui la Contessa Lara do-veva correggere le bozze s’intitolano Ritratto. Il ritrattoè naturalmente della poetessa e termina dicendo:

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Io quando ascolto i suoi versi, o nobil signora,Sento sì, ch’è una maga, ma ch’è una donna ancora;Sento ch’ella ama, piange, ricorda, oblia, perdona;Ch’è capace di tutto, perfin d’essere buona.

*

Altri poeti cantarono per questa nuova poetessa inversi più o meno originali. Già fino dal 1876 FerdinandoFontana, aveva scritto A una donna intelligente, poesia

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che ha delle frasi come il puro caolino e l’amoroso bat-tito che fanno veramente sorridere, ma che ha una certasemplice ingenuità che non dispiace, per esempio nellestrofe:

Strano connubio, donna e intelligenza!I sogni che s’incarnanoNella gentil parvenza!Strano connubio! Intelligenza e donna!Lucifero che cela il ghigno orrendoSotto un pallido volto di Madonna!Una bionda e leggiadra testolina,Un gingillo da por sovra un guanciale,Che scruta ed indovinaIl cupo abisso del Bene e del Male?Strano connubio!... Donna e intelligenza!.... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Quand’io lessi i tuoi versi,

prosegue:

Ho pensato alla gioiaImmensa e alla sventuraDi chi può amarti, o bella creatura!Io vorrei che alla mia donna adorataMormorasse un mortal detti d’amore,Perch’io potessi trafiggergli il cuoreO morir di sua mano;Ma, ginocchioni, il ciel supplichereiChe tenesse lontanoDal suo capo gentile

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che ha delle frasi come il puro caolino e l’amoroso bat-tito che fanno veramente sorridere, ma che ha una certasemplice ingenuità che non dispiace, per esempio nellestrofe:

Strano connubio, donna e intelligenza!I sogni che s’incarnanoNella gentil parvenza!Strano connubio! Intelligenza e donna!Lucifero che cela il ghigno orrendoSotto un pallido volto di Madonna!Una bionda e leggiadra testolina,Un gingillo da por sovra un guanciale,Che scruta ed indovinaIl cupo abisso del Bene e del Male?Strano connubio!... Donna e intelligenza!.... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Quand’io lessi i tuoi versi,

prosegue:

Ho pensato alla gioiaImmensa e alla sventuraDi chi può amarti, o bella creatura!Io vorrei che alla mia donna adorataMormorasse un mortal detti d’amore,Perch’io potessi trafiggergli il cuoreO morir di sua mano;Ma, ginocchioni, il ciel supplichereiChe tenesse lontanoDal suo capo gentile

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Il più spietato dei rivali miei,Il Pensier, che sollevaIl tristo tentatoreChe un dì fe’ perder EvaE poi distrusse ogni sogno d’amore.E s’io t’amassi, ti verrei dinanziColle lacrime agli occhi e il viso bianco,E, come un pellegrin d’affanni stanco,Singhiozzando ai tuoi pie’ mi gettereiE, baciandoli, o donna, io ti direi:Di non udir quaggiù che la mia voce,E d’esser sorda alle melòdi arcaneChe vibrano nel tuo capo adorato;Perch’io temo, che il sol della dimaneTi risvegli più fredda all’amor mio;Perch’io temo che i baci del pensiero(Funestissimo Iddio)Ti tolgano per sempre ai baci miei!Questo, o donna, piangendo, io ti direi.E se tu volgerai, dolcezza mia,Quasi ammalata, le pupille al cieloOv’abita il tuo Nume, io, soffocandoNel profondo del cor la gelosia,Afferrerò la balza del tuo veloPer tenerti qui in terra.... o per morire,Se a quella reggia d’oroPoeta e donna, tu vorrai salire.24

Agosto 1876.

24 FERDINANDO FONTANA, Poesie e novelle in versi, Milano, Galli eOmodei.

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Il più spietato dei rivali miei,Il Pensier, che sollevaIl tristo tentatoreChe un dì fe’ perder EvaE poi distrusse ogni sogno d’amore.E s’io t’amassi, ti verrei dinanziColle lacrime agli occhi e il viso bianco,E, come un pellegrin d’affanni stanco,Singhiozzando ai tuoi pie’ mi gettereiE, baciandoli, o donna, io ti direi:Di non udir quaggiù che la mia voce,E d’esser sorda alle melòdi arcaneChe vibrano nel tuo capo adorato;Perch’io temo, che il sol della dimaneTi risvegli più fredda all’amor mio;Perch’io temo che i baci del pensiero(Funestissimo Iddio)Ti tolgano per sempre ai baci miei!Questo, o donna, piangendo, io ti direi.E se tu volgerai, dolcezza mia,Quasi ammalata, le pupille al cieloOv’abita il tuo Nume, io, soffocandoNel profondo del cor la gelosia,Afferrerò la balza del tuo veloPer tenerti qui in terra.... o per morire,Se a quella reggia d’oroPoeta e donna, tu vorrai salire.24

Agosto 1876.

24 FERDINANDO FONTANA, Poesie e novelle in versi, Milano, Galli eOmodei.

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Page 138: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

Anonima giunse alla Contessa Lara una poesia che fumale attribuita al D’Annunzio allora giovanissimo. Essaportava, invece del titolo, i primi due versi di un compo-nimento della Contessa Lara intitolato Ora d’oblio e in-cluso nella sua seconda raccolta: E ancora versi.

«Mio fanciullo, accarezzami,Un’ora è nostra»

Dinanzi al mare placido,sotto l’azzurro limpido e giocondo,fra queste olenti zàgareme pure avviva un dolce oblio del mondo.Profumi di salsedineagresti fiati aleggian da ogni dove;mentre li aspiro, i muscoli,una gagliarda gioventù commuove.Di voluttà ecco l’attimo,fra gli oleandri, mormora la brezza;e tu dici al mio orecchio:Un’ora è nostra, vieni, m’accarezza.Sì, quest’ora ineffabileinsiem deliberem, quest’ora breve;sì, di carezze innumerirecingerò le spalle tue di neve.Non vo’ cercar nell’intimodel cor quai trame tu nasconda e quante,se alle mie labbra cupidetutta porgi la carne palpitante.Non vo’ saper se fervido

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Anonima giunse alla Contessa Lara una poesia che fumale attribuita al D’Annunzio allora giovanissimo. Essaportava, invece del titolo, i primi due versi di un compo-nimento della Contessa Lara intitolato Ora d’oblio e in-cluso nella sua seconda raccolta: E ancora versi.

«Mio fanciullo, accarezzami,Un’ora è nostra»

Dinanzi al mare placido,sotto l’azzurro limpido e giocondo,fra queste olenti zàgareme pure avviva un dolce oblio del mondo.Profumi di salsedineagresti fiati aleggian da ogni dove;mentre li aspiro, i muscoli,una gagliarda gioventù commuove.Di voluttà ecco l’attimo,fra gli oleandri, mormora la brezza;e tu dici al mio orecchio:Un’ora è nostra, vieni, m’accarezza.Sì, quest’ora ineffabileinsiem deliberem, quest’ora breve;sì, di carezze innumerirecingerò le spalle tue di neve.Non vo’ cercar nell’intimodel cor quai trame tu nasconda e quante,se alle mie labbra cupidetutta porgi la carne palpitante.Non vo’ saper se fervido

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fu più di me l’ultimo amante o meno,nè se domani o in seguitosotto altre labbra fremerà il tuo seno.De’ baci d’ier non serbanoorma gli uberi tuoi bianchi e procacicome quei d’una vergineanzi sussultano a’ novelli baci.Doman.... Che importa?... Immemorici desteremo, immemori e lontani!Tu con incesso languidomigrerai per altr’oasi domani;nell’immensa lasciviaio, saziato il desìo che oggi m’indiaproseguirò il mio tramiteneppur pensando che tu fosti mia.

Questa poesia fu dunque prima attribuita al D’Annun-zio, poi al poeta calabrese Domenico Milelli che dopo lapubblicazione di Versi della Contessa Lara aveva com-posto una specie di canzoniere in risposta a quel librocollo pseudonimo «Conte di Lara». Si seppe poi chel’anonimo altri non era che Mario Foresi il quale si eradivertito a stuzzicare la curiosità della bella amica. AForesi piacevano tali scherzi e restò memorabile quellodei sonetti ch’egli fabbricò e gabellò per petrarcheschiinediti, riuscendo a farsi giuoco anche di qualche erudi-to, quando si celebrò nel ’906 il sesto centenario delpoeta.

Ma non vi possono essere dubbi sulla paternità dan-nunziana di una redazione molto diversa di quella ap-

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fu più di me l’ultimo amante o meno,nè se domani o in seguitosotto altre labbra fremerà il tuo seno.De’ baci d’ier non serbanoorma gli uberi tuoi bianchi e procacicome quei d’una vergineanzi sussultano a’ novelli baci.Doman.... Che importa?... Immemorici desteremo, immemori e lontani!Tu con incesso languidomigrerai per altr’oasi domani;nell’immensa lasciviaio, saziato il desìo che oggi m’indiaproseguirò il mio tramiteneppur pensando che tu fosti mia.

Questa poesia fu dunque prima attribuita al D’Annun-zio, poi al poeta calabrese Domenico Milelli che dopo lapubblicazione di Versi della Contessa Lara aveva com-posto una specie di canzoniere in risposta a quel librocollo pseudonimo «Conte di Lara». Si seppe poi chel’anonimo altri non era che Mario Foresi il quale si eradivertito a stuzzicare la curiosità della bella amica. AForesi piacevano tali scherzi e restò memorabile quellodei sonetti ch’egli fabbricò e gabellò per petrarcheschiinediti, riuscendo a farsi giuoco anche di qualche erudi-to, quando si celebrò nel ’906 il sesto centenario delpoeta.

Ma non vi possono essere dubbi sulla paternità dan-nunziana di una redazione molto diversa di quella ap-

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Mario Rapisardi e la moglie Giselda Fojanesi.

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Mario Rapisardi e la moglie Giselda Fojanesi.

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Autografo del sonetto a Giselda.

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Autografo del sonetto a Giselda.

Page 142: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

parsa nel volume l’Isotteo e la Chimera. Essa era serba-ta autografa fra le carte della Contessa Lara. La poesia èmolto più licenziosa di quella che il poeta poi prescelse,e tale che non crediamo opportuno scriverla per intero.

A Donna Evelina Cattermole Gabriel.

Sta Lady Phoebe Cynicytheresu ’l damascato letto ampio e profondo:splende la nudità, nell’ombra, e il biondocapo sorride da l’origliere.Erto su l’esili zampe il levrieredi Scozia le lambisce il sen rotondo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tralasciamo le tre quartine successive.

Or s’io vi guardo, mia passione,nella nitida faccia liliale,e s’io vi bacio il sen freddo, mi saled’un tratto agli occhi la visionedel favoloso letto scarlatto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Si tratta evidentemente d’uno de’ soliti esercizi dinudo sul gusto di Francia, che allora il D’Annunzio sicompiaceva imitare. Egli forse donò quell’esemplarealla poetessa, nella prima redazione, poi, stampando ilvolume, mondò, ripulì (in tutti i sensi), e tolse la dedica.

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parsa nel volume l’Isotteo e la Chimera. Essa era serba-ta autografa fra le carte della Contessa Lara. La poesia èmolto più licenziosa di quella che il poeta poi prescelse,e tale che non crediamo opportuno scriverla per intero.

A Donna Evelina Cattermole Gabriel.

Sta Lady Phoebe Cynicytheresu ’l damascato letto ampio e profondo:splende la nudità, nell’ombra, e il biondocapo sorride da l’origliere.Erto su l’esili zampe il levrieredi Scozia le lambisce il sen rotondo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tralasciamo le tre quartine successive.

Or s’io vi guardo, mia passione,nella nitida faccia liliale,e s’io vi bacio il sen freddo, mi saled’un tratto agli occhi la visionedel favoloso letto scarlatto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Si tratta evidentemente d’uno de’ soliti esercizi dinudo sul gusto di Francia, che allora il D’Annunzio sicompiaceva imitare. Egli forse donò quell’esemplarealla poetessa, nella prima redazione, poi, stampando ilvolume, mondò, ripulì (in tutti i sensi), e tolse la dedica.

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Page 143: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

*

Gabardo Gabardi in Mia Madre, i suoi tempi, i suoianici, dice:

«Nel 1884 la fama della Contessa Lara brillava di tut-to il suo splendore. Accolta con trasporto nel cenacolosommarughiano che copriva in quei giorni delle suegrandi ali tutta la giovane letteratura italiana, la bella ecapricciosa poetessa si era subito imposta all’attenzionedel pubblico e della stampa sotto un aspetto nuovo e as-sai migliore di quello che – qualche anno prima – avevarichiamato sopra di lei la morbosa curiosità dei dilettantidi scandali. Il talento, anzi, era stato per lei una vera ria-bilitazione....

«Fu verso la fine di novembre che la Contessa Lara,mi chiese che la presentassi a mia madre.... Conoscevotroppo bene il cuore di questa. Sapevo benissimo comele sue massime s’ispirassero sempre a quelle del Vange-lo, fra le quali – a lettere d’oro – sta scritta la sentenzadi Cristo: – Chi è di voi senza peccato scagli la primapietra. – Non ebbi quindi la menoma difficoltà ad avvi-cinare fra loro le due donne d’ingegno superiore, e ilcolloquio desiderato dalla Contessa Lara ebbe luogo il l°dicembre in mia casa. Io vi assistetti e non lo dimenti-cherò mai. La «veterana» accolse con schietta benevo-lenza la giovane «recluta» che alle sue prime armi nelcampo della poesia si era già dimostrata sì valorosa edardita. Parlarono a lungo d’ideali, di ricordi, di speran-

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*

Gabardo Gabardi in Mia Madre, i suoi tempi, i suoianici, dice:

«Nel 1884 la fama della Contessa Lara brillava di tut-to il suo splendore. Accolta con trasporto nel cenacolosommarughiano che copriva in quei giorni delle suegrandi ali tutta la giovane letteratura italiana, la bella ecapricciosa poetessa si era subito imposta all’attenzionedel pubblico e della stampa sotto un aspetto nuovo e as-sai migliore di quello che – qualche anno prima – avevarichiamato sopra di lei la morbosa curiosità dei dilettantidi scandali. Il talento, anzi, era stato per lei una vera ria-bilitazione....

«Fu verso la fine di novembre che la Contessa Lara,mi chiese che la presentassi a mia madre.... Conoscevotroppo bene il cuore di questa. Sapevo benissimo comele sue massime s’ispirassero sempre a quelle del Vange-lo, fra le quali – a lettere d’oro – sta scritta la sentenzadi Cristo: – Chi è di voi senza peccato scagli la primapietra. – Non ebbi quindi la menoma difficoltà ad avvi-cinare fra loro le due donne d’ingegno superiore, e ilcolloquio desiderato dalla Contessa Lara ebbe luogo il l°dicembre in mia casa. Io vi assistetti e non lo dimenti-cherò mai. La «veterana» accolse con schietta benevo-lenza la giovane «recluta» che alle sue prime armi nelcampo della poesia si era già dimostrata sì valorosa edardita. Parlarono a lungo d’ideali, di ricordi, di speran-

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ze; l’arte antica e l’arte nuova si fusero in un mirabileaccordo.... E le due interlocutrici si lasciarono piena-mente soddisfatte l’una dell’altra».

L’indomani la Lara inviava alla contessa Isabella unsonetto che il Gabardi dice inedito, ma che si trova inve-ce nel libro E ancora versi.

VESPERO

Un paesaggio, ricco di contrasti, grandioso.Su ’l tramonto arancione si disegnan le frondeNere de li alti frassini, come un pizzo costosoSu d’un broccato d’oro che per metà nasconde.Tra i giunchi e ne le pozze de ’l terren paludosoTrasparenze di luce, riflessi e macchie bionde;E ne ’l cielo fantastico, pesante, burrascoso,Nuvole accavallate come viluppi d’onde.Ne la mezz’ombra un portico dove un vecchio villanoCurvo spinge l’aratro. L’ora è solenne. SembraQuasi d’udir la squilla d’un campanil lontano.E spicca d’una donna la figura sottile,Da pittoreschi cenci mal coperte le membra,Dietro un branco di pecore che ritorna all’ovile.

Il sonetto è accompagnato dalla seguente lettera

«Illustre Signora,

«Ho letto e riletto con crescente piacere i di Lei stu-pendi classici versi che, ringraziandola, Le restituisco.

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ze; l’arte antica e l’arte nuova si fusero in un mirabileaccordo.... E le due interlocutrici si lasciarono piena-mente soddisfatte l’una dell’altra».

L’indomani la Lara inviava alla contessa Isabella unsonetto che il Gabardi dice inedito, ma che si trova inve-ce nel libro E ancora versi.

VESPERO

Un paesaggio, ricco di contrasti, grandioso.Su ’l tramonto arancione si disegnan le frondeNere de li alti frassini, come un pizzo costosoSu d’un broccato d’oro che per metà nasconde.Tra i giunchi e ne le pozze de ’l terren paludosoTrasparenze di luce, riflessi e macchie bionde;E ne ’l cielo fantastico, pesante, burrascoso,Nuvole accavallate come viluppi d’onde.Ne la mezz’ombra un portico dove un vecchio villanoCurvo spinge l’aratro. L’ora è solenne. SembraQuasi d’udir la squilla d’un campanil lontano.E spicca d’una donna la figura sottile,Da pittoreschi cenci mal coperte le membra,Dietro un branco di pecore che ritorna all’ovile.

Il sonetto è accompagnato dalla seguente lettera

«Illustre Signora,

«Ho letto e riletto con crescente piacere i di Lei stu-pendi classici versi che, ringraziandola, Le restituisco.

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Page 145: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

«Vorrei, come solevano i Romani, segnare con lapillobianco la felice giornata d’ieri, che mi procurò l’altoonore e l’intima dolcezza di conoscere una donna e unadama come Lei.

«Ella oggi aggradisca benignamente i sensi della miagratitudine per la Sua bontà verso di me e mi permettodi sottoscrivermi con devozione

Sua EVELINA MANCINI

DI FUSIGNANO

CONTESSA LARA».

*

Dopo una visita di alcuni giorni che la Contessa Larafece a Mario Foresi nella sua villa all’isola d’Elba, gliscrisse da Roma:

«Giorni indimenticabili. Contrariamente a quello cheavviene a chi trascorse un periodo di godimento, essi,nella mia memoria, nella mia nostalgia si sono raddop-piati di lunghezza. Al periodo agitato, inquieto, pieno didolci e successive commozioni che vissi sarebbero oc-corse due settimane e più.

«Quelle levatacce nell’alba rugiadosa e profumata,quell’ebrezza di aria satura di rosmarino, di lentisco,d’issopo e di salsedine; quelle gite a sommo dei pro-montorii; quel ricamare con una barchetta tutti i meandriche concludono il Capo Stella o le alture granitiche di

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«Vorrei, come solevano i Romani, segnare con lapillobianco la felice giornata d’ieri, che mi procurò l’altoonore e l’intima dolcezza di conoscere una donna e unadama come Lei.

«Ella oggi aggradisca benignamente i sensi della miagratitudine per la Sua bontà verso di me e mi permettodi sottoscrivermi con devozione

Sua EVELINA MANCINI

DI FUSIGNANO

CONTESSA LARA».

*

Dopo una visita di alcuni giorni che la Contessa Larafece a Mario Foresi nella sua villa all’isola d’Elba, gliscrisse da Roma:

«Giorni indimenticabili. Contrariamente a quello cheavviene a chi trascorse un periodo di godimento, essi,nella mia memoria, nella mia nostalgia si sono raddop-piati di lunghezza. Al periodo agitato, inquieto, pieno didolci e successive commozioni che vissi sarebbero oc-corse due settimane e più.

«Quelle levatacce nell’alba rugiadosa e profumata,quell’ebrezza di aria satura di rosmarino, di lentisco,d’issopo e di salsedine; quelle gite a sommo dei pro-montorii; quel ricamare con una barchetta tutti i meandriche concludono il Capo Stella o le alture granitiche di

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Fonza o di Capo ai Pini, penetrando nelle grotte fantasti-che, pensando e sognando su le anse recondite cosparsedi ghiaiette multicolori; i tuffi temerarii in mezzo al gol-fo; le pésche con la traina; le tramaglie tirate su al tra-monto o al chiaro di luna piene di guizzi argentei, i cac-ciucchi sotto l’ombrello del pino secolare memorabile....tuttociò costituiva una vita così intensa per me ch’iom’aspettavo da un momento all’altro qualcheschianto....»

Ma lasciamo dire a Mario Foresi:«La mattina in cui la cara ospite si accomiatò, perchè

accompagnandola alla sua cavalcatura stupivo della co-stei taciturnità, ella sospirò:

— Lascio l’Isola con rammarico.— Tanto meglio, – soggiunsi – ci tornerete presto.— È che, vedete, le separazioni sono tutte dolorose,

anche se brevi e se si lasci il peggio per il meglio. Ogniaddio ha in se stesso un’idea vaga dell’ultimo; e può es-serlo.

— Avrete una incantevole traversata, – feci io, quasiper deviarla – striscerete nell’acqua come sulla conchi-glia di Afrodite, come in un sogno.

— Sì, come in un sogno – ripetè.«Infatti il cielo era sereno e vibrante, il golfo immobi-

le; alitava un sì lieve maestraletto che lo specchio delmare non ne era menomamente turbato. Ma non si ras-serenava, lei. A un tratto scattò in questa bizzarra do-manda:

— Che cosa potrei mandarvi da Roma?

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Fonza o di Capo ai Pini, penetrando nelle grotte fantasti-che, pensando e sognando su le anse recondite cosparsedi ghiaiette multicolori; i tuffi temerarii in mezzo al gol-fo; le pésche con la traina; le tramaglie tirate su al tra-monto o al chiaro di luna piene di guizzi argentei, i cac-ciucchi sotto l’ombrello del pino secolare memorabile....tuttociò costituiva una vita così intensa per me ch’iom’aspettavo da un momento all’altro qualcheschianto....»

Ma lasciamo dire a Mario Foresi:«La mattina in cui la cara ospite si accomiatò, perchè

accompagnandola alla sua cavalcatura stupivo della co-stei taciturnità, ella sospirò:

— Lascio l’Isola con rammarico.— Tanto meglio, – soggiunsi – ci tornerete presto.— È che, vedete, le separazioni sono tutte dolorose,

anche se brevi e se si lasci il peggio per il meglio. Ogniaddio ha in se stesso un’idea vaga dell’ultimo; e può es-serlo.

— Avrete una incantevole traversata, – feci io, quasiper deviarla – striscerete nell’acqua come sulla conchi-glia di Afrodite, come in un sogno.

— Sì, come in un sogno – ripetè.«Infatti il cielo era sereno e vibrante, il golfo immobi-

le; alitava un sì lieve maestraletto che lo specchio delmare non ne era menomamente turbato. Ma non si ras-serenava, lei. A un tratto scattò in questa bizzarra do-manda:

— Che cosa potrei mandarvi da Roma?

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Page 147: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

— Le vostre notizie, le notizie del vostro viaggio, si-gnora.

— Siate buono, non divagate. Sento che avrò il biso-gno imperioso di mandarvi qualche cosa per il rimpiantoche proverò di questo mio non breve soggiorno; nonfosse che una corona, con la solita medaglia di San Pie-tro....

— Oh, no – interruppi allora. – Le corone, non già imalinconici rosari di San Pietro, ma corone intessute dirose fragranti, serbatele per l’oro della vostra splendidatesta, amica mia.

— Ma io avrò bisogno di mandarvi qualche cosa, perunirci il mio spirito e tornar qui con essa. Per esempio....

— Mandatemi allora una maglia da bagno – conclusi.– Non voglio contradirvi.

Ella inarcò le sopracciglia e mi fissò i suoi begli oc-chioni azzurri in faccia.

La scelta forse, le parve strana. Io proseguii:— A patto però che le vostre dita ricamino sul

petto....— Il vostro nome? Quello del vostro golfo?— No; promettetemi che ci scriverete quello che desi-

dero.— Sia pure. Ve lo prometto.— Ebbene; questa parola: Affoga.— Oh! – scattò l’ospite come perplessa e un po’ adi-

rata. Poi, a un tratto si rasserenò. Sorrise e mi tese lamano.

— Va bene.

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— Le vostre notizie, le notizie del vostro viaggio, si-gnora.

— Siate buono, non divagate. Sento che avrò il biso-gno imperioso di mandarvi qualche cosa per il rimpiantoche proverò di questo mio non breve soggiorno; nonfosse che una corona, con la solita medaglia di San Pie-tro....

— Oh, no – interruppi allora. – Le corone, non già imalinconici rosari di San Pietro, ma corone intessute dirose fragranti, serbatele per l’oro della vostra splendidatesta, amica mia.

— Ma io avrò bisogno di mandarvi qualche cosa, perunirci il mio spirito e tornar qui con essa. Per esempio....

— Mandatemi allora una maglia da bagno – conclusi.– Non voglio contradirvi.

Ella inarcò le sopracciglia e mi fissò i suoi begli oc-chioni azzurri in faccia.

La scelta forse, le parve strana. Io proseguii:— A patto però che le vostre dita ricamino sul

petto....— Il vostro nome? Quello del vostro golfo?— No; promettetemi che ci scriverete quello che desi-

dero.— Sia pure. Ve lo prometto.— Ebbene; questa parola: Affoga.— Oh! – scattò l’ospite come perplessa e un po’ adi-

rata. Poi, a un tratto si rasserenò. Sorrise e mi tese lamano.

— Va bene.

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«E dopo una stretta, posando lievemente il piede sullapalma del fattore balzò in sella, e via ridendo verso ilCollereciso.

«Son certo che quello scatto, le valse a nascondere unpo’ di stizza.... un po’ di commozione.... Chi sa!

«Di lì a una settimana, la mattina appunto dell’ottava-rio, mi fu consegnata una scatola schiacciata.... Ci vole-va poco a figurarselo: proveniva da Roma. Infatti c’erala maglia accuratamente piegata. La maglia che ostenta-va la sua dicitura sull’azzurro cupo del petto, a traversouna bella fila di bottoni madreperlacei.

«Nel pomeriggio scesi alla spiaggia e mi recai la sca-tola nella stanza da bagno. Il mare era un po’ agitato dalmaestrale. Benissimo – pensavo svolgendo la maglia –porterò laggiù al largo la mia sfida insensata. Ma nel gi-rarla per infilarci il capo che vedo? La dicitura prosegui-va e girava dietro il tergo come una fascia tutelare.... Af-foga ogni inquietudine nel tuo bel golfo.

«Brava. Ripiegai di nuovo la maglia nella scatolacome se fosse un amuleto, ma appunto per questo,l’augurio gentile come un parago tenuto fuori d’acquanon resse. Le inquietudini della mia vita non cessarononel mio golfo; s’incalzarono sempre. Tuttavia non sonoaffogato.

«Ella invece, la cara ospite, naufragò per davvero nelmare magno della vita civile, letteraria e passionale.Una donna con quel cuore, della sua attività febbrile e ditanto ingegno; afflitta da un sistema nervoso ultrasensi-bile commosse l’Italia con la sua tragica fine.

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«E dopo una stretta, posando lievemente il piede sullapalma del fattore balzò in sella, e via ridendo verso ilCollereciso.

«Son certo che quello scatto, le valse a nascondere unpo’ di stizza.... un po’ di commozione.... Chi sa!

«Di lì a una settimana, la mattina appunto dell’ottava-rio, mi fu consegnata una scatola schiacciata.... Ci vole-va poco a figurarselo: proveniva da Roma. Infatti c’erala maglia accuratamente piegata. La maglia che ostenta-va la sua dicitura sull’azzurro cupo del petto, a traversouna bella fila di bottoni madreperlacei.

«Nel pomeriggio scesi alla spiaggia e mi recai la sca-tola nella stanza da bagno. Il mare era un po’ agitato dalmaestrale. Benissimo – pensavo svolgendo la maglia –porterò laggiù al largo la mia sfida insensata. Ma nel gi-rarla per infilarci il capo che vedo? La dicitura prosegui-va e girava dietro il tergo come una fascia tutelare.... Af-foga ogni inquietudine nel tuo bel golfo.

«Brava. Ripiegai di nuovo la maglia nella scatolacome se fosse un amuleto, ma appunto per questo,l’augurio gentile come un parago tenuto fuori d’acquanon resse. Le inquietudini della mia vita non cessarononel mio golfo; s’incalzarono sempre. Tuttavia non sonoaffogato.

«Ella invece, la cara ospite, naufragò per davvero nelmare magno della vita civile, letteraria e passionale.Una donna con quel cuore, della sua attività febbrile e ditanto ingegno; afflitta da un sistema nervoso ultrasensi-bile commosse l’Italia con la sua tragica fine.

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«....Eppure si poteva pensare che ella non dovessefarne una diversa. La morte strana, violenta, inaspettata,sembrava un epilogo naturale della sua vita irrequieta,del suo temperamento quasi elettrico, del suo correrespensierato attraverso le folle e gli ostacoli.

«Era in lei tal noncuranza della realtà e del presente,tale ansia del poi, tale assorbimento nel suo sogno, chepareva fremere sempre di aspettazione, come una cordadi arpa che vibri dopo toccata.

«Doman?... Che importa?,.. Immemorici desteremo, immemori e lontani!Tu con incesso languidomigrerai per altr’oasi domani.

«Non era volubilità la sua; ma piuttosto un bisognoirrefrenabile di celerità, di vivere a doppio. Presentivaella la caducità della sua primavera? E il suo romantici-smo, e il suo facile fantasticare erano soffusi da un finesentimento di poesia che la rendeva affascinante comeuna fata. Per giunta, un fervore di altruismo, di bontà, difar bene anche a chi non gliene faceva davano a quellacreatura un prestigio incredibile di dominazione.»

*

La Lina nel 1884 andò a Napoli. Era il tempo del co-lera e della visita di Re Umberto con Depretis. Federigo

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«....Eppure si poteva pensare che ella non dovessefarne una diversa. La morte strana, violenta, inaspettata,sembrava un epilogo naturale della sua vita irrequieta,del suo temperamento quasi elettrico, del suo correrespensierato attraverso le folle e gli ostacoli.

«Era in lei tal noncuranza della realtà e del presente,tale ansia del poi, tale assorbimento nel suo sogno, chepareva fremere sempre di aspettazione, come una cordadi arpa che vibri dopo toccata.

«Doman?... Che importa?,.. Immemorici desteremo, immemori e lontani!Tu con incesso languidomigrerai per altr’oasi domani.

«Non era volubilità la sua; ma piuttosto un bisognoirrefrenabile di celerità, di vivere a doppio. Presentivaella la caducità della sua primavera? E il suo romantici-smo, e il suo facile fantasticare erano soffusi da un finesentimento di poesia che la rendeva affascinante comeuna fata. Per giunta, un fervore di altruismo, di bontà, difar bene anche a chi non gliene faceva davano a quellacreatura un prestigio incredibile di dominazione.»

*

La Lina nel 1884 andò a Napoli. Era il tempo del co-lera e della visita di Re Umberto con Depretis. Federigo

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Page 150: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

Verdinois25 stava scrivendo un articolo per il Corrieredel Mattino sulle memorabili parole di Depretis Bisognasventrare Napoli! quando gli si annunziò una signorache desiderava parlargli. «Non fo a tempo ad avvertireche non ci sono. La signora è là, immobile sulla soglia.Una figura eterea, un viluppo, o piuttosto una nube dia-fana e lieve di veli neri, dai quali emerge un pallore lu-minoso di viso melanconico e di braccia marmoree chereggono un gran mazzo di fiori di campo. La testa, unpo’ reclinata a sinistra sotto un ampio cappello anchenero, è di alabastro, coronata di oro fine. Pare una visio-ne. Mi alzo ammirato, le vo incontro, ho quasi paura chesi dilegui. È la Contessa Lara, la conoscevo solo difama. Veniva da Portici, così mi disse, dove aveva rac-colto quei fiori sulla zolla recente di un suo caro. In queigiorni non si discorreva che di morti. Mi offriva di man-dare suoi scritti per la parte letteraria del giornale, liberapalestra aperta a tutti gl’ingegni; vi scrivevano Bovio,Rapisardi, Bersezio, Cantù, la marchesa Colombi, Nee-ra, Di Giacomo, Spinola, Misasi e cento altri. Accettainaturalmente e si convenne anche sul compenso, ma discritti non me ne mandò che due soli: una fantasia inprosa dal titolo Elegia araba, e il bellissimo sonettoDopo la caccia».

Fu ispirata da quel viaggio a Napoli una lirica dellaContessa Lara su Re Umberto e la visita ai colerosi, in-clusa nel volume: E ancora versi.

25 FEDERIGO VERDINOIS, Ricordi giornalistici.

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Verdinois25 stava scrivendo un articolo per il Corrieredel Mattino sulle memorabili parole di Depretis Bisognasventrare Napoli! quando gli si annunziò una signorache desiderava parlargli. «Non fo a tempo ad avvertireche non ci sono. La signora è là, immobile sulla soglia.Una figura eterea, un viluppo, o piuttosto una nube dia-fana e lieve di veli neri, dai quali emerge un pallore lu-minoso di viso melanconico e di braccia marmoree chereggono un gran mazzo di fiori di campo. La testa, unpo’ reclinata a sinistra sotto un ampio cappello anchenero, è di alabastro, coronata di oro fine. Pare una visio-ne. Mi alzo ammirato, le vo incontro, ho quasi paura chesi dilegui. È la Contessa Lara, la conoscevo solo difama. Veniva da Portici, così mi disse, dove aveva rac-colto quei fiori sulla zolla recente di un suo caro. In queigiorni non si discorreva che di morti. Mi offriva di man-dare suoi scritti per la parte letteraria del giornale, liberapalestra aperta a tutti gl’ingegni; vi scrivevano Bovio,Rapisardi, Bersezio, Cantù, la marchesa Colombi, Nee-ra, Di Giacomo, Spinola, Misasi e cento altri. Accettainaturalmente e si convenne anche sul compenso, ma discritti non me ne mandò che due soli: una fantasia inprosa dal titolo Elegia araba, e il bellissimo sonettoDopo la caccia».

Fu ispirata da quel viaggio a Napoli una lirica dellaContessa Lara su Re Umberto e la visita ai colerosi, in-clusa nel volume: E ancora versi.

25 FEDERIGO VERDINOIS, Ricordi giornalistici.

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Page 151: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

*

Rapisardi aveva certo contribuito alla fortuna dellaContessa Lara, sia correggendole i versi, sia raccoman-dandone la pubblicazione a direttori di giornali. C’è unalettera, nell’epistolario Tomaselli, assai interessante cheil poeta diresse a Ferdinando Martini, dalla quale si vedecome si desse anche pensiero degli interessi pratici dellasua amica.

«Catania, ottobre 1880.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .«mi prendo la libertà di mandarLe due sonetti della si-gnora Evelina Cattermole Mancini, che a me sembranobellissimi per verità gentile di sentimento ed eleganteschiettezza di forme. Se alla S. V. parrà che io non miinganni e li vorrà accogliere nel suo pregiato giornale, iopotrò di quando in quando mandarle altri componimentidella stessa autrice, il cui ingegno poetico potentissimo,finora rimasto quasi all’ombra, merita, a me sembra, tut-ti gli incoraggiamenti possibili perchè metta presto inluce quei fiori e quei frutti delicatissimi di cui lo credocapace.

«Nel caso che accettasse il regalo di questi due primisaggi, desidererei sapere se V. S. sarebbe disposta a ri-compensare l’autrice degli scritti che sarei per mandarle.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Rapisardi aveva certo contribuito alla fortuna dellaContessa Lara, sia correggendole i versi, sia raccoman-dandone la pubblicazione a direttori di giornali. C’è unalettera, nell’epistolario Tomaselli, assai interessante cheil poeta diresse a Ferdinando Martini, dalla quale si vedecome si desse anche pensiero degli interessi pratici dellasua amica.

«Catania, ottobre 1880.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .«mi prendo la libertà di mandarLe due sonetti della si-gnora Evelina Cattermole Mancini, che a me sembranobellissimi per verità gentile di sentimento ed eleganteschiettezza di forme. Se alla S. V. parrà che io non miinganni e li vorrà accogliere nel suo pregiato giornale, iopotrò di quando in quando mandarle altri componimentidella stessa autrice, il cui ingegno poetico potentissimo,finora rimasto quasi all’ombra, merita, a me sembra, tut-ti gli incoraggiamenti possibili perchè metta presto inluce quei fiori e quei frutti delicatissimi di cui lo credocapace.

«Nel caso che accettasse il regalo di questi due primisaggi, desidererei sapere se V. S. sarebbe disposta a ri-compensare l’autrice degli scritti che sarei per mandarle.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Uno dei sonetti mandati dal Rapisardi al Martini è ilquadretto Sulla porta, poi raccolto in Versi. Il giornale èil Fanfulla della Domenica che Ferdinando Martini diri-geva.

*

Verso la fine del 1883 Rapisardi e la moglie si separa-rono dopo dodici anni di matrimonio infelice, e la signo-ra Giselda cominciò la sua coraggiosa e dignitosa vita dilavoro, e di libertà, senza chiedere nulla a nessuno, nem-meno al marito che per obbligo di legge avrebbe dovutoprovvedere al suo sostentamento.

Nel 1884, la Contessa Lara, che dopo la morte diBennati non aveva avuto che molti flirts e alcuni legamisuperficiali, era già da parecchi mesi in relazione con unbel giovane siciliano che amava follemente e che le fa-ceva scrivere:

SUL MARE

Io l’adoro: ei non m’ama. Qualche parola, un gestoBrusco o annoiato a un tratto mi riconduce a questoMalinconico vero che mascherare io tentoCon arti puerili. Ei non m’ama, lo sento.De la linfa vitale, di quell’alito immaneChe scorre come un palpito su le terre lontaneDove a ’l sole egli nacque, ne l’azzurro tessuto

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Uno dei sonetti mandati dal Rapisardi al Martini è ilquadretto Sulla porta, poi raccolto in Versi. Il giornale èil Fanfulla della Domenica che Ferdinando Martini diri-geva.

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Verso la fine del 1883 Rapisardi e la moglie si separa-rono dopo dodici anni di matrimonio infelice, e la signo-ra Giselda cominciò la sua coraggiosa e dignitosa vita dilavoro, e di libertà, senza chiedere nulla a nessuno, nem-meno al marito che per obbligo di legge avrebbe dovutoprovvedere al suo sostentamento.

Nel 1884, la Contessa Lara, che dopo la morte diBennati non aveva avuto che molti flirts e alcuni legamisuperficiali, era già da parecchi mesi in relazione con unbel giovane siciliano che amava follemente e che le fa-ceva scrivere:

SUL MARE

Io l’adoro: ei non m’ama. Qualche parola, un gestoBrusco o annoiato a un tratto mi riconduce a questoMalinconico vero che mascherare io tentoCon arti puerili. Ei non m’ama, lo sento.De la linfa vitale, di quell’alito immaneChe scorre come un palpito su le terre lontaneDove a ’l sole egli nacque, ne l’azzurro tessuto

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Page 153: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

De le sue tenui vene nulla ancora ha fremuto;Nè son fiamme in quell’anima; ma de ’l mio foco istesso,Nobil, pallido, a sprazzi lo colpisce un riflessoChe tutto intorno illumina vagamente.... E son oreChe cantano i miei sogni ne ’l vuoto de ’l suo core,Come note che suonano dentro un cavo strumentoAccompagnando strofe che si perdono a ’l vento;Ore in che un desiderio d’ebbrezza sovrumanaMi fa, pari a ’l grand’ospite de ’l convito di Cana,Cambiare in generoso vin ch’animi la festaLa ghiaccia coppa insipida che l’amor suo m’appresta;Ore che a lui, fanciullo, come a novo ideale,Che nessun uom concreta, porgo l’indomit’aleDe ’l mio pensier, de ’l libero mio pensiero errabondo;E stretta a quella splendida chimera io scordo il mondo,Spazio per cieli immensi, valico immensi abissi....Poi mi trovo guardandolo trista con li occhi fissi....E piango.

Egli, talvolta, con un fresco sorrisoScherza co’ miei capelli, mi parla accosto a ’l viso;Si stende come un giovane gatto in amor su ’l lettoE il guancial mi profuma co ’l suo capo; un cassettoFruga, e lì tra disegni di recente abbozzati,Da critico pedante, giudica i miei peccatiD’arte: discute, serio; combatte co ’l suo finoSenso estetico; e intanto io mi cullo al divinoSuono della sua voce.... S’egli dice: Non voglio,Come uno stel di rosa piego il mio forte orgoglioDinanzi a ’l suo comando. Mi piace ch’egli siaRe che dispone ed angelo che veglia in casa mia.

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De le sue tenui vene nulla ancora ha fremuto;Nè son fiamme in quell’anima; ma de ’l mio foco istesso,Nobil, pallido, a sprazzi lo colpisce un riflessoChe tutto intorno illumina vagamente.... E son oreChe cantano i miei sogni ne ’l vuoto de ’l suo core,Come note che suonano dentro un cavo strumentoAccompagnando strofe che si perdono a ’l vento;Ore in che un desiderio d’ebbrezza sovrumanaMi fa, pari a ’l grand’ospite de ’l convito di Cana,Cambiare in generoso vin ch’animi la festaLa ghiaccia coppa insipida che l’amor suo m’appresta;Ore che a lui, fanciullo, come a novo ideale,Che nessun uom concreta, porgo l’indomit’aleDe ’l mio pensier, de ’l libero mio pensiero errabondo;E stretta a quella splendida chimera io scordo il mondo,Spazio per cieli immensi, valico immensi abissi....Poi mi trovo guardandolo trista con li occhi fissi....E piango.

Egli, talvolta, con un fresco sorrisoScherza co’ miei capelli, mi parla accosto a ’l viso;Si stende come un giovane gatto in amor su ’l lettoE il guancial mi profuma co ’l suo capo; un cassettoFruga, e lì tra disegni di recente abbozzati,Da critico pedante, giudica i miei peccatiD’arte: discute, serio; combatte co ’l suo finoSenso estetico; e intanto io mi cullo al divinoSuono della sua voce.... S’egli dice: Non voglio,Come uno stel di rosa piego il mio forte orgoglioDinanzi a ’l suo comando. Mi piace ch’egli siaRe che dispone ed angelo che veglia in casa mia.

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Oh, tetra questa casa quand’ei non v’è!.... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

Nonostante che Mario Rapisardi sapesse, come molti, diquesta relazione tormentata della poetessa, pure conti-nuava ad esserne follemente innamorato. S’incontraronoa Napoli nell’aprile del 1884, per pochi giorni, poi laLina se ne andò e gli scrisse il 19 gennaio 1885 daRoma, cioè 10 mesi dopo, asserendo di non aver ricevu-to che una lettera sua. Gli prometteva di andare a visi-tarlo in Sicilia.

«Tu non farmi lo scettico, il sardonico per carità. Setu sapessi quanto ho necessità di una voce veramentedolce e amica fra tanto cicalìo vuoto e malvagio!

«Son qui dunque che lavoro e molto. Devo innanzitutto pagare i miei debiti. Invece di alzar le spalle, a teque’ begli occhioni dovrebbero riempirsi di lacrime. Ba-cio tua madre, stringo te al mio cuore e ti scongiuro discrivermi dirigendo esattamente perchè temo che parec-chie mie lettere sieno andate dai Mancini. D’una di Fi-renze lo so.

LINA tua».

Rapisardi insisteva perchè la Lina lo raggiungesse inSicilia. Ma essa gli scrisse la lettera che segue certamen-te in complesso sincera, nonostante la femminile furbi-zia con cui, non avendo punto voglia di andare in Sici-

26 CONTESSA LARA, E ancora versi, Firenze, Sersale e C. 1886.

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Oh, tetra questa casa quand’ei non v’è!.... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

Nonostante che Mario Rapisardi sapesse, come molti, diquesta relazione tormentata della poetessa, pure conti-nuava ad esserne follemente innamorato. S’incontraronoa Napoli nell’aprile del 1884, per pochi giorni, poi laLina se ne andò e gli scrisse il 19 gennaio 1885 daRoma, cioè 10 mesi dopo, asserendo di non aver ricevu-to che una lettera sua. Gli prometteva di andare a visi-tarlo in Sicilia.

«Tu non farmi lo scettico, il sardonico per carità. Setu sapessi quanto ho necessità di una voce veramentedolce e amica fra tanto cicalìo vuoto e malvagio!

«Son qui dunque che lavoro e molto. Devo innanzitutto pagare i miei debiti. Invece di alzar le spalle, a teque’ begli occhioni dovrebbero riempirsi di lacrime. Ba-cio tua madre, stringo te al mio cuore e ti scongiuro discrivermi dirigendo esattamente perchè temo che parec-chie mie lettere sieno andate dai Mancini. D’una di Fi-renze lo so.

LINA tua».

Rapisardi insisteva perchè la Lina lo raggiungesse inSicilia. Ma essa gli scrisse la lettera che segue certamen-te in complesso sincera, nonostante la femminile furbi-zia con cui, non avendo punto voglia di andare in Sici-

26 CONTESSA LARA, E ancora versi, Firenze, Sersale e C. 1886.

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lia, profittava di certe dicerie secondo cui essa era lacausa della separazione Rapisardi. La causa vera è bennota e sarebbe stato puerile da parte della Rapisardi diandare spargendo quella voce mentre tutti sapevano ifatti. Avvalora la nostra tesi un particolare: quando la si-gnora Rapisardi, lasciata la casa maritale, tornò a Firen-ze, appena scesa dal treno, corse a casa della Lina (cheera però assente, in viaggio) come si corre alla casa diun’amica, non di una rivale. Ciò non toglie che il pette-golezzo tornasse alla Lina opportuno per liberarsi di unapromessa che aveva fatto a cuor leggero ma che, a men-te fredda, riteneva impossibile, anche e sopratutto per-chè, come da troppi segni è evidente, non sentiva amoreper Rapisardi.

Ecco dunque la lettera che il Tomaselli pubblicònell’Endimione di Catania.

«No, caro e buon Mario mio, no, non ci vedremo fin-chè a te non piaccia ancora di venire sul continente. No,quella santa donna di tua madre, non avrò la fortunad’abbracciarla; e se ella vorrà benedirmi come una tene-ra e devota figliuola, lo farà da lontano, tanto tanto lon-tano!

«Sino a pochi giorni fa, anzi dirò sino a poche ore fa,avevo la certezza che da un momento all’altro sarei par-tita per la Sicilia ed avremmo passato insieme qualchesettimana deliziosa. Ma ora non può più essere. Mi si ri-pete qui a Roma ciò che mi si disse a Firenze: che la Gi-selda racconta d’essersi separata spontaneamente da te,

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lia, profittava di certe dicerie secondo cui essa era lacausa della separazione Rapisardi. La causa vera è bennota e sarebbe stato puerile da parte della Rapisardi diandare spargendo quella voce mentre tutti sapevano ifatti. Avvalora la nostra tesi un particolare: quando la si-gnora Rapisardi, lasciata la casa maritale, tornò a Firen-ze, appena scesa dal treno, corse a casa della Lina (cheera però assente, in viaggio) come si corre alla casa diun’amica, non di una rivale. Ciò non toglie che il pette-golezzo tornasse alla Lina opportuno per liberarsi di unapromessa che aveva fatto a cuor leggero ma che, a men-te fredda, riteneva impossibile, anche e sopratutto per-chè, come da troppi segni è evidente, non sentiva amoreper Rapisardi.

Ecco dunque la lettera che il Tomaselli pubblicònell’Endimione di Catania.

«No, caro e buon Mario mio, no, non ci vedremo fin-chè a te non piaccia ancora di venire sul continente. No,quella santa donna di tua madre, non avrò la fortunad’abbracciarla; e se ella vorrà benedirmi come una tene-ra e devota figliuola, lo farà da lontano, tanto tanto lon-tano!

«Sino a pochi giorni fa, anzi dirò sino a poche ore fa,avevo la certezza che da un momento all’altro sarei par-tita per la Sicilia ed avremmo passato insieme qualchesettimana deliziosa. Ma ora non può più essere. Mi si ri-pete qui a Roma ciò che mi si disse a Firenze: che la Gi-selda racconta d’essersi separata spontaneamente da te,

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a causa che io ero la tua amante. C’è chi la compiangemolto e dice ogni vituperio sul conto mio, che ho il co-raggio di rovinar così la posizione di una povera mo-glie! Io ho sorriso con un tal disprezzo che valeva le piùformali proteste; ma tutti i miei sorrisi non valgono unalacrima della mia vittima. Scrivendo a Marchiò27 misono sfogata.... Grazie dall’anima (un’anima che non èsconoscente te lo giuro!). Grazie delle tue generose of-ferte. Oh come avrei accettato se non fosse per questastoria! Ma il mondo intero direbbe che Giselda ha tuttele ragioni; ch’io le ho rubato il marito, tanto ch’essa in-dignata ha dovuto lasciar lui, la famiglia, la sua posizio-ne, ogni cosa per me. Oh! Giammai. Sarai tu, Mariomio, che verrai a vedermi, non è vero? Passeremo qual-che altro dolcissimo giorno a Napoli o a Salerno; sulmare infine. Io son sempre qui che lavoro e non so an-cora quanto ci resterò! Avrai mie lettere col mio nuovoindirizzo prima ch’io parta. Probabilmente starò in cam-pagna nell’Umbria che è tanto bella nei mesi estivi.

«Vuoi che ti mandi il ms. di un mio libro di versi?28

Me li correggerai, non è vero? Non è vero che vuoi re-stare sempre il mio buon Mario di prima, di tutti i tem-pi?

27 Giorgio Marchiò, lucchese, impiegato nelle Ferrovie con ufficio a Firen-ze era il facitore della Contessa Lara. Erano stati bambini insieme, si davanodel tu, e conservarono sempre amicizia fraterna.

28 Il libro di versi che Rapisardi, come il primo, avrebbe dovuto corregge-re, s’intitolava E ancora versi e fu edito dal Sersale di Firenze.

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a causa che io ero la tua amante. C’è chi la compiangemolto e dice ogni vituperio sul conto mio, che ho il co-raggio di rovinar così la posizione di una povera mo-glie! Io ho sorriso con un tal disprezzo che valeva le piùformali proteste; ma tutti i miei sorrisi non valgono unalacrima della mia vittima. Scrivendo a Marchiò27 misono sfogata.... Grazie dall’anima (un’anima che non èsconoscente te lo giuro!). Grazie delle tue generose of-ferte. Oh come avrei accettato se non fosse per questastoria! Ma il mondo intero direbbe che Giselda ha tuttele ragioni; ch’io le ho rubato il marito, tanto ch’essa in-dignata ha dovuto lasciar lui, la famiglia, la sua posizio-ne, ogni cosa per me. Oh! Giammai. Sarai tu, Mariomio, che verrai a vedermi, non è vero? Passeremo qual-che altro dolcissimo giorno a Napoli o a Salerno; sulmare infine. Io son sempre qui che lavoro e non so an-cora quanto ci resterò! Avrai mie lettere col mio nuovoindirizzo prima ch’io parta. Probabilmente starò in cam-pagna nell’Umbria che è tanto bella nei mesi estivi.

«Vuoi che ti mandi il ms. di un mio libro di versi?28

Me li correggerai, non è vero? Non è vero che vuoi re-stare sempre il mio buon Mario di prima, di tutti i tem-pi?

27 Giorgio Marchiò, lucchese, impiegato nelle Ferrovie con ufficio a Firen-ze era il facitore della Contessa Lara. Erano stati bambini insieme, si davanodel tu, e conservarono sempre amicizia fraterna.

28 Il libro di versi che Rapisardi, come il primo, avrebbe dovuto corregge-re, s’intitolava E ancora versi e fu edito dal Sersale di Firenze.

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«Mandami un fiore, mandami un ricordino, te ne pre-go, una bummola.29 Me l’avevi promesso.

«Dov’è Reina? Vorrei scrivergli. Salatami affettuosa-mente Don Carlo.... (Ardizzoni) Ah un altro che non ve-drò! Baciami tua madre e ricevi gran parte del mio cuo-re in uno strettissimo, tristissimo abbraccio.

LINA tua».

Dopo questa lettera anche a Rapisardi cadde final-mente la benda dagli occhi, e capì che tutte le scuse leerano buone pur di non andare a Catania. Divenne furio-so e scrisse brutalmente a una donna indifesa, ch’egliaveva amata e che era stata con lui certo lusinghevoleper gratitudine o per pietà, ma anche affettuosa, confi-denziale, tenera, buona.

S.ta Maria di Gesù, 24 marzo 1886.

Oh! dignitosa coscienza e netta! Se mi avessi detto:«Imbastisco il mio millesimo amore e sono a’ comandidel tal dei tali» ti disprezzerei meno.

Addio.MARIO RAPISARDI».

Ben più dignitosa certo e sinceramente afflitta, la ri-sposta della Lina.

«Caro Rapisardi,

29 Bummola sic Bummara, vaso di creta di semplice antica forma, dove isiciliani conservano l’acqua fresca.

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«Mandami un fiore, mandami un ricordino, te ne pre-go, una bummola.29 Me l’avevi promesso.

«Dov’è Reina? Vorrei scrivergli. Salatami affettuosa-mente Don Carlo.... (Ardizzoni) Ah un altro che non ve-drò! Baciami tua madre e ricevi gran parte del mio cuo-re in uno strettissimo, tristissimo abbraccio.

LINA tua».

Dopo questa lettera anche a Rapisardi cadde final-mente la benda dagli occhi, e capì che tutte le scuse leerano buone pur di non andare a Catania. Divenne furio-so e scrisse brutalmente a una donna indifesa, ch’egliaveva amata e che era stata con lui certo lusinghevoleper gratitudine o per pietà, ma anche affettuosa, confi-denziale, tenera, buona.

S.ta Maria di Gesù, 24 marzo 1886.

Oh! dignitosa coscienza e netta! Se mi avessi detto:«Imbastisco il mio millesimo amore e sono a’ comandidel tal dei tali» ti disprezzerei meno.

Addio.MARIO RAPISARDI».

Ben più dignitosa certo e sinceramente afflitta, la ri-sposta della Lina.

«Caro Rapisardi,

29 Bummola sic Bummara, vaso di creta di semplice antica forma, dove isiciliani conservano l’acqua fresca.

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Rileggete la mia ultima lettera, ponderate bene l’infa-mia di quella.... e vedete se mi meritavo questa vostrapiccola vigliaccheria. Vi perdono di tutto cuore. Capiscoi caratteri violenti ma vorrei che a scusa del vostro, do-mani mi giungesse una letterina affettuosa, buona, giu-sta. Ad ogni modo, anche se il vostro addio fosse eterno,abbiatevi il più caro de’ miei pensieri, tenero e ricono-scente.

Bacio vostra madre.LINA».

E Tomaselli commenta:«Sempre Lei, proterva, insinuante, felina». Ah! Pove-

ra donna, diciamo noi; se è così che si scrive la storia!Dunque il Rapisardi conosce la Contessa Lara nel set-

tembre del 1875, appena qualche mese dopo la separa-zione di lei dal marito; e arde subito d’amore. La segue,le manda un suo libro, le si fa presentare, le presenta lamoglie per insistenza della stessa Lara. La signora gra-disce l’affettuosa devozione dell’uomo illustre, ma nonpuò amarlo; gli si mostra cortese, indulgente, anche dol-ce, ma si stringe di schietta e fedele amicizia con Gisel-da, la moglie di lui. Egli le dà del tu, e lei gli rispondecol voi; egli prega, implora, va in collera, fa il diavolo aquattro, e lei cerca di placarlo con le buone parole, conla gentilezza dei modi, ma gli raccomanda di non contri-stare la moglie e la madre di questa. Ancora nel 1883 lecose sono allo stesso punto; e il Rapisardi, il quale sipuò credere che in tutto questo tempo non facesse che

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Rileggete la mia ultima lettera, ponderate bene l’infa-mia di quella.... e vedete se mi meritavo questa vostrapiccola vigliaccheria. Vi perdono di tutto cuore. Capiscoi caratteri violenti ma vorrei che a scusa del vostro, do-mani mi giungesse una letterina affettuosa, buona, giu-sta. Ad ogni modo, anche se il vostro addio fosse eterno,abbiatevi il più caro de’ miei pensieri, tenero e ricono-scente.

Bacio vostra madre.LINA».

E Tomaselli commenta:«Sempre Lei, proterva, insinuante, felina». Ah! Pove-

ra donna, diciamo noi; se è così che si scrive la storia!Dunque il Rapisardi conosce la Contessa Lara nel set-

tembre del 1875, appena qualche mese dopo la separa-zione di lei dal marito; e arde subito d’amore. La segue,le manda un suo libro, le si fa presentare, le presenta lamoglie per insistenza della stessa Lara. La signora gra-disce l’affettuosa devozione dell’uomo illustre, ma nonpuò amarlo; gli si mostra cortese, indulgente, anche dol-ce, ma si stringe di schietta e fedele amicizia con Gisel-da, la moglie di lui. Egli le dà del tu, e lei gli rispondecol voi; egli prega, implora, va in collera, fa il diavolo aquattro, e lei cerca di placarlo con le buone parole, conla gentilezza dei modi, ma gli raccomanda di non contri-stare la moglie e la madre di questa. Ancora nel 1883 lecose sono allo stesso punto; e il Rapisardi, il quale sipuò credere che in tutto questo tempo non facesse che

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Evel

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Il ventaglio giapponese di Giselda Rapisardi con la poesia dellaContessa Lara “Mezzogiorno”.

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Il ventaglio giapponese di Giselda Rapisardi con la poesia dellaContessa Lara “Mezzogiorno”.

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sorvegliare la non amante amata, non sa nulla di queimille amori che le rinfaccerà l’anno dopo. Anzi è sem-pre più fervido, sempre più insistente, sempre più avido,nonostante la debolezza della sua salute. Il Rapisardiquando sua moglie s’è allontanata da lui crede finalmen-te che la decenne sete potrà essere soddisfatta e che laContessa Lara sarà ben lieta di trovare un asilo e il vittoassicurato nella casa del poeta. Ma la Contessa Lara èuccel di bosco, vuol essere libera e lieta, non si lasciaaddomesticare; promette, sì, di andare a Catania a visita-re l’amico, non già di dedicargli un amore che non ave-va mai provato per lui nemmeno ai giorni delle primegalanterie. E allora il dignitoso poeta le rinfaccia il mil-lesimo amore. E poichè il primo era stato quello perBennati, cosa aveva fatto Rapisardi in tutti quegli anni?Aveva assistito invidiando e fremendo al passaggio diquella carovana felice? E aveva scritto dei versi cosìfiammanti di passione? E delle lettere così roride di dol-cezza? Con tutti quei Proci che l’avranno guardato, am-miccando allegramente fra loro?

No, siamo giusti. Anche fra il Rapisardi e la ContessaLara, fu la donna che si dimostrò più leale, più sincera,più generosa.

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sorvegliare la non amante amata, non sa nulla di queimille amori che le rinfaccerà l’anno dopo. Anzi è sem-pre più fervido, sempre più insistente, sempre più avido,nonostante la debolezza della sua salute. Il Rapisardiquando sua moglie s’è allontanata da lui crede finalmen-te che la decenne sete potrà essere soddisfatta e che laContessa Lara sarà ben lieta di trovare un asilo e il vittoassicurato nella casa del poeta. Ma la Contessa Lara èuccel di bosco, vuol essere libera e lieta, non si lasciaaddomesticare; promette, sì, di andare a Catania a visita-re l’amico, non già di dedicargli un amore che non ave-va mai provato per lui nemmeno ai giorni delle primegalanterie. E allora il dignitoso poeta le rinfaccia il mil-lesimo amore. E poichè il primo era stato quello perBennati, cosa aveva fatto Rapisardi in tutti quegli anni?Aveva assistito invidiando e fremendo al passaggio diquella carovana felice? E aveva scritto dei versi cosìfiammanti di passione? E delle lettere così roride di dol-cezza? Con tutti quei Proci che l’avranno guardato, am-miccando allegramente fra loro?

No, siamo giusti. Anche fra il Rapisardi e la ContessaLara, fu la donna che si dimostrò più leale, più sincera,più generosa.

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CAPITOLO QUINTO.

Nella redazione del Nabab. – Nuovo amore e nuova vita. – La fa-miglia degli animali. – Due lettere a Ferdinando Martini. – Lecronache nella Tribuna illustrata. – Riva Trigoso. – La clamorosa

fuga di Padlewski.

La Contessa Lara, estremamente miope, teneva sem-pre l’occhialetto con la mano sinistra leggendo o scri-vendo. Un giorno del gennaio 1885 correggeva in un uf-ficio di giornale le bozze di un suo articolo, e un giova-nissimo collega s’era offerto galantemente di aiutarla.Ciò avveniva nella redazione del Nabab, e Enrico Pan-zacchi che ne era il direttore esclamò vedendo accostatesul tavolo di lavoro la testa bionda della signora e quellamorata del giovanotto: «Che magnifico contrasto!»

Si rise, si finirono di correggere le bozze, e quando laContessa Lara se ne andò salutando il collega, lo invitòad andare a trovarla, perchè una viva simpatia era sortafra loro. Il giovane bruno – minore di dodici anni dellasignora – era stato subito conquistato dal fascino irresi-stibile di lei ed aveva provato anche una tenerezza pie-tosa verso quell’eroina di un fosco dramma, che ora sidibatteva in aspra lotta con la vita, sola e così piccola,fragile, circondata di leggende strane, di simpatia e av-

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CAPITOLO QUINTO.

Nella redazione del Nabab. – Nuovo amore e nuova vita. – La fa-miglia degli animali. – Due lettere a Ferdinando Martini. – Lecronache nella Tribuna illustrata. – Riva Trigoso. – La clamorosa

fuga di Padlewski.

La Contessa Lara, estremamente miope, teneva sem-pre l’occhialetto con la mano sinistra leggendo o scri-vendo. Un giorno del gennaio 1885 correggeva in un uf-ficio di giornale le bozze di un suo articolo, e un giova-nissimo collega s’era offerto galantemente di aiutarla.Ciò avveniva nella redazione del Nabab, e Enrico Pan-zacchi che ne era il direttore esclamò vedendo accostatesul tavolo di lavoro la testa bionda della signora e quellamorata del giovanotto: «Che magnifico contrasto!»

Si rise, si finirono di correggere le bozze, e quando laContessa Lara se ne andò salutando il collega, lo invitòad andare a trovarla, perchè una viva simpatia era sortafra loro. Il giovane bruno – minore di dodici anni dellasignora – era stato subito conquistato dal fascino irresi-stibile di lei ed aveva provato anche una tenerezza pie-tosa verso quell’eroina di un fosco dramma, che ora sidibatteva in aspra lotta con la vita, sola e così piccola,fragile, circondata di leggende strane, di simpatia e av-

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versione, di amore e disprezzo. Gli parve buona e dolce,come una bambina un po’ sperduta, e le volle subitobene con un senso di fraterna protezione e di cavalleriaaffettuosa.

Si rividero spesso in redazione, e siccome ella avevabisogno di lavorare molto per provvedere al suo pane,egli, siciliano, presentò al Giornale di Sicilia degli arti-coli di lei che furono accolti con tutti gli onori; qualchevolta accadeva pure che egli le indicasse i soggetti piùadatti per i lettori dell’isola. Quando la Contessa Laraandò a Parma ospite d’una sua amica, la contessa degliAschieri, scriveva al compagno rimasto in Roma

«Parma, 16 marzo ’86.

«Dove vi avranno nascosto perchè le mie lettere nonvi giungono più? Vi prego, una buona parola. Dopo do-mani sono a Milano.

aff. LINA».

E ancora:

«Milano, 17 marzo ’86.

«Caro, come vi ringrazio di quella striscia di cartacosì piena di cose gentili e commoventi! Iersera giunsiqui, alle cinque, stanca, affranta, malata e sopratutto tri-ste da credere di morire. Ma di tutte queste scelleratecose non si muore, quando l’ora del riposo non è ancorasuonata. A Milano ho tanto da fare e sempre cose anti-

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versione, di amore e disprezzo. Gli parve buona e dolce,come una bambina un po’ sperduta, e le volle subitobene con un senso di fraterna protezione e di cavalleriaaffettuosa.

Si rividero spesso in redazione, e siccome ella avevabisogno di lavorare molto per provvedere al suo pane,egli, siciliano, presentò al Giornale di Sicilia degli arti-coli di lei che furono accolti con tutti gli onori; qualchevolta accadeva pure che egli le indicasse i soggetti piùadatti per i lettori dell’isola. Quando la Contessa Laraandò a Parma ospite d’una sua amica, la contessa degliAschieri, scriveva al compagno rimasto in Roma

«Parma, 16 marzo ’86.

«Dove vi avranno nascosto perchè le mie lettere nonvi giungono più? Vi prego, una buona parola. Dopo do-mani sono a Milano.

aff. LINA».

E ancora:

«Milano, 17 marzo ’86.

«Caro, come vi ringrazio di quella striscia di cartacosì piena di cose gentili e commoventi! Iersera giunsiqui, alle cinque, stanca, affranta, malata e sopratutto tri-ste da credere di morire. Ma di tutte queste scelleratecose non si muore, quando l’ora del riposo non è ancorasuonata. A Milano ho tanto da fare e sempre cose anti-

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patiche. Una sola cara: quella passeggiata nel desertodei morti più pia di tutti i pellegrinaggi a’ santuari dellaMadonna. E pregherò per voi, come mi raccomandaste.Anzi pregherò per vostra madre, sarà meglio. Grazie ditutto. Aveste l’articolo? Che lungaggine eh? Non mi parvero di tornare a Roma, con un simulacro di casa. Lavo-rerò un po’ meglio, mi darete dei buoni consigli, mi ri-parlerete del molto bene che v’ispiro non ostante tutti imiei difetti, anche quelli che mi attribuite senza che limeriti.

«Starò qua tutto lunedì e forse martedì in parte. Scri-vetemi a Parma, ve ne prego tanto.

«Una strettona di manovostra LINA».

Dopo Parma e Milano la Contessa Lara si fermò peralcuni giorni a Firenze per affittare ammobiliato il suoquartierino di Via delle Caldaie, consegnandolo per lasorveglianza alla fedele cameriera Rosina. Ormai Roma,accentratrice, attirava anche la poetessa nella sua vitafebbrile, dove c’era più possibilità di lavoro e di guada-gno. Ricominciò il melanconico pellegrinaggio per ca-mere ammobiliate, finchè si stabilì per parecchio tempoin Via dei Mille.

Un’altra volta gli diceva

«Caro.... V’ho aspettato fin ora ma adesso bisognache fugga perchè debbo mettere in ordine la mia camerada studente. Vi lascio queste bozze perchè le rivediate;

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patiche. Una sola cara: quella passeggiata nel desertodei morti più pia di tutti i pellegrinaggi a’ santuari dellaMadonna. E pregherò per voi, come mi raccomandaste.Anzi pregherò per vostra madre, sarà meglio. Grazie ditutto. Aveste l’articolo? Che lungaggine eh? Non mi parvero di tornare a Roma, con un simulacro di casa. Lavo-rerò un po’ meglio, mi darete dei buoni consigli, mi ri-parlerete del molto bene che v’ispiro non ostante tutti imiei difetti, anche quelli che mi attribuite senza che limeriti.

«Starò qua tutto lunedì e forse martedì in parte. Scri-vetemi a Parma, ve ne prego tanto.

«Una strettona di manovostra LINA».

Dopo Parma e Milano la Contessa Lara si fermò peralcuni giorni a Firenze per affittare ammobiliato il suoquartierino di Via delle Caldaie, consegnandolo per lasorveglianza alla fedele cameriera Rosina. Ormai Roma,accentratrice, attirava anche la poetessa nella sua vitafebbrile, dove c’era più possibilità di lavoro e di guada-gno. Ricominciò il melanconico pellegrinaggio per ca-mere ammobiliate, finchè si stabilì per parecchio tempoin Via dei Mille.

Un’altra volta gli diceva

«Caro.... V’ho aspettato fin ora ma adesso bisognache fugga perchè debbo mettere in ordine la mia camerada studente. Vi lascio queste bozze perchè le rivediate;

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per conto mio vi ho dato uno sguardo. Stasera io pranzoa casa Bottini. Favorite venire a prendermi lì verso le 8e mezzo, cioè dopo il vostro pranzo. Mille cose affettuo-se.

LINA».

L’amicizia col giovane bruno, che scriveva egli puredei versi, divenne ben presto amore, e quando la Linadovè, nel 1886, andare a Firenze per affari, scrisseall’amico:

«Firenze, 3 dic. ’86.

«O amor mio, amor mio, amor mio!«Tu certo salutandomi mi lasciasti addosso i divini

occhi innamorati, ma io, te lo giuro, ho lasciato l’animamia nella tua dolce anima.... Ed è perchè mi trovosenz’anima che son così triste non è vero, mio...?

«A Firenze piove, piove, piove, e fa un freddo da Si-beria. Io, non ostante il fuoco e la pelliccia tremo comeun povero piccolo Ouistiti senza il compagno dolce efido che se lo riscaldi corpo a corpo.

Piove, son sola, mi fa freddo, vieni!

«Questo verso, tu lo ricordi, era della Contessa Lara,una pazzerella, adesso è della tua mogliettina, una buo-na figliuola che ti adora, credilo.

«Your’s for ever and something more.LINA».

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per conto mio vi ho dato uno sguardo. Stasera io pranzoa casa Bottini. Favorite venire a prendermi lì verso le 8e mezzo, cioè dopo il vostro pranzo. Mille cose affettuo-se.

LINA».

L’amicizia col giovane bruno, che scriveva egli puredei versi, divenne ben presto amore, e quando la Linadovè, nel 1886, andare a Firenze per affari, scrisseall’amico:

«Firenze, 3 dic. ’86.

«O amor mio, amor mio, amor mio!«Tu certo salutandomi mi lasciasti addosso i divini

occhi innamorati, ma io, te lo giuro, ho lasciato l’animamia nella tua dolce anima.... Ed è perchè mi trovosenz’anima che son così triste non è vero, mio...?

«A Firenze piove, piove, piove, e fa un freddo da Si-beria. Io, non ostante il fuoco e la pelliccia tremo comeun povero piccolo Ouistiti senza il compagno dolce efido che se lo riscaldi corpo a corpo.

Piove, son sola, mi fa freddo, vieni!

«Questo verso, tu lo ricordi, era della Contessa Lara,una pazzerella, adesso è della tua mogliettina, una buo-na figliuola che ti adora, credilo.

«Your’s for ever and something more.LINA».

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Page 166: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

E mentre prima ai direttori di giornali e riviste chestampavano in fondo agli articoli e ai versi, alle novelle,Contessa Lara in corsivo, ella diceva: «Non scrivete incorsivo: Contessa Lara è ormai il mio nome, io non hoche quello e tutti gli altri sono dimenticati, ora per que-sto amore si chiamerà nuovamente Lina ed anche tuamoglie.»

Il giovane bruno deve raggiungerla per pochi giorni aFirenze da dove andranno poi in una breve gita a Torinoper una conferenza di lui; e torneranno insieme a Romaper cominciare quella vita d’amore, di lavoro, di colla-borazione, di felicità che durò molti anni e che parve ilporto quieto e sereno nella vita agitata della poetessa.Nell’attesa a Firenze gli scrisse:

«Firenze, 5 dic. 1886, domenica.

«Mio.... Non so se queste parole ti giungeranno aRoma ma voglio che il mio pensiero ti giunga caldo, de-sideroso, appassionato.

«M’ebbi stamani la tua cartolina. Ti raccomando inproposito di non servirti più di cartoline in favor mio.Le odio.

«Ti aspetto domani, e con quale ansia tu solo al mon-do puoi capirlo.

«Verrò alle 7 alla stazione.«Ti amo da perderne il senno.

Tua moglie».

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E mentre prima ai direttori di giornali e riviste chestampavano in fondo agli articoli e ai versi, alle novelle,Contessa Lara in corsivo, ella diceva: «Non scrivete incorsivo: Contessa Lara è ormai il mio nome, io non hoche quello e tutti gli altri sono dimenticati, ora per que-sto amore si chiamerà nuovamente Lina ed anche tuamoglie.»

Il giovane bruno deve raggiungerla per pochi giorni aFirenze da dove andranno poi in una breve gita a Torinoper una conferenza di lui; e torneranno insieme a Romaper cominciare quella vita d’amore, di lavoro, di colla-borazione, di felicità che durò molti anni e che parve ilporto quieto e sereno nella vita agitata della poetessa.Nell’attesa a Firenze gli scrisse:

«Firenze, 5 dic. 1886, domenica.

«Mio.... Non so se queste parole ti giungeranno aRoma ma voglio che il mio pensiero ti giunga caldo, de-sideroso, appassionato.

«M’ebbi stamani la tua cartolina. Ti raccomando inproposito di non servirti più di cartoline in favor mio.Le odio.

«Ti aspetto domani, e con quale ansia tu solo al mon-do puoi capirlo.

«Verrò alle 7 alla stazione.«Ti amo da perderne il senno.

Tua moglie».

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A Roma la Contessa Lara andò ad abitare un elegantequartierino in Piazza Montedoro, e lavorò moltissimo alCorriere di Roma di Scarfoglio e della Serao, al Caffarodi Genova, al Fracassa, al Fanfulla della domenica fon-dato da Ferdinando Martini e diretto da Eugenio Chec-chi e in seguito alla Illustrazione Italiana dei Treves, alMargherita, alla Tribuna Illustrata. Scrisse in questianni, dal 1886 al 1895, Così è, raccolta di novelle;L’innamorata, romanzo; Novelle di Natale; Una fami-glia di topi; Il romanzo della bambola.

E pubblicò ancora Storie d’amore e di dolore, novel-le. Continuava a scrivere versi, usciti poi in volume, conprefazione di Luigi Donati, pochi mesi dopo la morte,ben ch’ella fosse d’accordo con l’editore Galli di Mila-no fin dal giugno ’94.

Vita semplice, serena, modesta per la Contessa Laraed il suo amico. Collaborazione nell’operosità letterariae giornalistica. Un ristretto numero di amici si riunivaspesso nella casa dei due poeti dove si faceva della buo-na musica. La Lina suonava il pianoforte, il marcheseLonghi, cavaliere di Malta, notevole figura dell’aristo-crazia nera, il violoncello. Talvolta anche si cantava.L’artista marchese Longhi faceva alla signora una cortegarbata di muta adorazione, della quale la Lina, pur es-sendo con lui affettuosa e gentile, sorrideva discreta-mente. Frequentavano la casa Arturo Graf e B. Zumbiniquando erano a Roma; Angelo De Gubernatis, PeppinoTurco, la contessa Elena Soderini Cotogni, la contessadegli Aschieri, lo scultore americano Moë Ezekiel, il

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A Roma la Contessa Lara andò ad abitare un elegantequartierino in Piazza Montedoro, e lavorò moltissimo alCorriere di Roma di Scarfoglio e della Serao, al Caffarodi Genova, al Fracassa, al Fanfulla della domenica fon-dato da Ferdinando Martini e diretto da Eugenio Chec-chi e in seguito alla Illustrazione Italiana dei Treves, alMargherita, alla Tribuna Illustrata. Scrisse in questianni, dal 1886 al 1895, Così è, raccolta di novelle;L’innamorata, romanzo; Novelle di Natale; Una fami-glia di topi; Il romanzo della bambola.

E pubblicò ancora Storie d’amore e di dolore, novel-le. Continuava a scrivere versi, usciti poi in volume, conprefazione di Luigi Donati, pochi mesi dopo la morte,ben ch’ella fosse d’accordo con l’editore Galli di Mila-no fin dal giugno ’94.

Vita semplice, serena, modesta per la Contessa Laraed il suo amico. Collaborazione nell’operosità letterariae giornalistica. Un ristretto numero di amici si riunivaspesso nella casa dei due poeti dove si faceva della buo-na musica. La Lina suonava il pianoforte, il marcheseLonghi, cavaliere di Malta, notevole figura dell’aristo-crazia nera, il violoncello. Talvolta anche si cantava.L’artista marchese Longhi faceva alla signora una cortegarbata di muta adorazione, della quale la Lina, pur es-sendo con lui affettuosa e gentile, sorrideva discreta-mente. Frequentavano la casa Arturo Graf e B. Zumbiniquando erano a Roma; Angelo De Gubernatis, PeppinoTurco, la contessa Elena Soderini Cotogni, la contessadegli Aschieri, lo scultore americano Moë Ezekiel, il

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pittore Boggiani, lo scultore Niccolini, la pittrice AnnaForti, Pierre Loti, Pierre de Nolhac, Clovis Hugues, lapittrice giapponese O’Tamà Chiovara, che dipinse su unpannello dello studio della Lara una mirabile fantasia ditopi bianchi e pezzati.

In un articolo pubblicato il 23 dicembre 1927 sulMessaggero, Febea a proposito della Contessa Lara e diquegli anni ci dice: «Niente di quella vita zingaresca chela leggenda della cronaca ha voluto accoppiare alla irre-golarità del suo stato civile! La sua casa era ben tenuta ebene organizzata: il modesto compenso del suo gran la-voro, sempre parsimoniosamente amministrato. Chi vis-se in comunione di studio e di lavoro con lei per moltis-simi anni, vorrà testimoniare con me queste sue attitudi-ni squisitamente femminili – e signorili – che le faceva-no attirare in casa ad intime riunioni, a pranzi, a ceneben serviti, scrittori ed artisti – assiduo fra tutti LuigiCapuana, che l’adorava – e distintissime signore con iloro legittimi mariti».

Riceveva anche scrittori stranieri, fra cui Pierre Loti,ogni volta che si recava a Roma. Ispirati da MadameChrysanthème la Contessa Lara scrisse nelle sue Crona-che Femminili sulla Tribuna Illustrata del 1892, questiversi che non si trovano raccolti in volume:

Ella ha interrotta l’ontaE or che dormeA braccia aperte, mutaSembra un’enorme

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pittore Boggiani, lo scultore Niccolini, la pittrice AnnaForti, Pierre Loti, Pierre de Nolhac, Clovis Hugues, lapittrice giapponese O’Tamà Chiovara, che dipinse su unpannello dello studio della Lara una mirabile fantasia ditopi bianchi e pezzati.

In un articolo pubblicato il 23 dicembre 1927 sulMessaggero, Febea a proposito della Contessa Lara e diquegli anni ci dice: «Niente di quella vita zingaresca chela leggenda della cronaca ha voluto accoppiare alla irre-golarità del suo stato civile! La sua casa era ben tenuta ebene organizzata: il modesto compenso del suo gran la-voro, sempre parsimoniosamente amministrato. Chi vis-se in comunione di studio e di lavoro con lei per moltis-simi anni, vorrà testimoniare con me queste sue attitudi-ni squisitamente femminili – e signorili – che le faceva-no attirare in casa ad intime riunioni, a pranzi, a ceneben serviti, scrittori ed artisti – assiduo fra tutti LuigiCapuana, che l’adorava – e distintissime signore con iloro legittimi mariti».

Riceveva anche scrittori stranieri, fra cui Pierre Loti,ogni volta che si recava a Roma. Ispirati da MadameChrysanthème la Contessa Lara scrisse nelle sue Crona-che Femminili sulla Tribuna Illustrata del 1892, questiversi che non si trovano raccolti in volume:

Ella ha interrotta l’ontaE or che dormeA braccia aperte, mutaSembra un’enorme

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Libellula abbattuta.Fuori dell’istoriataTenda a traforoChe lista la vetrataDi loti d’oroDorme pur la vallata.Dimmi, o pace infinitaChe il sogno culla,Che mai sogna, rapita,La mia fanciulla,E la valle fiorita?

*

C’era nella casa graziosa un gran terrazzo pieno difiori che la donna gentile coltivava, e c’era un piccoloserraglio di animali domestici. Si alzava di buon mattinoe indossata una semplice vestaglia quasi sempre azzurra,le sue prime cure erano per le bestie. Sul terrazzo stavauna grande gabbia a forma di pagoda con una trentinafra canarini, verdoni, e bengalini, deliziosi uccelletti chehanno il canto come il suono di un piccolo bùbbolo. Ep-poi sul trespolo troneggiava Paolo, il pappagallo verde,chiacchierone e insolente. E c’era Isella di razza slouki,che è un incrocio di levriera e di sciacallo, la quale erastata portata da Costantinopoli da un addetto all’amba-sciata francese. In un piccolo stanzino vivevano liberi

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Libellula abbattuta.Fuori dell’istoriataTenda a traforoChe lista la vetrataDi loti d’oroDorme pur la vallata.Dimmi, o pace infinitaChe il sogno culla,Che mai sogna, rapita,La mia fanciulla,E la valle fiorita?

*

C’era nella casa graziosa un gran terrazzo pieno difiori che la donna gentile coltivava, e c’era un piccoloserraglio di animali domestici. Si alzava di buon mattinoe indossata una semplice vestaglia quasi sempre azzurra,le sue prime cure erano per le bestie. Sul terrazzo stavauna grande gabbia a forma di pagoda con una trentinafra canarini, verdoni, e bengalini, deliziosi uccelletti chehanno il canto come il suono di un piccolo bùbbolo. Ep-poi sul trespolo troneggiava Paolo, il pappagallo verde,chiacchierone e insolente. E c’era Isella di razza slouki,che è un incrocio di levriera e di sciacallo, la quale erastata portata da Costantinopoli da un addetto all’amba-sciata francese. In un piccolo stanzino vivevano liberi

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una quantità di passerotti tutti col loro nome, e uno piùprepotente di tutti era chiamato dalla padrona l’assassi-no, e chi sa poi perchè. Vivevano liberi per la casa Misse Ilarin, i topi bianchi, i preferiti fra tutti.

Provenivano da due capostipiti battezzati da Vamba,che alla Contessa Lara ne aveva donati due discendenti,coi nomi di Ragusa e Moleti. Perchè Vamba, spirito as-sai bizzarro, aveva avuto quell’anno l’idea di regalareagli abbonati del Capitan Fracassa una coppia di topibianchi dividendo fra i due il doppio cognome delloscrittore palermitano Ragusa Moleti, assai noto per lasua attiva collaborazione nei giornali della capitale e percerte novelle di sapore verghiano. Nessuno si dovevaoccupare delle bestiole, eccettuata la signora, che cam-biava l’acqua nelle vaschette, e metteva i semi di giraso-le per Paolo, e il crespino, come chiamano questa erbet-ta nella campagna romana, per gli uccelli. Isella regolar-mente la sera del sabato era portata in riva al Tevere al-lora deserto e affidata a qualche soldato della casermavicina che per un po’ di denaro le faceva fare il bagno.Ilarin e Miss erano liberi di montare sulla spalla della si-gnora quando scriveva e di scorrazzare a loro agio fra ilibri e le carte.

Fiocco di neve, un bianco topolinoAffaccia fra le carteIl muso aguzzo; gli occhi di rubino

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una quantità di passerotti tutti col loro nome, e uno piùprepotente di tutti era chiamato dalla padrona l’assassi-no, e chi sa poi perchè. Vivevano liberi per la casa Misse Ilarin, i topi bianchi, i preferiti fra tutti.

Provenivano da due capostipiti battezzati da Vamba,che alla Contessa Lara ne aveva donati due discendenti,coi nomi di Ragusa e Moleti. Perchè Vamba, spirito as-sai bizzarro, aveva avuto quell’anno l’idea di regalareagli abbonati del Capitan Fracassa una coppia di topibianchi dividendo fra i due il doppio cognome delloscrittore palermitano Ragusa Moleti, assai noto per lasua attiva collaborazione nei giornali della capitale e percerte novelle di sapore verghiano. Nessuno si dovevaoccupare delle bestiole, eccettuata la signora, che cam-biava l’acqua nelle vaschette, e metteva i semi di giraso-le per Paolo, e il crespino, come chiamano questa erbet-ta nella campagna romana, per gli uccelli. Isella regolar-mente la sera del sabato era portata in riva al Tevere al-lora deserto e affidata a qualche soldato della casermavicina che per un po’ di denaro le faceva fare il bagno.Ilarin e Miss erano liberi di montare sulla spalla della si-gnora quando scriveva e di scorrazzare a loro agio fra ilibri e le carte.

Fiocco di neve, un bianco topolinoAffaccia fra le carteIl muso aguzzo; gli occhi di rubino

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Gab

ardo

Gab

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.M

ario

For

esi.

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Evelina Cattermole Mancini (1880).

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Evelina Cattermole Mancini (1880).

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Gira, e un pezzo di zuccheroVia si porta in disparte.30

*

Anche Abele Damiani e l’on. Nicola Fulci, con altriparlamentari, frequentavano la Contessa Lara. Quandol’on. Di Rudinì fu nominato Presidente del Consiglio,essa gli mandò un telegramma di rallegramenti, e il nuo-vo Capo del Governo andò in persona a ringraziarla nel-la sua casa di Via Federico Cesi, al numero 12. Questavisita, e i nomi delle persone che frequentavano la suacasa, dimostrano quanto la Contessa Lara, ora che si erarifatta una vita con la serietà del lavoro e dell’amore,fosse tenuta in considerazione e rispettata, e come fossedovuta a ignoranza e a maldicenza convenzionale certacronaca di gente piccola, in cui alla morte di lei si dice-va che era stata sempre fatta segno al dispregio, alla dif-fidenza, al ridicolo.

È vero che Gandolin il quale voleva bene alla Contes-sa Lara e la chiamava Voce d’oro ebbe a scrivere, pocotempo prima che la signora morisse (a proposito di unavviso che la Contessa Lara fece inserire nella piccolapubblicità di un giornale per rintracciare una bestiolache le era fuggita) un articoletto equivocamente faceto

30 CONTESSA LARA, Nuovi versi, Milano, Galli, 1899. (Di sera).

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Gira, e un pezzo di zuccheroVia si porta in disparte.30

*

Anche Abele Damiani e l’on. Nicola Fulci, con altriparlamentari, frequentavano la Contessa Lara. Quandol’on. Di Rudinì fu nominato Presidente del Consiglio,essa gli mandò un telegramma di rallegramenti, e il nuo-vo Capo del Governo andò in persona a ringraziarla nel-la sua casa di Via Federico Cesi, al numero 12. Questavisita, e i nomi delle persone che frequentavano la suacasa, dimostrano quanto la Contessa Lara, ora che si erarifatta una vita con la serietà del lavoro e dell’amore,fosse tenuta in considerazione e rispettata, e come fossedovuta a ignoranza e a maldicenza convenzionale certacronaca di gente piccola, in cui alla morte di lei si dice-va che era stata sempre fatta segno al dispregio, alla dif-fidenza, al ridicolo.

È vero che Gandolin il quale voleva bene alla Contes-sa Lara e la chiamava Voce d’oro ebbe a scrivere, pocotempo prima che la signora morisse (a proposito di unavviso che la Contessa Lara fece inserire nella piccolapubblicità di un giornale per rintracciare una bestiolache le era fuggita) un articoletto equivocamente faceto

30 CONTESSA LARA, Nuovi versi, Milano, Galli, 1899. (Di sera).

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Page 174: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

che provocò l’ilarità della gente: ma chi conobbe Gan-dolin sa come egli facesse dello spirito a cuor leggero,senza intenzione di offendere una donna, una collegagentile, che con quell’annuncio economico aveva com-messo una delle tante sue ingenuità che talvolta poteva-no magari rasentare il ridicolo ma non la mettevano cer-tamente in luce disonorevole.

*

Che la Contessa Lara avesse l’idea costante di una fa-miglia e sopratutto di un figlio suo vediamo parecchievolte testimoniato nella corrispondenza di anni e di ar-gomenti più lontani.

In una lettera dice:«Oh santa e dolce fissazione della famiglia! Oh! se il

primo uomo che amai non mi avesse trascurata!...»(1889, Roma, a Agrippina Bottini).

E molto prima, alla stessa amica, da Firenze nel 1880,poco dopo la morte della nonna, aveva scritto:

«....oh la famiglia! Credi che è questa per me una fis-sazione santa e dolce, eppure una tal gioia mi sarà persempre negata. In questo momento, come spesso mi ac-cade allorchè mi siedo per scrivere, gli occhi stanchi siposano sulla mia bambola.

«È questa l’ultima che la nonna adorata, la madre miaadottiva mi diede. L’ultima! e poi morì!

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che provocò l’ilarità della gente: ma chi conobbe Gan-dolin sa come egli facesse dello spirito a cuor leggero,senza intenzione di offendere una donna, una collegagentile, che con quell’annuncio economico aveva com-messo una delle tante sue ingenuità che talvolta poteva-no magari rasentare il ridicolo ma non la mettevano cer-tamente in luce disonorevole.

*

Che la Contessa Lara avesse l’idea costante di una fa-miglia e sopratutto di un figlio suo vediamo parecchievolte testimoniato nella corrispondenza di anni e di ar-gomenti più lontani.

In una lettera dice:«Oh santa e dolce fissazione della famiglia! Oh! se il

primo uomo che amai non mi avesse trascurata!...»(1889, Roma, a Agrippina Bottini).

E molto prima, alla stessa amica, da Firenze nel 1880,poco dopo la morte della nonna, aveva scritto:

«....oh la famiglia! Credi che è questa per me una fis-sazione santa e dolce, eppure una tal gioia mi sarà persempre negata. In questo momento, come spesso mi ac-cade allorchè mi siedo per scrivere, gli occhi stanchi siposano sulla mia bambola.

«È questa l’ultima che la nonna adorata, la madre miaadottiva mi diede. L’ultima! e poi morì!

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«L’ultimo tuo regalo, o nonna, posa al di sopra delmio scrittoio in una paniera colma di fiori e ai suoi latistanno due quadrucci dell’Addolorata e della Concezio-ne che tu mi regalasti il giorno in cui tu mi avvolgesti icapelloni biondi col nastro bianco, emblema della Cresi-ma e del candore. Oh, giorni beati, perchè sì rapidi ve nefuggiste? Ed essa, la bambola fredda ed insensibile miguarda, mi sorride: i suoi occhi melanconici e profondirimangono sbarrati, come privi d’espressione; e sullafronte stanca immobili alcuni riccioli biondi, ribelli allafolta e crespata capigliatura. Ma perchè non ho io la po-tenza di fondere questa cera? Di squarciare quel pettogelido e senza affanno per togliere i pochi stracci colo-rati, che tengono il posto del cuore insensibile e sosti-tuirli col mio, con un frammento di questo cuore sangui-noso e tenero? Oh! potessi imprimere il soffio della vitaa quella materia fredda e viscida e far muovere quegliocchietti buoni e dolci; aspirare da quella bocca tuttasorrisi l’alito caldo di un vero angelo. Potessi crearne unbambino mio, frutto delle mie viscere, e cogliere suquelle labbra il bacio dell’amore! Ma ella si muove: isuoi capelli che io ho così bene inanellati e profumati, siagitano; la sua bocca si schiude in un mesto sorriso, pro-nunzia una parola, un nome mamma.... Oh, Dio mio ab-biate compassione di me! Perdonate ad una misera crea-tura vostra, che solo commise un peccato d’amore: dol-ce e grave sì, ma crudelmente espiato. Vedete, io pian-go, soffro e imploro una grazia, una sola che potrà farmi

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«L’ultimo tuo regalo, o nonna, posa al di sopra delmio scrittoio in una paniera colma di fiori e ai suoi latistanno due quadrucci dell’Addolorata e della Concezio-ne che tu mi regalasti il giorno in cui tu mi avvolgesti icapelloni biondi col nastro bianco, emblema della Cresi-ma e del candore. Oh, giorni beati, perchè sì rapidi ve nefuggiste? Ed essa, la bambola fredda ed insensibile miguarda, mi sorride: i suoi occhi melanconici e profondirimangono sbarrati, come privi d’espressione; e sullafronte stanca immobili alcuni riccioli biondi, ribelli allafolta e crespata capigliatura. Ma perchè non ho io la po-tenza di fondere questa cera? Di squarciare quel pettogelido e senza affanno per togliere i pochi stracci colo-rati, che tengono il posto del cuore insensibile e sosti-tuirli col mio, con un frammento di questo cuore sangui-noso e tenero? Oh! potessi imprimere il soffio della vitaa quella materia fredda e viscida e far muovere quegliocchietti buoni e dolci; aspirare da quella bocca tuttasorrisi l’alito caldo di un vero angelo. Potessi crearne unbambino mio, frutto delle mie viscere, e cogliere suquelle labbra il bacio dell’amore! Ma ella si muove: isuoi capelli che io ho così bene inanellati e profumati, siagitano; la sua bocca si schiude in un mesto sorriso, pro-nunzia una parola, un nome mamma.... Oh, Dio mio ab-biate compassione di me! Perdonate ad una misera crea-tura vostra, che solo commise un peccato d’amore: dol-ce e grave sì, ma crudelmente espiato. Vedete, io pian-go, soffro e imploro una grazia, una sola che potrà farmi

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Page 176: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

dimenticare dolori e sventure, tutto.... È vero, sono mol-to colpevole e non posso levare fino a Voi i miei pensie-ri! Ma tu, nonna adorata, madre mia santa, che dal cielomi guardi e mi assisti, intercedi per me, e fa che le miepreci possano levarsi fino a Colui che affanna e che con-sola, fino a Colui che, sì pietosamente elargisce a noipovere anime le sue grazie.

«Pina mia, come soffro! eppur quanto bene mi fa iltuo amore, l’affetto innocente e dolce dei nostri bambiniadorati....».

Ella vuol talmente bene ai piccoli figli della sua ami-ca, Ferruccio ed Ezio, che li chiama i nostri bambiniadorati.

La pietà che la Contessa Lara ebbe per gli infelici fuinesauribile. Dette sempre più di quanto potesse, achiunque, e si adoperò per gli altri fino – certe volte – aprendersi la nomina d’importuna.

Ferdinando Martini poco prima della morte si ricordòdi queste mie ricerche alle quali qualche mese primaaveva contribuito con alcune notizie preziose e mi scris-se da Monsummano l’11 marzo 1928:

«....Sono chiuso in casa sotto la custodia del termosi-fone e per giunta costretto, com’Ella vede, a dettare perdar riposo ai miei poveri occhi.

«Nel rimettere un po’ d’ordine in questi giorni tra lemie carte, ho trovate due lettere della Contessa Lara, let-tere di raccomandazione per poveri artisti in miseria; sevuol vederle gliele spedirò....».

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dimenticare dolori e sventure, tutto.... È vero, sono mol-to colpevole e non posso levare fino a Voi i miei pensie-ri! Ma tu, nonna adorata, madre mia santa, che dal cielomi guardi e mi assisti, intercedi per me, e fa che le miepreci possano levarsi fino a Colui che affanna e che con-sola, fino a Colui che, sì pietosamente elargisce a noipovere anime le sue grazie.

«Pina mia, come soffro! eppur quanto bene mi fa iltuo amore, l’affetto innocente e dolce dei nostri bambiniadorati....».

Ella vuol talmente bene ai piccoli figli della sua ami-ca, Ferruccio ed Ezio, che li chiama i nostri bambiniadorati.

La pietà che la Contessa Lara ebbe per gli infelici fuinesauribile. Dette sempre più di quanto potesse, achiunque, e si adoperò per gli altri fino – certe volte – aprendersi la nomina d’importuna.

Ferdinando Martini poco prima della morte si ricordòdi queste mie ricerche alle quali qualche mese primaaveva contribuito con alcune notizie preziose e mi scris-se da Monsummano l’11 marzo 1928:

«....Sono chiuso in casa sotto la custodia del termosi-fone e per giunta costretto, com’Ella vede, a dettare perdar riposo ai miei poveri occhi.

«Nel rimettere un po’ d’ordine in questi giorni tra lemie carte, ho trovate due lettere della Contessa Lara, let-tere di raccomandazione per poveri artisti in miseria; sevuol vederle gliele spedirò....».

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Page 177: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

Naturalmente gliele chiesi e le ebbi da lui col suo ulti-mo saluto. Sono lettere al Martini Ministro della Pubbli-ca Istruzione:

«Roma, 9 maggio 1893.

«Eccellenza,

«Non domando l’onore di un’udienza dall’E. V. pernon rubare qualche prezioso minuto di più. Ma Le scri-vo, fiduciosa ch’Ella ascolterà benevolmente la mia cal-da preghiera.

«Si sa che il Ministero ha stabilita una certa sommaper l’acquisto di qualche opera d’arte che figuraall’Esposizione di Belle Arti.

«Ora io mi permetto di richiamare l’attenzione di V.E. sui quadri di Giuseppe Raggio, che nel catalogo sonosegnati co’ numeri 295, 296, 297, 298, 299; e special-mente sul 295 (Temporale con cavalli) una bellissimacosa.

«Questo pittore è un vecchio con una povera mogliepiù vecchia di lui; e muore di fame. Si figuri V. E. chesovente per non potere comprare altra tela, egli dipingesa tele già dipinte, seppellendo così sotto il nuovo stratodi colori delle egregie opere d’arte.

«È tanto miserabile, poverino, e tanto buono e pienod’entusiasmi giovanili!

«Quello che più lo strazia è il vedere patire la suavecchia compagna.

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Naturalmente gliele chiesi e le ebbi da lui col suo ulti-mo saluto. Sono lettere al Martini Ministro della Pubbli-ca Istruzione:

«Roma, 9 maggio 1893.

«Eccellenza,

«Non domando l’onore di un’udienza dall’E. V. pernon rubare qualche prezioso minuto di più. Ma Le scri-vo, fiduciosa ch’Ella ascolterà benevolmente la mia cal-da preghiera.

«Si sa che il Ministero ha stabilita una certa sommaper l’acquisto di qualche opera d’arte che figuraall’Esposizione di Belle Arti.

«Ora io mi permetto di richiamare l’attenzione di V.E. sui quadri di Giuseppe Raggio, che nel catalogo sonosegnati co’ numeri 295, 296, 297, 298, 299; e special-mente sul 295 (Temporale con cavalli) una bellissimacosa.

«Questo pittore è un vecchio con una povera mogliepiù vecchia di lui; e muore di fame. Si figuri V. E. chesovente per non potere comprare altra tela, egli dipingesa tele già dipinte, seppellendo così sotto il nuovo stratodi colori delle egregie opere d’arte.

«È tanto miserabile, poverino, e tanto buono e pienod’entusiasmi giovanili!

«Quello che più lo strazia è il vedere patire la suavecchia compagna.

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Page 178: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

«Io che conosco molto l’infelice coppia ho pensato discrivere all’E. V. che col suo gusto artistico e col suogran cuore può aiutare il vecchio Raggio e acquistareun’opera veramente degna.

«Sarà per me un piacere, meglio una consolazione dicui fin d’ora voglio ringraziare dall’anima V. E. confer-mandoLe la mia profonda devozione.

CONTESSA LARA».

(Senza data.)«Eccellenza,

«Il biglietto così buono e cortese di V. E. mi ha riem-pito il cuore di speranza per il povero vecchio Raggio.

«Non ho risposto prima a ringraziare vivamente,come oggi faccio, l’E. V. perchè non volendo infastidirlacon troppi miei scritti, ho atteso a ricordarLe adesso,che sarebbe il momento opportuno – perchè l’Esposizio-ne sta per chiudersi e si fanno gli acquisti – la promessapietosa fatta da V. E.

«Additare dal Ministro – e un ministro Martini! –un’opera d’arte alla Commissione, gli è come dimostra-re che S. E. desidera che quella opera venga scelta. Epoi v’è una somma, non è vero? di cui V. E. dispone asuo piacere senza bisogno di consultare alcuno.

«Abbia carità di quei due vecchi, Eccellenza, pensiche ne allieta gli ultimi giorni. Soffrono proprio la fame,creda; e con tanta dignità e rassegnazione. Io, proprio honell’E. V. la massima fiducia, e mi pare che non avrò

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«Io che conosco molto l’infelice coppia ho pensato discrivere all’E. V. che col suo gusto artistico e col suogran cuore può aiutare il vecchio Raggio e acquistareun’opera veramente degna.

«Sarà per me un piacere, meglio una consolazione dicui fin d’ora voglio ringraziare dall’anima V. E. confer-mandoLe la mia profonda devozione.

CONTESSA LARA».

(Senza data.)«Eccellenza,

«Il biglietto così buono e cortese di V. E. mi ha riem-pito il cuore di speranza per il povero vecchio Raggio.

«Non ho risposto prima a ringraziare vivamente,come oggi faccio, l’E. V. perchè non volendo infastidirlacon troppi miei scritti, ho atteso a ricordarLe adesso,che sarebbe il momento opportuno – perchè l’Esposizio-ne sta per chiudersi e si fanno gli acquisti – la promessapietosa fatta da V. E.

«Additare dal Ministro – e un ministro Martini! –un’opera d’arte alla Commissione, gli è come dimostra-re che S. E. desidera che quella opera venga scelta. Epoi v’è una somma, non è vero? di cui V. E. dispone asuo piacere senza bisogno di consultare alcuno.

«Abbia carità di quei due vecchi, Eccellenza, pensiche ne allieta gli ultimi giorni. Soffrono proprio la fame,creda; e con tanta dignità e rassegnazione. Io, proprio honell’E. V. la massima fiducia, e mi pare che non avrò

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Page 179: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

pregato invano. Consideri V. E. ch’io sono tra pochi chenon Le hanno mai chiesto nulla! E mi contenti questavolta, comprando Temporale con cavalli (295).

«La ringrazio con tutto il cuore, e ho l’onore di rinno-varle i sensi di tutta la mia devozione. Di V. E.

CONTESSA LARA».

*

Sono curiose a rileggere le cronache intitolate Il sa-lotto della Signora che la Contessa Lara scriveva rego-larmente nella Tribuna Illustrata diretta da Eugenio Ru-bichi, più di trent’anni or sono. Ella si occupava di arte,di poesia e moltissimo di moda. Le assidue lettrici lechiedono consigli per esempio contro i capelli che im-biancano, e lei risponde:

«Care signore, per conto mio ho veduto talvolta per-sone giovanissime con le chiome filettate d’argento, ecerte belle signore (oh mia adorata Olga) che, così tuttecandide, sembrano tante marchese Pompadour incipria-te, sono, secondo il mio gusto, deliziose a guardarsi».

L’adorata Olga è la signora Olga Ossani sposata aLuigi Lodi, la vivacissima giornalista che firmava DiegoDe Miranda, Carbonilla, Febea. Quest’ultimo pseudoni-mo è quello che la scrittrice adopera tuttavia. Fu redat-trice del Fracassa, del Don Chisciotte, e collaboratricedi molti altri giornali e riviste. A poco più di vent’anni

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pregato invano. Consideri V. E. ch’io sono tra pochi chenon Le hanno mai chiesto nulla! E mi contenti questavolta, comprando Temporale con cavalli (295).

«La ringrazio con tutto il cuore, e ho l’onore di rinno-varle i sensi di tutta la mia devozione. Di V. E.

CONTESSA LARA».

*

Sono curiose a rileggere le cronache intitolate Il sa-lotto della Signora che la Contessa Lara scriveva rego-larmente nella Tribuna Illustrata diretta da Eugenio Ru-bichi, più di trent’anni or sono. Ella si occupava di arte,di poesia e moltissimo di moda. Le assidue lettrici lechiedono consigli per esempio contro i capelli che im-biancano, e lei risponde:

«Care signore, per conto mio ho veduto talvolta per-sone giovanissime con le chiome filettate d’argento, ecerte belle signore (oh mia adorata Olga) che, così tuttecandide, sembrano tante marchese Pompadour incipria-te, sono, secondo il mio gusto, deliziose a guardarsi».

L’adorata Olga è la signora Olga Ossani sposata aLuigi Lodi, la vivacissima giornalista che firmava DiegoDe Miranda, Carbonilla, Febea. Quest’ultimo pseudoni-mo è quello che la scrittrice adopera tuttavia. Fu redat-trice del Fracassa, del Don Chisciotte, e collaboratricedi molti altri giornali e riviste. A poco più di vent’anni

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Febea aveva già i capelli tutti candidi, meravigliosocontrasto con la freschezza del volto gentile e dei vivaci,ridenti, luminosi occhi bruni.

E a proposito di capelli corti una certa signora Don-wina chiedeva alla Contessa Lara:

«Sono amante delle mode semplici. Ora vorrei sape-re: quella di portare, noi signore, i capelli corti rasati earricciati come se ne veggono così spesso, massime trale inglesi, è bella, è da adottarsi? La signora Matilde Se-rao veggo che l’ha adottata, ed io desidererei spiegazio-ni perchè la credo cosa molto comoda ed anche bella.Sarei lieta, se questa moda dei capelli rasati o arricciatiprendesse voga tra le signore, senza che chi l’adottassedapprima potesse passare per eccentrica».

La Contessa Lara rispondeva:«Comincio col dichiarare assolutamente di non aver

mai vista una donna co’ capelli rasati tranne delle pove-rine che avevano sofferto qualche grave malattia, e cheper conservare almeno la radice dei capelli che cadeva-no in abbondanza, s’eran determinate a farsi trattare daun parrucchiere come tanti coscritti. Ma fin che le chio-me non avevano raggiunti due o tre dita di lunghezza, lesignore portavano coraggiosamente una parrucca fattacon arte perfetta e le donne povere nella impossibilità dispendere assai, avvolgevano il capo nudo in un fazzolet-to, in una sciarpa, infine si coprivano come meglio pote-vano.

«E appunto per conservare i propri capelli ch’ella hanaturalmente lunghi e magnifici, la mia geniale amica

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Febea aveva già i capelli tutti candidi, meravigliosocontrasto con la freschezza del volto gentile e dei vivaci,ridenti, luminosi occhi bruni.

E a proposito di capelli corti una certa signora Don-wina chiedeva alla Contessa Lara:

«Sono amante delle mode semplici. Ora vorrei sape-re: quella di portare, noi signore, i capelli corti rasati earricciati come se ne veggono così spesso, massime trale inglesi, è bella, è da adottarsi? La signora Matilde Se-rao veggo che l’ha adottata, ed io desidererei spiegazio-ni perchè la credo cosa molto comoda ed anche bella.Sarei lieta, se questa moda dei capelli rasati o arricciatiprendesse voga tra le signore, senza che chi l’adottassedapprima potesse passare per eccentrica».

La Contessa Lara rispondeva:«Comincio col dichiarare assolutamente di non aver

mai vista una donna co’ capelli rasati tranne delle pove-rine che avevano sofferto qualche grave malattia, e cheper conservare almeno la radice dei capelli che cadeva-no in abbondanza, s’eran determinate a farsi trattare daun parrucchiere come tanti coscritti. Ma fin che le chio-me non avevano raggiunti due o tre dita di lunghezza, lesignore portavano coraggiosamente una parrucca fattacon arte perfetta e le donne povere nella impossibilità dispendere assai, avvolgevano il capo nudo in un fazzolet-to, in una sciarpa, infine si coprivano come meglio pote-vano.

«E appunto per conservare i propri capelli ch’ella hanaturalmente lunghi e magnifici, la mia geniale amica

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Matilde Serao ne tagliò corte le ciocche ondulate, nondopo una malattia per fortuna, ma per una causa patolo-gica dipendente dalla maternità. Dopo alcun tempo,però, Matilde ha lasciato tornare a crescere la sua fore-sta nera.31 Bella la capigliatura corta? Secondo me no,perchè ha carattere eminentemente maschile: ciò chenon si addice affatto alla donna. Comoda, oh, sì, moltocomoda per chi non soltanto non vuole studiare le ac-conciature da eseguirsi, ma nemmeno ha tempo da con-sacrare al lisciamento dei capelli lunghi così facili adaggrovigliarsi, massime a letto. Le studentesse russe etedesche, precisamente perchè debbono dare tutte le oreai libri, adottano per la maggior parte la pettinatura viri-le. Ma vien fatto di dire guardandole:

« — Oh, che testolina da nikilista!«In conclusione, se gli è soltanto per comodità che la

signora Donwina vorrebbe tagliarsi i capelli non lo fac-cia. Le insegno io una pettinatura sbrigativa ed in paritempo artistica: la mia. Io, davvero, non ho tempo daperdere allo specchio; e perciò rialzo tutti i capelli in ungran torciglione che avvolgo, su, lasciando uscire dalcentro, solamente le punte ricciute. Per l’ora del pranzo,poi, si può aggiungere da un lato del torciglione un fiorefresco, o due giri d’uno stretto nastro che s’annoda, vici-no alla nuca, sotto i brevi riccioli.

31 Delle capigliature lunghe la Serao rimase fino all’ultimo assertrice con-vinta. Si veda il suo pittoresco ed eloquente articolo contro i capelli alla ga-rçonne e in lode della chioma di Maria Maddalena pubblicato col titolo Finitala vecchiaia, nel Secolo di Milano il l° settembre 1925.

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Matilde Serao ne tagliò corte le ciocche ondulate, nondopo una malattia per fortuna, ma per una causa patolo-gica dipendente dalla maternità. Dopo alcun tempo,però, Matilde ha lasciato tornare a crescere la sua fore-sta nera.31 Bella la capigliatura corta? Secondo me no,perchè ha carattere eminentemente maschile: ciò chenon si addice affatto alla donna. Comoda, oh, sì, moltocomoda per chi non soltanto non vuole studiare le ac-conciature da eseguirsi, ma nemmeno ha tempo da con-sacrare al lisciamento dei capelli lunghi così facili adaggrovigliarsi, massime a letto. Le studentesse russe etedesche, precisamente perchè debbono dare tutte le oreai libri, adottano per la maggior parte la pettinatura viri-le. Ma vien fatto di dire guardandole:

« — Oh, che testolina da nikilista!«In conclusione, se gli è soltanto per comodità che la

signora Donwina vorrebbe tagliarsi i capelli non lo fac-cia. Le insegno io una pettinatura sbrigativa ed in paritempo artistica: la mia. Io, davvero, non ho tempo daperdere allo specchio; e perciò rialzo tutti i capelli in ungran torciglione che avvolgo, su, lasciando uscire dalcentro, solamente le punte ricciute. Per l’ora del pranzo,poi, si può aggiungere da un lato del torciglione un fiorefresco, o due giri d’uno stretto nastro che s’annoda, vici-no alla nuca, sotto i brevi riccioli.

31 Delle capigliature lunghe la Serao rimase fino all’ultimo assertrice con-vinta. Si veda il suo pittoresco ed eloquente articolo contro i capelli alla ga-rçonne e in lode della chioma di Maria Maddalena pubblicato col titolo Finitala vecchiaia, nel Secolo di Milano il l° settembre 1925.

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«Pas plus malin que ça. Ma non mutilazioni per cari-tà; è un peccato d’estetica che la donna commette, e ol-tre di ciò mi sembra ch’ella acquisti un aspetto che nonmi va».

Chi sa cosa avrebbe detto oggi la Contessa Lara contutte le teste femminili più o meno alla garçonne.

*

Passò parecchie estati a Riva Trigoso.Riva Trigoso oggi è un paese come un altro qualun-

que, con tante fabbriche, e cantieri e fumaioli, sulla Ri-viera di Levante, ma allora, quando la Contessa Lara loscoprì, era un delizioso villaggio con poche case di pe-scatori sulla scogliera incantevole e, dietro, un boscoprofondo, quasi selvaggio. Essa vi andava in compagniadel suo amico; prendevano in affitto una casa di pochestanze, una di quelle modeste ma pulitissime cased’americani (gli emigranti tornati col gruzzolodall’America) dove ella metteva la nota personale conlibri, con qualche stoffa, con ritratti, con fiori; e viveva-no lieti e liberi una vita semplice, sana, magnifica, fra ilmare e il bosco, ritemprandosi dell’affaticante lavorocittadino e sognando belle fantasie per la vita e per lamorte. C’era – e certo c’è ancora – un grande scoglio aRiva Trigoso, solitario, a poche braccia dalla spiaggia,liscio, con la superficie piana a guisa d’uno zoccolo, e

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«Pas plus malin que ça. Ma non mutilazioni per cari-tà; è un peccato d’estetica che la donna commette, e ol-tre di ciò mi sembra ch’ella acquisti un aspetto che nonmi va».

Chi sa cosa avrebbe detto oggi la Contessa Lara contutte le teste femminili più o meno alla garçonne.

*

Passò parecchie estati a Riva Trigoso.Riva Trigoso oggi è un paese come un altro qualun-

que, con tante fabbriche, e cantieri e fumaioli, sulla Ri-viera di Levante, ma allora, quando la Contessa Lara loscoprì, era un delizioso villaggio con poche case di pe-scatori sulla scogliera incantevole e, dietro, un boscoprofondo, quasi selvaggio. Essa vi andava in compagniadel suo amico; prendevano in affitto una casa di pochestanze, una di quelle modeste ma pulitissime cased’americani (gli emigranti tornati col gruzzolodall’America) dove ella metteva la nota personale conlibri, con qualche stoffa, con ritratti, con fiori; e viveva-no lieti e liberi una vita semplice, sana, magnifica, fra ilmare e il bosco, ritemprandosi dell’affaticante lavorocittadino e sognando belle fantasie per la vita e per lamorte. C’era – e certo c’è ancora – un grande scoglio aRiva Trigoso, solitario, a poche braccia dalla spiaggia,liscio, con la superficie piana a guisa d’uno zoccolo, e

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l’immaginosa poetessa sognava, quando che fosse, diessere seppellita lì col suo amore, cullata eternamentedal gran coro delle acque marine. E cantò Riva Trigoso.

Sì, lasciamoli qui, chiusi nell’ombra,I libri, ove severiRisognan anco i tuoi vecchi poeti:Qui nella stanza ingombraD’ampi scaffali neriChe son del viver tuo l’ansie e i segreti.

Lasciamoli: e si corra al bosco, al mare.O mare, o bosco, io chiedoAi vostri aliti freschi un soffio nuovo.Stanca son di lottareContro chi mai non vedo:Il mio Fato, che innanzi ognor mi trovo

Inesorabilmente. E vo’ godereOggi, vo’ un’ora sanaTra piante auguste, in faccia al mare immenso;A lunghi sorsi bereBramo l’odor ch’emanaIl pino e l’alga: odor sottile e intenso.

Ritornerem fanciulli. Io, su la riva,Scarpe e calze di setaMi torrò, sollevandomi la vesta,Perchè schiumante e vivaL’onda che mai s’acquetaDa torno al corpo mio sobbalzi in festa.

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l’immaginosa poetessa sognava, quando che fosse, diessere seppellita lì col suo amore, cullata eternamentedal gran coro delle acque marine. E cantò Riva Trigoso.

Sì, lasciamoli qui, chiusi nell’ombra,I libri, ove severiRisognan anco i tuoi vecchi poeti:Qui nella stanza ingombraD’ampi scaffali neriChe son del viver tuo l’ansie e i segreti.

Lasciamoli: e si corra al bosco, al mare.O mare, o bosco, io chiedoAi vostri aliti freschi un soffio nuovo.Stanca son di lottareContro chi mai non vedo:Il mio Fato, che innanzi ognor mi trovo

Inesorabilmente. E vo’ godereOggi, vo’ un’ora sanaTra piante auguste, in faccia al mare immenso;A lunghi sorsi bereBramo l’odor ch’emanaIl pino e l’alga: odor sottile e intenso.

Ritornerem fanciulli. Io, su la riva,Scarpe e calze di setaMi torrò, sollevandomi la vesta,Perchè schiumante e vivaL’onda che mai s’acquetaDa torno al corpo mio sobbalzi in festa.

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Tu, sciolta qualche barca agile, intantoEsperto al par d’un mozzo,Col petto al vento e al sole alto la facciaVogherai, nell’incantoDel marino singhiozzoChe del tuo remo seguirà la traccia;

Come la seguirà la mia canzoneGioconda ed auguraleRecata a te, tratto tratto dall’aria:Finchè, mio bruno alcioneEbbro di maestraleNon t’abbia ancor la sponda solitaria.32

Fra le carte della Contessa Lara furono ritrovati alcu-ni versi, il principio certo di una lirica (anche questa suRiva Trigoso) scritto dal giovane poeta che vi andava avilleggiare con lei:

Riva Trigoso! Una cerulea baiaOmbrata dalle due rupi ond’è stretta:Gozzi e tartane su la spiaggia, e abbaiaNella prim’alba un cane alla vedetta,Mentre le pinte case, in lunga schiera,Muovon ridendo verso la costiera;

Poi gradanti su su, selve montaneIn ampia chiostra vanno al ciel remoto;S’ode, a intervalli, un dondo di campaneVenir da qualche presbiterio ignoto,

32 Nuovi Versi.

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Tu, sciolta qualche barca agile, intantoEsperto al par d’un mozzo,Col petto al vento e al sole alto la facciaVogherai, nell’incantoDel marino singhiozzoChe del tuo remo seguirà la traccia;

Come la seguirà la mia canzoneGioconda ed auguraleRecata a te, tratto tratto dall’aria:Finchè, mio bruno alcioneEbbro di maestraleNon t’abbia ancor la sponda solitaria.32

Fra le carte della Contessa Lara furono ritrovati alcu-ni versi, il principio certo di una lirica (anche questa suRiva Trigoso) scritto dal giovane poeta che vi andava avilleggiare con lei:

Riva Trigoso! Una cerulea baiaOmbrata dalle due rupi ond’è stretta:Gozzi e tartane su la spiaggia, e abbaiaNella prim’alba un cane alla vedetta,Mentre le pinte case, in lunga schiera,Muovon ridendo verso la costiera;

Poi gradanti su su, selve montaneIn ampia chiostra vanno al ciel remoto;S’ode, a intervalli, un dondo di campaneVenir da qualche presbiterio ignoto,

32 Nuovi Versi.

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E un tumulto di rondini per l’ariaLustra su la marina solitaria.

*

La Contessa Lara aveva il motto: Al di là. A chi glie-ne chiese il significato rispose: «Può essere quello diuna perfetta credente, di una idealista per eccellenza o....d’una esagerata. Prendetelo come vi pare. Tale è e reste-rà, ve lo assicuro.»

E certo si addiceva così bene al suo carattere insoffe-rente di limiti, e anelante verso il mistero. Ma non di-sdegnava andare talvolta in cucina a preparare di suamano qualche manicaretto per rallegrare il pranzo conuna piacevole improvvisata.

Come doveva brillarle nell’anima la felicità conl’amore risorto, con la fiducia nella vita e in se stessa,con la sicurezza di essere aiutata, sorretta, difesa, se po-teva abbandonarsi così alla gioia della resurrezione! serispondendo ad un critico, che, pur essendole amico,aveva scherzosamente chiamati i suoi versi capricci inrima poteva scrivere:

Erraste, o amico: i versi miei di prima,Que’ che la dubbia vostra cortesia,Signorili chiamò capricci in rima,

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E un tumulto di rondini per l’ariaLustra su la marina solitaria.

*

La Contessa Lara aveva il motto: Al di là. A chi glie-ne chiese il significato rispose: «Può essere quello diuna perfetta credente, di una idealista per eccellenza o....d’una esagerata. Prendetelo come vi pare. Tale è e reste-rà, ve lo assicuro.»

E certo si addiceva così bene al suo carattere insoffe-rente di limiti, e anelante verso il mistero. Ma non di-sdegnava andare talvolta in cucina a preparare di suamano qualche manicaretto per rallegrare il pranzo conuna piacevole improvvisata.

Come doveva brillarle nell’anima la felicità conl’amore risorto, con la fiducia nella vita e in se stessa,con la sicurezza di essere aiutata, sorretta, difesa, se po-teva abbandonarsi così alla gioia della resurrezione! serispondendo ad un critico, che, pur essendole amico,aveva scherzosamente chiamati i suoi versi capricci inrima poteva scrivere:

Erraste, o amico: i versi miei di prima,Que’ che la dubbia vostra cortesia,Signorili chiamò capricci in rima,

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Page 186: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

Io, se accade che mai gli occhi vi fissi,Con maraviglia dolorosa e piaMi vo chiedendo s’io proprio li scrissi.

Ch’or non concedo all’agile pensieroQuell’inutile caccia d’ideale,Nè ch’ei si sfreni, procelloso e fiero,Su ’l cupo abisso affaticando l’ale.

E que’ versi rinnego.….. O fondo, o neroLago degli occhi suoi! Boccio carnaleDella sua bocca! O vivo, o solo, o veroMio splendido poema orientale!33

La poetessa vuol dire con ciò che i suoi nuovi versinon erano mero estetismo ma espressione di sentimentocaldo e sincero. Ed è tenera e dolce, umile come una po-vera donnina qualunque. Una volta è successo un picco-lo bisticcio fra i due, una cosa da nulla come una nuvoladi primavera. Sa che fra non molte ore il suo amico ri-tornerà dal lavoro, e la pace sarà fatta, forse nemmeno cisarà più il ricordo della disputa, ma la cara donna appas-sionata non può resistere all’idea ch’egli sia in collera egli manda una lettera al giornale, da piazza Montedorodove allora abitava.

33 Nuovi Versi.

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Io, se accade che mai gli occhi vi fissi,Con maraviglia dolorosa e piaMi vo chiedendo s’io proprio li scrissi.

Ch’or non concedo all’agile pensieroQuell’inutile caccia d’ideale,Nè ch’ei si sfreni, procelloso e fiero,Su ’l cupo abisso affaticando l’ale.

E que’ versi rinnego.….. O fondo, o neroLago degli occhi suoi! Boccio carnaleDella sua bocca! O vivo, o solo, o veroMio splendido poema orientale!33

La poetessa vuol dire con ciò che i suoi nuovi versinon erano mero estetismo ma espressione di sentimentocaldo e sincero. Ed è tenera e dolce, umile come una po-vera donnina qualunque. Una volta è successo un picco-lo bisticcio fra i due, una cosa da nulla come una nuvoladi primavera. Sa che fra non molte ore il suo amico ri-tornerà dal lavoro, e la pace sarà fatta, forse nemmeno cisarà più il ricordo della disputa, ma la cara donna appas-sionata non può resistere all’idea ch’egli sia in collera egli manda una lettera al giornale, da piazza Montedorodove allora abitava.

33 Nuovi Versi.

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Page 187: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

«Maggio, 1888.«Da casina nostra.

«Mio adorato,

«È impossibile che io stia fino a stasera con questaspina nel cuore. L’averti veduto uscire e non aver rice-vuto un bacio di saluto, il mio solito bacio benedetto chemi tiene compagnia fino al tuo ritorno, è stata cosa trop-po dolorosa. Mi sono fatta (si capisce!) un gran pianto –e ora sono qui ad aspettare una tua buona parola. Fammila carità di mandarmela, non tenermi così fino a stasera,te ne prego a mani giunte. Tu sai, io non sono come laS.... e per conseguenza non intendo di fare la direttrice.Sono così bonaria e casalinga e semplice io, desiderosasolo di ingerirmi del mio lavoro, che tu non avrai da la-gnarti di me, credilo.

«Ti copro di baci e aspetto una parolina che non vor-rai certamente negarmi.

Tua moglina.»

E sono di quell’epoca questi versi, semplici, sponta-nei, appassionati, che dicono la completa trasformazionedella vita e del sentimento della poetessa, innamorata edevota.

«. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Egli, fiero ma buono,

Ei giusto nel castigo, ma giusto nel perdono,Egli al mio corpo stanco, all’animo sgomento

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«Maggio, 1888.«Da casina nostra.

«Mio adorato,

«È impossibile che io stia fino a stasera con questaspina nel cuore. L’averti veduto uscire e non aver rice-vuto un bacio di saluto, il mio solito bacio benedetto chemi tiene compagnia fino al tuo ritorno, è stata cosa trop-po dolorosa. Mi sono fatta (si capisce!) un gran pianto –e ora sono qui ad aspettare una tua buona parola. Fammila carità di mandarmela, non tenermi così fino a stasera,te ne prego a mani giunte. Tu sai, io non sono come laS.... e per conseguenza non intendo di fare la direttrice.Sono così bonaria e casalinga e semplice io, desiderosasolo di ingerirmi del mio lavoro, che tu non avrai da la-gnarti di me, credilo.

«Ti copro di baci e aspetto una parolina che non vor-rai certamente negarmi.

Tua moglina.»

E sono di quell’epoca questi versi, semplici, sponta-nei, appassionati, che dicono la completa trasformazionedella vita e del sentimento della poetessa, innamorata edevota.

«. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Egli, fiero ma buono,

Ei giusto nel castigo, ma giusto nel perdono,Egli al mio corpo stanco, all’animo sgomento

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Page 188: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

Diede sicuro asilo, a una fiamma nel ventoLa sua mano e un rifugio. Oh, la dolcezza nuovaChe a dire: – Ho la mia casa! – un cor di donna prova!La tavola scolpita su cui leggo e lavoro,Quella molle ottomana, la cornicetta d’oroChe chiude le sembianze della mia vecchia madre,Quel gruppo di Sassonia, cento inezie leggiadre,Il desco ove al tramonto ambidue noi sediamoInterrompendo il pasto per dir: – Lo sai che t’amo?Il letto alto di trine dal padiglione azzurroDove il sonno mi coglie tra ’l confuso sussurroDi commosse ali d’angioli e di sogni d’amore,Tutto, tutto ei mi diede! Son beata, o Signore.»34

Quando il suo amico doveva lasciarla per andare inSicilia dai suoi o altrove per lavoro, essa gli scrivevagiornalmente lunghe tenere lettere appassionate narran-dogli con minuzia tutta la sua giornata che del resto tra-scorreva tranquilla, quasi sempre in casa, nella redazio-ne del Corriere di Roma, il giornale fondato da EduardoScarfoglio e da Matilde Serao, e di cui erano redattori,oltre la Contessa Lara, E. Boutet, G. A. Cesareo, Petraicronista e Lyonne disegnatore.

Raramente, e perchè il pranzo non fosse troppo me-lanconico, invitava qualche volta il buon Boutet: fu unadi queste volte che Eduardo Scarfoglio disse: «Ah! oratelegrafo al vostro amico.» E Matilde Serao, con unadelle sue risate indimenticabili aggiunse:

34 Nuovi versi (Egli ed Ella).

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Diede sicuro asilo, a una fiamma nel ventoLa sua mano e un rifugio. Oh, la dolcezza nuovaChe a dire: – Ho la mia casa! – un cor di donna prova!La tavola scolpita su cui leggo e lavoro,Quella molle ottomana, la cornicetta d’oroChe chiude le sembianze della mia vecchia madre,Quel gruppo di Sassonia, cento inezie leggiadre,Il desco ove al tramonto ambidue noi sediamoInterrompendo il pasto per dir: – Lo sai che t’amo?Il letto alto di trine dal padiglione azzurroDove il sonno mi coglie tra ’l confuso sussurroDi commosse ali d’angioli e di sogni d’amore,Tutto, tutto ei mi diede! Son beata, o Signore.»34

Quando il suo amico doveva lasciarla per andare inSicilia dai suoi o altrove per lavoro, essa gli scrivevagiornalmente lunghe tenere lettere appassionate narran-dogli con minuzia tutta la sua giornata che del resto tra-scorreva tranquilla, quasi sempre in casa, nella redazio-ne del Corriere di Roma, il giornale fondato da EduardoScarfoglio e da Matilde Serao, e di cui erano redattori,oltre la Contessa Lara, E. Boutet, G. A. Cesareo, Petraicronista e Lyonne disegnatore.

Raramente, e perchè il pranzo non fosse troppo me-lanconico, invitava qualche volta il buon Boutet: fu unadi queste volte che Eduardo Scarfoglio disse: «Ah! oratelegrafo al vostro amico.» E Matilde Serao, con unadelle sue risate indimenticabili aggiunse:

34 Nuovi versi (Egli ed Ella).

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Angelo Sommaruga.

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Angelo Sommaruga.

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Ces

ario

Tes

ta.

Ferd

inan

do F

onta

na.

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Ces

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— Bisogna telegrafare: Pranzo colpevole!Salda, buona amicizia c’era fra Matilde Serao e la

Contessa Lara, la quale rimase penosamente colpita unavolta che la Serao e il marito furono attaccati con grandeviolenza dalla Cronaca Rossa. E per dare in qualchemodo un compenso di consolazione alla Serao, scrivevaal suo amico di fare un grande articolo su RiccardoJoanna, il bel romanzo della scrittrice che usciva in queigiorni aggiungendo: «Povera Matilde! oggi le vogliodieci volte più bene.»

Quanta generosità in lei, sempre! Aveva facilmentedimenticata la cattiva recensione che la Serao aveva fat-ta ai suoi Versi. Mai rancore o invidia, mai gelosia peruna collega; anzi gioia del successo altrui, come di cosasua.

Era, come molti temperamenti ultra sensibili, super-stiziosa. Credeva al potere nefasto del venerdì, e non sisarebbe messa in treno in quel giorno per nessun moti-vo. Asseriva che, quando non volle crederci, ebbe apiangere con grande amarezza. Ed era certa di sentirearrivare le buone, come le cattive notizie. Di padre scoz-zese, diceva anche lei, come presumono di sè gli scoz-zesi, aveva una seconda vista. Se qualcuno sorrideva diquesta asserzione se ne aveva a male. Non sapeva nem-meno lei spiegarsi il fenomeno nè che nome dargli, maso che c’è – sosteneva – come sosteneva di possederequesta antiveggenza al supremo grado. Molte ore primadell’arrivo del simun i cammelli si arrestano in mezzo aldeserto fiutando l’aria, ricusano di andare innanzi e si

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— Bisogna telegrafare: Pranzo colpevole!Salda, buona amicizia c’era fra Matilde Serao e la

Contessa Lara, la quale rimase penosamente colpita unavolta che la Serao e il marito furono attaccati con grandeviolenza dalla Cronaca Rossa. E per dare in qualchemodo un compenso di consolazione alla Serao, scrivevaal suo amico di fare un grande articolo su RiccardoJoanna, il bel romanzo della scrittrice che usciva in queigiorni aggiungendo: «Povera Matilde! oggi le vogliodieci volte più bene.»

Quanta generosità in lei, sempre! Aveva facilmentedimenticata la cattiva recensione che la Serao aveva fat-ta ai suoi Versi. Mai rancore o invidia, mai gelosia peruna collega; anzi gioia del successo altrui, come di cosasua.

Era, come molti temperamenti ultra sensibili, super-stiziosa. Credeva al potere nefasto del venerdì, e non sisarebbe messa in treno in quel giorno per nessun moti-vo. Asseriva che, quando non volle crederci, ebbe apiangere con grande amarezza. Ed era certa di sentirearrivare le buone, come le cattive notizie. Di padre scoz-zese, diceva anche lei, come presumono di sè gli scoz-zesi, aveva una seconda vista. Se qualcuno sorrideva diquesta asserzione se ne aveva a male. Non sapeva nem-meno lei spiegarsi il fenomeno nè che nome dargli, maso che c’è – sosteneva – come sosteneva di possederequesta antiveggenza al supremo grado. Molte ore primadell’arrivo del simun i cammelli si arrestano in mezzo aldeserto fiutando l’aria, ricusano di andare innanzi e si

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coricano aspettando che li avvolga il sudario di sabbia.Così succedeva a lei quando doveva coglierla una sven-tura, e del pari avvertiva se una allegrezza le veniva in-contro.

Non usava quasi mai l’orologio; ne aveva uno bruni-to, grazioso, che lasciava sempre fermo; scriveva talvol-ta: «Debbono essere le nove perchè gli strilloni vannogridando: La Tribunaaaa.... seconda edizioneeee....» Op-pure: «Capisco dalla luce incerta e grigiognola che lamattina io debbo alzarmi molto presto, alle sei e mezzo,alle sei, non so. M’alzo attendendo la posta, tua. Tutte leore sono uguali, quando (ahimè!) non ti aspetto. Maavrò la tua lettera che è in viaggio. Le vanno incontro imiei ardenti desideri: Com’arabi cammelli a una fonta-na, diceva presso a poco il povero Emilio Praga».

E quanto le piaceva scrivere al suo amico! S’illudevadi parlargli fitto fitto, dolcemente, e che egli le fosse vi-cino e carezzevole, ed era umile, devota, quasi direi sen-za volontà; «Considerami, – gli diceva – come una cioc-ca dei tuoi capelli stessi: se tu domani mi dicessi: Lini-na, fa’ i bauli perchè andremo in Patagonia, io non ti do-manderei nè pure il perchè ci andiamo, ma, dopo diaverti baciato, mi metterei sorridente e tranquilla a fare ibauli. Ti piace che io sia così?» La Contessa Lara cheleggeva attentamente i giornali aveva avuto una forteimpressione, nel dicembre del 1886, della fuga dramma-tica di Padlewsky, l’assassino del generale Seliverstoff.

Il 19 settembre, a Parigi all’Hôtel de Bade, sul Boule-vard des Italiens alloggiava da una quindicina di giorni

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coricano aspettando che li avvolga il sudario di sabbia.Così succedeva a lei quando doveva coglierla una sven-tura, e del pari avvertiva se una allegrezza le veniva in-contro.

Non usava quasi mai l’orologio; ne aveva uno bruni-to, grazioso, che lasciava sempre fermo; scriveva talvol-ta: «Debbono essere le nove perchè gli strilloni vannogridando: La Tribunaaaa.... seconda edizioneeee....» Op-pure: «Capisco dalla luce incerta e grigiognola che lamattina io debbo alzarmi molto presto, alle sei e mezzo,alle sei, non so. M’alzo attendendo la posta, tua. Tutte leore sono uguali, quando (ahimè!) non ti aspetto. Maavrò la tua lettera che è in viaggio. Le vanno incontro imiei ardenti desideri: Com’arabi cammelli a una fonta-na, diceva presso a poco il povero Emilio Praga».

E quanto le piaceva scrivere al suo amico! S’illudevadi parlargli fitto fitto, dolcemente, e che egli le fosse vi-cino e carezzevole, ed era umile, devota, quasi direi sen-za volontà; «Considerami, – gli diceva – come una cioc-ca dei tuoi capelli stessi: se tu domani mi dicessi: Lini-na, fa’ i bauli perchè andremo in Patagonia, io non ti do-manderei nè pure il perchè ci andiamo, ma, dopo diaverti baciato, mi metterei sorridente e tranquilla a fare ibauli. Ti piace che io sia così?» La Contessa Lara cheleggeva attentamente i giornali aveva avuto una forteimpressione, nel dicembre del 1886, della fuga dramma-tica di Padlewsky, l’assassino del generale Seliverstoff.

Il 19 settembre, a Parigi all’Hôtel de Bade, sul Boule-vard des Italiens alloggiava da una quindicina di giorni

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Page 193: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

il generale russo Seliverstoff. Era stato aiutante di cam-po dello Zar, e direttore della famosa terza sezione dellaCancelleria imperiale, ossia della temuta ed esecrata po-lizia politica dell’autocrate di tutte le Russie. Il generale– ora in riposo – si diceva che facesse la spia e sorve-gliasse per conto dello Zar la condotta dei Granduchiparenti, nei loro soggiorni a Parigi. Si attribuiva a lui,recentemente, la condanna a morte di Sofia Gemsbourg.Del resto il generale stesso si vantava di aver mandatoin Siberia non meno di ventimila sospetti o condannatipolitici.

Stanislao Padlewsky era fuggito in Francia in seguitoa un complotto fallito contro lo Zar. Poteva avere trenta-cinque anni; grande, magro, dall’espressione scura, qua-si sinistra, negli occhi brillanti, mobilissimi, inquieti.Viveva aiutato da altri nichilisti, fra cui Mendelson; inuna soffitta aveva un letto di paglia, un cuscino da fiac-cheraio per guanciale, un tavolo greggio e una decrepitavaligia: nemmeno una sedia. L’odio di Padlewsky versoSeliverstoff era infinito perchè da lui era stato colpitonella famiglia e negli affetti e lo considerava peggioredel carnefice Trapoff.

Esisteva allora un circolo così detto franco-russo chein mancanza di più lauti mezzi prendeva il giovedì in af-fitto una sala: esso aveva nello statuto come scopo prin-cipale la propaganda a Parigi del genio artistico russo.Si dichiarava apolitico e aveva per motto Dio e lo Zar.L’articolo 3.° dello statuto diceva che: «non saranno tol-lerati attacchi contro la religione e contro le autorità».

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il generale russo Seliverstoff. Era stato aiutante di cam-po dello Zar, e direttore della famosa terza sezione dellaCancelleria imperiale, ossia della temuta ed esecrata po-lizia politica dell’autocrate di tutte le Russie. Il generale– ora in riposo – si diceva che facesse la spia e sorve-gliasse per conto dello Zar la condotta dei Granduchiparenti, nei loro soggiorni a Parigi. Si attribuiva a lui,recentemente, la condanna a morte di Sofia Gemsbourg.Del resto il generale stesso si vantava di aver mandatoin Siberia non meno di ventimila sospetti o condannatipolitici.

Stanislao Padlewsky era fuggito in Francia in seguitoa un complotto fallito contro lo Zar. Poteva avere trenta-cinque anni; grande, magro, dall’espressione scura, qua-si sinistra, negli occhi brillanti, mobilissimi, inquieti.Viveva aiutato da altri nichilisti, fra cui Mendelson; inuna soffitta aveva un letto di paglia, un cuscino da fiac-cheraio per guanciale, un tavolo greggio e una decrepitavaligia: nemmeno una sedia. L’odio di Padlewsky versoSeliverstoff era infinito perchè da lui era stato colpitonella famiglia e negli affetti e lo considerava peggioredel carnefice Trapoff.

Esisteva allora un circolo così detto franco-russo chein mancanza di più lauti mezzi prendeva il giovedì in af-fitto una sala: esso aveva nello statuto come scopo prin-cipale la propaganda a Parigi del genio artistico russo.Si dichiarava apolitico e aveva per motto Dio e lo Zar.L’articolo 3.° dello statuto diceva che: «non saranno tol-lerati attacchi contro la religione e contro le autorità».

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Tutto ciò naturalmente non era che una finzione bennota al generale Seliverstoff.

Questi sorvegliava Padlewsky, che era stato presenta-to al generale dal Conte Greppi, ex-ambasciatore italia-no a Pietroburgo. Padlewsky si offrì al Bernoff, gerentedel circolo franco-russo, per portare personalmente aSeliverstoff l’invito a una festa da ballo. Ci andò infatti,e gli sparò a venti centimetri di distanza un colpo nellatesta. Non fu udito nessun rumore. Quando il cameriereandò per annunziare al generale che la colazione erapronta, lo trovò disteso sul divano col volto insanguina-to. Non riacquistò più i sensi.

Si disse subito che l’assassino doveva essere il polac-co Padlewsky, ma non lo poterono arrestare benchè duegiorni dopo il delitto fosse stato visto in un caffè vicinoalla stazione del Nord mentre diceva a qualcuno: «Sì, èvero, sono stato io a uccidere Seliverstoff».

Frattanto il capo della polizia Garon aveva ricevutouna lettera, in cui si diceva che Padlewsky avrebbe fattosaltare il cervello a chi tentasse di prenderlo, che i nichi-listi russi avevano già condannato e giustiziato otto fun-zionari di polizia, e che ci voleva poco ad ucciderne unaltro.

La Contessa Lara era estranea a qualunque problemapolitico, ma il racconto della fuga di Padlewsky la entu-siasmò perchè veramente fu organizzata e svolta in unmodo sorprendente. Il 13 dicembre L’Éclair pubblicòuna dichiarazione a firma del giornalista Giorgio La-bruyère, che si vantava d’aver fatto evadere il Padlew-

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Tutto ciò naturalmente non era che una finzione bennota al generale Seliverstoff.

Questi sorvegliava Padlewsky, che era stato presenta-to al generale dal Conte Greppi, ex-ambasciatore italia-no a Pietroburgo. Padlewsky si offrì al Bernoff, gerentedel circolo franco-russo, per portare personalmente aSeliverstoff l’invito a una festa da ballo. Ci andò infatti,e gli sparò a venti centimetri di distanza un colpo nellatesta. Non fu udito nessun rumore. Quando il cameriereandò per annunziare al generale che la colazione erapronta, lo trovò disteso sul divano col volto insanguina-to. Non riacquistò più i sensi.

Si disse subito che l’assassino doveva essere il polac-co Padlewsky, ma non lo poterono arrestare benchè duegiorni dopo il delitto fosse stato visto in un caffè vicinoalla stazione del Nord mentre diceva a qualcuno: «Sì, èvero, sono stato io a uccidere Seliverstoff».

Frattanto il capo della polizia Garon aveva ricevutouna lettera, in cui si diceva che Padlewsky avrebbe fattosaltare il cervello a chi tentasse di prenderlo, che i nichi-listi russi avevano già condannato e giustiziato otto fun-zionari di polizia, e che ci voleva poco ad ucciderne unaltro.

La Contessa Lara era estranea a qualunque problemapolitico, ma il racconto della fuga di Padlewsky la entu-siasmò perchè veramente fu organizzata e svolta in unmodo sorprendente. Il 13 dicembre L’Éclair pubblicòuna dichiarazione a firma del giornalista Giorgio La-bruyère, che si vantava d’aver fatto evadere il Padlew-

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sky aggiungendo che questi era stato indisturbato a Pari-gi dal 18 novembre giorno dell’assassinio, fino al 3 di-cembre giorno della fuga.

Labruyère aveva immaginata la storia di un duelloch’egli doveva avere in Tirolo e lo aveva fatto annuncia-re sui giornali. Padlewsky, travestito e truccato, partìcon Labruyère la sera del 3 qualificandosi per medico.Alla stazione di Lione, Labruyère presentò l’omicidacome suo medico a un ispettore di polizia che li racco-mandò tutti e due al direttore della dogana di Modane.Dopo Torino, Milano, Venezia, e i due andarono a Trie-ste, dove Padlewsky s’imbarcò per l’America mentreLabruyère ritornò a Parigi. Fino a Modane i due eranostati accompagnati dal socialista rivoluzionario FernandGrégoire. Tutte le spese furono sostenute dall’Éclair.

Il Labruyère dichiarava di aver compiuta l’impresaper dimostrare che i reporters francesi valevano quelliinglesi e americani. Lo scandalo fu enorme. Qualchegiornale fra cui l’Autorité insinuò che il ministrodell’interno Constant ci avesse messo lo zampino persbarazzarsi di Padlewsky ed evitare così un processoseccante.

Garon, capo della polizia, sosteneva che il fuggitivonon fosse Padlewsky; ma l’Éclair, oltre a mettere a di-sposizione la somma di 10 000 franchi per chi potesseprovare il contrario, pubblicò una dichiarazione di La-bruyère che sul suo onore accertava il fatto come com-pletamente vero.

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sky aggiungendo che questi era stato indisturbato a Pari-gi dal 18 novembre giorno dell’assassinio, fino al 3 di-cembre giorno della fuga.

Labruyère aveva immaginata la storia di un duelloch’egli doveva avere in Tirolo e lo aveva fatto annuncia-re sui giornali. Padlewsky, travestito e truccato, partìcon Labruyère la sera del 3 qualificandosi per medico.Alla stazione di Lione, Labruyère presentò l’omicidacome suo medico a un ispettore di polizia che li racco-mandò tutti e due al direttore della dogana di Modane.Dopo Torino, Milano, Venezia, e i due andarono a Trie-ste, dove Padlewsky s’imbarcò per l’America mentreLabruyère ritornò a Parigi. Fino a Modane i due eranostati accompagnati dal socialista rivoluzionario FernandGrégoire. Tutte le spese furono sostenute dall’Éclair.

Il Labruyère dichiarava di aver compiuta l’impresaper dimostrare che i reporters francesi valevano quelliinglesi e americani. Lo scandalo fu enorme. Qualchegiornale fra cui l’Autorité insinuò che il ministrodell’interno Constant ci avesse messo lo zampino persbarazzarsi di Padlewsky ed evitare così un processoseccante.

Garon, capo della polizia, sosteneva che il fuggitivonon fosse Padlewsky; ma l’Éclair, oltre a mettere a di-sposizione la somma di 10 000 franchi per chi potesseprovare il contrario, pubblicò una dichiarazione di La-bruyère che sul suo onore accertava il fatto come com-pletamente vero.

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E la Contessa Lara, in una fervida lettera al suo amicodiceva: «Hai vista la fuga di Padlewsky? È stata unacosa così cavalleresca e poco del nostro tempo che nesono entusiasta.

«Il nichilismo è la sola idealità di questa fine di seco-lo, secondo me. Non ho ragione?»

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E la Contessa Lara, in una fervida lettera al suo amicodiceva: «Hai vista la fuga di Padlewsky? È stata unacosa così cavalleresca e poco del nostro tempo che nesono entusiasta.

«Il nichilismo è la sola idealità di questa fine di seco-lo, secondo me. Non ho ragione?»

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CAPITOLO SESTO.

L’opera poetica della Contessa Lara. – Dall’individualismoromantico alla serietà tranquilla e operosa. – Versi. – E ancora

versi. – Nuovi versi.

L’opera più importante della Contessa Lara è senzadubbio quella poetica, e di questa soltanto ci occupere-mo, pur senza negare che il romanzo L’Innamorata,dove si narra la passione di una cavallerizza di circo, edove certe scene come quella dell’orgia sono ben colori-te e rilevate, abbia un certo interesse, e senza negareogni pregio alle tre raccolte di novelle Così è, Storied’amore e di dolore, Racconti di Natale, benchè sieno infondo un miscuglio di realismo alla Verga e di sentimen-talismo alla De Amicis. Scrisse anche due libri per bam-bini: Il romanzo della bambola illustrato da quel pittoreche doveva poi ucciderla e Una famiglia di topi cheoggi è al settantesimo migliaio. Storiella che ha grazioseosservazioni su quegli animali; lettura gradevole per laprima infanzia.

Ma anche la sua prosa interessa sopratutto per le qua-lità liriche che la animano; l’amore per gli animali e pergli oppressi, lo spirito di rivolta contro le menzogne so-ciali, la delicata sensibilità, la fantasia agilissima vi si ri-

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CAPITOLO SESTO.

L’opera poetica della Contessa Lara. – Dall’individualismoromantico alla serietà tranquilla e operosa. – Versi. – E ancora

versi. – Nuovi versi.

L’opera più importante della Contessa Lara è senzadubbio quella poetica, e di questa soltanto ci occupere-mo, pur senza negare che il romanzo L’Innamorata,dove si narra la passione di una cavallerizza di circo, edove certe scene come quella dell’orgia sono ben colori-te e rilevate, abbia un certo interesse, e senza negareogni pregio alle tre raccolte di novelle Così è, Storied’amore e di dolore, Racconti di Natale, benchè sieno infondo un miscuglio di realismo alla Verga e di sentimen-talismo alla De Amicis. Scrisse anche due libri per bam-bini: Il romanzo della bambola illustrato da quel pittoreche doveva poi ucciderla e Una famiglia di topi cheoggi è al settantesimo migliaio. Storiella che ha grazioseosservazioni su quegli animali; lettura gradevole per laprima infanzia.

Ma anche la sua prosa interessa sopratutto per le qua-lità liriche che la animano; l’amore per gli animali e pergli oppressi, lo spirito di rivolta contro le menzogne so-ciali, la delicata sensibilità, la fantasia agilissima vi si ri-

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velano espresse talvolta in una forma comunicativa as-sai grande, tanto da far dimenticare il difetto fondamen-tale, cioè la scarsa profondità nell’osservazione e lo stu-dio superficiale dei caratteri, più pensati che veramentesentiti; più assimilati involontariamente da altri autori,che creazioni complete e nuove.

Lasciamo al critico, se uno ce ne sarà, l’esamedell’opera completa della Contessa Lara. Noi ci occu-piamo solamente delle liriche perchè la donna vi espri-me con sincerità ogni sentimento della sua anima e dellasua vita, sicchè nei tre volumi di versi è rispecchiato in-teramente il suo carattere.

*

Nel primo volume che le diede fama, dopo Canti eGhirlande di cui già parlammo, il carattere fantastico diquesta scrittrice si rivelò pienamente, procurandole fra ilettori contemporanei ammiratori e adoratori, poi dile-guati, finchè, con eccesso uguale all’esaltazione d’allo-ra, non rimase a ricordarla che qualche spirito melanco-nico e pensoso. Sorte questa di tante poetesse, compresala nostra maggiore Gaspara Stampa.

L’impallidire della sua fortuna può spiegarsi in partecoi suoi difetti. Essa non ebbe una vera, esclusiva, pre-potente vocazione per la poesia; non la considerò comel’intima sua vita o come il suo linguaggio naturale, la

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velano espresse talvolta in una forma comunicativa as-sai grande, tanto da far dimenticare il difetto fondamen-tale, cioè la scarsa profondità nell’osservazione e lo stu-dio superficiale dei caratteri, più pensati che veramentesentiti; più assimilati involontariamente da altri autori,che creazioni complete e nuove.

Lasciamo al critico, se uno ce ne sarà, l’esamedell’opera completa della Contessa Lara. Noi ci occu-piamo solamente delle liriche perchè la donna vi espri-me con sincerità ogni sentimento della sua anima e dellasua vita, sicchè nei tre volumi di versi è rispecchiato in-teramente il suo carattere.

*

Nel primo volume che le diede fama, dopo Canti eGhirlande di cui già parlammo, il carattere fantastico diquesta scrittrice si rivelò pienamente, procurandole fra ilettori contemporanei ammiratori e adoratori, poi dile-guati, finchè, con eccesso uguale all’esaltazione d’allo-ra, non rimase a ricordarla che qualche spirito melanco-nico e pensoso. Sorte questa di tante poetesse, compresala nostra maggiore Gaspara Stampa.

L’impallidire della sua fortuna può spiegarsi in partecoi suoi difetti. Essa non ebbe una vera, esclusiva, pre-potente vocazione per la poesia; non la considerò comel’intima sua vita o come il suo linguaggio naturale, la

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funzione suprema del suo spirito. La poesia non ful’esclusiva dominatrice a cui ella fosse costretta ad ob-bedire con ardore e smarrimento d’estasi. Non la sentìmai come una forza terribile e divina che afferri tuttal’anima e a cui bisogna piegare con umiltà e con entu-siasmo.

Per la Contessa Lara la poesia fu spesso un giuocoelegante, un ornamento maggiore al suo fascino di belladonna, un’arte di sedurre, o nel migliore dei casi unaconfidente sottomessa e discreta.

Probabilmente, senza la tragedia di Milano, la Con-tessa Lara sarebbe rimasta la corteggiata e raffinata si-gnora, moglie del brillante capitano dei bersaglieri, nuo-ra di un ministro e luminare del foro italiano, che avreb-be scritto ogni tanto dei versi da recitare nei salotti allamoda.

Poi fu anche il bisogno di guadagno che indusse lapoetessa a raccogliere le sue poesie sparse e a compornedelle nuove per mettere insieme il volume che AngeloSommaruga pubblicò nel 1883.

Rileggendo questo libro sentiamo subito che sonoversi di una signora mondana coi difetti e le qualità chenecessariamente le s’accompagnano. Buon gusto, senti-mento delicato d’arte, vivacità d’immagini, spesso spun-ti originali, tocchi commossi, guizzi di passione, figuree paesaggi di disegno preciso; ma in generale un tono dileggerezza graziosa, di vagabondo capriccio fantastico,di volubilità. Vampate di sentimentalismo e punte d’iro-nia, un non so che di superficiale e di labile: spesso

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funzione suprema del suo spirito. La poesia non ful’esclusiva dominatrice a cui ella fosse costretta ad ob-bedire con ardore e smarrimento d’estasi. Non la sentìmai come una forza terribile e divina che afferri tuttal’anima e a cui bisogna piegare con umiltà e con entu-siasmo.

Per la Contessa Lara la poesia fu spesso un giuocoelegante, un ornamento maggiore al suo fascino di belladonna, un’arte di sedurre, o nel migliore dei casi unaconfidente sottomessa e discreta.

Probabilmente, senza la tragedia di Milano, la Con-tessa Lara sarebbe rimasta la corteggiata e raffinata si-gnora, moglie del brillante capitano dei bersaglieri, nuo-ra di un ministro e luminare del foro italiano, che avreb-be scritto ogni tanto dei versi da recitare nei salotti allamoda.

Poi fu anche il bisogno di guadagno che indusse lapoetessa a raccogliere le sue poesie sparse e a compornedelle nuove per mettere insieme il volume che AngeloSommaruga pubblicò nel 1883.

Rileggendo questo libro sentiamo subito che sonoversi di una signora mondana coi difetti e le qualità chenecessariamente le s’accompagnano. Buon gusto, senti-mento delicato d’arte, vivacità d’immagini, spesso spun-ti originali, tocchi commossi, guizzi di passione, figuree paesaggi di disegno preciso; ma in generale un tono dileggerezza graziosa, di vagabondo capriccio fantastico,di volubilità. Vampate di sentimentalismo e punte d’iro-nia, un non so che di superficiale e di labile: spesso

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manca un interesse vero, profondo, per un amore o perun dolore. In generale il tono è piano, borghese, rottoogni tanto da uno scoppio enfatico di esaltazione roman-tica così di moda a quel tempo. E più che a poesia pro-priamente detta, molte volte ci troviamo di fronte ad an-notazioni poetiche di una bella signora impulsiva e mu-tabile.

È certo significativo che fra queste poesie non ve nesia nemmeno una ispirata alla tragica avventura che di-struggendo il suo avvenire aveva spezzato la vita a Ben-nati di Baylon.35 Invece molti sonetti sono la rievocazio-ne spesso felice della sua vita coniugale; ma la sposanon vi si mostra nè seriamente innamorata del marito,nè offesa o sdegnata dei tradimenti di lui; quando glipare d’amarlo ancora, ha l’accento del momentaneo ca-priccio. Quando è gelosa mette il broncio come unabambina, e sembra che finisca col perdonare qualche in-fedeltà sol perchè sarebbe provinciale fare il contrario.In un sonetto è descritto un litigio fra i due:

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Perch’egli l’ama quella donna, è certo,Se n’ha un mucchio di fogli e di ritrattiA dispetto di quanto io n’ho sofferto.

Lui sgrida, lei piange. Nel seguente sonetto sono ancorain collera. Egli stuzzica la legna nel caminetto e fa il so-

35 Qualcuno accusò la Lara di cinismo a proposito del sonetto Dopo ilduello pubblicato nel volume E ancora versi attribuendolo, erroneamente, alcaso personale della poetessa.

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manca un interesse vero, profondo, per un amore o perun dolore. In generale il tono è piano, borghese, rottoogni tanto da uno scoppio enfatico di esaltazione roman-tica così di moda a quel tempo. E più che a poesia pro-priamente detta, molte volte ci troviamo di fronte ad an-notazioni poetiche di una bella signora impulsiva e mu-tabile.

È certo significativo che fra queste poesie non ve nesia nemmeno una ispirata alla tragica avventura che di-struggendo il suo avvenire aveva spezzato la vita a Ben-nati di Baylon.35 Invece molti sonetti sono la rievocazio-ne spesso felice della sua vita coniugale; ma la sposanon vi si mostra nè seriamente innamorata del marito,nè offesa o sdegnata dei tradimenti di lui; quando glipare d’amarlo ancora, ha l’accento del momentaneo ca-priccio. Quando è gelosa mette il broncio come unabambina, e sembra che finisca col perdonare qualche in-fedeltà sol perchè sarebbe provinciale fare il contrario.In un sonetto è descritto un litigio fra i due:

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Perch’egli l’ama quella donna, è certo,Se n’ha un mucchio di fogli e di ritrattiA dispetto di quanto io n’ho sofferto.

Lui sgrida, lei piange. Nel seguente sonetto sono ancorain collera. Egli stuzzica la legna nel caminetto e fa il so-

35 Qualcuno accusò la Lara di cinismo a proposito del sonetto Dopo ilduello pubblicato nel volume E ancora versi attribuendolo, erroneamente, alcaso personale della poetessa.

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stenuto. Lei gira per la stanza, aprendo un libro, toccan-do il piano, o guardando dalla finestra con melanconia:

E allor mi corre un brivido le veneE me gli accosto, e gli sussurro in faccia,Lo sai, Dio mio, ti voglio troppo bene!

Squisitamente femminile! Ma vi si capisce pure che lagelosia vi ha poca presa, come la passione vi ha poca se-rietà.

Altrove è lui che sospetta di lei, ed essa sdegna di-scolparsi e nervosa percuote col piede un levriere stesoin terra. Egli si muove per lasciarla, ed essa lo segue,fredda, altera, silenziosa:

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Ma dubitosi, in atto di preghiera,Si guardaron ne gli occhi in su la portaE disser sottovoce: a questa sera.

Istinti, dunque, più che sentimenti formano la vita inte-riore di questa fantasia; corolle lievi subito sbocciate,subito cadute, improvvisi bagliori subito spenti. Vi sonocerti quadretti deliziosi, ma la grande, complessa poesiadell’amore non c’è.

Per questo accade che anche degli altri amori a cuisono ispirate queste poesie, non rimane che il solo esemplice spunto, il dato lirico iniziale, quasi sempresuggestivo, penetrante, di grazia inimitabile, ma che cilascia perplessi, direi quasi insoddisfatti.

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stenuto. Lei gira per la stanza, aprendo un libro, toccan-do il piano, o guardando dalla finestra con melanconia:

E allor mi corre un brivido le veneE me gli accosto, e gli sussurro in faccia,Lo sai, Dio mio, ti voglio troppo bene!

Squisitamente femminile! Ma vi si capisce pure che lagelosia vi ha poca presa, come la passione vi ha poca se-rietà.

Altrove è lui che sospetta di lei, ed essa sdegna di-scolparsi e nervosa percuote col piede un levriere stesoin terra. Egli si muove per lasciarla, ed essa lo segue,fredda, altera, silenziosa:

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Ma dubitosi, in atto di preghiera,Si guardaron ne gli occhi in su la portaE disser sottovoce: a questa sera.

Istinti, dunque, più che sentimenti formano la vita inte-riore di questa fantasia; corolle lievi subito sbocciate,subito cadute, improvvisi bagliori subito spenti. Vi sonocerti quadretti deliziosi, ma la grande, complessa poesiadell’amore non c’è.

Per questo accade che anche degli altri amori a cuisono ispirate queste poesie, non rimane che il solo esemplice spunto, il dato lirico iniziale, quasi sempresuggestivo, penetrante, di grazia inimitabile, ma che cilascia perplessi, direi quasi insoddisfatti.

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Leggiamo per esempio il sonetto Confidenze.36

A l’ombra de le zàgare egli è natoLà giù là giù de ’l nostro suolo in fondo,Da un alito cocente accarezzato,Carezzato da ’l mar terso e profondo.

Poeta, strano, forte, innamorato,Due sole cose gli son care a ’l mondo,Gli son care ne i sogni: il veneratoMaterno capo, ed il mio capo biondo.

Senti, se vuoi saper come avvenìaCh’ei restasse di me sire e padrone:È un bozzetto che sa d’Andalusia.

Era di maggio un dì, su l’imbrunire,Ei mi gittò una rosa entro il balcone,Io la raccolsi, e mi sentii morire.

È il preludio di un idillio o di un dramma? E mi sentiimorire. E dopo? Amore? Passione? Angoscia, o sempli-cemente nulla? Spesso la Contessa Lara è così. Unospunto, il frammento di un poema perduto forse, e ilfantasma poetico rimane all’inizio e si dilegua nel nulla.Forma d’arte anche questa s’intende, ma non piena e as-soluta.

36 Questo sonetto non è stato scritto, come erroneamente qualcuno ha det-to, per Mario Rapisardi, bensì, per quell’amore passeggero, lo stesso che leaveva ispirato i versi: Io l’adoro: ei non m’ama, ecc.

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Leggiamo per esempio il sonetto Confidenze.36

A l’ombra de le zàgare egli è natoLà giù là giù de ’l nostro suolo in fondo,Da un alito cocente accarezzato,Carezzato da ’l mar terso e profondo.

Poeta, strano, forte, innamorato,Due sole cose gli son care a ’l mondo,Gli son care ne i sogni: il veneratoMaterno capo, ed il mio capo biondo.

Senti, se vuoi saper come avvenìaCh’ei restasse di me sire e padrone:È un bozzetto che sa d’Andalusia.

Era di maggio un dì, su l’imbrunire,Ei mi gittò una rosa entro il balcone,Io la raccolsi, e mi sentii morire.

È il preludio di un idillio o di un dramma? E mi sentiimorire. E dopo? Amore? Passione? Angoscia, o sempli-cemente nulla? Spesso la Contessa Lara è così. Unospunto, il frammento di un poema perduto forse, e ilfantasma poetico rimane all’inizio e si dilegua nel nulla.Forma d’arte anche questa s’intende, ma non piena e as-soluta.

36 Questo sonetto non è stato scritto, come erroneamente qualcuno ha det-to, per Mario Rapisardi, bensì, per quell’amore passeggero, lo stesso che leaveva ispirato i versi: Io l’adoro: ei non m’ama, ecc.

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In questo primo volume c’è molto il gusto del qua-dretto, dell’abbozzo, dello schizzo, come era di moda aquel tempo anche per opera di De Amicis, Stecchetti,Panzacchi ecc. Così la Contessa Lara ha una serie di di-segni in cui sono rappresentate con vivacità Elena, Gi-selda, Mascherine, o paesaggi come Cherasco, Domeni-ca, Viaggiando, o situazioni colte in momenti di pun-gente ironia, forse un po’ di maniera.

Più semplici e persuasive sono le poesie dove rievocala madre e la nonna con commosso rimpianto, o quelleche col tempo verranno più frequenti, in cui trema la no-stalgia di un amore

Casto, giocondo, tenero, sereno.

È nello sviluppo di questo germe, sempre vivo e presen-te nell’animo della poetessa, ch’ella troverà i suoi cantimigliori.

*

Il secondo volume pubblicato da Sersale a Firenze nel1886 s’intitola E ancora versi e può dirsi una continua-zione del primo. La medesima instabile fantasia che ac-cenna la sintesi creatrice senza avere la forza, o forseanche la pazienza, di concentrarvisi; tocchi felici e ba-sta. Quadretti di genere anche qui, che la poetessa chia-

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In questo primo volume c’è molto il gusto del qua-dretto, dell’abbozzo, dello schizzo, come era di moda aquel tempo anche per opera di De Amicis, Stecchetti,Panzacchi ecc. Così la Contessa Lara ha una serie di di-segni in cui sono rappresentate con vivacità Elena, Gi-selda, Mascherine, o paesaggi come Cherasco, Domeni-ca, Viaggiando, o situazioni colte in momenti di pun-gente ironia, forse un po’ di maniera.

Più semplici e persuasive sono le poesie dove rievocala madre e la nonna con commosso rimpianto, o quelleche col tempo verranno più frequenti, in cui trema la no-stalgia di un amore

Casto, giocondo, tenero, sereno.

È nello sviluppo di questo germe, sempre vivo e presen-te nell’animo della poetessa, ch’ella troverà i suoi cantimigliori.

*

Il secondo volume pubblicato da Sersale a Firenze nel1886 s’intitola E ancora versi e può dirsi una continua-zione del primo. La medesima instabile fantasia che ac-cenna la sintesi creatrice senza avere la forza, o forseanche la pazienza, di concentrarvisi; tocchi felici e ba-sta. Quadretti di genere anche qui, che la poetessa chia-

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ma «studi dal vero» (allora gli studi dal vero erano digran moda) e ci tiene e lo dice:

Così vi rivedrò ne ’l mio pensiero,Insieme ad altri ch’evocar son usa,Belle macchiette ch’io togliea da ’l vero.

E in pochi tratti riproduce quasi sempre felicemente fi-gure, paesaggi o stati d’animo; talvolta – forse su com-missione di giornali o riviste alla poetessa già celebre –compone dei versi di occasione come quelli sul terremo-to d’Ischia o sulla visita di re Umberto ai colerosi di Na-poli, che sono nel complesso assai brutti. Anche in que-sto secondo volume, l’accento più commosso, più per-sonale e per conseguenza più interessante, è quellodell’amore. Si tratta sempre di fugaci capricci senza rea-le tormento, galanteria di giuoco dove l’anima entra inpiccola parte. E la poetessa in un momento di sinceritàparagonandosi a bimbi crudeli dice:

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Oggi le fiamme dei miei lunghi baci,forse domani stesso,tronchi detti mendacied uno stanco amplesso....Non maledir! Compiangimi.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

E altrove:

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ma «studi dal vero» (allora gli studi dal vero erano digran moda) e ci tiene e lo dice:

Così vi rivedrò ne ’l mio pensiero,Insieme ad altri ch’evocar son usa,Belle macchiette ch’io togliea da ’l vero.

E in pochi tratti riproduce quasi sempre felicemente fi-gure, paesaggi o stati d’animo; talvolta – forse su com-missione di giornali o riviste alla poetessa già celebre –compone dei versi di occasione come quelli sul terremo-to d’Ischia o sulla visita di re Umberto ai colerosi di Na-poli, che sono nel complesso assai brutti. Anche in que-sto secondo volume, l’accento più commosso, più per-sonale e per conseguenza più interessante, è quellodell’amore. Si tratta sempre di fugaci capricci senza rea-le tormento, galanteria di giuoco dove l’anima entra inpiccola parte. E la poetessa in un momento di sinceritàparagonandosi a bimbi crudeli dice:

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Oggi le fiamme dei miei lunghi baci,forse domani stesso,tronchi detti mendacied uno stanco amplesso....Non maledir! Compiangimi.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

E altrove:

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La Contessa Lara (1883).

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La Contessa Lara (1883).

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La Contessa Isabella Gabardi Rossi.

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La Contessa Isabella Gabardi Rossi.

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In quel silenzio pien di sogni, a l’ombraDi quel nido, ti amai; scordar mi volliQuando la vita e l’avvenir m’ingombra.

Ed or, per novo amore, ecco mi prendeNova brama di strofe agili e folli....L’abisso del mio cor, chi lo comprende?

Follia, sonno, ebrezza, libertà, queste sono le parole ro-mantiche con cui la poetessa sembra giustificare l’irre-quietezza del suo istinto sentimentale e sensuale. È lateoria byroniana secondo cui l’amore non ha nè fede nèlegge nè responsabilità nè dovere; è una cosa splendidae assurda che non rende conto di sè e che basta a se stes-sa. Fedeltà o tradimento, innocenza o colpa, generositào infamia tutto è ugualmente posto al medesimo livello.

Nel volume E ancora versi, come nel primo, palpitidi vera poesia si trovano solamente in alcuni frammentisulla naturale gioia della donna che si sente amata per lasua bellezza, o sul dolore dell’amante che non si sentecompletamente amata.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Io l’adoro: ei non m’ama. Qualche parola, un gestoBrusco, o annoiato, a un tratto mi riconduce a questoMalinconico vero che mascherare io tentoCon arti puerili. Ei non m’ama, lo sento.

Ella non è più la desiderata, ma non già si lagna che lemanchi la tenerezza e la fedeltà. No, ella si lagna de

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In quel silenzio pien di sogni, a l’ombraDi quel nido, ti amai; scordar mi volliQuando la vita e l’avvenir m’ingombra.

Ed or, per novo amore, ecco mi prendeNova brama di strofe agili e folli....L’abisso del mio cor, chi lo comprende?

Follia, sonno, ebrezza, libertà, queste sono le parole ro-mantiche con cui la poetessa sembra giustificare l’irre-quietezza del suo istinto sentimentale e sensuale. È lateoria byroniana secondo cui l’amore non ha nè fede nèlegge nè responsabilità nè dovere; è una cosa splendidae assurda che non rende conto di sè e che basta a se stes-sa. Fedeltà o tradimento, innocenza o colpa, generositào infamia tutto è ugualmente posto al medesimo livello.

Nel volume E ancora versi, come nel primo, palpitidi vera poesia si trovano solamente in alcuni frammentisulla naturale gioia della donna che si sente amata per lasua bellezza, o sul dolore dell’amante che non si sentecompletamente amata.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Io l’adoro: ei non m’ama. Qualche parola, un gestoBrusco, o annoiato, a un tratto mi riconduce a questoMalinconico vero che mascherare io tentoCon arti puerili. Ei non m’ama, lo sento.

Ella non è più la desiderata, ma non già si lagna che lemanchi la tenerezza e la fedeltà. No, ella si lagna de

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La ghiaccia coppa insipida che l’amor suo m’appresta.

E che cosa desidera quando egli ritorna?

Fin che, ideale o greca forma virile, il mioFanciullo ancor non stringo con un’intensa bramaDi morir de’ suoi baci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Questo concetto dell’amore, così elementare e somma-rio, toglie ogni profondità a questa lirica che pure è mol-to piaciuta probabilmente per il gusto enfatico e roman-tico dell’epoca. Ma la situazione è sempre la stessa con-fessione del desiderio senza un conflitto, senza unosvolgimento, senza una vera e propria personalità! Se laContessa Lara non avesse avuto più tardi una seria evera passione, forse avrebbe dovuto smettere di scrivereversi per troppa stanchezza di sè.

*

I Nuovi versi composti dopo il volume E ancora ver-si, e dunque fra il 1884 e il 1894, segnano un vero svol-gimento ideale e morale, non soltanto nella vita ma an-che nell’arte della poetessa. Materia della sua ispirazio-ne è anche qui naturalmente l’amore. Ma quest’amorenon è più capriccio, galanteria, momentanea esaltazionedella sentimentalità e della sensualità; non è la solitarosa degli arcadi, o dei petrarchisti di tutti i tempi che

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La ghiaccia coppa insipida che l’amor suo m’appresta.

E che cosa desidera quando egli ritorna?

Fin che, ideale o greca forma virile, il mioFanciullo ancor non stringo con un’intensa bramaDi morir de’ suoi baci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Questo concetto dell’amore, così elementare e somma-rio, toglie ogni profondità a questa lirica che pure è mol-to piaciuta probabilmente per il gusto enfatico e roman-tico dell’epoca. Ma la situazione è sempre la stessa con-fessione del desiderio senza un conflitto, senza unosvolgimento, senza una vera e propria personalità! Se laContessa Lara non avesse avuto più tardi una seria evera passione, forse avrebbe dovuto smettere di scrivereversi per troppa stanchezza di sè.

*

I Nuovi versi composti dopo il volume E ancora ver-si, e dunque fra il 1884 e il 1894, segnano un vero svol-gimento ideale e morale, non soltanto nella vita ma an-che nell’arte della poetessa. Materia della sua ispirazio-ne è anche qui naturalmente l’amore. Ma quest’amorenon è più capriccio, galanteria, momentanea esaltazionedella sentimentalità e della sensualità; non è la solitarosa degli arcadi, o dei petrarchisti di tutti i tempi che

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Page 209: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

bisogna cogliere oggi perchè domani sarà appassita; nonè il fugace momento nella giornata di una donna elegan-te la quale vuole essere più ammirata per la sua bellezzae il suo spirito, che per l’altezza del sentimento, e vuolpossedere più il corpo che l’anima dell’uomo amato,non è l’amore pagano, l’amore-giuoco, l’amore-piacere,l’amore senza legge e senza responsabilità.

Siamo sempre, è vero, in pieno individualismo ro-mantico, per cui l’amore è considerato al di là e al di so-pra di qualunque convenzione religiosa e sociale. Infattiil nuovo amore della poetessa non è regolare e sancitodalla legge; ma essa accetta gli obblighi e i divieti d’unalegge morale liberamente adottata, sicchè il suo amorenon è solo dei sensi ma dello spirito, bisogno di mutuatenerezza, di conforto, di fedeltà. La vita in comune èseria e ordinata, anche se non per costrizione legale, perlibera elezione di due esseri, per una affinità irresistibiledi pensiero e di sentimento.

Di questa specie di conversione la Contessa Lara ècosciente, come si rileva dal preludio, dove parlando deiversi antecedenti dice:

Con maraviglia dolorosa e piaMi vo chiedendo s’io proprio li scrissi.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .E que’ versi rinnego.

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bisogna cogliere oggi perchè domani sarà appassita; nonè il fugace momento nella giornata di una donna elegan-te la quale vuole essere più ammirata per la sua bellezzae il suo spirito, che per l’altezza del sentimento, e vuolpossedere più il corpo che l’anima dell’uomo amato,non è l’amore pagano, l’amore-giuoco, l’amore-piacere,l’amore senza legge e senza responsabilità.

Siamo sempre, è vero, in pieno individualismo ro-mantico, per cui l’amore è considerato al di là e al di so-pra di qualunque convenzione religiosa e sociale. Infattiil nuovo amore della poetessa non è regolare e sancitodalla legge; ma essa accetta gli obblighi e i divieti d’unalegge morale liberamente adottata, sicchè il suo amorenon è solo dei sensi ma dello spirito, bisogno di mutuatenerezza, di conforto, di fedeltà. La vita in comune èseria e ordinata, anche se non per costrizione legale, perlibera elezione di due esseri, per una affinità irresistibiledi pensiero e di sentimento.

Di questa specie di conversione la Contessa Lara ècosciente, come si rileva dal preludio, dove parlando deiversi antecedenti dice:

Con maraviglia dolorosa e piaMi vo chiedendo s’io proprio li scrissi.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .E que’ versi rinnego.

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Qual’è il nuovo contenuto, la nuova ispirazione, il nuo-vo accento di queste poesie?

Abbiamo la figurazione d’una donna, la quale, dopouna vita procellosa e disordinata e superficiale, con variamori, ma senza amore, s’incontra in un uomo e se neinnamora perdutamente. Quest’uomo conosce il suopassato ma vuole dimenticarlo. Egli è pure acceso dipassione, ma poichè questa passione non è libertinaggio,poichè ne è preso all’anima profondamente, esige che ladonna corrisponda a questa seria passione con altrettan-ta serietà, che nella vita in comune abbia il rispetto di sestessa in quanto appartiene a lui, della casa, del lavorodisciplinato e fecondo, che sia non la semplice amantema la compagna, l’amica, quasi la sposa di quest’uomoche per lei ha osato sfidare i pregiudizi del mondo, e chesenta dunque tutti i doveri del nuovo stato.

Infatti la donna acconsente a questi patti come obbe-dendo a un comando interiore, un po’ stupefatta, senzaintendere forse il perchè del suo mutamento. Infantil-mente è disposta a credere ad un prodigio. Ecco, egli leha dato una casa – il sogno di tutta la sua vita – le ha in-segnato a essere seria, onesta, tranquilla, operosa, le harisvegliato nell’anima la luce del bene, le ha legato albraccio ribelle la divina catena del dovere. Ed essa ne èfelice: questa specie di redenzione la commuove; e narrala sua storia con tale umiltà e verità che l’immaginazio-ne del lettore n’è come rapita, e la bella creatura di col-pa e di pentimento ci appare sotto una forma di graziadolorosa che incute rispetto.

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Qual’è il nuovo contenuto, la nuova ispirazione, il nuo-vo accento di queste poesie?

Abbiamo la figurazione d’una donna, la quale, dopouna vita procellosa e disordinata e superficiale, con variamori, ma senza amore, s’incontra in un uomo e se neinnamora perdutamente. Quest’uomo conosce il suopassato ma vuole dimenticarlo. Egli è pure acceso dipassione, ma poichè questa passione non è libertinaggio,poichè ne è preso all’anima profondamente, esige che ladonna corrisponda a questa seria passione con altrettan-ta serietà, che nella vita in comune abbia il rispetto di sestessa in quanto appartiene a lui, della casa, del lavorodisciplinato e fecondo, che sia non la semplice amantema la compagna, l’amica, quasi la sposa di quest’uomoche per lei ha osato sfidare i pregiudizi del mondo, e chesenta dunque tutti i doveri del nuovo stato.

Infatti la donna acconsente a questi patti come obbe-dendo a un comando interiore, un po’ stupefatta, senzaintendere forse il perchè del suo mutamento. Infantil-mente è disposta a credere ad un prodigio. Ecco, egli leha dato una casa – il sogno di tutta la sua vita – le ha in-segnato a essere seria, onesta, tranquilla, operosa, le harisvegliato nell’anima la luce del bene, le ha legato albraccio ribelle la divina catena del dovere. Ed essa ne èfelice: questa specie di redenzione la commuove; e narrala sua storia con tale umiltà e verità che l’immaginazio-ne del lettore n’è come rapita, e la bella creatura di col-pa e di pentimento ci appare sotto una forma di graziadolorosa che incute rispetto.

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. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ero sola;Mi giungeva dal tumolo la materna parola,Eco fievole e incerta, che i turbini improvvisiDella vita disperdono tratto tratto; divisiEran da me, parenti e amici per le porteInvincibili, oscure, solenni della Morte.Ero sola: le voci dell’incostante mondoUdivo or chieder rose per il mio capo biondo,Or irridermi, fredde, con vil sarcasmo; in tantoIo talora ho sorriso, io quasi sempre ho piantoLacrime che Voi solo conoscete, o Signore,Segrete come l’ombra, acri come il dolore:Tal che, nel mar fremente degli anni, impauritaIl naufragio ho chiesto ultimo della vita,Ma non la morte è giunta; giunto è lui..... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . è taleChe in sè qualcosa ei chiude di mistico e fatale,Perch’io, quando lo fisso, sento velarmi gli occhiCol desiderio intenso di piegare i ginocchiBenedicendo e orando.

La gratitudine e la gioia per tale trasformazione simanifestano in voci di soave abbandono, di docile tene-rezza, di sconfinato amore, e come si sente leggera, ca-sta nell’alto silenzio notturno!

Io sollevo la fronte all’ampio cielo,Ogni rumor per me da torno tace:

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. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ero sola;Mi giungeva dal tumolo la materna parola,Eco fievole e incerta, che i turbini improvvisiDella vita disperdono tratto tratto; divisiEran da me, parenti e amici per le porteInvincibili, oscure, solenni della Morte.Ero sola: le voci dell’incostante mondoUdivo or chieder rose per il mio capo biondo,Or irridermi, fredde, con vil sarcasmo; in tantoIo talora ho sorriso, io quasi sempre ho piantoLacrime che Voi solo conoscete, o Signore,Segrete come l’ombra, acri come il dolore:Tal che, nel mar fremente degli anni, impauritaIl naufragio ho chiesto ultimo della vita,Ma non la morte è giunta; giunto è lui..... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . è taleChe in sè qualcosa ei chiude di mistico e fatale,Perch’io, quando lo fisso, sento velarmi gli occhiCol desiderio intenso di piegare i ginocchiBenedicendo e orando.

La gratitudine e la gioia per tale trasformazione simanifestano in voci di soave abbandono, di docile tene-rezza, di sconfinato amore, e come si sente leggera, ca-sta nell’alto silenzio notturno!

Io sollevo la fronte all’ampio cielo,Ogni rumor per me da torno tace:

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Page 212: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

E all’infinito, con quel bianco stelo,Ascende la sognante anima in pace.37

Ella crede anche che Dio protegga il suo amore, che èdesiderio di bene e sete di sacrificio.

Volar l’ore.... Chi mai numeraI miei baci e i baci suoi?Par che Dio non lasci vivereNella notte altri che noi.

Se viaggia sola gli occhi di lui

. . . . . . . . . . . . . .quegli occhiVoluttuosi imperiosi e neri

le son sempre da presso; ella è felice di sapere, di sentire

. . . . . . . . . . . . . . . . questo amoreChe ogni giorno più cresce e si fa santo.

Tradirlo? Abbandonarlo? La sola idea la fa rabbridire.E chiamando il Signore a testimonio della propria since-rità invoca ella stessa il gastigo, se un giorno fosse capa-ce di una tale infamia. E nulla è più toccante della trepi-dazione affannosa con cui si punisce da sè:

Se rispondo con debole virtù, con dubbio affetto,All’uom che sua mi fece al Vostro alto cospetto

37 Notte di giugno.

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E all’infinito, con quel bianco stelo,Ascende la sognante anima in pace.37

Ella crede anche che Dio protegga il suo amore, che èdesiderio di bene e sete di sacrificio.

Volar l’ore.... Chi mai numeraI miei baci e i baci suoi?Par che Dio non lasci vivereNella notte altri che noi.

Se viaggia sola gli occhi di lui

. . . . . . . . . . . . . .quegli occhiVoluttuosi imperiosi e neri

le son sempre da presso; ella è felice di sapere, di sentire

. . . . . . . . . . . . . . . . questo amoreChe ogni giorno più cresce e si fa santo.

Tradirlo? Abbandonarlo? La sola idea la fa rabbridire.E chiamando il Signore a testimonio della propria since-rità invoca ella stessa il gastigo, se un giorno fosse capa-ce di una tale infamia. E nulla è più toccante della trepi-dazione affannosa con cui si punisce da sè:

Se rispondo con debole virtù, con dubbio affetto,All’uom che sua mi fece al Vostro alto cospetto

37 Notte di giugno.

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E al pietoso cospetto de’ suoi dolci parenti,Signor, ch’io sia punita col maggior dei tormenti.Ch’ei più non m’ami; ch’egli mi scacci e spregi! PuraSorga al suo fianco, in vece, una rosea figura....Io sparirò nell’ombra nera co’ falli miei....

Questa femminilità che si strazia nell’orrore e nel ri-morso d’un passato colpevole, e lo depreca per semprecon minaccia così disperata, è una delle espressioni piùoriginali e più vere nella poesia d’amore di tutti i tempi.Qui non c’è ombra di retorica: tutto sorge improvviso,spontaneo, di getto, e la stessa nudità della forma, senzaimmagini, senza ornamenti, parlata, quasi prosaica, ag-giunge evidenza alla sincerità del sentimento. E la poe-tessa non si stanca d’esaltarsi e rassicurarsi nella certez-za della propria redenzione e ne dà tutto il merito a lui.

Oh, a questa femminile anima mia,Chi cinge una tal maglia di coraggioCh’altra mi fa da quella ch’io fui pria?

E lo spia, lo studia, trema sempre che l’amore di luinon abbia a mancarle; ma poi si consola perchè sa cheegli è semplice e dritto, e altro non brama che l’amorefedele nella casa fedele.

E tu sorridi a quel che di costanteD’umile, sì, ma d’intimoT’offre la nostra vita.

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E al pietoso cospetto de’ suoi dolci parenti,Signor, ch’io sia punita col maggior dei tormenti.Ch’ei più non m’ami; ch’egli mi scacci e spregi! PuraSorga al suo fianco, in vece, una rosea figura....Io sparirò nell’ombra nera co’ falli miei....

Questa femminilità che si strazia nell’orrore e nel ri-morso d’un passato colpevole, e lo depreca per semprecon minaccia così disperata, è una delle espressioni piùoriginali e più vere nella poesia d’amore di tutti i tempi.Qui non c’è ombra di retorica: tutto sorge improvviso,spontaneo, di getto, e la stessa nudità della forma, senzaimmagini, senza ornamenti, parlata, quasi prosaica, ag-giunge evidenza alla sincerità del sentimento. E la poe-tessa non si stanca d’esaltarsi e rassicurarsi nella certez-za della propria redenzione e ne dà tutto il merito a lui.

Oh, a questa femminile anima mia,Chi cinge una tal maglia di coraggioCh’altra mi fa da quella ch’io fui pria?

E lo spia, lo studia, trema sempre che l’amore di luinon abbia a mancarle; ma poi si consola perchè sa cheegli è semplice e dritto, e altro non brama che l’amorefedele nella casa fedele.

E tu sorridi a quel che di costanteD’umile, sì, ma d’intimoT’offre la nostra vita.

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Ma anche le incertezze, i dubbi, che s’accompagnanoad ogni amore, sia pur vero e sincero, sono manifestaticon semplicità commovente. L’amore ha riavvicinato lapoetessa a Dio: Dio ella implora perchè il suo ravvedi-mento tocchi il cuore dell’amico, con Dio ella si confidanelle ore del pianto; piccola e pavida, ormai sentendoche la sua vita pende da quel filo di salvezza a cui s’èaggrappata con ogni fibra del suo povero cuore, a Dio sirivolge per invocare la clemenza e l’aiuto:

Signor dell’ampia terra,Signor dell’ampio cielo,Odi: non farmi guerra,Sono un gracile stelo,Ed ho paura.... il cuoreS’agita e trema....Che farò se l’amore,Se l’amor suo si scema,Avvezza alle sue collere,Avvezza al suo sorriso?

Che umana pietà in questi due ultimi versi, dove ladonna che si sente in continuo sospetto per il suo passa-to accetta e ama anche le collere dell’uomo amato, chesono la riprova dell’amore di lui!

Avvezza alle sue collere un verso che contiene tuttoun mondo di contrasti, di pene, di gelosie: la tragedia diquesto amore.

Forse una parola ch’ella s’è lasciata sfuggire della suavita di prima, un ricordo dimenticato che sorge

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Ma anche le incertezze, i dubbi, che s’accompagnanoad ogni amore, sia pur vero e sincero, sono manifestaticon semplicità commovente. L’amore ha riavvicinato lapoetessa a Dio: Dio ella implora perchè il suo ravvedi-mento tocchi il cuore dell’amico, con Dio ella si confidanelle ore del pianto; piccola e pavida, ormai sentendoche la sua vita pende da quel filo di salvezza a cui s’èaggrappata con ogni fibra del suo povero cuore, a Dio sirivolge per invocare la clemenza e l’aiuto:

Signor dell’ampia terra,Signor dell’ampio cielo,Odi: non farmi guerra,Sono un gracile stelo,Ed ho paura.... il cuoreS’agita e trema....Che farò se l’amore,Se l’amor suo si scema,Avvezza alle sue collere,Avvezza al suo sorriso?

Che umana pietà in questi due ultimi versi, dove ladonna che si sente in continuo sospetto per il suo passa-to accetta e ama anche le collere dell’uomo amato, chesono la riprova dell’amore di lui!

Avvezza alle sue collere un verso che contiene tuttoun mondo di contrasti, di pene, di gelosie: la tragedia diquesto amore.

Forse una parola ch’ella s’è lasciata sfuggire della suavita di prima, un ricordo dimenticato che sorge

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d’improvviso, l’innocente familiarità con qualcunoscambiata per inclinazione colpevole, il desiderio mon-dano di piacere, di essere ammirata, scambiato per un ri-torno alle vecchie abitudini, parole amare, diffidenze,ironie, scoppi di sdegno, tutto ciò è evocato come da unlampo che rischiari un paesaggio notturno in quel versopieno di lacrime. Ma la devota e dolorosa creatura nonha una parola di ribellione; all’ingiustizia dell’accusaella risponde pianamente, con accorata energia, sicura disè e della sua nuova purezza:

Senti: s’è vero che tu m’ami e molto,Com’or sereno, or fatto cupo giuri,Quando in petto così m’ascondi il volto,Io voglio, io voglio che tu ti figuriChe ho solo te sulle mie labbra accoltoDopo i materni baci dolci e puri.

In questo volume anche la forma è infinitamente pro-gredita in confronto di quella un po’ trascurata degli altridue. Qui, specie nelle poesie di contenuto oggettivo, visono scorci, trapassi, visioni pittoriche, cesellature chefarebbero lieto anche un grande artista. È già un quadroper sè questo cortile al chiaro di luna.

Poi che si sveglia nel chiaror lunareIl cortil sonnolentoE al raggio obliquo il colonnato appareCome una luminosa arpa d’argento.

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d’improvviso, l’innocente familiarità con qualcunoscambiata per inclinazione colpevole, il desiderio mon-dano di piacere, di essere ammirata, scambiato per un ri-torno alle vecchie abitudini, parole amare, diffidenze,ironie, scoppi di sdegno, tutto ciò è evocato come da unlampo che rischiari un paesaggio notturno in quel versopieno di lacrime. Ma la devota e dolorosa creatura nonha una parola di ribellione; all’ingiustizia dell’accusaella risponde pianamente, con accorata energia, sicura disè e della sua nuova purezza:

Senti: s’è vero che tu m’ami e molto,Com’or sereno, or fatto cupo giuri,Quando in petto così m’ascondi il volto,Io voglio, io voglio che tu ti figuriChe ho solo te sulle mie labbra accoltoDopo i materni baci dolci e puri.

In questo volume anche la forma è infinitamente pro-gredita in confronto di quella un po’ trascurata degli altridue. Qui, specie nelle poesie di contenuto oggettivo, visono scorci, trapassi, visioni pittoriche, cesellature chefarebbero lieto anche un grande artista. È già un quadroper sè questo cortile al chiaro di luna.

Poi che si sveglia nel chiaror lunareIl cortil sonnolentoE al raggio obliquo il colonnato appareCome una luminosa arpa d’argento.

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Ecco un tramonto originalissimo:

Su l’estremo orizzonte il re del giornoLa testa d’oro posa.E ancor sul piano tremolante fluttuaLa sua capigliatura luminosa.

La poetessa è ora in comunione con la natura, l’ascol-ta e la intende. Squisita la melanconica rassegnazionedell’ultima foglia che si stacca con un sospiro dal ramoa cui fu attaccata per tutta la stagione; ma forse è anchepiù penetrante la poesia di quei fiori morti sì, ma la cuianima vive nell’odor perduto che

Ecco, in un’onda gelidaDi vento, quasi un memore salutoMi giunge....

Di queste composizioni oggettive nell’apparenza, mache tutte rivelano lo stato d’animo della poetessa, la piùsobria e completa è quella che s’intitola Saffo. È la Saffodella leggenda, la poetessa di Lesbo suicida per amore.Un bianco tempio sul mare, donne che gemono som-messamente presso a lei morta. Tutto intorno, divinocompianto, la natura sbigottita, sembra partecipare algran lutto della poesia:

Da’ boschetti di platani e di roseLe palombe venian battendo l’aria

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Ecco un tramonto originalissimo:

Su l’estremo orizzonte il re del giornoLa testa d’oro posa.E ancor sul piano tremolante fluttuaLa sua capigliatura luminosa.

La poetessa è ora in comunione con la natura, l’ascol-ta e la intende. Squisita la melanconica rassegnazionedell’ultima foglia che si stacca con un sospiro dal ramoa cui fu attaccata per tutta la stagione; ma forse è anchepiù penetrante la poesia di quei fiori morti sì, ma la cuianima vive nell’odor perduto che

Ecco, in un’onda gelidaDi vento, quasi un memore salutoMi giunge....

Di queste composizioni oggettive nell’apparenza, mache tutte rivelano lo stato d’animo della poetessa, la piùsobria e completa è quella che s’intitola Saffo. È la Saffodella leggenda, la poetessa di Lesbo suicida per amore.Un bianco tempio sul mare, donne che gemono som-messamente presso a lei morta. Tutto intorno, divinocompianto, la natura sbigottita, sembra partecipare algran lutto della poesia:

Da’ boschetti di platani e di roseLe palombe venian battendo l’aria

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Con ale ratte, ma silenziose:L’isola ardea di lumi, solitaria.38

38 In questo volume vi sono pure quattro sonetti ispirati dalla Duse per Lamoglie di Claudio, atto IV. Gl’innamorati, atto II. Teodora, quadro VI e Fedo-ra, atto III.

Poche sono le poesie della Contessa Lara non raccolte in volume. Ne cono-sciamo una su l’album della marchesa Altoviti Avila, La festa del grillo e l’Ini-ziato, nel fascicolo 10 giugno 1895, N. 15 di Vita Italiana.

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Con ale ratte, ma silenziose:L’isola ardea di lumi, solitaria.38

38 In questo volume vi sono pure quattro sonetti ispirati dalla Duse per Lamoglie di Claudio, atto IV. Gl’innamorati, atto II. Teodora, quadro VI e Fedo-ra, atto III.

Poche sono le poesie della Contessa Lara non raccolte in volume. Ne cono-sciamo una su l’album della marchesa Altoviti Avila, La festa del grillo e l’Ini-ziato, nel fascicolo 10 giugno 1895, N. 15 di Vita Italiana.

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CAPITOLO SETTIMO.

Di nuovo sola. – Vita Italiana e De Gubernatis. – Ancora illusa edelusa. – Gli atroci tormenti. – L’ultimo idillio e il piccolo revol-ver. – L’insurrezione di Creta e Venizelos. – Assassinata. – La vi-

sita di Vincenzo Morello. – Febea l’amica pietosa. – La morte.

— È meglio non aver nulla che qualcosa – disse ungiorno la Contessa Lara al momento di partire da Romaper Firenze, dove si recava per vendere quella casa diVia Cavour che aveva ereditata dalla nonna materna.S’era ai primi di settembre del 1894.

Quando alla morte del padre Cattermole i figli Esteri-na ed Enrico e la loro madre si erano trovati in condizio-ni economiche molto disagiate, la Lina non aveva trova-to modo di venir loro in aiuto che gravando di due ipo-teche questa sua casa, ipoteche che a poco a poco eranostate tolte. Ma quando si trattò di concludere la venditacon la signora Bemporad, madre dell’attuale capo dellacasa editrice (che ha la sede proprio nello stabile di viaCavour già proprietà della Contessa Lara), l’avvocatoGuido Treves, legale della signora Bemporad, mandò achiamare la signora Evelina Cattermole e le notificò chefra le carte riguardanti quella casa, si trovavano due ipo-teche a favore della sua matrigna. Stupore della Contes-

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CAPITOLO SETTIMO.

Di nuovo sola. – Vita Italiana e De Gubernatis. – Ancora illusa edelusa. – Gli atroci tormenti. – L’ultimo idillio e il piccolo revol-ver. – L’insurrezione di Creta e Venizelos. – Assassinata. – La vi-

sita di Vincenzo Morello. – Febea l’amica pietosa. – La morte.

— È meglio non aver nulla che qualcosa – disse ungiorno la Contessa Lara al momento di partire da Romaper Firenze, dove si recava per vendere quella casa diVia Cavour che aveva ereditata dalla nonna materna.S’era ai primi di settembre del 1894.

Quando alla morte del padre Cattermole i figli Esteri-na ed Enrico e la loro madre si erano trovati in condizio-ni economiche molto disagiate, la Lina non aveva trova-to modo di venir loro in aiuto che gravando di due ipo-teche questa sua casa, ipoteche che a poco a poco eranostate tolte. Ma quando si trattò di concludere la venditacon la signora Bemporad, madre dell’attuale capo dellacasa editrice (che ha la sede proprio nello stabile di viaCavour già proprietà della Contessa Lara), l’avvocatoGuido Treves, legale della signora Bemporad, mandò achiamare la signora Evelina Cattermole e le notificò chefra le carte riguardanti quella casa, si trovavano due ipo-teche a favore della sua matrigna. Stupore della Contes-

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sa Lara che sapeva di aver pagato perdendoci molto delsuo; e che avesse pagato doveva certo risultare da qual-che carta. Ma dove? Essa odiava gli affari, e questo es-sere costretta a pensarvi da mattina a sera, a veder gente,a correre da uno studio all’altro di legali, era cosa che laesasperava. La faccenda era andata così: un avvocato, acui la Contessa Lara aveva affidato i suoi interessi di Fi-renze, non aveva nemmeno pensato a far cassare le ipo-teche già pagate, e allora nuove spese e lungaggini e fa-stidio supremo della poetessa e litigi con quest’avvocatoche, pur avendo trascurato fino a questo punto gli affaridella sua cliente, chiese e volle ancora denaro rifiutandoaltrimenti di rendere le carte. Infine, per mezzo di unvecchio amico d’infanzia, Giorgio Marchiò, e del notaroNorsa, la signora riuscì a liberarsi dell’avvocato e con-segnò tutto l’incartamento a quell’altro avvocato, GuidoTreves, che aveva fama di galantuomo e che era comeabbiamo detto anche legale dei Bemporad.

Ma che tristezza quelle giornate fiorentine! Essa an-dava per le vie note così piene di ricordi dell’infanzia edella giovinezza lieta, e dei suoi trionfi di donna e dipoetessa. Ora non vi conosceva più nessuno o quasi.Giorgio Marchiò, l’amico fraterno, s’era sposato e si fa-ceva vedere dall’amica quel tanto che bastasse solo peraiutarla in questa vendita. Anche la domenica, quandogli avvocati prendevano come tutti il giusto riposo, ripo-so non aveva lo spirito della Lina che lavorava all’asprocompito giornalistico. I giornali della città annunziaronoil suo passaggio, e un’anima gentile le mandò una scato-

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sa Lara che sapeva di aver pagato perdendoci molto delsuo; e che avesse pagato doveva certo risultare da qual-che carta. Ma dove? Essa odiava gli affari, e questo es-sere costretta a pensarvi da mattina a sera, a veder gente,a correre da uno studio all’altro di legali, era cosa che laesasperava. La faccenda era andata così: un avvocato, acui la Contessa Lara aveva affidato i suoi interessi di Fi-renze, non aveva nemmeno pensato a far cassare le ipo-teche già pagate, e allora nuove spese e lungaggini e fa-stidio supremo della poetessa e litigi con quest’avvocatoche, pur avendo trascurato fino a questo punto gli affaridella sua cliente, chiese e volle ancora denaro rifiutandoaltrimenti di rendere le carte. Infine, per mezzo di unvecchio amico d’infanzia, Giorgio Marchiò, e del notaroNorsa, la signora riuscì a liberarsi dell’avvocato e con-segnò tutto l’incartamento a quell’altro avvocato, GuidoTreves, che aveva fama di galantuomo e che era comeabbiamo detto anche legale dei Bemporad.

Ma che tristezza quelle giornate fiorentine! Essa an-dava per le vie note così piene di ricordi dell’infanzia edella giovinezza lieta, e dei suoi trionfi di donna e dipoetessa. Ora non vi conosceva più nessuno o quasi.Giorgio Marchiò, l’amico fraterno, s’era sposato e si fa-ceva vedere dall’amica quel tanto che bastasse solo peraiutarla in questa vendita. Anche la domenica, quandogli avvocati prendevano come tutti il giusto riposo, ripo-so non aveva lo spirito della Lina che lavorava all’asprocompito giornalistico. I giornali della città annunziaronoil suo passaggio, e un’anima gentile le mandò una scato-

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letta di fiori freschi per la sua santa. Un pensiero pieto-so verso la madre morta e verso di lei che la fece pian-gere di commozione toccando quelle rose e vainiglie,tuberose e gelsomini di Spagna. Allora andò subito alcimitero ad appendere i fiori a una corona metallica sul-la tomba della mamma, con lo stesso spago con cui erastata legata la scatoletta. E quante lagrime nuove equante antiche! Chi le aveva mandato quei fiori? Non loseppe mai, ma certo una creatura dolce e sensibile cheaveva rilevato dai suoi versi l’amore ch’essa portavaalla memoria della madre.

Due giovani giornalisti si presentarono un giorno alsuo albergo per conoscerla, forse per intervistarla, maella fece rispondere che non era disposta a ricevere, cheriposava. Non aveva voglia nè abiti per ricevere, si sen-tiva vestita male, triste, come se una fascia di piombo lefosse caduta sul cuore; e chi sa, come ella stessa diceva,che cosa avrebbe pagato per essere sotterra lassù con lasua mamma e non combattere più con gli uomini e lecose.

Lo stare lontana da casa le metteva addosso una verainquietudine, per quanto anche la casa avesse perdutogran parte del suo fascino ora che quel grande amore,durato dieci anni, si era andato trasformando in un senti-mento certo più profondo, più calmo, più tenero anche,ma meno appassionato e di consuetudini ormai quasi co-niugali. Essa scrive al suo amico:

«Le tue piccole lettere maritali, senza entusiasmi, madove mi dici che senza di me sei un pesce fuor d’acqua,

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letta di fiori freschi per la sua santa. Un pensiero pieto-so verso la madre morta e verso di lei che la fece pian-gere di commozione toccando quelle rose e vainiglie,tuberose e gelsomini di Spagna. Allora andò subito alcimitero ad appendere i fiori a una corona metallica sul-la tomba della mamma, con lo stesso spago con cui erastata legata la scatoletta. E quante lagrime nuove equante antiche! Chi le aveva mandato quei fiori? Non loseppe mai, ma certo una creatura dolce e sensibile cheaveva rilevato dai suoi versi l’amore ch’essa portavaalla memoria della madre.

Due giovani giornalisti si presentarono un giorno alsuo albergo per conoscerla, forse per intervistarla, maella fece rispondere che non era disposta a ricevere, cheriposava. Non aveva voglia nè abiti per ricevere, si sen-tiva vestita male, triste, come se una fascia di piombo lefosse caduta sul cuore; e chi sa, come ella stessa diceva,che cosa avrebbe pagato per essere sotterra lassù con lasua mamma e non combattere più con gli uomini e lecose.

Lo stare lontana da casa le metteva addosso una verainquietudine, per quanto anche la casa avesse perdutogran parte del suo fascino ora che quel grande amore,durato dieci anni, si era andato trasformando in un senti-mento certo più profondo, più calmo, più tenero anche,ma meno appassionato e di consuetudini ormai quasi co-niugali. Essa scrive al suo amico:

«Le tue piccole lettere maritali, senza entusiasmi, madove mi dici che senza di me sei un pesce fuor d’acqua,

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mi riempiono l’anima di malinconica tenerezza, e pensoche al punto in cui siamo, al buio pesto, opposto delladolcissima luna di miele, se tu mi confessi di non potervivere senza di me, proprio devi sentire in questi giorniun gran vuoto intorno. Sarà per poco, spero....»

Ma con quanta convinzione essa scriveva «sarà perpoco?» Per pietà verso il suo amico? Per illudere sestessa? Quel legame divenuto abitudine non poteva ba-starle più. Essa aveva bisogno, nonostante i suoi quaran-taquattro anni, di essere sempre corteggiata, bamboleg-giata, adorata come al principio dell’amore. Da un po’ ditempo era cambiata di carattere. Passava dall’ironiapungente a una tristezza profonda, e talvolta aveva ac-cessi di volubile frivolità che non sempre erano consen-titi ai suoi anni. Tutto questo non sfuggiva all’amico suoche le scriveva affettuosamente ma con fermezza e certocon celata apprensione; al che la Lina replicò una volta:«Alle tue serie pagine risponderò con de’ baci da bam-bola come sono. Ormai tu ibseneggi, e già ch’è la moda,ci vuol pazienza. Bambola sono e bambola resto. Morròbambola, ma almeno fosse presto. Sentirei come unagran liberazione. Io ch’ero giunta al punto d’aver quasipaura di morire, ora.... ma perchè la bambola fa la tragi-ca! Che sciocchezza!...»

*

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mi riempiono l’anima di malinconica tenerezza, e pensoche al punto in cui siamo, al buio pesto, opposto delladolcissima luna di miele, se tu mi confessi di non potervivere senza di me, proprio devi sentire in questi giorniun gran vuoto intorno. Sarà per poco, spero....»

Ma con quanta convinzione essa scriveva «sarà perpoco?» Per pietà verso il suo amico? Per illudere sestessa? Quel legame divenuto abitudine non poteva ba-starle più. Essa aveva bisogno, nonostante i suoi quaran-taquattro anni, di essere sempre corteggiata, bamboleg-giata, adorata come al principio dell’amore. Da un po’ ditempo era cambiata di carattere. Passava dall’ironiapungente a una tristezza profonda, e talvolta aveva ac-cessi di volubile frivolità che non sempre erano consen-titi ai suoi anni. Tutto questo non sfuggiva all’amico suoche le scriveva affettuosamente ma con fermezza e certocon celata apprensione; al che la Lina replicò una volta:«Alle tue serie pagine risponderò con de’ baci da bam-bola come sono. Ormai tu ibseneggi, e già ch’è la moda,ci vuol pazienza. Bambola sono e bambola resto. Morròbambola, ma almeno fosse presto. Sentirei come unagran liberazione. Io ch’ero giunta al punto d’aver quasipaura di morire, ora.... ma perchè la bambola fa la tragi-ca! Che sciocchezza!...»

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Page 222: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

Non era finito il settembre quando tornò a Roma,dove l’aspettavano nella casa dell’amico la fida came-riera abruzzese Loreta e tutta la famigliuola degli ani-mali pelosi e pennuti. Tutto sembrava immutato, ed erainfatti tutto come prima, eccettuato il suo cuore. Benpresto il legame durato dieci anni ebbe fine. Fu lei chelo volle spezzare. E nel novembre del 1894 si trovò dinuovo indifesa, in balìa del destino.

Stette ancora per poco in via Federico Cesi poi, andòad abitare in piazza della Libertà con non altra compa-gnia che le bestiole. Aveva sempre molto lavoro, ma leore erano lente e si disperava che il tempo non passassemai per lei. Sempre più – forse non era che un presenti-mento – sentiva intenso il desiderio del grande riposo;gli occhi a furia di piangere erano divenuti più deboli,più stanchi. Una volta scrisse a qualcuno: «Che sorrisofelice e buono farebbero le mie care amiche se potesserovedermi non soltanto in viso ma nel cuore! Creaturesoavi, oneste, pietose! Io non ho in cuore che il rimpian-to di quello che ho lasciato e un nido di serpenti. Odio laluce del bel sole perfino, e credo che ritorcerei gli occhipieni di disgusto se il mare, il mare magnifico che ado-rai mi fosse dinanzi. Come quando piange l’amore ognicosa è nulla!» Era fuggita dal caro nido lasciando altrinel dolore e aveva nostalgia del bene perduto, e si stra-ziava per il male che aveva fatto all’amico. Aveva volu-to essere sola e aveva paura come una bambina abban-donata, e piangeva, il cuore spezzato, il pensiero anneb-biato. Adoratrice di Dostojewsky, ella ne invocava l’ani-

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Non era finito il settembre quando tornò a Roma,dove l’aspettavano nella casa dell’amico la fida came-riera abruzzese Loreta e tutta la famigliuola degli ani-mali pelosi e pennuti. Tutto sembrava immutato, ed erainfatti tutto come prima, eccettuato il suo cuore. Benpresto il legame durato dieci anni ebbe fine. Fu lei chelo volle spezzare. E nel novembre del 1894 si trovò dinuovo indifesa, in balìa del destino.

Stette ancora per poco in via Federico Cesi poi, andòad abitare in piazza della Libertà con non altra compa-gnia che le bestiole. Aveva sempre molto lavoro, ma leore erano lente e si disperava che il tempo non passassemai per lei. Sempre più – forse non era che un presenti-mento – sentiva intenso il desiderio del grande riposo;gli occhi a furia di piangere erano divenuti più deboli,più stanchi. Una volta scrisse a qualcuno: «Che sorrisofelice e buono farebbero le mie care amiche se potesserovedermi non soltanto in viso ma nel cuore! Creaturesoavi, oneste, pietose! Io non ho in cuore che il rimpian-to di quello che ho lasciato e un nido di serpenti. Odio laluce del bel sole perfino, e credo che ritorcerei gli occhipieni di disgusto se il mare, il mare magnifico che ado-rai mi fosse dinanzi. Come quando piange l’amore ognicosa è nulla!» Era fuggita dal caro nido lasciando altrinel dolore e aveva nostalgia del bene perduto, e si stra-ziava per il male che aveva fatto all’amico. Aveva volu-to essere sola e aveva paura come una bambina abban-donata, e piangeva, il cuore spezzato, il pensiero anneb-biato. Adoratrice di Dostojewsky, ella ne invocava l’ani-

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ma in certe notti d’angoscia. «La giustizia come egli laconcepì – diceva – è degna di Cristo».

Verso sera andava in qualche trattoria vicina a casaper mangiare in fretta il suo umile pranzo di «operaia»solitaria. Non mangiava che per nutrirsi e per lavorareancora, perchè il sole che tramontava doveva, riapparen-do la mattina dopo, trovarla ancora a tavolino. Lavoravaper forza di abitudine e per mantenere i suoi impegni,ma era stordita, indifferente a tutto. Una volta un incari-cato di casa Vallardi le portò cento lire per certo lavoroch’essa aveva fatto. Come trasognata gli chiese:

— Perchè?L’uomo la guardò sorpreso.— È il suo compenso, – rispose.— Il mio compenso? E perchè mi si dà? A che cosa

mi serve?Ebbe una specie d’accasciamento dinanzi al denaro

che le veniva di diritto, ma che le sembrava perfetta-mente inutile ora che aveva distrutto la sua casa. Con-traddizioni del cuore umano! Poi stentò a scrivere la ri-cevuta, soffocata, acciecata dalle lacrime. Anche nellapersona e nel vestiario, a cui aveva tenuto sempre mol-tissimo, divenne trascurata, quasi sciatta, tanto che qual-cuno che in quei tempi la incontrò per la prima voltaall’ufficio della Nuova rassegna di Luigi Lodi la definìvecchia, cenciosa, infarinata.

Fra le sue carte si ritrovò un mezzo foglietto scrittoper tutti i versi; un vero singhiozzo dell’anima: «Qual-cosa deve morire in noi ogni giorno fin che non si giun-

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ma in certe notti d’angoscia. «La giustizia come egli laconcepì – diceva – è degna di Cristo».

Verso sera andava in qualche trattoria vicina a casaper mangiare in fretta il suo umile pranzo di «operaia»solitaria. Non mangiava che per nutrirsi e per lavorareancora, perchè il sole che tramontava doveva, riapparen-do la mattina dopo, trovarla ancora a tavolino. Lavoravaper forza di abitudine e per mantenere i suoi impegni,ma era stordita, indifferente a tutto. Una volta un incari-cato di casa Vallardi le portò cento lire per certo lavoroch’essa aveva fatto. Come trasognata gli chiese:

— Perchè?L’uomo la guardò sorpreso.— È il suo compenso, – rispose.— Il mio compenso? E perchè mi si dà? A che cosa

mi serve?Ebbe una specie d’accasciamento dinanzi al denaro

che le veniva di diritto, ma che le sembrava perfetta-mente inutile ora che aveva distrutto la sua casa. Con-traddizioni del cuore umano! Poi stentò a scrivere la ri-cevuta, soffocata, acciecata dalle lacrime. Anche nellapersona e nel vestiario, a cui aveva tenuto sempre mol-tissimo, divenne trascurata, quasi sciatta, tanto che qual-cuno che in quei tempi la incontrò per la prima voltaall’ufficio della Nuova rassegna di Luigi Lodi la definìvecchia, cenciosa, infarinata.

Fra le sue carte si ritrovò un mezzo foglietto scrittoper tutti i versi; un vero singhiozzo dell’anima: «Qual-cosa deve morire in noi ogni giorno fin che non si giun-

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Mario Rapisardi.

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Mario Rapisardi.

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La levriera Isella.

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La levriera Isella.

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ga al disfacimento dell’insieme. Ma il morire soltantocosì, moralmente e intellettualmente, tutto in una volta,tutto d’un tratto le pareva mostruoso. Perchè, per qualicolpe remote e incognite l’aveva ella meritato? Le pare-va d’essere sempre stata buona, pia, umile affettuosa.Aveva fatto l’elemosina più spesso di quel che non pote-va a tutti i poveri. Aveva rispettati i vecchi, i santi vec-chi che le ricordavano la sua nonna adorata; ai bimbiaveva sorriso con mille carezze; e aveva amato le bestiecon una pietà singolare. Perchè, dunque, Dio se la pi-gliava così con lei a segno di toglierle ogni pace, ogni il-lusione più puerile, dolce e devota? Mistero. Forse losapeva Lui, Dio, se c’era e vedeva e udiva. Avesse il Si-gnore pietà di lei, almeno come ella la aveva avuta ditanti esseri miserabili striscianti qui in terra, creati mi-steriosamente da Lui nell’immensità del mondo così va-sto senza che si sappia perchè sia tale. Poi pregò, poi ri-mase immobile senza pensare, forse senza capire. E unbuio e un vuoto si fece nell’anima sua arcana, nel suocuore ferito a morte. Allora chiuse gli occhi, come perdormire».

*

In quell’anno 1894 Angelo De Gubernatis aveva affi-dato alla Contessa Lara la rassegna della moda in VitaItaliana da lui diretta, e siccome teneva a che la riprodu-

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ga al disfacimento dell’insieme. Ma il morire soltantocosì, moralmente e intellettualmente, tutto in una volta,tutto d’un tratto le pareva mostruoso. Perchè, per qualicolpe remote e incognite l’aveva ella meritato? Le pare-va d’essere sempre stata buona, pia, umile affettuosa.Aveva fatto l’elemosina più spesso di quel che non pote-va a tutti i poveri. Aveva rispettati i vecchi, i santi vec-chi che le ricordavano la sua nonna adorata; ai bimbiaveva sorriso con mille carezze; e aveva amato le bestiecon una pietà singolare. Perchè, dunque, Dio se la pi-gliava così con lei a segno di toglierle ogni pace, ogni il-lusione più puerile, dolce e devota? Mistero. Forse losapeva Lui, Dio, se c’era e vedeva e udiva. Avesse il Si-gnore pietà di lei, almeno come ella la aveva avuta ditanti esseri miserabili striscianti qui in terra, creati mi-steriosamente da Lui nell’immensità del mondo così va-sto senza che si sappia perchè sia tale. Poi pregò, poi ri-mase immobile senza pensare, forse senza capire. E unbuio e un vuoto si fece nell’anima sua arcana, nel suocuore ferito a morte. Allora chiuse gli occhi, come perdormire».

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In quell’anno 1894 Angelo De Gubernatis aveva affi-dato alla Contessa Lara la rassegna della moda in VitaItaliana da lui diretta, e siccome teneva a che la riprodu-

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zione dei figurini francesi avesse una nota italiana, man-dò a casa della redattrice un pittore che non nominere-mo, perchè insieme prendessero gli accordi per illustrarela rassegna, avvertendolo di stare in guardia perchè laContessa Lara era una donna che poteva essere fatale.

Questo pittore era nato a Napoli ed aveva venticinqueanni. Aveva avuto prima un impiego alle ferrovie dalquale fu esonerato per indisciplina. Poi si dette alla pit-tura ma con scarso talento e nessuna originalità così checonduceva una vita molto stentata.

Era pallido, di un pallore cadaverico, di statura me-dia, coi capelli neri e ricciuti, il viso lungo e smilzo, gliocchi piccoli, castani, cisposi.

La prima volta ch’egli andò in casa della ContessaLara, essa abitava ancora in via Federico Cesi. Era inquel periodo di tristezza e di solitudine che già sappia-mo, sentì pietà, e certo non soltanto pietà per questo mi-sero giovane che le parve di gran talento e molto sfortu-nato. Lo prese a proteggere e lo raccomandò per lavoroa molte persone.

Si videro spesso. Una sera la signora comparve conuna toilette giapponese e chiese:

— Voi che siete artista, fatemi la critica di questa toi-lette.

L’uomo osservò che il chimono non si addiceva mol-to alle bionde, ma, sedendole vicino, lo colpì l’odoreacuto dei suoi capelli e divenne pallidissimo.

La Contessa Lara gli offrì del marsala.— Dove pranzate? – gli chiese poi.

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zione dei figurini francesi avesse una nota italiana, man-dò a casa della redattrice un pittore che non nominere-mo, perchè insieme prendessero gli accordi per illustrarela rassegna, avvertendolo di stare in guardia perchè laContessa Lara era una donna che poteva essere fatale.

Questo pittore era nato a Napoli ed aveva venticinqueanni. Aveva avuto prima un impiego alle ferrovie dalquale fu esonerato per indisciplina. Poi si dette alla pit-tura ma con scarso talento e nessuna originalità così checonduceva una vita molto stentata.

Era pallido, di un pallore cadaverico, di statura me-dia, coi capelli neri e ricciuti, il viso lungo e smilzo, gliocchi piccoli, castani, cisposi.

La prima volta ch’egli andò in casa della ContessaLara, essa abitava ancora in via Federico Cesi. Era inquel periodo di tristezza e di solitudine che già sappia-mo, sentì pietà, e certo non soltanto pietà per questo mi-sero giovane che le parve di gran talento e molto sfortu-nato. Lo prese a proteggere e lo raccomandò per lavoroa molte persone.

Si videro spesso. Una sera la signora comparve conuna toilette giapponese e chiese:

— Voi che siete artista, fatemi la critica di questa toi-lette.

L’uomo osservò che il chimono non si addiceva mol-to alle bionde, ma, sedendole vicino, lo colpì l’odoreacuto dei suoi capelli e divenne pallidissimo.

La Contessa Lara gli offrì del marsala.— Dove pranzate? – gli chiese poi.

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— In una piccola trattoria.— Ebbene, dovreste venire tutte le sere a pranzare da

me. Spendereste meno ed avreste la compagnia di unabella signora, – aggiunse sorridendo.

E così fu fatto. Il pittore fra le sette e le nove, pranza-va ogni sera con la Contessa Lara, pagando come un ca-merata la modesta parte del suo conto.

Solo nel febbraio del 1895 la loro relazione divenneintima. L’esperienza di tutta la vita non aveva insegnatonulla alla Contessa Lara: si dette completamente a que-sto nuovo affetto coll’illusione di trovarvi la felicità.Egli era povero, ed essa cominciò con l’aiutarlo anchematerialmente. I conti del pranzo non furono più fatti.Saldò una fattura di sartoria per lui e anche quella delcalzolaio. Il lavoro che Angelo De Gubernatis avevacommissionato al disegnatore era riuscito banale, inele-gante, e il direttore pensò allora che fosse meglio ripro-durre direttamente i figurini francesi. Gli rimase così,soltanto l’ufficio di segretario di Vita Italiana e sopratut-to di commesso incaricato di ogni sorta d’incombenze.Questo còmpito durò fino al novembre del 1895, quan-do il pittore disse di aver trovato un posto più lucroso edette le dimissioni. Di ciò fu molto lieto il De Guberna-tis anche perchè dopo che il pittore-segretario aveva fat-to un viaggio con la Contessa Lara, era tornato al suoufficio svogliato e negligente, non solo, ma vestito trop-po meglio di prima; il De Gubernatis sgradevolmentesorpreso, gli disse:

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— In una piccola trattoria.— Ebbene, dovreste venire tutte le sere a pranzare da

me. Spendereste meno ed avreste la compagnia di unabella signora, – aggiunse sorridendo.

E così fu fatto. Il pittore fra le sette e le nove, pranza-va ogni sera con la Contessa Lara, pagando come un ca-merata la modesta parte del suo conto.

Solo nel febbraio del 1895 la loro relazione divenneintima. L’esperienza di tutta la vita non aveva insegnatonulla alla Contessa Lara: si dette completamente a que-sto nuovo affetto coll’illusione di trovarvi la felicità.Egli era povero, ed essa cominciò con l’aiutarlo anchematerialmente. I conti del pranzo non furono più fatti.Saldò una fattura di sartoria per lui e anche quella delcalzolaio. Il lavoro che Angelo De Gubernatis avevacommissionato al disegnatore era riuscito banale, inele-gante, e il direttore pensò allora che fosse meglio ripro-durre direttamente i figurini francesi. Gli rimase così,soltanto l’ufficio di segretario di Vita Italiana e sopratut-to di commesso incaricato di ogni sorta d’incombenze.Questo còmpito durò fino al novembre del 1895, quan-do il pittore disse di aver trovato un posto più lucroso edette le dimissioni. Di ciò fu molto lieto il De Guberna-tis anche perchè dopo che il pittore-segretario aveva fat-to un viaggio con la Contessa Lara, era tornato al suoufficio svogliato e negligente, non solo, ma vestito trop-po meglio di prima; il De Gubernatis sgradevolmentesorpreso, gli disse:

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— Non vorrei pensare che questa vostra maggioreagiatezza abbia un’origine immorale.

Al che quegli rispose che non approfittava di nulla edi nessuno e che fra lui e la Contessa Lara vi era un con-to corrente.

De Gubernatis non restò persuaso di queste dichiara-zioni considerando il suo ex-redattore «come uno diquegli uomini che tengono le donne come schiave, etanto più credono di arrogarsi questo diritto in quanto ilpassato di queste disgraziate è stato vorticoso e tragico.»

Il pittore si adagiava nel benessere non lavorando piùo quasi. C’era chi lavorava per lui. Essa, gelosissima, glisi era attaccata con la disperazione di chi non ha piùnessuno al mondo. Scriveva una volta ad una parentedel suo amico, che abitava a Napoli:

«Io l’adoro come mai nessun uomo al mondo è statoamato. Quando egli esce di casa anche per poche ore,dopo averlo salutato dalla finestra provo come un sin-ghiozzo che mi serra la gola. Stare senza vederlo è perme la più grande, triste delle privazioni, perchè nessuno,nemmeno Dio stesso potrà rendermi quel tempo perdu-to.»

Altra volta scrive a lui disperata perchè «dopo queibaci» le ha detto:

— Sì sono tuo, ma domani posso non esserlo più.Egli abitava al piano terreno di una casa in via Porta

Salaria e la Contessa Lara in piazza della Libertà. Unanotte egli si svegliò udendo battere ai vetri della fine-stra, che era molto bassa. Si affacciò e allo scuro scorse

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— Non vorrei pensare che questa vostra maggioreagiatezza abbia un’origine immorale.

Al che quegli rispose che non approfittava di nulla edi nessuno e che fra lui e la Contessa Lara vi era un con-to corrente.

De Gubernatis non restò persuaso di queste dichiara-zioni considerando il suo ex-redattore «come uno diquegli uomini che tengono le donne come schiave, etanto più credono di arrogarsi questo diritto in quanto ilpassato di queste disgraziate è stato vorticoso e tragico.»

Il pittore si adagiava nel benessere non lavorando piùo quasi. C’era chi lavorava per lui. Essa, gelosissima, glisi era attaccata con la disperazione di chi non ha piùnessuno al mondo. Scriveva una volta ad una parentedel suo amico, che abitava a Napoli:

«Io l’adoro come mai nessun uomo al mondo è statoamato. Quando egli esce di casa anche per poche ore,dopo averlo salutato dalla finestra provo come un sin-ghiozzo che mi serra la gola. Stare senza vederlo è perme la più grande, triste delle privazioni, perchè nessuno,nemmeno Dio stesso potrà rendermi quel tempo perdu-to.»

Altra volta scrive a lui disperata perchè «dopo queibaci» le ha detto:

— Sì sono tuo, ma domani posso non esserlo più.Egli abitava al piano terreno di una casa in via Porta

Salaria e la Contessa Lara in piazza della Libertà. Unanotte egli si svegliò udendo battere ai vetri della fine-stra, che era molto bassa. Si affacciò e allo scuro scorse

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una figura femminile, e poco distante una vettura. Corsead aprire il portone supponendo che fosse successoqualche disgrazia e che s’invocasse aiuto, quando videla Contessa Lara che gli disse:

— Ho sognato che tu fossi fra le braccia di una donnae sono corsa qua.

E poichè l’amico si mostrava impensierito per i peri-coli a cui la donna si era esposta così sola, in una vettu-ra, di notte, ella trasse dal manicotto un pugnale fioren-tino del trecento di quelli detti misericordie e un piccolorevolver che aveva comprato qualche mese prima.

— Avevo di che difendermi – disse.Dopo questo fatto, anche per diminuire motivi alle re-

ciproche scene di gelosia, andarono ad abitare insiemein via Sistina, 27; però l’uomo tenne sempre anche unacamera altrove.

La donna s’illuse ancora di potere essere felice e tal-volta gli diceva:

— Non occuparti di nulla, di nulla all’infuori del no-stro amore, perchè il resto, come dice Shakespeare, è si-lenzio.

Una volta uscendo da una rappresentazione dellaCarmen, la Contessa Lara gli disse:

— Vedi, don José ha ucciso. Oggi si chiamerebbe undelinquente, ebbene non lo è. Esso merita pietà.

— Anch’io lo credo.— Ma tu, non faresti così.— No, perchè tu non sei Carmen.— Chi ama, fa così, – replicò lei.

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una figura femminile, e poco distante una vettura. Corsead aprire il portone supponendo che fosse successoqualche disgrazia e che s’invocasse aiuto, quando videla Contessa Lara che gli disse:

— Ho sognato che tu fossi fra le braccia di una donnae sono corsa qua.

E poichè l’amico si mostrava impensierito per i peri-coli a cui la donna si era esposta così sola, in una vettu-ra, di notte, ella trasse dal manicotto un pugnale fioren-tino del trecento di quelli detti misericordie e un piccolorevolver che aveva comprato qualche mese prima.

— Avevo di che difendermi – disse.Dopo questo fatto, anche per diminuire motivi alle re-

ciproche scene di gelosia, andarono ad abitare insiemein via Sistina, 27; però l’uomo tenne sempre anche unacamera altrove.

La donna s’illuse ancora di potere essere felice e tal-volta gli diceva:

— Non occuparti di nulla, di nulla all’infuori del no-stro amore, perchè il resto, come dice Shakespeare, è si-lenzio.

Una volta uscendo da una rappresentazione dellaCarmen, la Contessa Lara gli disse:

— Vedi, don José ha ucciso. Oggi si chiamerebbe undelinquente, ebbene non lo è. Esso merita pietà.

— Anch’io lo credo.— Ma tu, non faresti così.— No, perchè tu non sei Carmen.— Chi ama, fa così, – replicò lei.

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*

La Contessa Lara, era appassionata e generosa anchenei suoi traviamenti. Dotata com’era fisicamente e intel-lettualmente avrebbe anche potuto peccare per denaro.Invece, se ne ebbe, lo dette ad altri con una prodigalitàveramente regale, se non ne ebbe lavorò senza requie.Quando la sua coscienza si risvegliò, essa dovette conamaro stupore conoscere il nuovo amico nella sua vol-gare brutalità e dovette sentire vergogna dell’inganno incui era caduta e prepotente il bisogno di liberarsi daquell’indegno giogo; egli si era abituato a considerare lasua amante come la schiava destinata a procurargli il ne-cessario e il superfluo, perchè, senza scrupolo nè rosso-re, egli non solo usufruiva del suo denaro, ma sfruttavale conoscenze di lei, per ottenere aiuti e sovvenzioni chela compromettevano.

Che le scene si susseguissero sempre più minacciosee disgustanti provocate dall’uomo che inveiva con insul-ti grossolani e percosse, e con sfrontata prepotenza, lodissero numerosi testimoni fra cui un’altra camerieradella Lara, Annunziata Folchi. Una volta, nel maggiodel 1896, la Contessa Lara corse affannata in terrazzadove si trovava la cameriera. La inseguiva l’amante, cheraggiuntala la schiaffeggiò. La Folchi s’interpose, edegli preso un piatto di ciliege che stava su un tavolo,fece l’atto di tirarglielo addosso. Ma siccome la donna simise a urlare disperatamente, egli lo scagliò a terra con

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*

La Contessa Lara, era appassionata e generosa anchenei suoi traviamenti. Dotata com’era fisicamente e intel-lettualmente avrebbe anche potuto peccare per denaro.Invece, se ne ebbe, lo dette ad altri con una prodigalitàveramente regale, se non ne ebbe lavorò senza requie.Quando la sua coscienza si risvegliò, essa dovette conamaro stupore conoscere il nuovo amico nella sua vol-gare brutalità e dovette sentire vergogna dell’inganno incui era caduta e prepotente il bisogno di liberarsi daquell’indegno giogo; egli si era abituato a considerare lasua amante come la schiava destinata a procurargli il ne-cessario e il superfluo, perchè, senza scrupolo nè rosso-re, egli non solo usufruiva del suo denaro, ma sfruttavale conoscenze di lei, per ottenere aiuti e sovvenzioni chela compromettevano.

Che le scene si susseguissero sempre più minacciosee disgustanti provocate dall’uomo che inveiva con insul-ti grossolani e percosse, e con sfrontata prepotenza, lodissero numerosi testimoni fra cui un’altra camerieradella Lara, Annunziata Folchi. Una volta, nel maggiodel 1896, la Contessa Lara corse affannata in terrazzadove si trovava la cameriera. La inseguiva l’amante, cheraggiuntala la schiaffeggiò. La Folchi s’interpose, edegli preso un piatto di ciliege che stava su un tavolo,fece l’atto di tirarglielo addosso. Ma siccome la donna simise a urlare disperatamente, egli lo scagliò a terra con

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Page 232: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

forza. La sera del medesimo giorno la ferocia diquell’uomo si riversò ancora sulla povera Lara: la spinsecontro il muro e la schiaffeggiò più volte dicendo allacameriera con aria di trionfo: «Vedi, Annunziata, comesi schiaffeggiano le contesse!»

Dopo questi fatti, la Lara, avvilita ma decisa a tronca-re con ogni mezzo questo stato di cose, radunò le robedel pittore e gliele rimandò a casa sua. Ma egli ritornò, epoichè la cameriera non volle aprirgli, scavalcò unmuro, entrò in un terrazzo e di lì con violenza penetrò incasa da una finestra.

Era la signora naturalmente che dava alla cameriera ildenaro per le spese, e una volta le disse: «Non sono maipadrona di un centesimo. Tutto per lui. Io lavoro, lavo-ro, lavoro, ma non arrivo....».

Egli consumava gavazzando i guadagni della donna,ed essa diceva: «Non ne posso più, mi uccido».

La consigliarono di andare in Questura. Così le dice-vano la cameriera e qualche amico, ma la disgraziataaveva paura di vendette perchè lo sfruttatore la spiavaanche per via. Per liberarsi domandò consiglio anche alDe Gubernatis.

— Ma come? – le disse questi – eravate tanto conten-ta e cercavate di rappresentarlo come un gentiluomo, unartista che avrebbe potuto fare una bella carriera....

— Che volete! – rispose lei fra le lacrime – è diventa-to tanto esigente e.... minaccia.

De Gubernatis cercò di persuaderla a ricorrere allaQuestura, ma essa non voleva ridursi ancora a questo

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forza. La sera del medesimo giorno la ferocia diquell’uomo si riversò ancora sulla povera Lara: la spinsecontro il muro e la schiaffeggiò più volte dicendo allacameriera con aria di trionfo: «Vedi, Annunziata, comesi schiaffeggiano le contesse!»

Dopo questi fatti, la Lara, avvilita ma decisa a tronca-re con ogni mezzo questo stato di cose, radunò le robedel pittore e gliele rimandò a casa sua. Ma egli ritornò, epoichè la cameriera non volle aprirgli, scavalcò unmuro, entrò in un terrazzo e di lì con violenza penetrò incasa da una finestra.

Era la signora naturalmente che dava alla cameriera ildenaro per le spese, e una volta le disse: «Non sono maipadrona di un centesimo. Tutto per lui. Io lavoro, lavo-ro, lavoro, ma non arrivo....».

Egli consumava gavazzando i guadagni della donna,ed essa diceva: «Non ne posso più, mi uccido».

La consigliarono di andare in Questura. Così le dice-vano la cameriera e qualche amico, ma la disgraziataaveva paura di vendette perchè lo sfruttatore la spiavaanche per via. Per liberarsi domandò consiglio anche alDe Gubernatis.

— Ma come? – le disse questi – eravate tanto conten-ta e cercavate di rappresentarlo come un gentiluomo, unartista che avrebbe potuto fare una bella carriera....

— Che volete! – rispose lei fra le lacrime – è diventa-to tanto esigente e.... minaccia.

De Gubernatis cercò di persuaderla a ricorrere allaQuestura, ma essa non voleva ridursi ancora a questo

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Page 233: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

estremo; allora le consigliò di lasciare Roma, di andar-sene per esempio a Firenze, dove certo aveva ancora de-gli amici.

Intanto era sopraggiunta l’estate del 1896 e la Laravoleva andare a villeggiare in Liguria: pensava così diliberarsi dalla paurosa oppressione. Partendo incontrò iltenente di marina Ferruccio Bottini che aveva incontratol’ultima volta di sfuggita, tre anni prima a Roma, quan-do, sottotenente di vascello, era ritornato dall’America.Essa andava a Genova ed era sola; il tenente dovevaraggiungere la sua nave, la Morosini, alla Spezia.

*

Sappiamo già che fino dal 1880, quando Ferruccio edEzio, minore del fratello di due anni, erano fanciulli, laContessa Lara era intima della famiglia Bottini, essendomolto cara alla signora Agrippina (Piva) e a suo marito.Era un’amicizia intima come una parentela: dopo che lafamiglia Bottini lasciò Roma per Livorno, la ContessaLara ne fu ospite per ben cinque volte.

Il padre, Tommaso Bottini, cominciata la carriera mi-litare come tamburino con Carlo Alberto, aveva fattotutte le campagne d’Italia fino a raggiungere il grado dicolonnello di fanteria, il figlio Ezio fu educato nel colle-gio militare a Roma, Ferruccio all’Accademia Navale diLivorno.

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estremo; allora le consigliò di lasciare Roma, di andar-sene per esempio a Firenze, dove certo aveva ancora de-gli amici.

Intanto era sopraggiunta l’estate del 1896 e la Laravoleva andare a villeggiare in Liguria: pensava così diliberarsi dalla paurosa oppressione. Partendo incontrò iltenente di marina Ferruccio Bottini che aveva incontratol’ultima volta di sfuggita, tre anni prima a Roma, quan-do, sottotenente di vascello, era ritornato dall’America.Essa andava a Genova ed era sola; il tenente dovevaraggiungere la sua nave, la Morosini, alla Spezia.

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Sappiamo già che fino dal 1880, quando Ferruccio edEzio, minore del fratello di due anni, erano fanciulli, laContessa Lara era intima della famiglia Bottini, essendomolto cara alla signora Agrippina (Piva) e a suo marito.Era un’amicizia intima come una parentela: dopo che lafamiglia Bottini lasciò Roma per Livorno, la ContessaLara ne fu ospite per ben cinque volte.

Il padre, Tommaso Bottini, cominciata la carriera mi-litare come tamburino con Carlo Alberto, aveva fattotutte le campagne d’Italia fino a raggiungere il grado dicolonnello di fanteria, il figlio Ezio fu educato nel colle-gio militare a Roma, Ferruccio all’Accademia Navale diLivorno.

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Page 234: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

Quando si ritrovarono in quell’estate ’96, dalla SpeziaFerruccio si recò spesso a Genova a trovare l’amica, poifu lei che si trasferì alla Spezia dove rimase circa unmese. Gli confidò naturalmente le sue apprensioni e ildisgusto, e il terrore che l’amante romano le ispirava; ilgiovane la incoraggiò a liberarsene con qualunque mez-zo. Le consigliò di lasciare Roma e di trasferirsi a Li-vorno in casa Bottini dove sarebbe stata amata, protetta,difesa come una figliuola. Il tenente era imbarcato sullasua nave, ma spesso si vedevano la sera. Una volta pas-sando davanti a una vetrina di armaiuolo, la ContessaLara alla vista di un revolver brunito, così minuscoloche pareva un giocattolo, con uno di quei suoi desideripuerili che le erano abituali esclamò:

— Com’è bellino! Mi piacerebbe averlo come ferma-carte.

Il tenente andò subito ad acquistarlo, e porgendoloall’amica esclamò ridendo:

— Con questo non si ammazza nemmeno una mosca.Da Spezia essa scriveva raramente al pittore e le lette-

re erano sempre più fredde, decisa ormai a rompere adogni costo.

Egli vedendo che la vittima stava per sfuggirgli e cheresisteva con nuova e ignota audacia alle sue minacce,covava già atroci propositi di vendetta.

Intanto nacque e fiorì luminoso e gentile l’idillio chedoveva consolare di un’ultima brevissima luce la vitainquieta della Contessa Lara.

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Quando si ritrovarono in quell’estate ’96, dalla SpeziaFerruccio si recò spesso a Genova a trovare l’amica, poifu lei che si trasferì alla Spezia dove rimase circa unmese. Gli confidò naturalmente le sue apprensioni e ildisgusto, e il terrore che l’amante romano le ispirava; ilgiovane la incoraggiò a liberarsene con qualunque mez-zo. Le consigliò di lasciare Roma e di trasferirsi a Li-vorno in casa Bottini dove sarebbe stata amata, protetta,difesa come una figliuola. Il tenente era imbarcato sullasua nave, ma spesso si vedevano la sera. Una volta pas-sando davanti a una vetrina di armaiuolo, la ContessaLara alla vista di un revolver brunito, così minuscoloche pareva un giocattolo, con uno di quei suoi desideripuerili che le erano abituali esclamò:

— Com’è bellino! Mi piacerebbe averlo come ferma-carte.

Il tenente andò subito ad acquistarlo, e porgendoloall’amica esclamò ridendo:

— Con questo non si ammazza nemmeno una mosca.Da Spezia essa scriveva raramente al pittore e le lette-

re erano sempre più fredde, decisa ormai a rompere adogni costo.

Egli vedendo che la vittima stava per sfuggirgli e cheresisteva con nuova e ignota audacia alle sue minacce,covava già atroci propositi di vendetta.

Intanto nacque e fiorì luminoso e gentile l’idillio chedoveva consolare di un’ultima brevissima luce la vitainquieta della Contessa Lara.

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Page 235: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

Una mattina, d’improvviso la Morosini ebbe ordine dipartire per ignota destinazione.

Ferruccio Bottini aveva come attendente un marinaiopugliese, rozzo, analfabeta e fedele come un cane. Almomento della partenza la Contessa Lara gli consegnòun involto. Più tardi, quando il marinaio l’apri, vi trovòcon suo grande stupore quaranta scudi d’argento e corsedal suo tenente.

— Che ne debbo fare? Io non li voglio. Perchè me liha dati?

E siccome non sapeva tenere la penna in mano, pregòl’ufficiale di scrivere alla signora per ringraziarla e perpregarla di riprendersi quel denaro. Al che la Lara rispo-se con una lettera tanto affettuosa e cordiale, piena dicose poetiche sulla vita e sull’anima del marinaio chel’attendente fu costretto ad accettare il dono per non of-fendere la donatrice.

Lettere dolci e appassionate scriveva pure al suo ami-co:

«Nella stanza vicina alla mia c’è un ufficiale che can-ta sempre: Che farò senza Euridice? Questa musica miva profonda all’anima e mi fa soffrire mentre mi chiedo:Che farò senza Ferruccio?».

La Morosini andò a Taranto, e di lì ripartì per rag-giungere la flotta interalleata comandata dall’ammira-glio Canevaro nella baia di Suda.

Era il tempo dell’insurrezione di Creta. A FerruccioBottini, sceso alla Canea, al comando di una compagniadi sbarco, toccò di arrestare e di far condurre a bordo

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Una mattina, d’improvviso la Morosini ebbe ordine dipartire per ignota destinazione.

Ferruccio Bottini aveva come attendente un marinaiopugliese, rozzo, analfabeta e fedele come un cane. Almomento della partenza la Contessa Lara gli consegnòun involto. Più tardi, quando il marinaio l’apri, vi trovòcon suo grande stupore quaranta scudi d’argento e corsedal suo tenente.

— Che ne debbo fare? Io non li voglio. Perchè me liha dati?

E siccome non sapeva tenere la penna in mano, pregòl’ufficiale di scrivere alla signora per ringraziarla e perpregarla di riprendersi quel denaro. Al che la Lara rispo-se con una lettera tanto affettuosa e cordiale, piena dicose poetiche sulla vita e sull’anima del marinaio chel’attendente fu costretto ad accettare il dono per non of-fendere la donatrice.

Lettere dolci e appassionate scriveva pure al suo ami-co:

«Nella stanza vicina alla mia c’è un ufficiale che can-ta sempre: Che farò senza Euridice? Questa musica miva profonda all’anima e mi fa soffrire mentre mi chiedo:Che farò senza Ferruccio?».

La Morosini andò a Taranto, e di lì ripartì per rag-giungere la flotta interalleata comandata dall’ammira-glio Canevaro nella baia di Suda.

Era il tempo dell’insurrezione di Creta. A FerruccioBottini, sceso alla Canea, al comando di una compagniadi sbarco, toccò di arrestare e di far condurre a bordo

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Contessa Lara.

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Contessa Lara.

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Matilde Serao.

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Matilde Serao.

Page 238: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

ben legato, Eleuterio Venizelos, capo temuto di tutti i ri-belli. Dalla Canea, il tenente, sapendo quanto la sua caradonna amasse le bestie, ebbe la bizzarra idea di mandar-le in dono una gazzella; dopo averla accuratamente de-posta in un canestro l’affidò a un tenente di vascello cheritornava in patria sull’incrociatore Vesuvio, con la rac-comandazione di portarla di persona alla destinataria, ilche fu fatto, e non è a dirsi con quale gioia fu accoltol’animale. Essa scrisse una lettera di ringraziamento incui con molta arte sono decantati gl’innocenti occhi del-la gazzella.

*

Dopo la Spezia, in ottobre, la Contessa Lara andò perqualche tempo a Portofino, dove la signorina Irene, rice-vitrice della posta, ancora la ricorda ansiosa, aspettandoi giornali che dovevano portarle notizie sulla insurrezio-ne di Creta, e di qui si recò a Livorno dai Bottini, accol-ta con festevole affetto. Coi genitori viveva allora il fi-glio Ezio di ventidue anni, tenente di fanteria.

I Bottini la consigliarono di lasciar Roma per sfuggirea colui ch’essa descriveva come «un mascalzone capacedi minacce e peggio».

Gli amici la confortavano invitandola a stabilirsi conloro, presso i quali avrebbe trovato pace e protezione. E

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ben legato, Eleuterio Venizelos, capo temuto di tutti i ri-belli. Dalla Canea, il tenente, sapendo quanto la sua caradonna amasse le bestie, ebbe la bizzarra idea di mandar-le in dono una gazzella; dopo averla accuratamente de-posta in un canestro l’affidò a un tenente di vascello cheritornava in patria sull’incrociatore Vesuvio, con la rac-comandazione di portarla di persona alla destinataria, ilche fu fatto, e non è a dirsi con quale gioia fu accoltol’animale. Essa scrisse una lettera di ringraziamento incui con molta arte sono decantati gl’innocenti occhi del-la gazzella.

*

Dopo la Spezia, in ottobre, la Contessa Lara andò perqualche tempo a Portofino, dove la signorina Irene, rice-vitrice della posta, ancora la ricorda ansiosa, aspettandoi giornali che dovevano portarle notizie sulla insurrezio-ne di Creta, e di qui si recò a Livorno dai Bottini, accol-ta con festevole affetto. Coi genitori viveva allora il fi-glio Ezio di ventidue anni, tenente di fanteria.

I Bottini la consigliarono di lasciar Roma per sfuggirea colui ch’essa descriveva come «un mascalzone capacedi minacce e peggio».

Gli amici la confortavano invitandola a stabilirsi conloro, presso i quali avrebbe trovato pace e protezione. E

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così fu deciso. Sarebbe andata a Roma per smontare lacasa e avrebbe spedito tutto a Livorno.

Ezio Bottini avrebbe voluto accompagnarla ma nongli fu possibile ottenere una licenza. Il giorno prima dipartire la Contessa Lara mettendo in ordine il suo baulemostrò a Ezio il piccolo revolver che le aveva donatoFerruccio.

— È grazioso, vero?— Sì, graziosissimo.— Lo vuoi? Te lo regalo.— No no, – rispose Ezio Bottini – non voglio che te

ne privi perchè dopo ne avresti forse rincrescimento, ep-poi può esserti utile se t’incontri con quell’uomo. È me-glio che lo tieni con te.

Vago, oscuro, inconscio presentimento questo deside-rio di donare il revolver, che certo sarebbe stato moltomeglio se il tenente Ezio Bottini lo avesse accettato.

*

Il 21 ottobre la Lara ritornò a casa sua, e rivedendo ilpittore fu con lui glaciale, fermamente decisa a lasciareRoma per spezzare il legame. Egli cominciò di nuovo aperseguitarla, mostrandosi anche geloso del tenente Fer-ruccio Bottini che essa – non spetta a noi il compito diuna indagine indiscreta – diceva di amare purissima-mente. Certo questo nuovo gentile sentimento contribui-

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così fu deciso. Sarebbe andata a Roma per smontare lacasa e avrebbe spedito tutto a Livorno.

Ezio Bottini avrebbe voluto accompagnarla ma nongli fu possibile ottenere una licenza. Il giorno prima dipartire la Contessa Lara mettendo in ordine il suo baulemostrò a Ezio il piccolo revolver che le aveva donatoFerruccio.

— È grazioso, vero?— Sì, graziosissimo.— Lo vuoi? Te lo regalo.— No no, – rispose Ezio Bottini – non voglio che te

ne privi perchè dopo ne avresti forse rincrescimento, ep-poi può esserti utile se t’incontri con quell’uomo. È me-glio che lo tieni con te.

Vago, oscuro, inconscio presentimento questo deside-rio di donare il revolver, che certo sarebbe stato moltomeglio se il tenente Ezio Bottini lo avesse accettato.

*

Il 21 ottobre la Lara ritornò a casa sua, e rivedendo ilpittore fu con lui glaciale, fermamente decisa a lasciareRoma per spezzare il legame. Egli cominciò di nuovo aperseguitarla, mostrandosi anche geloso del tenente Fer-ruccio Bottini che essa – non spetta a noi il compito diuna indagine indiscreta – diceva di amare purissima-mente. Certo questo nuovo gentile sentimento contribui-

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Page 240: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

va a darle il coraggio di ribellarsi allo sfruttatore che erariuscito ancora ad estorcerle denaro e gioielli, ma nullagli poteva bastare.

Il 23 ottobre, scriveva alla famiglia Bottini:«Sono stata 25 ore in viaggio per una rottura di ponti

e interruzione di via. Partii da Firenze ma non giunsi aPisa, soltanto a Empoli; donde presi la via di Chiusi,Orte, ecc. Tutta la campagna allagata. Pareva di viaggia-re su di una nave. Dormii (che dormire quieto!) su la ta-vola di marmo del buffet a Empoli dove rimasi 5 ore, alfreddo, all’umido, nella solitudine. A Roma mi misi inletto e la febbre m’è sopraggiunta violenta. Bisogna do-mandare il possibile a un organismo umano, non giàl’impossibile a me consumata ormai da troppo senti-mento e troppo dolore patito nella vita e in tutte le piùdifficili sue lotte».

Il 2 novembre era l’anniversario della morte dellanonna e il giorno successivo scriveva a Ezio Bottini:

«Ogni anno tanto è lo strazio che provo in questogiorno che mi ammalo. Credo però che sarà l’ultimavolta; presto forse raggiungerò l’anima santa di lei, al-meno se Iddio avrà di me pietà negli ultimi istanti dellamia vita. Oh, sì, lo sento, la mia anima fragile e sensiti-va non può reggere alle continue torture che la mia esi-stenza le infligge».

Certo che fa rabbrividire questo presentimento dellamorte vicina. E ancora scriveva alla cara amica di Li-vorno il 15 novembre (a Pina):

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va a darle il coraggio di ribellarsi allo sfruttatore che erariuscito ancora ad estorcerle denaro e gioielli, ma nullagli poteva bastare.

Il 23 ottobre, scriveva alla famiglia Bottini:«Sono stata 25 ore in viaggio per una rottura di ponti

e interruzione di via. Partii da Firenze ma non giunsi aPisa, soltanto a Empoli; donde presi la via di Chiusi,Orte, ecc. Tutta la campagna allagata. Pareva di viaggia-re su di una nave. Dormii (che dormire quieto!) su la ta-vola di marmo del buffet a Empoli dove rimasi 5 ore, alfreddo, all’umido, nella solitudine. A Roma mi misi inletto e la febbre m’è sopraggiunta violenta. Bisogna do-mandare il possibile a un organismo umano, non giàl’impossibile a me consumata ormai da troppo senti-mento e troppo dolore patito nella vita e in tutte le piùdifficili sue lotte».

Il 2 novembre era l’anniversario della morte dellanonna e il giorno successivo scriveva a Ezio Bottini:

«Ogni anno tanto è lo strazio che provo in questogiorno che mi ammalo. Credo però che sarà l’ultimavolta; presto forse raggiungerò l’anima santa di lei, al-meno se Iddio avrà di me pietà negli ultimi istanti dellamia vita. Oh, sì, lo sento, la mia anima fragile e sensiti-va non può reggere alle continue torture che la mia esi-stenza le infligge».

Certo che fa rabbrividire questo presentimento dellamorte vicina. E ancora scriveva alla cara amica di Li-vorno il 15 novembre (a Pina):

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Page 241: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

«Vorrei scriverti un volume di cose intime ma debbofare un lavoro per Treves di Milano e mi son ridotta allaporta coi sassi perchè le fiere e sciagurate lotte che stosostenendo mi accasciano e mi tolgono la volontà. Diomi protegga nella sua grande misericordia».

E più avanti parlando di alcuni suoi progetti fra cuiquello di sbrigare le faccende a Roma e tornare a Livor-no:

«Se tutte queste belle cose mi riescono, morirò piùtranquilla perchè proprio, il riposarmi finalmente nellamorte è il mio desiderio supremo».

E l’ultima lettera, di nuovo a Ezio Bottini, è del 28novembre:

«Mi domandi se quel tale pittore di cui ti parlai a lun-go a Livorno è più tornato a importunarmi! Ezietto caro,perchè ti vuoi affliggere per questo? Vorresti venire aRoma e recarmi protezione? Ma a che scopo? Certe per-sone si mortificano con l’indifferenza poichè non sondegne della nostra collera.

«Ti narrai come a costui avessi fatto del bene e molto,raccomandandolo perfino a S. E. il ministro Di Rudinì,onde procurargli il mezzo di vendere le sue tele, e moltopiù ancora mi sono mostrata generosa, tu lo sai. Ma que-sti sembra che non sia pago e mi tormenta di continuo.Certo, non avrei bisogno che altre sofferenze si aggiun-gessero a quelle che il mio cuore prova nè che altri do-lori mi togliessero le poche forze che ancor mi restano ela fiducia nell’esistenza.

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«Vorrei scriverti un volume di cose intime ma debbofare un lavoro per Treves di Milano e mi son ridotta allaporta coi sassi perchè le fiere e sciagurate lotte che stosostenendo mi accasciano e mi tolgono la volontà. Diomi protegga nella sua grande misericordia».

E più avanti parlando di alcuni suoi progetti fra cuiquello di sbrigare le faccende a Roma e tornare a Livor-no:

«Se tutte queste belle cose mi riescono, morirò piùtranquilla perchè proprio, il riposarmi finalmente nellamorte è il mio desiderio supremo».

E l’ultima lettera, di nuovo a Ezio Bottini, è del 28novembre:

«Mi domandi se quel tale pittore di cui ti parlai a lun-go a Livorno è più tornato a importunarmi! Ezietto caro,perchè ti vuoi affliggere per questo? Vorresti venire aRoma e recarmi protezione? Ma a che scopo? Certe per-sone si mortificano con l’indifferenza poichè non sondegne della nostra collera.

«Ti narrai come a costui avessi fatto del bene e molto,raccomandandolo perfino a S. E. il ministro Di Rudinì,onde procurargli il mezzo di vendere le sue tele, e moltopiù ancora mi sono mostrata generosa, tu lo sai. Ma que-sti sembra che non sia pago e mi tormenta di continuo.Certo, non avrei bisogno che altre sofferenze si aggiun-gessero a quelle che il mio cuore prova nè che altri do-lori mi togliessero le poche forze che ancor mi restano ela fiducia nell’esistenza.

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Page 242: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

«....non imprecare: chi mi fa star male, chi mi fa mo-rire con la sua crudeltà importuna, non è un rettile è, telo ripeto, una persona da trascurarsi. Dio, a volte, si ser-ve degli uomini per punire i colpevoli. E io, senza saper-lo, debbo avere terribili colpe da espiare....».

*

Quando colui ebbe a persuadersi che nè le false prote-ste d’amore, nè le gelosie ipocrite, nè le preghiere, nè leminacce valevano più ad impaurire la vittima e a piegar-la al suo volere, quando sentì vicina la definitiva rotturadecise in cuor suo ineluttabilmente la vendetta.

La domenica sera, 29 novembre, la donna gli disse intermini recisi che se non la lasciava in pace si sarebberivolta alla Questura.

Egli la supplicò di concedergli ancora un colloquio,quello del congedo, per la sera dopo, lunedì 30 novem-bre. Gli fu accordato.

Per rendere meno frequenti le sue visite essa avevaaboliti i pasti in casa e andava in trattoria ad ore impos-sibili. Questa separazione di tavola fu tra i motivi princi-pali dell’ira del pittore.

La sera del 30 novembre andò dunque in Via Sistinaalle 7, vi rimase fino alle 7 e mezzo, tornò alle 8, e deci-se di aspettare in strada spiando fino alle 9, ora in cui laLara rientrò. Essa ebbe il tempo d’infilare le pantofoline

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«....non imprecare: chi mi fa star male, chi mi fa mo-rire con la sua crudeltà importuna, non è un rettile è, telo ripeto, una persona da trascurarsi. Dio, a volte, si ser-ve degli uomini per punire i colpevoli. E io, senza saper-lo, debbo avere terribili colpe da espiare....».

*

Quando colui ebbe a persuadersi che nè le false prote-ste d’amore, nè le gelosie ipocrite, nè le preghiere, nè leminacce valevano più ad impaurire la vittima e a piegar-la al suo volere, quando sentì vicina la definitiva rotturadecise in cuor suo ineluttabilmente la vendetta.

La domenica sera, 29 novembre, la donna gli disse intermini recisi che se non la lasciava in pace si sarebberivolta alla Questura.

Egli la supplicò di concedergli ancora un colloquio,quello del congedo, per la sera dopo, lunedì 30 novem-bre. Gli fu accordato.

Per rendere meno frequenti le sue visite essa avevaaboliti i pasti in casa e andava in trattoria ad ore impos-sibili. Questa separazione di tavola fu tra i motivi princi-pali dell’ira del pittore.

La sera del 30 novembre andò dunque in Via Sistinaalle 7, vi rimase fino alle 7 e mezzo, tornò alle 8, e deci-se di aspettare in strada spiando fino alle 9, ora in cui laLara rientrò. Essa ebbe il tempo d’infilare le pantofoline

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Page 243: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

e una vestaglia bianca che stava terminando di abbotto-nare andando dalla camera al salotto, allorchè le si pre-sentò il pittore. Quando fu proprio convinto che la Laranon voleva più saperne di lui e non intendeva dargli piùdel denaro, tentò di prenderla dal lato del sentimento; simostrò geloso di tutti e due i fratelli Bottini; poi comin-ciò a tentarla e la spinse a forza nella vicina camera daletto. Essa lottò, si difese disperatamente (le furono tro-vati graffi e lividure alle braccia e alle mani) finchè egli,preso dall’ira bestiale, afferrò il minuscolo revolver chestava sul comodino e disse:

— Bada che ti ammazzo.— Ammazzami. Sarai vigliacco una volta di più.E continuò a ribellarglisi mentre egli ripeteva:— Devi morire.Allora essa, perduta, gli si gettò in ginocchio suppli-

candolo:— Per l’anima dei tuoi morti, non mi ammazzare.Al che l’uomo sparandole addosso rispose:— No, voglio che tu muoia.Dopo egli pure si tirò un colpo intelligente sotto

l’ascella.La vittima, comprimendosi il ventre ferito, corse scal-

za alla porta del salotto gridando:— Aiuto, mi ha ammazzata.Poi si gettò sul divano dove la cameriera Linda Medi-

ci e la portinaia accorse, la trovarono sanguinante.L’assassino s’infilava tranquillamente il paletot e si

allontanava ingiungendo minacciosamente alle donne

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e una vestaglia bianca che stava terminando di abbotto-nare andando dalla camera al salotto, allorchè le si pre-sentò il pittore. Quando fu proprio convinto che la Laranon voleva più saperne di lui e non intendeva dargli piùdel denaro, tentò di prenderla dal lato del sentimento; simostrò geloso di tutti e due i fratelli Bottini; poi comin-ciò a tentarla e la spinse a forza nella vicina camera daletto. Essa lottò, si difese disperatamente (le furono tro-vati graffi e lividure alle braccia e alle mani) finchè egli,preso dall’ira bestiale, afferrò il minuscolo revolver chestava sul comodino e disse:

— Bada che ti ammazzo.— Ammazzami. Sarai vigliacco una volta di più.E continuò a ribellarglisi mentre egli ripeteva:— Devi morire.Allora essa, perduta, gli si gettò in ginocchio suppli-

candolo:— Per l’anima dei tuoi morti, non mi ammazzare.Al che l’uomo sparandole addosso rispose:— No, voglio che tu muoia.Dopo egli pure si tirò un colpo intelligente sotto

l’ascella.La vittima, comprimendosi il ventre ferito, corse scal-

za alla porta del salotto gridando:— Aiuto, mi ha ammazzata.Poi si gettò sul divano dove la cameriera Linda Medi-

ci e la portinaia accorse, la trovarono sanguinante.L’assassino s’infilava tranquillamente il paletot e si

allontanava ingiungendo minacciosamente alle donne

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Page 244: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

terrorizzate di non chiamare nessuno.— Vado per il medico – disse; e uscì.

*

Si recò alla farmacia Selvaggi dove si trovava un dot-tore:

— Ho bisogno urgente dell’opera di un chirurgo; laprego di venire con me.

Quegli lo seguì. Allora gli disse il suo nome e gli con-fidò in tutta segretezza che, preso da un momento di fu-rore, aveva esploso un colpo di revolver contro la suaamante e, dopo, uno contro se stesso ferendosi al petto.Si mostrò pentito ed agitatissimo.

Il medico trovò la signora sul letto dove l’avevanotrasportata le donne; disinfettò la ferita, la medicò: unpiccolo foro annerito da residui di polvere non bruciataa dieci centimetri sopra l’ombelico sulla linea medianadel corpo. Il tragitto del proiettile aveva una direzioneleggermente in basso, verso la colonna vertebrale, doveprobabilmente colpì rimbalzando verso sinistra poichèqui c’era un’altra ferita.

Mentre spasimava, scorse nascosto nell’ombra, dietrole spalle del medico curvo su lei il feritore che osserva-va la medicazione. Ebbe la forza di gridare.

— Vattene, miserabile!

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terrorizzate di non chiamare nessuno.— Vado per il medico – disse; e uscì.

*

Si recò alla farmacia Selvaggi dove si trovava un dot-tore:

— Ho bisogno urgente dell’opera di un chirurgo; laprego di venire con me.

Quegli lo seguì. Allora gli disse il suo nome e gli con-fidò in tutta segretezza che, preso da un momento di fu-rore, aveva esploso un colpo di revolver contro la suaamante e, dopo, uno contro se stesso ferendosi al petto.Si mostrò pentito ed agitatissimo.

Il medico trovò la signora sul letto dove l’avevanotrasportata le donne; disinfettò la ferita, la medicò: unpiccolo foro annerito da residui di polvere non bruciataa dieci centimetri sopra l’ombelico sulla linea medianadel corpo. Il tragitto del proiettile aveva una direzioneleggermente in basso, verso la colonna vertebrale, doveprobabilmente colpì rimbalzando verso sinistra poichèqui c’era un’altra ferita.

Mentre spasimava, scorse nascosto nell’ombra, dietrole spalle del medico curvo su lei il feritore che osserva-va la medicazione. Ebbe la forza di gridare.

— Vattene, miserabile!

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Page 245: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

Il dottore medicò pure la scalfittura dell’assassino,poi, date istruzioni alla portinaia e alla cameriera, si al-lontanò dicendo che la signora versava in imminente pe-ricolo di vita.

Non cercò aiuto per fare la laparatomia e tentare disalvare la povera donna, e neanche denunziò il fatto inquestura. Perciò l’autorità di P. S. lo deferì poi al poteregiudiziario. Ci fu allora chi sostenne, e fra gli altri ildott. Morini, che se si fosse fatta subito la laparatomia,la Contessa Lara non sarebbe morta.

Così la moribonda rimase abbandonata tutta la notte.

*

La questura venne a sapere la notizia in un modo ve-ramente curioso. Verso le due pomeridiane del giornosuccessivo, primo dicembre, passando per Piazza diSpagna, il delegato Cortesi della Questura Centrales’incontrò coi dottori Mazzoni e Rocchi a cui nella mat-tinata il dottor Parboni si era finalmente deciso a ricor-rere. La sutura delle lesioni e la disinfezione avevano ri-chiesta un’ora; con quei due medici erano anche i dotto-ri Lesen e Galloni.

Il dottor Rocchi chiese al delegato:— Vai forse dalla Contessa Lara?— No, perche?

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Il dottore medicò pure la scalfittura dell’assassino,poi, date istruzioni alla portinaia e alla cameriera, si al-lontanò dicendo che la signora versava in imminente pe-ricolo di vita.

Non cercò aiuto per fare la laparatomia e tentare disalvare la povera donna, e neanche denunziò il fatto inquestura. Perciò l’autorità di P. S. lo deferì poi al poteregiudiziario. Ci fu allora chi sostenne, e fra gli altri ildott. Morini, che se si fosse fatta subito la laparatomia,la Contessa Lara non sarebbe morta.

Così la moribonda rimase abbandonata tutta la notte.

*

La questura venne a sapere la notizia in un modo ve-ramente curioso. Verso le due pomeridiane del giornosuccessivo, primo dicembre, passando per Piazza diSpagna, il delegato Cortesi della Questura Centrales’incontrò coi dottori Mazzoni e Rocchi a cui nella mat-tinata il dottor Parboni si era finalmente deciso a ricor-rere. La sutura delle lesioni e la disinfezione avevano ri-chiesta un’ora; con quei due medici erano anche i dotto-ri Lesen e Galloni.

Il dottor Rocchi chiese al delegato:— Vai forse dalla Contessa Lara?— No, perche?

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Page 246: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

— Come, non sai che è stata mortalmente ferita da undisegnatore? Torniamo adesso dall’averla operata.

Il delegato si precipitò in Via Sistina 27 dove appreseil fatto in tutti i suoi particolari. Fatti pochi passi in ViaCondotti il dottor Mazzoni incontrò Vincenzo Morello.

— Non sai?— Che cosa?— Hanno assassinato la Contessa Lara.— Oh! raccontami.Gli disse allora che l’aveva operata nella mattinata,

ma che era inutile sperare. Che un miserabile la sera pri-ma alle nove e mezzo le aveva tirato un colpo di rivol-tella che le aveva lacerate le viscere.

— E ora? – chiese Morello stupefatto e addolorato.— Ora, – rispose il prof. Mazzoni, – è sola a casa sua

e aspetta la morte. Le ho lasciato un mio assistente, ildott. Morghen. Ma è questione di ore.

Morello, lasciato il Prof. Mazzoni, si precipitò in ViaSistina dove trovò pure il collega Evangelisti, della Tri-buna.

— La Contessa Lara? – chiesero al portiere.— Su al mezzanino.Dalle scale superiori, mentre i giornalisti salivano,

scendeva cantando una giovinetta inglese.«Nessuno spettacolo più triste di quello cui assistem-

mo – scrisse allora Vincenzo Morello sulla Tribuna –entrando in casa. In sala la donna di servizio e il cane, ilgran cane danese che la Lara portava sempre con sè eche ora girava da una sedia all’altra e guardava intorno a

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— Come, non sai che è stata mortalmente ferita da undisegnatore? Torniamo adesso dall’averla operata.

Il delegato si precipitò in Via Sistina 27 dove appreseil fatto in tutti i suoi particolari. Fatti pochi passi in ViaCondotti il dottor Mazzoni incontrò Vincenzo Morello.

— Non sai?— Che cosa?— Hanno assassinato la Contessa Lara.— Oh! raccontami.Gli disse allora che l’aveva operata nella mattinata,

ma che era inutile sperare. Che un miserabile la sera pri-ma alle nove e mezzo le aveva tirato un colpo di rivol-tella che le aveva lacerate le viscere.

— E ora? – chiese Morello stupefatto e addolorato.— Ora, – rispose il prof. Mazzoni, – è sola a casa sua

e aspetta la morte. Le ho lasciato un mio assistente, ildott. Morghen. Ma è questione di ore.

Morello, lasciato il Prof. Mazzoni, si precipitò in ViaSistina dove trovò pure il collega Evangelisti, della Tri-buna.

— La Contessa Lara? – chiesero al portiere.— Su al mezzanino.Dalle scale superiori, mentre i giornalisti salivano,

scendeva cantando una giovinetta inglese.«Nessuno spettacolo più triste di quello cui assistem-

mo – scrisse allora Vincenzo Morello sulla Tribuna –entrando in casa. In sala la donna di servizio e il cane, ilgran cane danese che la Lara portava sempre con sè eche ora girava da una sedia all’altra e guardava intorno a

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Page 247: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

se stesso quasi istupidito; nel salotto, per terra, un muc-chio di tovaglie, fazzoletti, lenzuola insanguinate, e allepareti, tra i tanti quadretti, – un piccolo ritratto a olio dilei – nella prima giovinezza – una vera gloria di bellez-za.

«— Si può vederla? – chiedo al dottore.«— Entri.«Nella piccola cameretta per metà occupata dal letto,

spiccava sul bianco cuscino entro un’aureola di capellibiondi un volto già esangue, profondamente incavatonelle gote e due occhi aperti, vitrei senza luce.

«— Muoio dunque? Arriverò almeno fino a stasera?«Non volendo risponderle, e farle sentire in quell’ora

la mia voce, una voce d’amico che più d’una volta ave-va tentato di darle buoni consigli, passai nella sala perinterrogare la persona di servizio che era stata presentealla tragedia».

Mentre Vincenzo Morello parlava con la cameriera,arrivò il viceparroco di S. Andrea delle Fratte che leistessa aveva chiesto, ed entrò nella camera della mori-bonda.

— Mi pare difficile che possa fare una confessione, –disse dopo averla osservata.

— Muoio dunque? – ripeteva l’infelice – muoio?«Al lato del letto era quel crocifisso di bronzo ch’ella

aveva cantato in un sonetto così dolce e buono nel pri-mo volume delle sue poesie. E mentre il prete diceva leorazioni, a me – proseguiva Vincenzo Morello – guar-

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se stesso quasi istupidito; nel salotto, per terra, un muc-chio di tovaglie, fazzoletti, lenzuola insanguinate, e allepareti, tra i tanti quadretti, – un piccolo ritratto a olio dilei – nella prima giovinezza – una vera gloria di bellez-za.

«— Si può vederla? – chiedo al dottore.«— Entri.«Nella piccola cameretta per metà occupata dal letto,

spiccava sul bianco cuscino entro un’aureola di capellibiondi un volto già esangue, profondamente incavatonelle gote e due occhi aperti, vitrei senza luce.

«— Muoio dunque? Arriverò almeno fino a stasera?«Non volendo risponderle, e farle sentire in quell’ora

la mia voce, una voce d’amico che più d’una volta ave-va tentato di darle buoni consigli, passai nella sala perinterrogare la persona di servizio che era stata presentealla tragedia».

Mentre Vincenzo Morello parlava con la cameriera,arrivò il viceparroco di S. Andrea delle Fratte che leistessa aveva chiesto, ed entrò nella camera della mori-bonda.

— Mi pare difficile che possa fare una confessione, –disse dopo averla osservata.

— Muoio dunque? – ripeteva l’infelice – muoio?«Al lato del letto era quel crocifisso di bronzo ch’ella

aveva cantato in un sonetto così dolce e buono nel pri-mo volume delle sue poesie. E mentre il prete diceva leorazioni, a me – proseguiva Vincenzo Morello – guar-

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Page 248: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

dando quel crocifisso, mi si ravvivava nella memoria ilnoto sonetto:39

O bronzeo Cristo, che da canto a ’l lettoDove sogno l’oblio dolce e profondoDe ’l viver gramo, il sanguinoso pettoScopri ed inviti a sacro amplesso il mondo,

Non per l’eterno fuoco maledetto,Non pe ’l Tuo cielo placido e giocondo;Ma sol perchè ne ’l Tuo pietoso aspettoFisò mia madre l’occhio moribondo,

Qualunque sia di mia giornata il corso,Torno ogni sera a Te: come si riedeA un amico, a un ricordo, a una speranza.

Nè ti domando, o Cristo, altro soccorsoChe quest’atto di cara ultima fede,Per ogni giorno che a lottar m’avanza.

E che lotta, povera vita. Trema l’anima a pensare allaVia Crucis di questa donna nata per tutte le felicità e pertutte le fortune e caduta cinquanta volte sotto il pesodella tragedia umana.

— E dove abita lui? – mi chiede qualcuno dietro lespalle....

— Non so.

39 Versi. «Al mio crocifisso»

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dando quel crocifisso, mi si ravvivava nella memoria ilnoto sonetto:39

O bronzeo Cristo, che da canto a ’l lettoDove sogno l’oblio dolce e profondoDe ’l viver gramo, il sanguinoso pettoScopri ed inviti a sacro amplesso il mondo,

Non per l’eterno fuoco maledetto,Non pe ’l Tuo cielo placido e giocondo;Ma sol perchè ne ’l Tuo pietoso aspettoFisò mia madre l’occhio moribondo,

Qualunque sia di mia giornata il corso,Torno ogni sera a Te: come si riedeA un amico, a un ricordo, a una speranza.

Nè ti domando, o Cristo, altro soccorsoChe quest’atto di cara ultima fede,Per ogni giorno che a lottar m’avanza.

E che lotta, povera vita. Trema l’anima a pensare allaVia Crucis di questa donna nata per tutte le felicità e pertutte le fortune e caduta cinquanta volte sotto il pesodella tragedia umana.

— E dove abita lui? – mi chiede qualcuno dietro lespalle....

— Non so.

39 Versi. «Al mio crocifisso»

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Page 249: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

— Ma pure, bisognerebbe trovare modo di saperlo –mi dice la persona che era un delegato. E allora pregai ildottore di chiederlo alla Contessa.

E mentre il prete le dava i conforti della religione,alla richiesta e ascoltando il delegato, con un soffio divoce rispose: Via Liguria 67».

*

La notizia dell’assassinio si sparse rapidamente e fuun accorrere alla casa della vittima. Febea giunse fra iprimi in quella squallida giornata di dicembre ed entròin camera dove nel gran letto candido agonizzava laContessa Lara, fiancheggiata da due guardie di P. S., enon l’abbandonò più.

Quando la morente la vide, le disse:— Grazie. Ero qui sola! sento che me ne vado. Muoio

uccisa da un mascalzone.... Stasera non ci sarò più....No, non fu per gelosia! Ah! non me lo meritavo.

E proseguì affannosa:— Non è per passione sai, non è per gelosia, è per de-

naro, è per denaro: avevamo questionato. Giuro che amoi fratelli Bottini come figli. Quando ha preso il revolversul comodino e me lo ha spianato contro, mi sono getta-ta ai suoi piedi e gli ho detto che non mi ammazzasse,glie l’ho chiesto per i suoi morti. Ma lui: No, voglio chetu muoia.... E tirò....

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— Ma pure, bisognerebbe trovare modo di saperlo –mi dice la persona che era un delegato. E allora pregai ildottore di chiederlo alla Contessa.

E mentre il prete le dava i conforti della religione,alla richiesta e ascoltando il delegato, con un soffio divoce rispose: Via Liguria 67».

*

La notizia dell’assassinio si sparse rapidamente e fuun accorrere alla casa della vittima. Febea giunse fra iprimi in quella squallida giornata di dicembre ed entròin camera dove nel gran letto candido agonizzava laContessa Lara, fiancheggiata da due guardie di P. S., enon l’abbandonò più.

Quando la morente la vide, le disse:— Grazie. Ero qui sola! sento che me ne vado. Muoio

uccisa da un mascalzone.... Stasera non ci sarò più....No, non fu per gelosia! Ah! non me lo meritavo.

E proseguì affannosa:— Non è per passione sai, non è per gelosia, è per de-

naro, è per denaro: avevamo questionato. Giuro che amoi fratelli Bottini come figli. Quando ha preso il revolversul comodino e me lo ha spianato contro, mi sono getta-ta ai suoi piedi e gli ho detto che non mi ammazzasse,glie l’ho chiesto per i suoi morti. Ma lui: No, voglio chetu muoia.... E tirò....

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Aggiunse poi:— Muoio come il povero Bennati è morto per me.Intanto aveva fatto telegrafare a Livorno alla signora

Bottini«Vieni, muoio». Ma la signora Bottini giunse troppo

tardi.Nonostante le iniezioni di eccitanti il cuore era inde-

bolito per il gran sangue perduto fino dalla sera prima.L’infiammazione già iniziata quando fu eseguita la lapa-ratomia, faceva prevedere irrimediabilmente la catastro-fe. All’ispettore di pubblica sicurezza Paolo di Tarsia, lamoribonda disse dopo essere stata operata:

— Mi raccomando alla giustizia che essa non credache è stato per gelosia come lui dirà che mi ha uccisa,ma per denaro.

Al dottor Bonaventura Lesen chiedeva insistentemen-te se si potesse salvarla, e a un certo punto disse:

— Per carità, dottore, che quel vigliacco non riesca afar credere di avermi colpita per amore; è stato solo perinteresse che mi ha uccisa. Non cercava che denaro! de-naro!

Anche al delegato Spada ripetè:— Amo che si sappia la verità! Quel birbante nulla

può dire di me che non torni a sua vergogna. Accortamidi quante bassezze fosse capace, convinta che volessevivere alle mie spalle, volli troncare. È un infame. Noncredete a ciò che dirà, voleva sempre denaro, denaro. Neinventerà tante. Da otto mesi mi sfrutta, non posso libe-

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Aggiunse poi:— Muoio come il povero Bennati è morto per me.Intanto aveva fatto telegrafare a Livorno alla signora

Bottini«Vieni, muoio». Ma la signora Bottini giunse troppo

tardi.Nonostante le iniezioni di eccitanti il cuore era inde-

bolito per il gran sangue perduto fino dalla sera prima.L’infiammazione già iniziata quando fu eseguita la lapa-ratomia, faceva prevedere irrimediabilmente la catastro-fe. All’ispettore di pubblica sicurezza Paolo di Tarsia, lamoribonda disse dopo essere stata operata:

— Mi raccomando alla giustizia che essa non credache è stato per gelosia come lui dirà che mi ha uccisa,ma per denaro.

Al dottor Bonaventura Lesen chiedeva insistentemen-te se si potesse salvarla, e a un certo punto disse:

— Per carità, dottore, che quel vigliacco non riesca afar credere di avermi colpita per amore; è stato solo perinteresse che mi ha uccisa. Non cercava che denaro! de-naro!

Anche al delegato Spada ripetè:— Amo che si sappia la verità! Quel birbante nulla

può dire di me che non torni a sua vergogna. Accortamidi quante bassezze fosse capace, convinta che volessevivere alle mie spalle, volli troncare. È un infame. Noncredete a ciò che dirà, voleva sempre denaro, denaro. Neinventerà tante. Da otto mesi mi sfrutta, non posso libe-

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rarmi. Anche ieri sera voleva denaro e non volli darglie-lo.

Il delegato le fece osservare che essa era in pericolodi vita, che bisognava dire la verità.

— È questa che ho detta.Il delegato insistè ancora:Ella replicò:— È la verità, lo confermo, lo giuro.

*

La morente seguiva con l’anima vigile l’agonia delsuo misero corpo. Una volta, portando la mano allafronte madida e fredda, la ritrasse con un brivido, e vol-gendosi verso Febea, gli occhi smarriti, disse con unsoffio:

— È il sudore dell’agonia?Ma disse ciò come chiedendo ansiosa una smentita

che Febea si affrettò a darle. Volle persuaderla, e forse ciriuscì fino all’ultimo, che il suo stato di prostrazionefosse dovuto all’effetto di ripetute iniezioni di morfinache.... non le erano mai state fatte perchè inutili ormai.L’assistenza era giunta troppo tardi, dopo una intieranotte di abbandono.

E non solo Febea le mentì pietosamente per illuderlasul suo vero stato; anche il sacerdote di Sant’Andreadelle Fratte, Mascolo Catelli, parlò alla morente che era

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rarmi. Anche ieri sera voleva denaro e non volli darglie-lo.

Il delegato le fece osservare che essa era in pericolodi vita, che bisognava dire la verità.

— È questa che ho detta.Il delegato insistè ancora:Ella replicò:— È la verità, lo confermo, lo giuro.

*

La morente seguiva con l’anima vigile l’agonia delsuo misero corpo. Una volta, portando la mano allafronte madida e fredda, la ritrasse con un brivido, e vol-gendosi verso Febea, gli occhi smarriti, disse con unsoffio:

— È il sudore dell’agonia?Ma disse ciò come chiedendo ansiosa una smentita

che Febea si affrettò a darle. Volle persuaderla, e forse ciriuscì fino all’ultimo, che il suo stato di prostrazionefosse dovuto all’effetto di ripetute iniezioni di morfinache.... non le erano mai state fatte perchè inutili ormai.L’assistenza era giunta troppo tardi, dopo una intieranotte di abbandono.

E non solo Febea le mentì pietosamente per illuderlasul suo vero stato; anche il sacerdote di Sant’Andreadelle Fratte, Mascolo Catelli, parlò alla morente che era

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Contessa Lara.

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Contessa Lara.

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253Autografo trovato, tra le carte della Confessa Lara.

253Autografo trovato, tra le carte della Confessa Lara.

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Autografo trovato, tra le carte della Confessa Lara.254

Autografo trovato, tra le carte della Confessa Lara.

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attaccata alla vita con umana comprensione e divina mi-sericordia.

Poco prima di morire l’infelice consegnò alla came-riera Luisa Medici una lettera diretta al tenente Ferruc-cio Bottini. La cameriera si affrettò ad impostarla, maquell’ultimo saluto non giunse a destinazione.

Mentre agonizzava, parecchi poveri che essa avevasempre soccorsi vennero a picchiare alla porta doman-dando l’elemosina che non era mai stata negata.

Anche una fanciulla popolana si aggirava smarrita nelsalotto. Interrogata perchè fosse lì ella narrò:

— Ier l’altro verso sera entrai in chiesa e mi avviavoall’altar maggiore, quando vidi una signora che pregavasinghiozzando forte e piangendo dirottamente. Eravamosole in chiesa, e m’avvicinai per confortarla. Mi disse –«Sono tanto infelice, cara.... Pregate per me.» M’ingi-nocchiai, pregammo insieme e piangemmo insieme per-chè anch’io sono tanto disgraziata. E quando le dissiquesto, uscendo di chiesa, m’invitò a venirla a trovareche avrebbe cercato di essermi utile. E sono venutaoggi.

Allora le narrarono il fatto atroce, e la fanciulla terri-ficata lasciò la casa dove era venuta a cercare conforto.Si disse anche che la Contessa Lara morendo perdonòall’uccisore, ma come solenne sia stato il perdono, nonformale voce assolutoria, ma supremo trionfo dell’ani-ma purificata, svincolata da ogni umana passione, pochiforse sanno.

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attaccata alla vita con umana comprensione e divina mi-sericordia.

Poco prima di morire l’infelice consegnò alla came-riera Luisa Medici una lettera diretta al tenente Ferruc-cio Bottini. La cameriera si affrettò ad impostarla, maquell’ultimo saluto non giunse a destinazione.

Mentre agonizzava, parecchi poveri che essa avevasempre soccorsi vennero a picchiare alla porta doman-dando l’elemosina che non era mai stata negata.

Anche una fanciulla popolana si aggirava smarrita nelsalotto. Interrogata perchè fosse lì ella narrò:

— Ier l’altro verso sera entrai in chiesa e mi avviavoall’altar maggiore, quando vidi una signora che pregavasinghiozzando forte e piangendo dirottamente. Eravamosole in chiesa, e m’avvicinai per confortarla. Mi disse –«Sono tanto infelice, cara.... Pregate per me.» M’ingi-nocchiai, pregammo insieme e piangemmo insieme per-chè anch’io sono tanto disgraziata. E quando le dissiquesto, uscendo di chiesa, m’invitò a venirla a trovareche avrebbe cercato di essermi utile. E sono venutaoggi.

Allora le narrarono il fatto atroce, e la fanciulla terri-ficata lasciò la casa dove era venuta a cercare conforto.Si disse anche che la Contessa Lara morendo perdonòall’uccisore, ma come solenne sia stato il perdono, nonformale voce assolutoria, ma supremo trionfo dell’ani-ma purificata, svincolata da ogni umana passione, pochiforse sanno.

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Allorchè il sacerdote disse di perdonare come Cristoha perdonato, ella ebbe come un sussulto, una ribellionein tutto il corpo che atrocemente soffriva in quell’ora.Non poteva perdonare. Il suo essere torturato si rifiuta-va. Poi, nell’ultima ora, quando ogni battaglia fu vinta euna grave serenità si diffuse sul volto della poverina, ele labbra si schiusero alla invocazione della mammamorta, e a una infantile preghiera in inglese, essa chia-mò il sacerdote e volle dirgli che aveva perdonato: per-donato col cuore all’assassino.

— Sono rassegnata a morire e perdono a tutti, aggiun-se poi.

Compiuto il delitto, e dopo avere assistito a quellaprima medicazione, l’uomo se n’era tornato a casa. Ilmattino dopo uscì per cercare di vendere alcuni suoiquadri e raggranellare del denaro, forse pensando allafuga. Intanto si era recato in via Liguria 67 il delegatoCortesi e alla portinaia che stava sull’uscio chiese se ilpittore fosse in casa.

— Eccolo là che viene – rispose la donna, e glielo in-dicò mentre veniva verso casa, calmo in apparenza.

Si lasciò arrestare tranquillamente e condurre in car-cere.

*

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Allorchè il sacerdote disse di perdonare come Cristoha perdonato, ella ebbe come un sussulto, una ribellionein tutto il corpo che atrocemente soffriva in quell’ora.Non poteva perdonare. Il suo essere torturato si rifiuta-va. Poi, nell’ultima ora, quando ogni battaglia fu vinta euna grave serenità si diffuse sul volto della poverina, ele labbra si schiusero alla invocazione della mammamorta, e a una infantile preghiera in inglese, essa chia-mò il sacerdote e volle dirgli che aveva perdonato: per-donato col cuore all’assassino.

— Sono rassegnata a morire e perdono a tutti, aggiun-se poi.

Compiuto il delitto, e dopo avere assistito a quellaprima medicazione, l’uomo se n’era tornato a casa. Ilmattino dopo uscì per cercare di vendere alcuni suoiquadri e raggranellare del denaro, forse pensando allafuga. Intanto si era recato in via Liguria 67 il delegatoCortesi e alla portinaia che stava sull’uscio chiese se ilpittore fosse in casa.

— Eccolo là che viene – rispose la donna, e glielo in-dicò mentre veniva verso casa, calmo in apparenza.

Si lasciò arrestare tranquillamente e condurre in car-cere.

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Page 258: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

Al capezzale della Contessa Lara si recò pure il sacer-dote professore Vincenzo Boccafurni direttore dellaRoma Letteraria di cui essa era collaboratrice. La mo-rente gli dettò e sottoscrisse un piccolo foglio in cui la-sciava quasi tutto ciò che aveva al tenente FerruccioBottini. Incaricò Boccafurni di distruggere, presente lasignora Bottini, certe lettere che si trovavano nel suostudio. Il dottor Morghen, che aveva lottato contro lamorte fino all’ultimo, disse piano al Boccafurni che lafine era imminente. Anche questi le parlò di Dio, mentrel’altro sacerdote le somministrava l’estrema unzione. Lamorente incaricò Boccafurni di chiedere e inviare il suoperdono anche all’amico col quale aveva vissuto diecianni.

Mantenne perfetta conoscenza fino all’ultimo istantee prese commiato dai presenti serenamente rassegnata.

Alle sette in punto spirò fra le braccia di Febea chenon aveva mai cessato di sorreggerla, dicendo: Dio,dammi pace.

*

Due quadrucci di santi le furono deposti sul guancia-le, e furono chiamate due suore domenicane a vegliarela salma nella notte.

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Al capezzale della Contessa Lara si recò pure il sacer-dote professore Vincenzo Boccafurni direttore dellaRoma Letteraria di cui essa era collaboratrice. La mo-rente gli dettò e sottoscrisse un piccolo foglio in cui la-sciava quasi tutto ciò che aveva al tenente FerruccioBottini. Incaricò Boccafurni di distruggere, presente lasignora Bottini, certe lettere che si trovavano nel suostudio. Il dottor Morghen, che aveva lottato contro lamorte fino all’ultimo, disse piano al Boccafurni che lafine era imminente. Anche questi le parlò di Dio, mentrel’altro sacerdote le somministrava l’estrema unzione. Lamorente incaricò Boccafurni di chiedere e inviare il suoperdono anche all’amico col quale aveva vissuto diecianni.

Mantenne perfetta conoscenza fino all’ultimo istantee prese commiato dai presenti serenamente rassegnata.

Alle sette in punto spirò fra le braccia di Febea chenon aveva mai cessato di sorreggerla, dicendo: Dio,dammi pace.

*

Due quadrucci di santi le furono deposti sul guancia-le, e furono chiamate due suore domenicane a vegliarela salma nella notte.

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Page 259: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

CAPITOLO OTTAVO.

Capuana e Pirandello alla casa della morta. – Quello che scrisseMatilde Serao. – Il funerale. – Manifestazioni di pietà per la gran-de infelice. – Rose fiorentine. – Versi e beneficenza. – La Sand e

Teresa Guiccioli. – Il marchese di Boissy.

Dopo che la Contessa Lara fu spirata, la casa vennepresa d’assalto dai questurini. Febea, la consolatrice diquell’agonia e di quella morte, finito il compito di pietà,se ne andò angosciata, riflettendo che, ancor peggio diaver ferito mortalmente una supplicante in ginocchio, ildelitto orrendo era stato di averla lasciata sola nella pau-rosa agonia. Impressionabile com’era, ammalò grave-mente poco tempo dopo la tragedia.

Vennero – melanconico pellegrinaggio – i colleghidella povera morta. Rubichi, Morelli, Evangelisti, Mo-naldi, Pirandello, Buemi, Luigi Capuana, che portò econsegnò alle suore un mazzo di crisantemi perchè fos-sero, sparsi sul letto dell’assassinata. Fu deciso anche difarle un modesto funerale a spese degli amici odell’Associazione della Stampa.

I giornali dissero anche che il senatore Pierantoni,con la moglie Grazia Mancini, si recò a salutare la sal-ma della cognata. Ma la notizia non era vera. Grazia

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CAPITOLO OTTAVO.

Capuana e Pirandello alla casa della morta. – Quello che scrisseMatilde Serao. – Il funerale. – Manifestazioni di pietà per la gran-de infelice. – Rose fiorentine. – Versi e beneficenza. – La Sand e

Teresa Guiccioli. – Il marchese di Boissy.

Dopo che la Contessa Lara fu spirata, la casa vennepresa d’assalto dai questurini. Febea, la consolatrice diquell’agonia e di quella morte, finito il compito di pietà,se ne andò angosciata, riflettendo che, ancor peggio diaver ferito mortalmente una supplicante in ginocchio, ildelitto orrendo era stato di averla lasciata sola nella pau-rosa agonia. Impressionabile com’era, ammalò grave-mente poco tempo dopo la tragedia.

Vennero – melanconico pellegrinaggio – i colleghidella povera morta. Rubichi, Morelli, Evangelisti, Mo-naldi, Pirandello, Buemi, Luigi Capuana, che portò econsegnò alle suore un mazzo di crisantemi perchè fos-sero, sparsi sul letto dell’assassinata. Fu deciso anche difarle un modesto funerale a spese degli amici odell’Associazione della Stampa.

I giornali dissero anche che il senatore Pierantoni,con la moglie Grazia Mancini, si recò a salutare la sal-ma della cognata. Ma la notizia non era vera. Grazia

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Pierantoni Mancini, oltre che intelligente, era anchebuona e capace di comprendere con serenità l’animaumana; non fu nemica della povera Lara, e pur non ve-dendola mai, fu, quasi come la sorella Flora Piccoli, «ladolce bruna» cristianamente indulgente e pietosa per glierrori di lei. Ma nè lei nè il marito si recarono a visitarela morta.

Un deputato, incontrato nei corridoi della Camera ilPierantoni gli disse: – Lascia che ti abbracci. Sapevo deltuo gran cuore, ma la tua azione di oggi è bellissima.

Al che il Pierantoni, sinceramente rispose:— No, pur troppo, non merito il tuo elogio.I giornali fecero anche un gran parlare, come molto si

discorse privatamente, di una visita che il maggiore Eu-genio Mancini avrebbe voluto fare alla moglie morta, sequalcuno non l’avesse scacciato in malo modo dallacasa di via Sistina. Per tagliar corto a dicerie più o menobenevoli, egli mandò al Don Chisciotte la seguente let-tera:

«Un giornale del mattino nel riferire con varie inesat-tezze la tragica fine della Contessa Lara, ha asserito cheverso le 11 e mezzo della notte successiva al suo assas-sinio, io mi sia presentato nella casa dell’estinta e che nesia stato respinto. Tale notizia venne amplificata da ungiornale di Napoli, e credo pure da un giornale di Roma.

«Avrei vivamente desiderato che in tale luttuosa cir-costanza il mio nome fosse stato risparmiato, tanto piùche per tutelare la mia onorabilità fui costretto a espor-mi al più estremo cimento, e che da 21 anni non avevo

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Pierantoni Mancini, oltre che intelligente, era anchebuona e capace di comprendere con serenità l’animaumana; non fu nemica della povera Lara, e pur non ve-dendola mai, fu, quasi come la sorella Flora Piccoli, «ladolce bruna» cristianamente indulgente e pietosa per glierrori di lei. Ma nè lei nè il marito si recarono a visitarela morta.

Un deputato, incontrato nei corridoi della Camera ilPierantoni gli disse: – Lascia che ti abbracci. Sapevo deltuo gran cuore, ma la tua azione di oggi è bellissima.

Al che il Pierantoni, sinceramente rispose:— No, pur troppo, non merito il tuo elogio.I giornali fecero anche un gran parlare, come molto si

discorse privatamente, di una visita che il maggiore Eu-genio Mancini avrebbe voluto fare alla moglie morta, sequalcuno non l’avesse scacciato in malo modo dallacasa di via Sistina. Per tagliar corto a dicerie più o menobenevoli, egli mandò al Don Chisciotte la seguente let-tera:

«Un giornale del mattino nel riferire con varie inesat-tezze la tragica fine della Contessa Lara, ha asserito cheverso le 11 e mezzo della notte successiva al suo assas-sinio, io mi sia presentato nella casa dell’estinta e che nesia stato respinto. Tale notizia venne amplificata da ungiornale di Napoli, e credo pure da un giornale di Roma.

«Avrei vivamente desiderato che in tale luttuosa cir-costanza il mio nome fosse stato risparmiato, tanto piùche per tutelare la mia onorabilità fui costretto a espor-mi al più estremo cimento, e che da 21 anni non avevo

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Page 261: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

più riveduta quella donna, nè con essa avevo avuto i piùlontani rapporti. Ringrazio la maggior parte del giornali-smo italiano che ha avuto la delicatezza di comprenderequesti miei sentimenti; ma vorrei rispondere a quei po-chi male informati quanto segue

«— È vero che avendo appreso alle 11 di quella nottela morte della Contessa, ho provato un irresistibile im-pulso di recarmi presso il suo cadavere per rivedereun’ultima volta le sembianze di una donna che in altritempi mi fu cara, e per esprimere a quella morta una pa-rola di carità da Lei fattami chiedere insistentemente po-che ore prima di spirare.

«— È vero che per tale slancio dell’animo mio mipresentai infatti a quell’ora in via Sistina, 27; ma mivenne risposto che un ordine superiore proibiva di farvisitare il cadavere da chiunque ne avesse fatto richie-sta.

«Coerente al mio proposito mi recai in compagniadell’ingegnere Pasquale Rapisardi-Rizzo, abitante inpiazza Manfredo Fanti, 17, alla vicina sezione di P. S. diTrevi ove ottenni di rendere questo estremo tributo dipietà alla salma di Eva Cattermole, lo che feci verso le12 e mezza della notte stessa.

«Ringrazio della gentile ospitalità accordata alla pre-sente e cordialmente saluto.

EUGENIO FRANCESCO MANCINI».

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più riveduta quella donna, nè con essa avevo avuto i piùlontani rapporti. Ringrazio la maggior parte del giornali-smo italiano che ha avuto la delicatezza di comprenderequesti miei sentimenti; ma vorrei rispondere a quei po-chi male informati quanto segue

«— È vero che avendo appreso alle 11 di quella nottela morte della Contessa, ho provato un irresistibile im-pulso di recarmi presso il suo cadavere per rivedereun’ultima volta le sembianze di una donna che in altritempi mi fu cara, e per esprimere a quella morta una pa-rola di carità da Lei fattami chiedere insistentemente po-che ore prima di spirare.

«— È vero che per tale slancio dell’animo mio mipresentai infatti a quell’ora in via Sistina, 27; ma mivenne risposto che un ordine superiore proibiva di farvisitare il cadavere da chiunque ne avesse fatto richie-sta.

«Coerente al mio proposito mi recai in compagniadell’ingegnere Pasquale Rapisardi-Rizzo, abitante inpiazza Manfredo Fanti, 17, alla vicina sezione di P. S. diTrevi ove ottenni di rendere questo estremo tributo dipietà alla salma di Eva Cattermole, lo che feci verso le12 e mezza della notte stessa.

«Ringrazio della gentile ospitalità accordata alla pre-sente e cordialmente saluto.

EUGENIO FRANCESCO MANCINI».

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Page 262: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

È interessante vedere come i giornali parlasserodell’assassinata. Nel Don Chisciotte Febea scriveva:

Mercoledì, 2 dicembre.

«Davanti a questa morte, che fa rabbrividire, si pensainvolontariamente al fato dell’antica tragedia greca. Ladolce signora, con tanta luce di poesia nell’anima sem-bra piuttosto un personaggio di Eschilo. Ella è una vitti-ma predestinata della propria sentimentalità. Ripensateun momento al suo destino. Ella aveva tutto quello cheumanamente si può ideare perchè la donna trionfi nellasocietà: bellezza, grazia, cultura, spirito, ingegno, bontà.Ella avrebbe potuto essere, senza fatica, una donna cir-condata dal prestigio, tra il fulgore degli omaggi più lu-singhieri, forte e sicura mercè la superiorità dell’intellet-to. Questa creatura invece che ha su sè tutti gli attributidel successo, perisce miseramente, e non ieri perisce,per una palla di revolver, ma sempre, sempre.

«Ella ha innegabilmente nell’anima un ideale di pas-sione senza di che non potrebbe esistere quella poesiach’è il misterioso e splendido fiore dello spirito: maquesto ideale è la sua morte continua, prima civile, poifisica. A questo ideale fantastico che mai nulla le diede,ella ha tutto sacrificato, convenzioni sociali, famiglia,ricchezza, tutto quello che costituisce le aspirazioni,qualunque sia la condizione sua, della donna moderna;la sua esistenza anormale, in fondo, non è che un sacrifi-

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È interessante vedere come i giornali parlasserodell’assassinata. Nel Don Chisciotte Febea scriveva:

Mercoledì, 2 dicembre.

«Davanti a questa morte, che fa rabbrividire, si pensainvolontariamente al fato dell’antica tragedia greca. Ladolce signora, con tanta luce di poesia nell’anima sem-bra piuttosto un personaggio di Eschilo. Ella è una vitti-ma predestinata della propria sentimentalità. Ripensateun momento al suo destino. Ella aveva tutto quello cheumanamente si può ideare perchè la donna trionfi nellasocietà: bellezza, grazia, cultura, spirito, ingegno, bontà.Ella avrebbe potuto essere, senza fatica, una donna cir-condata dal prestigio, tra il fulgore degli omaggi più lu-singhieri, forte e sicura mercè la superiorità dell’intellet-to. Questa creatura invece che ha su sè tutti gli attributidel successo, perisce miseramente, e non ieri perisce,per una palla di revolver, ma sempre, sempre.

«Ella ha innegabilmente nell’anima un ideale di pas-sione senza di che non potrebbe esistere quella poesiach’è il misterioso e splendido fiore dello spirito: maquesto ideale è la sua morte continua, prima civile, poifisica. A questo ideale fantastico che mai nulla le diede,ella ha tutto sacrificato, convenzioni sociali, famiglia,ricchezza, tutto quello che costituisce le aspirazioni,qualunque sia la condizione sua, della donna moderna;la sua esistenza anormale, in fondo, non è che un sacrifi-

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Page 263: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

zio continuo, senza posa, senza requie, sto per dire sen-za speranze.

«Il fato tragico incalza.«La sua aurora è un duello con la morte dell’amante.

Ella reagisce, ella combatte: pare sia finalmente riuscitaa spiccare il volo con le penne dell’ingegno: ma la fata-lità ancora la inchioda in lotta col mondo e con se stessaaggrappata a una passione suprema come un naufrago auna tavola. Questo sostegno ancora le sfugge, e l’infeli-ce tuttavia nuota disperatamente nel pelago oscuro es’illude anche una volta d’aver trovato un rifugio: e in-vece questo rifugio è ancora il tormento, è il drammache prosegue, è la catastrofe, è la morte.

«E tra il dramma che prorompe al principio della suaesistenza e la tragedia che feroce precipita su lei, qualegenialità spontanea d’intelligenza e quale faticoso marti-rio di lavoro! Poichè ella nata col senso vivo, potentedella poesia in sè, improvvisava da bambina: negli annisuoi migliori e più maturi, forse colla stessa incoscienza,componeva delle liriche, e alcune di quelle liriche sgor-gatele più direttamente dall’anima in una breve parente-si di serenità erano veramente belle. C’era dentro diloro, una intonazione personale, originale, che si svolge-va in una gentile musicalità di strofa.

«Ella fu, poetando, la più schietta delle scrittrici. Al-meno così fu da principio, quando ebbe lena per conser-vare più limpida la natura sua. Dopo rimase comeschiacciata sotto a un peso a cui non poteva reggere quelcorpo gracile. Ella volle guadagnarsi la vita, guadagnar-

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zio continuo, senza posa, senza requie, sto per dire sen-za speranze.

«Il fato tragico incalza.«La sua aurora è un duello con la morte dell’amante.

Ella reagisce, ella combatte: pare sia finalmente riuscitaa spiccare il volo con le penne dell’ingegno: ma la fata-lità ancora la inchioda in lotta col mondo e con se stessaaggrappata a una passione suprema come un naufrago auna tavola. Questo sostegno ancora le sfugge, e l’infeli-ce tuttavia nuota disperatamente nel pelago oscuro es’illude anche una volta d’aver trovato un rifugio: e in-vece questo rifugio è ancora il tormento, è il drammache prosegue, è la catastrofe, è la morte.

«E tra il dramma che prorompe al principio della suaesistenza e la tragedia che feroce precipita su lei, qualegenialità spontanea d’intelligenza e quale faticoso marti-rio di lavoro! Poichè ella nata col senso vivo, potentedella poesia in sè, improvvisava da bambina: negli annisuoi migliori e più maturi, forse colla stessa incoscienza,componeva delle liriche, e alcune di quelle liriche sgor-gatele più direttamente dall’anima in una breve parente-si di serenità erano veramente belle. C’era dentro diloro, una intonazione personale, originale, che si svolge-va in una gentile musicalità di strofa.

«Ella fu, poetando, la più schietta delle scrittrici. Al-meno così fu da principio, quando ebbe lena per conser-vare più limpida la natura sua. Dopo rimase comeschiacciata sotto a un peso a cui non poteva reggere quelcorpo gracile. Ella volle guadagnarsi la vita, guadagnar-

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sela colla dura professione del giornalismo, mal retribui-to, insidiato, sospettato. In una decina d’anni quella po-vera donna ha scritto centinaia e centinaia d’articoli, pertutti i giornali, su tutti gli argomenti, chiedendo lavoro aquanti poteva incontrare, non mercanteggiando mai, ras-segnata a quel che le era dato, pur di vivere. Ma appuntoin quell’eccesso di produzione, in quello sforzo più chevirile, la sua gentile spontaneità di un tempo si andavasperdendo, come nell’incoscienza affettuosa del tempe-ramento poteva indebolirsi e smarrirsi la fierezza delladonna.

«Eppure, in questa lotta inumana, senza requie, ellaha sempre portato un gran cuore, un insieme di debolez-ze delicate che il volgo giudica male perchè non riescead apprezzarle: in mezzo a tutti gli errori del sentimentoche sono fatali, ella porta un grande, un continuo, osti-nato e nobile disinteresse. Avrebbe potuto facilmente es-sere una creatura trionfatrice o corrotta, e invece è unamartire: è una vinta.

«Un cristiano direbbe:«— Molto le deve essere perdonato perchè ha molto

amato.«Un socratico:«— Molto ha da perdonare agli altri costei che ha tan-

to amato.»

*

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sela colla dura professione del giornalismo, mal retribui-to, insidiato, sospettato. In una decina d’anni quella po-vera donna ha scritto centinaia e centinaia d’articoli, pertutti i giornali, su tutti gli argomenti, chiedendo lavoro aquanti poteva incontrare, non mercanteggiando mai, ras-segnata a quel che le era dato, pur di vivere. Ma appuntoin quell’eccesso di produzione, in quello sforzo più chevirile, la sua gentile spontaneità di un tempo si andavasperdendo, come nell’incoscienza affettuosa del tempe-ramento poteva indebolirsi e smarrirsi la fierezza delladonna.

«Eppure, in questa lotta inumana, senza requie, ellaha sempre portato un gran cuore, un insieme di debolez-ze delicate che il volgo giudica male perchè non riescead apprezzarle: in mezzo a tutti gli errori del sentimentoche sono fatali, ella porta un grande, un continuo, osti-nato e nobile disinteresse. Avrebbe potuto facilmente es-sere una creatura trionfatrice o corrotta, e invece è unamartire: è una vinta.

«Un cristiano direbbe:«— Molto le deve essere perdonato perchè ha molto

amato.«Un socratico:«— Molto ha da perdonare agli altri costei che ha tan-

to amato.»

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Anche Matilde Serao esprimeva nel Mattino il suodolore con quella vena esuberante che le era propria:

«Io non ho mai potuto incontrare la Contessa Larasenza provare meraviglia e pietà. Meraviglia: giacchè,vedendo il suo volto e le sue vesti, udendo la sua voce ele sue parole, comprendendo quel che pensava e quelche sentiva, la fantastica, poetica, e anche vituperevoleleggenda tessuta intorno a lei, impallidiva, svaniva.

«La sua beltà fulgida, irresistibile, la sua bizzarria dicreatura complicata e misteriosa; la sua eleganza singo-lare, la sua completa mancanza di cuore; il suo disprez-zo di ogni virtù e di ogni pudore: ecco quello che era laleggenda della Contessa Lara, di questa povera infeliceche è stata ammazzata ieri l’altro.

«Ebbene, già dieci anni or sono la sua fragile beltà dibionda era sfiorita, consunta: i suoi occhi erano stanchie deboli, i suoi capelli erano arruffati, un po’ incolti; equel che è più ella non aveva l’aria di preoccuparsi diquesta decadenza. Vestiva alla meglio, nascondendo ilsuo viso sotto fitte velette, nascondendo la sua personasotto un gran mantello, non seguendo la moda di cuiparlava, spesso e bene, non trovando mai un’occasionedi fare una grande toilette, non adornandosi mai dei po-chi gioielli che possedeva; infine mancando del tutto diquella infernale civetteria e di quella squisita eleganza,con cui i suoi cronisti la ingiuriavano e la corteggiava-no. Questo essere, accusato di avere in sè un’animacomplessa, nascondendo Dio sa quali profondi abissi diperfidia, viveva senza odio e senza fiele, incapace di dir

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Anche Matilde Serao esprimeva nel Mattino il suodolore con quella vena esuberante che le era propria:

«Io non ho mai potuto incontrare la Contessa Larasenza provare meraviglia e pietà. Meraviglia: giacchè,vedendo il suo volto e le sue vesti, udendo la sua voce ele sue parole, comprendendo quel che pensava e quelche sentiva, la fantastica, poetica, e anche vituperevoleleggenda tessuta intorno a lei, impallidiva, svaniva.

«La sua beltà fulgida, irresistibile, la sua bizzarria dicreatura complicata e misteriosa; la sua eleganza singo-lare, la sua completa mancanza di cuore; il suo disprez-zo di ogni virtù e di ogni pudore: ecco quello che era laleggenda della Contessa Lara, di questa povera infeliceche è stata ammazzata ieri l’altro.

«Ebbene, già dieci anni or sono la sua fragile beltà dibionda era sfiorita, consunta: i suoi occhi erano stanchie deboli, i suoi capelli erano arruffati, un po’ incolti; equel che è più ella non aveva l’aria di preoccuparsi diquesta decadenza. Vestiva alla meglio, nascondendo ilsuo viso sotto fitte velette, nascondendo la sua personasotto un gran mantello, non seguendo la moda di cuiparlava, spesso e bene, non trovando mai un’occasionedi fare una grande toilette, non adornandosi mai dei po-chi gioielli che possedeva; infine mancando del tutto diquella infernale civetteria e di quella squisita eleganza,con cui i suoi cronisti la ingiuriavano e la corteggiava-no. Questo essere, accusato di avere in sè un’animacomplessa, nascondendo Dio sa quali profondi abissi diperfidia, viveva senza odio e senza fiele, incapace di dir

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male di una donna o di un collega di lavoro, incapace diinvidiare, incapace di riportare una calunnia o un pette-golezzo; e così, senza nessuna posa, semplicemente, fintroppo semplicemente, fino a far dubitare ch’ella fosseun ingegno acuto e un’anima vibrante.

«Questa poetessa accusata dei più strani gusti andavada sè borghesemente a comprare la cicoria per rendere ilsuo caffè meno eccitante e meno costoso; quando, allasera, la sua serva se ne andava, spesso ella si mettevauno scialletto sulla testa e andava a comprare un franco-bollo da un soldo dal tabaccaio della cantonata! ella an-dava in omnibus o a piedi, ella scriveva su carta comu-ne, senza motto, senza suggello curioso, senza ceralaccaa colori estetici; ella faceva delle economie: ella avevapersino, questa poetessa folle, un curatore delle pochemigliaia di lire che possedeva, Narciso Pelosini, un av-vocato, un deputato, che è morto anche lui!

«Questa sirena ammaliatrice che non aveva più nèbellezza, nè eleganza, questa donna dallo pseudonimoromantico, che accomodava da sè i suoi vecchi corsagesaggiustandovi un fiocco di nastro, un merletto, questacrudele che amava tanto i bimbi, i fiori, gli animali, que-sta perversa era una creatura di fatica, un essere che pas-sava ore ed ore a scrivere, senza stancarsi, senza troppopretendere, non seccando nè i direttori di giornali, nè ilettori, lavorando quando gli altri si divertivano, e sciu-pando i suoi poveri occhi malati sulla carta, correndo dauna redazione di giornale alla posta, vegliando tardi,mangiando in una trattoria o sovra un angolo di tavola.

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male di una donna o di un collega di lavoro, incapace diinvidiare, incapace di riportare una calunnia o un pette-golezzo; e così, senza nessuna posa, semplicemente, fintroppo semplicemente, fino a far dubitare ch’ella fosseun ingegno acuto e un’anima vibrante.

«Questa poetessa accusata dei più strani gusti andavada sè borghesemente a comprare la cicoria per rendere ilsuo caffè meno eccitante e meno costoso; quando, allasera, la sua serva se ne andava, spesso ella si mettevauno scialletto sulla testa e andava a comprare un franco-bollo da un soldo dal tabaccaio della cantonata! ella an-dava in omnibus o a piedi, ella scriveva su carta comu-ne, senza motto, senza suggello curioso, senza ceralaccaa colori estetici; ella faceva delle economie: ella avevapersino, questa poetessa folle, un curatore delle pochemigliaia di lire che possedeva, Narciso Pelosini, un av-vocato, un deputato, che è morto anche lui!

«Questa sirena ammaliatrice che non aveva più nèbellezza, nè eleganza, questa donna dallo pseudonimoromantico, che accomodava da sè i suoi vecchi corsagesaggiustandovi un fiocco di nastro, un merletto, questacrudele che amava tanto i bimbi, i fiori, gli animali, que-sta perversa era una creatura di fatica, un essere che pas-sava ore ed ore a scrivere, senza stancarsi, senza troppopretendere, non seccando nè i direttori di giornali, nè ilettori, lavorando quando gli altri si divertivano, e sciu-pando i suoi poveri occhi malati sulla carta, correndo dauna redazione di giornale alla posta, vegliando tardi,mangiando in una trattoria o sovra un angolo di tavola.

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«Ella produceva della prosa senza fine, e dei versi tal-volta, bei versi limpidi, schietti, senza gelida preziosità,senza pretensioni psicologiche, ma che dicevano semprequalche cosa di tenue e di appassionato: prosa gentile,un po’ scialba, un po’ prolissa, ma sempre piacevole allalettura. Così era questo mostro!

«Oh no, non voglio fare la sua apoteosi! Ella era unamisera, ella ispirava una compassione grande e vana;poichè nessuna delle bellezze morali, che possono ren-dere degna e tranquilla la vita di una donna le era igno-ta: tutte ella desiderava ardentemente di conquistare; ladebolezza della sua volontà, lo smarrimento dei suoisensi, la mancanza di ogni energica ribellione al destino,tutte gliele hanno tolte.»

Poi, narrava la vita della povera donna che le era di-venuta cara, e proseguiva:

«Non questo ella aveva sognato sempre, dando il suocuore e la sua persona. Non queste continue e ineffabiliamarezze che dell’amore, bevanda inebriante di miele ed’assenzio, le davano solo il sapore del fango, ella ave-va invocato dai suoi versi d’amore! La sua anima avevadei voli larghi nei cieli della tenerezza e della passione,e la vita la teneva avvinghiata in un ambiente equivocoe falso; il suo cuore pestato e calpestato non cercava cheuna mano dolce e carezzevole per guarire....

«Quante volte i suoi amici hanno tentato di salvarlacon affettuosi consigli, con ammonimenti, con intromis-sioni spesso non richieste! Ella aveva degli amici, la po-veretta, che non erano stati mai suoi amanti e qualche

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«Ella produceva della prosa senza fine, e dei versi tal-volta, bei versi limpidi, schietti, senza gelida preziosità,senza pretensioni psicologiche, ma che dicevano semprequalche cosa di tenue e di appassionato: prosa gentile,un po’ scialba, un po’ prolissa, ma sempre piacevole allalettura. Così era questo mostro!

«Oh no, non voglio fare la sua apoteosi! Ella era unamisera, ella ispirava una compassione grande e vana;poichè nessuna delle bellezze morali, che possono ren-dere degna e tranquilla la vita di una donna le era igno-ta: tutte ella desiderava ardentemente di conquistare; ladebolezza della sua volontà, lo smarrimento dei suoisensi, la mancanza di ogni energica ribellione al destino,tutte gliele hanno tolte.»

Poi, narrava la vita della povera donna che le era di-venuta cara, e proseguiva:

«Non questo ella aveva sognato sempre, dando il suocuore e la sua persona. Non queste continue e ineffabiliamarezze che dell’amore, bevanda inebriante di miele ed’assenzio, le davano solo il sapore del fango, ella ave-va invocato dai suoi versi d’amore! La sua anima avevadei voli larghi nei cieli della tenerezza e della passione,e la vita la teneva avvinghiata in un ambiente equivocoe falso; il suo cuore pestato e calpestato non cercava cheuna mano dolce e carezzevole per guarire....

«Quante volte i suoi amici hanno tentato di salvarlacon affettuosi consigli, con ammonimenti, con intromis-sioni spesso non richieste! Ella aveva degli amici, la po-veretta, che non erano stati mai suoi amanti e qualche

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amica che la compativa invece di biasimarla. Inutileopera quella del salvataggio!

«Ella ci credeva un poco; si metteva a vivere sola,quietamente per un poco; tentava di ridiventare una si-gnora, come aveva tanto ambito di essere; era ricono-scente con le lacrime agli occhi della stima che vedevarinascere in chi la circondava; forse tornava in chiesa;parlava di nuovo di sua nonna, di sua madre, di una so-rella che aveva avuta tanto cara.

«Ma a un tratto, tutto questo castello in aria, lieve,mobile, crollava, ella si faceva riprendere dal suo tem-peramento inquieto, dalla sua paura di esser sola, di es-sere abbandonata, ella s’innamorava e credeva d’essereamata; ella s’inebriava novellamente di ogni illusionepuerile: ella capitolava innanzi a uno sguardo, a una pa-rola amorosa! Perduta di nuovo, la Contessa Lara: per-duta sempre peggio, e sempre più infelice, sempre piùstanca, sempre più curva sotto il peso della vita, sotto lasoma dei suoi errori che Dio solo potrebbe chiamarecolpe.

«Così la pietà che ispirava era inane e non scevra diun certo senso di spavento. Il buon Pasquale StanislaoMancini, il suocero che le era stato padre, per vari anni,di lontano, segretamente si tormentava per lei e l’aiuta-va a volte nel più grande mistero, e si turbava pensandoal suo avvenire. Donna Grazia Pierantoni Mancini, no-bilissima e virtuosissima signora, non poteva udir parla-re di lei, che pure aveva offeso la sua famiglia così gra-vemente senza pronunciare qualche sincera parola di

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amica che la compativa invece di biasimarla. Inutileopera quella del salvataggio!

«Ella ci credeva un poco; si metteva a vivere sola,quietamente per un poco; tentava di ridiventare una si-gnora, come aveva tanto ambito di essere; era ricono-scente con le lacrime agli occhi della stima che vedevarinascere in chi la circondava; forse tornava in chiesa;parlava di nuovo di sua nonna, di sua madre, di una so-rella che aveva avuta tanto cara.

«Ma a un tratto, tutto questo castello in aria, lieve,mobile, crollava, ella si faceva riprendere dal suo tem-peramento inquieto, dalla sua paura di esser sola, di es-sere abbandonata, ella s’innamorava e credeva d’essereamata; ella s’inebriava novellamente di ogni illusionepuerile: ella capitolava innanzi a uno sguardo, a una pa-rola amorosa! Perduta di nuovo, la Contessa Lara: per-duta sempre peggio, e sempre più infelice, sempre piùstanca, sempre più curva sotto il peso della vita, sotto lasoma dei suoi errori che Dio solo potrebbe chiamarecolpe.

«Così la pietà che ispirava era inane e non scevra diun certo senso di spavento. Il buon Pasquale StanislaoMancini, il suocero che le era stato padre, per vari anni,di lontano, segretamente si tormentava per lei e l’aiuta-va a volte nel più grande mistero, e si turbava pensandoal suo avvenire. Donna Grazia Pierantoni Mancini, no-bilissima e virtuosissima signora, non poteva udir parla-re di lei, che pure aveva offeso la sua famiglia così gra-vemente senza pronunciare qualche sincera parola di

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Page 269: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

compianto. Gli amici dicevano: Che sarà mai di lei piùtardi? La vecchiaia che sarà per questa povera donna,senza ricordi che non sieno di rossore, senza compagnia,senza conforto, senza mezzi forse? Morirà essa dopolunghi stenti, senza una mano che le chiuda gli occhi,carica di anni e di tristezza, avendo conosciuto tutti gliabbandoni? Niuno v’era che, vedendola declinare, ormainon si chiedesse quale sarebbe stato il duro, lungo e in-crescioso avvenire di vecchia, per la donna che non ave-va avuta la forza di rispettare nè se stessa, nè l’amore.Ahimè ella non è stata vecchia! Il brivido tenue di sgo-mento che ella c’ispirava, corrispondeva all’oscuro suofato, a questo colpo di rivoltella, un sol colpo, che cosìsicuramente l’ha presa, a questo assassinio commessonon per amore, non per gelosia, ma per laida vendettad’interesse deluso: era il presentimento di una punizionetremenda che scendeva su lei, che era stata una donna,una signora, una scrittrice di gran talento, una poetessa eche era destinata a perire come una delle ultime perduteche uccide un amante ignoto!

«Ognuno di noi vedendola l’ultima volta ha avuto ilsentore mistico di una catastrofe qualunque che la tra-volgesse: ed è stata travolta; e la pietà di adesso, anche èvana, poichè era detto che nessun uomo e nessuna cosapotessero mai giovare, beneficare, confortare la infeli-ce».

*

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compianto. Gli amici dicevano: Che sarà mai di lei piùtardi? La vecchiaia che sarà per questa povera donna,senza ricordi che non sieno di rossore, senza compagnia,senza conforto, senza mezzi forse? Morirà essa dopolunghi stenti, senza una mano che le chiuda gli occhi,carica di anni e di tristezza, avendo conosciuto tutti gliabbandoni? Niuno v’era che, vedendola declinare, ormainon si chiedesse quale sarebbe stato il duro, lungo e in-crescioso avvenire di vecchia, per la donna che non ave-va avuta la forza di rispettare nè se stessa, nè l’amore.Ahimè ella non è stata vecchia! Il brivido tenue di sgo-mento che ella c’ispirava, corrispondeva all’oscuro suofato, a questo colpo di rivoltella, un sol colpo, che cosìsicuramente l’ha presa, a questo assassinio commessonon per amore, non per gelosia, ma per laida vendettad’interesse deluso: era il presentimento di una punizionetremenda che scendeva su lei, che era stata una donna,una signora, una scrittrice di gran talento, una poetessa eche era destinata a perire come una delle ultime perduteche uccide un amante ignoto!

«Ognuno di noi vedendola l’ultima volta ha avuto ilsentore mistico di una catastrofe qualunque che la tra-volgesse: ed è stata travolta; e la pietà di adesso, anche èvana, poichè era detto che nessun uomo e nessuna cosapotessero mai giovare, beneficare, confortare la infeli-ce».

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Page 270: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

Il giorno 3 dicembre il giudice istruttore Niceforo, in-sieme al cancelliere Tanganelli assistette all’autopsiache i dottori Amante e Granelli eseguirono sul corpodella Contessa Lara e da cui risultò una ferita d’arma dafuoco alla regione epigastrica, penetrante in cavità, e pe-ritonite diffusa.

Il 4 dicembre la piazzetta di San Bartolomeo all’Isola,era gremita di popolo, di artisti, di letterati, di giornali-sti, di signore. Il carro di seconda classe era coperto dicorone dei giornali cittadini, dell’Associazione dellaStampa, di amici e ammiratori, dello scultore Ezeckiel,della famiglia Bottini, di Pierre Loti.

La bara di zinco che stava davanti alla camera inciso-ria fu benedetta dal parroco di San Bartolomeo, padreBenedetto Marcello dei Minori Osservanti, dal parrocodi Sant’Andrea delle Fratte, padre Francesco D’Aversa,dei Minimi, e dal Vice-parroco Mascolo Catelli che ave-va assistito la povera donna. Questi sacerdoti erano ve-nuti volentieri, senza compenso, al funerale per spiritodi carità e per renderlo più solenne.

Alle dieci la salma fu tolta dal marmo della morgueche era stato ricoperto di rose tea mandate in grandi ce-ste da Firenze da due signorine dell’aristocrazia perchèproprio se ne componesse un letto a quel povero corpostraziato! e fu messa nella bara, portata a spalla da amicie posata sul carro.

Reggevano i cordoni Evangelisti per La Tribuna,Boutet pel Don Chisciotte, Boccafurni per La Roma let-teraria, Baffico per l’Associazione della Stampa, lo

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Il giorno 3 dicembre il giudice istruttore Niceforo, in-sieme al cancelliere Tanganelli assistette all’autopsiache i dottori Amante e Granelli eseguirono sul corpodella Contessa Lara e da cui risultò una ferita d’arma dafuoco alla regione epigastrica, penetrante in cavità, e pe-ritonite diffusa.

Il 4 dicembre la piazzetta di San Bartolomeo all’Isola,era gremita di popolo, di artisti, di letterati, di giornali-sti, di signore. Il carro di seconda classe era coperto dicorone dei giornali cittadini, dell’Associazione dellaStampa, di amici e ammiratori, dello scultore Ezeckiel,della famiglia Bottini, di Pierre Loti.

La bara di zinco che stava davanti alla camera inciso-ria fu benedetta dal parroco di San Bartolomeo, padreBenedetto Marcello dei Minori Osservanti, dal parrocodi Sant’Andrea delle Fratte, padre Francesco D’Aversa,dei Minimi, e dal Vice-parroco Mascolo Catelli che ave-va assistito la povera donna. Questi sacerdoti erano ve-nuti volentieri, senza compenso, al funerale per spiritodi carità e per renderlo più solenne.

Alle dieci la salma fu tolta dal marmo della morgueche era stato ricoperto di rose tea mandate in grandi ce-ste da Firenze da due signorine dell’aristocrazia perchèproprio se ne componesse un letto a quel povero corpostraziato! e fu messa nella bara, portata a spalla da amicie posata sul carro.

Reggevano i cordoni Evangelisti per La Tribuna,Boutet pel Don Chisciotte, Boccafurni per La Roma let-teraria, Baffico per l’Associazione della Stampa, lo

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scultore Ezeckiel e Luigi Capuana. Una vera folla segui-va per Ponte Quattro Capi, Piazza Montanara, PiazzaAracœli, Foro Traiano, Via Nazionale, Via San Lorenzo;e qui il corteo si sciolse. Solo pochi amici proseguironofino al Verano dove attendevano un gruppo di signore ealcuni poveri che la Contessa Lara era solita beneficare,per darle un ultimo saluto e qualche fiore, fra indicibilecommozione di tutti.

La bara, fu posta in un loculo di deposito al numero139 a destra.

*

Intanto la Morosini da Creta era passata a Smirnedove giunse il 3 dicembre. Il 3 sera il tenente FerruccioBottini scese a terra e si recò al Cercle des étrangers aleggere i giornali. Vi apprese il ferimento della sua po-vera amica, e dopo ore di terribile ansia la sua morte.

Alle due pomeridiane di quello stesso giorno 3 di-cembre il notaio D’Angelo apriva il testamento dellaContessa Lara. Erano presenti la signora Agrippina Bot-tini e il pretore del terzo Mandamento avvocato MarianoPetitto. Il testamento, tranne varii legati, era in favoredel tenente Ferruccio Bottini a cui lasciava lire settanta-duemila in denaro, e la cagna Isella. Si trovò che lascrittura del testamento non era uguale a quella della fir-ma, e perciò qualora i parenti lo avessero oppugnato

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scultore Ezeckiel e Luigi Capuana. Una vera folla segui-va per Ponte Quattro Capi, Piazza Montanara, PiazzaAracœli, Foro Traiano, Via Nazionale, Via San Lorenzo;e qui il corteo si sciolse. Solo pochi amici proseguironofino al Verano dove attendevano un gruppo di signore ealcuni poveri che la Contessa Lara era solita beneficare,per darle un ultimo saluto e qualche fiore, fra indicibilecommozione di tutti.

La bara, fu posta in un loculo di deposito al numero139 a destra.

*

Intanto la Morosini da Creta era passata a Smirnedove giunse il 3 dicembre. Il 3 sera il tenente FerruccioBottini scese a terra e si recò al Cercle des étrangers aleggere i giornali. Vi apprese il ferimento della sua po-vera amica, e dopo ore di terribile ansia la sua morte.

Alle due pomeridiane di quello stesso giorno 3 di-cembre il notaio D’Angelo apriva il testamento dellaContessa Lara. Erano presenti la signora Agrippina Bot-tini e il pretore del terzo Mandamento avvocato MarianoPetitto. Il testamento, tranne varii legati, era in favoredel tenente Ferruccio Bottini a cui lasciava lire settanta-duemila in denaro, e la cagna Isella. Si trovò che lascrittura del testamento non era uguale a quella della fir-ma, e perciò qualora i parenti lo avessero oppugnato

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Page 272: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

giusto ai termini dell’articolo 775 del Codice Civile, sa-rebbe stato annullato. Il tenente Ferruccio Bottini, appe-na seppe di questa eredità, si recò a Smirne dal consoleConte Mancinelli e fece tutte le pratiche per la rinunzia,dichiarando che non avrebbe mai accettato nulla.

Esisteva un altro testamento della Contessa Larascritto e firmato tutto di suo pugno in data 5 maggio1895; ma la persona a cui favore era fatto, credè oppor-tuno non valersene.

*

L’impressione che in tutta Italia aveva suscitato que-sta tragedia fu rivelata da una infinità di manifestazioniaffettuose e pietose di noti ed ignoti che si rivolgevanoai giornali romani per esprimere i loro sentimenti. Lar-ghissimo d’ospitalità fu il Don Chisciotte diretto da Lui-gi Lodi, dove Febea scriveva una rubrica Fra piume estrascichi con lo pseudonimo Diego de Miranda.

Fra le molte lettere giunte al Don Chisciotte ve n’erauna in cui si narrava la visita di Eva Cattermole, giova-nissima, bionda, idealmente bella, all’Educandato dellaQuiete a Firenze dove suo padre era professore. Si par-lava della dolcissima memoria ch’essa vi lasciò, dellaincantevole persona, dei modi soavi, del canto delizioso,che le convittrici non dimenticarono più. Eva era allorain lutto per la morte della madre. E, quando la pregaro-

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giusto ai termini dell’articolo 775 del Codice Civile, sa-rebbe stato annullato. Il tenente Ferruccio Bottini, appe-na seppe di questa eredità, si recò a Smirne dal consoleConte Mancinelli e fece tutte le pratiche per la rinunzia,dichiarando che non avrebbe mai accettato nulla.

Esisteva un altro testamento della Contessa Larascritto e firmato tutto di suo pugno in data 5 maggio1895; ma la persona a cui favore era fatto, credè oppor-tuno non valersene.

*

L’impressione che in tutta Italia aveva suscitato que-sta tragedia fu rivelata da una infinità di manifestazioniaffettuose e pietose di noti ed ignoti che si rivolgevanoai giornali romani per esprimere i loro sentimenti. Lar-ghissimo d’ospitalità fu il Don Chisciotte diretto da Lui-gi Lodi, dove Febea scriveva una rubrica Fra piume estrascichi con lo pseudonimo Diego de Miranda.

Fra le molte lettere giunte al Don Chisciotte ve n’erauna in cui si narrava la visita di Eva Cattermole, giova-nissima, bionda, idealmente bella, all’Educandato dellaQuiete a Firenze dove suo padre era professore. Si par-lava della dolcissima memoria ch’essa vi lasciò, dellaincantevole persona, dei modi soavi, del canto delizioso,che le convittrici non dimenticarono più. Eva era allorain lutto per la morte della madre. E, quando la pregaro-

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Page 273: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

no di cantare, la sua sensibilità vibrò con tanta forza edelicatezza che vinse tutti i presenti. Ora le giovanetted’allora erano donne e alcune rievocavano piangendoquella poetica apparizione.

Una signora in lutto, sofferente e umile, la vedova delpoeta Vittorio Solmini, portò al Don Chisciotte tre lire,non potendo di più, perchè si comprassero dei fiori perla poetessa: pensiero e rimpianto della povera ammira-trice.

Lo scultore Ezeckiel promise di modellare un meda-glione con l’effige della morta per il tumulo a CampoVerano. Un tale, certo Ernesto Nante, che volle però re-stare anonimo, perchè non si credesse la sua offerta fattaa scopo di pubblicità, offrì gratuitamente la lapide prov-visoria in ferro a smalto.

L’avvocato Avellone fece sapere a mezzo della stam-pa ai congiunti della vittima che egli avrebbe accettato,senza alcun compenso, l’incarico di rappresentarli comeparte civile nel processo contro l’assassino il quale giàdai primi interrogatori cercava d’infamare la memoriadella vittima adducendo a suo discarico il movente dellagelosia. Egli concludeva la sua lettera di offerta conqueste parole:

«Evitare che la malintesa pietà, sottraendo all’univer-sale ribrezzo l’assassino, muti l’ambiente e converta unfatto brutale e malvagio in un omicidio passionale, èopera di alta moralità».

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no di cantare, la sua sensibilità vibrò con tanta forza edelicatezza che vinse tutti i presenti. Ora le giovanetted’allora erano donne e alcune rievocavano piangendoquella poetica apparizione.

Una signora in lutto, sofferente e umile, la vedova delpoeta Vittorio Solmini, portò al Don Chisciotte tre lire,non potendo di più, perchè si comprassero dei fiori perla poetessa: pensiero e rimpianto della povera ammira-trice.

Lo scultore Ezeckiel promise di modellare un meda-glione con l’effige della morta per il tumulo a CampoVerano. Un tale, certo Ernesto Nante, che volle però re-stare anonimo, perchè non si credesse la sua offerta fattaa scopo di pubblicità, offrì gratuitamente la lapide prov-visoria in ferro a smalto.

L’avvocato Avellone fece sapere a mezzo della stam-pa ai congiunti della vittima che egli avrebbe accettato,senza alcun compenso, l’incarico di rappresentarli comeparte civile nel processo contro l’assassino il quale giàdai primi interrogatori cercava d’infamare la memoriadella vittima adducendo a suo discarico il movente dellagelosia. Egli concludeva la sua lettera di offerta conqueste parole:

«Evitare che la malintesa pietà, sottraendo all’univer-sale ribrezzo l’assassino, muti l’ambiente e converta unfatto brutale e malvagio in un omicidio passionale, èopera di alta moralità».

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Persone anche sconosciute si rivolgevano a Diego deMiranda per avere autografi e ritratti della ContessaLara. Febea rispose dalla sua rubrica:

«Le lettere della sventurata signora che Lei vivente ciparevano – Iddio ci perdoni – persino noiose per la insi-stente monotonia del medesimo argomento: la benefi-cenza, la carità, la pietà, ora sono documenti preziosi ericordi troppo rari perch’io voglia disseminarli pel mon-do, e quanto ai ritratti, quel solo che io avessi ho volutomandarlo a un amico che me lo chiedeva: a Salvatore DiGiacomo, il poeta profondamente sentimentale che puòintendere e sentire tutta la desolata e vana fatica di quel-la vita, tutta la tragica poesia di quella morte».

E continuò per molti giorni l’invio da ogni parted’Italia e anche dall’estero di denari per i poveri dellaContessa Lara, invece che di fiori sulla sua fossa: equanto profluire di versi da poeti noti ed ignoti!

Il Don Chisciotte non poteva pubblicarli tutti, e nonne pubblicò nessuno. Un poeta di Genova, fra i noti, ac-cettando di buona grazia l’inedito cui i suoi versi cometutti gli altri furono condannati, mandò del denaro. Unaltro poeta che si firmava Papiliunculus, certamente Ce-sario Testa, aveva mandato una poesia ispirata a tenerez-za pietosa, che cominciava:

Sorgea, cadea dorato in su la sabbiaOgni rosea mattina il tuo castello,Povero colibrì . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Persone anche sconosciute si rivolgevano a Diego deMiranda per avere autografi e ritratti della ContessaLara. Febea rispose dalla sua rubrica:

«Le lettere della sventurata signora che Lei vivente ciparevano – Iddio ci perdoni – persino noiose per la insi-stente monotonia del medesimo argomento: la benefi-cenza, la carità, la pietà, ora sono documenti preziosi ericordi troppo rari perch’io voglia disseminarli pel mon-do, e quanto ai ritratti, quel solo che io avessi ho volutomandarlo a un amico che me lo chiedeva: a Salvatore DiGiacomo, il poeta profondamente sentimentale che puòintendere e sentire tutta la desolata e vana fatica di quel-la vita, tutta la tragica poesia di quella morte».

E continuò per molti giorni l’invio da ogni parted’Italia e anche dall’estero di denari per i poveri dellaContessa Lara, invece che di fiori sulla sua fossa: equanto profluire di versi da poeti noti ed ignoti!

Il Don Chisciotte non poteva pubblicarli tutti, e nonne pubblicò nessuno. Un poeta di Genova, fra i noti, ac-cettando di buona grazia l’inedito cui i suoi versi cometutti gli altri furono condannati, mandò del denaro. Unaltro poeta che si firmava Papiliunculus, certamente Ce-sario Testa, aveva mandato una poesia ispirata a tenerez-za pietosa, che cominciava:

Sorgea, cadea dorato in su la sabbiaOgni rosea mattina il tuo castello,Povero colibrì . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Nino Martoglio scrisse pure una lirica in omaggio allamorta.

E non mancarono editori e privati che avrebbero vo-luto raccogliere l’interessante fiorita.

«Sono uno sconosciuto – scrive uno – e niente illu-stre. Desidero in ogni modo nel senso più assoluto rima-ner tale.» Proponeva di trovare l’editore, di curare l’edi-zione, di assumere tutte le spese in caso di perdita, di ri-partire poi il profitto fra i poveri in nome della ContessaLara.

Scrisse, fra moltissimi altri, con umana pietà dellascomparsa anche Fanny Vanzi Mussini. Ma ci furonoanche voci – e quelle di alcune donne furono le più stri-dule – che in nome della morale offesa protestaronocontro l’onda di pietà che si era alzata dopo la tragedia.Polemizzò la Vanzi Mussini, brevemente, arditamente,convinta della sua tesi, ma rifiutò di polemizzare Febea.

«Tengo a dichiarare – scriveva – che in genere rifug-go dalla polemica che è esercitazione letteraria vana eantipatica. Nel caso speciale poi, sulla fossa di una po-vera creatura mite e innocua, ammazzata barbaramente,io non polemizzo, non ammetto si creda che io possapolemizzare, non permetto si pensi di polemizzare conme».

Giungevano a pacchi le lettere sdegnate dall’Italia edall’estero per quegli articoli davvero poco cristianicontro la morta, e certo quello che Febea si decise ascrivere infine polemizzando, col titolo Logicamente,

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Nino Martoglio scrisse pure una lirica in omaggio allamorta.

E non mancarono editori e privati che avrebbero vo-luto raccogliere l’interessante fiorita.

«Sono uno sconosciuto – scrive uno – e niente illu-stre. Desidero in ogni modo nel senso più assoluto rima-ner tale.» Proponeva di trovare l’editore, di curare l’edi-zione, di assumere tutte le spese in caso di perdita, di ri-partire poi il profitto fra i poveri in nome della ContessaLara.

Scrisse, fra moltissimi altri, con umana pietà dellascomparsa anche Fanny Vanzi Mussini. Ma ci furonoanche voci – e quelle di alcune donne furono le più stri-dule – che in nome della morale offesa protestaronocontro l’onda di pietà che si era alzata dopo la tragedia.Polemizzò la Vanzi Mussini, brevemente, arditamente,convinta della sua tesi, ma rifiutò di polemizzare Febea.

«Tengo a dichiarare – scriveva – che in genere rifug-go dalla polemica che è esercitazione letteraria vana eantipatica. Nel caso speciale poi, sulla fossa di una po-vera creatura mite e innocua, ammazzata barbaramente,io non polemizzo, non ammetto si creda che io possapolemizzare, non permetto si pensi di polemizzare conme».

Giungevano a pacchi le lettere sdegnate dall’Italia edall’estero per quegli articoli davvero poco cristianicontro la morta, e certo quello che Febea si decise ascrivere infine polemizzando, col titolo Logicamente,

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Page 276: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

rappresentava il vero sentimento di quasi tutta l’opinio-ne pubblica, verso la memoria della Contessa Lara.

Febea diceva che se la Contessa Lara invece che unadonna fosse stata un uomo, un poeta, un giornalista la-borioso e avesse vissuto del suo lavoro senza chiederemai un soldo a nessuno; e avesse mantenuti scrupolosa-mente gli impegni presi con editori e direttori di giorna-li40 nessuno avrebbe trovato da ridire se solo – senza af-fetti, senza gioie nè doveri nè responsabilità di famiglia,– avesse amato concedersi, a giornata finita, un’orad’amore.

«La donna è un essere umano come l’uomo – conclu-deva Febea – e vorrei che tutti coloro i quali riconosco-no questa semplice verità dicessero di lei semplicementee coraggiosamente: «S’è perduto un bell’ingegno, unanobile operosità, un gran cuore».

E la tesi di Febea, anche se audace e spregiudicata,non è lontana da una superiore giustizia.

*

Fra i motivi che spiegano la varietà dei giudizi a cuifurono sottoposte, non sempre benevolmente, l’opera esoprattutto la vita della Contessa Lara, è la differenza

40 In agonia la Contessa Lara autorizzò il prof. Boccafurni, dinanzi ad altrapersona, a prendere i manoscritti di lavoro per cui aveva ricevuto da lui un an-ticipo.

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rappresentava il vero sentimento di quasi tutta l’opinio-ne pubblica, verso la memoria della Contessa Lara.

Febea diceva che se la Contessa Lara invece che unadonna fosse stata un uomo, un poeta, un giornalista la-borioso e avesse vissuto del suo lavoro senza chiederemai un soldo a nessuno; e avesse mantenuti scrupolosa-mente gli impegni presi con editori e direttori di giorna-li40 nessuno avrebbe trovato da ridire se solo – senza af-fetti, senza gioie nè doveri nè responsabilità di famiglia,– avesse amato concedersi, a giornata finita, un’orad’amore.

«La donna è un essere umano come l’uomo – conclu-deva Febea – e vorrei che tutti coloro i quali riconosco-no questa semplice verità dicessero di lei semplicementee coraggiosamente: «S’è perduto un bell’ingegno, unanobile operosità, un gran cuore».

E la tesi di Febea, anche se audace e spregiudicata,non è lontana da una superiore giustizia.

*

Fra i motivi che spiegano la varietà dei giudizi a cuifurono sottoposte, non sempre benevolmente, l’opera esoprattutto la vita della Contessa Lara, è la differenza

40 In agonia la Contessa Lara autorizzò il prof. Boccafurni, dinanzi ad altrapersona, a prendere i manoscritti di lavoro per cui aveva ricevuto da lui un an-ticipo.

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Olga Lodi Ossani (Febea).277

Olga Lodi Ossani (Febea).

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La Contessa Lara,pupazzetto del Giornale di Sicilia del 1896.

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La Contessa Lara,pupazzetto del Giornale di Sicilia del 1896.

Page 279: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

dell’atmosfera morale che essa, rimasta risolutamente equasi esasperatamente romantica, trovò nel realismodella nuova generazione. L’individualismo ad oltranza,l’affermazione del diritto naturale senza limiti nè divietidi legge scritta, sociale o religiosa fu uno dei caratterifondamentali del romanticismo, specialmente del ro-manticismo inglese da cui la Lara procedeva più diretta-mente. Tutti conoscono la vita irregolare dei due corifeidel romanticismo inglese Giorgio Byron e P. B. Shelley,e del poeta francese che al primo dei due s’ispirò piùimmediatamente, Alfred De Musset. Per quegli uominie secondo la loro morale l’amore doveva essere libero,patto spontaneo, concorde e, occorrendo, fugace di duesensualità o di due sentimentalità. Rotto il legame, nonesisteva più alcun diritto nè alcun dovere nè dall’unaparte nè dall’altra. Chi paragoni la Contessa Lara aun’altra scrittrice vissuta molto prima di lei, e certod’ingegno superiore, ma anche vissuta in diverse condi-zioni d’ambiente, s’accorgerà con un certo stupore comela Contessa Lara forse meno colpevole e disordinatadell’altra, sia stata sempre giudicata con una severitàche è in aperto contrasto con l’indulgenza, e si direbbela reverenza, con cui erano perdonate all’altra violazionianche più gravi della legge morale. George Sand comin-cia la sua carriera nel mondo con l’adulterio apertamen-te professato. Veste da uomo, fuma, beve assenzio, fre-quenta le taverne di Parigi, passa dalle braccia di JulesSandean a quelle d’Alfredo De Musset, del dott. Pagel-lo, a Michel de Bourges, a Chopin, e dopo la vita più av-

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dell’atmosfera morale che essa, rimasta risolutamente equasi esasperatamente romantica, trovò nel realismodella nuova generazione. L’individualismo ad oltranza,l’affermazione del diritto naturale senza limiti nè divietidi legge scritta, sociale o religiosa fu uno dei caratterifondamentali del romanticismo, specialmente del ro-manticismo inglese da cui la Lara procedeva più diretta-mente. Tutti conoscono la vita irregolare dei due corifeidel romanticismo inglese Giorgio Byron e P. B. Shelley,e del poeta francese che al primo dei due s’ispirò piùimmediatamente, Alfred De Musset. Per quegli uominie secondo la loro morale l’amore doveva essere libero,patto spontaneo, concorde e, occorrendo, fugace di duesensualità o di due sentimentalità. Rotto il legame, nonesisteva più alcun diritto nè alcun dovere nè dall’unaparte nè dall’altra. Chi paragoni la Contessa Lara aun’altra scrittrice vissuta molto prima di lei, e certod’ingegno superiore, ma anche vissuta in diverse condi-zioni d’ambiente, s’accorgerà con un certo stupore comela Contessa Lara forse meno colpevole e disordinatadell’altra, sia stata sempre giudicata con una severitàche è in aperto contrasto con l’indulgenza, e si direbbela reverenza, con cui erano perdonate all’altra violazionianche più gravi della legge morale. George Sand comin-cia la sua carriera nel mondo con l’adulterio apertamen-te professato. Veste da uomo, fuma, beve assenzio, fre-quenta le taverne di Parigi, passa dalle braccia di JulesSandean a quelle d’Alfredo De Musset, del dott. Pagel-lo, a Michel de Bourges, a Chopin, e dopo la vita più av-

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venturosa, nonostante lo scandalo di Venezia e le famo-se invocazioni di Les nuits, muore vecchia, circondatadall’ammirazione dei contemporanei, dall’affetto del fi-gliuolo, e sulla sua tomba non sono che lodi senza re-strizioni e una celebrazione di gloria non offuscata daalcun ricordo severo. Di epoca e di società diversa, èforse, ed è quello che in ogni vita più conta, meno fortu-nata e meno forte. Anche la Contessa Lara comincia conl’avventura d’amore, ma fin da principio il suo destino èfosco di tragedia e di morte. Ha degli amanti in numeroforse minore della sua illustre consorella, ma ciascunodi questi amori, invece di procurarle come all’altra mag-giore notorietà, maggiore invidia, e maggiore fortuna, èbollato come un crimine nuovo. La Sand scrive dei ro-manzi per affermare e difendere il diritto assoluto delladonna alla libertà del sentimento. Questi romanzi nonsolo sono ammirati come opere d’arte, ma anche esaltatiper la tesi che sostengono. La Contessa Lara scrive deilibri di poesia per cantare la sua passione, un romanzod’amore e delle novelle per dire la sua pietà verso gliumili, gli oppressi, i disgraziati del mondo, o anche ilsuo sincero fervore religioso. Ebbene, pochi avvertonola spontaneità, l’intimità, la bellezza di molte di questeopere d’arte, ma tutti si affrettano a gridare allo scanda-lo e all’ipocrisia: scandalo il confessare e descrivere siapure in versi eleganti i propri amori illegittimi; ipocrisiail rappresentare dei sentimenti di bontà, di carità, di dol-cezza che tutti si ostinano a considerare come una men-zogna, una posa, nella donna che si credeva lecito

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venturosa, nonostante lo scandalo di Venezia e le famo-se invocazioni di Les nuits, muore vecchia, circondatadall’ammirazione dei contemporanei, dall’affetto del fi-gliuolo, e sulla sua tomba non sono che lodi senza re-strizioni e una celebrazione di gloria non offuscata daalcun ricordo severo. Di epoca e di società diversa, èforse, ed è quello che in ogni vita più conta, meno fortu-nata e meno forte. Anche la Contessa Lara comincia conl’avventura d’amore, ma fin da principio il suo destino èfosco di tragedia e di morte. Ha degli amanti in numeroforse minore della sua illustre consorella, ma ciascunodi questi amori, invece di procurarle come all’altra mag-giore notorietà, maggiore invidia, e maggiore fortuna, èbollato come un crimine nuovo. La Sand scrive dei ro-manzi per affermare e difendere il diritto assoluto delladonna alla libertà del sentimento. Questi romanzi nonsolo sono ammirati come opere d’arte, ma anche esaltatiper la tesi che sostengono. La Contessa Lara scrive deilibri di poesia per cantare la sua passione, un romanzod’amore e delle novelle per dire la sua pietà verso gliumili, gli oppressi, i disgraziati del mondo, o anche ilsuo sincero fervore religioso. Ebbene, pochi avvertonola spontaneità, l’intimità, la bellezza di molte di questeopere d’arte, ma tutti si affrettano a gridare allo scanda-lo e all’ipocrisia: scandalo il confessare e descrivere siapure in versi eleganti i propri amori illegittimi; ipocrisiail rappresentare dei sentimenti di bontà, di carità, di dol-cezza che tutti si ostinano a considerare come una men-zogna, una posa, nella donna che si credeva lecito

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d’amare a volta a volta l’uomo che s’era prescelto. Èevidente dunque, che se al tempo di George Sandl’atmosfera morale fosse stata quella realistica e borghe-se sorta in Europa col materialismo e il positivismo filo-sofico, George Sand sarebbe stata accusata, condannata,dispregiata, esecrata come fu poi da alcuni alla sua mor-te la Contessa Lara; e se questa invece fosse vissutaquando tutta la vita intellettuale d’Europa era impregna-ta d’individualismo romantico, la Contessa Lara nonsoltanto sarebbe stata perdonata ma forse celebrata eammirata come una eroina della nuova libertà femmini-le e del diritto di parità del sesso debole col forte. Per-chè in fondo la Contessa Lara, non diversamente daGeorge Sand, visse come un uomo. Fu sinceramentepersuasa che una donna anche in amore avesse gli stessidiritti dell’uomo. Ma si trovò isolata col suo spiritod’indipendenza e non ebbe l’energia necessaria nè unasua visione della vita da difendere.

Si aggiunga che la Sand ebbe tempo d’invecchiarementre l’altra morì quasi giovane, assassinata, e nonebbe il tempo di placarsi, di rasserenarsi. La Sand ebbefigli, il maschio fu la sua tenerezza, l’altra no, benchè ildesiderio d’avere un figlio fosse il più profondo dellasua vita. E forse sarebbe stato la sua salvazione.

Lo stesso nome byroniano di Contessa Lara le portòsfortuna: troppo tempo era passato dalla voga del byro-nismo, della libertà sentimentale, della passione oltre esopra il dovere, dell’individualismo assoluto.

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d’amare a volta a volta l’uomo che s’era prescelto. Èevidente dunque, che se al tempo di George Sandl’atmosfera morale fosse stata quella realistica e borghe-se sorta in Europa col materialismo e il positivismo filo-sofico, George Sand sarebbe stata accusata, condannata,dispregiata, esecrata come fu poi da alcuni alla sua mor-te la Contessa Lara; e se questa invece fosse vissutaquando tutta la vita intellettuale d’Europa era impregna-ta d’individualismo romantico, la Contessa Lara nonsoltanto sarebbe stata perdonata ma forse celebrata eammirata come una eroina della nuova libertà femmini-le e del diritto di parità del sesso debole col forte. Per-chè in fondo la Contessa Lara, non diversamente daGeorge Sand, visse come un uomo. Fu sinceramentepersuasa che una donna anche in amore avesse gli stessidiritti dell’uomo. Ma si trovò isolata col suo spiritod’indipendenza e non ebbe l’energia necessaria nè unasua visione della vita da difendere.

Si aggiunga che la Sand ebbe tempo d’invecchiarementre l’altra morì quasi giovane, assassinata, e nonebbe il tempo di placarsi, di rasserenarsi. La Sand ebbefigli, il maschio fu la sua tenerezza, l’altra no, benchè ildesiderio d’avere un figlio fosse il più profondo dellasua vita. E forse sarebbe stato la sua salvazione.

Lo stesso nome byroniano di Contessa Lara le portòsfortuna: troppo tempo era passato dalla voga del byro-nismo, della libertà sentimentale, della passione oltre esopra il dovere, dell’individualismo assoluto.

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Enrico Cattermole.

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Enrico Cattermole.

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L’assassinio della Contessa Lara.(Pagina a colori della Tribuna illustrata del 13 dicembre 1896.

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L’assassinio della Contessa Lara.(Pagina a colori della Tribuna illustrata del 13 dicembre 1896.

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Erano finiti i tempi in cui la rispettabilissima contessaGuiccioli, l’amante di Byron, poteva vivere col marito,e potevano essere i parenti di lei a richiamare Byron aRavenna quando si era allontanato per un dissidiod’interessi col conte Guiccioli, perchè la Teresa deperi-va lontana dall’amato bene. Poi, dopo il 1820, quando iconiugi Guiccioli si separarono col consenso del Papa,essa seguitò a ricevere Byron nella casa paterna finchèun bel giorno non si decisero ad andare a vivere insiemea Pisa nel palazzo Lanfranchi.

Quando, alla morte di Byron, la Teresa si sposò colmarchese di Boissy, nessuno le rimproverò d’essere sta-ta adultera, d’aver vissuto con un uomo che non era suomarito. Caso mai la si accusò di non essere stata abba-stanza fedele a questo amore benchè in onor suo avessepubblicato due volumi. Lo stesso marchese di Boissy, fi-losofo e buontempone, quando gli chiedevano se percaso non fosse parente di quella contessa Guiccioli cele-bre per.... egli rispondeva tranquillamente: C’est elle-même, elle-même la maîtresse de Byron. Il blasone nesembrava accresciuto.

La Contessa Lara ebbe un torto, sì: quello di esserenata una generazione dopo di quella a cui essa spiritual-mente apparteneva.

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Erano finiti i tempi in cui la rispettabilissima contessaGuiccioli, l’amante di Byron, poteva vivere col marito,e potevano essere i parenti di lei a richiamare Byron aRavenna quando si era allontanato per un dissidiod’interessi col conte Guiccioli, perchè la Teresa deperi-va lontana dall’amato bene. Poi, dopo il 1820, quando iconiugi Guiccioli si separarono col consenso del Papa,essa seguitò a ricevere Byron nella casa paterna finchèun bel giorno non si decisero ad andare a vivere insiemea Pisa nel palazzo Lanfranchi.

Quando, alla morte di Byron, la Teresa si sposò colmarchese di Boissy, nessuno le rimproverò d’essere sta-ta adultera, d’aver vissuto con un uomo che non era suomarito. Caso mai la si accusò di non essere stata abba-stanza fedele a questo amore benchè in onor suo avessepubblicato due volumi. Lo stesso marchese di Boissy, fi-losofo e buontempone, quando gli chiedevano se percaso non fosse parente di quella contessa Guiccioli cele-bre per.... egli rispondeva tranquillamente: C’est elle-même, elle-même la maîtresse de Byron. Il blasone nesembrava accresciuto.

La Contessa Lara ebbe un torto, sì: quello di esserenata una generazione dopo di quella a cui essa spiritual-mente apparteneva.

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CAPITOLO NONO.

L’eredità della Contessa Lara. – L’asta pubblica. – La fuga del no-taio. – Il processo. – Pietro Rosano e Salvatore Barzilai. – Nella

fossa comune.

Guglielmo Cattermole, residente a Montecarlo altempo in cui la sorella fu uccisa, ebbe da prima l’inten-zione di costituirsi parte civile e di non permettere che ilfratello Enrico, operaio tessitore a Prato, si unisse a lui.Egli credeva che questo fratello, e la sorella Esterina(suor Elena) fossero illegittimi e come tali li volevaesclusi da qualunque diritto verso l’eredità della morta.Ma, appurato poi che Enrico ed Esterina erano figli le-gittimi, si ritirò completamente, e poichè per ovvie ra-gioni non poteva sostituirlo suor Elena, questa parte fuassunta da Enrico, che si costituì parte civile, a mezzodel notaio Malenotti di Firenze, e in data 7 giugno ’97.Suoi avvocati furono l’Onorevole Pietro Rosano di Na-poli e Marino Ernesto Paglia. Essendo molto poverochiese il gratuito patrocinio.

Il capitano Eugenio Mancini non credè opportunoprocedere per l’uccisione della moglie e lasciò che lagiustizia facesse il suo corso.

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CAPITOLO NONO.

L’eredità della Contessa Lara. – L’asta pubblica. – La fuga del no-taio. – Il processo. – Pietro Rosano e Salvatore Barzilai. – Nella

fossa comune.

Guglielmo Cattermole, residente a Montecarlo altempo in cui la sorella fu uccisa, ebbe da prima l’inten-zione di costituirsi parte civile e di non permettere che ilfratello Enrico, operaio tessitore a Prato, si unisse a lui.Egli credeva che questo fratello, e la sorella Esterina(suor Elena) fossero illegittimi e come tali li volevaesclusi da qualunque diritto verso l’eredità della morta.Ma, appurato poi che Enrico ed Esterina erano figli le-gittimi, si ritirò completamente, e poichè per ovvie ra-gioni non poteva sostituirlo suor Elena, questa parte fuassunta da Enrico, che si costituì parte civile, a mezzodel notaio Malenotti di Firenze, e in data 7 giugno ’97.Suoi avvocati furono l’Onorevole Pietro Rosano di Na-poli e Marino Ernesto Paglia. Essendo molto poverochiese il gratuito patrocinio.

Il capitano Eugenio Mancini non credè opportunoprocedere per l’uccisione della moglie e lasciò che lagiustizia facesse il suo corso.

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Una curiosa lettera mandò al Giudice Istruttore untale che firmava Raffaele Cherubini. La lettera era data-ta da Marciano Marina, 3 dicembre, e diceva:

«Siccome doveva possedere qualcosa, (l’Evelina Cat-termole) in America, Repubblica di Venezuela, Caracas,trovasi una sorella legittima della Evelina Cattermole,vedova del fu Cherubini Giuseppe, mio fratello. Sposa-rono in Firenze nel 1864 o ’65. Si chiama EufròsinaCattermole ed ha tre figli. Il primo nacque qua. Eva fula madrina, il giovane si chiama Agostino, oggi reniten-te di leva».

L’asta pubblica fu indetta a Roma nel ’97 da un nota-io per conto di parecchi eredi, con pubblicità anche suigiornali. La vendita di mobili, libri, gioie ed altri ogget-ti, si effettuò nei giorni dal mercoledì 17, al lunedì 22marzo, alle ore 9, in Via Sistina, 27.

Questa vendita fu movimentata e vi accorse una follaelegante, anche per curiosità e capriccio. Si dice che fu-rono disputati perfino alcuni fogli di carta sugante.L’ultimo giorno furono vendute cinque miniature firma-te Courbet, le quali stimate da prima poche lire, dopo vi-vissima gara fra i più noti negozianti ed amatori diRoma, furono aggiudicate per 1900 lire al signor FilippoTavazzi. L’asta fruttò 42.000 lire. Nulla di quello cheaveva appartenuto alla scrittrice si potè salvare pei pa-renti, nemmeno gli oggetti più cari ed intimi. Suor Elenaavrebbe desiderato avere quel crocifisso assai preziosoche aveva ispirato alla poetessa il noto sonetto, ma nonfu possibile ottenerlo.

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Una curiosa lettera mandò al Giudice Istruttore untale che firmava Raffaele Cherubini. La lettera era data-ta da Marciano Marina, 3 dicembre, e diceva:

«Siccome doveva possedere qualcosa, (l’Evelina Cat-termole) in America, Repubblica di Venezuela, Caracas,trovasi una sorella legittima della Evelina Cattermole,vedova del fu Cherubini Giuseppe, mio fratello. Sposa-rono in Firenze nel 1864 o ’65. Si chiama EufròsinaCattermole ed ha tre figli. Il primo nacque qua. Eva fula madrina, il giovane si chiama Agostino, oggi reniten-te di leva».

L’asta pubblica fu indetta a Roma nel ’97 da un nota-io per conto di parecchi eredi, con pubblicità anche suigiornali. La vendita di mobili, libri, gioie ed altri ogget-ti, si effettuò nei giorni dal mercoledì 17, al lunedì 22marzo, alle ore 9, in Via Sistina, 27.

Questa vendita fu movimentata e vi accorse una follaelegante, anche per curiosità e capriccio. Si dice che fu-rono disputati perfino alcuni fogli di carta sugante.L’ultimo giorno furono vendute cinque miniature firma-te Courbet, le quali stimate da prima poche lire, dopo vi-vissima gara fra i più noti negozianti ed amatori diRoma, furono aggiudicate per 1900 lire al signor FilippoTavazzi. L’asta fruttò 42.000 lire. Nulla di quello cheaveva appartenuto alla scrittrice si potè salvare pei pa-renti, nemmeno gli oggetti più cari ed intimi. Suor Elenaavrebbe desiderato avere quel crocifisso assai preziosoche aveva ispirato alla poetessa il noto sonetto, ma nonfu possibile ottenerlo.

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Delle novantamila lire che la Contessa Lara aveva ri-cavato dalla vendita della casa di Firenze alla signoraBemporad ne restavano alla sua morte settantaduemila.L’asta, come si è detto, ne fruttò quarantaduemila. Il fra-tello Enrico che era allora un ragazzo povero, non ebbeche duemila lire. A chi andò tutto il resto? Non inda-ghiamo. Il notaio poco tempo dopo i fatti che abbiamonarrati, scomparve da Roma in circostanze drammati-che. Si favoleggiò perfino che si fosse rifugiato in Vati-cano per sfuggire ad azioni giudiziarie, riguardanti altriinteressi, di altre persone. E da quell’epoca nessuno lovide più.

Suor Elena poi, interrogata in proposito, non sa nem-meno per conto di chi si sieno continuati a vendere i li-bri della sorella, nè chi abbia riscosso i diritti di autore.

*

Il processo contro l’omicida che avrebbe dovuto averluogo il 2 agosto ’97 fu rinviato per malattia dell’avvo-cato di parte civile Piero Rosano, colui che alcuni annipiù tardi doveva morire suicida per gravi sciagure do-mestiche.

La prima seduta fu il 3 novembre. L’imputato era di-feso dall’avvocato Salvatore Barzilai.

Il pubblico fu disgustato dal cinismo dell’assassinoche per difendersi continuava a gettar fango sulla me-

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Delle novantamila lire che la Contessa Lara aveva ri-cavato dalla vendita della casa di Firenze alla signoraBemporad ne restavano alla sua morte settantaduemila.L’asta, come si è detto, ne fruttò quarantaduemila. Il fra-tello Enrico che era allora un ragazzo povero, non ebbeche duemila lire. A chi andò tutto il resto? Non inda-ghiamo. Il notaio poco tempo dopo i fatti che abbiamonarrati, scomparve da Roma in circostanze drammati-che. Si favoleggiò perfino che si fosse rifugiato in Vati-cano per sfuggire ad azioni giudiziarie, riguardanti altriinteressi, di altre persone. E da quell’epoca nessuno lovide più.

Suor Elena poi, interrogata in proposito, non sa nem-meno per conto di chi si sieno continuati a vendere i li-bri della sorella, nè chi abbia riscosso i diritti di autore.

*

Il processo contro l’omicida che avrebbe dovuto averluogo il 2 agosto ’97 fu rinviato per malattia dell’avvo-cato di parte civile Piero Rosano, colui che alcuni annipiù tardi doveva morire suicida per gravi sciagure do-mestiche.

La prima seduta fu il 3 novembre. L’imputato era di-feso dall’avvocato Salvatore Barzilai.

Il pubblico fu disgustato dal cinismo dell’assassinoche per difendersi continuava a gettar fango sulla me-

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moria della vittima.Quando, dopo aver deposto come testimone, Ferruc-

cio Bottini passò vicino alla gabbia, il detenuto gli dissecon odio:

— Ci rivedremo.E l’altro, con odio certo non minore:— Lo spero anch’io.La sentenza pronunciata il 10 novembre condannava

l’assassino a undici anni e otto mesi di reclusione.Intanto una sottoscrizione fu aperta su un periodico,

affinchè la povera morta avesse un posto suo nel Cam-posanto. Non facciamo il nome di quel periodico nè delsuo direttore – anch’egli morto – poichè questo libronon vuole muovere accuse contro nessuno, e tante ce nesarebbero, e per tanti! Ma di quei denari, dati da amici eamiche, da ammiratori, da bambini (all’autrice di Unafamiglia di topi), non si seppe più nulla e i resti dellaContessa Lara, passato il limite di tempo prescritto dallalegge, furono gettati nella fossa comune.

Tre anni dopo De Bosis scrisse a Febea, su un fogliodel Il convito questa lettera molto umana. Ma ogni buo-na intenzione parve spezzarsi contro la fatalità insor-montabile:

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moria della vittima.Quando, dopo aver deposto come testimone, Ferruc-

cio Bottini passò vicino alla gabbia, il detenuto gli dissecon odio:

— Ci rivedremo.E l’altro, con odio certo non minore:— Lo spero anch’io.La sentenza pronunciata il 10 novembre condannava

l’assassino a undici anni e otto mesi di reclusione.Intanto una sottoscrizione fu aperta su un periodico,

affinchè la povera morta avesse un posto suo nel Cam-posanto. Non facciamo il nome di quel periodico nè delsuo direttore – anch’egli morto – poichè questo libronon vuole muovere accuse contro nessuno, e tante ce nesarebbero, e per tanti! Ma di quei denari, dati da amici eamiche, da ammiratori, da bambini (all’autrice di Unafamiglia di topi), non si seppe più nulla e i resti dellaContessa Lara, passato il limite di tempo prescritto dallalegge, furono gettati nella fossa comune.

Tre anni dopo De Bosis scrisse a Febea, su un fogliodel Il convito questa lettera molto umana. Ma ogni buo-na intenzione parve spezzarsi contro la fatalità insor-montabile:

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«24 del ’99.

«Mia gentile amica,«Voi avete come sempre per le cause nobili e buone,

speso più di una parola autorevole in memoria e in dife-sa di una donna, che fu perseguitata dalla infelicità puroltre la morte. Ed ora alla vostra voce si unisce quelladella nostra illustre amica Matilde Serao a reclamare perla Contessa Lara la carità d’una tomba: dirò meglio, per-chè a Evelina Cattermole sia almeno riconosciuto que-sto estremo diritto.

«Io riconosco che il vostro, da un pezzo, e ora il nuo-vo appello che fa nel Mattino di oggi Matilde Serao suo-nano come un rimprovero nell’animo dei non immemori– e sembrami che sia ora, non di andar cercando il nomedegli ingenerosi o dei ladri, ma di provvedere.

«Io so di parecchi che si unirebbero volentieri aquest’opera doverosa. Volete che io e voi (voi mettendola vostra autorità e io l’operosità mia perchè a voi sienotolti i fastidi) facciamo cessare la dolorosa ingiustizia?Quanti troveremo (e non saran pochi) amici o compagnidi lavoro o semplici ammiratori dei libri della poverauccisa, si obbligheranno a pagare una quota delle spesenon greve: e le misere ossa avranno un po’ di pace nelloro sepolcro.... e noi nella nostra coscienza.

«Vostro affettuosamente«ADOLFO DE BOSIS.»

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«24 del ’99.

«Mia gentile amica,«Voi avete come sempre per le cause nobili e buone,

speso più di una parola autorevole in memoria e in dife-sa di una donna, che fu perseguitata dalla infelicità puroltre la morte. Ed ora alla vostra voce si unisce quelladella nostra illustre amica Matilde Serao a reclamare perla Contessa Lara la carità d’una tomba: dirò meglio, per-chè a Evelina Cattermole sia almeno riconosciuto que-sto estremo diritto.

«Io riconosco che il vostro, da un pezzo, e ora il nuo-vo appello che fa nel Mattino di oggi Matilde Serao suo-nano come un rimprovero nell’animo dei non immemori– e sembrami che sia ora, non di andar cercando il nomedegli ingenerosi o dei ladri, ma di provvedere.

«Io so di parecchi che si unirebbero volentieri aquest’opera doverosa. Volete che io e voi (voi mettendola vostra autorità e io l’operosità mia perchè a voi sienotolti i fastidi) facciamo cessare la dolorosa ingiustizia?Quanti troveremo (e non saran pochi) amici o compagnidi lavoro o semplici ammiratori dei libri della poverauccisa, si obbligheranno a pagare una quota delle spesenon greve: e le misere ossa avranno un po’ di pace nelloro sepolcro.... e noi nella nostra coscienza.

«Vostro affettuosamente«ADOLFO DE BOSIS.»

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Un altro poeta, Giovanni Bertacchi, dettò questa com-mossa epigrafe rimasta sulla carta:

EVACOLPEVOLE E MARTIRE

REIETTA, ESULE E DOLENTERIVISSE IL SUO DESTINO NEL CANTOGIUNSE PER L’AMORE ALLA MORTE

AMANDO; MORENDOESPIÒ

La Contessa Lara aveva cantato, a proposito dei suoigioielli:

. . . . . . . . . . . a ’l Monte od a l’IncantoSaran vendute, povere memorie,Per comprarmi due zolle in camposanto.41

E s’era illusa, come sempre! Fu invece esaudita neldesiderio che un giorno di amara ironia le aveva fattoesprimere in giovinezza:

Non m’aggravate il tumulo di croci:N’ebbi già tante da portare in vita!42

41 CONTESSA LARA, Versi, «Gioielli».42 IDEM, E ancora versi, «Nel mio testamento».

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Un altro poeta, Giovanni Bertacchi, dettò questa com-mossa epigrafe rimasta sulla carta:

EVACOLPEVOLE E MARTIRE

REIETTA, ESULE E DOLENTERIVISSE IL SUO DESTINO NEL CANTOGIUNSE PER L’AMORE ALLA MORTE

AMANDO; MORENDOESPIÒ

La Contessa Lara aveva cantato, a proposito dei suoigioielli:

. . . . . . . . . . . a ’l Monte od a l’IncantoSaran vendute, povere memorie,Per comprarmi due zolle in camposanto.41

E s’era illusa, come sempre! Fu invece esaudita neldesiderio che un giorno di amara ironia le aveva fattoesprimere in giovinezza:

Non m’aggravate il tumulo di croci:N’ebbi già tante da portare in vita!42

41 CONTESSA LARA, Versi, «Gioielli».42 IDEM, E ancora versi, «Nel mio testamento».

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INDICE DEI NOMI.

AleardiAmanteAntona-Traversi CamilloAntona-Traversi GianninoAntona-Traversi LuigiAntona-Traversi Margherita cont.sa ColleoniAntona-Traversi Teresita GiampietroAntona-Traversi Bice TittoniArdizzoneArrighiAschieri (contessa degli)Avellone

BabinBaccelliBafficoBarbera GasperoBarbera GinoBarbera LuigiBarbera PieroBarbieraBarocchiniBarrili

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INDICE DEI NOMI.

AleardiAmanteAntona-Traversi CamilloAntona-Traversi GianninoAntona-Traversi LuigiAntona-Traversi Margherita cont.sa ColleoniAntona-Traversi Teresita GiampietroAntona-Traversi Bice TittoniArdizzoneArrighiAschieri (contessa degli)Avellone

BabinBaccelliBafficoBarbera GasperoBarbera GinoBarbera LuigiBarbera PieroBarbieraBarocchiniBarrili

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BarzilaiBaudelaireBazziniBelliniBemporadBenedetto Marcello (padre)Bennati di BaylonBenvenutiBersezioBertolaniBiancoBignamiBilliBoccafurniBoggianiBoissy (marchese di)BoitoBonacciBonghiBorgBotticelliBottini Agrippina (Pina)Bottini EzioBottini famigliaBottini FerruccioBottini TommasoBoucherBourgesBoutet

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BarzilaiBaudelaireBazziniBelliniBemporadBenedetto Marcello (padre)Bennati di BaylonBenvenutiBersezioBertolaniBiancoBignamiBilliBoccafurniBoggianiBoissy (marchese di)BoitoBonacciBonghiBorgBotticelliBottini Agrippina (Pina)Bottini EzioBottini famigliaBottini FerruccioBottini TommasoBoucherBourgesBoutet

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BüchnerBuemiByron

Cadorna CarloCadorna RaffaeleCameroniCanevaroCantùCapuanaCarducciCarizzoniCarlotta imperatriceCatelliCattermole EnricoCattermole Esterina (Suor Elena)Cattermole EufròsinaCattermole EvaCattermole FaustoCattermole Guglielmo (figlio)Cattermole Guglielmo (padre)Cattermole Sandusch ElisaCatulloCavallottiCelliniCentenariCesareoChecchiCherubini Agostino

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BüchnerBuemiByron

Cadorna CarloCadorna RaffaeleCameroniCanevaroCantùCapuanaCarducciCarizzoniCarlotta imperatriceCatelliCattermole EnricoCattermole Esterina (Suor Elena)Cattermole EufròsinaCattermole EvaCattermole FaustoCattermole Guglielmo (figlio)Cattermole Guglielmo (padre)Cattermole Sandusch ElisaCatulloCavallottiCelliniCentenariCesareoChecchiCherubini Agostino

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Cherubini GiuseppeCherubini RaffaeleChiabreraChopinColauttiColombi (marchesa)ConconiCorsiniCortesiCourbetCremonaCroceCurti

Dall’OngaroDamianiD’AngeloD’AnnunzioDaudetD’AversaDe AmicisDe GubernatisDel BalzoDella BeffaDel SartoDenzaDe PontiDepretisDe Sanctis

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Cherubini GiuseppeCherubini RaffaeleChiabreraChopinColauttiColombi (marchesa)ConconiCorsiniCortesiCourbetCremonaCroceCurti

Dall’OngaroDamianiD’AngeloD’AnnunzioDaudetD’AversaDe AmicisDe GubernatisDel BalzoDella BeffaDel SartoDenzaDe PontiDepretisDe Sanctis

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De ZerbiDi GiacomoDi RudinìDi TarsiaDonatiDonesDoniDonwinaDossiDostojewskyDumas

EschiloEvangelisti

FanciullacciFanfaniFarinaFedeliFenziFerdinando IIFerrariFerriFetisFilippiFojanesi RapisardiFolchi 215.Fontana F.Fontana L.

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De ZerbiDi GiacomoDi RudinìDi TarsiaDonatiDonesDoniDonwinaDossiDostojewskyDumas

EschiloEvangelisti

FanciullacciFanfaniFarinaFedeliFenziFerdinando IIFerrariFerriFetisFilippiFojanesi RapisardiFolchi 215.Fontana F.Fontana L.

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ForesiFormioniFortiFortisFoscoloFulci

GabardiGabardi Brocchi OlivoGabardi Brocchi RossiGalliGalloniGandolinGareffiGaribaldiGaronGemsbourgGenuaGhivizzaniGiannoneGiannottaGiarelliGiarrèGiarrè BilliGiorgettiGiustiGrafGrandiGranelli

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ForesiFormioniFortiFortisFoscoloFulci

GabardiGabardi Brocchi OlivoGabardi Brocchi RossiGalliGalloniGandolinGareffiGaribaldiGaronGemsbourgGenuaGhivizzaniGiannoneGiannottaGiarelliGiarrèGiarrè BilliGiorgettiGiustiGrafGrandiGranelli

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GrégoireGreppiGuacciGueriniGuerrazziGuiccioli

HeineHohenzollernHugoHugues

LabruyèreLandiLazzeriLeonardoLesenLevi E.Levi P.LodiLodi Ossani (Febea, Carbonilla, De Miranda)LonghiLotiLuccaLyonne

MaffeiMaffei (contessa)Magni

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GrégoireGreppiGuacciGueriniGuerrazziGuiccioli

HeineHohenzollernHugoHugues

LabruyèreLandiLazzeriLeonardoLesenLevi E.Levi P.LodiLodi Ossani (Febea, Carbonilla, De Miranda)LonghiLotiLuccaLyonne

MaffeiMaffei (contessa)Magni

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MalenottiMalenotti G.MamianiMancinelliMancini E.Mancini A.Mancini F.Mancini F. S.Mancini F. S. E.Mancini P. S.Mancini R.Mancini OlivaMancini PierantoniMancini RiolaMandriniManzoni-ForesiMarchiòMartiniMartireMartoglioMassaraniMassimilianoMazzoniMazzoni G.MediciMendelsonMeyerbeerMilelliMinghetti

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MalenottiMalenotti G.MamianiMancinelliMancini E.Mancini A.Mancini F.Mancini F. S.Mancini F. S. E.Mancini P. S.Mancini R.Mancini OlivaMancini PierantoniMancini RiolaMandriniManzoni-ForesiMarchiòMartiniMartireMartoglioMassaraniMassimilianoMazzoniMazzoni G.MediciMendelsonMeyerbeerMilelliMinghetti

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Mirafiori (conte di)MisasiMoëMolièreMonaldiMontagliari (marchese di)MontiMooreMorelli (deputato)Morelli (giornalista)MorelloMorettiMorghenMoriniMuratMusset

NanteNardiNeeraNegriNiccoliniNolhacNorsa

Oliva C.Oliva D. S.Oliva Costa A.Oriani

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Mirafiori (conte di)MisasiMoëMolièreMonaldiMontagliari (marchese di)MontiMooreMorelli (deputato)Morelli (giornalista)MorelloMorettiMorghenMoriniMuratMusset

NanteNardiNeeraNegriNiccoliniNolhacNorsa

Oliva C.Oliva D. S.Oliva Costa A.Oriani

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O’ Tamà Chiovara

PadlewskyPagelloPagliaPanzacchiParboniPascoliPepoliPerelli L.Perelli N.PerinoPeruzzi E.Peruzzi U.PesciPetittoPetraiPiccoliPierantoniPierucciPuchettiPirandelloPironPirontiPompadourPoniatowskaPoniatowskiPoniatowski C.Poniatowski G.

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O’ Tamà Chiovara

PadlewskyPagelloPagliaPanzacchiParboniPascoliPepoliPerelli L.Perelli N.PerinoPeruzzi E.Peruzzi U.PesciPetittoPetraiPiccoliPierantoniPierucciPuchettiPirandelloPironPirontiPompadourPoniatowskaPoniatowskiPoniatowski C.Poniatowski G.

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Poniatowski M.PragaPrati

RaffaelloRaggioRagusa MoletiRanzaRanzoniRapisardiRapisardi RizzoRattazziRechreinReinaReyneriRicottiRiolaRosaRosanoRosselliniRossiniRovaniRubichi

SaffoSalviniSandSandeauSansoni

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Poniatowski M.PragaPrati

RaffaelloRaggioRagusa MoletiRanzaRanzoniRapisardiRapisardi RizzoRattazziRechreinReinaReyneriRicottiRiolaRosaRosanoRosselliniRossiniRovaniRubichi

SaffoSalviniSandSandeauSansoni

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SartorioSbarbaroScarfoglioSeliverstoffSelvaggi SeraoSersaleShakespeareShelleySigheleSoderini CotogniSolminiSolms RattazziSommarugaSpannocchiaSpinolaStampaStecchettiStiavelliStrozzi

TanganelliTarchettiTavazziTestaTestiTibaldiTibulloTomaselli

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SartorioSbarbaroScarfoglioSeliverstoffSelvaggi SeraoSersaleShakespeareShelleySigheleSoderini CotogniSolminiSolms RattazziSommarugaSpannocchiaSpinolaStampaStecchettiStiavelliStrozzi

TanganelliTarchettiTavazziTestaTestiTibaldiTibulloTomaselli

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TommaseoTorelli-ViollerTostiTreves E.Treves G.Turco

Umberto I

ValeraVallardiVambaVenizelosVerdiVerdinoisVerga

WatteauWeichlimWimnel

Zumbini

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TommaseoTorelli-ViollerTostiTreves E.Treves G.Turco

Umberto I

ValeraVallardiVambaVenizelosVerdiVerdinoisVerga

WatteauWeichlimWimnel

Zumbini

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INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI.

Evelina Cattermole Mancini (1875)La badia fiesolanaProf. Guglielmo Cattermole (padre della contessa)Guglielmo Cattermole (fratello della contessa)Eufròsina Cattennole (da una pittura a olio fatta dal pa-

dre prof. Guglielmo nel 1848)Francesco Dall’OngaroFerdinando MartiniPasquale Stanislao ManciniLaura Beatrice Mancini OlivaGrazia Pierantoni ManciniEvelina Cattermole Mancini, sposa (5 marzo 1871)Francesco Saverio Eugenio ManciniEvelina Cattermole Mancini (1874)Esterina CattermoleIl bambino Enrico CattermoleClementina Lazzeri, madre di Esterina e Enrico Catter-

moleMario Rapisardi e la moglie Giselda FojanesiAutografo del sonetto a GiseldaGiselda Rapisardi FojanesiEvelina Cattermole Mancini

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INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI.

Evelina Cattermole Mancini (1875)La badia fiesolanaProf. Guglielmo Cattermole (padre della contessa)Guglielmo Cattermole (fratello della contessa)Eufròsina Cattennole (da una pittura a olio fatta dal pa-

dre prof. Guglielmo nel 1848)Francesco Dall’OngaroFerdinando MartiniPasquale Stanislao ManciniLaura Beatrice Mancini OlivaGrazia Pierantoni ManciniEvelina Cattermole Mancini, sposa (5 marzo 1871)Francesco Saverio Eugenio ManciniEvelina Cattermole Mancini (1874)Esterina CattermoleIl bambino Enrico CattermoleClementina Lazzeri, madre di Esterina e Enrico Catter-

moleMario Rapisardi e la moglie Giselda FojanesiAutografo del sonetto a GiseldaGiselda Rapisardi FojanesiEvelina Cattermole Mancini

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Il ventaglio giapponese di Giselda Rapisardi con la poe-sia della Contessa Lara «Mezzogiorno»

Mario ForesiGabardo GabardiEvelina Cattermole Mancini (1880)Angelo SommarugaFerdinando FontanaCesario TestaContessa Lara (1883)Contessa Isabella Gabardi RossiMario RapisardiLa levriera IsellaContessa LaraMatilde SeraoContessa LaraAutografo trovato tra le carte della Contessa Lara.Contessa Lara (1894)Contessa LaraOlga Lodi Ossani (Febea)La Contessa Lara, pupazzetto del Giornale di Sicilia del

1896Enrico CattermoleL’assassinio della Contessa Lara

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Il ventaglio giapponese di Giselda Rapisardi con la poe-sia della Contessa Lara «Mezzogiorno»

Mario ForesiGabardo GabardiEvelina Cattermole Mancini (1880)Angelo SommarugaFerdinando FontanaCesario TestaContessa Lara (1883)Contessa Isabella Gabardi RossiMario RapisardiLa levriera IsellaContessa LaraMatilde SeraoContessa LaraAutografo trovato tra le carte della Contessa Lara.Contessa Lara (1894)Contessa LaraOlga Lodi Ossani (Febea)La Contessa Lara, pupazzetto del Giornale di Sicilia del

1896Enrico CattermoleL’assassinio della Contessa Lara

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INDICE DEI CAPITOLI

PREFAZIONE

CAPITOLO PRIMOLa Badia Fiesolana. – I Cattermole. Evelina Cattermole e le sueprime liriche. – I Poniatowski. – La principessa internazionale. –La Corinna italica. – Pasquale Stanislao Mancini. – Le nozze di

Evelina.

CAPITOLO SECONDO.Vita coniugale di Evelina Cattermole. – Mancini a Milano. – Lascapigliatura. – Prime nubi. – Giuseppe Bennati di Baylon. – Lasorpresa in via Unione. – Il duello. – La morte dell’amante. – La

separazione dal marito.

CAPITOLO TERZO.Firenze. – Suor Elena. – Mario e Giselda Rapisardi. – La mortedella nonna. – Il Fieramosca. – Isabella Gabardi Rossi e Giusep-pe Giusti. – Gabardo Gabardi. – Mario Foresi. – Due poesie per

l’albo di una signora.

CAPITOLO QUARTO.Angelo Sommaruga e la Farfalla. – Carducci e la Cronaca Bi-zantina. – Pietro Sbarbaro e le Forche Caudine. – Sommaruga

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INDICE DEI CAPITOLI

PREFAZIONE

CAPITOLO PRIMOLa Badia Fiesolana. – I Cattermole. Evelina Cattermole e le sueprime liriche. – I Poniatowski. – La principessa internazionale. –La Corinna italica. – Pasquale Stanislao Mancini. – Le nozze di

Evelina.

CAPITOLO SECONDO.Vita coniugale di Evelina Cattermole. – Mancini a Milano. – Lascapigliatura. – Prime nubi. – Giuseppe Bennati di Baylon. – Lasorpresa in via Unione. – Il duello. – La morte dell’amante. – La

separazione dal marito.

CAPITOLO TERZO.Firenze. – Suor Elena. – Mario e Giselda Rapisardi. – La mortedella nonna. – Il Fieramosca. – Isabella Gabardi Rossi e Giusep-pe Giusti. – Gabardo Gabardi. – Mario Foresi. – Due poesie per

l’albo di una signora.

CAPITOLO QUARTO.Angelo Sommaruga e la Farfalla. – Carducci e la Cronaca Bi-zantina. – Pietro Sbarbaro e le Forche Caudine. – Sommaruga

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lancia la Contessa Lara col volume Versi. – Bambola di Norim-berga. – Alcuni poeti scrivono per la poetessa. – Una edizioneinedita di «Donna Clara» del D’Annunzio. – La Contessa Lara

all’isola d’Elba. – Scissura fra la poetessa e Mario Rapisardi.

CAPITOLO QUINTO.Nella redazione del Nabab. – Nuovo amore e nuova vita. – La fa-miglia degli animali. – Due lettere a Ferdinando Martini. – Lecronache nella Tribuna illustrata. – Riva Trigoso. – La clamorosa

fuga di Padlewski.

CAPITOLO SESTO.L’opera poetica della Contessa Lara. – Dall’individualismoromantico alla serietà tranquilla e operosa. – Versi. – E ancora

versi. – Nuovi versi.

CAPITOLO SETTIMO.Di nuovo sola. – Vita Italiana e De Gubernatis. – Ancora illusa edelusa. – Gli atroci tormenti. – L’ultimo idillio e il piccolorevolver. – L’insurrezione di Creta e Venizelos. – Assassinata. –La visita di Vincenzo Morello. – Febea l’amica pietosa. – La

morte.

CAPITOLO OTTAVO.Capuana e Pirandello alla casa della morta. – Quello che scrisseMatilde Serao. – Il funerale. – Manifestazioni di pietà per lagrande infelice. – Rose fiorentine. – Versi e beneficenza. – La

Sand e Teresa Guiccioli. – Il marchese di Boissy.

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lancia la Contessa Lara col volume Versi. – Bambola di Norim-berga. – Alcuni poeti scrivono per la poetessa. – Una edizioneinedita di «Donna Clara» del D’Annunzio. – La Contessa Lara

all’isola d’Elba. – Scissura fra la poetessa e Mario Rapisardi.

CAPITOLO QUINTO.Nella redazione del Nabab. – Nuovo amore e nuova vita. – La fa-miglia degli animali. – Due lettere a Ferdinando Martini. – Lecronache nella Tribuna illustrata. – Riva Trigoso. – La clamorosa

fuga di Padlewski.

CAPITOLO SESTO.L’opera poetica della Contessa Lara. – Dall’individualismoromantico alla serietà tranquilla e operosa. – Versi. – E ancora

versi. – Nuovi versi.

CAPITOLO SETTIMO.Di nuovo sola. – Vita Italiana e De Gubernatis. – Ancora illusa edelusa. – Gli atroci tormenti. – L’ultimo idillio e il piccolorevolver. – L’insurrezione di Creta e Venizelos. – Assassinata. –La visita di Vincenzo Morello. – Febea l’amica pietosa. – La

morte.

CAPITOLO OTTAVO.Capuana e Pirandello alla casa della morta. – Quello che scrisseMatilde Serao. – Il funerale. – Manifestazioni di pietà per lagrande infelice. – Rose fiorentine. – Versi e beneficenza. – La

Sand e Teresa Guiccioli. – Il marchese di Boissy.

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Page 308: La contessa Lara - Liber Liber · Lara, con quella sua vena fantastica, pensò prima, poi scrisse, e forse in certi momenti arrivò a credere davve-ro di essere nata a Cannes da madre

CAPITOLO NONO.L’eredità della Contessa Lara. – L’asta pubblica. – La fuga delnotaio. – Il processo. – Pietro Rosano e Salvatore Barzilai. –

Nella fossa comune.

Indice dei nomiIndice delle illustrazioni

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CAPITOLO NONO.L’eredità della Contessa Lara. – L’asta pubblica. – La fuga delnotaio. – Il processo. – Pietro Rosano e Salvatore Barzilai. –

Nella fossa comune.

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