L'eresia nel Medioevo - Liber Liber

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DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze
COPERTINA: n. d.
TRATTO DA: L'eresia nel Medioevo / studi di Felice Tocco. - Firenze : Sansoni, 1884. - VIII, 564 p. ; 20 cm
CODICE ISBN FONTE: n. d.
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 15 settembre 2020 2
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1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 15 settembre 2020 2
SOGGETTO: REL033000 RELIGIONE / Storia
DIGITALIZZAZIONE: Distributed proofreaders, https://www.pgdp.net/
REVISIONE: Claudio Paganelli, [email protected]
IMPAGINAZIONE: Claudio Paganelli, [email protected]
PUBBLICAZIONE: Claudio Paganelli, [email protected]
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AVVERTENZA
Messomi a studiare i rapporti tra la filosofia scolastica e la contemporanea eresia, se non ho trovato quello che a prima giunta supponevo, mi venne fatto in compenso di formarmi un'opinione ben netta sulla genesi e sul corso delle molteplici sètte eretiche. Il risultato di questi studii pubblico nel presente libro, che per conseguenza non è, nè vuol essere una storia degli eretici, e molto meno un trattato dommatico sull'eresia.
L'ho intitolato Studi sull'eresia del Medio Evo, prendendo quest'ultima parola nel senso più ristretto del periodo, in cui domina la filosofia scolastica. L'età di transizione tra la coltura antica e la nuova, in cui fiorisce la Patristica, è affatto estranea al mio compito. Avrei dovuto occuparmi delle sètte contemporanee al moto francescano, che vanno sotto il nome di Flagellanti, Apostolici, Beghini e Guglielmiti, e molti materiali avevo raccolti intorno a codesto argomento. Ma la ristrettezza dello spazio m'impedisce di trattarlo anche superficialmente, e mi riserbo di farne uno studio a parte, se i saggi, che ora pubblico, saranno benevolmente accolti, del che dubito forte. La mancanza di spazio m'impedisce altresì di pubblicare nella loro integrità alcuni testi inediti, che si riferiscono all'abate Gioacchino, all'Evangelo eterno, ed al moto francescano. Ne ho solo riportati quei frammenti, che più s'affacevano al mio scopo. Ho forse abbondato nelle note, ma non me ne pento, chè nelle ricerche storiche la mancanza assoluta o la citazione manchevole delle fonti parmi un vero danno. Del resto se al lettore piace di saltare le note, e credermi in parola, io gli sarò grato di tanta fiducia.
Firenze, marzo 1884.
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AVVERTENZA
Messomi a studiare i rapporti tra la filosofia scolastica e la contemporanea eresia, se non ho trovato quello che a prima giunta supponevo, mi venne fatto in compenso di formarmi un'opinione ben netta sulla genesi e sul corso delle molteplici sètte eretiche. Il risultato di questi studii pubblico nel presente libro, che per conseguenza non è, nè vuol essere una storia degli eretici, e molto meno un trattato dommatico sull'eresia.
L'ho intitolato Studi sull'eresia del Medio Evo, prendendo quest'ultima parola nel senso più ristretto del periodo, in cui domina la filosofia scolastica. L'età di transizione tra la coltura antica e la nuova, in cui fiorisce la Patristica, è affatto estranea al mio compito. Avrei dovuto occuparmi delle sètte contemporanee al moto francescano, che vanno sotto il nome di Flagellanti, Apostolici, Beghini e Guglielmiti, e molti materiali avevo raccolti intorno a codesto argomento. Ma la ristrettezza dello spazio m'impedisce di trattarlo anche superficialmente, e mi riserbo di farne uno studio a parte, se i saggi, che ora pubblico, saranno benevolmente accolti, del che dubito forte. La mancanza di spazio m'impedisce altresì di pubblicare nella loro integrità alcuni testi inediti, che si riferiscono all'abate Gioacchino, all'Evangelo eterno, ed al moto francescano. Ne ho solo riportati quei frammenti, che più s'affacevano al mio scopo. Ho forse abbondato nelle note, ma non me ne pento, chè nelle ricerche storiche la mancanza assoluta o la citazione manchevole delle fonti parmi un vero danno. Del resto se al lettore piace di saltare le note, e credermi in parola, io gli sarò grato di tanta fiducia.
Firenze, marzo 1884.
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INTRODUZIONE
Il Medio Evo, che a torto da amici ed avversarii fu detto l'era della concordia e della pace, ebbe a soffrire non meno dell'età nostra profondi e dolorosi travagli. Codesta unità delle menti e degli animi, produttrice secondo gli uni di opere grandiose, segno secondo gli altri di fiacchezza e torpore, fu sempre e dovunque vagheggiata, giammai conseguita. Nè ci verrà mai fatto di trovarla nei tre periodi, in cui vanno divisi i secoli che corrono da Carlo Magno a Carlo di Boemia.
I
Il primo periodo, che diremo di preparazione, è il più lungo di tutti, protendendosi dal secolo nono sino alla metà del decimosecondo. Vi primeggiano in filosofia le dispute faticose intorno agli Universali, nate da una frase dell'Isagoge Porfiriana, la quale racchiude in germe un problema sempre risoluto e sempre da risolvere. Quel che noi diciamo i generi e le specie, sono forse entità reali, anzi solo la vera realtà, o non piuttosto artifizii della mente per non smarrirsi nel laberinto della natura? Alla prima sentenza piegavano i Realisti, i Nominalisti alla seconda; ed il loro dissidio, frutto di una profonda antinomia della ragione, durava ostinato per secoli, e quando parea che fosse per comporsi, rinasceva sotto altra forma più vivace di prima. Secondo l'intuizione realistica gli individui sono effimere esistenze, le quali, a così dire, nell'istessa ora che nascono, scompaiono. Che siamo noi uomini, presi individualmente? Pulvis et umbra. Consacrati alla morte, un piccolo accidente distrugge in un punto quanti fra noi aveano redata maggior consistenza e vigore. La sola che sopravvive a tante ruine, e sfidando le ingiurie del tempo, per volger di secoli non cresce nè
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INTRODUZIONE
Il Medio Evo, che a torto da amici ed avversarii fu detto l'era della concordia e della pace, ebbe a soffrire non meno dell'età nostra profondi e dolorosi travagli. Codesta unità delle menti e degli animi, produttrice secondo gli uni di opere grandiose, segno secondo gli altri di fiacchezza e torpore, fu sempre e dovunque vagheggiata, giammai conseguita. Nè ci verrà mai fatto di trovarla nei tre periodi, in cui vanno divisi i secoli che corrono da Carlo Magno a Carlo di Boemia.
I
Il primo periodo, che diremo di preparazione, è il più lungo di tutti, protendendosi dal secolo nono sino alla metà del decimosecondo. Vi primeggiano in filosofia le dispute faticose intorno agli Universali, nate da una frase dell'Isagoge Porfiriana, la quale racchiude in germe un problema sempre risoluto e sempre da risolvere. Quel che noi diciamo i generi e le specie, sono forse entità reali, anzi solo la vera realtà, o non piuttosto artifizii della mente per non smarrirsi nel laberinto della natura? Alla prima sentenza piegavano i Realisti, i Nominalisti alla seconda; ed il loro dissidio, frutto di una profonda antinomia della ragione, durava ostinato per secoli, e quando parea che fosse per comporsi, rinasceva sotto altra forma più vivace di prima. Secondo l'intuizione realistica gli individui sono effimere esistenze, le quali, a così dire, nell'istessa ora che nascono, scompaiono. Che siamo noi uomini, presi individualmente? Pulvis et umbra. Consacrati alla morte, un piccolo accidente distrugge in un punto quanti fra noi aveano redata maggior consistenza e vigore. La sola che sopravvive a tante ruine, e sfidando le ingiurie del tempo, per volger di secoli non cresce nè
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scema, è quel che v'ha di universale in noi, l'umanità. E lo stesso che diciamo degli uomini, possiamo ripetere degli esseri tutti. Chè anzi a quel modo che gl'individui umani sono frammenti dell'umanità, questa è una piccola parte di un essere più sterminato di lei, l'animale. E l'animale a sua volta è frazione del vivente, ed il vivente è anch'esso forma fugace di un Essere immenso che è tutte cose, ma nessuna in particolare. Questo solo è ciò che permane immutato, è l'ordito su cui s'intesse la variopinta trama della natura, è l'Oceano che serba costante il volume delle acque, benchè sull'immensa superficie s'avvicendino i flutti rumorosi. Questi arditi concetti sono adombrati nel De divisione naturae di Giovanni Scoto Erigena.1
Così nella prima metà del nono secolo quella Filosofia, che si dice serva del domma, prende le mosse da un libro, il quale parecchi secoli dopo (nel 1225) da Papa Onorio III verrà condannato alle fiamme.2
1 Giovanni Scoto Erigena nacque in Irlanda (Scotia major) sul cominciare del secolo nono. Carlo il Calvo non molto dopo il suo innalzamento al trono (843) lo chiamò a dirigere la scuola palatina, e più tardi gli commise di tradurre dal greco le opere del pseudo Dionigi l'Areopagita. Indarno il papa Niccolò I si dolse che questa traduzione fosse pubblicata prima di venire sottoposta alla censura. Scoto morì in Francia intorno all'anno 877. Secondo l'Hauréau la fine tragica in Inghilterra attribuitagli dagli storici è una favola nata dallo scambio di due omonimi. 2 Le immagini adoperate da Scoto sono tutte improntate all'emanatismo neoplatonico. De divis. nat., IV, 5: pag. 311 Est autem generalissima quaedam et communis omnium natura, ab uno omnium principio creata; ex qua veluti amplissimo fonte per poros occultos corporales creaturae velut quidam rivuli derivantur, et in diversas formas singularum rerum eructant. Nè crediate che questa communis natura sia una cosa diversa dal principium. Basterebbero tra mille questi due passi a mostrarne l'identità, III, 23: pag. 249 Creatur enim a se ipsa in primordialibus causis, ac per hoc se ipsam creat, hoc est in suis theophaniis incipit apparere, ex occultissimis naturae suae sinibus volens emergere III, 17: pag. 238 Proinde non duo a se ipsis distantia debemus intelligere Dominum et creaturam, sed unum et id ipsum. Nam et creatura in Deo est subsistens, et Deus in creatura mirabili et ineffabili modo creatur.... omnia creans in omnibus creatum, et omnium factor factum in omnibus. Scoto Erigena è il primo rappresentante di quell'indirizzo filosofico, che attribuisce
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scema, è quel che v'ha di universale in noi, l'umanità. E lo stesso che diciamo degli uomini, possiamo ripetere degli esseri tutti. Chè anzi a quel modo che gl'individui umani sono frammenti dell'umanità, questa è una piccola parte di un essere più sterminato di lei, l'animale. E l'animale a sua volta è frazione del vivente, ed il vivente è anch'esso forma fugace di un Essere immenso che è tutte cose, ma nessuna in particolare. Questo solo è ciò che permane immutato, è l'ordito su cui s'intesse la variopinta trama della natura, è l'Oceano che serba costante il volume delle acque, benchè sull'immensa superficie s'avvicendino i flutti rumorosi. Questi arditi concetti sono adombrati nel De divisione naturae di Giovanni Scoto Erigena.1
Così nella prima metà del nono secolo quella Filosofia, che si dice serva del domma, prende le mosse da un libro, il quale parecchi secoli dopo (nel 1225) da Papa Onorio III verrà condannato alle fiamme.2
1 Giovanni Scoto Erigena nacque in Irlanda (Scotia major) sul cominciare del secolo nono. Carlo il Calvo non molto dopo il suo innalzamento al trono (843) lo chiamò a dirigere la scuola palatina, e più tardi gli commise di tradurre dal greco le opere del pseudo Dionigi l'Areopagita. Indarno il papa Niccolò I si dolse che questa traduzione fosse pubblicata prima di venire sottoposta alla censura. Scoto morì in Francia intorno all'anno 877. Secondo l'Hauréau la fine tragica in Inghilterra attribuitagli dagli storici è una favola nata dallo scambio di due omonimi. 2 Le immagini adoperate da Scoto sono tutte improntate all'emanatismo neoplatonico. De divis. nat., IV, 5: pag. 311 Est autem generalissima quaedam et communis omnium natura, ab uno omnium principio creata; ex qua veluti amplissimo fonte per poros occultos corporales creaturae velut quidam rivuli derivantur, et in diversas formas singularum rerum eructant. Nè crediate che questa communis natura sia una cosa diversa dal principium. Basterebbero tra mille questi due passi a mostrarne l'identità, III, 23: pag. 249 Creatur enim a se ipsa in primordialibus causis, ac per hoc se ipsam creat, hoc est in suis theophaniis incipit apparere, ex occultissimis naturae suae sinibus volens emergere III, 17: pag. 238 Proinde non duo a se ipsis distantia debemus intelligere Dominum et creaturam, sed unum et id ipsum. Nam et creatura in Deo est subsistens, et Deus in creatura mirabili et ineffabili modo creatur.... omnia creans in omnibus creatum, et omnium factor factum in omnibus. Scoto Erigena è il primo rappresentante di quell'indirizzo filosofico, che attribuisce
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Nè men libera ed ardita è la scuola opposta dei Nominalisti. Il concetto dal quale partivano Roscellino e i suoi seguaci, affatto discorde da quello dei Realisti, è il seguente: la sostanza prima è l'Individuo; gli universali sono astrazioni che la nostra mente forma togliendo ed isolando ciò che han di comune gl'individui, e lungi dall'essere la vera realtà, non hanno maggior consistenza del suono che li esprime.3 Se il Realismo menava dritto al concetto di sostanza unica, di cui gl'individui son gli accidenti, il nominalismo in quella vece di conseguenza in conseguenza riescir doveva alla dottrina dell'originalità degli individui, o in altre parole all'atomismo.4 Tali erano i due indirizzi della speculazione di quel tempo, i quali, mutati nomi e fattezze, si una realtà a sè ai concetti universali. Ac per hoc intelligitur quod ars illa, quae dividit genera in species, et species in genera resolvit, non ab humanis machinationibus sit facta, sed in natura rerum ab auctore omnium artium, quae vero artes sunt, condita. De divis. nat., IV, 4, pag. 310. Cito l'ediz. del 1838 pubblicata in Münster. 3 ANSELM. De fide Trinit., cap. 2. Illi utique nostri temporis dialectici imo dialectice haeretici, qui non nisi flatum vocis putant esse universales substantias. Non metto in dubbio che l'espressione flatus vocis sia stata usata da Roscellino, il quale nella disputa contro i Realisti ebbe i suoi buoni motivi di opporre ad un'affermazione assoluta un'assoluta negazione. Dal che non segue però che si debba intendere alla lettera questa espressione polemica, come se Roscellino tenga gli universali per puri nomi, ai quali non corrisponda neanche un concetto. 4 ABELARDO nel trattato De Divis. et definit. (Ouv. inéd. d'Abélard, pars V. Cousin, 1836, p. 471). Fuit autem, memini, magistri nostri Roscellini tam insana sententia, ut nullam rem partibus constare vellet sed sicut solis vocibus species, ita et partes adscribebat. In altre parole la scomposizione del tutto nelle sue parti (quando la totalità è organica), è un processo puramente intellettivo. In realtà non si può staccare una parte dall'altra senza distruggere la parte stessa, come ad esempio un membro divelto dall'organismo non è più cosa vivente, ma materia inerte. Ma se si considera la cosa più da vicino, il vero nominalista non può ammettere questa forza misteriosa, che conferisce alle parti un nuovo valore, e le trasforma in membra vive di una totalità ideale. Il vero indivisibile per il nominalista non è dunque il tutto, ma ciò che non ha parti di sorta. Questo è lo schietto individuo, ente semplice, che resta sempre eguale a sè medesimo, benchè la mente nostra guardandolo da varî aspetti, possa artificiosamente dividerlo in altrettante porzioni.
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Nè men libera ed ardita è la scuola opposta dei Nominalisti. Il concetto dal quale partivano Roscellino e i suoi seguaci, affatto discorde da quello dei Realisti, è il seguente: la sostanza prima è l'Individuo; gli universali sono astrazioni che la nostra mente forma togliendo ed isolando ciò che han di comune gl'individui, e lungi dall'essere la vera realtà, non hanno maggior consistenza del suono che li esprime.3 Se il Realismo menava dritto al concetto di sostanza unica, di cui gl'individui son gli accidenti, il nominalismo in quella vece di conseguenza in conseguenza riescir doveva alla dottrina dell'originalità degli individui, o in altre parole all'atomismo.4 Tali erano i due indirizzi della speculazione di quel tempo, i quali, mutati nomi e fattezze, si una realtà a sè ai concetti universali. Ac per hoc intelligitur quod ars illa, quae dividit genera in species, et species in genera resolvit, non ab humanis machinationibus sit facta, sed in natura rerum ab auctore omnium artium, quae vero artes sunt, condita. De divis. nat., IV, 4, pag. 310. Cito l'ediz. del 1838 pubblicata in Münster. 3 ANSELM. De fide Trinit., cap. 2. Illi utique nostri temporis dialectici imo dialectice haeretici, qui non nisi flatum vocis putant esse universales substantias. Non metto in dubbio che l'espressione flatus vocis sia stata usata da Roscellino, il quale nella disputa contro i Realisti ebbe i suoi buoni motivi di opporre ad un'affermazione assoluta un'assoluta negazione. Dal che non segue però che si debba intendere alla lettera questa espressione polemica, come se Roscellino tenga gli universali per puri nomi, ai quali non corrisponda neanche un concetto. 4 ABELARDO nel trattato De Divis. et definit. (Ouv. inéd. d'Abélard, pars V. Cousin, 1836, p. 471). Fuit autem, memini, magistri nostri Roscellini tam insana sententia, ut nullam rem partibus constare vellet sed sicut solis vocibus species, ita et partes adscribebat. In altre parole la scomposizione del tutto nelle sue parti (quando la totalità è organica), è un processo puramente intellettivo. In realtà non si può staccare una parte dall'altra senza distruggere la parte stessa, come ad esempio un membro divelto dall'organismo non è più cosa vivente, ma materia inerte. Ma se si considera la cosa più da vicino, il vero nominalista non può ammettere questa forza misteriosa, che conferisce alle parti un nuovo valore, e le trasforma in membra vive di una totalità ideale. Il vero indivisibile per il nominalista non è dunque il tutto, ma ciò che non ha parti di sorta. Questo è lo schietto individuo, ente semplice, che resta sempre eguale a sè medesimo, benchè la mente nostra guardandolo da varî aspetti, possa artificiosamente dividerlo in altrettante porzioni.
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sono conservati sino ai nostri giorni. Ma e l'uno e l'altro sistema eran guardati con sospetto dagli ortodossi, cui non isfuggì che sotto l'apparenza dell'accordo si nascondesse un grave dissidio tra la Fede e la Filosofia. Ben fu tentata una via di mezzo tra i due opposti estremi, la quale sembrava s'accordasse meglio colla tradizione; ma il tentativo non ostante la pietà e l'ingegno di Anselmo di Aosta fallì; nè a torto gli scolastici posteriori ebbero a temere che l'idealismo dell'arcivescovo di Canterbury non fosse meno avventuroso degli altri sistemi, nè sapesse tenersi egualmente lontano dal misticismo degli uni e dal razionalismo degli altri.5 E questi erano infatti gli scogli, nei quali rompeva la 5 S. Tommaso nella Summa Theolog. I, Quaest. II, art. 1, ricorda evidentemente il celebre argomento di S. Anselmo: Sed intellecto quid significet hoc nomen Deus, statim habetur quod Deus est. Significatur enim hoc nomine id quo majus significari non potest: majus autem est quod est in re et in intellectu, quam quod est in intellectu tantum: unde cum intellecto hoc nomine Deus, statim sit in intellectu, sequitur etiam quod sit in re. E lo combatte in questo modo: forte ille qui audit hoc nomen Deus non intelliget significari aliquid, quo majus cogitari non possit, cum quidam crediderint Deum esse corpus. Dato etiam quod quilibet intelligat hoc nomine Deus significari hoc quod dicitur, scilicet illud quo majus cogitari non potest, non tamen propter hoc sequitur quod intelligat id quod significatur per nomen, esse in rerum natura sed in apprehensione intellectus tantum. All'Aquinate non isfuggirono certo i pericoli dell'identificazione del reale coll'ideale, e di quel semirazionalismo che ne era la conseguenza, ed il meglio che potesse vi si oppose. Valga ad esempio il confronto delle due interpretazioni del domma della Trinità. S. Anselmo nel Monol. cap. 47, scrive: At si ipsa substantia Patris est intelligentia, et scientia, et sapientia et veritas, consequenter colligitur quia sicut Filius est intelligentia et scientia et sapientia et veritas paternae substantiae, ita est intelligentia intelligentiae, scientia scientiae. Cap. 49: Quam enim absurde negetur summus spiritus se amare sicut sui memor est, et se intelliget!.... otiosa namque et penitus inutilis est memoria et intelligentia cujuslibet rei, nisi prout ratio exigit, res ipsa ametur vel reprobetur. La qual dottrina mena a questo risultato, che non solo l'essenza, ma anche le funzioni delle tre persone sono identiche; onde se è salva l'unità di natura, corre pericolo la trina distinzione, o per parlare il linguaggio di S. Tommaso: Sed secundum Anselmum sicut Pater est intelligens et Filius est intelligens, et Spiritus Sanctus est intelligens; ita Pater est dicens, Filius est dicens, et Spiritus Sanctus est dicens, et similiter quilibet eorum dicitur. Ergo nomen
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sono conservati sino ai nostri giorni. Ma e l'uno e l'altro sistema eran guardati con sospetto dagli ortodossi, cui non isfuggì che sotto l'apparenza dell'accordo si nascondesse un grave dissidio tra la Fede e la Filosofia. Ben fu tentata una via di mezzo tra i due opposti estremi, la quale sembrava s'accordasse meglio colla tradizione; ma il tentativo non ostante la pietà e l'ingegno di Anselmo di Aosta fallì; nè a torto gli scolastici posteriori ebbero a temere che l'idealismo dell'arcivescovo di Canterbury non fosse meno avventuroso degli altri sistemi, nè sapesse tenersi egualmente lontano dal misticismo degli uni e dal razionalismo degli altri.5 E questi erano infatti gli scogli, nei quali rompeva la 5 S. Tommaso nella Summa Theolog. I, Quaest. II, art. 1, ricorda evidentemente il celebre argomento di S. Anselmo: Sed intellecto quid significet hoc nomen Deus, statim habetur quod Deus est. Significatur enim hoc nomine id quo majus significari non potest: majus autem est quod est in re et in intellectu, quam quod est in intellectu tantum: unde cum intellecto hoc nomine Deus, statim sit in intellectu, sequitur etiam quod sit in re. E lo combatte in questo modo: forte ille qui audit hoc nomen Deus non intelliget significari aliquid, quo majus cogitari non possit, cum quidam crediderint Deum esse corpus. Dato etiam quod quilibet intelligat hoc nomine Deus significari hoc quod dicitur, scilicet illud quo majus cogitari non potest, non tamen propter hoc sequitur quod intelligat id quod significatur per nomen, esse in rerum natura sed in apprehensione intellectus tantum. All'Aquinate non isfuggirono certo i pericoli dell'identificazione del reale coll'ideale, e di quel semirazionalismo che ne era la conseguenza, ed il meglio che potesse vi si oppose. Valga ad esempio il confronto delle due interpretazioni del domma della Trinità. S. Anselmo nel Monol. cap. 47, scrive: At si ipsa substantia Patris est intelligentia, et scientia, et sapientia et veritas, consequenter colligitur quia sicut Filius est intelligentia et scientia et sapientia et veritas paternae substantiae, ita est intelligentia intelligentiae, scientia scientiae. Cap. 49: Quam enim absurde negetur summus spiritus se amare sicut sui memor est, et se intelliget!.... otiosa namque et penitus inutilis est memoria et intelligentia cujuslibet rei, nisi prout ratio exigit, res ipsa ametur vel reprobetur. La qual dottrina mena a questo risultato, che non solo l'essenza, ma anche le funzioni delle tre persone sono identiche; onde se è salva l'unità di natura, corre pericolo la trina distinzione, o per parlare il linguaggio di S. Tommaso: Sed secundum Anselmum sicut Pater est intelligens et Filius est intelligens, et Spiritus Sanctus est intelligens; ita Pater est dicens, Filius est dicens, et Spiritus Sanctus est dicens, et similiter quilibet eorum dicitur. Ergo nomen
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speculazione di quel tempo, in cui i filosofi, non usi ancora a infingersi, come fu stile dei secoli posteriori, traevano dai loro principii, saldi argomenti a trasformare i dommi e le dottrine tradizionali.
Così i Realisti, al cui misticismo nessun mistero ripugnava, tra le nebbie della credenza popolare s'argomentavano di scoprire le proprie teorie. E restaurando il vecchio metodo dell'interpetrazione allegorica, già tanto usato ed abusato dai gnostici, nel domma della trinità videro simboleggiato un ciclo cosmogonico, e nella redenzione l'eterna durata dell'effetto garentita dal perenne intervento della causa.6 Ed anche i nominalisti alla lor volta, benchè non spiccassero voli così alti e ben lontani si tenessero dal nebuloso speculare degli avversarî, non cessavano per tanto dallo studiare i dommi religiosi, nè meno uso facevano dell'interpetrazione allegorica. Le loro spiegazioni, non elaborate certo nel grande stile dei realisti, eran più piane e sarei per dire volgari, ma meglio confacenti secondo loro a far luce piena dove più s'addensava l'ombra del mistero.
Verbi essentialiter dicitur in divinis et non personaliter. Il che non è vero, perchè sicut Verbum non est commune Patri et Filio et Spiritui Sancto ita non est verum quod Pater et Filius et Spiritus Sanctus sint unus dicens (S. T., I, quaest. XXXIV, art. 1). Questa risposta mostra il metodo di S. Tommaso, che è tutto fondato sull'autorità. Se nei libri canonici è scritto il Verbo non esser comune al Padre ed allo Spirito, la relazione, che viene rappresentata dal Verbo, non può attribuirsi alle altre persone. E qualunque sieno i bisogni della Ragione debbono tacere innanzi alla sacra testimonianza, la quale sola ci può dar contezza dei misteri divini. Per rationem igitur naturalem cognosci possunt de Deo ea quae pertinent ad unitatem essentiae, non autem ea quae pertinent ad distinctionem personarum (Ivi, qu. XXXII, art. 1). 6 SCOTO ERIG., De divis. nat., II, 22, pag. 124. Patri dat (Theologia) omnia facere, Verbo dat omnes.... primordiales rerum causas aeternaliter fieri: Spiritui dat ipsas primordiales causas in Verbo factas in effectus suos foecundatas distribuere. V, 25, pag. 479. Ac si aperte diceret: Si Dei sapientia in effectus causarum, quae in ea aeternaliter vivunt, non descenderet, causarum ratio periret; pereuntibus enim causarum effectibus nulla causa remaneret, sicuti pereuntibus causis nulli remanerent effectus.
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speculazione di quel tempo, in cui i filosofi, non usi ancora a infingersi, come fu stile dei secoli posteriori, traevano dai loro principii, saldi argomenti a trasformare i dommi e le dottrine tradizionali.
Così i Realisti, al cui misticismo nessun mistero ripugnava, tra le nebbie della credenza popolare s'argomentavano di scoprire le proprie teorie. E restaurando il vecchio metodo dell'interpetrazione allegorica, già tanto usato ed abusato dai gnostici, nel domma della trinità videro simboleggiato un ciclo cosmogonico, e nella redenzione l'eterna durata dell'effetto garentita dal perenne intervento della causa.6 Ed anche i nominalisti alla lor volta, benchè non spiccassero voli così alti e ben lontani si tenessero dal nebuloso speculare degli avversarî, non cessavano per tanto dallo studiare i dommi religiosi, nè meno uso facevano dell'interpetrazione allegorica. Le loro spiegazioni, non elaborate certo nel grande stile dei realisti, eran più piane e sarei per dire volgari, ma meglio confacenti secondo loro a far luce piena dove più s'addensava l'ombra del mistero.
Verbi essentialiter dicitur in divinis et non personaliter. Il che non è vero, perchè sicut Verbum non est commune Patri et Filio et Spiritui Sancto ita non est verum quod Pater et Filius et Spiritus Sanctus sint unus dicens (S. T., I, quaest. XXXIV, art. 1). Questa risposta mostra il metodo di S. Tommaso, che è tutto fondato sull'autorità. Se nei libri canonici è scritto il Verbo non esser comune al Padre ed allo Spirito, la relazione, che viene rappresentata dal Verbo, non può attribuirsi alle altre persone. E qualunque sieno i bisogni della Ragione debbono tacere innanzi alla sacra testimonianza, la quale sola ci può dar contezza dei misteri divini. Per rationem igitur naturalem cognosci possunt de Deo ea quae pertinent ad unitatem essentiae, non autem ea quae pertinent ad distinctionem personarum (Ivi, qu. XXXII, art. 1). 6 SCOTO ERIG., De divis. nat., II, 22, pag. 124. Patri dat (Theologia) omnia facere, Verbo dat omnes.... primordiales rerum causas aeternaliter fieri: Spiritui dat ipsas primordiales causas in Verbo factas in effectus suos foecundatas distribuere. V, 25, pag. 479. Ac si aperte diceret: Si Dei sapientia in effectus causarum, quae in ea aeternaliter vivunt, non descenderet, causarum ratio periret; pereuntibus enim causarum effectibus nulla causa remaneret, sicuti pereuntibus causis nulli remanerent effectus.
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La setta nominalistica o concettualistica7 che dir si voglia fu per tal guisa l'iniziatrice del razionalismo, ed il suo più illustre rappresentante, l'infelice Abelardo, ragionatore instancabile e strenuo propugnatore dei diritti del libero pensiero, cadde vittima della sua dialettica. Odiosum me mundo reddidit Logica.8 Per ben due volte ei fu tradotto davanti a Sinodi provinciali sotto l'accusa di eresia. La prima nel 1121 in quella stessa città di Soissons, dove pochi anni innanzi era stato condannato Roscellino per sospetto di triteismo;9 la seconda nel 1140 a Sens, dove egli
7 Molti scrittori distinguono il nominalismo di Roscellino dal concettualismo di Abelardo riferendosi al noto passo di Giovanni Saresberiense (Metalogicus, II, 17, pag. 814, Amstelaedami 1664) alius sermones intuetur et ad illos detorquet quicquid alicubi meminit scriptum; in hac autem opinione deprehensus est Peripateticus Palatinus, Abaelardus noster. La testimonianza di Giovanni (nato a Salisbury intorno al 1110 o 20, morto vescovo di Chartres nel 1180) è molto importante, comecchè ei fusse discepolo di Abelardo tra il 1136 e il 1148, e degli scrittori di quell'età l'unico che studiasse di giudicare spassionatamente le opposte scuole, senza abbracciarne alcuna. È da supporre adunque che una differenza interceda tra il nominalismo di Roscellino e il concettualismo di Abelardo. Il primo per opporsi bruscamente ai realisti disse gli universali pure voci, senza ricercare nè se a questi nomi corrispondano concetti determinati, nè se questi concetti sieno formati dalla nostra mente in un modo arbitrario ovvero necessariamente. Abelardo definì meglio la dottrina nominalistica riempiendo questi vuoti. Gli universali ut sic non sono entità reali, bensì concetti che il nostro intelletto non può a meno di formare sulla scorta dei reali rapporti di somiglianza ed affinità tra i varî esseri della natura. 8 Vedi la commovente confessione ad Eloisa che comincia: Heloisa quondam mihi in seculo cara, nunc in Christo carissima. (Opp., ed. Cousin, I, 680). 9 Roscellino, non ammettendo altre realtà dagli individui in fuori, dovea profondamente modificare il senso tradizionale del domma della Trinità. E gli erano aperte due vie. O far ritorno al monoteismo ebraico, tenendo la distinzione delle persone per un fatto subbiettivo nato dalla necessità in cui si trova l'intelletto nostro di guardare da tre aspetti diversi ciò che pure è uno in sè; ovvero fare delle persone tre individui distinti, la cui unità, puramente nominale, stia nella conformità perfetta dei pensieri e voleri. Quest'ultimo partito sceglie Roscellino, come ne attesta Sant'Anselmo De fide Trin. c. 3. Tres personae sunt tres res sicut tres angeli aut tres animae, ita animae, ut voluntas et potentia omnino sint idem. L'eresia dunque di Roscellino è il Triteismo di Giovanni Filopono non certo il Monarchianismo di Sabellio.
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La setta nominalistica o concettualistica7 che dir si voglia fu per tal guisa l'iniziatrice del razionalismo, ed il suo più illustre rappresentante, l'infelice Abelardo, ragionatore instancabile e strenuo propugnatore dei diritti del libero pensiero, cadde vittima della sua dialettica. Odiosum me mundo reddidit Logica.8 Per ben due volte ei fu tradotto davanti a Sinodi provinciali sotto l'accusa di eresia. La prima nel 1121 in quella stessa città di Soissons, dove pochi anni innanzi era stato condannato Roscellino per sospetto di triteismo;9 la seconda nel 1140 a Sens, dove egli
7 Molti scrittori distinguono il nominalismo di Roscellino dal concettualismo di Abelardo riferendosi al noto passo di Giovanni Saresberiense (Metalogicus, II, 17, pag. 814, Amstelaedami 1664) alius sermones intuetur et ad illos detorquet quicquid alicubi meminit scriptum; in hac autem opinione deprehensus est Peripateticus Palatinus, Abaelardus noster. La testimonianza di Giovanni (nato a Salisbury intorno al 1110 o 20, morto vescovo di Chartres nel 1180) è molto importante, comecchè ei fusse discepolo di Abelardo tra il 1136 e il 1148, e degli scrittori di quell'età l'unico che studiasse di giudicare spassionatamente le opposte scuole, senza abbracciarne alcuna. È da supporre adunque che una differenza interceda tra il nominalismo di Roscellino e il concettualismo di Abelardo. Il primo per opporsi bruscamente ai realisti disse gli universali pure voci, senza ricercare nè se a questi nomi corrispondano concetti determinati, nè se questi concetti sieno formati dalla nostra mente in un modo arbitrario ovvero necessariamente. Abelardo definì meglio la dottrina nominalistica riempiendo questi vuoti. Gli universali ut sic non sono entità reali, bensì concetti che il nostro intelletto non può a meno di formare sulla scorta dei reali rapporti di somiglianza ed affinità tra i varî esseri della natura. 8 Vedi la commovente confessione ad Eloisa che comincia: Heloisa quondam mihi in seculo cara, nunc in Christo carissima. (Opp., ed. Cousin, I, 680). 9 Roscellino, non ammettendo altre realtà dagli individui in fuori, dovea profondamente modificare il senso tradizionale del domma della Trinità. E gli erano aperte due vie. O far ritorno al monoteismo ebraico, tenendo la distinzione delle persone per un fatto subbiettivo nato dalla necessità in cui si trova l'intelletto nostro di guardare da tre aspetti diversi ciò che pure è uno in sè; ovvero fare delle persone tre individui distinti, la cui unità, puramente nominale, stia nella conformità perfetta dei pensieri e voleri. Quest'ultimo partito sceglie Roscellino, come ne attesta Sant'Anselmo De fide Trin. c. 3. Tres personae sunt tres res sicut tres angeli aut tres animae, ita animae, ut voluntas et potentia omnino sint idem. L'eresia dunque di Roscellino è il Triteismo di Giovanni Filopono non certo il Monarchianismo di Sabellio.
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sperava battere colle armi delle sue implacabili argomentazioni l'accusatore suo S. Bernardo. Ma nè l'una volta nè l'altra gli arrise la fortuna; chè a Soissons fu condannato a bruciare colle sue proprie mani l'Introductio ad Theologiam, e come se ciò non bastasse fu chiuso in espiazione dei suoi falli nel convento di S. Medard. A Sens poi gli sarebbe capitato anche peggio, se l'accorto filosofo, presentito l'imperversar della bufera, non se ne fosse appellato al Pontefice. E ventura per lui che, mancategli le forze lungo il viaggio alla volta di Roma, riparasse nell'abbazia di Cluny, ove fu accolto affettuosamente da Pietro il venerabile, miracolo ed esempio di vera carità cristiana. Se fosse proceduto oltre, non avrebbe trovata eguale accoglienza nel Papa Innocenzo II, il quale non poteva al certo darla vinta al filosofo palatino contro quello stesso S. Bernardo, alla cui opera egli doveva in parte il trionfo riportato sul rivale Anacleto.10 E d'altro lato come mai quel Pontefice, che l'anno innanzi avea imposto silenzio all'audace Arnaldo da Brescia, avrebbe ora dubitato di condannare il maestro e la guida dell'abborrito novatore? Non eran forse questi due uomini stretti siffattamente in un pensiero, che agli occhi del chiaravallese l'uno paresse il gigante Golia, e l'altro il fido scudiero? E per fermo lo stesso ardore di libertà scaldava i loro petti. Entrambi volevano la riforma della Chiesa, l'uno spogliandola dei mal tolti beni temporali, cagion prima di scandali e corruzioni; l'altro sciogliendola da quelle pastoie dommatiche che impedivano la libera espansione del sentimento religioso.
Ed entrambi sono specchio fedele di quell'età turbinosa, in cui infranti nella lotta delle riforme e delle investiture i vincoli
10 S. Bernardo nella lettera a Innocenzo II (Ep. 330) chiama Abelardo Pier Dragone per metterlo a paro con Pierleone, l'antipapa Anacleto. Evasimus rugitum Petri Leonis, sedem Simonis Petri occupantem; sed Petrum Draconem incurrimus, fidem Simonis Petri impugnantem. Gioco di parole, che delicatamente ricordava al Papa i servigi prestati al tempo dello scisma. V. lett. 189. Leonem evasimus sed incidimus in draconem, qui non minus forsan nocet in insidiis quam ille rugiens de excelso.
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sperava battere colle armi delle sue implacabili argomentazioni l'accusatore suo S. Bernardo. Ma nè l'una volta nè l'altra gli arrise la fortuna; chè a Soissons fu condannato a bruciare colle sue proprie mani l'Introductio ad Theologiam, e come se ciò non bastasse fu chiuso in espiazione dei suoi falli nel convento di S. Medard. A Sens poi gli sarebbe capitato anche peggio, se l'accorto filosofo, presentito l'imperversar della bufera, non se ne fosse appellato al Pontefice. E ventura per lui che, mancategli le forze lungo il viaggio alla volta di Roma, riparasse nell'abbazia di Cluny, ove fu accolto affettuosamente da Pietro il venerabile, miracolo ed esempio di vera carità cristiana. Se fosse proceduto oltre, non avrebbe trovata eguale accoglienza nel Papa Innocenzo II, il quale non poteva al certo darla vinta al filosofo palatino contro quello stesso S. Bernardo, alla cui opera egli doveva in parte il trionfo riportato sul rivale Anacleto.10 E d'altro lato come mai quel Pontefice, che l'anno innanzi avea imposto silenzio all'audace Arnaldo da Brescia, avrebbe ora dubitato di condannare il maestro e la guida dell'abborrito novatore? Non eran forse questi due uomini stretti siffattamente in un pensiero, che agli occhi del chiaravallese l'uno paresse il gigante Golia, e l'altro il fido scudiero? E per fermo lo stesso ardore di libertà scaldava i loro petti. Entrambi volevano la riforma della Chiesa, l'uno spogliandola dei mal tolti beni temporali, cagion prima di scandali e corruzioni; l'altro sciogliendola da quelle pastoie dommatiche che impedivano la libera espansione del sentimento religioso.
Ed entrambi sono specchio fedele di quell'età turbinosa, in cui infranti nella lotta delle riforme e delle investiture i vincoli
10 S. Bernardo nella lettera a Innocenzo II (Ep. 330) chiama Abelardo Pier Dragone per metterlo a paro con Pierleone, l'antipapa Anacleto. Evasimus rugitum Petri Leonis, sedem Simonis Petri occupantem; sed Petrum Draconem incurrimus, fidem Simonis Petri impugnantem. Gioco di parole, che delicatamente ricordava al Papa i servigi prestati al tempo dello scisma. V. lett. 189. Leonem evasimus sed incidimus in draconem, qui non minus forsan nocet in insidiis quam ille rugiens de excelso.
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dell'antica disciplina, il prestigio della tradizione vien meno, e Papi combattono contro Papi, come nello scisma di Cadalò, di Guiberto, di Anacleto; vescovi contro Papi, Imperatori contro questi e quelli; nulla di saldo e durevole; ed oggi si proclama campione della Chiesa chi domani vien condannato da eretico e fellone. Si comprende di leggieri come in queste lotte incessanti crescesse e si dilatasse lo spirito critico, e quale potere esercitasse sulle giovani menti uno ingegno così acuto come quello di Abelardo, che mise lo scompiglio nella teologia autoritaria colle famose antinomie del sic et non. La sua parola affascinava, la sua dialettica stringeva, e quando si ritrasse nel romitaggio del Paracleto, i discepoli accorrevano a torme alle sue lezioni, contenti di vivere in miserabili capanne, non curanti dello scarso nutrimento, che il deserto luogo concedeva. Confortato da queste prove di affetto, nè fiaccato dalle persecuzioni patite, l'intrepido maestro continuava a battere in breccia illum fidei fervorem, qui ea quae dicantur antequam intelligat, credit, et prius his assentii ac recipit quam quae ipsa sint videat, et an recipienda sint.11 Era naturale che questa critica assottigliasse fuor di misura i dommi tradizionali, e riuscisse alle interpetrazioni razionalistiche di un pallido deismo. Le tre persone, ad esempio, sono tre nomi con cui è descritta diligentemente la perfezione del sommo Bene;12 la 11 Introd. ad Theolog., Opp., ed. Cousin, Parigi 1859, II, pag. 78. Nec quia Deus id dixerat creditur, sed quia hoc sic esse convincitur, recipitur.... At nunquam, si fidei nostrae primordia statim meritum non habent, ideo ipsa prorsus inutilis est judicanda, quam postmodum charitas subsecuta obtinet, quod illi defuerat.... Nec quod levitate geritur, stabilitate firmabitur. Unde et in Ecclesiastico scriptum est: Qui cito credit levis est corde et minorabitur. 12 Op. cit., pag. 12 Videtur autem nobis suprapositis trium personarum nominibus summi boni perfectio diligentur esse descripta.... Patris quippe nomini divinae magistratis potentia designatur, qua videlicet quidquid velit efficere possit.... Filii vero Verbi appellatone sapientia Dei significatur quia scilicet cuncta discernere valeat, ut in nullo penitus decipi queat. At vero Spiritus Sancti vocabulo ipsa ejus charitas seu benignitas exprimitur, qua videlicet optime cuncta vult fieri seu disponi. Lo Spirito Santo non vuol dire un rapporto di Dio a sè medesimo, ma ad altro. Introd. pag. 101: Procedere quod est Deum se per caritatem ad alternum extendere. Quodammodo enim
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dell'antica disciplina, il prestigio della tradizione vien meno, e Papi combattono contro Papi, come nello scisma di Cadalò, di Guiberto, di Anacleto; vescovi contro Papi, Imperatori contro questi e quelli; nulla di saldo e durevole; ed oggi si proclama campione della Chiesa chi domani vien condannato da eretico e fellone. Si comprende di leggieri come in queste lotte incessanti crescesse e si dilatasse lo spirito critico, e quale potere esercitasse sulle giovani menti uno ingegno così acuto come quello di Abelardo, che mise lo scompiglio nella teologia autoritaria colle famose antinomie del sic et non. La sua parola affascinava, la sua dialettica stringeva, e quando si ritrasse nel romitaggio del Paracleto, i discepoli accorrevano a torme alle sue lezioni, contenti di vivere in miserabili capanne, non curanti dello scarso nutrimento, che il deserto luogo concedeva. Confortato da queste prove di affetto, nè fiaccato dalle persecuzioni patite, l'intrepido maestro continuava a battere in breccia illum fidei fervorem, qui ea quae dicantur antequam intelligat, credit, et prius his assentii ac recipit quam quae ipsa sint videat, et an recipienda sint.11 Era naturale che questa critica assottigliasse fuor di misura i dommi tradizionali, e riuscisse alle interpetrazioni razionalistiche di un pallido deismo. Le tre persone, ad esempio, sono tre nomi con cui è descritta diligentemente la perfezione del sommo Bene;12 la 11 Introd. ad Theolog., Opp., ed. Cousin, Parigi 1859, II, pag. 78. Nec quia Deus id dixerat creditur, sed quia hoc sic esse convincitur, recipitur.... At nunquam, si fidei nostrae primordia statim meritum non habent, ideo ipsa prorsus inutilis est judicanda, quam postmodum charitas subsecuta obtinet, quod illi defuerat.... Nec quod levitate geritur, stabilitate firmabitur. Unde et in Ecclesiastico scriptum est: Qui cito credit levis est corde et minorabitur. 12 Op. cit., pag. 12 Videtur autem nobis suprapositis trium personarum nominibus summi boni perfectio diligentur esse descripta.... Patris quippe nomini divinae magistratis potentia designatur, qua videlicet quidquid velit efficere possit.... Filii vero Verbi appellatone sapientia Dei significatur quia scilicet cuncta discernere valeat, ut in nullo penitus decipi queat. At vero Spiritus Sancti vocabulo ipsa ejus charitas seu benignitas exprimitur, qua videlicet optime cuncta vult fieri seu disponi. Lo Spirito Santo non vuol dire un rapporto di Dio a sè medesimo, ma ad altro. Introd. pag. 101: Procedere quod est Deum se per caritatem ad alternum extendere. Quodammodo enim
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creazione non è libera, ma necessaria;13 il peccato originale non è colpa, ma trasmissione ereditaria della pena che al primo fallo successe;14 il Redentore è l'esempio dell'uomo perfetto che adempie al dover suo non per timore ma per amore;15 il cristianesimo in una parola non è altro se non un ritorno alla legge naturale, la quale è certo che fu seguita dai filosofi, mentre la legge mosaica si appoggia su precetti più simbolici che morali (magis figuralibus quam naturalibus nitatur mandatis) ed abbonda più dell'esterna che dell'interiore giustizia.16 S. Bernardo,
per amorem unusquisque ad alterum procedit, cum proprie nemo ad seipsum caritatem habere dicatur. Notisi anche questo passo che pare scritto dall'Erigena. Theol. Christ., I, 5, pag. 379: Bene autem Spiritum Sanctum animam mundi, quasi vitam universitatis Plato posuit. Quest'ultima opinione, così acerbamente censurata da S. Bernardo (Lettera citata: Dum multum sudat quommodo Platonem faciat christianum, se probat ethnicum) fu tolta a principale argomento d'accusa nel Concilio di Sens, e poi sconfessata da Abelardo nel trattato De divisione et definitione (Ouvrages inédites d'Abélard par V. Cousin, Paris 1836, p. 475). Sed haec quidem fides platonica ex eo erronea esse convincitur quod illam quam mundi animam vocat, non coeternam Deo sed a Deo, more creaturarum, originem habere concedit. Spiritus enim Sanctus ita in perfectione divinae Trinitatis consistit, ut tara Patri quam Filio consubstantialis et coaequalis et coaeternus esse a nulla fidelium dubitetur. Dal che il Cousin ha benissimo dedotto che questo trattato è posteriore alla Teologia, e scritto dopo il Concilio di Sens. Il libro dunque della Dialettica citato nella Teologia non può essere questo de divisione pubblicato dal Cousin. 13 Theolog. christ., V, pag. 566: Necessario itaque Deus mundum esse voluit, nec otiosus extitit, quia eum priusquam fecit facere non potuit. 14 Comm. in Epist. ad Rom., II, pag. 238: Magis hoc ad poenam peccati,... quam ad culpam animi et contemptum Dei referendum videtur. Imperocchè (Eth., c. 13, pag. 615) non est peccatum nisi contra conscientiam. In questo punto (sia detto per incidenza) Abelardo rasenta il Kant (Eth., cap. 7): Opera omnia in se indifferentia sunt nec nisi pro intentione agentis vel bona vel mala dicenda sunt. 15 Comm. in Epist. ad Rom., II, pag. 207: Est illa summa in nobis per passionem Christi dilectio, quae non solum a servitute peccati liberat, sed veram nobis filiorum Dei libertatem acquirit; ut amore ejus potius quam timore cuncta impleamus. 16 Theol. Christ., I, 2.
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creazione non è libera, ma necessaria;13 il peccato originale non è colpa, ma trasmissione ereditaria della pena che al primo fallo successe;14 il Redentore è l'esempio dell'uomo perfetto che adempie al dover suo non per timore ma per amore;15 il cristianesimo in una parola non è altro se non un ritorno alla legge naturale, la quale è certo che fu seguita dai filosofi, mentre la legge mosaica si appoggia su precetti più simbolici che morali (magis figuralibus quam naturalibus nitatur mandatis) ed abbonda più dell'esterna che dell'interiore giustizia.16 S. Bernardo,
per amorem unusquisque ad alterum procedit, cum proprie nemo ad seipsum caritatem habere dicatur. Notisi anche questo passo che pare scritto dall'Erigena. Theol. Christ., I, 5, pag. 379: Bene autem Spiritum Sanctum animam mundi, quasi vitam universitatis Plato posuit. Quest'ultima opinione, così acerbamente censurata da S. Bernardo (Lettera citata: Dum multum sudat quommodo Platonem faciat christianum, se probat ethnicum) fu tolta a principale argomento d'accusa nel Concilio di Sens, e poi sconfessata da Abelardo nel trattato De divisione et definitione (Ouvrages inédites d'Abélard par V. Cousin, Paris 1836, p. 475). Sed haec quidem fides platonica ex eo erronea esse convincitur quod illam quam mundi animam vocat, non coeternam Deo sed a Deo, more creaturarum, originem habere concedit. Spiritus enim Sanctus ita in perfectione divinae Trinitatis consistit, ut tara Patri quam Filio consubstantialis et coaequalis et coaeternus esse a nulla fidelium dubitetur. Dal che il Cousin ha benissimo dedotto che questo trattato è posteriore alla Teologia, e scritto dopo il Concilio di Sens. Il libro dunque della Dialettica citato nella Teologia non può essere questo de divisione pubblicato dal Cousin. 13 Theolog. christ., V, pag. 566: Necessario itaque Deus mundum esse voluit, nec otiosus extitit, quia eum priusquam fecit facere non potuit. 14 Comm. in Epist. ad Rom., II, pag. 238: Magis hoc ad poenam peccati,... quam ad culpam animi et contemptum Dei referendum videtur. Imperocchè (Eth., c. 13, pag. 615) non est peccatum nisi contra conscientiam. In questo punto (sia detto per incidenza) Abelardo rasenta il Kant (Eth., cap. 7): Opera omnia in se indifferentia sunt nec nisi pro intentione agentis vel bona vel mala dicenda sunt. 15 Comm. in Epist. ad Rom., II, pag. 207: Est illa summa in nobis per passionem Christi dilectio, quae non solum a servitute peccati liberat, sed veram nobis filiorum Dei libertatem acquirit; ut amore ejus potius quam timore cuncta impleamus. 16 Theol. Christ., I, 2.
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ben consapevole della gravità di questi arditi commentarii esclama tristamente: Omnia usurpat sibi humanum ingenium, fidei nil reservans. Tentat altiora se, fortiora scrutatur, irruit in divina, sancta temerat magis quam reserat, clausa et signata non aperit sed diripit (Ep. 188).
Se non che era vano sperare che colla punizione del filosofo si potesse soffocare la libertà del pensiero, la quale in quella vece si levava più fiera e minacciosa dalle violenze patite. Colla morte di Abelardo non perì l'indirizzo razionalistico, e Bernardo Silvestre trova nel platonismo inteso a modo suo la soluzione dei problemi religiosi;17 Guglielmo di Conches attacca la superstizione come la peggior nemica del progresso intellettuale;18 persino Gilberto 17 Sui fratelli Thierry e Bernardo, bretoni, nati a Moclan presso Quimperlé, vedi HAURÉAU, Histoire de la Phil. scolastique, Première partie, Paris 1872, pag. 392. L'Hauréau ha dimostrato che il vero autore del rinnovato realismo è Thierry, e che Bernardo nell'opera sua, recentemente pubblicata dal Barach (Bernardi Silvestris De mundi universitate libri duo seu Megocosmus et Microcosmus, Innsbruck 1876) non fa se non una parafrasi poetica delle dottrine insegnategli dal fratello. Lo scritto di Thierry intitolato De sex dierum operibus ci è pervenuto mutilato, non più che il primo libro e parte del secondo, tuttora inediti. Dai frammenti pubblicati dall'Hauréau riproduco questo che espone in forma concisa il più schietto panteismo (pag. 402): Unitas ipsa divinitas est. At divinitas singulis rebus forma essendi est, nam sicut aliquod ex luce lucidum est, vel ex calore calidum, ita singulae res ex divinitate esse suum sortiuntur. Unde Deus totus et essentialiter ubique esse vere perhibetur, unde vere dicitur omne quod est ideo est quia unum est. Bernardo nel Megocosmo non è meno esplicito (Barach. pag. 30). Rerum porro universitas mundus nec invalida senectute decrepitus, nec supremo est obitu dissolvendus, cum de opifice causaque operis, utrisque sempiternis, de materia formaque materiae, utrisque perpetuis, ratio cesserit permanendi. Usia namque primarie aeviterna, et perseveratio fecunda pluralitatis simplicitas. Una est, sola est, ex se vel in se tota natura Dei. E qui torna la vecchia imagine neoplatonica già usata da Thierry. Ex ea igitur luce inaccessibili splender radiatus emicuit.... Bernardo nato forse un dieci anni più tardi di Guglielmo di Champeaux (intorno al 1080) gli sopravvisse circa quaranta. Guglielmo morì nel 1121, Bernardo il 1161, diciannove anni più tardi di Abelardo, del quale una tradizione lo fa scolare (CHARLES DE REMUSAT, Abélard, I, 272). 18 Guglielmo nato a Conches in Normandia, insegnò per lungo tempo a Parigi, ove morì nel 1154. Oltre al commento del Timeo e del De Consolatione di
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ben consapevole della gravità di questi arditi commentarii esclama tristamente: Omnia usurpat sibi humanum ingenium, fidei nil reservans. Tentat altiora se, fortiora scrutatur, irruit in divina, sancta temerat magis quam reserat, clausa et signata non aperit sed diripit (Ep. 188).
Se non che era vano sperare che colla punizione del filosofo si potesse soffocare la libertà del pensiero, la quale in quella vece si levava più fiera e minacciosa dalle violenze patite. Colla morte di Abelardo non perì l'indirizzo razionalistico, e Bernardo Silvestre trova nel platonismo inteso a modo suo la soluzione dei problemi religiosi;17 Guglielmo di Conches attacca la superstizione come la peggior nemica del progresso intellettuale;18 persino Gilberto 17 Sui fratelli Thierry e Bernardo, bretoni, nati a Moclan presso Quimperlé, vedi HAURÉAU, Histoire de la Phil. scolastique, Première partie, Paris 1872, pag. 392. L'Hauréau ha dimostrato che il vero autore del rinnovato realismo è Thierry, e che Bernardo nell'opera sua, recentemente pubblicata dal Barach (Bernardi Silvestris De mundi universitate libri duo seu Megocosmus et Microcosmus, Innsbruck 1876) non fa se non una parafrasi poetica delle dottrine insegnategli dal fratello. Lo scritto di Thierry intitolato De sex dierum operibus ci è pervenuto mutilato, non più che il primo libro e parte del secondo, tuttora inediti. Dai frammenti pubblicati dall'Hauréau riproduco questo che espone in forma concisa il più schietto panteismo (pag. 402): Unitas ipsa divinitas est. At divinitas singulis rebus forma essendi est, nam sicut aliquod ex luce lucidum est, vel ex calore calidum, ita singulae res ex divinitate esse suum sortiuntur. Unde Deus totus et essentialiter ubique esse vere perhibetur, unde vere dicitur omne quod est ideo est quia unum est. Bernardo nel Megocosmo non è meno esplicito (Barach. pag. 30). Rerum porro universitas mundus nec invalida senectute decrepitus, nec supremo est obitu dissolvendus, cum de opifice causaque operis, utrisque sempiternis, de materia formaque materiae, utrisque perpetuis, ratio cesserit permanendi. Usia namque primarie aeviterna, et perseveratio fecunda pluralitatis simplicitas. Una est, sola est, ex se vel in se tota natura Dei. E qui torna la vecchia imagine neoplatonica già usata da Thierry. Ex ea igitur luce inaccessibili splender radiatus emicuit.... Bernardo nato forse un dieci anni più tardi di Guglielmo di Champeaux (intorno al 1080) gli sopravvisse circa quaranta. Guglielmo morì nel 1121, Bernardo il 1161, diciannove anni più tardi di Abelardo, del quale una tradizione lo fa scolare (CHARLES DE REMUSAT, Abélard, I, 272). 18 Guglielmo nato a Conches in Normandia, insegnò per lungo tempo a Parigi, ove morì nel 1154. Oltre al commento del Timeo e del De Consolatione di
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Porretano;19 dal 1142 vescovo di Poitiers, costruisce una dottrina della trinità così poco ortodossa, che vien costretto a ricredersene innanzi al concilio di Rheims del 1148.
Contro il mal dissimulato razionalismo di questi filosofi seguita sempre a combattere S. Bernardo, e non meno fieramente di lui i Vittorini Ugo Riccardo e Gualtiero. Quest'ultimo principalmente non perdona nè a filosofi, nè a teologi, ma nello
Boezio scrisse la Philosophia mundi, che fu pubblicata sotto il nome di Beda nelle opere di questo padre, e sotto il nome di Onorato d'Autun nel tom. XX della Maxima Bibliotheca patrum. Se Guglielmo fosse stato conseguente a sè medesimo, avrebbe dovuto, come bene avverte l'Hauréau, fare una confessione panteistica non diversa da quella di Thierry e Bernardo. In verità se lo Spirito Santo è l'anima del mondo, altrettanto deve dirsi di Dio Padre, con cui lo Spirito è tutt'uno in essenza. Ma Guglielmo non che ridursi a questo stremo, difende invece con grave inconseguenza il dualismo ortodosso. E vedi stranezza di casi! Mentre i fratelli Carnotensi non patirono nessun danno delle loro audaci e franche rivelazioni, il filosofo di Conches per lo contrario, molto più timido e circospetto di loro, fu fatto segno agli assalti dei zelanti. A capo dei quali si mise Guglielmo di S. Thierry, cui si aggiunse Gualtiero da S. Victor, ed entrambi chiamarono in aiuto S. Bernardo, per ischiacciare il capo del nuovo basilisco, che era pur mo' nato dal triste seme dell'antico. Però non fu convocato un concilio, bensì s'impose all'accusato la pronta ritrattazione, che ei fece nel dialogo intitolato Dragmaticon Philosophiae (HAURÉAU, I, pag. 432). 19 Gilberto, nato a Poitiers, era nel 1135 cancelliere della chiesa di Chartres. Nel 1140 scolastico di S. Ilario in Poitiers, e l'anno appresso vescovo di quella diocesi. Il suo libro Dei sei principii che tratta diffusamente delle sei ultime categorie toccate di volo da Aristotile, ebbe tal successo, che fino al secolo XVI
fu sempre unito al pari dell'Isagoge porfiriana al trattato aristotelico. Nel commento al De Trinitate del pseudo Boezio è svolta la dottrina realistica, che il contemporaneo Giovanni di Salisbury espone nel seguente modo (Metal., II, 17, pag. 817): Est autem forma nativa originalis exemplum, et quae non in mente Dei consistit, sed in rebus creatis inhaeret. Haec greco eloquio dicitur ει δος habens se ad idaeam ut exemplum ad exemplar; sensibilis quidem in re sensibili, sed mente concipitur insensibilis; singularis quoque in singulis, sed in omnibus universalis. Queste forme sono la vera realtà, e non sono esse nelle cose, ma piuttosto le cose in loro. Egli è ben certo che nel nostro mondo la forma non si può staccare dalla materia se non mentalmente; onde i due fattori sono talmente intrinsecati, da poter chiamare sensibile o singola la forma, in
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Porretano;19 dal 1142 vescovo di Poitiers, costruisce una dottrina della trinità così poco ortodossa, che vien costretto a ricredersene innanzi al concilio di Rheims del 1148.
Contro il mal dissimulato razionalismo di questi filosofi seguita sempre a combattere S. Bernardo, e non meno fieramente di lui i Vittorini Ugo Riccardo e Gualtiero. Quest'ultimo principalmente non perdona nè a filosofi, nè a teologi, ma nello
Boezio scrisse la Philosophia mundi, che fu pubblicata sotto il nome di Beda nelle opere di questo padre, e sotto il nome di Onorato d'Autun nel tom. XX della Maxima Bibliotheca patrum. Se Guglielmo fosse stato conseguente a sè medesimo, avrebbe dovuto, come bene avverte l'Hauréau, fare una confessione panteistica non diversa da quella di Thierry e Bernardo. In verità se lo Spirito Santo è l'anima del mondo, altrettanto deve dirsi di Dio Padre, con cui lo Spirito è tutt'uno in essenza. Ma Guglielmo non che ridursi a questo stremo, difende invece con grave inconseguenza il dualismo ortodosso. E vedi stranezza di casi! Mentre i fratelli Carnotensi non patirono nessun danno delle loro audaci e franche rivelazioni, il filosofo di Conches per lo contrario, molto più timido e circospetto di loro, fu fatto segno agli assalti dei zelanti. A capo dei quali si mise Guglielmo di S. Thierry, cui si aggiunse Gualtiero da S. Victor, ed entrambi chiamarono in aiuto S. Bernardo, per ischiacciare il capo del nuovo basilisco, che era pur mo' nato dal triste seme dell'antico. Però non fu convocato un concilio, bensì s'impose all'accusato la pronta ritrattazione, che ei fece nel dialogo intitolato Dragmaticon Philosophiae (HAURÉAU, I, pag. 432). 19 Gilberto, nato a Poitiers, era nel 1135 cancelliere della chiesa di Chartres. Nel 1140 scolastico di S. Ilario in Poitiers, e l'anno appresso vescovo di quella diocesi. Il suo libro Dei sei principii che tratta diffusamente delle sei ultime categorie toccate di volo da Aristotile, ebbe tal successo, che fino al secolo XVI
fu sempre unito al pari dell'Isagoge porfiriana al trattato aristotelico. Nel commento al De Trinitate del pseudo Boezio è svolta la dottrina realistica, che il contemporaneo Giovanni di Salisbury espone nel seguente modo (Metal., II, 17, pag. 817): Est autem forma nativa originalis exemplum, et quae non in mente Dei consistit, sed in rebus creatis inhaeret. Haec greco eloquio dicitur ει δος habens se ad idaeam ut exemplum ad exemplar; sensibilis quidem in re sensibili, sed mente concipitur insensibilis; singularis quoque in singulis, sed in omnibus universalis. Queste forme sono la vera realtà, e non sono esse nelle cose, ma piuttosto le cose in loro. Egli è ben certo che nel nostro mondo la forma non si può staccare dalla materia se non mentalmente; onde i due fattori sono talmente intrinsecati, da poter chiamare sensibile o singola la forma, in
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stesso biasimo coinvolge con Abelardo e col Porretano, i due dottori Pietro Lombardo detto il Maestro delle sentenze, ed il discepolo Pietro di Poitiers,20 che raccolsero in trattati scolastici ed in forma dialettica esposero la somma del sapere teologico.21
Se non che l'opposizione di codesti mistici è una ben debole diga contro l'irrompente fiumana. Realisti e nominalisti seguitano a battagliare, e tra gli opposti estremi nascono tanti sistemi
quanto si manifesta e determina nelle cose individuali. Ma badiamo bene, l'individuo non è nulla di originario, bensì il risultato della complicazione di fattori universali. La saggezza, la forza d'animo, la figura di Sileno ecc., formano quel tutto che si chiama Socrate, ma ciascuno di questi fattori considerato da per sè è un universale che può trovarsi anche in Platone ed Aristotile. Questo tutto così composto si può dire substans, in quanto è il soggetto degli accidenti; il che non importa che sia la vera sostanza, perchè anzi in tanto esiste in quanto ha per sè una parte di quell'ουσα che è l'universale. L'applicazione teologica è la seguente, che io tolgo dall'Hauréau pag. 472: Dieu est ainsi que Socrate un individue du genre de la substance; et comme la raison d'être de Socrate est l'humanité qui vit en lui, de même doit- on distinguer ce qui est Dieu, ce Dieu, de la forme essentielle qui est la Divinité. Même raisonnement sur les personnes divines. Elles se distinguent de l'essence et cependant elles participent non seulement de la même essence, mais encore de la même subsistance. Ce parquoi les personnes diffèrent entre elles est en elles un principe di distinction formelle. In altre parole Dio come tutti gl'individui risulta da fattori od elementi universali. Uno di questi elementi è il predominante, e costituisce l'essenza di Dio, o la deità, analogo a quello che in Socrate chiamiamo l'umanità. Ma come in Socrate distinguiamo anche la saggezza, la forza di volontà e simili, così in Dio distinguiamo le persone. Il principio adunque di questa distinzione s' ha da trovare in altri fattori universali, non in quello che diremmo centrale, e costituisce l'unità di essenza. Quamvis enim in eo, quo sunt, i. e. essentia, quae de illis praedicatur sit eorum indifferentia, est tamen ipsorum per quaedam, quae de uno dici non possunt, ideoqui quae de diversis dici necesse est, differentia. Questa dottrina non parve meno sospetta delle precedenti. Nel 1146 due arcidiaconi di Gilberto Calon e Arnauld lo denunziarono come eretico al Papa Eugenio III. Il quale nel suo viaggio in Francia nel 1148 tenne un concilio, ove intervenne da promotore il terribile S. Bernardo. Quattro proposizioni sospette, tolte dai libri di Gilberto, furono sconfessate, ma non per questo si approvarono le quattro opposte di S. Bernardo. Bensì furono sottoposte ad esame pochi giorni dopo nel concilio trasferitosi a Reims, e dopo molte concessioni reciproche si venne
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stesso biasimo coinvolge con Abelardo e col Porretano, i due dottori Pietro Lombardo detto il Maestro delle sentenze, ed il discepolo Pietro di Poitiers,20 che raccolsero in trattati scolastici ed in forma dialettica esposero la somma del sapere teologico.21
Se non che l'opposizione di codesti mistici è una ben debole diga contro l'irrompente fiumana. Realisti e nominalisti seguitano a battagliare, e tra gli opposti estremi nascono tanti sistemi
quanto si manifesta e determina nelle cose individuali. Ma badiamo bene, l'individuo non è nulla di originario, bensì il risultato della complicazione di fattori universali. La saggezza, la forza d'animo, la figura di Sileno ecc., formano quel tutto che si chiama Socrate, ma ciascuno di questi fattori considerato da per sè è un universale che può trovarsi anche in Platone ed Aristotile. Questo tutto così composto si può dire substans, in quanto è il soggetto degli accidenti; il che non importa che sia la vera sostanza, perchè anzi in tanto esiste in quanto ha per sè una parte di quell'ουσα che è l'universale. L'applicazione teologica è la seguente, che io tolgo dall'Hauréau pag. 472: Dieu est ainsi que Socrate un individue du genre de la substance; et comme la raison d'être de Socrate est l'humanité qui vit en lui, de même doit- on distinguer ce qui est Dieu, ce Dieu, de la forme essentielle qui est la Divinité. Même raisonnement sur les personnes divines. Elles se distinguent de l'essence et cependant elles participent non seulement de la même essence, mais encore de la même subsistance. Ce parquoi les personnes diffèrent entre elles est en elles un principe di distinction formelle. In altre parole Dio come tutti gl'individui risulta da fattori od elementi universali. Uno di questi elementi è il predominante, e costituisce l'essenza di Dio, o la deità, analogo a quello che in Socrate chiamiamo l'umanità. Ma come in Socrate distinguiamo anche la saggezza, la forza di volontà e simili, così in Dio distinguiamo le persone. Il principio adunque di questa distinzione s' ha da trovare in altri fattori universali, non in quello che diremmo centrale, e costituisce l'unità di essenza. Quamvis enim in eo, quo sunt, i. e. essentia, quae de illis praedicatur sit eorum indifferentia, est tamen ipsorum per quaedam, quae de uno dici non possunt, ideoqui quae de diversis dici necesse est, differentia. Questa dottrina non parve meno sospetta delle precedenti. Nel 1146 due arcidiaconi di Gilberto Calon e Arnauld lo denunziarono come eretico al Papa Eugenio III. Il quale nel suo viaggio in Francia nel 1148 tenne un concilio, ove intervenne da promotore il terribile S. Bernardo. Quattro proposizioni sospette, tolte dai libri di Gilberto, furono sconfessate, ma non per questo si approvarono le quattro opposte di S. Bernardo. Bensì furono sottoposte ad esame pochi giorni dopo nel concilio trasferitosi a Reims, e dopo molte concessioni reciproche si venne
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intermedii, che a noverarli tutti si stanca Guglielmo di Salisbury. E sovra tutti mira ad innalzarsi quest'uomo singolare, questo discepolo di Abelardo, che pare appartenga ad altra epoca, ed assai prima del Petrarca professa come un culto per l'antichità22
classica, ed in mezzo al cozzo di tanti dommatismi vorrebbe rinnovare l'antica Accademia. Così al primo periodo della scolastica non manca neanco la nota critica. E non più due indirizzi soli si contrastano il dominio delle menti, ma quattro, il realistico, il nominalistico, il mistico, lo scettico.
a tali formole, che sebbene suonassero censure per Gilberto, pure non si sapeva con certezza qual parte avesse vinto se l'accusatore, o l'accusato. Gilberto morì nel 1154. 20 Ugo (1096-1141) ebbe a scolare Riccardo ([**symbol: Latin cross] 1173). Ed entrambi si chiamano vittorini dall'abbazia di S. Victor in Parigi di cui facean parte. Gualtiero abbate della stessa abbazia secondo Buleo (Hist. univ. paris., I, pag. 404) scrisse: contra manifestas et damnatas etiam in Conciliis haereses, quas sophistae Abaelardus, Lambardus, Petrus Pictavinus et Gilbertus Porretanus, quatuor labyrinti Franciae, uno spirito aristotelico afflati, libris sententiam suorum acuunt, limant, roborant. Visse intorno al 1180. Vedi FABRIC., a. q. n. 21 Pietro Lombardo da Lumello morto vescovo di Parigi nel 1164. Nel 1152 pubblicò il Liber sententiarum, che fece poi da testo nelle scuole teologiche. Prima di lui Ugo da S. Vittore avea pubblicata la Summa sententiarum sive eruditionis theologicae. (Opp., ed. Rotomagi, 1648, III, 417-472). E dopo di lui Pietro di Poitiers, suo discepolo (morto arcivescovo nel 1205) scrisse quinque libros sententiarum. (FABRICIO, ed. fior., V, 258). 22 Giovanni da Salisbury nato tra il 1110 e il 1120, morto vescovo di Chartres nel 1180. I due noti libri il Policraticus ed il Metalogicus furon pubblicati nel 1159 secondo lo Schaarschmidt (Iohannes Sarisberiens. pag. 143 e 211). Lo stesso autore giustamente osserva (pag. 84): Grade darauf beruht ein grosser Theil des Interesses, welches man an ihm nehmen muss, dass er sich von der unerquicklichen Modewissenschaft der gelehrten Schulen seiner Zeit, der disputirenden Dialektik, zu den Alten als einer reineren Quelle der Geistebildung gewandt hat, und ein Vorläufer des Humanismus die Früchte dieser seiner classischen Studien in eigene Leistungen darzulegen und auszupragen bestrebt ist. (pag. 313).... von der Unzulänglichkeit unseres Erkennens in Bezug auf die hochsten Fragen durchdrungen, immer auf das praktische Gebiet der Ethik hinuber eilte. Che Giovanni penda per la Filosofia accademica V. Polic., VII, 1 e 2; 11, 22; Metal., 11, 14; IV, 20.
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intermedii, che a noverarli tutti si stanca Guglielmo di Salisbury. E sovra tutti mira ad innalzarsi quest'uomo singolare, questo discepolo di Abelardo, che pare appartenga ad altra epoca, ed assai prima del Petrarca professa come un culto per l'antichità22
classica, ed in mezzo al cozzo di tanti dommatismi vorrebbe rinnovare l'antica Accademia. Così al primo periodo della scolastica non manca neanco la nota critica. E non più due indirizzi soli si contrastano il dominio delle menti, ma quattro, il realistico, il nominalistico, il mistico, lo scettico.
a tali formole, che sebbene suonassero censure per Gilberto, pure non si sapeva con certezza qual parte avesse vinto se l'accusatore, o l'accusato. Gilberto morì nel 1154. 20 Ugo (1096-1141) ebbe a scolare Riccardo ([**symbol: Latin cross] 1173). Ed entrambi si chiamano vittorini dall'abbazia di S. Victor in Parigi di cui facean parte. Gualtiero abbate della stessa abbazia secondo Buleo (Hist. univ. paris., I, pag. 404) scrisse: contra manifestas et damnatas etiam in Conciliis haereses, quas sophistae Abaelardus, Lambardus, Petrus Pictavinus et Gilbertus Porretanus, quatuor labyrinti Franciae, uno spirito aristotelico afflati, libris sententiam suorum acuunt, limant, roborant. Visse intorno al 1180. Vedi FABRIC., a. q. n. 21 Pietro Lombardo da Lumello morto vescovo di Parigi nel 1164. Nel 1152 pubblicò il Liber sententiarum, che fece poi da testo nelle scuole teologiche. Prima di lui Ugo da S. Vittore avea pubblicata la Summa sententiarum sive eruditionis theologicae. (Opp., ed. Rotomagi, 1648, III, 417-472). E dopo di lui Pietro di Poitiers, suo discepolo (morto arcivescovo nel 1205) scrisse quinque libros sententiarum. (FABRICIO, ed. fior., V, 258). 22 Giovanni da Salisbury nato tra il 1110 e il 1120, morto vescovo di Chartres nel 1180. I due noti libri il Policraticus ed il Metalogicus furon pubblicati nel 1159 secondo lo Schaarschmidt (Iohannes Sarisberiens. pag. 143 e 211). Lo stesso autore giustamente osserva (pag. 84): Grade darauf beruht ein grosser Theil des Interesses, welches man an ihm nehmen muss, dass er sich von der unerquicklichen Modewissenschaft der gelehrten Schulen seiner Zeit, der disputirenden Dialektik, zu den Alten als einer reineren Quelle der Geistebildung gewandt hat, und ein Vorläufer des Humanismus die Früchte dieser seiner classischen Studien in eigene Leistungen darzulegen und auszupragen bestrebt ist. (pag. 313).... von der Unzulänglichkeit unseres Erkennens in Bezug auf die hochsten Fragen durchdrungen, immer auf das praktische Gebiet der Ethik hinuber eilte. Che Giovanni penda per la Filosofia accademica V. Polic., VII, 1 e 2; 11, 22; Metal., 11, 14; IV, 20.
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II
Prima che s'aprisse il secondo periodo della coltura medievale, la guerra tra l'Impero e la Chiesa s'era rinnovata con maggiore violenza, e tre antipapi l'un dopo l'altro contesero per venti anni la tiara ad Alessandro III (1158-1178). E durante queste lotte si rinvigorirono le sette ereticali dei Catari, Valdesi ed Arnaldisti, e accanto a loro si fecero strada gli avversarii di ogni credenza positiva, gl'Indifferenti, che riconoscevano a lor capo il grande filosofo arabo Averroè. Questi sosteneva che tutte le religioni hanno egual valore innanzi agli occhi della ragione. Son tutte vere perchè tutte hanno tal forza morale da infrenare il ribelle volere delle masse; tutte false, perchè la schietta verità filosofica v'è ottenebrata da imagini ed allegorie. Certo l'importanza e la perfezione relativa delle religioni è diversa secondo le varie condizioni dei tempi, ma ciò mostra che il criterio di valutazione delle religioni vuole essere storico, non speculativo.23 Questo
23 Le opinioni filosofiche di Averroè s'accordavano tanto poco col dommatismo religioso, che la sua alta posizione sociale di Kadì di Cordova, e la fama che s'era acquistata colle sue faticose opere non lo salvarono dalle persecuzioni dei fanatici.[A] Il re Almançour, tolte al vecchio filosofo tutte le dignità da lui stesso e dal suo predecessore conferitegli, lo relegò in Lucera presso Cordova; e benchè per intercessione altrui gli permettesse di far ritorno in Marocco, gl'ingiunse pertanto di passarvi il resto dei suoi giorni nell'isolamento, e come in reclusione. Da quel tempo Averroè non si mosse più dalla capitale, dove, affranto dal destino morì nel 1198, in età di settantadue anni. (Era nato a Cordova nel 1126). Il MUNK (Mélanges de philosophie juive et arabe, pag. 455- 56) espone in questi termini le opinioni del filosofo arabo: Malgré ses opinions si peu d'accord avec ses croyances religieuses, Ibn-Roschd tenait a passer pour bon musulman. Selon lui les vérités philosophiques sont le but plus élevé, que l'homme puisse atteindre, mais il n'y a que peu d'hommes qui puissent y parvenir par la spéculation et les révélations prophétiques, qui étaient nécessaires pour répandre parmi les hommes les vérités éternelles, également proclamées par la religion et la philosophie. Nous devons tous dans notre jeunesse nous laisser guider par la religion et suivre strictement ses préceptes;
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II
Prima che s'aprisse il secondo periodo della coltura medievale, la guerra tra l'Impero e la Chiesa s'era rinnovata con maggiore violenza, e tre antipapi l'un dopo l'altro contesero per venti anni la tiara ad Alessandro III (1158-1178). E durante queste lotte si rinvigorirono le sette ereticali dei Catari, Valdesi ed Arnaldisti, e accanto a loro si fecero strada gli avversarii di ogni credenza positiva, gl'Indifferenti, che riconoscevano a lor capo il grande filosofo arabo Averroè. Questi sosteneva che tutte le religioni hanno egual valore innanzi agli occhi della ragione. Son tutte vere perchè tutte hanno tal forza morale da infrenare il ribelle volere delle masse; tutte false, perchè la schietta verità filosofica v'è ottenebrata da imagini ed allegorie. Certo l'importanza e la perfezione relativa delle religioni è diversa secondo le varie condizioni dei tempi, ma ciò mostra che il criterio di valutazione delle religioni vuole essere storico, non speculativo.23 Questo
23 Le opinioni filosofiche di Averroè s'accordavano tanto poco col dommatismo religioso, che la sua alta posizione sociale di Kadì di Cordova, e la fama che s'era acquistata colle sue faticose opere non lo salvarono dalle persecuzioni dei fanatici.[A] Il re Almançour, tolte al vecchio filosofo tutte le dignità da lui stesso e dal suo predecessore conferitegli, lo relegò in Lucera presso Cordova; e benchè per intercessione altrui gli permettesse di far ritorno in Marocco, gl'ingiunse pertanto di passarvi il resto dei suoi giorni nell'isolamento, e come in reclusione. Da quel tempo Averroè non si mosse più dalla capitale, dove, affranto dal destino morì nel 1198, in età di settantadue anni. (Era nato a Cordova nel 1126). Il MUNK (Mélanges de philosophie juive et arabe, pag. 455- 56) espone in questi termini le opinioni del filosofo arabo: Malgré ses opinions si peu d'accord avec ses croyances religieuses, Ibn-Roschd tenait a passer pour bon musulman. Selon lui les vérités philosophiques sont le but plus élevé, que l'homme puisse atteindre, mais il n'y a que peu d'hommes qui puissent y parvenir par la spéculation et les révélations prophétiques, qui étaient nécessaires pour répandre parmi les hommes les vérités éternelles, également proclamées par la religion et la philosophie. Nous devons tous dans notre jeunesse nous laisser guider par la religion et suivre strictement ses préceptes;
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nuovo nemico era al certo molto più temibile dei precedenti, imperocchè tra i filosofi ed eruditi arabi si conservava la più ricca tradizione della coltura ellenica; nè solo la maggior parte delle opere aristoteliche conoscevano, ma benanco i più importanti interpetri, Alessandro di Afrodisia, Temistio, Porfirio, Ammonio. Onde Avicenna nei primordii del secolo undecimo ed Averroè nel duodecimo scrissero i più estesi commenti allo Stagirita. I quali commenti voltati ben per tempo in ebraico, e dall'ebraico in latino furono accolti con trasporto dai filosofi d'occidente, che in tanta venerazione tenevano Aristotele, per quanto scarsa conoscenza avessero delle sue opere. Se non che lo studio di Aristotele attraverso questi infidi espositori non era senza pericolo; perchè l'interpetrazione più che al testo di Aristotele si confaceva alle chiose neoplatoniche, onde il teismo aristotelico tramutavasi per tal via in un panteismo mistico, quale è svolto, ad esempio, nel Fons vitae dell'Avicebronio.24 Gli effetti di questi agenti
et si plus tard, nous arrivons à comprendre les hautes vérités de la religion par la voie de la spéculation, nous ne devons pas dédaigner les doctrines et les préceptes dans lesquels nous avons été élevés. Intorno agl'indifferenti riscontra REUTER, Geschichte der relig. Aufklärung im Mittelalter, II, 133 e segg. [A] Sul fanatismo dei Musulmani occidentali molto superiore a quello degli occidentali vedi DOZY, Hist. de l'Islamisme, Paris 1879, pag. 340 e segg. 24 Sull'importanza che ebbe nel secolo XIII il Fons vitae dell'Avicebronio il Munk, op. cit. pag. 151, dice: Il paraît avoir exercé une influence notable dans les écoles chrétiennes et avoir donné naissance à des doctrines hétérodoxes que les théologiens jugeaient assez redoutables pour s'armer contre elles de tous les arguments que leur fournissaient les dogmes religieux et une dialectique subtile. Les fréquentes citations du livre Fons vitae que nous rencontrons notamment dans les ouvrages d'Albert le grand et de S. Thomas d'Aquin, témoignent de la grande vogue qu'avait alors ce livre et de la profonde sensation que faisaient les doctrines qui y étaient développées. Lo stesso Munk fece l'importante scoperta che il creduto filosofo arabo (moro dice Bruno), del quale nessuno sapeva dire quando e dove fosse nato, è un poeta e filosofo ebraico ben noto, Salomon-Ibn-Gebirol, nome che passando per le bocche dei latini si corruppe in Avicebronio, nello stesso modo che Ibn-Roschd divenne Averroé, Ibn-Sina Avicenna. Il y a peu de noms aussi populaires parmi le Juifs que celui de Salomon ben-Gebirol; un grand nombre de ses hymnes se sont conservés jusqu’à nos jours dans la liturgie sinagogale de tous les pays. Mais
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nuovo nemico era al certo molto più temibile dei precedenti, imperocchè tra i filosofi ed eruditi arabi si conservava la più ricca tradizione della coltura ellenica; nè solo la maggior parte delle opere aristoteliche conoscevano, ma benanco i più importanti interpetri, Alessandro di Afrodisia, Temistio, Porfirio, Ammonio. Onde Avicenna nei primordii del secolo undecimo ed Averroè nel duodecimo scrissero i più estesi commenti allo Stagirita. I quali commenti voltati ben per tempo in ebraico, e dall'ebraico in latino furono accolti con trasporto dai filosofi d'occidente, che in tanta venerazione tenevano Aristotele, per quanto scarsa conoscenza avessero delle sue opere. Se non che lo studio di Aristotele attraverso questi infidi espositori non era senza pericolo; perchè l'interpetrazione più che al testo di Aristotele si confaceva alle chiose neoplatoniche, onde il teismo aristotelico tramutavasi per tal via in un panteismo mistico, quale è svolto, ad esempio, nel Fons vitae dell'Avicebronio.24 Gli effetti di questi agenti
et si plus tard, nous arrivons à comprendre les hautes vérités de la religion par la voie de la spéculation, nous ne devons pas dédaigner les doctrines et les préceptes dans lesquels nous avons été élevés. Intorno agl'indifferenti riscontra REUTER, Geschichte der relig. Aufklärung im Mittelalter, II, 133 e segg. [A] Sul fanatismo dei Musulmani occidentali molto superiore a quello degli occidentali vedi DOZY, Hist. de l'Islamisme, Paris 1879, pag. 340 e segg. 24 Sull'importanza che ebbe nel secolo XIII il Fons vitae dell'Avicebronio il Munk, op. cit. pag. 151, dice: Il paraît avoir exercé une influence notable dans les écoles chrétiennes et avoir donné naissance à des doctrines hétérodoxes que les théologiens jugeaient assez redoutables pour s'armer contre elles de tous les arguments que leur fournissaient les dogmes religieux et une dialectique subtile. Les fréquentes citations du livre Fons vitae que nous rencontrons notamment dans les ouvrages d'Albert le grand et de S. Thomas d'