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Il linguaggio

È certamente una delle capacità, se non la capacità, che più caratterizza la specie umana.

Il linguaggio consente almeno due importanti funzioni: comunicativa, di astrazione.

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Il linguaggio Il rapporto tra

linguaggio e pensiero è uno dei temi che troviamo variamente discussi fin dall’origine della nostra cultura.

Su questo complesso problema si possono considerare almeno 5 ipotesi.

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1 - Il pensiero è linguaggio

Secondo l’ipotesi comportamentista, il linguaggio è come un’attività motoria appresa con il rinforzo.

Per esempio, il bambino emette delle sillabe e queste vengono lodate dall’adulto.

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2 - Il pensiero dipende dal linguaggio

Whorf (1956) afferma che il linguaggio determina la

maniera di percepire e di pensare. Esistono quindi tante forme di

pensiero e tante immagini del mondo quante sono le lingue.

Per esempio gli eschimesi hanno 19 termini per designare altrettanti tipi di neve.

Sapir e Whorf

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3 – Il linguaggio dipende dal pensiero

Piaget (1964) sostiene che il linguaggio riflette, piuttosto che determinare, lo sviluppo cognitivo.

Il linguaggio egocentrico (cioè non usato per la comunicazione) viene sostituito da quello socializzato.

Piaget

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4 – Linguaggio e pensiero si influenzano reciprocamente

Linguaggio e pensiero sono in origine indipendenti, ma poi si integrano in un processo di reciproco influenzamento (Vygotskij, 1962).

Secondo Vygotskij, il monologo: prima accompagna l’azione senza un preciso

rapporto funzionale con essa, poi interviene quando subentra un ostacolo, poi precede l’azione per pianificarla.

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5 – Il linguaggio è pensiero Se per linguaggio si intende anche il

significato che veicola, linguaggio e pensiero non sono separabili (Bruner et al., 1966).

Linguaggio e pensiero possono essere differenziati solo funzionalmente: la comunicazione non è una funzione essenziale del pensiero.

Il linguaggio offre all’individuo degli strumenti per pensare, elaborati dalla cultura della sua comunità linguistica.

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Vari tipi di pensiero Si possono identificare vari tipi di

pensiero:a) Il pensiero logico o operatoriob) Il pensiero produttivoc) Il pensiero quotidianod) Il pensiero infantilee) Il pensiero primitivof) Il pensiero onirico g) Il pensiero prevenuto

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a) Il pensiero logico o operatorio

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a) Il pensiero logico Il pensiero logico o razionale è stato anche detto operatorio, in quanto

coincide con la capacità di procedere ad operazioni mentali astratte.

Gran parte delle ricerche nel campo del pensiero consistono nel verificare fino a che punto le persone seguono le leggi della logica.

La logica esamina le categorie e le relazioni fra le categorie concettuali senza fare ricorso a verifiche di tipo empirico (può dunque essere estranea al dominio della psicologia).

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b) Il pensiero produttivo

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b) Il pensiero produttivo Ogni volta che ci

troviamo in una situazione problematica che non presenta la possibilità di soluzione immediata, e che non consente l’impiego di schemi di comportamento già acquisiti, mettiamo in opera un’attività di ragionamento che produce una conoscenza nuova.

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b) Il pensiero produttivo Kohler osservò il

comportamento degli scimpanzé in situazioni varie, che si possono però ricondurre ad uno schema unitario: l’animale è affamato (e

quindi “motivato” a prendere il cibo,

per raggiungere il cibo l’animale deve risolvere un piccolo problema,

nell’ambiente sono presenti tutti gli elementi necessari per risolvere il problema.

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L’insight La ristrutturazione

del campo cognitivo (e dunque il processo di soluzione del problema) viene indicata da Kohler con il termine “insight”.

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InsightDurkin (1937) diede ai soggetti di un esperimento la consegna di pensare ad alta voce mentre si applicavano alla soluzione di un puzzle:<<OOhh!...., la vidi la soluzione ancora prima di fare la mossa giusta. Mi venne incontro al’improvviso, dall’esterno. Ed ero proprio sicuro che questa doveva essere la soluzione. È stato come un lampo e sapevo di avere ragione. Non ero consapevole prima – mi è venuta dal di fuori>> (dal protocollo di uno dei soggetti).

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Prove ed errori

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La soluzione

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Il problem solving Risolvere un problema

significa trovare la strada per passare dallo stato o disposizione iniziale a quello finale o meta da raggiungere.

I cognitivisti hanno suddiviso tale spazio in 3 parti:

1. lo stato iniziale;2. le mete insite nel problema;3. il set o insieme di

operazioni che bisogna intraprendere per raggiungere la soluzione.

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Problema (1) Gli USA stanno per affrontare un’insolita

malattia asiatica a causa della quale ci si aspetta debbano morire 600 persone.

Vengono proposti due programmi alternativi per combatterla. Si assume che le stime scientifiche esatte siano le seguenti:

Programma A - 200 persone saranno salvate

Programma B - 1/3 di probabilità che si salvino 600 persone e 2/3 di probabilità che nessuno si salvi.

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Problema (2) Gli USA stanno per affrontare un’insolita

malattia asiatica a causa della quale ci si aspetta debbano morire 600 persone.

Vengono proposti due programmi alternativi per combatterla. Si assume che le stime scientifiche esatte siano le seguenti:

Programma C - 400 persone moriranno Programma D - 1/ 3 di probabilità che

nessuno muoia e 2/ 3 di probabilità muoiano 600 persone.

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Soluzione Le due versioni sono equivalenti. Le persone a cui viene presentata la versione 1

scelgono in maggioranza il programma A (72%), quelle a cui viene presentata la versione 2 preferiscono il programma D (78%).

Vengono infatti elaborati due frame diversi: la versione 1 viene elaborata come frame in

termini di guadagno, cioè vite salvate, per cui si sceglie l'opzione A , comportamento di evitamento del rischio tipico del dominio dei guadagni,

la versione 2 viene elaborata come frame in termini di perdite, cioè vite perdute, quindi si sceglie D, comportamento di ricerca del rischio tipico del dominio delle perdite.

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c) Il pensiero quotidiano

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c) Il pensiero quotidiano Barlett (1958) definisce il pensiero

quotidiano come quel tipo di pensiero che entra in azione nelle moltissime situazioni “problematiche” della vita di ogni giorno, in cui le persone, senza compiere alcuno sforzo per essere logiche o scientifiche, e trascurando le lacune delle informazioni a loro disposizione, intendono ugualmente prendere posizione, arrivare ad una soluzione.

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c) Il pensiero quotidiano Le situazioni sulle quali il pensiero

quotidiano si pronuncia con una certa facilità e leggerezza sono, in genere, quelle in cui è difficile, se non impossibile, dare un giudizio ponderato.

Un pensiero logico e razionale, conscio del problema, si asterrebbe dal proporre una soluzione che non potrebbe essere sufficientemente motivata, o la proporrebbe con le dovute riserve.

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Il pensiero quotidiano Per colmare il vuoto tra dati di partenza e

conclusioni, spesso facciamo riferimento a ricordi personali, a situazioni analoghe che si presentano alla nostra mente.

Le conclusioni sono accettate e asserite con convinzione, sono ritenute giuste, anche se è impossibile dimostrarne la validità.

La difficoltà maggiore però risiede nell’utilizzo di concetti e materiali di tipo astratto: con problemi logici tratti dal mondo reale la prestazione migliora decisamente.

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Economizzazione degli sforzi La tendenza spontanea delle persone nella

vita di ogni giornoè quella di cercare conferme all’ipotesi di partenza, e non di falsificarla.

Questa tendenza è il frutto dell’economizzazione degli sforzi nella ricerca della soluzione di un problema.

Questi schemi assimilati tendono ad automatizzarsi e facilitano la rapida soluzione dei problemi del vivere quotidiano.

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Problema

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Soluzione

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Due esempi di figure ambigue

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Mappa mentale di New York City

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d) Il pensiero infantile e) Il pensiero primitivo

f) Il pensiero onirico

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Il pensiero infantile, primitivo e onirico

Il pensiero infantile è un pensiero egocentrico (esiste solo il punto di vista del soggetto, non sono possibili simbolismi e astrazioni).

Il pensiero primitivo è simile al pensiero infantile: magico e animistico.

Il pensiero onirico è un pensiero che fa largo uso di simboli, allegorie, metafore, allusioni. Il contenuto può essere manifesto (la realizzazione di un desiderio) o latente, mascherato, condensato (se la censura entra in azione).

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g) Il pensiero prevenuto:

- Cultura e Comunicazione -

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Il pensiero prevenuto È il pensiero più collegato al

pregiudizio, a credenze e stereotipi, che rendono rigido il funzionamento intellettivo.

Ha una grossa componente affettiva-irrazionale e ricorre frequentemente ad affermazioni di tipo regressivo-difensivo (ad es.: il gatto nero porta sfortuna).

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Il pensiero prevenutoI suoi elementi costitutivi sono:

una credenza, un oggetto al quale la credenza si applica.

Il carattere della credenza è espresso dallo STEREOTIPO:si tratta di una credenza ultrasemplificata e perciò astratta, largamente diffusa tra i membri di un gruppo sociale o etnico e applicata nei riguardi di un altro gruppo sociale o etnico che è l’oggetto della credenza.

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Il pensiero prevenutoIl pregiudizio non è una generalizzazione errata, ma è una falsa operazione deduttiva: riesce a trovare sempre conferma perché è basato su un circolo vizioso:

ad es. non si parte dal carattere di un meridionale per avere una conferma del suo carattere, ma dal fatto che una persona sia

meridionale per avere un certo tipo di carattere.

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Il pensiero prevenuto Una caratteristica del pensiero prevenuto è

la rigidità: la credenza non si modifica di fronte alle esperienze contrarie e la conoscenza appare completa e definitiva.

A livello interpretativo il pregiudizio, dichiarando “ecco quello che io non sono”, rafforza il delinearsi dei limiti dell’Io e “colora” il “capro espiatorio” di una simbologia negativa (ad esempio la pelle scura può rappresentare ciò che di buio e oscuro c’è in ognuno di noi).

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Il pensiero prevenuto Esiste quindi una bipolarità tipica:

all’antipatia verso un’altra collettività (destata da un oscuro sentimento che questa può essere minacciosa per la propria sicurezza) corrisponde una simpatia per la propria (Asch, 1958).

Ora è possibile comprendere meglio la distinzione tra attività conoscitiva (ottenuta da principi scientifici) e componente affettiva (simpatia e antipatia)?

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Testi consigliati

Anolli L. (2002), Psicologia della comunicazione, Bologna: Il Mulino

[Capitolo 4] Canestrari R. (1988), Psicologia

Generale, Bologna: CLUEB [cap. IX e X].