La comunicazione dell’allenatore (di Marco Ragini)

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SETTORE TECNICO DELLA FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO CORSO MASTER - U.E.F.A. PRO TESI IN SCIENZA DELLA COMUNICAZIONE CORSISTA: MARCO RAGINI DOCENTE: Prof. FELICE ACCAME LA COMUNICAZIONE DELL’ALLENATORE: VIATICO FONDAMENTALE PER ESERCITARE UNA LEADERSHIP E RAGGIUNGERE GLI OBIETTIVI FISSATI Stagione Sportiva 2011/2012

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Viatico fondamentale per esercitare una leadership e raggiungere gli obiettivi fissati.

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SETTORE TECNICO DELLA FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIOCORSO MASTER - U.E.F.A. PRO

TESI IN SCIENZA DELLA COMUNICAZIONE

CORSISTA: MARCO RAGINI DOCENTE: Prof. FELICE ACCAME

LA COMUNICAZIONE DELL’ALLENATORE: VIATICO FONDAMENTALE PER ESERCITARE UNA LEADERSHIP E RAGGIUNGERE GLI OBIETTIVI FISSATI

Stagione Sportiva 2011/2012

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Il calcio, un fenomeno globale in continua evoluzione negli anni, una veloce metamorfosi mediatica…sotto tutti gli aspetti….. merito della comunicazione nei vari settori…..

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Il “pianeta calcio”, da quasi un secolo a questa parte ha cambiato la vita so-ciale di molte popolazioni e Nazioni. Questa disciplina sportiva ha accentuato la differenza fra i popoli e i loro stili di vita; ha creato una filosofia di pensiero comune, una “fede” da seguire, sviluppando un fanatico patriotismo. Senza dubbio il calcio a diverse latitudini; ed è un fenomeno che ha la capacità di aggregare e dividere. Tutto questo sottolinea come è diventato importante il giuoco del calcio sul piano sociale. Quotidianamente in diversi angoli del pi-aneta, il calcio con le sue varie manifestazioni, che siano regionali, nazionali o internazionali, è argomento di discussione da parte di individui di diverse classi sociali, con diverse tipologie di contesto.

Un argomento dove straordinariamente ognuno crede di avere ampie com-petenze in merito, di poter dispensare nozioni e consigli sulla materia, con la certezza di dare verità assoluta da impartire agli addetti ai lavori… in particolar modo, indirizzare la figura dell’allenatore verso le scelte migliori da fare.

Negli anni, specie negli ultimi 20 sono nate tante figure professionali nell’ambito calcistico, creando da una parte gerarchie e dall’altra generando mansioni sp-esso più di etichetta che di necessità. Ma la figura dell’allenatore e dei gioca-tori rimangono tutt’ora figure fondamentali e trainanti per questa disciplina. L’allenatore, con le sue scelte, con il suo credo calcistico e filosofia di giuoco, con le sue decisioni e atteggiamenti, è da sempre al centro di ogni discus-sione. E’ il personaggio generante delle controversie di colloquio calcistico

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delle persone e situazioni sopracitate. E’ pomo di discordia o di approvazi-one da sempre. Escludendo le sue capacità di conduzione tecnico tattiche, in questi ultimi anni, la situazione che dà più risalto ad esso è decisamente la capacità di comunicare. Ogni situazione, ogni contesto dove l’allenatore deve interagire, c’è la necessità di trasmettere in modo modulato una adeguata comunicazione. In primis, l’unica necessità che un allenatore doveva tras-mettere, erano le sue competenze lavorative identificabili in tecnico tattiche e morali alla propria società e ai suoi giocatori. Ora, tutto questo non è più sufficiente: paradossalmente queste prerogative passano in un secondo piano dando priorità al suo personaggio, che inevitabilmente diventerà pubblico ed esposto a tutto e a tutti, e dovrà sempre interagire verbalmente con forme diverse di comunicazioni a seconda del canale comunicativo , verso i giocatori e società, oppure ai media, i tifosi, la stampa e i giornalisti, ecc.

Dunque le difficoltà nella gestione della comunicazione sono molteplici. La prima è la difficoltà nel parlare alla squadra; già parlare in pubblico, con poche unità di persone è difficile, anche parlare ad una squadra può rappresentare un elemento di difficoltà per colui che sarà il relatore o “fonte di notizie”. Se il parlare consiste in un rapporto con una sola altra persona, nel rapporto faccia a faccia si può controllare la situazione dell’altra persona. Vedi dell’altra per-sona la gestualità, i microscopici segnali emessi come la postura, le movenze, il battito e frequenza delle ciglia, il timbro di voce, tutte segnalazioni che l’altro ci fornisce. Quando ciò avviene con un elevato numero di persone, qui ci si trova ad affrontare un problema molto più complesso, oltretutto con l’handicap di non poter avere un riscontro immediato, un indispensabile feed back interattivo.

Terzo steep, in ordine di difficoltà per chi deve comunicare, lo si riscontra quando si deve comunicare avendo innanzi a sè i media ad “informazione diretta” come radio o televisione. Qui è un campo più vasto e complicato, dove ogni parola, gestualità, mimica del viso, emotività del momento, modo di porsi, ecc., viene amplificato all’ennesima potenza. Il messaggio che arriv-erà allo spettatore, tifoso o “utente”, sarà molto diretto, avendo una “cassa di risonanza” vastissima. In quest’ultima circostanza, è importante di non cadere in una tipologia di linguaggio prettamente specifica e tecnica, essendo vas-tissimo e variegata la tipologia di persone a cui arriverà la comunicazione. Il messaggio dovrà abbracciare quindi tutte le classi sociali, di facile comprenso-rio nella terminologia e nella consistenza del pensiero elaborato.

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INDICE

PREFAZIONE

INTRODUZIONE

CHE COS’È LA COMUNICAZIONE

LA COMUNICAZIONE NEL CALCIO

IL GRUPPO E SUE DINAMICHE

L'ALLENATORE E LA SUA SQUADRA

IL RUOLO DELL’ALLENATORE

LA LEADERSHIP ALL’INTERNO DI UN GRUPPO

LEADERSHIP

IL RAPPORTO TRA L'ALLENATORE E LA SQUADRA

L’ALLENATORE E LA COMUNICAZIONE

GESTIRE I CONFLITTI E STIMOLARE L’ANTAGONISMO

COMUNICARE DURANTE LA PARTITA LA FASE PRE-GARA LA COMUNICAZIONE DALLA PANCHINA LA COMUNICAZIONE DURANTE L’INTERVALLO LA COMUNICAZIONE A FINE GARA

IL MIO ALLENATORE IDEALE

CONCLUSIONI

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PREFAZIONE

Secondo il mio pensiero un allenatore deve saper identificarsi in una giusta dimensione, svolgere e interpretare il proprio ruolo, seguendo una sana in-tegrità morale da uomo e avendo la piena consapevolezza di essere sorretto e definito da un carisma innato, da una forte personalità e da una leadership donatagli da coloro che gravitano attorno a lui.

Allora si,.. penso che ci siano i crismi giusti e i requisiti per poter affrontare questa avventura professionale e gioco forza avventura di vita, con consape-volezza di poter fare e di far fare al meglio le cose in cui si crede, senza con-venevoli influenze a scapito della propria coerenza ideologica.

Molti sono gli errori che un allenatore può commettere: quello più ricorrente, specie all’inizio del suo percorso professionale e della sua carriera, è che trop-po spesso il calcio si maschera con la sola passione....l’indole di esercitare il potere sugli altri, anzichè esprimere le immense capacità creative che il calcio può stimolare!!

Molti, con un frettoloso “copia & incolla” cercano di emulare le gesta tattiche e tecniche di colleghi senza avere la chiave del perchè si effettuano determinate situazioni ed esercitazioni...

Molti addirittura “scimmiottano” copiando parole, definizioni e atteggiamenti da colleghi molto affermati, dove questi hanno fatto scuola per la loro originalità del ruolo e ciò che fanno fà parte del loro copyright, sottovalutando l’intelligenza dei giocatori e degli addetti ai lavori, che immediatamente si accorgono della “brutta copia” e bocciano, prima ancora dal suo ruolo dall’allenatore, l’uomo che è, marcandolo professionalmente in negativo a vita!

Detto questo, vi spiego il perchè ho deciso di svolgere questa tesi, su questo specifico argomento. Tutto nasce da una battuta furba e provocatoria di Mister Renzo Ulivieri alla fine di una sua lezione di Tecnica e Tattica calcistica. Egli, difatti, nel sincerarsi di coloro che hanno in chiaro il proprio argomento di tesi dopo aver sondato le idee degli allievi corsisti disse: “vedo che non sono tanti coloro che hanno scelto un argomento sulla tecnica e tattica calcistica, ....allora – rivolgendosi a noi in modo ironico - vorrà dire che nessun di voi vuole far l’ allenatore, l’allenatore quello vero!!!”

La cosa prima mi ha fatto sorridere....poi successivamente a distanza di tempo mi ha fatto riflettere. Sono due anni che conosco personalmente Mister Ulivie-ri, e lì ho notato la sua immensa passione, la massima capacità, conoscenza

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della materia e il suo dono d’eloquenza. Sono però anche tanti anni che seguo le sue gesta da allenatore ad altissimi livelli e soprattutto le sue interviste...specie del dopo partita, le più delicate, quelle così definite a “caldo” dove an-cora il corpo è a livelli stratosferici di adrenalina!!

Ecco, io proprio quì volevo arrivare....lui, usando un gergo televisivo, quando veniva intervistato o quando lo inquadravano che dirigeva e dava disposizioni dalla panchina, senza alcun dubbio, “bucava” lo schermo!!

Era l’allenatore che tramite la comunicazione, aveva la capacità di incantare anche i serpenti! Senza nulla togliere alle sue enormi capacità di tecnico nel dirigere le sue squadre, ma a mio parere il suo punto di forza che lo contra-ddistingueva da tutti gli altri allenatori di massima serie era proprio questa sua arte e dote innata di leadership nel confronto del gruppo, degli addetti ai lavori e nel saper comunicare sempre, in qualsiasi situazione, nei modi e nei toni giusti, dirigendo sempre a suo piacimento l’argomento da trattare. Riusciva in “codice” a inviare tramite interviste del dopo partita, messaggi ai suoi giocatori apparentemente quasi indecifrabili al pubblico, ma sicuramente era comprensibilissimo da parte dei suoi giocatori, e sicuramente indicativo su come affrontare il lavoro nella settimana successiva.

Narratovi tutto questo, come esempio, si deduce, che quanto mai, in questo calcio, di questi ultimi anni, è così fondamentale per un allenatore avere la facoltà e la piena conoscenza della scienza della comunicazione, soprattutto quando la gestione non si “limita” ad un gruppo di giocatori, ma ad un entou-rage di numero e di competenze molto ampio.

L’apertura, la disponibilità, l’empatia, i concetti,… tutto deve essere preso in considerazione a livello di comunicazione per un allenatore, considerando cosa vana, se altrettante attenzioni da parte sempre del mister non vengono moni-torate ed elaborate tramite un riscontro del proprio operato...il cosiddetto Feedback.

Il feedback non è altro che lo strumento, dove l’allenatore ha un reale riscontro positivo o negativo del suo operato, verbale e non. Il così detto “termometro” della situazione. Qui oltre al riscontro professionale, non si scappa dai giudizi………un allenatore è l’effetto che fà...

Marco Ragnini

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INTRODUZIONE

“Tutto ciò che non si realizza nella comunicazione non esiste”Jaspers (filosofo e psichiatra tedesco)

CHE COS’È LA COMUNICAZIONE

La comunicazione è un processo di trasmissione di informazioni, da rendere noto, e di far conoscere, dove la creatività dell’essere umano riesce ad assegnare significati ad ogni cosa, creando il “sistema comunicazione” con le sue caratteristiche: l’immagina-zione, la creazione di simboli e codici.

Il concetto di comunicazione comporta un’interazione tra soggetti diversi: è costituita da un’attività che presuppone un certo grado di cooperazione. Ogni processo comu-nicativo avviene in entrambe le direzioni. A mio avviso non si può definire comunica-zione là dove il flusso di segni e di informazioni sia esclusivamente unidirezionale. Se un soggetto può parlare a molti senza la necessità di ascoltare, siamo in presenza di una semplice trasmissione “per conoscenza” di segni o informazioni.Nel processo comunicativo che vede coinvolti gli esseri umani ci troviamo così di fron-te a due polarità: da un lato la comunicazione come atto di pura cooperazione, in cui due o più individui “costruiscono insieme” una realtà e una verità condivisa; dall’altro la pura e semplice trasmissione, unidirezionale, senza possibilità di replica.Per semplificare, sono due i tipi di comunicazione:

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1 - Comunicazione sociale2 - Comunicazione interpersonale

1 - La comunicazione sociale, più nota come comunicazione di massa, viene realizzata da una o poche persone ed è rivolta a molti individui (televisione, stampa, radio, pub-blicità, utenti e riceventi).2 - La comunicazione interpersonale coinvolge 2 o più persone e si basa sempre su una relazione in cui gli interlocutori si influenzano l’un l’altro, anche quando non se ne rendono conto.

La nostra quotidianità è fatta di scambi comunicativi, relazioni più o meno intense che ci coinvolgono e che ci portano a interagire con ciò che è esterno a noi. La comuni-cazione non si svolge solo attraverso la parola: questa è, al più, uno degli elementi che caratterizzano un dialogo fra due persone. Un messaggio viene percepito da chi ascolta in modo complessivo: alla parola si associano almeno altri importanti fattori quali l’utilizzo dei toni della voce del parlante, la distanza che chi parla propone tra i comunicatori, la posizione che assume, la direzione dello sguardo, i movimenti di alcu-ne significative parti del corpo, ad esempio mani e capo. Ma l’interpretazione dipende molto dal proprio vissuto, il nostro contesto sociale ed ambientale. Per riassumere, non conta tanto ciò che si dice (comunicazione verbale) quanto come lo si dice (co-municazione non verbale).

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In mancanza della comunicazione non verbale è possibile che il nostro messaggio giunga sii a destinazione, ma pero’ sia interpretato in maniera difforme rispetto al nostro obiettivo.

Possiamo dividere quindi la comunicazione interpersonale a sua volta in:

a) Comunicazione verbale che avviene attraverso l’uso del linguaggio sia scritto che orale . Il linguaggio verbale caratterizza l’uomo rispetto a tutte le altre specie ani-mali. La parola rappresenta l’universo della nostra conoscenza, delimitando le cose di cui possiamo parlare e che possiamo comunicare ai nostri simili. La lingua determina non solo il modo in cui parliamo del mondo che ci circonda, ma anche ciò che di que-sto mondo conosciamo. I pensieri formulati nella nostra testa sono espressi in una lin-gua, e non riusciamo a pensare a cose per le quali non abbiamo parole a disposizione.

b) Comunicazione non verbale che avviene senza l’uso delle parole attraverso vari canali: mimiche facciali, sguardo, gesti, posture, andature, abbigliamento.

Il linguaggio del corpo ha una grandissima importanza nel comportamento socia-le dell’uomo. La nostra vita quotidiana si basa molto di più sul non verbale che sul verbale. Alcuni segni sono, a tutti gli effetti, parte di un linguaggio consapevolmente scelto, altri riguardano aspetti della comunicazione che possono anche non essere consapevoli, anzi il più delle volte non lo sono. Tali segni, definiti come innati proven-gono dall’istinto: arrossire o sudare, ad esempio, sono i tipici segni che smascherano una situazione di imbarazzo. Perché si possa dare l’impressione di attendibilità, tra parola e gesto non deve mai esserci opposizione: l’allenatore dovrà dunque sapersi gestire in modo consone e congruente nel portare all’unisono parole (il verbale) e gesti o movenze (il non-verbale). Questa “armonia” frà il verbale e il non-verbale, ben studiata e calcolata a priori di un discorso importante, oltre ad un ottimo grado di comunicazione nella sua efficacia, darà indiscutibilmente più credibilità al pensiero espresso dall’allenatore.

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c) Comunicazione para-verbale che riguarda soprattutto la voce (tono, volume, ritmo, velocità, timbro, dizione, cadenza), ma anche le pause, le risate, il silenzio ed altre espressioni sonore (schiarirsi la voce, tamburellare, far suoni) e il giocherellare con oggetti.

Affinché la comunicazione abbia luogo sono necessari degli elementi precisi:- L’emittente o trasmittente, è chi invia il messaggio.- Il ricevente o destinatario, è colui a cui il messaggio è rivolto.- Il messaggio, anche detto contenuto, riguarda ciò che viene comunicato e può es-sere di varia natura. - Il codice o linguaggio, (verbale, non verbale, para-verbale) riguarda il modo in cui si comunica, dando un significato convenzionale al messaggio. - Il canale, è il mezzo con cui avviene la comunicazione. - Il contesto riguarda il luogo, il momento e le circostanze in cui si comunica.- I filtri, invece, comprendono tutto ciò che disturba, altera o più raramente facilita la comunicazione; possono essere sia filtri fisici (rumore, brusio, volume basso della voce, silenzio) che psicologici (aspettative, bisogni, pregiudizi, vissuti emotivi). Mentre i filtri fisici sono più facilmente gestibili, quelli psicologici sono più complessi da evitare proprio perché sono quasi sempre inconsapevoli.

Gli elementi della comunicazione agiscono in modo circolare perché il ricevente, se risponde, diventa a sua volta emittente e il processo continua fino al termine della conversazione. Fondamentale, però, affinché la comunicazione sia efficace e perfor-mante, è che l’emittente e il ricevente abbiano in comune lo stesso codice per potersi capire. La comunicazione interpersonale è sempre coinvolgente, in quanto produce, a breve o a lungo termine, effetti psicologici che possono essere positivi o negativi, ma mai indifferenti. Inoltre, nel rapporto comunicativo, gli interlocutori stabiliscono, man mano che la comunicazione va avanti, la natura della loro comunicazione: confiden-ziale o formale

Ma quali sono i presupposti per poter comunicare in maniera efficace?

Innanzitutto, occorre ascoltare in modo attento, empatico ed interessato; è neces-sario osservare e valutare la comunicazione non verbale e comprendere le pause di silenzio, sapendole gestire. Bisogna imparare ad accettare tutto ciò che l’interlocutore dice, anche quando contrasta con le nostre opinioni; e, ovviamente, essere realmente disponibili a comunicare senza imporsi in nessun modo, considerando l’interlocutore come persona degna di essere ascoltata.

Ascoltare implica competenze logiche per individuare le idee centrali del discorso, identificare dettagli e approfondimenti, cogliere le connessioni esplicite ed implicite, ricordare gli argomenti, al meno quelli principali e fare mentalmente una sintesi di tut-to ciò che si è stato ascoltato. Avere dunque una empatia, ovvero il riuscire a vivere lo stato d’animo di chi sta parlando ma con la dimensione del “come se” fosse il proprio.

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Essere empatici vuol dire saper condividere i sentimenti di un’altra persona, sia nega-tivi che positivi. È maggiormente empatico chi ha fatto molte esperienze relazionali, non è emotivamente rigido e sa osservare il linguaggio non verbale.

Esistono dei fattori che facilitino le conversazioni, uno è sicuramente la motivazione a comunicare che può essere dovuta al solo desiderio di essere ascoltati. Se la mo-tivazione è assente, la comunicazione si blocca sul nascere. Se è scarsa, fa fatica ad andare avanti, creando tensioni o incomprensioni. Tuttavia, anche una motivazione eccessiva è disturbante, in quanto chi ascolta potrebbe non avere voglia in quel mo-mento di comunicare o di trattare quel determinato argomento. In genere, solo se la motivazione iniziale è discreta, il desiderio di comunicare tende ad aumentare pro-gressivamente.Un’altra condizione fondamentale per comunicare in modo efficace è l’autenticità, in-tesa come la reale disponibilità verso gli altri. Essere autentici vuol dire saper esprime-re pensieri ed emozioni con semplicità e sincerità facendosi così conoscere dall’altro per quello che effettivamente si è, si pensa e si prova.

Anche l’attenzione ai bisogni degli altri, l’assenza di pregiudizi e l’attitudine a rapporti sociali aiutano poiché consentono di apprendere vari stili di comunicazione che arric-chiscono sul piano dell’esperienza e delle conoscenze. È bene evitare sempre il fingere di ascoltare e inviare messaggi che mostrano invece noia o indifferenza per ciò che l’interlocutore sta dicendo (espressioni del volto, tono di voce, scarso controllo visivo, risposte per tentativi, frequenti distrazioni, cambiamenti di discorso).

LA COMUNICAZIONE NEL CALCIO

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Nel mondo del calcio si va sempre più sviluppando la variabile comunicazione quale fattore determinante per raggiungere il risultato di una prestazione. Infatti, conside-rato che la prestazione è il risultato di motivazione più apprendimento, il successo dell’apprendimento tecnico si è spostato sull’interazione allenatore-calciatore.

L’incontro tra allenatore e calciatore avviene attraverso il reciproco scambio d’informa-zioni: il primo vede e il secondo sente. La capacità di entrambi di confrontare e unire questi due aspetti dell’interazione, porta all’apprendimento. Ma non c’è apprendimen-to senza comunicazione e non c’è comunicazione senza apprendimento.

Ciò significa che il giocatore e l’allenatore imparano a comunicare e a relazionarsi osservando se stessi e gli altri, riconoscendo il linguaggio delle emozioni, imparando le proprie distorsioni nella comunicazione ed esprimendo i propri sentimenti e le pro-prie opinioni. A tal punto s’inserisce facilmente il concetto di cultura calcistica, dove per cultura intendiamo la presa di coscienza, la mentalità, l’educazione, il sapere e il rispetto, quali motivazioni trainanti da condividere.

I problemi più importanti che si riscontrano a livello comunicativo riguardano so-prattutto le difficoltà comunicative tra allenatori e giocatori, o tra giocatori/allenatori e società. In questi casi è fondamentale, specialmente ad inizio stagione, delineare i rispettivi ruoli ed i confini tra gli stessi: un dirigente non potrà mai sostituirsi all’alle-natore e viceversa un allenatore non dovrà confondersi con ruoli dirigenziali. Un buon allenatore deve saper comunicare con i propri giocatori, deve conoscere la personalità degli stessi e relazionarsi a loro, individualmente, proprio in relazione a queste diffe-renze individuali. Con il gruppo deve saper comunicare in maniera “assertiva”, senza essere né troppo passivo, né troppo aggressivo, giustificando le proprie scelte, coin-volgendo i propri atleti in determinate decisioni. In più, comunicazione non Verbale è molto importante ed un buon comunicatore, oltre a saper ascoltare, deve saper ge-stire al meglio il silenzio, le pause, la gesticolazione, l’uso dello spazio e del contatto corporeo.

L’allenamento della comunicazione di gioco nel calcio nasce dalle difficoltà che spesso s’incontrano sui campi e che sfociano in incomprensioni e giudizi superficiali e poco sereni che accompagnano una partita di calcio. Tutto questo perché nel fantastico e poliglotta campo di gioco il verbo utilizzato, la grammatica e sintassi non sono com-prensibile a tutti. I segnali, le informazioni che i giocatori percepiscono e che devono elaborare sono molteplici, occorre dunque offrirgli un lessico comune fatto di segnali, semplici comprensibili e riproducibili che permetta loro di comunicare serenamente, come due amici che s’incontrano al bar. Questo significa, organizzazione, partecipa-zione attiva, accettazione dei propri limiti, disponibilità al cambiamento. Come ogni al-tra abilità la comunicazione può essere migliorata attraverso l’esercizio raggiungendo livelli che si relazionano alla quantità qualità e frequenza degli stimoli nonché proprio perché si tratta di abilità alle capacità individuali.

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Le sedute di allenamento offrono a tal riguardo una occasione unica per poter miglio-rare la comunicazione di gioco in quanto solo in questo contesto si possono ricreare quelle situazioni di crisi comunicativa che verranno con probabilità a verificarsi nel corso dell’incontro. Il campo e le situazioni che l’allenatore saprà creare per i propri giocatori sono quindi le condizioni funzionali per sviluppare una coerente ed affidabile comunicazione di gioco.

Per l’allenatore si tratta quindi di mettere in atto le proprie concezioni tattiche favoren-do e stimolando negli esclusivi protagonisti del gioco ovvero i giocatori quella serie di relazioni verbali e non che solitamente vengono indicate come affiatamento. L’allena-tore dovrà fungere da catalizzatore al fine di mettere in relazione almeno 12 soggetti (lui più gli undici giocatori) cercando di creare un codice comune di comunicazione tale da far fronte con successo alle situazioni via via variabili del gioco.

In un rettangolo di gioco durante lo svolgimento di una partita di calcio assistiamo a molti segnali visivi e sonori, quali i suggerimenti tattici impartiti dall’allenatore, il fischio del direttore di gara, le segnalazioni dell’assistente dell’arbitro nonché i sugge-rimenti continui tra i giocatori.Ma soprattutto esistono messaggi e segnali non verbali che scaturiscono da gesti tecnici e situazioni tattiche che sono fondamentali in tutti gli sport open-skill. La

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comune pratica e le tante partite, ovvero tutte le esperienze calcistiche favoriscono questo processo di comunicazione attiva, ma è sicuro che allenamenti specifici e mi-rati, possano favorirlo, svilupparlo ed ottimizzarlo alla stessa stregua di come si allena una qualsiasi altra componente della prestazione. Considerando che esistono due fasi principali nel gioco del calcio quella di possesso e quella di non possesso di palla, andremo ad analizzare la prima, in quanto indispensabile affinché una squadra voglia prevalere sull’altra cioè vincere.

Un buon allenatore non può fare a meno di curare ed approfondire il fondamentale ambito del linguaggio, specialmente per quanto concerne le strategie comunicative all’interno del rapporto con i calciatori, i mass-media ed i tifosi.

Oggi è di grande attualità parlare di comunicazione efficace; d’altra parte dalla capa-cità o meno di comunicare dipende gran parte del successo personale e di ciò che si rappresenta. Questa prerogativa è parte essenziale del bagaglio culturale che l’allena-tore deve possedere per essere nella condizione di operare in modo proficuo.La comunicazione tra allenatore, “emittente”, ed i calciatori, i dirigenti, i mass-media, i “riceventi”, comprende l’insieme di scambi verbali, para-verbali e non verbali che si instaura in modo autoritario ed unidirezionale oppure in modo democratico e modu-lare-circolare in un processo dinamico ricco di feedback.

IL GRUPPO E SUE DINAMICHE

Parlando di gruppo, è bene tener presente che esso costituisce un insieme di elementi coordinati tra di loro in modo da formare un unico complesso, soggetto a regole e dinamiche ben determinate. La prima fondamentale conseguenza di questo assunto è che se si agisce anche su di un solo elemento, si influenzano anche tutti gli altri. E’ per questo motivo che, nell’ambito calcistico, per comunicare in modo efficace, l’allenato-re, oltre a curare le tecniche comunicative, deve essere in grado di dimostrare sincero ed autentico interesse per il gruppo/squadra così come per ogni singolo calciatore.

L’ALLENATORE E LA SUA SQUADRA

Una frase molto significativa ed esplicita, che indubbiamente non può altro che scuo-tere e stimolare un allenatore è: “I BURATTINI SONO CONTENTI QUANDO IL BURATTINAIO SA COSA FARE…..”

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IL RUOLO DELL’ALLENATORE

L’allenatore è colui che rappresenta il modello da imitare, colui che premia, colui che punisce, colui che motiva. La professione di allenatore è fatta di passione, intuizione e tecnica, un insieme di capacità e doti personali difficili da decifrare, che ne fanno un vero e proprio manager. Un allenatore deve avere competenza, qualità ed intelligenza, carisma e abilità nel fare squadra , tanto da essere considerato un’artista o addirittura un “mago” per le vittorie conseguite. In tutti gli sport l’allenatore é certamente una fi-gura basilare, sia per quanto riguarda la preparazione fisica dell’atleta, sia per quanto concerne il supporto psicologico di cui ogni sportivo sente la necessità.

L’allenatore si occupa principalmente degli aspetti tecnici e strategici delle performan-ces agonistiche degli atleti, ma il suo ruolo di leader in seno alla squadra che dirige. Ciò sta a significare che egli si ritrova ad essere un punto di riferimento ed un modello di identificazione per i suoi ragazzi, sia sul piano agonistico che su quello umano. L’allenatore è colui che rappresenta il modello da imitare, colui che premia o punisce, colui che motiva. Racchiude in sè vari ruoli.- Insegnante: per trasmettere conoscenza e insegnare nuove competenze;- Programmatore: l’allenatore deve programmare la propria attività pianificando gli obiettivi che deve perseguire e trasmettere alla propria squadra;

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- Motivatore: deve continuamente stimolare i giocatori cercando di conoscere la parti-colarità del carattere, delle personalità e della psicologia. Deve dare sempre la spinta positiva. - Osservatore: deve sempre prestare attenzione a tutto ciò che riguarda il proprio gruppo sia individualmente e sia collettivamente, saper osservare ed interpretare il torno della voce, gli sguardi, l’espressività e la gestualità dei ragazzi permetterà al mister di interpretare i vari stati d’animo della squadra. - Consigliere: saper ascoltare e creare un clima favorevole alla comunicazione dando un senso di fiducia a chi si appresta a parlare. Dà consulenza e risolve le controversie;- Comunicatore: deve saper utilizzare al meglio il linguaggio verbale e quel-lo non verbale, deve avere la capacità di comunicare alla squadra in modo chiaro e semplice e concreto, che si comprenda facilmente e che vada du-retto al senso del concetto che si vuole esprimere.- Leader: dà una filosofia , impone disciplina ai giocatori.

Suo compito è di sviluppare un senso di appartenenza (la coesione) tra gli atleti, per-ché si sentano una forza unica, pur definendone i ruoli e i compiti individuali. Egli, nel delineare l’identità tecnica di ciascun atleta, fissa gli obiettivi comuni, le norme e le regole che tutti devono rispettare. Appare evidente la necessità di una buona forma-zione psicologica dell’allenatore al quale viene richiesto un alto livello di maturità e un buon equilibrio psichico che possa garantirgli una consapevolezza e il controllo delle proprie e altrui dinamiche affettive.

Qualunque livello esso alleni, fondamentali sono tre caratteristiche che un buon alle-natore deve avere: la coerenza, la competenza e la capacità di comunicare.

La competenza è un elemento fondamentale che passa attraverso le conoscenze calcistiche di comportamenti e gestualità tipiche del gioco del calcio. Inoltre deve ave-re abilità nell’allenare: i comportamenti tipici del calcio, le gestualità del calciatore, il strumenti adeguati e strategie di gioco devono essere il suo pane quotidiano!

Un’altra caratteristica da considerare in un allenatore è il suo carisma. E’ probabil-mente il parametro più importante insieme all’abilità. Un allenatore carismatico riesce a caricare i giocatori e mantenere alto il morale dello spogliatoio e lo spirito di squa-dra, ottenendo rendimenti più elevati dai giocatori durante la partita.

Ma nel gioco del calcio, alla fine, c’è chi gioca e chi non gioca. Ecco dove il mestiere di allenatore, invece di amalgamare, divide. Fare squadra, in questo caso, vorrà dire escludere inevitabilmente qualcuno. L’allenatore dovrà sempre rendere conto a qual-cuno; come in una sorta di piramide, una gerarchia, egli ha potere sulla squadra ma deve sempre sottostare a quanto i suoi superiori gli chiedono.

Questo è spesso un problema, perché non sempre ai livelli più alti della gerarchia vi corrispondono competenze maggiori, in una sorta di sistema aziendale alterato dove i

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presidenti o i direttori generali hanno poche competenze specifiche o hanno interessi diversi da quelli prettamente sportivi. L’allenatore quindi, dovrà sempre saper intera-gire e sensibilizzare coloro che fanno parte del team (società, famiglie, tifo, stampa, calciatori…).

Ecco infine il ruolo di catalizzatore che l’allenatore riveste.Elemento in grado di velocizzare i processi di crescita, non solo calcistici, ma anche e soprattutto all’interno dei rapporti che esistono tra le varie figure che gravitano attorno ad ogni realtà. La società, con i dirigenti, la stampa, i giornalisti, le famiglie. L’allenatore è al centro di tutte queste entità ed ha il dovere di cercare di capirle e farsi capire, di guidarle, di trasmettere la proprio filosofia di lavoro e di far crescere il tutto.

Può avere diversi stili di allenare, ognuno con i suoi pro ed i suoi contro, ma le ca-ratteristiche fondamentali che rendono un allenatore vincente, sono: l’ efficacia ed il rispetto, un allenatore molto organizzato deve pianificare tutto in anticipo; compren-dere ed apprezzare i punti forza e le debolezze di ogni singolo giocatore; si deve pre-occupare di vincere, ma si deve anche concentrare scrupolosamente sulla prestazione dei giocatori.

Chi si appresta ad diventare allenatore dovrebbe ispirarsi sempre e non copiare i grandi per capirne qualità e metodo di coaching, più idonee al suo carattere, ma un allenatore deve soprattutto saper comunicare in modo naturale rimanendo sempre positivo e propositivo. Un allenatore, deve essere un continuo perfezionista, non tol-lerare i possibili errori propri e dei suoi giocatori, essere sempre insoddisfatti, sono caratteristiche che questo ruolo potrebbe assumere. Un’efficace comunicazione interpersonale può sciogliere le tensioni che possono in-sorgere tra atleta ed allenatore createsi in un contesto di scarsa attenzione e di ascol-to superficiale. Ecco perché un buon allenatore oltre alla buona preparazione tecnica, deve assolutamente avere una certa sicurezza personale che gli permetta di impron-tare il suo allenamento prima sulle esigenze umane e poi sull’obiettivo della vittoria.

LA LEADERSHIP ALL’INTERNO DI UN GRUPPO

Ogni gruppo ha bisogno di un condottiere, qualcuno che sia in grado di fissare de-gli obiettivi da raggiungere, di guidare gli individui attraverso un percorso scelto e di comprendere quali abilità e quali caratteristiche ogni componente può mettere a servizio della collettività. Nel compiere questa delicata operazione l’allenatore dovrà porre attenzione e mantenersi sempre equidistante tra le esigenze del team e quelle del singolo, perché un individuo frustrato nelle proprie ambizioni difficilmente potrà essere utile alla causa.

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LEADERSHIP

L’allenatore leader è quindi colui che guida un gruppo di persone e che viene da queste ultime seguito spontaneamente perché lo vogliono e non solo perché devono. Questo è il punto fondamentale: un allenatore diventa di successo, diventa un vero leader quando le persone lo stimano e lo ammirano. Lo seguono e non sono costrette da nessuno e da nessuna logica di gerarchia. La vera leadership, infatti, non è mai attribuita, ma è guadagnata! Non c’è titolo o posizione che tenga.

Si ha un vera leadership sul proprio gruppo non perché qualcuno dall’alto delle sua posizione gerarchica l’ha data, ma perché si è riusciti ha conquistare le menti e i cuori dei propri giocatori. Infatti la vera leadership non è legata alla posizione, ma alla per-sonalità. Il leader, trovandosi in posizione di potere, è in grado di influire sul futuro di molti giocatori, con decisione che spesso pongono problemi epici d’un certo rilievo. La leadership si basa sulla capacità di influenzare gli altri e di indurli a lavorare per il conseguimento dell’obiettivi generali dell’organizzazione.

Al leader spetta il compito di conciliare gli obiettivi generali dell’organizzazione con quelli particolari degli individui e dei gruppi che la compongono. Il cammino che l’alle-natore deve compiere per diventare leader passa attraverso due fasi distinte: la prima spinta la dà una forte motivazione, un obiettivo ben definito che lo spinge ad andare

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avanti; la seconda cercherà dentro di sé la determinazione di condurre la propria squadra verso la vittoria, verso un traguardo finale che tutti si aspettano. All’allena-tore, nella qualità di leader del gruppo-squadra, spetta il compito di sviluppare con equilibrio l’integrazione, senza però penalizzare l’individualità. Essere leader oggi consiste nel prendere decisioni ponendosi direttamente nel flusso di informazioni, di monitoraggio, di proposte e feedback che circolano in tutto il siste-ma della società. La caratteristica centrale di un allenatore leader sarà quella di riusci-re a trovare ed a trasmettere agli altri membri del gruppo la sintesi più congrua alla situazione di gioco che si sta svolgendo. Il leader è dotato di una intelligenza decisiva, semplice ed efficace, che suscita l’ammirazione dei giocatori e li carica, li dispone a seguire le sue iniziative.

Egli è capace di vedere l’essenza dei fatti, i fenomeni cruciali del calcio, da una vi-suale superiore. Si tratta di un potere carismatico innato, di una forte attrazione che non mette a disagio quanti si prodigano per lui, i cosiddetti gregari o aiutanti: essi non avvertono alcuna sottomissione, anzi provano un intenso piacere nel dare tutti se stessi affinché il capo li conduca al successo. In particolare l’allenatore occupa il posto gerarchico più alto: è colui che propone idee, influenza il gruppo, ne dirige il comportamento, la persona in cui gli altri si identificano. Conoscere e confrontarsi con il leader del gruppo è molto importante per colui che gestisce la squadra: sapendo l’idea del leader si può capire l’umore generale e adattare di conseguenza la gestione. Ciò che permette ad un individuo di rivestire il ruolo di leader è definibile come “fonti del potere”.

IL RAPPORTO TRA L’ALLENATORE E LA SQUADRA

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La squadra è intesa come gruppo di lavoro. Oggi l’allenatore deve aggiungere alla naturale preparazione tecnico-tattica, anche la conoscenza di nozioni basilari su altre discipline, quali medicina dello sport, preparazione atletica, psicologia. Ma la capaci-tà di fare squadra, di creare un gruppo, resta comunque un suo obiettivo primario e fondamentale, senza il quale ogni altra abilità rischia di rimanere vana. All’allenatore oggi, oltre a quelle tecniche, sono richieste competenze pedagogiche, organizzative, comunicative, motivazionali, gestionali. Tutte competenze di una leadership efficace.

L’allenatore è il leader istituzionale della squadra sportiva; il suo ruolo è caratterizzato da funzioni e attività varie e complesse che richiedono competenze in campo tecnico, psicologico, e presuppongono un grande equilibrio emozionale. Egli all’interno della squadra è la figura – perno su cui si incentrano e intorno a cui ruotano tutte le attività della squadra e la vita sportiva dei singoli. La sua funzione principale è sicuramente quella di utilizzare al meglio le risorse in suo possesso e col tempo a disposizione por-tare gli atleti ai massimi livelli di prestazione. In quanto guida della squadra deve darsi degli obiettivi generali, il raggiungimento richiede da parte sua non solo doti tecniche ma requisiti di personalità, quali intelligenza e capacità di stabilire rapporti sociali.

Stabiliti gli obiettivi, l’allenatore deve individuare gli strumenti adatti per raggiungerli.Molto spesso si tende a ritenere che l’allenatore possa essere il vero leader della squa-dra, in quanto - di fatto - ha compiti organizzativi e di conduzione del gruppo stesso.Il vero problema però é che molto spesso l’allenatore non é riconosciuto come leader dalla squadra ed allora viene declassato al ruolo di capo, un ruolo che per essere eser-citato non richiede l’accettazione emotivo affettiva dei membri del gruppo.

Per un gruppo possedere un allenatore leader dal quale farsi guidare, soprattutto nei momenti difficili, é di vitale importanza per arrivare ad ottenere i risultati che il gruppo stesso desidera raggiungere. Il leader é l’elemento che aiuta a valorizzare le potenzialità dei singoli: il fulcro, intorno al quale, le varie individualità si fondono nella ricerca di quello spirito cooperativo che é ingrediente essenziale per il successo di una squadra di calcio.

Chi ha più possibilità di essere riconosciuto come leader deve avere un personalità particolare. Questo tipo di soggetto deve possedere prima di tutto un buon livello di autostima. Essere consapevole del suo valore come persona. Il ruolo dell’allenatore deve contemplare delle abilita di comando e direzione, quindi deve essere un capo, saper dare delle direttive, avendo delle mete premeditate da raggiungere.

L’autorità é una caratteristica determinante nella gestione del gruppo. Essa per poter essere positivamente esercitata, evitando di tradurla in autoritarismo, deve da prima venir riconosciuta dal gruppo stesso. Il riconoscimento dell’autorevolezza e della com-petenza del tecnico da parte del gruppo è la condizione indispensabile perché possa venir accettato come leader. In pratica l’allenatore deve conquistarsi prima di tutto la fiducia, dopo di che il gruppo scegliere di farsi guidare da lui.

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L’ALLENATORE E LA COMUNICAZIONE

Tutta la conoscenza del mondo non è supportata dalla capacità di comunicare con gli altri, anche nel calcio. Tanto è importante la capacità di farsi capire da essere un pre-supposto essenziale per poter essere un buon allenatore. Non è sempre facile riuscire a trasmettere correttamente il nostro pensiero, le nostre intenzioni e il nostro sapere attraverso parola, intonazioni, gesti ed atteggiamenti. Non sempre infatti ciò che all’e-sterno viene percepito corrisponde a ciò che vorremmo comunicare.

Anche nello sport però la disponibilità verso l’altro e la capacità di osservare gli altri e le loro interazioni con noi sono competenze determinanti del buon allenatore comu-nicatore sempre a cogliere le azioni e le reazioni di chi ci sta attorno. Queste azioni e reazioni nostre e degli altri prendono il nome di retroazioni negative o “feedback” e hanno come vedremo un ruolo fondamentale nella nostra vita. Per comprendere l’assenza della comunicazione è utile partire dalle sue basi: chi parla emette un mes-saggio a chi ascolta che lo riceve rimandando a sua volta un feedback all’emittente che contiene la sua reazione al messaggio ricevuto. Per fare in modo che il proprio giocatore capisca bene il messaggio, l’allenatore deve scegliere il giusto codice cioè il linguaggio adeguato, il tono giusto, etc. E’ facile, sbagliando codice, fare in modo che

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il messaggio non venga percepito correttamente anche se contiene le cose più giuste del mondo. Quando poi chi ci ascolta recepisca di quello che stiamo dicendo ci viene rivelato sempre dall’osservazione attenta dei feedback di ritorno.

E’ utile dire che la capacità di ascoltare è una capacità indispensabile del buon alle-natore-comunicatore. Ascoltare bene significa sapere entrare nei panni di chi ci parla e saper leggere oltre il significato letterale delle sue parole; tale competenza si dice empatica ed è importantissima per comprendere i sentimenti dell’altro. Un buon co-municatore non può fare a meno della capacità di mettersi in discussione. La relazione con gli altri infatti ci offre mille possibilità di valutare noi stessi, le nostre razioni, le nostre scelte, le nostre capacità offrendoci tantissime occasioni di migliorare oi stessi e le nostre capacità di parlare con gli altri. E’ importante che un allenatore sia sempre consapevole di chi è, di quanto dice e di come lo dice perché nel suo lavoro anche senza volerlo trasmette informazioni, umori e valori che inevitabilmente condizionano chi le riceve e il rapporto che si crea tra allenatore e calciatore. Giova ricordare che la comunicazione tra due persone e ben differente da una comunicazione fra tre per-sone. Si passa da una comunicazione individuale a quella dettata da una dinamica di gruppo.

Nella comunicazione a due il centro dell’attenzione è la persona con la quale si inter-loquisce; nella comunicazione di gruppo il centro dell’attenzione è il gruppo nella sua totalità. Pertanto, se un allenatore nel contesto di un gruppo si rivolge ad un singolo deve sapere e ricordarsi che la sua comunicazione è sempre finalizzata al gruppo e non al singolo. E se tale allenatore desidera invece comunicare individualmente su questioni riservate deve chiedere al singolo di vederlo in separata sede.

Viviamo quindi nell’ era della comunicazione e tuttavia soltanto pochi, pochissimi ne conoscono le regole. Regole che purtroppo non vengono insegnate, se non in maniera superficiale, agli allenatori delle squadre di calcio. Nel calcio attuale la comunicativa è uno degli strumenti di lavoro essenziali e spesso fa la differenza tra professionisti, ed è al pari delle conoscenze tattiche e delle competenze tecniche. Tutto ciò che l’al-lenatore dice deve essere assolutamente compreso e ci si deve assicurare che quello che si è voluto dire corrisponde interamente a quello che si è capito dall’altra parte, che equivalgono alla stessa cosa. A questo punto la capacità di allenatore consiste nel riuscire a “leggere” particolari segnali che l’atleta gli manderà al momento della dimostrazione di ciò che gli ha comunicato.

Un allenatore quando comunica con un atleta, deve sempre ricordare che la sua pa-rola, il suo atteggiamento devono influenzare non solo il gesto tecnico, ma tutto il comportamento. Comunicare bene significa insegnare meglio, che determina un mag-gior apprendimento, e migliorare la relazione, sia a livello individuale sia di gruppo; entrambi gli aspetti favoriscono una migliore prestazione.

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GESTIRE I CONFLITTI E STIMOLARE L’ANTAGONISMO

Il piacere di far parte del gruppo, di condividerne regole e valori, è un’area che può presentare conflittualità e criticità, motivo per cui su di essa è necessaria porre una grande attenzione. Per il processo di coesione, anche il contrasto può costituire un elemento positivo, una svolta, al contrario dell’indifferenza che invece innesca perico-lose derive nella costruzione e mina le basi del progetto.

All’allenatore, nella qualità di Leader del gruppo-squadra, sviluppare con equilibrio l’integrazione, senza con ciò penalizzare le individualità. Nell’intento egli dovrà pro-cedere attraverso fasi e programmi di lavoro progressivi, compiendo molta attività di relazione sia con i singoli, sia con la squadra nel suo completo. La logica nell’in-tegrazione del gruppo di lavoro consente di gestire conflittualità e differenze, senza necessariamente risolvere tutte le questioni poste dal singolo. Stare nel gruppo ar-ricchisce l’individuo, ma allo stesso tempo, lo costringe nei limiti e nei vincoli delle altre individualità. Questo processo di accettazione sviluppa un senso di collabora-zione e di fiducia tra i membri e l’allenatore. Chi non accetta i vincoli del gruppo è fuori dalla squadra.

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All’interno della squadra però non sono rari i casi di veri e propri conflitti, più o meno sotterranei, come la situazione tipica tra titolare e riserva. Questi conflitti, poi possono essere innescati anche da processi individuali di Stima/autostima, dettati dalla man-canza di fiducia verso se o verso i compagni ritenuti scarsi.

I conflitti possono nascere da cause esterne alla squadra, come nel caso di disparità su trattamenti economici, che rischiano di generalizzare invidie e ostilità. L’allenatore che è parte razionale del gruppo, a cui è delegato il compito di integrare, vigilare, governare, mediare le posizioni e gestire gli inevitabili conflitti che si scatenano all’in-terno del team, deve cercare per quanto possibile, di tenere fuori questi motivi di conflitto esterno.

Gestire il conflitto secondo il principio del gruppo di lavoro non consiste semplicemen-te nello smussare gli angoli, l’allenatore non è un paciere, egli deve trasformare le controversie in utili interscambio nella relazione fra i membri, producendo al contem-po spinte positive al cambiamento, all’impegno, anche all’emulazione a volte, e cre-ando sviluppo attraverso la competizione anche interna all’antagonismo. Quando un Allenatore non riesce a gestire i conflitti, che inevitabilmente si creano all’interno di un gruppo, questi verranno prepotentemente a galla, infondendo tensioni, nervosismo e paure facendo scadere le abilità dei singoli, la squadra potrà anche giocare bene, con la giusta carica agonistica, ma sarà solo frenesia che diminuirà la capacità di giocate risolutive e vincenti. Nel momento in cui l’allenatore comunica la formazione, invia importanti messaggi non verbali. Se le scelte sono comprese dal gruppo e gioca chi merita, si consoliderà il carattere combattivo della squadra, quando questi contenuti non sono condivisi, allora così facendo si rischia di distruggere la coesione del gruppo nonchè demotivando il singolo giocatore che sarà escluso dalla partita.

Ogni giocatore ricerca l’autorealizzazione, potendo dare il proprio contributo al rag-giungimento dell’obiettivo del gruppo, ma se questa possibilità gli verrà negata, sen-tendosi escluso, questo abbandonerà la squadra e questa sarà la sconfitta di chi la dirige, nonostante una eventuale vittoria.

COMUNICARE DURANTE LA PARTITA

La fase pre-garaLa partita è un evento fatto di attimi in cui un allenatore dall’esterno può anticipare e migliorare i comportamenti e atteggiamenti tattici. Questo avviene per lo più attra-verso le gestualità convenzionali che si instaurano tra giocatori ed allenatore già dai primi allenamenti. Infatti, la preparazione alla gara è non solo un allenamento fisico ma anche psicologico, della sfera emotiva di ogni singolo calciatore; è un allenamento alla comunicazione tra allenatore e la squadra e tra i singoli giocatori. Tenuto conto del lavoro svolto durante la settimana, l’allenatore in questa fase ha il compito di

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spiegare gli ultimi dettagli tattici della partita (calci d’angolo, punizioni, barriera) ma, soprattutto, di creare un clima di sicurezza e tranquillità, per far quanto più possibile concentrare i giocatori sulla partita e il risultato. Ogni allenatore ha poi un proprio modo di comunicare con i propri giocatori: c’è chi preferisce rivolgersi a ciascun gio-catore singolarmente, chi a gruppi (reparti) e chi a tutta la squadra al completo con discorsi di incitamento

La comunicazione dalla panchina durante la partita

Per il tecnico così come per gli atleti, i tifosi e i dirigenti, l’inizio della gara è un mo-mento di liberazione, che l’allenatore inizia a gestire con strette di mano e sguardi decisi ai suoi collaboratori, nonché con riti abituali fatti di gesti e movimenti propi-ziatori. Ciascuno col proprio carattere, impulsivo, emotivo ed equilibrato, ogni alle-

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natore, diventa parte integrante del contesto agonistico della sua squadra. Tutte le sue espressioni verbali e non verbali dalla panchina, soprattutto nei momenti in cui la squadra si trova in difficoltà, sono importanti; più il clima in panchina e in campo risulta equilibrato, più il rendimento della squadra risulta razionale e motivato. Uno dei momenti più significativi della comunicazione durante la partita tra allenatore e giocatore avviene durante le sostituzioni; infatti a seconda degli stati d’animo più o meno sereni, il giocatore da sostituire fa capire al tecnico la sua insoddisfazione per-sonale. In questi momenti, la sfida tra tecnico e giocatore, può raggiungere la massi-ma espressione emotiva, questo anche perché essi sono osservati da tutto lo stadio e magari dagli spettatori da casa. I giudici sono molti. L’abilità dell’allenatore in questi casi sta nel saper stemperare la tensione per riprendere una comunicazione serena con il giocatore durante le successive sedute di allenamento.

La comunicazione durante l’intervallo

Durante l’intervallo il tempo a disposizione è limitato. In più i primi minuti si perdono per valutare e riequilibrare eventuali tensioni emotive e per curare traumi e contusioni. Nei minuti rimanenti l’allenatore fornisce suggerimenti sintetici di carattere tecnico-tattico, effettua eventuali sostituzioni conseguenti all’andamento della gara in atto e fornisce il dovuto sostegno morale sia al singolo sia alla squadra. Un giocatore durante l’intervallo apprende pochissime cose di quelle che dice un allenatore, e quindi è bene dare poche informazioni ma chiare, accertandosi che gli atleti le abbiano recepite. Inoltre, il mister deve tener presente che il tono di voce, la gestualità, la sicurezza nel comunicare, sono segnali importanti per trasmettere la giusta motivazione alla squa-dra e che prima della ripresa della partita, sono fondamentali pochi minuti di assoluto silenzio, da parte di tutti per ritrovare la giusta concentrazione.

La comunicazione a fine garaA fine gara, indipendentemente al risultato ottenuto, l’allenatore deve evitare qualsiasi giudizio ai giocatori, in quanto, sottoposti ancora a forti tensioni fisiche e psicologiche, rimandando alla ripresa degli allenamenti, commenti e giudizi più sereni. In caso di vittorie importanti, può elargire apprezzamenti positivi a tutti i giocatori, sia a chi ha giocato e sia a chi è rimasto in panchina sostenendo il gruppo, come manifestazioni di stima professionalità da parte dell’allenatore e dello staff.

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IL MIO ALLENATORE IDEALE

Il mio allenatore ideale ha carisma e stile, capacità dialettiche e senso dell’umori-smo, non cadendo mai nelle solite frasi di retorica. E’ colui che fà comandare il giuoco alla sua squadra, sempre, contro chiunque. E’ colui che conosce tutti i moduli di giu-oco, ma non esaspera mai l’aspetto tattico di una partita lasciando sovente via libera all’istintività dei suoi giocatori

Il mio allenatore ideale responsabilizza i calciatori, e non avrà mai bisogno di ur-lare per esercitare la propria leadership, senza agitarsi platealmente dalla panchina e stressare i suoi calciatori con continui accorgimenti, visto che un vero allenatore prepara le partite prima.

Il mio allenatore ideale non ha pupilli nello spogliatoio, perché crede nei valori della meritocrazia e costanza di abnegazione del lavoro e dei suoi giocatori

Il mio allenatore ideale non si esalta mai se la propria squadra vince, non si abbat-te se perde, e riconosce sempre i meriti e i valori dei propri avversari.

Il mio allenatore ideale cura gli interessi della propria società, senza mai perdere la propria credibilità e le sue convinzioni.

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Il mio allenatore ideale sa che solo comunicando con la massima trasparenza ed efficacia in modo sempre spontaneo, verrà sempre seguito dalla propria squadra.

Probabilmente in questo calcio di oggi cosi esasperato, specie nel sistema manageriale, così privo di ideologie e sentimenti, il mio allenatore ideale…avrebbe grandi difficoltà ad allenare!....

CONCLUSIONI

Un Allenatore che esercita la sua professione a dei livelli professionistici, ha sicura-mente le conoscenze e le capacità basilari su cui formare e costruire i giocatori della propria squadra, sia sotto il profilo tecnico, quello tattico e gestionale-logistico. Ma nella ”jungla della competizione” fra allenatori, oggi bisognerà sapersi contraddistin-guere verso gli altri colleghi, soprattutto per altre caratteristiche che deve raffigurare il Mister: sarà un allenatore più bravo e particolarmente competitivo colui che riesce a costruire e modellare le giuste motivazioni per i singoli, come membri parte inte-granti di una squadra. Ciascun giocatore ottimizzando il proprio ”io”, come giocatore e come risorsa umana, potrà offrire al gruppo un forza di coesione direzionale, atta a ottimizzare la propria performance in funzione del gruppo e all’ottenimento dello scopo prefissato, ovvero il risultato! All’Allenatore viene richiesta una notevole e scru-polosa conoscenza professionale di capacità comunicativa e gestionale del gruppo in cui opera, integrandosi a 360 gradi con il gruppo per il raggiungimento degli obbiettivi comuni, richiesti alla fonte dalla propria Società, che non dovrà mai dimenticare, che sarà essa la sua datrice di lavoro, la punta dell’iceberg, e dovrà costantemente con-frontarsi, sia per analisi positive che per quelle negative..

Quindi a far sì che tutto ciò si rendi possibile, l’importanza di una comunicazione all’in-terno di una struttura organizzativa oltre che fondamentale sarà una esigenza vitale. Lo è anche successivamente verso l’esterno (i vari media, T.V. ,carta stampata, canali informativi, ecc….), come e in quale modo sarà formulata e rappresentata per espri-mere i medesimi concetti, ma con “tonalità” di espressioni diverse , meno dirette e meno “intime” nei particolari e nelle informazioni sostanziali, gelosamente contenute e custodite in seno al gruppo. Comunicare ai propri giocatori, al proprio staff, e ai pro-pri dirigenti, le proprie idee, la propria filosofia di pensiero, usando metodo, sostanza e coerenza, sempre possibilmente in modo interattivo, in tempo reale, a mio parere questo sarà sinonimo di eletta capacità gestionale, la dimostrazione di grande equili-brio e qualità organizzativa dell’Allenatore. E’ la comunicazione a generare conoscen-za, colui che ha l’investitura del ruolo del “conduttore” ha il diritto e il dovere di farla circolare e trasmetterla questa conoscenza, in modo più esplicito e diretto possibile, confluendo inoltre un senso di appartenenza e fedeltà professionale ad un gruppo di giocatori e ad un Team di lavoro, traspirando una giusta e equilibrata empatia costru-

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ita nel tempo verso ogni suo componente ed esaltarla come un tesoro da condividere gelosamente solo ed esclusivamente nell’ambito del suo gruppo!

Quando una squadra, un team di lavoro affiatato come lo Staff e i vari dirigenti rap-presentanti della Società, si sentono coinvolti in questa misura e con queste tecniche comunicative di metodo e di organizzazione dal loro Allenatore, allora i feedback non tarderanno ad arrivare, anzi saranno immediati e sicuramente costruttivi, permetten-do all’Allenatore di dare una continuazione a livello informativo e comunicativo.

Tutto questo è linfa vitale per Allenatore, Società e giocatori, tutti loro ne beneficiano per il proseguire dell’attività, resettando incomprensioni e dando delle certezze. Senza questa fondamentale prerogativa, tutto ciò che fà parte di un “pesante bagaglio di esperienze” di un Mister….non sarà mai tramutabile affinchè la sua squadra lo segua cecamente e veda in lui il Leader indiscusso, artefice e stratega di ogni vittoria spor-tiva e figura integra e ideologica sempre indiscussa nei confronti del gruppo e a ciò che lo circonda!

MARCO RAGINI