La centralizzazione del politrauma - Sito AcEMCMedicina d’Urgenza – 118, Azienda USL Ferrara *...

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emergency care journal organizzazione e formazione emergency care journal - organizzazione, clinica, ricerca • Anno VII numero 3 • Settembre 2011 • www.ecj.it Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore. 15 La centralizzazione del politrauma Studio della realtà ferrarese e simulazione della presenza di un protocollo concordato Luigi Melcarne, Adelina Ricciardelli # , Roberto Melandri ** , Marco Farinatti°, Alessandro Gatti°, Savino Occhionorelli * # Responsabile medico CO 118 Fe – Medicina d’Urgenza, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara ** Direttore UO Medicina d’Urgenza, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara °Medicina d’Urgenza – 118, Azienda USL Ferrara * Dipartimento Scienze Chirurgiche, Anestesiologiche e Radiologiche, Sezione Clinica Chirurgica – modulo operativo Chirurgia d’urgenza, Azienda Osp. Universitaria Sant’Anna, Ferrara In un periodo in cui si chiede a tutti uno sforzo complessivo a un utilizzo più razionale degli ospedali, delle risorse e dei dipartimenti di emergenza, la centralizzazione – invio diretto del giusto paziente al giusto ospedale nel giusto tempo – permette una ottimizzazione delle risorse e una migliore gestione dei pazienti. In questa trattazione abbiamo studiato lo stato della centralizza- zione nella realtà ferrarese in cui un protocollo di centralizzazione è oggi in fase di introduzione. Lo studio ha mirato a simulare la realtà qualora il protocollo fosse stato già attivo negli anni 2008 e 2009. I risultati hanno confermato non solo che un numero importante di pazienti con caratteristiche tali da richiedere un trattamento presso CTZ di Ferrara fossero invece stati indirizzati primariamente verso PST, ma anche come, SINTESI viceversa, all’Arcispedale Sant’Anna siano giunti dalla periferia al- cuni pazienti che non necessitavano di trattamenti avanzati. La letteratura evidenzia i vantaggi di una corretta centralizzazione per i pazienti politraumatizzati; lo studio, incentrato sulla realtà estense, dimostra altresì che la redazione di protocolli concordati che guidino gli operatori sanitari nella scelta della corretta destinazione del paziente politraumatizzato non comporterebbe un iperafflusso al centro hub di riferimento, ma piuttosto una migliore organizzazione complessiva dei servizi, con equa ripartizione tra hub e spoke. Nel soccorso extraospedaliero velocità non sempre è sinonimo di garanzia di sopravvivenza; ciò è tanto più vero nel caso del poli- trauma in cui, ancor più del tempo, assume importanza la qualità delle cure. Introduzione A tutt’oggi manca nella comunità scientifica internazionale un accordo sulla definizione di “politrauma” 1 . In questa trattazione ci si atterrà alla determinazione presente nella procedura aziendale “la golden hour del politrauma”, ovvero: "paziente con una o più lesioni d'organo o apparato che, singolarmente o per effetto cumu- lativo, sono tali da determinare una possibile compromissione di almeno una funzione vitale", preferendola alla più classica defini- zione di Trentz: “sindrome da traumatismo multiplo caratterizzato da un ISS > 17, con successiva reazione sistemica che può sfociare in disfunzione di organi e sistemi vitali non direttamente interessati dall’evento traumatico” 2 , mal applicabile all’ambiente extraospeda- liero sul quale ci soffermeremo. Con più di cinque milioni di morti l’anno nel mondo e un livello di invalidità secondaria pari al doppio della mortalità, la patologia traumatica rappresenta la terza causa di morte 3 nel mondo occidentale, la prima se si considera la fascia atti- va della popolazione, ovvero compresa tra i 18 e i 40 anni 4 . In Italia i decessi annui per trauma sono circa 24.500 5 , dovuti innanzitutto a incidenti automobilistici, quindi domestici e sul lavoro 6-8 . La letteratura descrive l’evoluzione temporale della mortalità per trauma, tipicamente rappresentata da una curva trimodale carat- terizzata da tre picchi: a pochi minuti dall’evento, morti imme- diate; a poche ore, morti precoci; e a distanza di giorni o settima- ne dal trauma, morti tardive 9,10 . La complessità della mortalità per trauma ha portato alla cre- azione di indici come il Preventable Death Rate (PDR), il quale cerca di stabilire la quota di morti evitabili qualora l’assistenza al paziente politraumatizzato fosse ottimale 11,12 . Gli “errori” nell’approccio all’assistito politraumatizzato possono es- sere suddivisi in tre macrogruppi: difetti nella gestione dei tempi, nel management del paziente e infine nelle lesioni non diagnosticate 13 . In a time in which everybody’s asked a big effort to use hospitals, resources and emergency departments in a rational way, the Cen- tralization – that is sending the right patient to the right hospital at the right time – allows an optimization of the resources and a better management of medical patients. In this study we examined the actual state of Centralization in the city of Ferrara where an experimental protocol of “centralization” has been introduced. This study has the purpose of simulating reality if the protocol had been introduced in the years 2008/2009. The results confirm not only that an important number of patients that were meant to be sent to the CTZ of Ferrara where instead sent to the PST but also that, on the contrary, patients from the suburbs that didn’t require advanced treatments were sent to the Sant’Anna hospital of Ferrara. So if medical literature already points out the advantages of a cor- rect Centralization for patients with polytraumas; the study, based on the reality in Ferrara , shows how the creation of an agreed pro- tocol with the goal to guide health workers at sending polytrauma patients to the right destination , instead of creating an excessive flow th the main hub, can improve the overall organization of health services, with an equal distribution between hub and spoke. When considering First Aid not always speed and rapidity guarantee survival; this is so much more real in the case of patients with po- lytrauma, where quality of cures assumes more importance than time. ABSTRACT

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    Materiale protetto da copyright. Non fotocopiare o distribuire elettronicamente senza l’autorizzazione scritta dell’editore.

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    La centralizzazione del politrauma

    Studio della realtà ferrarese e simulazione della presenza di un protocollo concordato

    Luigi Melcarne, Adelina Ricciardelli#, Roberto Melandri**, Marco Farinatti°, Alessandro Gatti°, Savino Occhionorelli*

    #Responsabile medico CO 118 Fe – Medicina d’Urgenza, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara**Direttore UO Medicina d’Urgenza, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara°Medicina d’Urgenza – 118, Azienda USL Ferrara*Dipartimento Scienze Chirurgiche, Anestesiologiche e Radiologiche, Sezione Clinica Chirurgica – modulo operativo Chirurgia d’urgenza, Azienda Osp. Universitaria Sant’Anna, Ferrara

    In un periodo in cui si chiede a tutti uno sforzo complessivo a un utilizzo più razionale degli ospedali, delle risorse e dei dipartimenti di emergenza, la centralizzazione – invio diretto del giusto paziente al giusto ospedale nel giusto tempo – permette una ottimizzazione delle risorse e una migliore gestione dei pazienti.In questa trattazione abbiamo studiato lo stato della centralizza-zione nella realtà ferrarese in cui un protocollo di centralizzazione è oggi in fase di introduzione.Lo studio ha mirato a simulare la realtà qualora il protocollo fosse stato già attivo negli anni 2008 e 2009. I risultati hanno confermato non solo che un numero importante di pazienti con caratteristiche tali da richiedere un trattamento presso CTZ di Ferrara fossero invece stati indirizzati primariamente verso PST, ma anche come,

    SINTESIviceversa, all’Arcispedale Sant’Anna siano giunti dalla periferia al-cuni pazienti che non necessitavano di trattamenti avanzati.La letteratura evidenzia i vantaggi di una corretta centralizzazione per i pazienti politraumatizzati; lo studio, incentrato sulla realtà estense, dimostra altresì che la redazione di protocolli concordati che guidino gli operatori sanitari nella scelta della corretta destinazione del paziente politraumatizzato non comporterebbe un iperafflusso al centro hub di riferimento, ma piuttosto una migliore organizzazione complessiva dei servizi, con equa ripartizione tra hub e spoke.Nel soccorso extraospedaliero velocità non sempre è sinonimo di garanzia di sopravvivenza; ciò è tanto più vero nel caso del poli-trauma in cui, ancor più del tempo, assume importanza la qualità delle cure.

    IntroduzioneA tutt’oggi manca nella comunità scientifica internazionale un accordo sulla definizione di “politrauma”1. In questa trattazione ci si atterrà alla determinazione presente nella procedura aziendale “la golden hour del politrauma”, ovvero: "paziente con una o più lesioni d'organo o apparato che, singolarmente o per effetto cumu-lativo, sono tali da determinare una possibile compromissione di almeno una funzione vitale", preferendola alla più classica defini-zione di Trentz: “sindrome da traumatismo multiplo caratterizzato da un ISS > 17, con successiva reazione sistemica che può sfociare in disfunzione di organi e sistemi vitali non direttamente interessati dall’evento traumatico”2, mal applicabile all’ambiente extraospeda-liero sul quale ci soffermeremo. Con più di cinque milioni di morti l’anno nel mondo e un livello di invalidità secondaria pari al doppio della mortalità, la patologia traumatica rappresenta la terza causa di

    morte3 nel mondo occidentale, la prima se si considera la fascia atti-va della popolazione, ovvero compresa tra i 18 e i 40 anni4. In Italia i decessi annui per trauma sono circa 24.5005, dovuti innanzitutto a incidenti automobilistici, quindi domestici e sul lavoro6-8.La letteratura descrive l’evoluzione temporale della mortalità per trauma, tipicamente rappresentata da una curva trimodale carat-terizzata da tre picchi: a pochi minuti dall’evento, morti imme-diate; a poche ore, morti precoci; e a distanza di giorni o settima-ne dal trauma, morti tardive9,10.La complessità della mortalità per trauma ha portato alla cre-azione di indici come il Preventable Death Rate (PDR), il quale cerca di stabilire la quota di morti evitabili qualora l’assistenza al paziente politraumatizzato fosse ottimale11,12.Gli “errori” nell’approccio all’assistito politraumatizzato possono es-sere suddivisi in tre macrogruppi: difetti nella gestione dei tempi, nel management del paziente e infine nelle lesioni non diagnosticate13.

    In a time in which everybody’s asked a big effort to use hospitals, resources and emergency departments in a rational way, the Cen-tralization – that is sending the right patient to the right hospital at the right time – allows an optimization of the resources and a better management of medical patients.In this study we examined the actual state of Centralization in the city of Ferrara where an experimental protocol of “centralization” has been introduced.This study has the purpose of simulating reality if the protocol had been introduced in the years 2008/2009. The results confirm not only that an important number of patients that were meant to be sent to the CTZ of Ferrara where instead sent to the PST but also

    that, on the contrary, patients from the suburbs that didn’t require advanced treatments were sent to the Sant’Anna hospital of Ferrara.So if medical literature already points out the advantages of a cor-rect Centralization for patients with polytraumas; the study, based on the reality in Ferrara , shows how the creation of an agreed pro-tocol with the goal to guide health workers at sending polytrauma patients to the right destination , instead of creating an excessive flow th the main hub, can improve the overall organization of health services, with an equal distribution between hub and spoke.When considering First Aid not always speed and rapidity guarantee survival; this is so much more real in the case of patients with po-lytrauma, where quality of cures assumes more importance than time.

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    Volendo ridurre al minimo la quota di morti evitabili dovute a dismanagement dei tempi di gestione (24% del PDR) pre- e in-traospedalieri (rispettivamente 9% e 15% del totale dei decessi evitabili), per anni si è affermato tra gli operatori del soccorso al politrauma il concetto di golden hour16-17: “vi è un’ora d’oro tra la vita e la morte. Se sei un paziente politraumatizzato in stato criti-co ti restano circa 60 minuti per sopravvivere. Potresti anche non morire durante questo tempo, ma dopo tre giorni o due settima-ne, ma qualcosa di irreparabile è accaduto al tuo corpo” (Cowley, 1976)18. Sebbene diffusamente accettata, questa teoria non è mai stata scientificamente dimostrata dalla letteratura19. Oggigiorno è più corretto intendere la golden hour non come un limite tempo-rale categorico di 60 minuti entro il quale sottoporre il paziente alle cure del caso, ma come filosofia di lavoro che spinga l’opera-tore sanitario ad attivare tutte quelle procedure e quei protocolli che permettano un più rapido accesso alle cure definitive per il paziente20. Ovvero, come sintetizzava nelle sue “tre R” Trunkey: “get the Right patient to the Right hospital in the Right time”21, por-tare il giusto paziente, nel giusto ospedale, nel giusto tempo. Nel soccorso extraospedaliero velocità non sempre è garanzia di sopravvivenza; ciò è tanto più vero nel caso di politrauma in cui, ancor più del tempo, assume importanza la qualità dell’as-sistenza sanitaria22-24.

    Organizzazione dei SIAT (sistema integrato assi-stenza al trauma) L’assistenza al paziente politraumatizzato è garantita in Emilia Romagna da un sistema dell’emergenza-urgenza costituito da25:• sistema di allarme sanitario dotato di un numero telefonico

    di accesso breve e universale (CO 118)• sistema territoriale di soccorso;• servizi e presidi ospedalieri collegati in rete secondo un mo-

    dello hub & spoke26.Le risorse umane, i mezzi e le strutture che compongono il siste-ma vengono connesse in rete per assicurare un’assistenza tempe-stiva ed efficace delle emergenze-urgenze dal territorio alla defi-nitiva collocazione del paziente. Questo modello organizzativo richiede l’integrazione dei diversi servizi e strutture e una for-mazione specifica e interdisciplinare del personale sanitario27.La rete, attorno alla quale si sviluppa il servizio di assistenza all’emergenza-urgenza, si realizza secondo un modello hub & spoke28 nel quale l’ospedale hub (solitamente un CTS) farà da centro di riferimento per gli spokes periferici con i quali reste-rà strettamente interconnesso. Tra gli spokes vi potranno essere alcuni che per le loro peculiarità e per la presenza di alcune specializzazioni assumono la duplice veste di spoke per l’hub principale e di hub rispetto agli ospedali periferici di zona29,30.In un sistema siffatto, le più alte specialità e professionalità vengono concentrate all’interno dell’hub di riferimento con ot-timizzazione dell’offerta sanitaria e una migliore gestione delle criticità31-33.Una simile organizzazione richiede l’attivazione di protocolli di cen-tralizzazione che guidino l’operatore sanitario nella scelta dell’ospe-dale di destinazione più appropriato al trattamento del paziente.La regione Emilia-Romagna è divisa in tre SIAT indipendenti: Emilia Orientale, Emilia Occidentale e Romagna).All’interno di ciascuno è possibile individuare tre diverse tipo-logie di ospedale:1. CTS (Bologna Osp. Maggiore per il SIAT Emilia Orientale)

    che funge da hub per tutti gli ospedali di zona e nel quale sono concentrate le più alte specializzazione per il tratta-mento dei pazienti politraumatizzati – hub di riferimento.

    2. CTZ (due per il SIAT Emilia Orientale, Ferrara e Modena) ovvero centri in grado, grazie alla presenza di alcune alte specializzazioni, di trattare alcuni casi di traumi maggiori – con veste di spoke rispetto a Bologna ma di hub per i PST delle rispettive province.

    3. PST ovvero tutti gli ospedali maggiori in cui non dovrebbero essere inviati i pazienti politraumatizzati se non in particola-ri casi di necessità.

    Materiali e metodiL’importanza della centralizzazione già evidenziata dalla lettera-tura e la prossima attivazione di un protocollo di centralizzazio-ne per la provincia di Ferrara, redatto tenendo conto delle linee guida più recenti, ci ha spinto ad analizzare la realtà ferrarese, ricercando i dati sui pazienti politraumatizzati nei territori che fanno capo ai PST periferici, escludendo quindi quanti fosse-ro stati vittime di gravi traumatismi in territorio di pertinenza dell’Ospedale Sant’Anna (CTZ di riferimento) e quanti fossero giunti in ospedale con mezzi propri con riferimento agli anni 2008 e 2009.I documenti utilizzati per la raccolta dati sono stati le schede paziente 118 e i referti di Pronto Soccorso degli ospedali peri-ferici, integrati, qualora deficitari, con le informazioni presenti nel sistema 118 [email protected] base delle informazioni provenienti da questi documenti si è realizzata una simulazione dell’applicazione del protocollo, in maniera identica sia per i dati pre-hospital (ovvero ricavati dalle schede 118) sia per quelli in-hospital (dai referti PS).Per ogni paziente si è compilata una scheda di centralizzazio-ne evidenziando dapprima i parametri fisiologici (quindi FR, GCS, Pa, RTS, PTS), poi i parametri anatomici, e infine i crite-ri anamnestici e di rischio, seguendo il percorso definito dalla flow-chart del “protocollo centralizzazione” e definendo quale

    Fig. 1 - Flow-chart centralizzazione per territorio, dipendenza Osp. del Delta – Lagosanto (FE).

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    sarebbe stata la destinazione dei pazienti secondo il protocollo confrontandola poi con quella reale (Figure 1 e 2).Sulla base dei documenti utilizzati, scheda 118 o referti PS, la popolazione è stata divisa in due gruppi:1. Pre-hospital – per il quale si è tenuto conto della scheda 118.

    Pazienti provenienti da aree delle provincia di Ferrara di non diretta pertinenza del CTZ Sant’Anna che negli anni 2008 e 2009 fossero giunti in ospedale con codice “2 con avviso” o “tre”. Per un totale di 187 pazienti (104 nel 2008 e 83 nel 2009).

    2. In-hospital – per il quale si è tenuto conto dei referti di Pron-to Soccorso dei pazienti prima trasportati in un distretto pe-riferico e solo successivamente centralizzati presso il noso-comio ferrarese con diagnosi di politrauma e codice di triage giallo o rosso. Il totale dei pazienti appartenente a questo gruppo è 75 (39 nel 2008 e 36 nel 2009).

    Nel complesso il numero dei pazienti presi in esame è stato di 262 (Tabella 1).

    RisultatiDallo studio della popolazione pre-hospital è emerso come nel 2008 il 51% dei pazienti sia stato indirizzato direttamente al PS di Ferrara contro un 47% destinato ai diversi spokes peri-ferici; nel 2009, invece, il 57% è giunto al nosocomio ferrarese contro il 39% destinato ai PS periferici. Una variazione quindi non statisticamente significativa ma che assume importanza se si osservano i dati dei pazienti con codice 3, quindi quelli sicu-ramente più gravi. Per questi pazienti la quota di invii primari al PS di Ferrara è passata dal 68% del 2008 all’86% del 2009, un incremento significativo che sottolinea la sensibilizzazione del personale impegnato sulla strada al tema della centralizzazione.Interessanti sono anche le informazioni che risultano dai refer-ti di Pronto Soccorso dei pazienti trasferiti prima in uno spoke periferico e solo secondariamente trasferiti a Ferrara; i tempi di permanenza negli anni 2008 e 2009 sono sovrapponibili, ovvero:• più di 2 ore 61-63%;• tra 1 e 2 ore 31-33%;• meno di 1 ora 4-8%.Quindi un importante ritardo nell’accesso alle cure definitive.

    SimulazionePer quanto concerne il gruppo pre-hospital, realizzata la simula-zione, è emerso come (Tabella 2):• dei pazienti inviati direttamente a Ferrara (103):

    – 80 sarebbero stati ugualmente inviati direttamente a Fer-rara;

    – 21 sarebbero stati destinati a spokes periferici;– per 2 pazienti l’insufficienza di dati non ha permesso una ricostruzione verosimile;

    • dei pazienti inviati in spokes periferici (83):– 50 sarebbero ugualmente stati inviati in periferia;– 31 sarebbero stati direttamente centralizzati a Ferrara;– per 2 pazienti i dati sono risultati insufficienti.

    Riscrivendo i dati (Figura 3, Tabella 3):• Situazione reale senza protocollo:

    – 101 pazienti sono giunti a Ferrara;– 81 pazienti sono stati inviati in periferia.

    • Qualora fosse stato attivo il protocollo:– 111 pazienti sarebbero giunti a Ferrara,– 71 pazienti sarebbero giunti in periferia.

    Una differenza quindi non statisticamente significativa che sot-tolinea come l’introduzione del protocollo non comporterà un

    Fig. 2 - Flow-chart centralizzazione per territorio, dipendenza Osp. di Argenta e Cento (FE)

    Tabella 1

    Popolazione in esame.

    Pre-hospital

    In-hospital Totale

    2008 104 39 143

    2009 83 36 119

    2008 + 2009 187 75 262

    2008 2009Ferrara Spoke Ferrara Spoke

    Invio concorde 42 78% 29 59% 38 74% 21 62%Invio non concorde 11 20% 19 39% 10 16% 12 35%

    Dati insufficienti 1 2% 1 2% 1 10% 1 3%

    Tabella 2

    Gruppo Pre-hospital - Numero di accessi al centro hub o allo spokes concordante o non concordante con il protocollo.

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    sovraccarico di arrivi al PS del nosocomio ferrarese, ma solo un’ottimale destinazione dei diversi pazienti alle cure più adatte.Infine, dai dati del gruppo in-hospital, si è cercato di dare una valutazione qualitativa del protocollo di prossima introduzione. Presupponendo che un buon protocollo sarebbe stato in grado di riconoscere la maggior parte delle criticità che avrebbero ri-chiesto un diretto trasferimento al centro hub di riferimento, si è cercato di capire se i criteri fisiologici, anatomici e anamnestici presenti nel protocollo fossero sufficienti a identificare tutti i pazienti che avessero poi necessitato di cure presso il nosocomio ferrarese.Nel 66% dei casi (49 pazienti) il protocollo si è dimostrato in grado di riconoscere questi assistiti mentre nel 30% dei casi (22 soggetti) il protocollo non ha individuato questi pazienti come politraumatizzati. Per 3 pazienti la simulazione non appare ve-rosimile (Figura 4, Tabella 4).

    ConclusioniIl 30% delle morti per trauma avviene nelle prime ore dopo l’evento (morti precoci). Per limitare il numero di questi decessi si aprono due strade principali: • implementazione dei livelli professionali, tecnologici, dia-

    gnostici e terapeutici offerti dalla struttura sanitaria (nascita dei trauma center);

    • attivazione di modelli organizzativi che permettano di ri-durre il terapy-free-intervall sfruttando al meglio la golden hour del politrauma.

    Proprio tra queste seconde possibilità un elemento fondamen-tale è costituito dalla “centralizzazione” delle vittime di poli-trauma. La procedura, oltre a favorire una riduzione della mortalità e morbilità del paziente politraumatizzato, offre al sistema l’op-

    portunità di garantire una migliore riqualificazione professio-nale degli operatori del soccorso e una razionalizzazione delle risorse per l’azienda sanitaria.Coscienti dei limiti di una simulazione, abbiamo riconsiderato i singoli casi di traumatismo della provincia di Ferrara degli anni 2008 e 2009, escludendo quelli avvenuti nel territorio di perti-nenza dell’Arcispedale Sant’Anna; per ognuno abbiamo definito, seguendo i criteri della “flow chat centralizzazione” (Figura 1 e Figura 2), quella che sarebbe stata la sua destinazione qualora il protocollo fosse già stato a regime, quindi abbiamo confrontato i risultati con la destinazione reale del paziente. Preme sottolineare come l’obiettivo non fosse quello di entrare nel merito della qualità dei trattamenti; seppur sia verosimile che, essendo l’Arcispedale Sant’Anna ospedale di II livello e quindi dotato di servizi e tecnologie più avanzate, i pazienti avrebbero avuto accesso a un trattamento più specialistico, l’in-dagine non vuole verificare un differente outcome dell’assistito (sarebbe impossibile), ma solo descriverne la differente desti-nazione. • Dai dati emerge come una percentuale cospicua dei pazienti inviati in periferia (37,5%), secondo il protocollo, sarebbe potu-ta essere inviata direttamente a Ferrara.• Importante è anche il dato dei pazienti inviati in prima battuta

    Fig. 3 - Confronto tra il destino dei pazienti politraumatizzati ris-contrato nello studio e quello atteso nel caso di applicazione del protocollo.

    Fig. 4 - Analisi gruppo In-hospital - Capacità del protocollo di iden-tificare i pazienti politraumatizzati necessitanti di primario accesso al centro hub con riferimento al totale dei pazienti negli anni 2008 e 2009.

    Destinazione Situazione reale senza protocollo

    Situazione attesa con protocollo

    Ferrara 101 pazienti (80 + 21) 111 pazienti (80 + 31)

    Spoke 81 pazienti (50 + 31) 71 pazienti (50 + 21)

    c2= 1,13p = 0,2879

    Tabella 3

    Confronto tra il destino dei pazienti politraumatizzati riscontrato nello studio e quello atteso nel caso di applicazione del protocollo.

    Pazienti identificati da criteri

    protocollo

    Pazienti non identificati da criteri

    protocollo

    Dati non sufficienti

    2008 24 14 12009 25 8 2Totale 49 22 3

    Tabella 4

    Analisi gruppo In-hospital - Capacità del protocollo di identifi-care i pazienti politraumatizzati necessitanti di primario accesso al centro hub.

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    a Ferrara ma che, secondo il protocollo, avrebbero potuto avere come destinazione uno spoke periferico. La percentuale di questi pazienti è del 20%. Di fatto, questo ci permette di sostenere che l’introduzione del protocollo non dovrebbe comportare un aumento eccessivo di accessi al PS del Sant’Anna, ma piuttosto una migliore organiz-zazione complessiva dei servizi, con una equa ripartizione tra hub e spoke. Per 31 pazienti che nell’arco dei due anni sarebbero arrivati in più al PS ferrarese ce ne sarebbero stati 21 in meno, quindi con un aumento netto di sole 10 unità si scongiura il temuto sovraffollamento dei servizi di emergenza ferrarese. Il giusto paziente sarebbe trasportato al giusto ospedale senza va-riazione significativa nel numero complessivo degli accessi per i singoli PS.Nonostante il protocollo sia stato stilato sulla base di parametri ormai internazionalmente acquisiti, nel momento in cui entre-rà a regime dovrà essere sottoposto ad audit semestrali e poi annuali al fine di verificare il livello di applicazione del docu-mento, della sua capacità di identificare i casi di politrauma, del livello di over- e under-triage associato e delle eventuali migliorie da apportarvi.Sulla base dei dati del gruppo in-hospital, si è cercato di valutare l’efficacia del protocollo: si è partiti dall’assunto che un buon protocollo debba individuare la maggior parte dei casi che non possono essere trattati negli spokes periferici e che quindi ri-chiedono un trasferimento diretto all’hub Sant’Anna. Sono stati quindi presi in esame tutti i casi di traumatismo giunti al PS ferrarese con codice giallo o rosso dopo un primario accesso a PS periferici; anche per questi pazienti, basandoci sui dati dei referti PS della periferia e del Sant’Anna, è stata compilata una possibile scheda di centralizzazione. Dal confronto dei risultati con la destinazione reale è emerso che la maggioranza dei pa-zienti rientrava nei parametri del documento, con percentuali, nei due anni in esame, del 61% e del 58%. I casi invece non riconosciuti dai parametri del protocollo come politraumatismi, ma che hanno richiesto ugualmente un trasferimento, sono cor-relati per lo più a lesioni maxillo-facciali, ovvero con necessità di un consulto specialistico, e a ESA senza segni di ipertensione endocranica diagnosticata dopo indagini di imaging.Quindi si conferma una buona efficacia del protocollo nell’indi-viduare le criticità che necessitano di trattamento presso centro hub.In conclusione possiamo affermare che l’introduzione anche nella realtà ferrarese di un protocollo di centralizzazione com-porterebbe una ottimizzazione delle risorse e una migliore ge-stione dei pazienti.Nel soccorso extraospedaliero velocità non sempre è sinonimo di garanzia di sopravvivenza; ciò è tanto più vero nel caso del politrauma in cui, ancor più del tempo, assume importanza la qualità delle cure offerte.La creazione attorno all’assistito di un’isola di assistenza idonea e qualificata (come se fosse sempre in ospedale), l’ottimizzazio-ne del servizio che garantisca un continuum operativo tra le fasi intra- ed extraospedaliere, le interconnessioni tra ospedali periferici e nosocomi ad alta specializzazione che accolgano i pazienti più critici sono la risposta migliore alla necessità di im-plementazione di tutti i servizi di emergenza-urgenza.

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    “Gestione interattiva di eventi critici”: ipotesi di una nuova tecnica formativa

    Cinzia Orsini, Elisabetta Cricca, Sandro Galavotti, Marina Mazzotti, Brunella Parma, Amedeo Corsi*

    UO 118 Dipartimento di Emergenza-Urgenza AUSL Rimini (RN)*UO Anestesia Rianimazione, Dipartimento Emergenza Urgenza, Ospedale Infermi Rimini (RN)

    Nei piani di formazione sanitari, l’inserimento di tecniche che prevedono la partecipazione attiva dei discenti è una necessità stabilita dall’importanza di mantenere una professionalità elevata. Tale esigenza ha stimolato gli Autori alla creazione di un corso formativo che, privo di lezioni frontali, propone la

    messa in gioco in primis dei vari operatori, con il duplice scopo di uniformare le modalità d’intervento e ridurre il margine d’errore. I risultati di tale esperienza, confermano la validità di questa metodica permettendo l’analisi e lo sviluppo di didattiche formative alternative.

    SINTESI

    Introduzioneè noto che la professionalità di un qualsiasi operatore sanitario è determinata da tre elementi distintivi fondamentali: il possesso di conoscenze tecniche aggiornate, di abilità manuali e di ca-pacità comunicative e relazionali. Mantenere ad alti livelli l’ag-giornamento di queste caratteristiche è sempre più difficile, non ultimo per l’accrescersi continuo dei cambiamenti tecnologici e organizzativi. Per soddisfare le esigenze formative e di adde-stramento del personale sanitario della nostra UO 118 Rimini, il gruppo ha realizzato un percorso formativo che, non sfruttando lezioni frontali, prevede una combinazione di simulazioni vide-oassistite con la partecipazione di attori e/o manichini, simula-tore ECG e scenari proposti al computer. L'obiettivo del corso è indurre un contraddittorio, tra le varie professionalità in campo, su alcune problematiche di ordine organizzativo/scientifico, con lo scopo di uniformare le modalità d'intervento, fermo restando la professionalità di ognuno, l'unicità dei vari scenari e la validi-tà del concetto di "agire per principi e non sempre e comunque per protocolli".

    Materiali e metodi L’idea, nata per opera di un medico e di un’infermiera che s’inte-ressano di maxiemergenza, ha visto il coinvolgimento di colle-ghi che non si occupano solo di formazione, bensì di figure pro-fessionali con specificità precise ma variegate, tali da creare un gruppo policromo: un istruttore di PBLS e di Tecniche d'immobi-lizzazione e trasporto pazienti, al tempo stesso ottimo conoscitore di tecniche cinematografiche e informatiche, la referente della far-macia e materiali, un’istruttrice PTCH e ottima attrice. Supervisore e attento critico del frutto del nostro lavoro e medico super parte in fase di corso, il Direttore del Dipartimento Emergenza Urgenza e Responsabile Medico SET Rimini. La partecipazione attiva dei discenti, opportunamente suddivisi in gruppi di max 4/5 persone (equipaggio auto medica + equipaggio BLS) su un totale di 35 per

    ognuna delle quattro edizioni previste, è stata incoraggiata creando la “barra vitale”, una semplice banda colorata posta nell’angolo su-periore dello schermo che aumentava o diminuiva in tempo reale, in base alla correttezza o meno delle manovre degli operatori sulla scena e che indirettamente corrispondeva all’evoluzione verso la guarigione o l’exitus del paziente; la presenza della barra e la sua talvolta inesorabile caduta hanno proposto, seppur in maniera vir-tuale, la tensione affrontata nella gestione di un evento avverso. Con il materiale a nostra disposizione, macchina fotografica com-patta in grado di sviluppare filmati, il gruppo ha sceneggiato, ripre-so e doppiato i casi clinici. In considerazione della scarsa tecnolo-gia il montaggio delle singole scene, il doppiaggio, l’inserimento di suoni e selettive è stato eseguito in un secondo tempo. Le pause di discussione sono state evidenziate tramite l’inserimento di uno sfondo fisso inerente al caso. Certi che il filmato non poteva essere l’unico modello di scelta, sfruttando l’esperto informatico è nato un connubio tra vari programmi: Word, Windows Media Player e Power Point. Utilizzando Word, in base alla richiesta della platea, i vari presidi sanitari e non (zaino, monitor, aspiratore, ecc.) com-parivano sullo schermo, rendendo possibile il variare della “barra vitale” in tempo reale (Figura 1). I presidi sono stati fotografa-

    Fig. 1 - Modalità di trasferimento a richiesta di presidi da computer tutor a maxischermo.

    The inclusion of techniques that schedule the operative participa-tion of the learnes within the sanitary training plans, is a necessity due to the importance of keeping a high level of professionalism. The Authors have therefore been urged to establish a training course that, despite the lack of frontal lectures, proposes above all the per-

    sonal involvement of the various operators, for the double purpose of standardizing the intervention procedures as well as reducing the margin of error. The results of such an experience confirm the va-lidity of this method, thus allowing the testing and development of alternative educational trainings.

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    ti ed elaborati: il soggetto è stato delineato nei suoi contorni, eliminando lo sfondo o eventuali elementi aggiuntivi e in se-guito salvato in GIF (Graphics Interchange Format). Questo ha permesso il suo utilizzo nelle varie esposizioni. Per l’impiego di Word abbiamo creato fogli elettronici di dimensioni superiori alla norma, composti di diverse pagine, con possibilità di avan-zare in sinergia con l’evoluzione del caso proposto. All’atto della proiezione lo schermo è stato esteso e diviso in due parti: una visibile solo sul computer dell’operatore tutor, l’altra proiettata sul maxischermo della sala. Nella parte riservata all’operatore, sono state inserite le immagini in GIF, mentre sul maxischer-mo comparivano le immagini riguardanti la location in cui si svolgeva il caso clinico. In esecuzione di Word occorreva inse-rire filmati (ad es., tecniche di pervietà vie aeree, corretto posi-zionamento presidi d’immobilizzazione, ecc.) e file audio: si è provveduto a un collegamento specifico, senza dover uscire dal programma iniziale, caricandoli attraverso la funzione pulsante con esecuzione diretta del rispettivo formato. In questa tipologia di presentazione, la partecipazione dei discenti nella gestione in-terattiva dei casi è un elemento fondamentale ancor più risoluti-vo rispetto alla proiezione dei filmati, essendo gli stessi discenti a determinare l’evoluzione dell’evento. Questa metodologia, che può trovare detrattori in coloro che asseriscono non essere corretto focalizzare l’attenzione sull’errore per arrivare all’esatta esecuzione, ha viceversa avuto un riscontro positivo nel coinvol-gimento dei partecipanti. L’esistenza di vecchi retaggi per cui il confronto è considerato da taluni come un momento di pubblico ludibrio e non un passaggio costruttivo obbligato ha suggerito a inizio corso la proiezione dei filmati in cui il gruppo si metteva in gioco in primis producendo un coinvolgimento e un’autocritica inaspettata. La valutazione sull’idoneità dei discenti è stata fatta in corso d’opera dagli stessi tutor, tramite compilazione di una scheda valutativa articolata sui seguenti parametri:1. conoscenza dei protocolli operativi; 2. capacità d’integrazione con l’equipaggio;3. capacità decisionale;4. decisioni lesive per il paziente; il tutto su una scala di gradimento da insufficiente a ottimo, considerando l’idoneità pari al raggiungimento di almeno tre sufficienze. I casi clinici sono stati scelti in base alle problematiche scien-tifiche e specialmente organizzativo/decisionali che volevamo sviscerare: • La sicurezza operativa, definita da una strettissima collabo-

    razione tra tutte le componenti sanitarie soprattutto in quei casi in cui l’ente che per eccellenza è deputato alla sicurezza dell’evento, VVF, non è interessato alla tipologia dello scenario.

    • La comunicazione, step fondamentale senza il quale qualsia-si protocollo o modello organizzativo crolla miseramente.

    • La definizione dei ruoli, principalmente dell’Infermiere Re-golatore, che nella nostra realtà corrisponde all’infermiere dell’auto medica con compiti in primo luogo organizzativi e solo in un secondo momento sanitari.

    • L’utilizzo indiscriminato di ausili tecnologici cartografici che non devono sostituire la visione della cartografia cartacea, soprattutto in una realtà come la nostra in cui un’importante rete ferroviaria e una bretella autostradale attraversano l’area urbana ed extraurbana.

    • L’utilizzo “alternativo” di alcuni presidi d’immobilizzazione per situazioni non strettamente legate al loro uso abituale.

    • La centralizzazione.• Ultimo punto, ma non per questo meno importante, era

    fondamentale che il gruppo sapesse non solo la validità di quanto appreso dai discenti, ma soprattutto, in che misura fosse tangibile nel quotidiano la ricaduta di quanto recepito.

    A distanza di tre mesi dall’ultima edizione abbiamo distribuito un Questionario di valutazione d’impatto, redatto dall’AUSL di Ri-mini e inserito nel PAF (Piano Aziendale di Formazione), con lo scopo di raccogliere una serie d’informazioni relative soprat-tutto alla percezione dei risultati raggiunti tramite le attività for-

    mative. Le informazioni forniteci, peraltro in maniera anonima, sono state utili per valutare punti di forza e di debolezza e per definire gli orientamenti futuri. Il questionario, tuttavia, comprendeva alcuni quesiti non stret-tamente inerenti al nostro corso e/o Servizio, ciò nonostante è stato proposto in toto per non alterarne l’originalità. Gli Autori hanno deciso di estrapolare unicamente gli item inerenti alla re-altà considerata. I casi clinici presentati nelle edizioni, riguardavano: • l’insufficienza respiratoria in età pediatrica;• le crisi convulsive in età pediatrica;• l’insufficienza respiratoria in adulto non responsiva a terapia

    classica;• l’incidente stradale con più coinvolti e disparità di mezzi

    di soccorso sul posto, per contemporaneo evento critico in zona limitrofa;

    • la sindrome da sommersione, in età pediatrica, complicata da patologia metabolica preesistente e traumatica conse-guente.

    Analisi dei datiSu 156 unità che afferiscono a Rimini Soccorso, il 56,6% ha par-tecipato al corso in questione e di questo l’87,7% si è reso dispo-nibile alla compilazione del questionario. Esaminando la raccolta dei dati, suddivisa in vari argomenti secondo lo schema allegato (Tabella 1), dalla Figura 2/item A., risulta che il 75,9% ha recepito all’inizio del corso il target prefissato, mentre per l’87,3% (Figura 2/item A.3), sono stati raggiunti gli obiettivi formativi dichiarati. Considerando la Figura 3/item B.3, notiamo che il 74,7%, ha applicato nel quotidiano quanto acquisito, di questi il 63,3% (Figura 3/item B.4) dichiara, tuttavia, di percepire una certa difficoltà a utilizzare quanto appreso, imputando questo gap a un dislivello di conoscenze/competenze all’interno del contesto lavorativo. Analizzando il frammento del questionario inerente ai cambia-menti intervenuti nel contesto lavorativo e sulla persona (Fi-gura 4) i risultati sono altrettanto interessanti, e nello specifico

    Fig. 2 - Obiettivi formativi.

    Fig. 3 - Applicazione delle conoscenze.

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    • L’alta percentuale di discenti (63,3%) che percepisce una dif-ficoltà all’utilizzo di quanto appreso a fronte di un 74,7% che asserisce di applicarlo nel quotidiano, si spiega se la chiave di lettura usata analizza due variabili: la partecipazione al corso “solo” del 56,6% del personale e la disomogeneità della stessa, caratteristica quest’ultima vagliata tra le motivazioni che aveva-no determinato la nascita del corso.• L’aumento del livello di fiducia nelle proprie capacità, di-

    chiarato dal 95% dei partecipanti, può essere imputato alla mancanza di confronto e metodologie di ricerca che influenzano positivamente il lavoro; viceversa, ignorare se il corso ha avuto ricadute in termini di efficacia, a nostro parere, deriva dalla non specificità del questionario nei con-fronti di un servizio extraterritoriale, in cui l’attività profes-sionale non è svolta in maniera collegiale come in ambito ospedaliero.

    • Decisamente positive le percentuali relative ai giudizi sul corso e alla sua utilità.

    Conclusioni Dai dati raccolti si evince che l’ideazione e lo sviluppo di questa metodica formativa sono stati un momento positivo e costrutti-vo sia per i docenti sia per i discenti. Per i primi, la soddisfazio-ne di aver trovato il giusto metodo per il raggiungimento degli obiettivi prefissati li ha stimolati nella creazione di nuove pro-poste formative. Per i discenti, è stato un momento di crescita sia professionale, derivata dalla discussione in campo, sia di au-mentata autostima conseguente al confronto interprofessionale privo di elementi di “critica accusatoria”.

    Fig. 4 - Cambiamenti intervenuti sulla persona

    Fig. 5 - Cambiamenti intervenuti nel contesto lavorativo.

    Fig. 6 - Aspettative e soddisfazioni.

    Fig. 7 - Bisogni e ricaduta formativa.

    all’interrogativo "Ritiene che il corso da lei frequentato sia stato utile per accrescere il suo senso di responsabilità nel contesto lavorativo?” (item C.6.3) la maggioranza di risposte positive raggiunge il 96%.Altrettanto alta la percentuale di apprezzamento (82%) sulla ca-pacità esercitata dal corso nel migliorare il livello di autostima dell’operatore nell’ambito lavorativo (Figura 4/item C.6.4)Altro dato significativo (Figura 4/item C.6.6), il 95% dichiara che il corso ha migliorato il livello di fiducia nelle proprie capa-cità. All’item relativo ai cambiamenti nel contesto lavorativo (Fi-gura 5/item E.1.1.), l’88% ritiene che il corso abbia influenzato positivamente il clima relazionale, aumentando la partecipazio-ne, la comunicazione e la motivazione. Viceversa il 75% (Figura 5/item E.1.4.), ignora se il corso abbia avuto una qualche rica-duta in termini di efficacia.A distanza di tre mesi l’87,3% valuta positivamente la realizza-zione di un corso di questo tipo (Figura 6/item F.2), il 75% ritie-ne molto utile l’avervi preso parte (Figura 6/item F.3) e il 96% lo consiglierebbe ad altri (Figura 6/item F.4). Rimane, nell’ambito della ricaduta formativa, la necessità da parte dell’88,2% (Figura 7/item G.2)di una formazione continua e aggiornata. Dato mol-to interessante emerge dal fatto che il 100% dei partecipanti ha diffuso all’interno della sua situazione lavorativa alcuni dei con-tenuti del corso, sia attraverso scambi formativi sia attraverso momenti dedicati (Figura 7/item G.3).

    DiscussioneLa raccolta dei dati ha prodotto risultati confortanti per i do-centi, ma ha anche evidenziato aspetti che meritano riflessione:

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