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Le potenzialità delle cellule staminali creano grandi entusiasmi, talvolta anche al di là del ragionevole. Queste cellule sono e potranno essere sempre più “miniere di salute”, soprattutto per la medicina rigenerativa, purchè si dia credito alla “scienza solida” più che alle illazioni o alle campagne mediatiche. Francesco Salvatore Università degli Studi di Napoli Federico II

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Le potenzialità delle cellule staminali creano grandi entusiasmi,

talvolta anche al di là del ragionevole.

Queste cellule sono e potranno essere sempre più “miniere di salute”,

soprattutto per la medicina rigenerativa, purchè si dia credito alla “scienza solida”

più che alle illazioni o alle campagne mediatiche.

Francesco Salvatore

Università degli Studi di Napoli Federico II

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Accade spesso che, quando tutti provano a fare i funamboli della musica jazz, i trapezisti tra un accordo dissonante e una sostituzione armonica, arrivi qualcuno che, mettendo da parte i numeri circensi, si fa latore di un messaggio essenziale, quasi banale nella sua faciltà compositiva. In arte, l’estetizzazione del sordido, l’elogio della banalità, l’abbiamo avuto con un movimento neo-dadaista che in risposta alla gestualità esasperata dell’espressionismo astratto statunitense, si cimentava nel difficile compito di riferire – tra le altre cose – che spesso è più insignificante (e facile, se vogliamo) una cosa “difficile”, che una “facile” per definizione. Miles Davis, uno dei più grandi genii della musica moderna, questa dote l’ha sempre avuta. Basti pensare alla nascita del jazz modale, di cui il disco “Kind of Blue” (1959) è certamente il primo esempio evidente a tutti. Di questa registrazione, l’ensemble scelto della più grande Federico II Jazz Orchestra, proporrà stasera un paio di brani: “So What” e “Freddie the Freeloader”. Il primo, è ormai quello che in campo modale (l’improvvisazione del solista è costruita sui “modi” musicali e non su ogni singolo accordo) ha assunto un fortissimo valore iconico, se non archetipico. Una curiosità: l’assolo che Miles Davis fece sulla struttura del pezzo, è diventato un brano a parte, una partitura a sé stante. Quando si dice che l’improvvisazione dovrebbe essere una “composizione estemporanea”… Il secondo brano è un blues dal tema estremamente semplice, che nella sua “bellissima banalità” riesce a raggiungere vette di lirismo inimmaginabili. Per restare sempre in tema di bellezza e semplicità, il quartetto ci proporrà un altro brano del trombettista che nel ’56, col disco “Cookin’ with the Miles Davis Quintet” già conteneva in nuce molti degli elementi che, in futuro, avrebbero caratterizzato il jazz à la Davis. Si tratta di “Tune Up”, la cui costruzione tematica rimanda fortemente al cosiddetto “cool jazz”, offrendo però una semplicità armonica quasi disarmante. Sarà poi la volta di “Solar”, ancora di Davis: la struttura formale di un classico blues (dodici misure), con un tema che, però, di blues non ha proprio niente. Fino ad oggi, uno degli standard jazzistici più rivisitati dai musicisti moderni (si pensi alle bellissime versioni di Keith Jarrett o di Pat Metheny). Ancora, del genio dell’Illinois, il gruppo offrirà “Four”, alla cui armonia John Hendricks ha pensato di aggiungere un testo vocale (operazione reiterata, comunque, con molti altri standard per i quali non erano previste parole, e che in molti casi suona francamente grottesca). La scaletta del concerto conterrà inoltre, oltre ai brani di Miles Davis, evergreen jazzistici tra i più conosciuti al mondo.

Stefano Piedimonte

PROGRAMMA MUSICALE

Four DavisYou and the night and the music Dietz – SchwartzEstate B.MartinoSoftly as in a morning sunrise Hamerstein – RombergSolar DavisFreddie the freeloader DavisSo What DavisWave JobimFour on six W. MontgomeryStraight, no chaser MonkOver the rainbow Harburg - HarlenSt. Thomas RollinsPent-up house Rollins Unit 7 Sam Jones What’s new Haggart-Burke Stella by starlight YoungTune up DavisInvitation Kaper – Washington

ENSEMBLE FEDERICO II JAZZ ORCHESTRA

FLAVIO GUIDOTTI pianoforte GIOVANNI ROMEO batteria GIOVANNI CRESCENZI basso elettrico ospiti: GIULIO MARTINO - BRUNO ROTOLI sax

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Prof. Francesco Salvatore

Nato a Napoli, Italia, si è laureato presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, in Medicina e Chirurgia, nel 1956 ed ha ottenuto la libera docenza in Biochimica nel 1960. Dal 1967 è Professore Ordinario, ed è titolare della cattedra di Biochimica Umana presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Napoli Federico II.E’ stato Direttore dell’Istituto di Biochimica (Università di Napoli Federico II) dal 1972 al 1982, Direttore del Dipartimento di Biochimica e Biotecnologie Mediche, e Direttore della Scuola di Specializzazione in Biochimica e Chimica Clinica. E’ Presidente e Direttore Scientifico del CEINGE- Biotecnologie Avanzate, società consortile di ricerca e di alta formazione, con oltre 200 addetti alla ricerca e piattaforme tecnologiche infrastrutturali per la ricerca genomica e post-genomica applicata alla Biomedicina ed alle Biotecnologie, prevalentemente mediche. E’ Professore e Membro del Consiglio Accademico della Scuola Superiore Europea di Medicina

Molecolare [SEMM] (Presidente: Prof. U. Veronesi), istituita dai Ministeri della Salute, dell’Università e della Ricerca e del Tesoro, a Milano e a Napoli; è Direttore della sede SEMM di Napoli (2003-2008). Membro del consiglio scientifico della Stazione Zoologica “Anton Dohrn” di Napoli dal 1998, e membro del Comitato Tecnico Scientifico della nuova Facoltà di Scienze Biotecnologiche dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.

E’ stato visiting scientist o visiting professor presso: Argonne National Laboratory, Illinois, USA (Prof. Fritz Schlenk), Laboratoire de Biochimie Générale et Compareé, France (Prof. Jean Roche), European Molecular Biology Laboratory, Heidelberg, Germany (Proff. John Kendrew e Lenn Philippson), Department of Biological Science, University of Illinois, Chicago, Ill., USA (Prof. Stanley K.Shapiro), Department of Biochemistry, University of California, Berkeley, USA (Prof. Bruce Ames), Laboratory of Molecular Biology, Medical Research Council, Cambridge, UK (Prof. Sidney Brenner) per un totale di circa 5 anni.

E' autore di oltre 200 lavori originali pubblicati sulle principali riviste scientifiche nell’area della Biomedicina. E’ Editor della rivista internazionale Gene, ed è Associate Editor o reviewer per diverse riviste internazionali nella stessa area (biochimica e biologia molecolare applicata alla clinica) E’stato anche parte, in qualità di esperto, membro, presidente o coordinatore di varie commissioni nazionali ed internazionali riguardanti la ricerca scientifica e la politica organizzativa e promozionale nel campo della Biomedicina e delle Scienze della Vita.

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Gli articoli degli incontri si trovano all’indirizzo:

www.comeallacorte.unina.it

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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Le cellule staminali: miniere di salute

Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

CHI VA PIANO VA SANO E VA LONTANO

Francesco Salvatore

Professore di Biochimica Umana Università degli Studi di Napoli Federico II Presidente e Coordinatore scientifico del CEINGE-Biotecnologie Avanzate

Il mito di Prometeo riflette un credo

antichissimo per l’uomo: quello che parti

del nostro corpo possano rigenerarsi. Oggi

si parla sempre più di medicina

rigenerativa, perché è stato dimostrato che

cellule del nostro organismo sono in grado,

in opportune condizioni, sia di proliferare al

di là di quanto fosse noto in precedenza e

sia di differenziarsi o di riprogrammarsi

rigenerando gruppi di cellule o addirittura

tessuti o perfino parti di organo, dando

luogo, così, alla riparazione di quanto sia

stato distrutto o alterato per cause

patologiche nell’organismo. Queste cellule

sono dette “staminali” e si è visto che sono

presenti, se non in tutti, in molti tessuti

dell’uomo, sia pure in misura diversa e con

diversa capacità di proliferazione e

differenziazione. Ancor più l’embrione, nelle

prime fasi di sviluppo, può essere

considerato il naturale serbatoio di cellule

staminali, proprio perché costituito da

cellule non ancora differenziate e che

possono esprimere, quindi, una

pluripotenza ed una capacità di espansione

sicuramente maggiore delle altre. Tuttavia

le cellule staminali da sole non bastano alla

finalità rigenerativa complessiva (le

potremmo quasi chiamare cellule

“ignoranti”) e devono essere istruite da

fattori, per così dire, di “apprendimento”

che indichino loro, da un lato, dove

trasmigrare e dall’altro in che tipologia di

cellula differenziata trasformarsi. Gli eventi

molecolari alla base di tutti questi processi

cominciano ad essere sempre più noti, e

questo permetterà, con gradualità, di poter

intervenire su di essi accelerandoli ed

indirizzandoli verso il raggiungimento della

finalità da perseguire. Risultano così anche

chiare la grande delicatezza e la precisione

che sono richieste da interventi di questo

tipo, per evitare che essi possano dar luogo

a cellule diverse da quelle volute o, ancor

peggio, a cellule più suscettibili di

trasformazione neoplastica. La scelta delle

cellule da utilizzare è anche un problema

sul quale c’è molto dibattito, non tanto

scientifico (la valenza scientifica è, a mio

avviso, solo un riflesso), ma soprattutto di

carattere giuridico, etico ed economico: mi

riferisco al dibattito sull’uso delle cellule

staminali provenienti da embrioni, o

prelevate da adulti o dal cordone

ombelicale. In realtà, allo stato attuale delle

conoscenze, il dibattito è solo foriero di

distorsioni, in quanto non è ancora ben nota

la biologia delle cellule staminali di varia

provenienza o natura e, come si è detto, vi

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è ancora un lungo cammino da percorrere.

Un dibattito non scientifico è prematuro e

rischia di portare ad un rallentamento o

addirittura ad un arresto nel progresso delle

conoscenze nel campo e risulta, pertanto, in

principio, pregiudizievole per il progresso e

l’economia della conoscenza. L’uso clinico

delle cellule staminali è, per alcune

specifiche e limitate applicazioni,

promettente o persino attuale, ma è errato

ingenerare nel pubblico eccessivi ottimismi

e trionfalismi che, a volte, invece di

riflettersi in un vantaggio per

l’avanzamento della scienza, ne menomano

solo la credibilità.

Rubens, Prometeo e l'aquila

Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Le cellule staminali: miniere di salute

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UN TESORO MOLTO PARTICOLARE:

CELLULE STAMINALI E LORO IMPIEGO

Chiara Campanella

Professoressa di Biologia dello Sviluppo

Università degli Studi di Napoli Federico II

I tempi cambiano e molto

velocemente. Potrebbe diffondersi, a breve,

la pratica di far conservare alla nascita del

proprio figlio, come dono molto speciale, le

sue cellule prelevate dal cordone ombelicale

per un ‘non si sa mai’ riguardante il suo

futuro. E' infatti noto che l'impiego di cellule

staminali (SC), di cui il cordone ombelicale

è una fonte importantissima, ha avuto

successo nella sostituzione di alcuni tessuti

danneggiati nell’uomo aprendo nuove

frontiere per la terapia cellulare di varie

patologie. Quali sono le caratteristiche che

distinguono le SC? Esse si trovano nei

tessuti adulti che generalmente non

proliferano e da cui si distinguono perchè

costituiscono un piccolo stock di cellule non

differenziate. Dividendosi, le SC danno vita

a cellule che possono sia differenziarsi che

rimanere cellule staminali. Nel sangue le SC

provvedono fisiologicamente a produrre le

popolazioni di cellule differenziate che lo

compongono (es. eritrociti, piastrine,

linfociti etc.). Per le SC presenti in altri

tessuti le capacità proliferative e di sviluppo

potenziale sono invece piuttosto circoscritte

e raramente programmate. Se le SC

vengono però isolate ed opportunamente

coltivate è possibile aumentarne il numero

e differenziarle nel tipo cellulare specifico

del tessuto da cui derivano oppure in tipi

cellulari diversi ottenendo così, per

esempio, cellule del sangue a partire da SC

del tessuto nervoso. Non è però facile né

isolare né tanto meno “convincere” le SC a

diventare un determinato tipo cellulare e far

sì che esse vengano accettate in nuovi

distretti dell’organismo. Molti dati recenti

forniscono però inaspettate novità positive.

Nicchie di SC trovate in alcuni territori del

cervello anteriore, continuano a dividersi

nell’adulto generando neuroni. Ebbene,

esse possono non solo differenziarsi in altre

linee cellulari del sistema nervoso come la

glia, ma anche integrarsi funzionalmente e

quindi potranno essere sperimentate in

malattie degenerative del sistema nervoso,

quali il morbo di Parkinson e la malattia di

Alzheimer. Le SC, se utilizzate per lo stesso

paziente da cui sono state isolate, non

richiedono terapia di rigetto ed hanno

ottime possibilità di impiego: cellule

muscolari immature estratte dalla gamba di

un paziente, dopo essere state coltivate in

laboratorio, se iniettate nella zona del cuore

infartuata dello stesso individuo, hanno

riparato il danno cardiaco. Le cellule

prelevate dagli embrioni iniziali (ES,

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Embryonic Stem cells) sono cellule

staminali con capacità differenziative

ancora più ampie perché possono dar

origine a tutti i tipi di cellule presenti

nell’organismo adulto e, contrariamente alle

SC adulte, possono essere mantenute in

coltura per molti cicli di divisione, senza

perdere la loro pluripotenzialità. Le ES

derivanti da un embrione clonato, coltivate

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appropriatamente, potrebbero essere usate

per generare cellule differenziate in terapie

di trapianto senza problemi di rigetto, se

utilizzate per il donatore del nucleo. Le

potenzialità delle ES sono quindi enormi,

ma richiedono molta sperimentazione di

difficile attuazione, e solo nelle nazioni dove

essa è consentita.

Cellula staminale derivata da midollo osseo

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CELLULE STAMINALI: APPLICAZIONI

TERAPEUTICHE IN EMATOLOGIA

Bruno Rotoli

Professore di Ematologia Università degli Studi di Napoli Federico II

I primi ad intuire il concetto di

staminalità, per poi identificare le cellule

staminali emopoietiche (CSE) ed utilizzarle

in vitro ed in vivo, sono stati certamente gli

Ematologi, con quelli italiani in prima linea.

Nel campo clinico, le CSE sono state

impiegate inizialmente per recuperare la

funzione emopoietica del midollo osseo in

pazienti aplastici, talassemici o leucemici,

utilizzando donatori sani immuno-

logicamente compatibili (trapianto

allogenico); in un secondo momento, si

sono identificate patologie in cui il donatore

poteva essere il paziente stesso (trapianto

autologo), per trattare malattie che non

interessavano primariamente il midollo (es.

linfomi) o quando la funzione midollare era

già stata recuperata dalla chemioterapia

(leucemie in fase di remissione).

Fonte primaria delle CSE è il midollo

osseo; da questo tessuto le cellule staminali

possono essere prelevate direttamente,

mediante punture multiple sulle ossa del

bacino (espianto midollare) o, più

modernamente, inducendo le cellule

staminali a lasciare il midollo ed a trasferirsi

nel circolo periferico (mobilizzazione) per

poi raccoglierle dal sangue venoso

mediante apposite attrezzature (separatori

cellulari) che prelevano solo i tipi cellulari

selezionati. In campo pediatrico, una

ulteriore fonte di CSE è il sangue

placentare, che è ricco di cellule staminali

(in numero però insufficiente per

trapiantare un adulto).

Il donatore ideale per un trapianto

allogenico è un fratello o una sorella che

abbia identità del sistema di

istocompatibilità maggiore (HLA),

condizione che si verifica nella fratria con

una probabilità statistica del 25%. Poiché le

famiglie numerose sono ormai rare, molti

pazienti non hanno un germano

istocompatibile. In questo caso è possibile

interrogare i Registri dei donatori volontari

di midollo, che includono oggi oltre 10

milioni di persone nel mondo; mediante essi

è possibile trovare un donatore idoneo in

quasi la metà dei pazienti. Le procedure

trapiantologiche sono però gravate da

importanti rischi di morbilità ed anche di

mortalità; il trapianto da donatore HLA

identico non familiare presenta maggiori

rischi di tipo immunologico rispetto al

trapianto da fratello.

I risultati delle procedure

trapiantologiche sono esaltanti, anche se

non trionfalistici. I trapiantati per aplasia o

per talassemia hanno più dell’80% di

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possibilità di guarire; i pazienti con

leucemia acuta o con linfomi aggressivi

hanno una possibilità di sopravvivere più di

5 anni superiore al 60%; pazienti con

mieloma autotrapiantati possono godere di

intervalli di benessere dell’ordine di diversi

anni, senza necessità di altre terapie.

Cosa ci riserva il futuro? Per le

malattie neoplastiche, è possibile che le

indicazioni al trapianto si riducano nei

prossimi decenni, quando avremo a

disposizione farmaci più attivi e specifici nel

controllare la crescita neoplastica. E’ già

accaduto con un tipo di leucemia, la

leucemia mieloide cronica, in cui l’avvento

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di un farmaco innovativo (l’imatinib

mesilato) ha ridotto drasticamente la

necessità di trapianto di CSE. Per le

malattie su base genetica, attendiamo con

ansia che possa entrare nella pratica la

terapia genica, che è una forma di

autotrapianto nel quale le cellule staminali

prelevate vengono “riparate” dal danno e

restituite allo stesso paziente. Infine, è di

grande attualità studiare la possibilità che

CSE da midollo osseo o da sangue

placentare possano trasformarsi in cellule

staminali totipotenti, in grado di riparare

danni a tessuti anche non emopoietici (es.

cuore, sistema nervoso).

Cresta iliaca

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LA RACCOLTA DI CELLULE STAMINALI

EMOPOIETICHE DAL SANGUE

PERIFERICO

Nicola Scarpato

Professore di Patologia Clinica Università degli Studi di Napoli Federico II

Per ottenere dal midollo osseo una

quantità di cellule staminali emopoietiche

(CSE) sufficiente per un trapianto bisogna

raccogliere dalla cresta iliaca del donatore

(trapianto allogenico) o del paziente

(trapianto autologo), circa 1500 mL di

sangue midollare in anestesia totale. Nel

sangue periferico le CSE compaiono in

numero sufficiente alla raccolta solo dopo

stimolazione con fattori di crescita iniettati

sottocute per 3-5 giorni. I fattori di crescita

vengono cosi denominati per la attività che

dimostrano in vitro sulle colonie di cellule

emopoietiche. In vivo provocano la

migrazione delle CSE dal midollo al sangue

circolante perchè tagliano le molecole di

adesione che le ancorano all’ambiente

midollare. Dal sangue periferico le CSE

vengono raccolte e concentrate in un

volume di circa 300 mL; non c’è bisogno di

anestesia e durante la raccolta, che si

effettua dalle vene del braccio, il donatore o

il paziente sta comodamente seduto in

poltrona conversando o guardando la TV. In

passato questa procedura era consentita

solo ai pazienti, dal 2005 la legge permette

anche ai donatori di poter scegliere se fare

il prelievo di CSE dalla cresta iliaca o dal

sangue periferico; sempre più numerosi

scelgono il prelievo dal sangue periferico.

La raccolta dal sangue periferico è

realizzabile poiché esiste un apparecchio

chiamato separatore cellulare la cui

invenzione è legata ad un episodio

contingente e non ad una ricerca mirata.

Negli anni ‘60 George Judson, ingegnere

dell’IBM, spinto dal desiderio di rimuovere i

globuli bianchi dal sangue del figlio affetto

da leucemia, ebbe l’intuizione giusta ed

inventò la separazione on line del sangue

umano nei suoi componenti. Dal giorno

della sua invenzione, il separatore ha fatto

molta strada ed ancora ne farà. Dai

prototipi manuali degli anni ‘70 siamo

arrivati alle nuove generazioni di separatori

computerizzati ad elevato grado di

automazione; essi sfruttano la forza

centrifuga che, applicata a camere di

separazione di opportuna conformazione, è

in grado di separare gli elementi

corpuscolati del sangue sulla base della loro

relativa densità. I separatori di ultima

generazione riescono a isolare nella

popolazione di globuli bianchi solo la

sottopopolazione che interessa; le CSE

vengono recuperate prelevando la

popolazione linfomonocitaria che le contiene

mentre il sangue transita nell’apparecchio

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in un circuito sterile e monouso. Le cellule

raccolte possono essere poi manipolate in

assoluta sterilità con anticorpi monoclonali

legati a biglie metalliche per selezionare

ulteriori sottopopolazioni da eliminare o da

infondere al paziente. Le cellule così

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trattate possono essere criopreservate in

azoto liquido rimanendo perfettamente

vitali per anni. Simili raccolte o

manipolazioni erano impensabili solo pochi

decenni fa.

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LE CELLULE STAMINALI IN CARDIOLOGIA: CERTEZZE O SPERANZE?

Massimo Chiariello

Professore di Cardiologia Università degli Studi di Napoli Federico II

Gli studi di biologia cellulare e

molecolare hanno recentemente reso

possibile nuove prospettive per la terapia

delle malattie cardiovascolari con l’utilizzo

di cellule staminali. La strategia di utilizzare

cellule in grado di rigenerare tessuto

cardiaco dopo gravi eventi clinici quali

l’infarto del miocardio e lo scompenso

cardiaco è considerata oggi possibile grazie

a nuove tecniche che consentono di

sfruttare la plasticità di tali cellule

progenitrici, ottenute da diversi tessuti, che

opportunamente modulate, danno origine a

cellule cardiache adulte e funzionanti.

Studi effettuati in modelli

sperimentali hanno dimostrato che cellule

staminali adeguatamente stimolate

raggiungono la zona del cuore colpita da

infarto e sono in grado di sostituire cellule

morte, migliorando in alcuni casi la funzione

cardiaca. Tale trattamento sembra in grado

di prevenire la dilatazione del cuore e lo

sviluppo di scompenso. Nell’uomo sono oggi

disponibili solo studi iniziali, di fase I-II, in

cui è stato trattato un numero limitato di

pazienti volontari. Tali studi hanno

dimostrato la fattibilità e la sicurezza della

somministrazione di cellule staminali

nell’uomo. Tuttavia, i dati sull’efficacia di

tale trattamento, sebbene confortanti, sono

ancora preliminari e controversi.

L’applicazione di tali terapie

innovative si è anche focalizzata allo studio

della patologia ischemica degli arti inferiori,

una malattia invalidante che colpisce

soprattutto soggetti affetti da diabete

mellito e che è caratterizzata da un

insufficiente apporto ematico agli arti per

ostruzioni dovute alla presenza di placche

aterosclerotiche. Tali studi hanno

dimostrato come l’utilizzo di cellule

staminali, attraverso processi di

angiogenesi, arteriogenesi e vasculogenesi,

è in grado di determinare in modelli animali

la formazione di un nuovi vasi, proteggendo

in tale maniera gli arti dal danno ischemico.

Studi preliminari nell’uomo, effettuati con

l’utilizzazione di cellule progenitrici

midollari, hanno dimostrato l’efficacia di

tale trattamento, determinando un

miglioramento, sebbene ancora in un

numero ridotto di pazienti, dei sintomi

legati all’ischemia e quindi della qualità di

vita. Le prime applicazioni cliniche di queste

nuove terapie sono già disponibili con lo

sviluppo ad esempio di protesi vascolari

(stent) ricoperti da anticorpi che attraggono

cellule progenitrici endoteliali circolanti.

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Questo favorisce i processi riparativi

vascolari ed evita la riocclusione del vaso.

Studi su larga scala saranno necessari per

valutare l’efficacia di tali trattamenti a

distanza.

Purtroppo l’applicazione su larga

scala di tali tecniche nell’uomo è limitata da

un lato dalla difficoltà di reperimento delle

cellule staminali che, per motivi etici, non

possono essere ottenute da fonti

embrionarie e fetali, e dall’altro dalla via di

somministrazione delle cellule stesse nel

tessuto da riparare. A tale proposito sono

state utilizzate diverse tecniche fra cui

l’iniezione diretta nel muscolo malato,

metodica efficace, ma che può essere

effettuata solo nel corso di una complessa

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procedura chirurgica, oppure la

somministrazione attraverso le arterie

coronarie o periferiche, che non ha

dimostrato di essere altrettanto efficace.

L’ultimo aspetto che richiede ulteriori studi

è la valutazione dell’ “attecchimento” delle

cellule stesse al tessuto cardiaco, cioè la

valutazione della reale capacità delle cellule

iniettate di integrarsi nel tessuto ospite e di

mantenere la sua nuova funzione nel

tempo. Le aspettative dei ricercatori

sull’utilizzo di cellule staminali per la cura

delle malattie cardiovascolari sono

sicuramente tra le più ambiziose. Tuttavia,

tale utilizzo rappresenta ad oggi un

problema ancora aperto.

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DALLE CELLULE STAMINALI LA CURA

PER IL DIABETE?

Gabriele Riccardi

Professore di Endocrinologia- Malattie del Metabolismo Università degli Studi di Napoli Federico II

Il diabete tipo 1 o insulino-

dipendente è quella forma di diabete che si

sviluppa in seguito alla distruzione delle

beta-cellule del pancreas, produttrici di

insulina, da parte del sistema immunitario

che non riconosce più quelle cellule come

proprie e le attacca come farebbe con un

batterio o con un tessuto trapiantato

(autoimmunità). Questo tipo di diabete può

essere curato esclusivamente con la

somministrazione di insulina; l’unica

alternativa terapeutica è il trapianto di

pancreas o di insule, che rappresentano la

struttura endocrina del pancreas in cui sono

localizzate le beta-cellule. Tuttavia, anche

il trapianto non rappresenta la soluzione

ottimale in quanto richiede un trattamento,

che va continuato per tutta la vita, per

evitare il rigetto dell’organo trapiantato;

questo trattamento ha effetti

potenzialmente dannosi per l’organismo e,

prima di tutto, per le stesse beta-cellule.

D’altra parte, il numero limitato di pancreas

disponibili non consente di estendere

questa terapia a tutti i pazienti con diabete

tipo 1. Pertanto, la possibilità di indurre,

grazie alle cellule staminali, una

rigenerazione delle beta-cellule o, almeno,

di produrre in vitro, in quantità illimitata,

insule pancreatiche da trapiantare

rappresenta una interessante prospettiva

per la ricerca diabetologica.

Ci sono, in teoria, almeno due

approcci all’uso di cellule staminali (di

origine embrionale o prelevate allo stesso

paziente a livello del midollo osseo o del

pancreas) nella terapia del diabete. Il primo

approccio prevede l’isolamento e la cultura

in vitro delle staminali inducendo, con

opportuni stimoli, la loro differenziazione in

insule pancreatiche. Raggiunto un numero

sufficiente di insule, queste andrebbero

trapiantate nel fegato del paziente (con la

stessa tecnica oggi in uso per il trapianto da

cadavere). Questa strada sembra

promettente, giacché è stato già

dimostrato, nell’animale da esperimento,

che cellule indifferenziate di origine fetale,

opportunamente manipolate, possono

trasformarsi in cellule adulte con molte

delle caratteristiche delle beta-cellule come,

ad esempio, la capacità di secernere

insulina in risposta a incrementi fisiologici

dei livelli di glucosio. Anche a livello dei

fattori in grado di indirizzare le cellule

staminali verso la differenziazione in beta-

cellule si sono compiuti notevoli progressi e

sono stati identificati alcuni efficaci

stimolatori non solo di natura genica ma

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anche di tipo farmacologico tra i quali

vanno menzionate alcune sostanze quali

l’activina A o la nicotinamide o l’exenatide

che, proprio per la loro capacità di stimolare

la riproduzione delle beta-cellule, sono allo

studio come potenziali farmaci antidiabete.

Il secondo approccio, più

avveniristico, prevede che le cellule

staminali siano isolate e messe in cultura

(senza indurre, però, la loro

differenziazione) e, quindi, direttamente

iniettate in circolo insieme a farmaci in

grado di stimolare la loro differenziazione in

beta-cellule; queste cellule svilupperebbero

una naturale affinità per il pancreas dove

andrebbero preferenzialmente a localizzarsi

e dove sarebbero in grado di costituire una

fonte inesauribile di nuove beta-cellule

grazie alla loro capacità di autoreplicazione.

Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

Entrambi questi approcci hanno

ricevuto parziali verifiche sperimentali in

vitro e negli animali da esperimento, ma

mai nel contesto di studi clinici nell’uomo; è

prevedibile, pertanto, che un’imple-

mentazione di questa strategia terapeutica

richieda ancora diversi anni o, addirittura,

decenni. Più promettente e, forse, più

prossima è l’utilizzazione delle cellule

staminali non in sostituzione del trapianto

di pancreas o di insule, ma in associazione

ad esso; infatti, cellule staminali isolate dal

midollo osseo del donatore e inoculate al

paziente al momento del trapianto sono in

grado di sostituirsi, almeno parzialmente,

alle sue cellule immunitarie inducendo il

riconoscimento come struttura propria

dell’organo trapiantato ed evitando quindi il

rigetto o l’attacco autoimmune che

rappresentano la principale causa di

fallimento di questa terapia.

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Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

LE CELLULE STAMINALI PER LE

MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO:

APPLICAZIONI E PROBLEMI

Vincenzo Bonavita Professore di Neurologia Università degli Studi di Napoli Federico II

Paolo Barone Professore di Neurologia Università degli Studi di Napoli Federico II

Le cellule staminali sono capaci di

differenziarsi, spontaneamente o per

induzione, in una varietà di cellule nervose

mature che potrebbero, a seguito di un

trapianto, sostituirsi a quelle morte. Ne

derivano tre potenziali campi di

applicazione: le malattie degenerative, le

lesioni traumatiche e quelle ischemiche. In

modelli animali di queste malattie le cellule

staminali si sono dimostrate in grado di

attecchire, differenziarsi in neuroni maturi e

ridurre i segni neurologici. Oggi si

conoscono i fattori di crescita ed i segnali

molecolari che permettono alle cellule

staminali di diventare neuroni

dopaminergici, impiegabili nella cura della

malattia di Parkinson, o in neuroni

colinergici impiegabili nella cura della

malattia di Alzheimer o in motoneuroni

spinali per la Sclerosi Laterale Amiotrofica.

Solo per la malattia di Parkinson

disponiamo di ricerche condotte su pazienti

e tuttavia si tratta di risultati indiretti

ottenuti dal trapianto di cellule embrionali

del mesencefalo, rappresentate da cellule

staminali ma soprattutto da neuroni già

differenziati. Anche se le cellule trapiantate

sono parzialmente sopravvissute,

differenziandosi in neuroni dopaminergici

capaci di sintetizzare e secernere

dopamina, i risultati clinici, nei due studi

maggiori sono stati deludenti: non si è

riscontrato un miglioramento della qualità

della vita, né un miglioramento dei segni

motori se non in un sottogruppo di pazienti

con forma più lieve di malattia. Inoltre nei

due studi, rispettivamente il 15% ed il 57%

dei pazienti presentavano discinesie

invalidanti, indipendenti dalla terapia orale,

che sono state interpretate come l'effetto di

un anarchico rilascio di dopamina da parte

delle cellule trapiantate.

Le cellule staminali possono

differenziarsi in tipi cellulari, diversi dai

neuroni, coinvolti nei meccanismi

patogenetici di molte malattie neurologiche.

Qui non si tratta di riparare tessuto nervoso

morto, ma di sostituire cellule non nervose

che danneggiano il sistema nervoso. E' il

caso di malattie autoimmuni, quali la

Sclerosi Multipla, in cui le cellule

immunocompetenti, aggredendo le mielina,

favoriscono il danno neuronale. Ne è

derivato il tentativo di eliminare queste

cellule con un' intensa immunosoppressione

e sostituirle con un trapianto di cellule

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staminali emopoietiche per ripristinare un

corretto controllo immunitario senza

danneggiare il sistema nervoso. I risultati

dei primi studi, su piccole popolazioni di

pazienti affetti da Sclerosi Multipla in forma

aggressiva, indicherebbero la possibilità di

stabilizzare la malattia con riduzione delle

lesioni infiammatorie cerebrali in risonanza

magnetica.

Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

Dalle esperienze di ricerca fin qui

effettuate sono emersi i problemi che

attualmente limitano l'impiego delle cellule

staminali in neurologia. Alcuni problemi

sono relativi alle caratteristiche biologiche

delle cellule staminali: quali cellule

staminali (embrionali, neurali, somatiche)

sono da usare? Possono le cellule

differenziarsi in maniera controllata e

permanente? Quale è il numero adeguato di

cellule da trapiantare? Possono le cellule

trapiantate autolimitarsi evitando la

formazione di neoplasie? Altri problemi

sono intimamente legati alle caratteristiche

funzionali del sistema nervoso che deve

accogliere un trapianto di cellule staminali:

possono queste cellule, una volta

differenziate, assicurare un adeguato e

controllato rilascio di trasmettitore, nonchè

organizzare le giuste connessioni con altri

neuroni a volte localizzati a distanze

notevoli dal trapianto stesso? Infine, non è

da trascurare la natura stessa della malattia

che si vuole curare: le cellule staminali,

quando non interferiscono con i meccanismi

patogenetici e svolgono solo un ruolo di

rimpiazzo di cellule morte, non impediscono

che la malattia possa riaccendersi e colpire

le stesse cellule trapiantate. Per alcune

malattie, per esempio degenerative, non è

un solo tipo di neurone a degenerare ed i

segni clinici sono relativi alle diverse

popolazioni neuronali coinvolte.

E' evidente che la ricerca pre-clinica

avrà il compito di rispondere a queste

domande prima di lasciare il campo alla

ricerca clinica che potrà condurre all'uso

terapeutico delle cellule staminali.

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LA RIGENERAZIONE DEI TESSUTI

MEDIANTE L’UTILIZZO DI MATERIALI

POLIMERICI E CELLULE STAMINALI

Luigi Nicolais

Professore di Tecnologia dei Polimeri Università degli Studi di Napoli Federico II Direttore IMCB-CNR

La sopravvivenza di molti pazienti

affetti da gravi patologie, resa possibile dal

progresso nella tecnologia biomedica, pone

ancora molti insoluti problemi tra cui la

ridotta disponibilità di organi e il rischio di

rigetto.

Per superarli sono necessari nuovi

approcci e nuove conoscenze capaci di

coinvolgere direttamente il corpo

dell’ammalato nel processo di

rigenerazione, riparazione e prevenzione

dei tessuti e degli organi danneggiati da

malattie e da patologie disabilitanti.

Un importante contributo viene

dall’ingegneria tissutale che nasce agli inizi

degli anni ‘90 come scienza per la

rigenerazione dei tessuti biologici mediante

coltura di cellule del paziente su polimeri

sintetici biocompatibili.

Negli ultimi anni questo settore

scientifico ha raggiunto traguardi importanti

come la possibilità di rigenerare pelle, ossa,

cartilagine, e ciò grazie anche alla ricerca

su cellule staminali adulte ed embrionali.

Le cellule staminali adulte sono

cellule non specializzate reperibili in molti

tessuti organici e in particolar modo nel

midollo osseo. Una volta messe in coltura,

proliferano per varie generazioni e possono

differenziarsi sia in vitro, se sottoposte a

particolari stimoli chimici, o in vivo, una

volta impiantate nel tessuto ospite o

iniettate in circolo.

Le cellule staminali embrionali

derivano, invece, dalle cellule della massa

cellulare interna della blastocisti, l’embrione

nei primi 3-5 giorni di sviluppo. Sono cellule

capaci, in condizioni opportune, di dare

origine a qualsiasi altra cellula

dell’organismo e per questo si dicono

totipotenti.

Tuttavia gli attuali progressi nelle

terapie basate sulle cellule staminali non

sarebbero stati possibili senza la

progettazione e la realizzazione di nuovi

biomateriali per la preparazione di substrati

(scaffold).

Gli scaffold sono un supporto

strutturale temporaneo intelligente e

biocompatibile per le cellule destinate a

sintetizzare matrice extracellulare ed altre

componenti funzionali per la formazione del

tessuto naturale.

Quando si rigenera un tessuto, ad

esempio, lo scaffold, deve essere capace di

trasmettere alle cellule staminali segnali per

la differenziazione, stimoli meccanici e

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biologici e deve scomparire contempo-

raneamente alla genesi del tessuto o

organo.

L’utilizzo dei substrati compositi

multifunzionali ha permesso anche lo

sviluppo di sistemi che nel contempo

consentono attività terapeutica e di

rigenerazione tissutale.

Attualmente sono in corso presso la

nostra università diversi progetti scientifici

anche in collaborazione con strutture

internazionali di ricerca che utilizzano

scaffold compositi e cellule staminali di

diversa origine, tra questi STEPS, l’unico

progetto integrato europeo nell’ambito del

VI Programma Quadro.

Di STEPS, l’IMCB-CNR, insieme al

Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e

della Produzione, è partner scientifico e

tecnologico e coordina 12 centri di ricerca

europei.

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L’ETICA E LA SACRALITÀ DEL CORPO

UMANO

Giuseppe Cacciatore

Professore di Storia della Filosofia Direttore Dipartimento di Filosofia Università degli Studi di Napoli Federico II

Il problema etico, filosofico, religioso

(oltre che, ovviamente, scientifico e

giuridico) che reca con sé la manipolazione

delle cellule staminali è racchiuso in un

drammatico ed incalzante interrogativo. E'

quello stesso che si è manifestato, sin dagli

albori dell'umanità, attraverso il tabù della

misteriosa sacralità del corpo umano

(quanti secoli di oscurantismo hanno

relegato l'anatomia nel regno della

stregoneria?). E' lo stesso dilemma che oggi

si pone tra la enorme potenzialità

terapeutica derivante dal trapianto di cellule

staminali per molte malattie ritenute ancora

incurabili o per la rigenerazione di tessuti

danneggiati e la utilizzazione, per il loro

reperimento, di parti del corpo umano e, in

particolare, dell'embrione.

Dal punto di vista etico e filosofico il

problema che maggiormente si è posto e si

porrà resta quello della liceità o meno della

utilizzazione degli embrioni (in modo

particolare di quelli cosiddetti

soprannumerari a seguito di tecniche di

fecondazione in vitro) come fonti ritenute

privilegiate (ma anche su questo i pareri

scientifici non sono univoci) per il

reperimento di cellule staminali. Non si può,

tuttavia, non osservare - a fronte delle

obiezioni etiche e religiose verso l'uso

terapeutico degli embrioni - che

l'alternativa all'utilizzazione degli embrioni è

o la loro conservazione per tempi indefiniti

o la loro distruzione. E' sull'impiego,

dunque, delle cellule staminali che si è

aperto il confronto tra coloro che

considerano eticamente inaccoglibile

l'ipotesi di utilizzo delle cellule staminali di

origine embrionale (giacchè per motivi

essenzialmente religiosi si sostiene che

l'embrione debba essere considerato

oggetto di rispetto morale e di protezione

giuridica) e coloro che, invece, non

assegnando all'embrione uno status morale

e giuridico, ritengono di dover dar

prevalenza ai diritti alla cura e al benessere

dell'individuo. In quest'ultimo caso la tutela

dell'embrione non è ritenuta come un

movente etico sovraordinato al dovere della

comunità scientifica e dell'istituzione

politica e giuridica di garantire, nella

maggior misura possibile, cure e strumenti

terapeutici finalizzati ad alleviare sofferenze

e a sconfiggere malattie. Ciò che sembra

abbastanza condiviso sia tra i difensori

dell'intangibilità dell'embrione, che tra i

sostenitori della liceità dell'impiego delle

cellule staminali, è il netto rifiuto di ogni

pratica clonativa.

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Quest'ultima osservazione a me pare

importante, giacché fa intravedere la

possibilità di trovare, al di là della naturale

e forse ineliminabile pluralità e diversità

delle visioni del mondo e della vita, punti

minimi di convergenza su questioni ultime

e, per così dire, fondative, come la vita, la

morte, il significato e la funzione

dell'organismo umano, i diritti della

persona. Trovo, così, convincente o, quanto

meno, degno di essere approfondito, il

ragionamento di quanti, in ambito di etica

laica (penso in modo particolare a

Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

Habermas) sostengono la plausibilità di

ricorrere a fondamenti, non più metafisici,

ma biologici della persona. Tali fondamenti

devono essere considerati "non disponibili"

per una bio-ingegneria di tipo eugenico o,

comunque, totalmente sottratta a vincoli di

tipo etico. Il primo di questi vincoli resta

quello mirabilmente fissato, oltre due secoli

or sono, da Kant: l'imperativo di

considerare l'uomo (e a maggior ragione,

oggi anche il suo patrimonio genetico)

sempre come fine e mai come mezzo o

come oggetto di mercificazione.

Embrione umano di 5 giorni

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BIOETICA, DIRITTO E RICERCA

SCIENTIFICA A PROPOSITO DI

CELLULE STAMINALI

Vincenzo Patalano

Professore di Diritto Penale Università degli Studi di Napoli Federico II

Affermatasi agli inizi degli anni

settanta per fronteggiare quello che è stato

definito un senso generale di disagio nei

confronti del carattere massicciamente

invasivo della moderna biomedicina e della

biotecnologia, la bioetica ha finito per

diventare essa stessa fonte, ed occasione,

di controversie anche aspre e di contenuto

prevalentemente ideologico. Molte delle

polemiche, poi, dipendono dal carattere

ampiamente interdisciplinare assunto da

questa nuova forma di sapere, mano a

mano che va arricchendosi il catalogo delle

questioni di cui la bioetica si occupava.

Si comprendono quindi le tentazioni

di dilatarne a dismisura l’ambito. Si parla,

da parte di alcuni, di: biotecnologia;

biomedica; bioetica chimica; bioetica delle

relazioni; bioetica dell’inizio della vita

umana; bioetica della fine della vita umana;

bioetica della fase terminale; bioetica della

ricerca e della sperimentazione; bioetica ed

economia sanitaria; bioetica della qualità

della cura; bioetica della terapia; bioetica

del disagio; bioetica della terza età, per

citare solo alcune delle tante

specializzazioni.

La bioetica, non vi è dubbio,

riguarda l’intero ciclo della vita umana, anzi

anche il prima, quando l’embrione non è

ancora impiantato, sino al momento della

morte. Si spiega così come, di fronte alla

tentazione di farne una disciplina

normativa, proprio per il radicarsi di certi

interessi, sono proliferate figure di diritti

indotte dalle innovazioni tecnologiche e dal

progresso della scienza. Si è cominciato

così a parlare di diritti dell’embrione; diritti

del cadavere; diritto di nascere; diritto di

non nascere; diritto di morire con dignità e

così via.

Nel settore della bioetica, quindi, il

diritto ha assunto un ruolo sempre

maggiore. A mano a mano che la scienza

offriva all’uomo opzioni di scelta individuali

per il soddisfacimento di bisogni ed

aspirazioni personali, tanto più si avvertiva

l’esigenza di porre un argine normativo

all’arbitrario ed al soggettivo. E tanto più

ciò è vero quando vengono in discussione i

valori fondamentali dell’uomo.

Insomma, quanto più la legge

naturale veniva cedendo il passo alla

pratica scientifica, tanto più si avvertiva il

bisogno di regole certe e valide per tutti. E,

come vedremo, la materia della

procreazione medicalmente assistita e la

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ricerca sulle staminali ne sono un limpido

esempio.

Ne è risultata una legislazione a

tratti incoerente e non sempre di agevole

interpretazione. Del resto, la vita umana

non può essere ridotta ad una definizione

giuridica o ad una formula chimica. Lo

sanno bene quei giuristi che hanno dovuto

studiare i problemi dell’inizio e del termine

della vita umana. Ecco perché la persona

umana è sempre più al centro delle

valutazioni del legislatore ed i diritti che

riguardano il rispetto della persona stessa

vanno assumendo una configurazione

sempre più complessa ed assolutamente

insospettata sino a pochi anni fa.

Come è stato opportunamente

rilevato, sino ad un certo momento le scelte

riguardanti la salute non erano

appannaggio dell’interessato, ma affidate

alle scelte del medico: era solo il medico a

decidere il se, il come ed il quando della

terapia. Oggi il consenso informato,

introducendo una nuova disciplina giuridica,

ha mutato il costume ed i rapporti tra

medico e paziente, rendendo quest’ultimo

protagonista informato e consapevole delle

decisioni che riguardano la propria salute.

In questo contesto si inseriscono le

questioni che riguardano i problemi della

ricerca scientifica e dell’impiego delle cellule

staminali. Qui sarebbe interessante

approfondire le problematiche delle

manipolazioni genetiche, per prendere in

considerazione i profili giuridici di quel

fenomeno in cui solitamente si individuano

gli interventi sulla vita in fieri. I caratteri ed

i limiti del presente intervento ci

impongono, invece, di limitare il nostro

esame ad alcuni soltanto dei problemi che

da qualche anno, animano un dibattito che,

anche a livello internazionale, vede

impegnati giuristi, filosofi, medici, teologi e

così via.

In particolare, con riferimento alla

situazione italiana, intendiamo occuparci

brevemente dei contenuti della legge 19

febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di

procreazione medicalmente assistita), con

specifico riferimento alla tutela

dell’embrione ed ai connessi profili del

trattamento delle cellule staminali.

Con la legge del 2004, il legislatore,

alla luce del dibattito che andava

sviluppandosi da posizioni diverse, anche in

relazione ai progressi della scienza, doveva

tener presente un duplice interesse. Da una

parte andava tutelata la salute della donna,

dall’altra si doveva predisporre un sistema

di norme che proteggessero adeguatamente

l’embrione umano. Le tecniche di

procreazione medicalmente assistita non

consentivano di conseguire

contemporaneamente ed agevolmente

questa duplice finalità. Fra l’altro, vi era il

rischio di adottare una legislazione

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fortemente condizionata da scelte

ideologiche, o comunque eticizzanti. Un

risultato da evitare assolutamente,

dovendosi ritenere ormai ampiamente

superate quelle tendenze che assegnavano

al diritto in generale, ed al diritto penale in

specie, il compito di dare veste e dignità di

norma giuridica ai precetti morali,

predisponendo sanzioni per le relative

violazioni e con la conseguenza di

ingenerare pericolose confusioni tra diritto e

morale. Inoltre, le scelte fondate su principi

morali o religiosi farebbero

necessariamente riferimento a dati

individuali e soggettivi, e quindi

difficilmente potrebbero essere posti a base

di una regolamentazione giuridicamente

vincolante.

Con la legge 40/2004 il legislatore,

uniformandosi all’insegnamento della Corte

Costituzionale, è partito dal principio

secondo cui l’embrione è meritevole di

autonoma tutela giuridica. A tal fine, la

legge citata ha introdotto nella nostra

legislazione numerose figure di reato che,

per la novità delle previsioni, assumono

particolare rilevanza. Con alcune vengono

punite condotte che si pongono come

ontologicamente incompatibili con la

riconosciuta natura umana dell’embrione.

In tal senso, va intesa la disposizione

dell’art. 13, n. 3, a), della legge 40/2004

che punisce con la reclusione “la produzione

di embrioni umani a fini di ricerca o di

sperimentazione o di fini diversi” da quanto

previsto dalla legge. Qui preoccupazione

evidente del legislatore è di evitare la

creazione di embrioni per scopi industriali o

commerciali. Ne è riprova l’art. 12, n. 6 che

commina la reclusione (da 3 mesi a due

anni) a “chiunque in qualsiasi forma,

realizza, organizza o pubblicizza la

commercializzazione di gameti o di

embrioni”. Una previsione che si allinea con

l’art. 21 della Convenzione di Bioetica

secondo cui il corpo umano e le sue parti

non possono essere fonti di profitto e che

per certi aspetti richiama il divieto di atti di

disposizione del proprio corpo di cui all’art.

5 del codice civile.

La legge inoltre punisce ogni forma

di selezione di embrioni o gameti a “scopo

eugenetico”, ovvero interventi che

attraverso tecniche di selezione o

manipolazione, o comunque tramite

procedimenti artificiali, siano diretti ad

alterare il patrimonio genetico dell’embrione

o del gamete, ovvero a predeterminarne

caratteristiche genetiche, ad eccezione degli

interventi aventi finalità diagnostiche e

terapeutiche. La legge in esame quindi ha

consacrato il principio secondo cui è vietata

la produzione di embrioni al di fuori della

finalità di procreazione.

Molto più delicato, anche se

connesso, è il problema degli embrioni

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soprannumerari. L’art. 14, n. 1 è categorico

nel vietare la cosiddetta crioconservazione

e la soppressione di embrioni. È evidente

che, nel formulare la prescrizione ora citata,

il legislatore si è preoccupato di evitare la

produzione di embrioni in eccesso non

destinabili alla vita, ma ad essere impiegati

alla sperimentazione ed alla ricerca.

Quanto dicevamo viene confermato,

sia pur indirettamente, dal fatto che la

crioconservazione è consentita soltanto

nella ipotesi particolare prevista dal n. 3

dell’art. 14 secondo cui la pratica in

questione è consentita quando il

trasferimento nell’utero degli embrioni non

risulta possibile per “grave e documentata

causa di forza maggiore relativa allo stato

di salute della donna non prevedibile al

momento della fecondazione”. In tal caso,

la crioconservazione è consentita “sino alla

data del trasferimento, da realizzarsi non

appena possibile”.

È chiaro a tutti che il legislatore nel

porre una disciplina così rigorosa ha dovuto

compiere scelte ardue, nel difficile compito

di bilanciare due interessi in qualche caso in

conflitto: la tutela della vita dell’embrione

ed il rispetto del diritto altrui alla

procreazione. Di qui tutta una serie di

previsioni che non hanno altra spiegazione

se non quella di dare comunque una

regolamentazione ad una materia che, per

la rilevanza degli interessi in gioco, non

poteva essere lasciata a scelte individuali

sempre opinabili. Così non vi è dubbio che il

numero, “non superiore a tre”, di embrioni

che possono essere creati per procedere ad

un “unico e contemporaneo impianto” desta

non poche perplessità soprattutto perché

non consente al medico di individuare e

praticare il migliore trattamento in vista

della diversità biologica dei singoli individui.

Tuttavia è altrettanto evidente che

l’alternativa sarebbe quella di affidare il

trattamento a modalità e scelte individuali

col pericolo di affidarsi a soluzioni arbitrarie

e non sempre corrette. Ciò che il legislatore

ha inteso evitare è che attraverso la

superproduzione di embrioni risulti in

qualche modo agevolata la selezione

eugenetica tra embrioni sani ed embrioni

difettosi.

In conclusione, anche da questa

brevissima disamina delle legge del 2004,

risulta evidente che il legislatore ha posto la

massima cura nel salvaguardare la salute

dell’embrione. Alla salute della donna (che

dovrebbe essere un bene di rango

superiore) non viene assicurata invece

tutela adeguata. Si pensi ai pericoli

connessi alla cosiddetta sindrome da

iperstimolazione ovarica, ai rischi chirurgici

per il prelievo di ovociti, e quelli derivanti

da un’eventuale fecondazione trigemellare.

Tutti i rischi connessi all’impianto

contemporaneo di tre embrioni. Si consideri

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inoltre che, dovendosi impiantare

contemporaneamente, ed in un’unica

soluzione, tutti e tre gli embrioni, e non

essendo consentita la diagnosi reimpianto,

l’embrione eventualmente difettoso

dovrebbe essere ugualmente impiantato

con il rischio, anche questo prevedibile, di

un aborto successivo.

È evidente che non possono (e non

sono) questi gli intendimenti del legislatore.

Ed anche se la formulazione normativa

potrebbe non favorire conclusioni univoche,

tuttavia sembra ragionevole concludere che

l’art. 13, n. 2 (nel consentire la ricerca

chimica e sperimentale su ciascun

embrione), l’art. 14, n. 3 (nel prevedere la

crioconservazione di embrioni già prodotti,

ammessa in considerazione dello stato di

salute della donna), lo stesso art. 14, n. 5

(che prevede l’informativa alla coppia sullo

“stato di salute degli embrioni prodotti e da

trasferire nell’utero”) sembrerebbero

riconoscere la possibilità di accertamenti

diagnostici preimpianto.

Una significativa conferma in tal

senso sembrerebbe venire dalla previsione

del 3° comma, lett. b) dell’art. 13 che vieta

ogni forma di selezione a scopo eugenetico,

mentre consente interventi aventi finalità

diagnostiche e terapeutiche le quali,

secondo quanto previsto dallo stesso art.

13, n.2, siano volte alla tutela della salute

ed allo sviluppo dell’embrione. Con la

conseguenza che se la diagnosi

sull’embrione dovesse evidenziare

malformazioni in grado di determinare gravi

pericoli per la salute fisica o psichica della

donna, l’embrione stesso non andrebbe

impiantato. Del resto, ad analoga soluzione

si dovrebbe pervenire per l’aborto, quando

sussistano per la donna le medesime

condizioni di salute.

L’argomento introduce i problemi

della ricerca, della sperimentazione e dei

connessi limiti normativi. Gli artt. 9 e 33

Cost. individuano nella libertà della ricerca

e della scienza beni di rilevanza

costituzionale, suscettibili di

regolamentazione legislativa quando il loro

esercizio rischia di incidere negativamente

su altri beni di uguale rilevanza

costituzionale come, ad esempio, la vita

embrionale.

Ancora una volta si tratta di

individuare un criterio che consenta di

effettuare un bilanciamento di interessi.

Oggi le maggiori difficoltà per

quest’operazione derivano dai problemi

relativi alle incertezze in ordine alla ricerca

sulle cellule staminali di origine embrionale

e le sue possibili applicazioni terapeutiche.

Nel 2000, il Comitato Nazionale per

la Bioetica in un parere sull’impiego

terapeutico delle cellule staminali ha

dichiarato che il Comitato “ritiene

eticamente lecita la derivazione di cellule

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staminali ai fini terapeutici dagli embrioni

non più in grado di essere impiantati”.

Raccomanda poi il Comitato che il fine

terapeutico della sperimentazione venga

rigorosamente accertato.

Il nostro legislatore, invece, ha

drasticamente vietato la sperimentazione su

ciascun embrione, per cui non è consentita

la derivazione di cellule staminali neanche

quando la derivazione sarebbe motivata da

finalità terapeutiche e sarebbe effettuata da

embrioni non più impiantabili (art. 13, c. 1,

l. 40/2004).

L’utilizzazione di embrioni non più

impiantabili per ricavarne cellule staminali,

a nostro avviso, tuttavia, non si porrebbe in

contrasto con principi giuridici di rilevanza

tale da ritenersi prevalenti sul bene

connesso alla tutela della salute, interesse

di portata generale e di rilevanza

costituzionale, secondo l’art. 32 Cost.

Se le cellule staminali di derivazione

embrionale siano le più efficaci per la

terapia di gravi patologie e dall’elevato

costo umano e sociale, è problema che non

può essere affrontato in questa sede. E del

resto avrebbe relativa importanza dal

momento che ai ricercatori non è consentito

porre limiti in nome di una presunta ricerca

scientifica pura, da tenere distinta dalla

ricerca scientifica cosiddetta applicata. Il

legislatore, infatti, sul punto non fa

distinzione alcuna.

In definitiva, nell’analisi di questi

problemi, si dovrebbe partire da un punto

fermo: se tutelare l’embrione umano

costituisce un dovere irrinunciabile del

legislatore ed impegna in primo luogo i

ricercatori, per altro verso lo stesso

ricercatore ha il dovere morale e sociale,

prima che quello giuridico, di impegnarsi

per debellare il male e per diminuire la

sofferenza di tanti ammalati oggi giudicati

incurabili.

Senza dubbio una ricerca senza

regole non è concepibile, anche la ricerca

scientifica necessita di uno statuto che ne

disciplini l’attività, esaltandone al tempo

stesso le finalità nel senso del rispetto della

dignità dell’uomo e di tutto quanto vi si

riferisce. Uno statuto di regole precise,

emanato nella consapevolezza delle nuove

frontiere della scienza; uno statuto che

quindi non si limiti a divieti assoluti

apoditticamente imposti in nome di principi

ideali o di parte. Se sia lecito creare

embrioni al solo scopo terapeutico; se

possono ricavarsi cellule staminali

utilizzando embrioni umani non più

impiantabili; se ed entro quali limiti sia

consentito sopprimere embrioni umani,

sono problemi etici di grande rilevanza.

Come di grande rilevanza morale è il

problema della natura stessa dell’embrione

e della sua assimilabilità all’uomo, essere

vivente. Questioni delicatissime che

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tuttavia, come non fermeranno la ricerca

scientifica ed il progresso, così non devono

fermare i giuristi impegnati a trovare quelle

soluzioni che, insieme alla salvaguardia

dell’embrione, consentano la ricerca

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scientifica di operatori sempre più

consapevoli del grande ruolo sociale e delle

responsabilità che su ciascuno di loro, e di

noi, incombono nella tutela dei valori

fondamentali dell’umanità.

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L'UOMO CREATORE DELL'UOMO: BREVE VIAGGIO TRA SCIENZA E FICTION

Barbara Bonaiuto

Allieva Master in Comunicazione e Divulgazione Scientifica Università degli Studi di Napoli Federico II

"Ogni cosa deve avere un inizio […]

e quell’inizio deve essere fondato su

qualcosa che è già iniziato […] si deve

ammettere con umiltà che l’invenzione non

è una creazione dal nulla […]".

Con queste parole del Frankenstein

di Mary Shelley, prende corpo l'idea

dell'uomo-creato-dall'uomo, divenuta un

classico e perpetuata nella letteratura in

racconti e romanzi come Il mondo nuovo di

Aldous Huxley e Do the androids dream of

electric sheep? di Philip Dick. Nel primo gli

uomini sono creati in provetta e nutriti con

sostanze differenti a seconda della classe

sociale cui sono destinati; nel secondo, dal

quale è stato tratto il film culto Blade

runner, alcuni esemplari del modello Nexus-

6, replicanti dell’uomo, sfuggono al

controllo dei loro creatori e devono essere

rintracciati prima che arrechino danni

irreparabili al contesto sociale.

La ricerca nel campo delle staminali

ha probabilmente favorito questo filone

nato in tempi non sospetti in cui neanche la

pecora Dolly era stata ancora creata: dal

celebre film I ragazzi venuti dal Brasile del

1978, in cui il crudele scienziato nazista

Mengele clona 94 piccoli Hitler per costruire

il IV Reich, fino al recente The island

ambientato nel 2019 e in cui i sopravvissuti

ad un cataclisma nucleare vivono in una

zona protetta aspettando di essere trasferiti

sull’isola, unico lembo di terra rimasto

incontaminato. In realtà sono cloni creati

per poter dare ai loro acquirenti umani

l’eterna giovinezza. Il tema comune è

sempre l’aspetto etico, e anche se la fiction

tende più ad allarmare che a spiegare,

contribuisce comunque a portare

all’attenzione del grande pubblico questioni

di grande rilevanza scientifica e sociale. Del

resto, come spiega anche il regista di The

island: «Non ho voluto affliggere il pubblico,

ma solo farlo riflettere su una questione

morale, per poi trascinarlo in una corsa

mozzafiato».

CELLULE STAMINALI SENZA

DISTRUZIONE DI EMBRIONI

Silvia Conte

Allieva Master in Comunicazione e Divulgazione Scientifica Università degli Studi di Napoli Federico II

Ottenere cellule staminali embrionali

senza distruggere l’embrione sembra oggi

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possibile. A questa conclusione,

interessante anche su un piano etico, sono

giunti due gruppi di ricercatori americani. I

loro esperimenti, condotti per ora su topi,

sono stati pubblicati dalla rivista Nature lo

scorso ottobre.

Il primo metodo, dovuto a Robert

Lanza ed ai suoi colleghi della Advanced Cell

Technology, consiste nel prelevare una

singola cellula dall’embrione, allo stadio di

otto cellule, senza che si interferisca con la

normale crescita embrionale che, una volta

impiantate le restanti sette cellule

nell’utero, continua regolarmente fino alla

nascita. La cellula prelevata, posta in una

coltura di cellule staminali preesistenti,

permetterebbe lo sviluppo di una nuova

linea cellulare staminale embrionale

indipendente.

Rudolf Jaenisch, con i suoi

collaboratori del MIT è, invece, partito da

una cellula adulta da cui viene prelevato il

nucleo, poi inserito all’interno di una cellula

uovo enucleata, utilizzando una tecnica

analoga a quella usata per clonare la pecora

Dolly. In questo modo si dà origine ad una

linea di cellule staminali, ma non ad un

embrione.

SCULTURE SEMI-VIVENTI CON LE

STAMINALI

Ingegneri biotecnologici un po’ artisti, un po’ terapeuti

Manuela Pitterà

Allieva Master in Comunicazione e Divulgazione Scientifica Università degli Studi di Napoli Federico II

Utilizzare un supporto di ceramica

per farvi crescere cellule staminali adulte

potenzialmente in grado di differenziarsi in

tessuto osseo, cartilagineo, adiposo,

muscolare e nervoso è l’ultima frontiera

della ricerca, che mira a realizzare

biocomponenti da sostituire agli organi

danneggiati del corpo umano. E’ già

possibile far sviluppare le cellule immature

attorno ad un oggetto che emuli la forma

dell'organo desiderato poiché le staminali si

riproducono e formano un rivestimento

biologico attorno a qualsiasi supporto

estraneo. Per ottenere, ad esempio, una

nuova arteria da trapiantare, è sufficiente

inserire un tubicino nella cavita'

peritoneale, lasciare che le cellule vi

aderiscano, e rimuoverlo.

La ricerca prosegue sia per

sviluppare ceramiche completamente

riassorbibili, sia per ottenere colture di

cellule da donatore sia, sebbene gli studi

siano in una fase iniziale, per creare organi

di ricambio sulla base delle esigenze

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specifiche del paziente. Discutibili sono,

inoltre, le implicazioni etiche legate alla

generazione di oggetti semi-viventi,

costruiti in parte artificialmente e in parte

con materiali organici, creati

provocatoriamente da artisti che impiegano

l'ingegneria tissutale come mezzo di

espressione per far riflettere sul rapporto

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Elsie Russell, Frankenstein: Creator Meets Created on the Mer de Glace

tra l’organico e l’inorganico, l’animato e

l’inanimato.

Perfezionando tale tecnica si

potrebbe giungere a far proliferare tessuto

organico entro bioreattori per un potenziale

consumo dell'alimento, e dunque evitare

l’uccisione degli animali senza rinunciare a

mettere in tavola l’amato filetto.

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Apertura edizione 2005-06: The Terrorist Regia: Santosh Sivan03/11/05

Rassegna cinema comico: Hollywood Party Regia: Blake Edwards 10/11/05

Rassegna Wim Wenders: Lo stato delle cose 24/11/05

Rassegna cinema del Mediterraneo: Intervento Divino Regia:Elia Suleiman 08/12/05

Rassegna cinema comico: Invito a Cena con Delitto Regia:Robert Moore 21/12/05

Rassegna joseph Losey: Il Servo 12/01/06

Rassegna cinema del Mediterraneo: Kadosh di Amos Gitai Regia: Amos Gitai 26/01/06

Rassegna cinema comico: Questo pazzo, pazzo mondo Regia: Stanley Kramer 02/02/06

Mahabharata I Regia: Ravi Chopra 16/02/06

Mahabharata II Regia: Ravi Chopra 23/02/06

Rassegna Wim Wenders: Buena Vista Social Club 02/03/06

Rassegna joseph Losey: Messaggero d'amore 16/03/06

Rassegna cinema del Mediterraneo: Arsenico e Vecchi Merletti Regia:F. Capra 30/03/06

Rassegna cinema del Mediterraneo: Private Regia: Saverio Costanzo 13/04/06

Rassegna joseph Losey: Don Giovanni 20/04/06

Rassegna Wim Wenders: Paris, Texas 27/04/06

Rassegna cinema comico: La Strana Coppia Regia: Gene Saks 04/05/06

Rassegna Wim Wenders: La Terra dell'Abbondanza 18/05/06

Rassegna joseph Losey: Per il Re e per la Patria | L'incidente 25/05/06

Rassegna cinema del Mediterraneo: Film Parlato Regia: Emanuel De Olivera 01/06/06

Rassegna cinema comico: Mon Oncle Regia: Jacques Tati 08/06/06

Rassegna cinema del Mediterraneo: Yol Regia: Serif Goren 15/06/06

Rassegna cinema del Mediterraneo: Le Grand Voyage Regia: Ismael Ferrukhi 22/06/06