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Caro papà,io sto bene, spero che starai bene anche te. Noi siamoandati in cerca di pezzotti, quello che ci aveva trovatola Maria (?) è un po’ rotto ma però del disegno di quel-lo del Varotto (?) e niente scolorito. La M. poi ce n’hatrovato un altro, noi siamo andate subito a vederlo maera tutto attaccato sopra una coperta imbottita e perciònon l’abbiamo comprato. Mammina è disperata perchénon capisce niente di quella burla di lettera che le haimandato per l’affare del mezzaro e perciò ci farai mol-

to piacere a tutti se ci spiegherai un pochettino quantol’hai pagato, se l’hai comprato o no, e la tua miss. (?)e le 1.700 lire… - fino a qui Luisa Bignami al padre ing.Leopoldo, a Genova; quindi sua madre, Ester Basevi, almarito: Lavoro molto, chiacchero coi bimbi, non ab-bandoniamo la famosa cerca dei pezzotti, sorgente ine-sauribile di delizia e di delusioni! Mi spiegherai il misterodel mezzaro?...

Sassello, 30 luglio 1925

La mostra di stoffe ospitata a Palazzo Ducale

tra il 2000 e il 2001 (“Arte e lusso della seta a Genova

dal ´500 al ´700”, a cura di Marzia Cataldi Gallo),

ancora fondamentale per aver riportato all’interesse

del grande pubblico i Mezzari genovesi d’antica tradizione,

ospitava in una nicchia localizzata con il logo di sicuro

contagio “la passione di un collezionista” un reperto

d’insigne curiosità: la lettera che qui sotto viene riprodotta.

A fronte e alla pagina successiva.Smizzer (scultore), Issel (editore). Statuina raffigurante “vecchia con il mezzaro”, (part.). Albisola, 1925 circa. Manifattura La Fenice di Manlio Trucco. (h 40 x 8 cm. Terracotta decorata sottovernice. Marca assente).

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Suggestioni d’Oriente nei mezzari genovesidi Giuseppe Bignami

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Una passione, quella dei mezzari, che crebbe, nel casoin questione, in assoluta contemporaneità al risveglio del-l’interesse e delle ricerche magistralmente condotte daOrlando Grosso, e culminate in un primo articolo (set-tembre 1921) comparso sulla rivista “Dedalo”, anno II,fascicolo IV: “Il Mésere”, pp. 250-282.La collezione Basevi-Bignami, citata anche recentementein seno a pubblicazioni e mostre di cui parleremo più avan-ti, è passata ormai alla piccola storia dell’arte e del col-lezionismo locale assai più dell’altra bella passione perla pittura a soggetto floreale di Ester Basevi, che, allievadi Beppa Parodi (moglie del pittore Andrea Figari, det-to “il Tempesta”), ha pur lasciato onoratissima traccia nel-le case di parecchi genovesi, e in qualche catalogo di mo-stre collettive addirittura in compagnia di Alberto HeliosGagliardo e Antonino Traverso1. Quello che interessa testimoniare in questo articolo è l’in-tento collezionistico d’una ragazza della buona borghe-sia genovese, sempre allertato ad ampliare una raccoltache dovette essere eccezionale, ma non si appagava si-curamente della semplice rimessa di un telo sull’altro, co-me capita, seppur raramente e senza troppa concorrenza,ai giorni nostri. L’intento conservativo, che attualmenteconsiglia l’uso d’un tubo leggero sul quale arrotolare ilmezzaro a riposo, ed evita esposizioni soleggiate, non va-leva a quei tempi, nei quali la relativa facilità del reperi-

mento, unita all’ancor buona conservazione dei teli, per-metteva persino la realizzazione di tende, mantovane,grembiulini per mobiletti domestici e copriletti da usarsinel quotidiano – quando non, addirittura, vestiti da don-na e rifasciature di libri. Narrano le fonti, relativamente alla collezione Basevi dicui stiamo parlando, che subito dopo la guerra era pos-sibile riconoscere pezzotti, adibiti ad abito, indossati dagiovani donne a Manin, sottratti alla collezione da un mal-fidato custode…Altro aneddoto di sicuro interesse: Ester Basevi, a diffe-renza del fratello Alessandro - citato fra i maggiori colle-zionisti del suo tempo per l’altissimo livello, la qualità ec-cezionale e la varietà dei suoi conseguimenti - compe-rava pochissimo sul mercato antiquario, preferendo bat-tere le campagne liguri casa per casa, insistendo fino alpunto di acquistare due parti tagliate da un mezzaro (ri-

A fronte e dall’altoGiacomo Boselli (1744-1808). “Contadina alla semina”,1780/90; (h 21,5 x 10 cm. Maiolica e terracotta, marca assente).Emanuele Rambaldi (1903-1968). “Fanciulla con vassoio”,metà XX sec. (h 35 x 16 cm; terracotta decorata sottovernice.Timbro sotto il basamento e tracciato manoscritto “Rambaldi /Albisola”. Marca assente).Grande piatto “Figurette con l’ombrellino e rovine” (v. nota n. 5).Piccolo piatto “Decoro mezzaro”. Marca La Fenice.

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partito in tre, quanti erano gli eredi) per poi ricucirle as-sieme, dipingendo lei stessa, come sapeva fare benissi-mo, rami e fiori per la nuova giuntura! D’altro canto, lapratica di restauro corrente a quei tempi era cucire per-sonalmente piccoli e grandi pezzi da mezzari ormai ro-vinati sulle “ferite” ancora risarcibili dei nuovi acquisiti.Oggi si parla genericamente di “albero della vita”, indi-cando in questo povero modo tutti i mezzari, sempre igno-rando le tipologie che l’articolo di Orlando Grosso, sopracitato, aveva chiaramente numerato in 14. Pochi sanno,ai nostri giorni, che è di solito il quadrante inferiore si-nistro dei mezzari a fornire un’identificazione “scientifi-ca” (mezzaro “delle Vacchette”; della “Nave”); oppurequello centrale (“l’Elefante bianco”); o quello destro (mez-zaro “del Minareto”); per tutti vale, comunque, il cam-po inferiore (mezzaro “delle Latanie”) o l’ospite dell’al-bero (“il Macaco”, “le Scimmiette “), o gli animatori del-

la “collinetta”, più o meno imbricata (“le Scimmie Ros-se”, “La Caccia”). Anche i fiori, o un particolare albero,contribuiscono a denominare un mezzaro: quello “delleRose”, quello “del Castagno”, quello del “Tamarindo” (o“delle Palme”); quello dell’“Albero vecchio”. Fino a qui per i mezzari “tradizionali”, portatori dell’al-bero, e realizzati tutti in un unico grande telo d’importa-zione svizzera, senza giuntura, non bastando i telai ligurialla produzione di misure di cotanta ampiezza; ma esi-stono anche mezzari interamente campiti di fiori, senzal’albero. Una volta si chiamavano mezzari “francesi”, enon si faceva distinzione di misura: quelli piccoli (cm.200x228) con il campo centrale decorato da minuti maz-zolini di fiori in evidente discendenza da analoghi moti-vi presenti su cotoni indiani, e porcellane, destinati al-l’esportazione; e un grande bouquet stampato al centrocon quattro medaglioni a decorare gli angoli. Quelli gran-

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di, di misura appena inferiore a quella dei mezzari conl’albero (che varia dai cm. 215/275 h x 230/275, nellepiù disparate combinazioni), col campo centrale nel qua-le i fiori possono essere intrecciati a rami stilizzati e al-ternati a forme geometriche qualche volta simili a quel-le esibite in alcuni scialli prodotti nel Kashmir, da consi-derarsi modelli per i nostri. In questi non compare nelriquadro centrale il grande bouquet.La collezione Basevi, come si è detto, si formò soprat-tutto a prescindere dall’offerta antiquariale; non così quel-la dei congiunti Basevi-Gambarana, di cui si conserva-no dieci eloquentissime fotografie: mezzari assai rari, pre-stati per anni a varie esposizioni, anche all’estero (Mul-house, 1964). Solamente la prima, però, fu con amore“usata” nell’arredo domestico, pure nella generazione suc-cessiva, dove, per esempio nella stanza della musica, fa-

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A fronte“Mezzaro della Nave”. Genova, manifattura Fratelli Speich,primo quarto XIX sec. (cm 252 X 260)

Particolari.

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“Palampore dell’albero di bambù”.India, Stato di Madras (?), metà XIX sec.(h 357 x 260).Accanto “Indiana degli elefantini”(intero e part.). India, seconda metà XIXsec. (h 334 x 172; caratterizzata dallateoria di elefantini presente sulla fasciasuperiore).

A fronteEster Basevi (1887-1936), ventenne, in una foto – firmata “Barone” – primadel matrimonio con Leopoldo Bignami,avvenuto il 28 aprile 1915.

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ceva mostra di sé un mezzaro diverso ogni anno, per cuitante melodie dai quartetti di Beethoven e Schubert, stu-diati nella pratica strumentale familiare, venivano a fis-sarsi sulla “nave”, sull’“elefante bianco”, sulla “giraffa”,sulle “rose”, quando non in specie su una piccola infio-rescenza che è una vera fantasia impressionista sul qua-drante superiore destro del “mezzaro della Nave”: bre-vi linee policrome sovrapposte, come occhieggianti, maipiù riprodotte in altri teli, e destinate a rimanere nell’im-maginario come un profumo metafisico struggente.Cesare Bignami curava e alternava, in esposizione do-mestica, i mezzari di sua madre Ester – qualche rara vol-ta estraendo tutti quelli a lui pervenuti dal loro scaffalerecondito, ed era festa in famiglia! – ma fece un solo ac-quisto. Passando vicino a una portineria milanese, in tem-po di guerra, ebbe a notare una portinaia intenta a sti-rare nella guardiola. Il panno sul quale la donna appog-giava il capo da stirare era… un mezzaro a fiori (!). Ri-uscì a comperarlo senza fatica, non guardando troppoalla sorpresa e alle inevitabili bruciature sul campo. Fe-ce anche confezionare un abitino per la moglie utilizzandouno dei pezzotti che furono di sua madre (splendida laquantità e la qualità dei pezzotti in quella raccolta), e fa-ceva lavare i mezzari ereditati da lei, non più ciascunouna volta all’anno come si usava prima, ma solo quelliesposti, e per di più raramente, almeno fino a quandocommise l’errore d’affidare un lavaggio al personale di ser-vizio: asciugando al sole all’aria aperta un innocente mez-zaro ebbe a perdere tutti i suoi colori, e lo scoramentosconsigliò d’insistere…Nel 1938 ebbe luogo, a Palazzo Ducale in Genova, unasplendida mostra di mezzari organizzata da Orlando Gros-so, sull’onda lunga del già citato suo essenziale articoloin “Dedalo”, accompagnata da una rassegna questa vol-ta ospitata in “Genova, Rivista Municipale”, novembre1938, fastosa nella tonalità verdastra delle numerose fo-tografie di più d’un esemplare per ciascun mezzaro, e perl’ambientazione nei suggestivi saloni d’alto soffitto del Du-cale. Quasi cinquant’anni dopo, il 15 novembre 1987, laditta Giglio Bagnara di Sestri Ponente propose, affidan-dosi alle cure dell’emergente dottoressa Marzia Cataldi Gal-lo, la prima mostra di Mezzari Genovesi “moderna”. Daquel momento si può datare la ripresa dell’interesse pub-blico sul nostro argomento, se poi videro la luce una mo-stra alla Rinascente di Milano, con catalogo (aprile-mag-gio 1988; per la prima volta in esposizione non solo mez-zari, ma anche stampe, quadri ecc.); un volume di Mar-gherita Bellezza Rosina e Marzia Cataldi Gallo (“CotoniStampati e Mezzari dalle Indie all’Europa”, Sagep, Geno-va, 1993); una splendida parte dell’ampia mostra sulle stof-fe ancora una volta ospitata a Palazzo Ducale, a Genova,a cavallo tra il 2000 e il 2001 (di cui si è già parlato, edove ebbe particolarissimo rilievo l’esposizione d’una rac-colta di mezzari, stampe, quadri e statuine tanto legata

alla collezione Basevi…); una mostra in Villa Serra di Co-mago, luglio-novembre 2002; fino all’ultima, internazio-nale ed itinerante, dotata per la prima volta di catalogocon testo italo-inglese (“Mezzari and the Cotton Route”,Emirati Arabi ecc., 2007) – poi seguita da una successi-va, portata in Russia; tutto rimanendo dovuto all’insosti-tuibile presenza di Marzia Cataldi Gallo.Cosa sia stata, e sia, una collezione di mezzari genovesi,a questo punto diventa argomento indilazionabile. Ai tem-pi della Basevi, come è stato notato, si raccoglievano mez-zari, pezzotti e indiane con discreta facilità, e quasi sem-pre gli esemplari raccolti non erano restaurati, né “fode-rati” come gran parte di quelli oggi reperibili. Ma nessu-no si curava d’altro2! Ester Basevi avrebbe potuto tra-mandare gli scritti di Orlando Grosso (che pur conosce-va, come è stato dimostrato), acquistare i quadri di Ba-rabino, o del suo allievo Gainotti; i bei pastelli di Loren-zo Massa, gli acquerelli di Craffonara; gli olii di AntoninoTraverso (suo “collega” in pittura, e curioso relatore di co-stumi popolari); i quadri di Salietti, Aicardi, Cesare Viaz-zi, per restare ai suoi contemporanei. Avrebbe avuto a por-tata di mano le belle statuette di Issel-Smizzer (“Vecchiacon Mezzaro”, manifattura “La Fenice” di Manlio Truc-co, Albisola, 1925 – oggi ne sono inventariate più o me-no 6/7 copie!) e quella di Abele Jacopi (“La Genovese”),per la Lenci di Torino, 1935-36 (evidente copia, sia det-to per inciso, della precedente – ma sfuggita, come ta-

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le, al massimo studioso della Manifattura Ceramica Len-ci di Torino, Alfonso Panzetta ). Guardandosi indietro, EsterBasevi avrebbe potuto reperire senza troppo sforzo gli stam-pi di fabbrica in legno di pero, noce o tiglio per la fissa-zione dei disegni e la coloritura dei teli (un antiquario divia Garibaldi ne mise in vetrina un’intera raccolta ancoratrent’anni fa, purtroppo non acquisita, che si sappia, daalcun museo cittadino); gli spilloni d’argento per fissaresul capo i pesanti e scomodissimi teli. Invece nulla: nes-suno parlava dell’“accessorio”, o acquisiva lo “strumen-tale”; nessuno cercava, o studiava, il Delormois (“L’artedi fabbricare l’Indiane all’uso d’Inghilterra”, Firenze, pri-ma versione italiana nel 1771)3; il “Lunario Genovese com-pilato dal sig. Regina” – pseudonimo del poeta vernaco-lo Martin Piaggio – dove, nel 1832, alla pag. 46-47, fa bel-la mostra di sé un’incisione con una giovane ammantatadal mezzaro accanto al Carlo Felice inaugurato quattro an-ni prima... Perché non cercare, a quei tempi, l’incisionedi C.G.Ratti, 1780; le due di J.Baptiste Greuze, 1768; il“Viero”, 1783, e poi le numerose dalla metà dell’ottocentofino a 900 inoltrato (1931, Riccardo Ferrari; 1934, Em-ma Calderini; 1958, Aldo Fornoni e Maria Angela Gras-si), tutte a rappresentare la magnificenza delle donne colmezzaro portato, già decantata da Casanova, Karr e datanti visitatori di Genova fino al tardo ‘8004?Oggi ci si confronta con i testi fondamentali di Henry Clou-zot (anni Venti del ‘900), fra i quali “Le manifatture diJouy”, “Papiers Peints et Tentures Modernes”, “Indien-nes, Etoffes Chinoises, Toiles de Jouy” e “La toile impri-mée en France”; con quello di Ernest Dumonthier su Fran-cesco Casanova, fratello di Giacomo, pittore di battagliema anche esecutore di cartoni di soggetto campestre emilitare pressoché ignoti agli attuali intenditori di stoffedipinte (“Les Tapisseries d’Ameublement de la Manifac-ture Royale de Beauvais d’après François Casanova”, Pa-

ris, ed. Albert Morancé, 1921). Vivacissimi i più recentilibri di D’Allemagne (1942), i “Chinz Anciens” di Tame-zo Osumi (1963). Irraggiungibile un manifesto (se ne co-nosce, non ancora oggetto di studio, una sola copia) suuna concessione per la produzione di “Indiene, Persie-ne -sic-, o sia Calancà d’ogni sorta” rivolta a Carlo Ema-nuele di Savoia da Claudio Michele Girardi, di Pinerolo,con Jean Michel Sibilon, di Lione (pur conosciuto e ci-tato dal Clouzot), nel 1736 quindi ben 51 anni prima cheGiovanni Speich, nato a Glarona in Svizzera, facesse ana-loga domanda di “intraprendere… una fabbrica di calancà,meseri, fazzoletti” a Genova, nel 1787 (la sua maggioreabilità, o forse soltanto una maggiore fortuna, gli con-sentirono di portare alla gloria, per la felicità anche no-stra, i famosi Mezzari Genovesi di cui stiamo trattando).In questi nostri anni è ancora possibile reperire statuet-te in ceramica, come una ne è recentemente compar-sa di Emanuele Rambaldi, anni ’50 del secolo scorso, in-gentilita da uno splendido grembiulino che sembrereb-be ripetere l’uso del pezzotto già “perpetrato”, dopo laguerra in qualche famiglia cittadina, da certa popolazionefemminile genovese. E piatti di ceramica di Savona del‘700, con i classici gruppetti di “cinesini” accanto a ro-vine architettoniche (gli stessi presenti sui bordi di mol-ti pezzotti, e su un importante mezzaro della fabbrica diTestori, genero e successore di Speich, di cui parleremopiù avanti); e piatti anni 20 che ripetono “cinesini” e “ro-vine”5, o propongono lo splendido fondo bianco a deco-ro “mezzaro”, così avvedutamente presentati da Federi-co Marzinot in “Ceramica e Ceramisti di Liguria”, Sagep,1987. Non così facile da conquistare l’unica incisione ge-novese con didascalia in dialetto: “Meisao de l’Erbö”, Co-stume delle Dame del Popolo Genovese, opera d’un mi-sterioso G.P., – eseguita nel 1823 – ma comparsa, sulmercato, lungo almeno vent’anni…

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A questo punto conviene notare come il mercato antiquario(insieme a quello delle aste cittadine) sia ancora ai gior-ni nostri a dir poco risolutivo, pochissime risultando letrasmissioni ereditarie, gli scambi fra parenti, le segna-lazioni da privati che comprendano mezzari, indiane, pa-lampores, pezzotti e “mandilli”. Fino al 1997 (rivista “Do-ve”, “Stile ligure: i Mèzzeri”, articolo a firma Isa Bonacchie Iaia Pedemonte, non esente da parecchie inesattezze)non esisteva alcun riferimento ad antiquari professioni-sti e commercianti nei cui negozi fosse possibile trovaremezzari di vecchia, e soprattutto nuova, produzione. Puòessere curioso notare che fra i teli a noi contemporaneisi possono tuttora acquistare mezzari assai più convin-centi di quelli “cinesi” e dozzinali di passato molto re-cente ai quali ci introducono, fortunosamente arrivati ori-ginali fino a noi (anche se quasi sempre in pessime con-dizioni per essere stati acquistati e troppo usati da chinon poteva permettersi i prezzi superiori dei mezzari ec-cellenti), sottoprodotti popolari d’epoca: fra tutti il mez-zaro “di Colombo” (1992) e quelli di Emanuele Luzzati,d’argomento per lo più mozartiano.Si può anche stigmatizzare l’atteggiamento folle di alcunifra questi mercanti, tanto ignoranti da poter domandare,contro l’evidenza d’un mercato sperimentato, e prescindendoda risultati d’asta, anche la bellezza di 5000 Euro per unmezzaro “delle Vacchette” oltretutto foderato: uno dei me-no rari, spesso presente nelle dispersioni all’incanto loca-li; dove approdano, molte volte sopravvalutati e senza de-stino, non pochi mezzari devastati e maleodoranti. Tale igno-ranza, peraltro, riflette quella del comune cittadino, in per-fetta buona fede quando sottopone ad esame un propriomezzaro, sempre “antichissimo” e con “l’albero della vita”;all’esame, in seguito, invariabilmente scialle, mantello orien-tale in cachemire, piccolo arazzo indiano, “batik”, o lacer-to o tenda sopravvissuta a desolati traumi innominabili…

Ma la risposta culturale avviata da Palazzo Ducale nel2000-2001 ha finalmente convinto tutti che l’argomen-to “mezzari”, in quanto tale, non è da considerarsi mor-to affatto, e prova ne sia la grande quantità di domandecuriosissime che si sentivano formulare fra i visitatori del-la mostra; più che sufficienti ad invogliare uno degli espo-sitori alla realizzazione d’un eroico video (“Il fascino del-l’Oriente, i mezzari”, editore “Il Principe”, 2001) nel qua-le far risaltare i Mezzari Genovesi d’“antica tradizione”come “risultanza e patrimonio di rinnovata cultura”: un’o-ra, per i pochi che hanno potuto vederlo, di raffinata proie-zione documentaria sulla mostra appena terminata, di persé una piccola summa d’accessibile accademia sull’ar-gomento (l’archivio di Palazzo Ducale ne custodisce co-pia). Lo stesso curatore ha poi affiancato al video un gran-de album in cui i documenti, le cartoline, i manifesti, lefotografie attuali, quelle antiche e le più svariate testi-monianze e ambientazioni, di seguito aggiornate, rendonosbalorditivo, a chi vi si accosta, un meraviglioso univer-so di storia e di colori.Ecco comparire l’“indiana degli Elefantini” (India, secondametà del XIX secolo), con il suo alto cipressetto compresoin una nicchia, la cui struttura e tipo di decorazione cen-trale fanno ritenere l’esemplare destinato al mercato per-siano, dove probabilmente assolveva alla funzione di ten-da da campo; il “palampore dell’Albero di bambù” (In-dia, forse Stato di Madras, metà ‘800): uno dei pezzi piùrari ed importanti della mostra (altri due soli esemplarine sono conosciuti: uno in America, l’altro a Londra al“Victoria and Albert Museum”); l’“indiana delle Freccet-te”, piccolo telo appartenuto alla collezione Basevi, in cuile “freccette” costellano il campo centrale come un’imi-tazione a stampa di motivi realizzati altrove; e poi il “mez-zaro delle Rose” (ancora dalla raccolta Basevi, raro la suaparte, di melanconica colorazione viola, dove una sce-

Domingo Motta (1872-1962); “CostumiGenovesi 1800”, rarissime incisioni a vernice molle in tricromia dalla serie “I Costumi Popolareschi Liguri”.

A fronte“Une Gênoise”, acquaforte di A. Cadartdatata 1877, ed. A. Guerinet, Paris.

“Costume di Sarzana”, incisione datata1876/78 di Camillo Rapetti (Milano 1859-1929) da un acquerello di Tranquillo Cremona.

Coppia di donne, litografia (anni ’40 del XX sec.) di Vittorio Garnier Valetti.

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A fronte “Costumes de Gênes et des processions dites les Casacce”,acquatinta acquarellata di DomenicoBonatti, 1829.

“Toiles de Gênes”, tavole da “Indiennes – Etoffes chinoises, Toiles de Jouy”, ed. A. Guerinet, Paris.M. Delormais, “L’art de faire l’indienne à l’instar d’Angleterre”, 1771.Manifesto per la mostra del “Mesaro” a Palazzo Ducale nel 1938.

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netta d’ambiente alpestre fa risalire l’elemento decorati-vo all’origine svizzera degli Speich); il “mezzaro della Na-ve”, le cui scene laterali raffigurano la nave da cui il mez-zaro prende nome – natante al quale nessun ingegnerenavale concederebbe il brevetto di navigazione… –, maanche un castello diroccato e una giraffa su una zatte-ra, evidente ricordo d’un viaggio in Svizzera d’un mal-capitato ruminante (splendido il bordo, con motivo a fo-glia dalla punta arrotondata di origine indo-persiana, dif-fuso in Europa grazie alla moda degli scialli “cashmere”);il “mezzaro del Macaco”, ricco di colori e con un’impo-stazione decisamente naturalistica nella resa dei fiori, trai quali si riconoscono bene papaveri, rose, viole del pen-siero, tulipani e peonie (vivacissima la presenza di pic-coli animali, oltre al cervo e allo stambecco ai bordi del-la composizione, quali il ragnetto che tesse la tela e lenumerose farfalle di sapido cromatismo; e naturalmen-te il macaco che denomina il telo, arrampicato su un ra-mo e identificabile con la simia presente in alcuni mez-zari prodotti da Testori); il “mezzaro delle Latanie”, chedeve l’insolito nome alle foglie di latania, pianta origina-ria dell’Africa, raffigurata in primo piano; il “mezzaro del-le Vacchette”, così denominato da O.Grosso per la sce-na bucolica nel campo inferiore sinistro, in cui sono raf-figurate alcune mucche al pascolo (è ritenuto opera ori-ginale di Speich, poi ripresa e continuata da Testori; ilbordo si presenta con tipologie assai variate, delle qua-li la più rara è probabilmente quella con il cestino di fio-ri inclinato e gli uccellini).Oltre ai mezzari la raccolta di cui stiamo parlando comprendeuna statuetta di Giacomo Boselli, “Contadina alla semina”,così bene decorata a fiorellini dalla tipica maestria della dilui moglie Chiarina, a Savona, nel 1780-90; le tele di An-gelo Traverso e di Luigi Gainotti (che trasse la sua ispira-

zione per un superbo “Ritratto di donna con mezzaro” –ormai diventato soggetto iconografico pubblico – dallo splen-dido Barabino custodito dalla Carige dal maggio 1989, edimostra, insieme a quello, come nel periodo del tardo ‘800il mezzaro, la cui produzione stava terminando, fosse usa-to soprattutto da donne anziane; cosa che prima non si ve-rificava, come stanno a testimoniare le numerose incisio-ni di metà secolo). Si può ancora citare, per l’identificazioneche permette, un mezzaro dei “Cinesini”, il cui marchio,non ancora apparso in altro esemplare, consente di asso-ciare alla produzione Testori anche il telo custodito nelle Rac-colte Tessili di Palazzo Rosso, a Genova. Ultima menzioneriserviamo a un mezzaro di “tradizione” e di “transizione”,a cavallo, cioè, tra quelli antichi e quelli attualmente pro-dotti: il mezzaro “delle Scimmie Rosse”, forse voluto da Al-berto Issel, con particolare concessione all’uso d’un verde“inglese” che avrebbe dovuto conquistare il mercato d’ol-tre Manica, mentre invece non convinse neppure quello ge-novese, rimanendo, oltretutto, di insigne rarità.Tra i teli moderni più particolari (e inaccessibili!) si puòcitare un foulard “albero Vecchio”, tipo “Voile de Gênes”(antica denominazione francese dei nostri mezzari), fir-mato Jean Patou, Paris (cm. 122x120), e uno, forse an-cora disponibile, tipo foulard-mezzaro: “Verardo”, con belbordo floreale, albero e veduta del porto di Genova dal-la spianata Castelletto.Ma è vero che il Mezzaro è finito? A vedere un esube-rante ritratto di giovane donna che indossa il coloratissi-mo mezzaro “del Macaco” – per la prima volta il dise-gno non risulta una fantasia iconografica! – con la deli-cata disinvoltura e la sufficiente pazienza d’una bella ra-gazza per niente “vecchia”, si direbbe proprio di no. L’o-pera è della genovese Alessandra Varbella; l’anno il 2007.E che dire delle statuette che sono in gestazione a Va-

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razze, mentre scriviamo, presso l’ardimentosa ceramistaAngela Arecco: “Fanciulla seduta con il mezzaro”?Ma qui siamo ad un primo assaggio del “futuro” del mez-zaro. Il presente si riallaccia prepotentemente al passa-to, come prova il fatto che la quasi totalità delle citazio-ni contenute in questo articolo riguarda oggetti traman-dati, conquistati, scambiati e comunque conservati in unasola collezione. La collezione “Bignami-Basevi”.

Note

1 Presso la Galleria Vitelli, una per tutte, il 30 dicembre 1931.È interessante notare che clienti le furono – nomi ben noti nel-la cultura del tempo – Orlando Grosso e il violinista Elia Grigis,maestro assai stimato nel solco della scuola paganiniana di que-gli anni. Costoro non esitavano certo ad acquistare “rose”, “da-lie”, “zinnie” e “crisantemi” a prezzi che variavano tra le 300e le 450 lire…2 Forti collezionisti dovettero essere, già nel 1921 come ci tra-manda O. Grosso (op.cit.), Angelina Bertollo Capellini, Agosti-no Ferrari, Carlo Vust, il prof. Alessandro Connio, Laura Quei-rolo Mongiardino. A costoro bisogna aggiungere lo stesso Gros-so che riproduce un suo mezzaro “ramagiato con disegno a pun-tini” della fabbrica Speich.3 L’edizione originale di questo lavoro: M. DELORMOIS, L’Art defaire l’indienne à l’instar d’ Angleterre, comparve a Parigi nel1770, presso Jombert, e già nel titolo sembra confermare unprimato francese, se non un vero anticipo da condividere conInghilterra e Svizzera su Genova, nell’arte di stampare su telanel secondo ‘700. Nell’edizione citata nel testo (Firenze, stam-

peria Moucke, 1771, tradotta dall’abate Antonio Lumachi), silegge a pag. 4 una “distinzione fra dodici o tredici differenti ge-neri di indiane” che è del più grande interesse prima della ca-talogazione tradizionale che dobbiamo a Orlando Grosso, e cioè:L’indiana calancà; il mezzo calancà; l’indiana ordinaria; il pa-tenace; l’opera minuta; la miniatura; la grisetta per abiti da uo-mo; il turchin blu doppio; il violetto doppio; il chiaro scuro intutti i colori; l’indiana da bruno; l’indiana porcellana; i fazzo-letti a due faccie (sic) (forse proprio quelli che noi conoscia-mo come mandilli). Oggi non è dato neppure di immaginare acosa corrispondessero, nella realtà, tutti questi differenti generi.L’operina da cui abbiamo tratto tali informazioni reca applica-to sui piatti di copertina un grottesco architettonico provenientedal bordo di un pezzotto che riprende un motivo già usato, ne-gli stessi anni, nel decoro di un piatto in ceramica di Savona.4 J. JÉRÔME DE LALANDE, nel suo Voyage d’un françois en Italie…,Venise, 1769, vol. VIII, pag. 503, così scriveva delle donne ge-novesi: “Tutte le donne che vanno a piedi sono inviluppate; cioèdue o tre aune di tele indiane di Persia più o meno belle di cuielleno si coprono la testa, le spalle e le braccia, per guisa danon poter essere riconosciute”. L. T. BELGRANO, Della vita pri-vata dei genovesi, seconda edizione, Genova, tip. Sordo-Muti,1875, a pag. 234 aggiunge ancora: “In sullo scorcio del seco-lo passato Giovanni Speich promosse nel paese di Cornelianol’industria dello stampare la tela ad imitazione delle indiane; ene fu specialmente rimunerato dalla Società Patria costituitasiallora in Genova”, e cita l’ALIZERI, Notizie dei Professori del di-segno in Liguria dalla fondazione dell’Accademia, Genova, 1864.5 Terracotta maiolicata e decorata in stile cosiddetto “Valente”,cm. 40 diam., forse realizzazione “Casa dell’Arte”, di AlbisolaCapo, 1923 circa (v. C. CHILOSI e L. UGHETTO, La Ceramica delNovecento in Liguria, Carige, Genova, 1995, per un confrontocon la scheda 79 a p. 67).

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57Artigianato

Nicolò Barabino (1832-1891) “Vecchia con mezzaro”, 1886.Collezioni d’Arte di Banca Carige.

Luigi Gainotti (1859-1940) “Donna con mezzaro”.

Alessandra Varbella “Giovane con mezzaro”, 2007. Sullo sfondo il ritratto di Gainotti.

A fronteCartolina pasquale spedita da Roma a Savona, febbraio 1930.

Tutte le opere che illustrano l’articolo,se non diversamente indicato, fannoparte della Collezione Bignami, Genova.

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