La Capitanata negli scritti di Tommaso Fiore · sangue il misero corpo della città e soffre in...

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La Capitanata negli scritti di Tommaso Fiore TOMMASO FIORE nell'arco di poco più di un decennio, dal 1951 al 1962, ha dato alla luce tre volumi fondamentali per lo studio e la conoscenza della nostra Puglia: Un popolo di formiche, Il cafone all'inferno, Formiconi di Puglia. Se consideriamo che, oltre i tre volumi anzidetti, egli in questo lasso di tempo ha dato alle stampe altri scritti, come I corvi scherzano a Varsavia (Milano, 1954) e consideriamo altresì la sua molteplice e varia attività di studioso, di pubblicista, di uomo politico in una sfera vasta di interessi sociali, economici, politici, letterari, scolastici, sempre attento ai problemi della Puglia e del Mezzogiorno, davanti a tale attestato di vitalità e di fecondità possiamo bene affermare di lui ultrontattenne quanto egli scrive dello scrittore bitontino Giuseppe Caiati: « Pochi sono gli scrittori che, come il Caiati, a tardissima età producono il meglio di loro » (« La Gazzetta del Mezzogiorno » 11/2/1964). Di fronte a numerosi altri contributi precedenti, di sicuro grande pregio, come: La poesia di Virgilio (Bari, 1930) noi non possiamo perentoriamente affermare che i tre volumi costituiscono « il meglio » di Tommaso Fiore. Attendiamo vivamente che Mario Simone pubblichi col Fiore un'interessante Antologia storica della Puglia in tre volumi, mondo antico e medievale ed età moderna, fatta con molta cura. Dal punto di vista che più ci interessa, e cioè da quello meridionalistico e pugliese in particolare, potremmo senz'altro affermare di sì. E comunque questa viva, instancabile e complessa attività sta a dimostrare che per lui non valgono gli schemi biopsicologici che qualificano « età caduca » il decennio che va dal 71° all'80° anno di vita. Possiamo se mai catalogarlo nella « verde senilità» del decennio precedente ed augurarci che possa felicemente pervenire ad summan senectutem in stato di giovanile vivacità, feconda di nuovi pregevoli frutti. Egli che ha provato il morso dell'umana malvagità, attraverso la per- secuzione politica e la tragica uccisione del figliuolo Graziano, temprato 65

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La Capitanatanegli scritti di Tommaso Fiore

TOMMASO FIORE nell'arco di poco più di un decennio, dal 1951 al1962, ha dato alla luce tre volumi fondamentali per lo studio e la conoscenzadella nostra Puglia: Un popolo di formiche, Il cafone all'inferno, Formiconi di Puglia.

Se consideriamo che, oltre i tre volumi anzidetti, egli in questo lasso ditempo ha dato alle stampe altri scritti, come I corvi scherzano a Varsavia (Milano,1954) e consideriamo altresì la sua molteplice e varia attività di studioso, dipubblicista, di uomo politico in una sfera vasta di interessi sociali, economici,politici, letterari, scolastici, sempre attento ai problemi della Puglia e delMezzogiorno, davanti a tale attestato di vitalità e di fecondità possiamo beneaffermare di lui ultrontattenne quanto egli scrive dello scrittore bitontinoGiuseppe Caiati: « Pochi sono gli scrittori che, come il Caiati, a tardissima etàproducono il meglio di loro » (« La Gazzetta del Mezzogiorno » 11/2/1964).Di fronte a numerosi altri contributi precedenti, di sicuro grande pregio, come:La poesia di Virgilio (Bari, 1930) noi non possiamo perentoriamente affermareche i tre volumi costituiscono « il meglio » di Tommaso Fiore. Attendiamovivamente che Mario Simone pubblichi col Fiore un'interessante Antologia storicadella Puglia in tre volumi, mondo antico e medievale ed età moderna, fatta conmolta cura.

Dal punto di vista che più ci interessa, e cioè da quello meridionalistico epugliese in particolare, potremmo senz'altro affermare di sì. E comunquequesta viva, instancabile e complessa attività sta a dimostrare che per lui nonvalgono gli schemi biopsicologici che qualificano « età caduca » il decennio cheva dal 71° all'80° anno di vita. Possiamo se mai catalogarlo nella « verdesenilità» del decennio precedente ed augurarci che possa felicemente perveniread summan senectutem in stato di giovanile vivacità, feconda di nuovi pregevolifrutti.

Egli che ha provato il morso dell'umana malvagità, attraverso la per-secuzione politica e la tragica uccisione del figliuolo Graziano, temprato

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dalle lotte e dal dolore, sta lucido e vivo sulla breccia, continuando ad agitare lavecchia gloriosa bandiera del riscatto della terra e delle genti di Puglia. Taleriscatto costituisce in sostanza il contenuto e l'oggetto dei tre volumi indicati,che compongono una magnifica trilogia pugliese, per lo stretto legame che vi ètra di essi.

Il vivo amore per la sua terra, lo studio attento dei suoi problemi, ladiagnosi acuta e spregiudicata dei suoi mali e la viva speranza e il caldo auspiciodel riscatto e del rinnovamento sono la nota costante dei tre volumi.

« UN POPOLO DI FORMICHE »

Nelle sei lettere scritte dal 15 gennaio 1925 all'agosto 1926 a Piero Go-betti prima ed a Giuseppe Gangale poi, che costituiscono il contenuto di Unpopolo di formiche, la sua indagine sul fenomeno dell'emigrazione edell'acclimazione del fascismo nel Sud, specie in Puglia, e sulle cause dellostesso, non potè essere estesa alla Capitanata a causa della repressione che glieloimpedì (egli fu fermato a Cagnano Varano) e rimase limitata al Barese ed alSalento. E tuttavia quante analogie fra quelle terre e la nostra, e soprattuttol'amore, la comprensione e la pietà pei contadini, i cui problemi egli sente estudia ed analizza in maniera esemplare.

Tale amore e tale simpatia per questi umili discendono in Fiore, oltre chedalla sua stessa umile origine (egli è figlio di un muratore), dalla sua vivapassione pel grande poeta contadino latino, per l'autore immortale delleGeorgiche, come ebbe a rilevare Gabriele Pepe.

E peraltro questo « popolo di formiche », così come egli chiama la gentedel paese dei trulli « della murgia più aspra e più sassosa », tutta intenta conpaziente e tenace lavoro di formiche « a ridurla a coltivazione, facendo leterrazze », non è lo stesso dei nostri contadini de Il cafone all'inferno, dei quali eglistupito ammira il prodigio di un lavoro immenso, di un'opera paziente, di unpopolo di formiche o di schiavi ostinati e il sacrifizio per generazioni dilavoratori? Qui, egli osserva, (siamo nella zona di Mattinata), « salendo verso ilbivio, ai due fianchi, su per la gran massa montuosa, aspra per qualchecocuzzolo che se ne stacca d'improvviso per la regolarità di cono, tutti gliaspetti intorno intorno non sono che muri rustici, a secco, saldamente piantatiper contenere appena un piccolo lembo di terra; e non dieci muretti, non venti,non cinquanta, ma a centinaia, a migliaia, senza più numero, impensabili,dall'alto, dalla punta estrema giù giù per lo snodarsi dei fianchi e sino alle valliinvisibili ». Contadini cacciati dal bisogno scesero già da Monte S. Angelo e conle loro mani « scavarono abitazioni, con le loro mani ritrovarono, ammuc-chiarono, difesero, lavorarono quel pò di terra, ricolmo d'acqua piovana per sèe pei loro microscopici orti, piantarono ulivi fra pietra e pietra». Fertilizzaronola roccia: ecco il miracolo di queste pazienti ed operose formiche!

Il tema contadino è dominante ed assorbente per Tommaso Fiore; edesso peraltro è il nostro punctum dolens. I contadini, i cafoni sono sempre presential suo cuore ed al suo spirito. Il Mezzogiorno, la Puglia: ecco il suo costantepensiero, la sua passione, il suo cruccio. Quale immenso la-

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voro da compiere per operare il riscatto di queste nostre terre, la lororedenzione, il loro rinnovamento!

Redimere la terra, « il gran sogno umano », il suo sogno, che è il nostrosogno! Ma quanto cammino da compiere perchè i nostri contadini possanoassurgere dallo stato di alienazione e di suprema abiezione a dignità di uomo, «non più oggetto di mercato altrui, ma soggetti pensanti, ormai maturi, creatoridi una nuova vita ».

Siamo a S. Nicandro Garganico, « la gloriosa cittaduzza, la Molinella delSud, che da mezzo secolo è il segno delle lotte sociali più accese », il luogodonde « si godono i tramonti più luminosi d'Italia ». Ma eccoci a Torrevecchia,« dove tutto è lercio, maiali, cani, bambini ». Egli conta in un locale sotterraneo« dieci persone, più, inchiodati per terra secondo l'uso locale, il porco, poi unasino e le galline ». « Dei 18.000 abitanti ben tremila son chiusi in queste carceri,condizione veramente straziante ».

E qui apprende quella che egli chiama l'epopea contadina, « lotte per ilpane al posto del parrozzo, lotte per il peso giusto, che all'antica era un quintodi meno, una frode, lotte per introdurre il chinino di stato, lotte per l'abolizionedel lavoro notturno, lotte soprattutto per la terra ». Chi potrà mai narrare conprecisione e ordine la storia di queste grandi battaglie per la liberazione, per ladignità dell'uomo? E lo rattrista lo spettacolo del calcare nudo, senz'ombra diverde, come una condanna irreparabile della natura. Come sono trattati nellemasserie i lavoratori! Ed ecco il cafone dal suo inferno, nel raccontoimmaginario di Giovanni Mascolo, si incontra con Satana e gli espone la suacondizione di vita e quegli teme la concorrenza al suo inferno.

« IL CAFONE ALL'INFERNO »

Storie di altri tempi, storie del passato. Ma oggi il nostro contadino perla disperazione lascia la terra ed emigra al Nord d'Italia o all'estero. Già il Fiore,accennando a questo angoscioso problema, fin d'allora si domandava ne Ilcafone all'inferno: « Siamo noi forse retori incartapecoriti della fedeltà alla terra?Non credo. Ma per redimere il Mezzogiorno bisogna restar nel Mezzogiorno,penetrarne l'anima, tradurla in termini che gli altri possano capire. Cosa sarà diquesti giovani, una volta emigrati a Torino o a Milano? Ma poi... quando non èpossibile vivere in questi luoghi? ». Ecco il grande problema dell'oggi pel nostroMezzogiorno. Richiamare a noi questi nostri fratelli emigrati, richiamarli allaterra disertata, ma ad una terra redenta dal dispotismo degli uccelli grifoni e cheessi possano fare propria.

Il « piano nudo » del Tavoliere lo fascia di tristezza e gli stringe il cuore la« dura realtà di cultura estensiva » della terra; e teme il ritorno « dello squallidoautunno, quando angosciosamente si allunga la faccia terrea, ripugnante delsuolo brullo ». Egli sente fisicamente la sofferenza per la nostra terra povera edeserta, soffre la sofferenza dei cafoni e dei cozzi, dell'umile gente dei campi, elo rattrista anche lo spettacolo delle « case dei contadini, color sporco e rosa... eintorno a ognuna nient'altro che l'aia vuota, con un unico stollo ».

A Foggia, la nostra Foggia, il nostro capoluogo? « Per tante piaghe fa

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sangue il misero corpo della città e soffre in segreto, come nessuno saprebbeimmaginare. Lo spettacolo dei « Granili » e delle « Casermette » è terribilmenteraccapricciante e desolante! Infinita miseria e suprema degradazione! Gente«istupidita dalla miseria » allogata in orridi stambugi già destinati a latrina, in unanauseante lordura! Un moto di ripugnanza e di sdegno ti stringe il cuore! Iltragico problema della casa, delle grotte e delle baracche trova riscontro negliorrori dello Zimotermico di S. Severo, già deposito di rifiuti di ogni sorta e poirifugio di esseri umani ridotti al rango di bruti. Sono una trentina questi canilidisposti in due fabbricati, alti non più di un metro, su due fronti, dinanzi e didietro ». Il Ministro Tupini, venuto per visitare i lavori della falda freatica cheminacciava la stabilità di quel centro abitato, rimase esterrefatto davanti allasconcertante visione. E così al quartiere Hoffmann e così all'ex convento di S.Berardino, altri aspetti « della stessa miseria ». E così anche a Lucera con la suaStalingrado, « una misera chiesa abbandonata, dove han trovato rifugio novefamiglie ». E che dire dei cavernicoli del Gargano? « Anche l'arcangeloprotettore è un cavernicolo ». Dalle buche-case di Montesantangelo (buchescavate nella roccia scoscesa) e dalle baracche e dalle grotte (« ancora grotte,maledette grotte ») passiamo di sopra al vico chiamato del dirupo: sotto cisono altre grotte, ma chi ha forza di scendere? E Peschici, la « necropolidissepolta del Vittorini »? « La strada si incassa paurosamente fra la nuda roccia;a mano a mano una serie di miserevoli porticciole su grotte, o l'occhio scuro dilocali abbandonati, da cui subito ti afferra una zaffata di escrementi ». Terradelle grotte e delle caverne dunque questa nostra terra, nell'epoca dei grattacieli?

In stridente contrasto con tanta miseria e con tanto squallore il Fiore ci favedere in una triste sequenza di quadri ritratti con spregiudicato realismo i nostrisignori « feroci per tirchieria paesana », che « odiano a morte la politica, speciequella dei ceti medi, pensa un pò quella dei contadini! »; e l'esosa avidità degli «uccelli grifoni » ed il « cerchio di corruttele ». Uno dei maggiori e più urgentiproblemi della nostra vita associata è l'estirpazione recisa delle radici nelle qualialligna il malcostume, e la moralizzazione della vita pubbica.

DOPO LE « FORMICHE » I « FORMICONI »

Racconta il Fiore stesso nella prefazione: « Un giorno che c’era stato uncomizio nella capitale dei contadini, Andria, (aveva parlato Peppino Di Vittorio,con quell'umanità che lui solo sentiva), dopo si andò alla Camera del lavoro e lìridevano i contadini accennando a me: 'E’ quello delle formiche'. E poiadditarono l'oratore e gli altri della presidenza: 'Quelli sono i re delle formiche',diceva uno; e un altro soggiunse: 'Sono formiconi'». Ecco spiegato il titolo diquesto volume della trilogia.

Primo e massimo dei formiconi Pietro Giannone di Ischitella, che ilFiore definisce « vero creatore del Mezzogiorno », e del quale non vi èmaggiore elogio di quello del De Sanctis ricordato dal Fiore: « Giannone fu lostorico del mondo civile, come Vico ne fu il filosofo... In tempi di ferocipersecuzioni lottò sino al martirio: la persecuzione fece di lui un eroe ».

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Larga parte fa il Fiore nei suoi Formiconi di Puglia ad uomini e cose dellaCapitanata, alla quale è quasi completamente dedicato Il cafone all'inferno. E noigli siamo grati per l'attenzione che egli, di Altamura, presta ai nostri problemi eper l'amore che manifesta per la nostra terra. « Vita e cultura in Puglia dal 1900al 1945 ». Questo il sottotitolo. E la manchette: « E’ il libro della democraziapugliese e della opposizione al fascismo ».

Anche qui la questione centrale, quella preminente, è la questionecontadina. Ed ecco in prima linea Peppino Di Vittorio, il grande bracciante, il «capo-cafone », tutto inteso « a redimere il popolo di formiche », ad affermarela nuova civiltà contadina, il diritto dei contadini alla vita civile; ecco RuggieroGrieco, « tutto impegnato nella soluzione comunista del problema agrario », eLuigi Allegato, « uomo mite ed onesto », cui tutti volevano bene e che da «magro pastorello » ignorava che cosa fossero il pane e la casa e doveva « benpresto trovar casa nel carcere e saggiarvi un pane amaro; ma poi, in carcere enell'esilio, avidamente si cibò di quel pane dolcissimo che è il sapere »; eDomenico Fioritto, « uno dei patriarchi del socialismo », « l'animatore dellelotte contadine a Sannicandro Garganico e nella provincia ».

Siticulosa la Puglia secondo Orazio; e Matteo Renato Imbriani chiari, nelpresentare il progetto dell'Acquedotto pugliese, che era sete « di acqua e digiustizia ». Ma oggi ancora l'acqua l'abbiamo col contagocce e la giustizia, lagiustizia piena, è di là da venire.

Il Fiore ci presenta una ricca galleria di quadri, di uomini che onoraronoed onorano la nostra terra con le loro opere e che lottarono per il popolo eper la libertà e contro l'oppressione fascista.

Il fascismo, si sa, fu una malefica espressione e produzione del Nordd'Italia e trovò poi nel Sud un clima favorevole nella mentalità della borghesiaagraria, retrograda e reazionaria. Così noi non fummo esenti da arbitri, daprepotenze e da abusi di ogni sorta. Non mancarono le violenze e lepersecuzioni e molti nostri uomini ne furono le vittime, perchè non volleropiegare la schiena all'infausta dittatura. Quella che fu chiamata « la peste nera »purtroppo maculò e afflisse anche le nostre contrade ed anche noi in tanteoccasioni abbiamo sopportato la visione di certe facce patibolari... Possiamoperò segnalare anzitutto il magistrato Mauro Del Giudice che non volle, nelprocesso Matteotti, piegare alle sollecitazioni, che la sua altissima coscienzaripudiava. Poi dai repubblicani Felice Figliolia, caduto sul Carso, e MarioSimone che con altri costituì l'associazione « M. R. Imbriani » ed il circologiovanile « Oberdan », e ancora i radiologi Pasquale Tandoia e GiuseppeMuscettola, e infine Ciro Angelillis e Raffaele Perna, studiosi e scrittori diMontesantangelo, Michele Vocino di Peschici, che fece innammorare il Fiore «di quella terra dalle infinite bellezze », il Gargano, e poi lo scienziato AntonioLo Re e Antonio Salandra.

Che dire di Antonio Salandra, l'ultra-conservatore che, come dice Ro-molo Murri, « dal suo ceto sociale e dalla sua terra pugliese... portava la fierezzarude del proprietario di suolo e del signore rurale », l'uomo del « sacroegoismo », dell'interventismo e della guerra 1915-18, il fautore del fascismo,che fu giocato dal Re e dai fascisti e che solo il 3 gennaio 1925, il giorno dellariscossa del regime, dopo le preoccupazioni dell'Aventino

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e della temuta furia popolare, troppo tardi si accorse che, complice il Sovrano,la nera dittatura stava smantellando ed affossando lo stato costituzionale;l'uomo, che fu poi dimenticato al punto che quasi alla chetichella nel 1931 le suespoglie mortali furono trasportate nel camposanto della natia Troia. Un sensodi cristiana pietà ci indurrebbe a « parcere sepulto », ma per la sua personalità eper le alte funzioni che ebbe come uomo pubblico, la Storia non può chedarne un giudizio negativo e severo. Non si possono dimenticare PasqualeSoccio di S. Marco in Lamis e Romolo Caggese di Ascoli Satriano, G. B.Gifuni di Lucera e Mario Simone di Manfredonia, del quale si segnalanopregevoli lavori di storiografia e di carattere bibliografico, e il poeta dialettale diCerignola Filippo Pugliese « poeta maledetto ». Umberto Fraccacreta nelpoemetto Il pane che, fra i suoi, resterà quello di più lungo respiro, canta illavoro dei campi. Filippo Ungaro, il vecchio pubblicista montanaro, con Il cantodella speranza ci fa pervenire una voce poetica garganica. E poi tutta una nuovagenerazione di studiosi, scrittori, poeti ed artisti che avevano in cuore i postulatidel Risorgimento, Matteo Fraccacreta, Gian Tommaso Giordano e SaverioAltamura. Presso l'Istituto tecnico « Giannone » si accese un focolaio didemocrazia positivista con Giovanni Carano Donvito e il preside Santoro, ilfisico Vincenzo Nigri, l'agronomo e sociologo Lo Re sino al Tria. Il filantropoRodolfo Santollino animò l'Università popolare, prima che fosse conquistatadal fascismo, a Lucera la cultura laica « pontificava per bocca di uno studiosodi Vico, Michele Longo » e ad opera di Gaetano Pitta sorgeva il periodicosocialista « Il Foglietto », stampato da Massimo Frattarolo. Angelo Fraccacreta,liberale « autentico e fiero », portò la sua attenzione alla questione sociale.Alfredo Petrucci, poeta e romanziere, « un'autentica gloria della Capitanata », dicui si segnalano due opere: Gli incisori dal sec. XIX, ed il recente volume sulleCattedrali di Puglia, una grande opera, geniale e destinata a non morire. Egli hadimostrato che « la scultura nostra si chiamerà d'ora innanzi romanico-pugliese;è nata nè più nè meno sul Gargano ». Fra le iniziative locali vengono segnalatelo « Studio Editoriale Dauno » di Antonio Simone e del figlio Mario, la « Corted'Assise », diretta dal magistrato Cocurullo e dagli avvocati Lamedica e MarioSimone, la « Biblioteca del Risorgimento, pugliese » che tra gli altri ospìtò ilLucarelli e il Pontieri, l'Istituto per la storia del Risorgimento, « che non potèinaugurare un monumento allo Zuppetta », un'altra grande pura gloria nostra,di Castelnuovo della Daunia « ed una Sezione della Società internazionale dicriminologia e antropologia » che fu subito soffocata (oh matta bestialità!) dalSindacato fascista. Lamedica poi fondò a Roma « Il Mezzogiorno ».

Umberto Giordano è « il maggiore di quanti musicisti ha dato la Puglianel nostro secolo », una delle figure più cospicue e interessanti del teatro liricocontemporaneo. Le tragedie di Umberto Bozzini di Lucera « furono colmatedi lodi anche dal maggior critico teatrale del tempo, l'Oliva ». Opportunamentesi ricorda la nobile figura - alla quale abbiamo sopra accennato - di Mauro DelGiudice di Rodi Garganico, che, nella Sezione d'accusa nel processo Matteotti,non volle riversare « la colpa del delitto sopra la vittima ». Trasferito a Cataniasotto la vigilanza

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della polizia, fu costretto a ritirarsi in pensione. Anche Vincenzo Tangaro con lamoglie riparò a Napoli, essi pure vittime del fascismo.

I pregi del volume, come degli altri due volumi della trilogia, sono moltied evidenti, ed essi sono stati rilevati nelle presentazioni e nelle varie recensioni eda quanti hanno avuto occasioni di occuparsene. Noi porremo l'accentosoprattutto sulla grande efficacia delle descrizioni, di un realismo vivo edimpressionante, delle situazioni di estrema miseria, talora abietta e degradante,delle nostre popolazioni, e su talune caratteristiche espressioni dello stile, come «color di carogne uccise », « povere coppole di cafoni », « innocenza culturale », «cicciuto e sanguigno », « guardava allocchita ». Rende con molta efficacia lesituazioni di contrasto che gli dettano accenti commossi di pura poesia, comeallorchè la visione « fascinosa » del Gargano lo riconforta dopo quellarattristante delle « nostre povere terre, così schive e chiuse ». « Ma laggiù infondo in fondo, sulla destra, poco prima di Foggia e soprattutto dopo, cos'èche si stende ora come un lungo velario; quasi trasparente, con striature di rosanell'azzurro? ». Ed ancora: « Ma la desolazione di tutte le altre terre, lo squallorecontinuo richiamavano per l'assenza di ogni forma di vita; salvo che la mollezzadel Gargano, sempre più vicino, e il suo color rosa tentavano di sedurci a nonso quale evasione obliosa ». « A destra e a sinistra la monotonia accecante deicampi mietuti dà come una vertigine di stupidità. Sempre più si va in direzionedel mare: non dovrebb'essere lontano. Ah! eccoci dinanzi la linea lievementemossa del Gargano. Ora il grande acrocoro pare si dimembri, si spartisca inzone varie, tutte remote, scoscese, inaccessibili; non altro che macchie e sole,sole e macchie, nessun segno di vita ».

Siamo al lago di Varano, il lago malato, terra travagliata che sa l'infinitamiseria dei pescatori dalla « vita stracciata », trascorrente « entro misere capannedi fango e di paglia simili a tucul abissini », nella zona delle moffe (dunesabbiose). « A sinistra il Gargano solleva l'aerea illusione del suo teatro azzurro,vuole incantarci lì per non farci vedere il resto. D'un tratto una piccola sorpresalo arresta: « la casa del guardiano del Consorzio Bonifica ». « Il posto è piccolo,ma delizioso per il nostro vecchio cuore arcade »... « un pergolato sotto i pini»... « canne fogliute e rossi oleandri »... « un gelso con alte viti »... « polli apigolare, cani a uggiolare, inoffensivi ». Con un rapido lieve tocco ecco unavisione rasserenante, una nota lieta, una piccola oasi di pace fra tanto squallore etanta dolorante miseria!

Sempre vibra nella pagine del Fiore la passione viva della sua terra e, difronte a spettacoli penosi di miseria e di abbandono che egli descrive coninsuperata efficacia e con icastica precisione, si arresta sconfortato; e tu senti,manifesta o sottintesa, l'accusa e la condanna di una classe dirigente inetta edincapace, responsabile di tanta miseria e di tanta bruttura.

Case sordide e fatiscenti, muri crollanti, figure lercie e subumane,degradazione suprema, squallore ed abiezione sconfinate! Tutto questo richiamala sua attenzione ed il suo pennello è all'opera per darci squarci descrittivi digrande potenza.

La visione dei « Granili » e delle « Casermette » di Foggia, come tutti

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gli spettacoli di desolazione e di abbandono, gli stringono il cuore nell'ama-rezza, lo immalinconiscono: « Non posso liberarmi dall'ossessione di questopaesaggio, se prima non vado a fondo, non ne bevo tutto l'amaro... Mai unalbero dovunque all'intorno, mai una forma umana ». Ovunque miseria, dolore,abbandono! Sunt lacrimae rerum! Ed egli partecipa, di una partecipazionesofferta, alla miseria, al dolore, all'abbandono.

Con i tanti pregi, dei quali ci siamo limitati a segnalare qualcuno, vi è darilevare qualche lacuna e qualche omissione, avvertite dallo stesso Fiore.

Accanto ad Umberto Fraccacreta, « il poeta che aveva cantato la fedeltàalla terra », altro gentile e squisito poeta, pure di S. Severo (natio tuttavia diCasalnuovo Monterotaro) merita di essere annoverato. Parlo di ErnestoMandes, morto il 27 gennaio 1959, del quale abbiamo un volume di versi Rosaiin cui effonde la piena dei suoi sentimenti (« I canti del cuore », « Canti mistici »e « Italici canti ») con una ricca e dolce vena di schietta poesia. Egli appartienealla scuola del Pascoli, del quale fu alunno diletto. In una lettera a lui diretta inlingua latina l'autore di Myricae gli comunica che nella scuola gli avevano dato ilnome di « Ape Matina », « poichè tu, a mo' dell'ape, vai suggendo il timo (dellapoesia) e sei nato presso il monte Matino » (« ore enim apis thima carpis, ad montemMatinum natus es »). E rinviandolo al carme II del 4° libro dei Carmi di Orazio «tuo conterraneo » (« civis tuus ») che tratta dell'ape matina, conclude: « Spero chetu per questo ci amerai di più. Addio dunque, apetta nostra dolcissima (apiculanostra mellitissima) ed a mio nome saluta tanto il monte Gargano ed i suoiquerceti ». Il Mandes, di fede socialista, fu sindaco di S. Severo e fu altresìvalente avvocato penalista e lottò in favore della sua terra e della gente poveraed umile.

In morte del poeta Umberto Fraccacreta egli cantò:

Il poeta non muore: il canto restadi là del gran mistero de la vita:e sfida il tempo, il gelo, la tempesta,la sua perenne, magica fiorita.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tu l'armi pie del pio lavoro umanocantasti; l'armi sole benedette:il Pane, il cibo esangue, sovrumano...e il verso attinse le più alte vette ».

E Ai Mani di Domenico Fioritto:

Tutta la vita donata al popoloper le battaglie dure, magnanime:pel santo idealeche vuole fugato ogni male.Pel Socialismo... Oh! fede altissimache noi stringemmo nel cuore giovane.Oh! nostra bandierapurissima tra la bufera. »

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G A R G A N O

Antico rione di Monte S. Angelo

( Fotografia di Losciale, g.c. dal Liceo « Galilei » di Manfredonia )

G A R G A N O

Un altro discorso, ma in musica

( Fotografia di Losciale, g.c. dal Liceo « Galilei » di Manfredonia )

ARTE IN CAPITANATA

MAESTRO DI BOVINO: « Martirio di San Pietro »

Tela del sec. XIII in « San Pietro » di Bovino

( Fotografia di Mastrolilli, Bari )

ARTE IN CAPITANATA

VACCARO: « L’Annunziata e l’Angelo »

Tela intorno al sec. XV nella Chiesa dei Cappuccini di Vico Garganico

( Fotografia di Ficarelli, Bari )

E giacchè siamo a parlare di S. Severo, non può essere dimenticato LuigiSchingo, apprezzato pittore, scultore, architetto. A proposito di una rassegnatenuta in Foggia nel 1962 Alfredo Petrucci in una sua presentazione così scrive,fra l'altro: « La squadra, la stecca, il pennello si avvicendano nelle sue mani,pronti al richiamo di un'anima particolarmente sensibile, in cui gli aspetti delmondo e le voci del sogno assumono volta a volta la figura dell'edificio bencostrutto, della statua potentemente modellata, del quadro sfavillante di luci. Ilnome di Luigi Schingo si lega al Tavoliere di Puglia ed al Promontorio delGargano per la preponderanza che tali paesaggi hanno nella sua produzione ».

È doveroso aggiungere qualcosa al fugace accenno su Michele Longo ilquale, nativo di S. Giovanni Rotondo, rifulse quale insigne giurista e professoredi diritto e procedura penale, con pregevoli opere apprezzate anche all'estero.Fu penalista di grido e partecipò a parecchi dei processi più celebri del tempo.Illustre letterato e filosofo, a soli 30 anni pubblicò un pregevole lavoro suLucrezio - egli ebbe grande passione per la poesia - e successivamente lavoririnomati su Spinoza, Vico e Romagnosi. Fu attivo giornalista e grandeconferenziere, e trattò i più svariati argomenti, quali Pessina, S. Tommaso d'Aquino,Cavallotti, La soglia del mistero, Delinquente nato e delinquente passionale, Ofelia, GiulioCesare Vanini.

Va fatta menzione anche dei poeti subappenninici, di Alberona, M.Caruso, G. De Matteis e V. D'Alterio che nel 1963 han pubblicato presso lo «Studio Editoriale Dauno », Aria ed arie di Alberona e celebrati dal Fiore. Percostui, l'abbiamo già rilevato, è assorbente il problema contadino, il problemadella terra, che poi è il problema dei cafoni e delle formiche. Ma se esso volessefare una sommaria escursione verso l'altro problema, quello industriale, cheoggi costituisce il nostro problema essenziale e preminente, anche per i suoiriflessi sul problema agrario, non potrebbe non accennare fra l'altro alla difesaed al potenziamento della Cartiera di Foggia ed alla valorizzazione della Minieradi bauxite di S. Giovanni Rotondo, denunciando l'assurdo del minerale estrattodalle viscere della nostra terra, che viene trasportato con ingenti e con assurdespese e lavorato al Nord, mentre l'installazione in loco di un impianto per lasuddetta lavorazione ovvierebbe in gran parte alla disoccupazione e con-tribuirebbe notevolmente allo sviluppo economico della Provincia.

VERSO L'AVVENIRE

Chi scrive ha sostenuto una lunga battaglia, parlamentare ed extra-parlamentare, per tale scopo, cozzando di fatto contro la pervicace ostilità dellaSocietà concessionaria, la « Montecatini », come contro una mostruosa edinvincibile fatalità. Che vale nelle fata dar di cozzo? La recente scoperta di ricchigiacimenti di metano nella Provincia potrebbe fornire l'occasione per spezzareuna lancia in favore della sua industrializzazione. Del problema della bauxite,come della industrializzazione in genere dei Mezzogiorno e delle Isole loscrivente si interessò tra l'altro con vari interventi al Senato della Repubblica, nel1951 e successivamente, sostenendo, come già tanti altri, che la questione avevacarattere nazionale e spez-

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zando fin d'allora, tra i pochissimi sul piano parlamentare, una lancia in favoredella nazionalizzazione delle industrie elettriche. Siamo lieti di leggere ne « LaGazzetta del Mezzogiorno » (4 dicembre 1964, Francesco Schino), che anche larivista « Civiltà degli scambi » di Bari, sostiene che il problema meridionale « èfatto unitario e nazionale non solo per un atto di giustizia riparatrice, ma perchèlo stesso sviluppo del Nord è legato, per ragioni economiche sociali e politiche,al superamento del divario ancora esistente tra le due parti della Nazione ».

Il Fiore ha accennato anche agli eccidi di Lucera ed ai moti di S. Severo,indici degli squilibri sociali che affliggono la nostra terra. Su questo piano ildiscorso sarebbe lungo e assai doloroso. Candela ci ricorda il primo eccidiocontadino del secolo, con la scandalosa premiazione del brigadiere Centanni.Ma il primato degli eccidi proletari, che insanguinarono l'Italia nel primodopoguerra, tocca purtroppo nella nostra Provincia a S. Giovanni Rotondo,ove il 14 ottobre 1920 ben 14 morti ed un centinaio di feriti bagnarono colloro sangue la Piazza dei Martiri, che già era stata teatro nel 1860 di una ferocereazione borbonica, nella quale 24 egregi cittadini caddero vittime.

Chiudiamo queste rapide note, rilevando che per il riscatto della nostraterra, ed in genere del Sud, preliminare e decisivo è il rinnovamento sostanzialedella classe dirigente, nemica di ogni progresso e talora persino dell'alfabeto.Giovanni Giolitti, nelle Memorie della mia vita, parla di un convegno di grossiproprietari a Caltagirone, il quale propose nientemeno che l'abolizionedell'istruzione elementare, perchè i contadini e i minatori « non potessero,leggendo, assorbire delle idee nuove ». Questa esigenza, già affermata dalDorso, oggi è conclamata da tutti i meridionalisti, e tra questi, recentemente daFrancesco Compagna. Nello stesso solco e nello stesso spirito è TommasoFiore. Oggi, nel ventennale dello storico Congresso di Bari, risuonano ancoraattuali le parole ivi pronunziate da Guido Dorso: « Noi abbiamo bisogno diuna classe dirigente meridionalista, cioè di una classe di meridionali che lotti perl'elevazione del Mezzogiorno e lo sollevi dalla situazione coloniale, in cui è statofinora tenuto. Da anni avevamo chiesto una bandiera intorno alla qualeraggrupparci; ebbene ora l'abbiamo, ed è quella del meridionalismorivoluzionario».

Mezzogiorno dunque irredento e irredimibile! esclama con amarezzaTommaso Fiore, giudicando La loi di Vailland, che presenta un quadropessimistico del Mezzogiorno, in particolare del Gargano, dominato dallaviolenza nell'amore e nella vita sociale, come nei secoli passati. Ma il giudiceAlessandro insegna alla moglie, donna Lucrezia, che « le présent pourrait étretransformé »; e noi diciamo, deponendo l'amarezza, può e deve esseretrasformato, negli uomini e nelle cose, negli spiriti e nelle istituzioni. Aquest'opera di necessaria e doverosa trasformazione Tommaso Fiore hadedicato la sua vita e la sua azione.

E noi che già all'inizio del nostro dire abbiamo messo in rilievo lamirabile vivacità e la fecondità giovanile di lui, non possiamo che ripetere confraterno amore l'augurio che egli felicemente superi la tardiva vecchiaia e giungafra molti anni alla meta lieto e sereno di una vita inten, samente operosa e benespesa per il bene dell'umanità.

La vittoria già si intravede, ma non bisogna deflettere, non bisogna

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desistere. La battaglia, la buona, sacrosanta battaglia continua. « Ciò che contanella vita è la trincea da cui si combatte ». Così scrive Fiore nelle ultime paginede Il cafone all'inferno. La trincea buona, la trincea valida è quella che ci additaGuido Dorso, quella dalla quale ha combattuto e combatte Tommaso Fiore, econ lui tutti i meridionalisti di buona lega.

Avanti dunque, da tale trincea, per colmare « la frattura storica », perrealizzare, nell'uguaglianza, la vera unità d'Italia.

Oggi ormai tutti rintengono che qualcosa si muove nel Mezzogiorno eduna grande trasformazione è in corso. Uomini di studio ed uomini di Governosono della stessa opinione, vi sono nuove provvidenze pel Mezzogiorno,prossima è la presentazione della nuova legge sulla Cassa del Mezzogiorno e siparla di rilancio della politica meridionalistica. Il grandioso « Centro Italsider »di Taranto è già in piena operosità e fra le nuove iniziative industriali chedovranno realizzarsi vi è un grande stabilimento per la produzione elavorazione di gomma sintetica che, secondo ultime notizie giornalistiche,prossimamente sarà costruito a Brindisi dalla Monteshell nelle immediateadiacenze del petrolchimico.

Giovanni Russo, un giornalista collaboratore dell'organo magno dellaborghesia nostrana, « Il Corriere della Sera », nel suo recente lavoro Chi ha piùsanti in paradiso (Laterza, Bari, 1964), prevede che i contadini « magma secolaredi odio e di disperazione », che in Svizzera spregiativamente chiamano « Sioux »o « gli ultimi dei Moicani », « entreranno, come protagonisti, finalmente, nellastoria ». E di Foggia, della nostra Foggia, scrive: « A Foggia si può osservare ilmutamento della vita sociale ed economica nella più grande pianura d’Italia,dopo quella padana: il Tavoliere. Se diventerà una terra coltivatamodernamente, una grande ricchezza sarà data non solo al Mezzogiorno, maall’Italia ». E poco dopo soggiunge: « Il Tavoliere diventerà la California delSud ».

Con questa speranza e con questa prospettiva noi attendiamo fiduciosi ilgrande rinnovamento auspicato da secoli.

Foggia, 5 dicembre 1964

LUIGI TAMBURRANO

__________Senatore prof. avv. LUIGI TAMBURRANO (S. Giovanni R. 14-1-1894 - Foggia

18-12-1964).

Questo scritto conchiuse la giornata laboriosa del suo autore, di cui puòconsiderarsi, senza retorica, il testamento culturale. Quando egli lo abbozzò nellaprimavera u.s., per destinarlo a « La Capitanata », il cuore di Lui non reggeva

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più alla fatica di superare razionalmente le contraddizioni del nostro tempo che, purtrovandolo comprensivo, lo amareggiavano. Aggravatosi dopo un ardito interventochirurgico, sembrò che il vecchio rappresentante popolare del Gargano contendesse gliultimi giorni alla morte, per dettare la chiusa, che è un viatico di amore ai superstiti.

Avvocato dall'anima nuda di ogni orpello, abilitato all'insegnamento della Fi-losofia nelle scuole medie, L.T. aveva aderito giovanissimo al Socialismo, tanto che nel1920 - leggiamo nell'Annuarío parlamentare - era eletto sindaco del suo Comune,trovandosi in carcere per i fatti locali del 14 ottobre di quell'anno. Partecipò con coraggioalla guerra 1915-18, raggiungendo il grado di capitano, dal quale fu rimosso, per la suaconvinzione repubblicana.

Nel 1943, ritornato alla Scuola da cui era stato dimesso per quel medesimo motivopolitico, concorse a riorganizzare in provincia il P.S.I., che volle affidargli importantiincarichi. Fece parte della Amministrazione provinciale democratica, presieduta dal sen.Allegato, assolvendo le funzioni di vice presidente; senatore,nel primo Parlamentorepubblicano per il Collegio di Foggia (voti 32.848 di preferenza), fu componente della IlCommissione « Giustizia e autorizzazioni a procedere ».

Tra i suoi numerosi interventi, ricordevoli quelli: per la industrializzazione delMezzogiorno e delle Isole; per la riorganizzazione della Cartiera di Foggia appartenente alPolígrafico dello Stato; per la lavorazione in loco della bauxite garganica; per la riparazionedei danni causati dal maltempo; per la ricostruzione edilizia di Foggia; per i rimedi delladisoccupazione; per la valorizzazione turistica del Gargano.

Doveva toccare proprio a Tommaso Fiore di commemorare a Foggia il suo sodalenel Palazzetto della Cultura e dell'Arte. Sgorgò dalla sua rievocazione quella profondasimpatia umana che, insieme con la tematica socialistica, aveva promosso e tenuta viva laloro collaborazione. Il ricordo del Fiore rivela lo stato d'animo del Nostro, mentreelaborava le pagine, che dovevano significare il primo e più significante sdebitamento dellaCapitanata, verso il padre vivente dell'ultimo meridionalismo. « Ho avuto la fortuna in questiultimi anni di trovarmi in corrispondenza con l'amíco Luigi, e io ero lieto di dettare lungheepistole rivolte a un uomo come lui, semplice e probo. Ora i suoi figli dicono che conquesti scritti gli prolungavo la vita, suscitavo in lui nuovi interessi ed egli finiva conl'immergersi di nuovo nel mondo delle idee, dimenticandosi di tutte le avversità... Di radoaccennava alle sue sofferenze fisiche, di sfuggita, senza fermarsi su. Si sforzava, anzi, diminimizzarle, di negarle addirittura. Il discorso del mio eccezíonale corrispondente era,come nel meglio della sua giovinezza, pieno di pathos... ».

« La Capitanata », nella commozione procuratale dal compito triste e onorifico dipresentare un cotal documento, associata nel grave lutto che ha colpito la Cultura e laPuglia, si fa interprete della Cittadinanza dauna, ringraziando gli Eredi del compiantoSenatore, i quali hanno destinato gran parte dei suoi libri alla Biblioteca provinciale diFoggia.

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