La Canzone Del Piave - consiglio.basilicata.it · celebri canzoni del popolo italiano ancora oggi...

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Una delle più famose canzoni patriottiche italiane, composta dal maestro Ermete Giovanni Gaeta racconta le gesta dell’esercito italiano durante il primo conflitto mondiale, dalla ritirata a Caporetto alla vittoria sulle sponde del Piave. Nasce come marcia d’incoraggiamento per l’esercito, per incitare i soldati e allontanarli dalla tensione scatenata dalla battaglia in corso. La canzone è strutturata in modo tale da narrare nella sua prima parte la difesa dell’esercito italiano (in realtà furono loro ad attaccare l’impero Asburgico ) e la loro sconfitta a Caporetto, per poi continuare nella seconda attribuendo al fiume Piave il compito di opporsi ai nemici soldati e difendere il territorio italiano, contribuendo poi alla futura vittoria dell’Italia. Venne in seguito modificato il testo originale della canzone e poi ripristinato durante il periodo fascista, addirittura diventò l’inno del paese da 1943 al 1946. Rimane una delle più celebri canzoni del popolo italiano ancora oggi interpretata dalle bande a seguire dell’attuale inno nazionale durante il ricordo ai caduti di guerra. Propaganda di Guerra nel Melfese Lo studio della propaganda bellica è utile come contributo alla comprensione stessa della guerra. Uno dei mezzi più utilizzati dalla propaganda furono le cartoline. Caporetto e il Piave fecero sviluppare nelle cartoline tre filoni fondamentali: 1- L’orrore dell’invasione delle terre italiane e le barbarie compiute dal nemico tedesco; 2- La necessità di resistere e di ricacciare l’invasore a qualunque costo e sacrificio; 3- L’attesa e soprattutto la speranza della vittoria. Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento manifesti erano utilizzati come mezzo di propaganda. Il 29 giugno del 1914, il Ministro degli affari esteri italiano Sidney Sonnino così informava la Camera di quanto avvenuto. Passano i mesi, mutano gli eventi, in modo inevitabilmente nefasto, e il 20 maggio del 1915 si svolgerà una seduta chiave alla Camera, la quale conferendo al Re poteri straordinari in caso di guerra, de facto, sanciva l’effettiva entrata in guerra dell’Italia contro i propri alleati in ottemperanza a quanto sottoscritto con il patto di Londra (aprile 1915). In Parlamento prevalse l’idea che l’ultimatum del luglio del 1914 che l’Impero Austro- Ungarico dirigeva alla Serbia, annullava d’un colpo gli effetti del lungo sforzo durato, violando il patto che a quello Stato “legava il Regno d’Italia”. Il “Viva l’Italia”, era un grido di guerra che doveva silenziare ogni protesta di pacifismo, ogni atto che andava La Canzone Del Piave La marcia viene addirittura descritta dal Generale Armando Diaz in una lettera al maestro Gaeta: “La vostra leggenda del Piave al fronte è più di un generale!”, entusiasmando il lavoro del compositore. All’epoca della prima stesura di questo brano, si pensava che la responsabilità per la disfatta di Caporetto fosse da attribuire al tradimento di un reparto dell’esercito. Per questo motivo, al posto del verso “Ma in una notte triste si parlò di un fosco evento” vi era la frase “Ma in una notte triste si parlò di tradimento”. L a propaganda di guerra diventò parte integrante dell’attività bellica nel primo conflitto mondiale 1914- 1918. L’Esercito Italiano, nel corso del conflitto, imparò a servirsi della propaganda e dei suoi mezzi soprattutto attraverso le stampe e le immagini, che furono gli strumenti per eccellenza della propaganda. Con la guerra i manifesti si trasformarono in strumenti di comunicazioneideologica e politica. Due furono gli obiettivi fondamentali dei manifesti: la propaganda pura e la propaganda per i prestiti. Gli italiani diedero una risposta massiccia al richiamo patriottico e alla richiesta di solidarietà invocati dai prestiti. Tale mobilitazione dell’opinione pubblica fruttò all’erario più di quattordici miliardi di lire in moneta dell’epoca. contro la guerra. Chi protestava contro la possibilità dell’entrata in guerra dell’Italia, era “venduto e complice dello straniero”, diversi deputati interventisti incitavano alla violenza sia pubblica sia privata contro i colleghi che erano contrari alla guerra, o che sostenevano la neutralità dell’Italia. Ci furono liste di proscrizione, censure letterarie, erano represse le manifestazioni di popolo e di piazza contro la guerra, mentre quelle interventiste ebbero “franchigia dovunque”. Uno dei più ardenti fautori della guerra contro l’Austria fu l’irredentista socialista lucano On. Ettore Ciccotti, che pronunziò un commovente discorso alla Camera in cui disse che la guerra era inevitabile. All’epoca della prima guerra mondiale la Basilicata era divisa in quattro circondari Potenza, Matera, Melfi e Lagonegro l’amministrazione locale era coordinata dalla Prefettura. Il Prefetto di Potenza rassicura il Ministro dell’Interno con un dispaccio riservato, inviato al Viminale nell’aprile del 1915, “SI garantisce la devozione alle Istituzioni e alla persona di S M Il Re della grandissima maggioranza dei cittadini della provincia, essa segue e seguirà con fiducia l’opera del governo…”.Contrariamente a ciò che telegrafava il Prefetto di Potenza, un quadro meno rassicurante è offerto dai dispacci delle sottoprefetture tra cui il Consiglio comunale di Melfi che, influenzato dalla forte personalità del socialista Attilio Di Napoli, più volte si espresse contro il conflitto vedendosi però annullate le proprie delibere dal prefetto del capoluogo. Nel luglio del 1915 ci furono i primi contributi alla causa interventista con le rumorose sfilate al grido di “Patria e fede”: sono manifestazioni nelle quali non si risparmiava al pacifismo socialista l’accusa di tradimento della Patria. A Melfi fu fondato anche un organo di stampa “Il Giornale di Melfi”, con il compito di diffondere le posizioni favorevoli al conflitto. Del giornale fu promotore Giovanni Ascani. Sulla testata si leggeva chiaramente “l’infelicità” del non intervento al conflitto e la gioia per la partecipazione come si può cogliere dalla citazione del ministro Salandra. Le associazioni di mobilitazione e assistenza civile, quali il Comitato Melfitano, domandavano ai generosi cittadini di essere gli affettuosi fratelli dei “nostri bravi soldati” con la richiesta di prestiti nazionali, invito rivolto anche da privati come l’ing. Salvatore che organizzava conferenze sia a Melfi sia nei Comuni del Circondario. I Comitati allestivano anche lotterie per finanziare E stato calcolato che nei quattro anni di guerra circolarono tra l’Esercito, il Paese e il Fronte circa quattro miliardi di corrispondenze, di cui la maggior parte erano cartoline. Prevalsero temi sulla necessità dell’intervento dell’Italia in guerra. Le cartoline messe in commercio nel periodo precedente l’entrata in guerra dell’Italia, affrontano il tema dell’intervento. Nei soggetti, editi dalle ditte private, si mette in evidenza in modo umoristico le responsabilità che pesano sul “piccolo” re d’Italia titubante che s’interroga se far partecipare il suo popolo al conflitto. “Chi alla Patria non dà il braccio, deve dare la mente, il cuore, i sacrifici”. Salandra Aldo Mazza, Prestito Nazionale (1918) Informativa in merito all’uccisione di Francesco Ferdinando Carlo Luigi Giuseppe d’Austria- Este: “Compio il triste ufficio di comunicare alla Camera che ieri, a Sarajevo, cessava di vivere S. A. Imperiale Reale l’Arciduca ereditario Francesco Ferdinando. Egli, e Sua Altezza la Duchessa di Hohenberg, sua consorte, cadevano vittime di un esecrando attentato, contro di cui si solleva unanime l’indignazione di tutto il mondo civile, ora e sempre. Acquistate tutte le CARTELLE della TOMBOLA a favore del fondo di Beneficenza del Comitato Melfitano di Assistenza civile. Caduna L.0,60 e concorrerà ai 3 premi: Quaterna L.50- Quintina L.75-Tombola 250. Al venerando Clero e diletto Popolo delle sue Diocesi “ogni viltà, convien che qui sia morta” esortando all’azione al sacrificio e alla preghiera, disponendo una seria di celebrazioni liturgiche per impetrare l’aiuto divino per la vittoria.

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Una delle più famose canzoni patriottiche italiane, composta dal maestro Ermete Giovanni Gaeta racconta le gesta dell’esercito italiano durante il primo confl itto mondiale, dalla ritirata a Caporetto alla vittoria sulle sponde del Piave. Nasce come marcia

d’incoraggiamento per l’esercito, per incitare i soldati e allontanarli dalla tensione scatenata dalla battaglia in corso. La canzone è strutturata in modo tale da narrare nella sua prima parte la difesa dell’esercito italiano (in realtà furono loro ad attaccare l’impero Asburgico ) e la loro sconfi tta a Caporetto, per poi continuare

nella seconda attribuendo al fi ume Piave il compito di opporsi ai nemici soldati e difendere il territorio italiano, contribuendo poi alla futura vittoria dell’Italia. Venne in seguito modifi cato il testo originale della canzone e poi ripristinato durante il periodo fascista, addirittura diventò l’inno del paese da 1943 al 1946. Rimane una delle più

celebri canzoni del popolo italiano ancora oggi interpretata dalle bande a seguire dell’attuale inno nazionale durante il ricordo ai caduti di guerra.Propaganda di Guerra nel Melfese Lo studio della propaganda bellica è utile come contributo alla comprensione stessa della guerra. Uno dei mezzi più utilizzati dalla propaganda furono le cartoline. Caporetto e il Piave fecero sviluppare nelle cartoline tre fi loni fondamentali: 1- L’orrore dell’invasione delle terre italiane e le barbarie compiute dal nemico tedesco; 2- La necessità di resistere e di ricacciare l’invasore a qualunque costo e sacrifi cio; 3- L’attesa e soprattutto la speranza della vittoria. Tra la fi ne dell’Ottocento e i primi del Novecento manifesti erano utilizzati come mezzo di propaganda. Il 29 giugno del 1914, il Ministro degli aff ari esteri italiano Sidney Sonnino così informava la Camera di quanto avvenuto. Passano i mesi, mutano gli eventi, in modo inevitabilmente nefasto, e il 20 maggio del 1915 si svolgerà una seduta chiave alla Camera, la quale conferendo al Re poteri straordinari in caso di guerra, de facto, sanciva l’eff ettiva entrata in guerra dell’Italia contro i propri alleati in ottemperanza a quanto sottoscritto con

il patto di Londra (aprile 1915). In Parlamento prevalse l’idea che l’ultimatum del luglio del 1914 che l’Impero Austro- Ungarico dirigeva alla Serbia, annullava d’un colpo gli eff etti del lungo sforzo durato, violando il patto che a quello Stato “legava il Regno d’Italia”. Il “Viva l’Italia”, era un grido di guerra che doveva silenziare ogni protesta di pacifi smo, ogni atto che andava

La Canzone Del Piave

La marcia viene addirittura descritta dal

Generale Armando Diaz in una lettera al maestro Gaeta: “La vostra leggenda del Piave al fronte è più di

un generale!”, entusiasmando il lavoro del compositore.

A l l ’e p o c a della prima stesura di

questo brano, si pensava che la responsabilità per la disfatta

di Caporetto fosse da attribuire al tradimento di un reparto dell’esercito. Per questo motivo, al posto del verso “Ma in una notte triste si parlò di un fosco evento”

vi era la frase “Ma in una notte triste si parlò di

tradimento”.

L a propaganda di

guerra diventò parte integrante dell’attività bellica

nel primo confl itto mondiale 1914- 1918. L’Esercito Italiano, nel corso del confl itto, imparò a servirsi della propaganda e dei suoi mezzi soprattutto attraverso le stampe

e le immagini, che furono gli strumenti per eccellenza

della propaganda.

Con la guerra

i manifesti si trasformarono in strumenti

di comunicazioneideologica e politica. Due furono gli obiettivi fondamentali dei manifesti: la propaganda pura e la propaganda per i prestiti. Gli italiani diedero

una risposta m a s s i c c i a al richiamo patriottico e alla richiesta di solidarietà invocati dai prestiti. Tale mobilitazione

dell’opinione pubblica fruttò all’erario più di quattordici

miliardi di lire in moneta dell’epoca.

contro la guerra. Chi protestava contro la possibilità dell’entrata in guerra dell’Italia, era “venduto e complice dello straniero”, diversi deputati interventisti incitavano alla violenza sia pubblica sia privata contro i colleghi che erano contrari alla guerra, o che sostenevano la neutralità dell’Italia. Ci furono liste di proscrizione, censure letterarie, erano represse le manifestazioni di popolo e di piazza contro la guerra, mentre quelle interventiste ebbero “franchigia dovunque”. Uno dei più ardenti fautori della guerra contro l’Austria fu l’irredentista socialista lucano On. Ettore Ciccotti, che pronunziò un commovente discorso alla Camera in cui disse che la guerra era inevitabile. All’epoca della prima guerra mondiale la Basilicata era divisa in quattro circondari Potenza, Matera, Melfi e Lagonegro l’amministrazione locale era

coordinata dalla Prefettura. Il Prefetto di Potenza rassicura il Ministro dell’Interno con un dispaccio riservato, inviato al Viminale nell’aprile del 1915, “SI garantisce la devozione alle Istituzioni e alla persona di S M Il Re della grandissima maggioranza dei cittadini della provincia, essa segue e seguirà con fi ducia l’opera del governo…”.Contrariamente a ciò che telegrafava il Prefetto di Potenza, un quadro meno rassicurante è off erto dai dispacci delle sottoprefetture tra cui il Consiglio comunale di Melfi che, infl uenzato dalla forte personalità del socialista Attilio Di Napoli, più volte si espresse contro il confl itto vedendosi però annullate le proprie delibere dal prefetto del capoluogo. Nel luglio del 1915 ci furono i primi contributi alla causa interventista con le rumorose sfi late al grido di “Patria e fede”: sono manifestazioni nelle quali non si risparmiava al pacifi smo socialista l’accusa di tradimento della Patria. A Melfi fu fondato anche un organo di stampa “Il Giornale di Melfi ”, con il compito di diff ondere le posizioni favorevoli al confl itto. Del giornale fu promotore Giovanni Ascani. Sulla testata si leggeva chiaramente “l’infelicità” del non intervento al confl itto e la gioia per la partecipazione come si può cogliere dalla citazione del ministro Salandra. Le associazioni di mobilitazione e assistenza civile, quali il Comitato Melfi tano, domandavano ai generosi cittadini di essere gli aff ettuosi fratelli dei “nostri bravi soldati” con la richiesta di prestiti nazionali, invito rivolto anche da privati come l’ing. Salvatore che organizzava conferenze sia a Melfi sia nei Comuni del Circondario. I Comitati allestivano anche lotterie per fi nanziare

E ’ stato calcolato che

nei quattro anni di guerra circolarono tra l’Esercito, il

Paese e il Fronte circa quattro miliardi di corrispondenze, di cui la maggior parte erano cartoline. Prevalsero temi sulla necessità dell’intervento dell’Italia in guerra. Le cartoline messe in commercio nel periodo precedente l’entrata in guerra dell’Italia, aff rontano il tema dell’intervento. Nei soggetti, editi dalle ditte private, si mette in evidenza in modo umoristico le responsabilità che pesano sul

“piccolo” re d’Italia titubante che s’interroga se far partecipare il

suo popolo al confl itto.

“Chi alla Patria non dà il

braccio, deve dare la mente, il cuore, i s a c r i f i c i ”. S a l a n d r a Aldo Mazza, P r e s t i t o Nazionale (1918)

Informativa in merito all’uccisione

di Francesco Ferdinando Carlo Luigi Giuseppe d’Austria-

Este: “Compio il triste uffi cio di comunicare alla Camera che ieri, a Sarajevo, cessava di vivere S. A. Imperiale Reale l’Arciduca ereditario Francesco Ferdinando. Egli, e Sua Altezza la Duchessa di Hohenberg, sua consorte, cadevano vittime di un esecrando attentato, contro di cui si solleva

unanime l’indignazione di tutto il mondo civile, ora

e sempre.

Acquistate tutte le CARTELLE

della TOMBOLA a favore del fondo di Benefi cenza del Comitato Melfi tano di Assistenza civile. Caduna L.0,60 e concorrerà ai 3 premi: Quaterna L.50-

Quintina L.75-Tombola 250.

Al venerando Clero e diletto Popolo

delle sue Diocesi “ogni viltà, convien che qui sia morta” esortando all’azione al sacrifi cio e alla preghiera, disponendo una seria di celebrazioni liturgiche

per impetrare l’aiuto divino per la vittoria.

la guerra: si leggeva su “Il Giornale di Melfi ”. Stupisce, ancora, la forte partecipazione della Basilicata al sostegno economico del confl itto. Per quanto concerne i prestiti nazionali, i documenti ci parlano dei due milioni e mezzo di lire raccolti in occasione del primo prestito e degli oltre 78 milioni del sesto prestito, il quale comprese la riconversione delle precedenti sottoscrizioni e la cui raccolta si concluse nel 1920: per tale stupefacente risultato si meravigliò lo stesso Giustino Fortunato in una lettera al prefetto di Potenza del febbraio 1916.A tutto questo si aggiunse il nuovo attivismo del mondo cattolico. Numerosi manifesti di vescovi lucani, rendendo la voce di papa Benedetto XV ancor più “vox clamantis in deserto”, incitavano all’obbedienza alle “supreme autorità terrene”, rivelando quasi un senso civico più forte di quello religioso. Monsignor Costa, vescovo di Melfi e Rapolla rispondeva con una lettera al Clero e al popolo della sua Diocesi all’appello patriottico.

5 A e 5 B ISS “Gasparrini”, indirizzo Enogastronomico e ospitalità alberghiera – Melfi , prof.ssa Emilia Fontana e prof.ssa Michelina Spennacchio

“Il Lavoratore” nasce al riparo dei fatti

e della drammaticità della Grande Guerra – il primo numero è datato infatti 12 novembre 1905 – ma la sua impronta è chiara sin da subito, come l’urgenza di reagire

a soprusi, negazioni, a secoli di diritti repressi. Se nei primi anni, il giornale essenzialmente persegue la lotta, aspramente critica e serrata, contro il “marcio” dell’amministrazione comunale locale e pubblicizza le iniziative della sezione socialista - compresi congressi, cortei e manifestazioni, battaglie ideologic\he e di

rivendicazione - è a partire dal 1914 che la battaglia

ideologica del

1. CHI VINCE, ACCONSENTE. La Guerra, il consenso, la censura e il controllo delle informazioni. La divulgazione dell’informazione e delle notizie a mezzo stampa, la comunicazione postale come pure le notizie militari provenienti dal fronte furono i campi di interesse principali sui quali durante la Prima Guerra Mondiale si concentrò il severo e rigido controllo della censura, istituto che contribuì a decretare la deriva autoritaria del Regno d’Italia a partire dai primi decenni del Novecento. La “Guerra totale” si combatté anche sui quotidiani, in grado di amplifi care e diff ondere a macchia d’olio le posizioni degli interventisti e dei neutralisti. La macchina della guerra, per funzionare, aveva bisogno anche del consenso popolare, di un clima di diff usa (quanto mal riposta) fi ducia. E a garantirlo c’erano le ispezioni, la

censura e le agenzie di stampa: armi forti, incisive, potenti, in grado di fare la diff erenza, come ogni azione strategica e trasversale che agisce nel sommerso e colpisce nel profondo. Un controllo sistematicamente condotto. Come a dire: chi vince, acconsente. 2. UNA STORIA LUCANA: Attilio Di Napoli e “Il Lavoratore”. Come quella nazionale, anche la stampa locale ebbe in questi anni un ruolo importante, spesso decisivo, contribuendo attivamente a orientare un’opinione pubblica disorientata, lacerata da opposte posizioni delle quali spesso non comprendeva neppure i margini e le ragioni. Non si può più cedere al disimpegno. C’è bisogno di parole nuove. Si impone l’urgenza di una voce in grado di scuotere le coscienze, di dire “cose semplici, senza molte parole, con la maggior chiarezza possibile”. Questa voce, a Melfi e nel sud Italia, sarà quella de “Il Lavoratore”. Naturalmente, il nuovo organo di stampa fa clamore e suscita subito l’attenzione delle autorità e della polizia che lo defi niscono un “giornale sovversivo”, ben presto inserito negli elenchi della Direzione generale della pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno. Il nome di Attilio Di Napoli stesso – uomo “turbolento, irrequieto, spavaldo” – non tarda ad essere inserito nello schedario del Casellario giudiziale di Roma. La verità fa paura. In quegli anni più che mai. Ma Di Napoli, appassionato e partecipe, sinceramente animato dal fuoco della giustizia, non teme, invece, di mettersi contro i potenti, contro quelli che decidono e comandano. Specie quando nel 1914 il fronte socialista trionfa in tutta la Basilicata nord, raff orzando la credibilità e la “pericolosità” dell’avvocato melfi tano, nella cittadina normanna e nel vulture tutto. All’alba del primo confl itto mondiale, ancor più forte, così, è la voce de “Il Lavoratore” contro la guerra, meglio, a

A COLPI DI PAROLE PER COSTRUIRE LA PACE: UNA STORIA LUCANA. S e

l’attività di censura era iniziata già dopo l’Unità,

durante gli anni di tensione che prepararono la “Grande guerra”, gettandone le basi anche

attraverso i contrasti e il crescente malcontento, si amplifi cò d u n q u e l ’ a z i o n e sistematica e il carattere di pratiche l i m i t a n t i

delle libertà fondamentali e inalienabili dell’uomo e del cittadino, fra tutte quelle relative all’associazionismo, alla libertà di espressione e di stampa. Ministeri e prefetture divennero una vera struttura organizzativa atta al controllo selettivo delle notizie, dell’informazione: nulla del resto doveva rallentare il governo interventista e le sue scelte; niente poteva minare le volontà del fronte di guerra, le sue disposizioni bellicose e nazionaliste. I due maggiori quotidiani italiani, “La Stampa” e “Il Corriere della Sera”, rispettivamente neutralista e interventista, negli anni del confl itto aumentarono visibilmente la loro tiratura, rappresentando, spesso, l’ago della bilancia e arrivando ad incidere – con le parole e

le immagini – perfi no sui molti italiani ancora

analfabeti.

Attilio Di Napoli(Melfi 1883-1953)

fu il primo organizza-tore e fon-datore del movimento socialista nel m e r i d i o n e d’Italia. Av-v i c i n a t o s i negli anni universita-

ri alle idee socialiste, le mise in pratica con la fondazione, a Melfi , del giornale “Il Lavoratore” (1905-1917). Fu sindaco di Melfi dal 1911 al 1914 e ministro del lavoro e del commercio. Alle elezioni del 1921 fu eletto deputato del melfese; con l’avvento del Fascismo, nel 1924 ritornò fra il popolo e diventò per Melfi un simbolo della lotta socia-lista. Caduto il Fascismo, Di Napoli riprese l’attività politica e fu Mini-stro dell’Industria e Commercio nel II Governo Badoglio non riu-scendo però ad essere eletto alla Costituente nel 1946. Morì nel

1953 e nella città normanna, in sua memoria, gli è stata

intitolata una via.

favore della pace; per volontà del Congresso e della Federazione pugliese lucana, il giornale diviene anzi il vessillo della pace, l’organo deputato a far sentire tutto il dissenso verso l’entrata dell’Italia nel confl itto sostenendo, di contro, la “continuazione della neutralità nella terribile confl agrazione europea”. “Il Lavoratore” di Attilio Di Napoli anima le intenzioni del fronte neutralista, ne segue gli sviluppi, ne riporta la cronaca e funziona da potente cassa di risonanza. Ma la verità risuona minacciosa e temibile agli orecchi di chi ostinatamente si pone in una direzione opposta alla neutralità e alla pace. Nel maggio del 1915 la guerra è ormai vista come “inevitabile”. Costretto a un lungo periodo di silenzio e di assenza dal panorama della stampa regionale – a causa dei tagli imposti dalla censura e, in parte, dai problemi fi nanziari – le pubblicazioni de “Il Lavoratore”

riprenderanno solo nel novembre del 1916.3. LE PAROLE DELLA GUERRA. LE PAROLE DELLA PACE. Se la Basilicata “ha dato il sangue più puro della sua giovinezza in proporzione superiore a molte altre regioni”, se “i nostri contadini, formano il nerbo delle fanterie che fanno la guerra e non usufruiscono di esoneri ed esenzioni”, nel dicembre del 1916 Attilio Di Napoli propone di far partire proprio dalla Basilicata “Un voto per la pace”. Sebbene l’iniziativa sia respinta dall’assise provinciale, “Il Lavoratore” ne rende comunque conto, seminando consapevolezza. E dissenso. Il giornale dell’avvocato di Melfi preoccupa, rappresenta un problema. Bisogna mettere un freno all’eco delle sue parole. Bisogna a tutti i costi fermare “Il Lavoratore”. Con qualsiasi mezzo. Su Attilio Di Napoli e sul “Lavoratore”, così, piovono accuse, denunce, diffi de, ma intanto continua, inarrestabile, l’aspra battaglia del giornale, combattuta a colpi di verità, sferzate di consapevolezza, attacchi alle stanze chiuse del potere locale e nazionale. Le parole della pace riecheggiano tra le strade, nelle piazze, sulle pagine del “Lavoratore”. Colpiscono e fanno male più di un colpo di cannone. Lo sa anche il sottoprefetto di Melfi , Oddone, che usa la mano forte per colpire “ogni manifestazione di dissenso”. E il “clima di richiamo

I titoli del “Lavoratore”, sintomatici

di un clima di grande dissenso, sono emblematici di una battaglia

per la pace condotta con impegno, nel merito, senza perdere un colpo: “Mentre la guerra insanguina il mondo. Il dovere del proletariato = la neutralità dell’Italia” (16 agosto 1914); “Mentre il militarismo continua il suo truce delitto” (6 settembre 1914); “Contro le manovre dei nazionalisti e del governo: per la neutralità” (4 ottobre 1914); “Guerra, disoccupazione e reazione. Il proletariato italiano non vuole la guerra!” (11 ottobre 1914); “La guerra infame. No, no, no!” (18 ottobre 1914); “Non guerra: pace e lavoro” (25 ottobre 1914); “Lavoratori, intensifi cate la protesta contro la guerra. Ora e sempre contro la guerra” (8 novembre 1914); “La terra insanguinata dalla furia degli elementi e dalla guerra fratricida” (24 gennaio 1915); “Contro la guerra aff amatrice” (28 febbraio 1915); “Contro le violazioni della

libertà” (14 marzo 1915); “La dittatura” (21 marzo 1915); “Primo maggio 1915…” (vedi p. 215); “Mentre tuona il cannone” (16 maggio 1915); “Il preludio della più grande tragedia italiana”, “Il popolo impreca contro la guerra

maledetta”, “Melfi unanime contro la guerra” (23

maggio 1915).

g i or n a l e melfi tano si

concentra sull’inutilità e sull’assurdità dell’entrata in

guerra, sull’assoluta pericolosità del confl itto mondiale. Per la Basilicata la guerra è forse avvertita come una “cosa lontana, che non avrebbe mai lambito il [vostro] piccolo angolo di terra quieta e addormentata”, eppure è una minaccia eff ettiva: una nuvola nera di morte, cupa e imprevista come un’annata di carestia, un inverno freddo e senza riparo stava per abbattersi sugli “ultimi”, sui contadini, gli operai, gli uomini e le donne del Sud, che pagarono

con il loro sangue e con il sangue dei loro fi gli la

guerra “di Roma”.

A partire dal 1914 le

manifestazioni si sus-seguono, cresce anche nel

vulturemelfese il dissenso e la mobilitazione contro i pericoli dell’entrata in guerra e aumenta il

malcontento contro una situazione economico-lavorativa avvertita ormai come inaccetta-bile: il 15 novembre, in particolare, sono orga-nizzati co-

mizi contro la guerra e a favore delle vittime politiche a Melfi , Lavello, Montemilone, Palazzo S. Gervasio, Rapolla, Barile. Se non tutto il fronte socialista è compatto nell’avversare la guerra – il poten-tino Ettore Ciccotti, ad esempio, è tra coloro che non si oppongono all’intervento militare italiano – nel 1915, cresce ancora la mobili-tazione popolare “contro l’inter-vento in guerra ed il rincaro dei viveri” e si susseguono manifesta-zioni di piazza in tutti i comuni della zona. Melfi e la sua ammi-

nistrazione si segnalano come particolarmente

attive.

all’ordine” non si attenua con l’ingresso in guerra del nostro paese. Anzi. Mentre proprio contro l’azione del sottoprefetto Oddone, “il nemico”, sul numero del 24 gennaio 1915, appare uno dei tanti articoli di satira e contestazione (emblematico il titolo: “Che testa… di Oddone”), gli interventi, i richiami e i titoli a favore della pace continuano a riempire le pagine del “Lavoratore”. Fino al 20 giugno 1915, quando un accorato intervento dal titolo “Poiché parla la censura”, è rivolto alle famiglie dei soldati, alla popolazione tutta, per annunciare che sta per cambiare qualcosa, che la censura sta esercitando la sua azione sul giornale. Pesantemente. Da lì, sempre meno parole, sempre più spazi bianchi sulle pagine del “Lavoratore”. È “il tempo di guerra”, come si legge, sul giornale. La censura agisce, inesorabile. Intima. Taglia. Zittisce. Ma quello spazio bianco grida più di mille parole. È il segno tangibile della negazione della libertà. E difatti da Di Napoli la censura non solo è annunciata, quanto dichiarata ed esibita. Si invoca il risveglio, ma ormai i venti di guerra hanno avvolto l’Italia e la Basilicata. La possibilità per Di Napoli di svolgere un’azione politica incisiva si allontana, lo spazio di azione ‘concessogli’ continua a ridursi, fi no a mettergli il bavaglio, e con lui al suo “Il Lavoratore”. Nel 1917, proprio mentre l’Italia vive l’anno più duro della guerra, riesce l’impresa: “Il Lavoratore” fi nalmente tace. Con “buona pace” di tutti.

Ist. “G. Gasparrini”, Melfi –Settore Servizi Enogastronomia e Ospitalità AlberghieraClasse VD, prof.ssa Anita Ferrari

“Il Lavoratore” fu sospeso nel 1917 con la seguente moti-

vazione: « Con la pubblicazione di detto periodico si proponeva di deprime lo spirito pubblico nell’at-tuale momento politico favoren-

do anche le proposte di pace degli imperi centrali».

C o s ì , difatti, accade sul

numero del 26 novembre 1916 o del 10 dicembre dello

stesso anno, e ancora del 24 dicembre, del 7 gennaio 1917, del 21 gennaio, del 19 agosto (numero sul quale si fa esplicito riferimento a “due colonne censurate”), del 16 settembre, del 7 ottobre, del 21 ottobre, quando a capeggiare sulle pagine del giornale sono le parole non dette che, proprio per essere non pronunciabili,

proibite, risuonano ancora più forte, con maggiore

insistenza.