La Caduta Del Governatore. the Walking D - Robert Kirkman, Jay Bonansinga

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la caduta del governatore

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LA CADUTA DEL GOVERNATOREROBERT KIRKMAN

EJAY BONANSINGA

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Tutti i personaggi, le organizzazioni e gli eventi descritti in questo libro sono prodotti della fantasia degli autori o usatiin maniera fittizia.

La caduta del Governatore è una saga in due parti ambientata nell’universo narrativo di The Walking Dead. Il secondoe conclusivo volume verrà pubblicato nell’autunno del 2014.THE WALKING DEAD 3: LA CADUTA DEL GOVERNATOREUn libro di Panini Comics, divisione editoriale di Panini S.p.A.Redazione e direzione: Panini Comics, viale Emilio Po 380, 41126 Modena. www.paninicomics.itTHE WALKING DEAD: THE FALL OF THE GOVERNOR, PART ONE. Copyright © 2014 by Robert Kirkman and Jay Bonansinga. All rightsreserved.Originally published by St. Martin’s Press, LLC as the original publisher of the work.Per l’edizione italiana: © 2014 Panini S.p.A.Direttore editoriale: MARCO M. LUPOIDirettore mercato Italia: SIMONE AIROLDIMarketing: ALEX BERTANIPublishing manager Italia: SARA MATTIOLICoordinamento editoriale: DIEGO MALARARedazione: GIAN LUCA RONCAGLIA, CATERINA FORESIUfficio grafico: PAOLA LOCATELLIUfficio produzione: ALESSANDRO NALLIPer l’edizione digitale: Supervisione CARLO DEL GRANDEGrafica e impaginazione: ILARIA INGROSSOTraduzione: VANIA VITALI PER LIBR@RY MOUSECura editoriale: AURELIO PASINI

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A Sheri Stearn, mia attenta lettrice e mia seconda madre, e a Diego per avermiaiutato con le dinamiche della morte e della distruzione

–Jay Bonansinga

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RINGRAZIAMENTIUn grazie molto speciale a Robert Kirkman, un uomo che sa sempre come tirar

fuori la magia dal cilindro; a Andy Cohen, la bussola della mia carriera; a BrendanDeneen, mio editor e più grande amico; a Christina MacDonald, per la migliorlinea editoriale di sempre; e a David Alpert, che riesce a tenere tutto insieme.Un grazie enorme anche a Kemper Donovan, Nicole Sohl, Stephanie Hargadon,

Denise Dorman, Tom Leavens, Jeff Siegel e ai miei ragazzi, Joey e BillBonansinga. E da ultimo, ma non in ordine di importanza, voglio esprimere il mioamore eterno e la mia gratitudine a Jill Norton Brazel, la donna che ha cambiato

la mia vita, facendo di me uno scrittore e un uomo migliore.—Jay Bonansinga

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PARTE PRIMA

Il radunoE quando l’estremo e temuto istante

Questo corteo mortale per divorare finirà,La tromba ovunque alta s’avrà a udire,

I morti prenderanno a vivere e i vivi a morireE la Musica il Cielo intero disferà.

—John Dryden

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UNOBruce Allan Cooper è a terra e si contorce per il dolore: rantola, sbatte gli occhi,cerca di riprendere fiato. Sente il ringhio gorgogliante e feroce di una mezzadozzina di azzannatori che avanzano verso di lui, per cibarsi di lui. Una voce gligrida nel cervello: Muoviti, stupido idiota! Brutto coniglio! Che stai facendo?!

Bruce è grosso, un afroamericano con il fisico di un giocatore della NBA, la testarasata a forma di ogiva e il pizzetto screziato di grigio. Rotola sulla terra scabra,evitando di un soffio le dita protese e i denti di una morta che ha soltanto mezzafaccia.

Fa appena in tempo a coprire sì e no un paio di metri, quando una fitta didolore gli esplode lungo il fianco, irradiando un bruciore acuto nelle costole eparalizzandolo nell’agonia. Si stende sulla schiena, senza mollare la scure. Latesta dell’attrezzo è incrostata di sangue, capelli umani e quella bile nera evischiosa che i superstiti hanno imparato a conoscere come liquame di zombie.

È momentaneamente stordito, con le orecchie che gli fischiano e un occhiochiuso per il gonfiore del naso rotto. Indossa la tenuta da fatica dell’esercito,ormai ridotta a brandelli, e gli stivali infangati della milizia non ufficiale diWoodbury. Sopra di lui vede il cielo della Georgia, una coltre bassa di nuvole delcolore grigiastro della sciacquatura dei piatti, un tempo brutto e inclemente per

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essere aprile, e che sembra farsi beffe di lui: Tu, laggiù, piccolo Bruce, sei solo uninsetto, un verme sulla carcassa di una terra moribonda, un parassita che si cibadei resti e delle rovine della razza umana in estinzione.

All’improvviso il panorama plumbeo è eclissato da tre facce aliene, tetri pianetiche eclissano lenti il cielo: ciascuno esibisce un latrato stupido, come ebbro;ciascuno tiene gli occhi lattigginosi perpetuamente aperti. Uno, un maschioadulto e obeso, con indosso un camice da ospedale lurido, sbava gocce di muconero sulla guancia di Bruce.

“DANNAZIONEEEE!”Bruce si riprende di colpo dallo shock e ritrova un’inaspettata riserva di forze.

Sferra un colpo con la scure: l’estremità appuntita disegna un arco e impalal’azzannatore grasso nel tessuto morbido sotto la mandibola. La metà inferioredella faccia si stacca: un brandello stopposo di carne morta e cartilagine lucidaruota in aria per almeno cinque metri prima di ricadere a terra con un tonfo.

Bruce rotola ancora, balza in piedi, ruota di centoottanta gradi, esibendosi in unmovimento piuttosto aggraziato per uno uomo della sua stazza e per giuntapiegato dal dolore, e taglia i muscoli putridi del collo di un’azzannatrice che gliviene incontro. La testa cade di lato, oscillando per un attimo sui filamenti ditessuto secco prima di staccarsi e cadere a terra, dove continua a ruzzolarelasciandosi dietro una scia nera.

Il corpo, invece, rimane in piedi per un istante infinito, mentre le bracciaprotese in un orribile istinto cieco si contorcono senza senso. Quando finalmente

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la cosa si accascia al suolo, un oggetto metallico si affloscia avvinghiato ai suoipiedi.

E allora, sull’onda della strage, Bruce sente la cosa più strana che abbia maisentito, per quanto il suono sia smorzato dalle sue orecchie traumatizzate: senteun suono di cembali. O almeno questo è quanto le sue orecchie percepiscono etrasmettono al cervello: un rumore di qualcosa di metallico che sbatte e siscontra, e che proviene dalle immediate vicinanze. Bruce indietreggia con l’armalungo il fianco, sbatte gli occhi e cerca di concentrarsi sugli azzannatori checamminano dinoccolati verso di lui. Sono troppi per affrontarli con la scure.

Bruce si gira per fuggire e, senza preavviso, corre dritto contro un’altra figurache gli blocca la strada.

“WHOA!”È un uomo bianco, massiccio, con il collo grosso e i capelli rossicci tagliati

militarmente a spazzola: lancia un urlo e cala contro Bruce una mazza delledimensioni di una zampa di cavallo. La mazza chiodata sibila accanto alla facciadi Bruce, passando a pochi centimetri dal naso rotto. Bruce indietreggiaistintivamente, inciampando contro i suoi stessi piedi.

Cade a terra goffamente e solleva una nuvola di polvere, provocando un’altraserie di suoni di cembalo da una distanza indistinta. La scure gli vola via dallamano. L’uomo dai capelli rossicci approfitta della sua confusione e gli ruggiscecontro, con la mazza pronta a calare. Bruce grugnisce e sguscia via dal suo raggiod’azione all’ultimo minuto.

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La testa della mazza picchia con forza, conficcandosi a terra a pochi centimetridalla faccia di Bruce, che rotola verso la sua arma, caduta nel terriccio rosso acirca tre metri da lui.

Stringe la mano intorno al manico di legno quando, all’improvviso, una figurabarcolla fuori dalla foschia alla sua sinistra: l’azzannatrice striscia verso di lui congli spasmi languidi di una lucertola gigantesca. Un liquido nero le esce dallabocca flaccida: i denti piccoli e affilati sono ben in vista e la mandibola scatta conil vigore di un rettile.

Poi accade qualcosa che riporta Bruce alla realtà.La catena che tiene legata la femmina sferraglia e il mostro raggiunge i limiti

della sua prigionia. Bruce trae un istintivo sospiro di sollievo, mentre la cosamorta a solo pochi centimetri di distanza si dimena impotente verso di lui.L’azzannatrice ringhia la sua incipiente frustrazione, ma la catena tiene. Bruceavrebbe voglia di cavarle le palle degli occhi a mani nude, avrebbe voglia dimasticare il collo di quell’inutile pezzo di merdosa carne marcia.

Ma torna a sentire lo strano rumore di cembali che sbattono, insieme alla vocedell’altro uomo, udibile appena con tutto quel rumore: “Su, amico, alzati... alzati”.

Bruce riesce a muoversi. Afferra la scure e si mette in piedi a fatica. Altri suonidi cembalo... Bruce si volta e agita la scure contro l’altro.

La lama manca di pochissimo la gola del tizio coi capelli a spazzola: gli affetta ilcollo del maglione a dolcevita, aprendo uno squarcio di sei centimetri.

“Come va?” borbotta Bruce tra i denti, girandogli intorno. “È abbastanza

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divertente per te?”“Ecco lo spirito giusto” mormora l’uomo tarchiato: si chiama Gabriel Harris,

Gabe per i compari. Brandisce di nuovo la mazza e la testa chiodata sibilaaccanto alla faccia pesta di Bruce.

“Tutto qui?” biascica Bruce, balzando via appena in tempo. Si gira dall’altraparte e sferra un colpo di scure, ma Gabe para il colpo con la mazza. Tutt’intornoai due combattenti i mostri seguitano a ringhiare e modulare i loro ululatiacquosi: tendono le catene, affamati di carne umana, aizzati da una furiafamelica.

Via via che la foschia di polvere sopra il campo di battaglia si dirada, emergonolentamente i contorni di un circuito sterrato all’aperto.

È il Circuito dei Veterani di Woodbury, grande quanto un campo da football econ i margini esterni delimitati da recinzioni metalliche: lungo il percorso siaprono i resti di vecchie piazzole per i pit-stop e gli sbocchi di tunnel scuri ecavernosi. Dietro la rete metallica iniziano le gradinate dei sedili di plastica, chesalgono fino agli enormi pali della luce arrugginiti. Al momento le panchebrulicano di abitanti di Woodbury intenti a fare il tifo. Il suono dei cembali è, inrealtà, un misto di applausi selvaggi e di grida di scherno della folla.

Intanto, nel miasma di polvere che vortica intorno al circuito interno, ilgladiatore conosciuto come Gabe mormora tra i denti in modo che solo il suoavversario possa sentirlo: “Oggi combatti come una maledetta femminuccia,Brucey”. La battuta è sottolineata da un colpo della mazza verso le gambe

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dell’uomo nero.Bruce lo schiva con un salto che farebbe invidia a una star del Wrestling. Gabe

agita di nuovo la mazza, che prende il largo e colpisce la testa di un giovaneazzannatore con indosso una tuta da lavoro lacera e unta: forse, prima, era statoun meccanico.

I chiodi della mazza si conficcano nel teschio cadaverico della cosa, facendoschizzare filamenti di fluido scuro, prima che Gabe abbia tempo di estrarre lamazza e mormorare: “La tua performance di merda farà incazzare ilGovernatore”.

“Ah, sì?” Bruce contrattacca colpendo Gabe nel plesso solare con il manico dellascure. L’uomo tarchiato finisce a terra e la scure disegna un arco in aria, calandoa pochi centimetri dal suo petto.

Gabe rotola via e balza in piedi, continuando a mormorare tra i denti. “Nondovevi prenderti quella porzione extra di dolce, l’altra sera.”

Bruce sferra un altro fendente e la lama sibila vicino al collo di Gabe. “Parli tu,ciccione.”

Gabe mena una serie di rapidi colpi di mazza, costringendo Bruce aindietreggiare verso gli azzannatori in catene. “Quante volte te l’ho detto? IlGovernatore vuole che sembri reale.”

Bruce para l’assalto della mazza con il manico della scure. “Mi hai rotto il naso,figlio di puttana.”

“Smettila di frignare come un coglione.” Gabe cala di nuovo la sua arma, e

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stavolta i chiodi si conficcano nel manico della scure. Poi dà uno strattone estrappa la scure dalla presa di Bruce, facendola volare in aria. La folla applaude.Bruce fugge via. Gabe lo insegue. Bruce taglia e corre dall’altra parte. Gabe silancia dietro di lui e, nello stesso tempo, agita la mazza sotto le gambe dell’uomodi colore.

I chiodi raggiungono la tuta di Bruce, aprendo uno squarcio e lacerando lacarne in superficie. Bruce inciampa e cade a terra. La pallida, polverosa luce delgiorno si colora di esili fiotti di sangue.

Gabe si inebria degli applausi concitati, frenetici, quasi isterici e si volta versogli spalti, dove esulta gran parte della popolazione post epidemia di Woodbury.Alza la mazza con un movimento stile Braveheart. Gli applausi crescono e Gabeprolunga l’istante. Si gira piano con la mazza sopra la testa con l’espressionequasi comica del macho vincitore stampata sul viso.

Scoppia il pandemonio... e nelle panche, in mezzo alle braccia che ondeggianoe alle grida di incitamento, gli spettatori sembrano tutti trascinati dallospettacolo. Tutti tranne uno.

In un sedile della quinta fila, all’estremità nord delle gradinate, Lilly Cauldistoglie lo sguardo disgustata. A parte la sciarpa di lino scolorita che ha intornoal collo di cigno per tenere lontano il freddo di aprile, indossa l’abbigliamentoabituale: jeans strappati, maglione logoro e perline di seconda mano. Scuote latesta ed emette un sospiro esasperato, mentre il vento le scompiglia i capellicolor caramello che le incorniciano il viso, ancora giovane, ma già

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irrimediabilmente segnato: le rughe intorno agli occhi acquamarina e lungo gliangoli della bocca sono solchi profondi come vene sul cuoio lucidato. Non siaccorge nemmeno di mormorare tra i denti: “Dannato circo romano...”

“Cosa?” La donna che le sta accanto la guarda alzando gli occhi da una tazzatermica di tiepido tè verde. “Hai detto qualcosa?”

Lilly fa cenno di no con la testa.“Stai bene?”“Sì, sì... benissimo.” Continua a guardare lontano mentre la folla urla, strilla ed

emette ululati animaleschi. Lilly Caul ha appena superato la trentina, ma sembrapiù vecchia di almeno dieci anni, anche per via dell’abitudine di tenere la frontesempre corrugata, come in preda a un’afflizione costante. “Se proprio vuoi saperela verità, non so fino a che punto riuscirò a sopportare tutta questa merda.”

L’altra donna sorseggia il tè pensosa. Sotto il parka indossa un camice dalaboratorio bianco sporco e porta i capelli raccolti in una coda da cavallo: èl’infermiera della città, una brava ragazza dalla voce gentile di nome Alice, che hasviluppato un acuto interesse per l’esile spazio che Lilly occupa nella gerarchiacittadina. “Non sono affari miei” dice alla fine, parlando piano per non farsisentire dagli spettatori festanti che le stanno vicino “ma se fossi in te, mi terreiquesti sentimenti per me”.

Lilly la guarda. “Di cosa parli?”“Per ora, almeno.”“Non ti seguo.”

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Alice sembra vagamente a disagio a parlarne in piena luce del giorno e davantiad altre persone. “Lui ci osserva, lo sai.”

“Cosa?”“Anche in questo momento, ci tiene d’occhio.”“Vuoi scherzare...”Lilly s’interrompe. Capisce che Alice si riferisce alla figura indistinta in piedi

all’entrata del corridoio di pietra a nord, a una trentina di metri di distanza, sottoil tabellone segnapunti defunto. Avvolto dall’ombra, contrastato dalla luce dellelampade grigliate alle sue spalle, l’uomo tiene le mani sui fianchi e guardal’azione che si svolge nell’area del diamante con un luccichio di soddisfazionenegli occhi.

Di statura media, massiccio, vestito di nero, porta una pistola grosso calibro inuna fondina sul fianco. A prima vista, sembra innocuo, benevolo, quasi unpossidente terriero o un nobile medievale che osserva orgoglioso il suo maniero.Ma anche a quella distanza, Lilly riesce a percepire il suo sguardo di serpente,astuto come quello di un cobra, che esamina ogni angolo degli spalti. E a unintervallo di pochi secondi, quello sguardo elettrico si posa sul punto dovesiedono Lilly e Alice, che rabbrividiscono per le raffiche del vento primaverile.

“Meglio fargli credere che va tutto bene” mormora Alice bevendo il tè.“Gesù Cristo” sussurra Lilly, fissando il pavimento lastricato di cemento sotto i

sedili. Un’altra scarica di applausi sale intorno a lei, mentre i gladiatori ci dannodentro nel quadrato: Bruce dà di matto con la scure e Gabe rimane bloccato

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vicino a un nugolo di azzannatori in catene. Lilly presta poca attenzione allospettacolo.

“Sorridi, Lilly.”“Sorridi tu... Io non ho lo stomaco per farcela.” Per un attimo Lilly rivolge lo

sguardo all’azione orribile che si svolge nel campo: la mazza squarcia il cranioputrefatto dei non morti. “Semplicemente non ci riesco.” Scuote la testa e guardaaltrove.

“Non riesci a fare cosa?”Lilly prende un respiro profondo e guarda Alice. “E Stevens?”Alice alza le spalle. Il dottor Stevens è stato l’ancora di salvezza di Alice per

quasi un anno: l’ha aiutata a non impazzire, le ha insegnato il lavoro di infermierae le ha mostrato come rattoppare i gladiatori ammaccati con le sempre piùmisere provviste mediche conservate nella rete di catacombe sotto l’arena. “Cosami dici di lui?”

“Non lo vedo qui a divertirsi per questa merda schifosa.” Lilly si strofina lafaccia. “Cos’è che lo rende tanto speciale... da non essere obbligato a stare algioco del Governatore? Soprattutto dopo quanto è successo a gennaio.”

“Su, Alice.” Lilly la guarda. “Ammettilo. Il buon dottore non si fa mai vedere aqueste cose e non fa che lamentarsi dei cruenti spettacoli da baraccone delGovernatore con chiunque sia disposto ad ascoltarlo.”

Alice si bagna le labbra, si volta e appoggia una mano guardinga sul braccio diLilly. “Ascoltami, Lilly, non t’illudere: la sola ragione per cui il dottor Stevens

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viene tollerato è la sua professione.”“E allora?”“E allora non è esattamente il benvenuto nel piccolo regno del Governatore.”“Cosa vuoi dire, Alice?”La donna più giovane prende un altro respiro profondo e abbassa la voce

ancora di più. “Voglio dire solo che nessuno è immune. Nessuno qui in giro puòcontare sulla sicurezza del lavoro.” Rafforza la stretta sul braccio di Lilly. “Cosasuccede se trovano un altro dottore, uno anche solo un po’ più fanatico? Stevenspotrebbe facilmente ritrovarsi fuori di qui.”

Lilly si ritrae dall’infermiera, si alza in piedi e getta uno sguardo all’azioneterrificante nel campo. “Io ho chiuso con questa roba, non la sopporto più.”Lancia un’occhiata alla sagoma in ombra nel portico a nord. “Non m’importa se mista guardando.”

Si avvia verso l’uscita.Alice la afferra. “Lilly, promettimi solo... che starai attenta. Okay? Tieni la testa

bassa. Te lo chiedo come un favore personale.”Lilly le rivolge un sorriso freddo, enigmatico. “So quel che faccio, Alice.”Poi si volta, scende le scale e svanisce fuori.Sono passati oltre due anni da quando i primi morti si sono rianimati,

mostrandosi ai vivi. Da allora, il mondo esterno, fuori dalle desolazioni rurali dellaGeorgia, prese a svanire con la stessa graduale e lenta consapevolezza dellecellule condannate dalle metastasi, le sacche di superstiti in cerca di risorse

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rinchiuse in complessi di uffici abbandonati, complessi commerciali deserti esparute comunità derelitte. Mentre la popolazione degli zombie cresceva e simoltiplicava, e i pericoli aumentavano, tra gli umani si formavano le primealleanze tribali.

Il distretto di Woodbury, in Georgia, nella contea di Meriwether, situato nellaparte occidentale dello stato, a poco più di un centinaio di chilometri a sud diAtlanta, è diventato un’anomalia virtuale nel regno degli insediamenti disuperstiti. L’originario, piccolo villaggio agricolo di circa mille abitanti,comprendente sei isolati attraversati da una strada principale e da vari passaggia livello, è stato trasformato in una città fortificata e barricata con materiali difortuna.

Semirimorchi modificati con mitragliatrici calibro cinquanta montate sul retrosono stati piazzati agli angoli esterni. Vecchie carrozze ferroviarie avvolte nel filospinato sono state posizionate a bloccare le possibili entrate. Bastioni fortificaticircondano la zona commerciale nel centro cittadino (alcune barricate sono statecompletate solo di recente): è qui che la gente vive la sua misera esistenza,aggrappandosi ai ricordi delle feste di parrocchia e dei barbecue all’aperto.

Mentre percorre decisa l’area centrale recintata, Lilly Caul cammina sul selciatodivelto, tesa a ignorare la sensazione che prova ogni volta che scorge gliscagnozzi del Governatore passeggiare davanti alle vetrine con i loro fucilisemiautomatici. Non stanno solo tenendo fuori gli zombie... stanno anchetenendo dentro noi.

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Lilly è stata persona non gradita a Woodbury per mesi, dal suo fallito colpo distato di gennaio. Già allora le era chiaro che il Governatore aveva perso ilcontrollo e il suo regime di violenza aveva trasformato Woodbury in un carnevaledi morte. Era riuscita a reclutare alcuni degli abitanti ancora sani di mente dellacittà, tra i quali Stevens, Alice e Martinez, uno dei bracci destri del Governatore:insieme, una notte, lo avevano rapito e l’avevano portato a fare un giretto a“zombielandia”, per una punizione a fin di bene. Il piano era di farlo mangiareaccidentalmente-di-proposito. Ma gli zombie hanno un talento speciale perguastare anche i piani migliori e nel mezzo della missione un gregge era sbucatofuori dal nulla. Tutta l’impresa si era trasformata in una lotta per lasopravvivenza... e il Governatore era sopravvissuto per comandare ancora.

Curiosamente, in una specie di svolta darwiniana, il tentato omicidio era servitosolo a consolidare e rafforzare l’autorità del Governatore. Agli occhi dei cittadinigià avvinti dal suo incantesimo, era diventato Alessandro il Grande che rientra inMacedonia... Stonewall Jackson1 che torna a Richmond, insanguinato maindomito, un pit bull cazzuto nato per comandare. A nessuno sembrava importareche quel capo fosse palesemente, almeno per Lilly, un puro e semplicesociopatico. Questi sono tempi brutali, e i tempi brutali richiedono una leadershipbrutale. Quanto ai cospiratori, il Governatore era diventato una sorta di figuragenitoriale violenta, che insegnava le “lezioni” e godeva a infliggere i suoimeschini castighi.

Lilly si avvicina a una fila di edifici di mattoni rossi a due piani, allineati lungo il

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confine della zona commerciale. I piccoli complessi condominiali, un tempopittoreschi elementi del paesaggio, recano ormai i segni dell’epidemia. Lestaccionate sono state avvolte nel filo spinato, le aiuole sono incolte, coperte disassi e bossoli, le bougainvillee sopra le architravi sono appassite e morte comecavi sfilacciati.

Lilly posa lo sguardo sulle finestre, tutte sprangate, e si chiede, per lamilionesima volta, perché continui a restare in quella orribile, desolata,disfunzionale famiglia conosciuta come Woodbury. La verità è che resta perchénon ha altro posto dove andare. Nessuno ha un altro posto dove andare. La terrafuori da quelle mura pullula di zombie, le strade secondarie sono intasate dimorte e rovina. Lilly resta perché ha paura e la paura è l’unico grande comundenominatore del nuovo mondo. La paura spinge le persone a chiudersi in sestesse, innesca gli impulsi elementari e scatena gli istinti ferini e i comportamentipeggiori dormienti nell’animo umano.

Ma in Lilly Caul l’esperienza dell’animale in gabbia ha tirato fuori qualcos’altro,qualcosa che era rimasto sepolto in profondità dentro di lei per la maggior partedella sua vita, che ha tormentato i suoi sogni, annidandosi nel midollo come ungene recessivo: la solitudine.

Figlia unica cresciuta nella borghese città di Marietta, Lilly finiva spesso perritrovarsi sola: giocava da sola, sedeva da sola nel retro della mensa o nelloscuolabus... sempre da sola. Al liceo, la sua intelligenza sensibile, l’ostinazione eil sarcasmo l’avevano distinta ed esclusa dalla scena sociale delle ragazze pon

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pon. Era cresciuta in solitudine e il peso latente di quella solitudine l’avevaseguita nel mondo post epidemia. Aveva perso tutto quanto significava qualcosaper lei: suo padre; il suo ragazzo, Josh; la sua amica, Megan.

Aveva perso tutto.Il suo appartamento si trova all’estremità est della Main Street, uno degli edifici

a mattoni rossi più malconci del complesso. Rampicanti morti si avvinghiano almuro occidentale come muffa, le finestre sono venate da rami neri e rinsecchiti.Dal tetto spuntano vecchie antenne paraboliche piegate, che moltoprobabilmente non riceveranno mai più alcun segnale. Mentre Lilly si avvicina, labassa coltre di nuvole si è dispersa e il sole di mezzogiorno, pallido e freddocome una luce fluorescente, divampa su di lei, facendola sudare sulla nuca.

Accelera verso il portone, cercando le chiavi. Ma all’improvviso si ferma:qualcosa ha attirato la sua attenzione ai margini della sua visuale. Si volta e evede una figura dimessa, curva a terra in mezzo alla strada, un uomorannicchiato contro una vetrina. A quella vista, si sente sopraffare dalla tristezzain tutto il corpo.

Mette via le chiavi e attraversa la strada. Più si avvicina, più sentedistintamente il respiro sfinito dell’uomo, congestionato dal catarro e dallamiseria: con la voce bassa e ansimante borbotta tra i fumi incomprensibili di unasbornia ebete.

Bob Stookey, uno degli ultimi veri amici di Lilly, è svenuto contro la porta di unfatiscente negozio di ferramenta; giace raggomitolato in posizione fetale ed è

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scosso dai brividi; indossa una giacca da marinaio lisa e puzzolente. Sulla vetrinasopra di lui campeggia una scritta sbiadita dal sole; le allegre lettere multicolorerecitano ironicamente: SALDI PER LE PULIZIE DI PRIMAVERA. Il dolore impressonelle rughe che solcano il volto dell’ex medico militare, afflosciato a terra comespazzatura umida, è una fitta nel cuore di Lilly.

Dopo gli eventi dello scorso inverno l’uomo non ha fatto che precipitare, eormai è il solo abitante di Woodbury più perso di lei.

“Poveretto” dice piano Lilly, mentre si abbassa per prendere un logoro stracciodi lana ammucchiato ai piedi di lui. Mentre gli rimbocca la coperta, una zaffata disudore, fumo stantio e whiskey scadente sale verso di lei, e una bottiglia diliquore vuota rotola fuori dal tessuto e va in pezzi contro lo spigolo della porta.

Bob gorgoglia. “...lei, devo dirglielo...”Lilly s’inginocchia al suo fianco, gli accarezza la spalla, si chiede se portarlo via

dalla strada e dargli una ripulita. Si chiede anche se farfugliando ‘lei”, il suo amicosi riferisse a Megan. Bob nutriva una simpatia per la ragazza, povero diavolo, e ilsuicidio di Megan lo ha disintegrato. Lilly gli tira la coperta fino al collo rugoso egli dà una pacca gentile: “È tutto okay, Bob... lei... è in un posto migliore...”

“...sapere...”Per il più breve degli istanti, Lilly sussulta alla vista dei suoi occhi che sbattono,

rivelando il bianco iniettato di sangue. Non si sarà mica trasformato? Il battito delsuo cuore accelera. “Bob? Sono Lilly. Stai facendo un incubo.”

Lilly inghiotte la paura: Bob è ancora vivo, sempre che quella si possa chiamare

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vita; si sta solo agitando per via di un sogno da febbre post sbronza;probabilmente rivive la replica infinita del momento in cui ha trovato per casoMegan Lafferty, ciondolante all’estremità di una fune fuori da un balconefatiscente.

“Bob...?”Per un attimo l’uomo spalanca gli occhi, che non vedono nulla, ma ardono di

angoscia e dolore. “Lei deve sapere... cosa ha detto lui” dice ansimando.“Bob, sono Lilly” replica lei, accarezzandogli delicatamente il braccio. “È tutto a

posto. Ci sono qui io.”Poi il vecchio medico incontra il suo sguardo e dice qualcos’altro nel suo incerto

rantolo mucoso, qualcosa che fa correre un brivido lungo la schiena di Lilly.Questa volta l’ha sentito bene e capisce che “lei” non è Megan.

“Lei” è Lilly.E la cosa che Lilly deve sapere, la cosa che Bob Stookey ha da dirle, la

perseguiterà per un’eternità.

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DUEQuel giorno, nell’arena, è Gabe a sferrare il colpo decisivo, il colpo che pone finealla gara appena dopo le tre secondo il fuso orario degli stati del nord-est, dopoun’ora buona di lotta. La testa chiodata della mazza colpisce le costole di Bruce,che ha il torace protetto da un’armatura nascosta sotto la tenuta da fatica, el’uomo cade a terra per il countdown. Sfinito dalla farsa della rissa, rimane giù,velato da una nuvola di polvere, ansimando nel terriccio.

“ABBIAMO UN VINCITORE!”Al suono della voce amplificata molti spettatori sugli spalti sussultano: il fruscio

esce da megafoni enormi posizionati intorno all’arena e alimentati da generatoriche rimbombano sotto terra. Gabe si pavoneggia, ondeggiando la mazza nellasua miglior imitazione di William Wallace. Le grida di scherno e gli applausicoprono il coro di ringhi bassi degli zombie incatenati tutt’intorno. Molti di loroseguitano ad allungare le mani per afferrare un boccone di carne viva: le boccheputride si muovono, sbattono, sbavano di fame inumana.

“RESTATE NEI PARAGGI, GENTE: IL GOVERNATORE HA UN MESSAGGIO POSTSPETTACOLO PER VOI!”

In quel preciso istante gli altoparlanti gracchiano, facendo risuonare le primebattute di una canzone heavy metal: il suono da sega circolare di una chitarraelettrica riempie l’aria, mentre un battaglione di macchinisti inonda l’area del

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circuito interno. Per lo più sono ragazzi in felpa con cappuccio e giubbotto dipelle: trasportano lunghi spiedi d’acciaio dalle estremità uncinate.

Si piazzano intorno agli zombie, staccano le catene e agganciano i collari. Iltono delle voci sale: gli ordini sono impartiti dai capisquadra; e uno a uno, in unvortice di polvere, gli operai cominciano a guidare i mostri attraverso il diamanteverso l’ingresso più vicino. Scortate nelle tenebre sotto l’arena, alcune creaturemordono l’aria, altre latrano e scagliano gocce di bava nera come attori riluttantitrascinati via dal palco.

Alice assiste allo spettacolo con celato disgusto. Gli altri spettatori sono inpiedi, battono le mani a ritmo di musica, gridano contro l’orda di zombie. Aliceallunga la mano sotto la panca, dove si trova la sua borsa nera da dottore. Laafferra, esce in fretta, anche se a fatica, dal suo settore e corre giù per gli scaliniverso l’area del campo interno.

Quando raggiunge il livello della pista, i due gladiatori, Gabe e Bruce, se nestanno andando verso l’uscita sud. Lei si affretta a seguirli. Con la codadell’occhio sente che una figura spettrale emerge dall’ombra dell’uscita norddietro di lei, producendosi in un ingresso teatrale che farebbe invidia a Re Learsui palcoscenici di Stratford-Upon-Avon.

Attraversa il campo nella sua tenuta di pelle e borchie; gli stivaloni alzano lapolvere; il lungo soprabito sventola nella brezza. Sembra un cacciatore di tagliebrizzolato uscito dal diciannovesimo secolo, con la pistola che gli sbatte sul fiancomentre cammina con ampie falcate. Alla sua vista, l’entusiasmo della folla cresce,

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scatenando un’onda di applausi e grida. Un operaio, un anziano con una t-shirtdella Harley e la barba alla ZZ Top, sgambetta verso di lui con un microfonocollegato a un filo.

Alice si gira e raggiunge i due guerrieri sfiniti. “Bruce, fermati!”Il grosso uomo di colore arriva al limite del portale sud zoppicando

visibilmente; poi si ferma e si gira. L’occhio sinistro è completamente chiuso, identi sono sporchi di sangue. “Che c’è?”

“Fammi dare un’occhiata a quell’occhio” dice lei, inginocchiandosi e aprendo laborsa.

“Sto bene.”Gabe li raggiunge con un sorrisetto stampato in faccia. “Cosa c’è, Brucie si è

fatto la bua?”Alice lo guarda più da vicino, mentre gli tampona il setto nasale con una garza.

“Gesù, Bruce... lascia che ti porti a far vedere dal dottor Stevens.”“È solo un naso rotto” replica lui, spingendola via. “Ho detto che sto bene!”Dà un calcio alla borsa, seminando nella polvere strumenti e medicinali. Alice si

lascia scappare un sospiro esasperato e fa per radunare le sue cose, quando lamusica si interrompe e il suono di una voce bassa, vellutata e amplificataecheggia sopra il rumore del vento e della folla.

“SIGNORE E SIGNORI... AMICI E CITTADINI DI WOODBURY... VOGLIORINGRAZIARVI TUTTI PER AVER ASSISTITO ALLO SPETTACOLO DI OGGI. ÈSTATO UN SUCCESSO ESPLOSIVO!”

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Alice alza la testa girandosi e vede il Governatore in piedi in mezzo al campo.Quell’uomo sa come muoversi. Cattura la folla con il fuoco del suo sguardo,

afferra il microfono con la sincerità tronfia del ministro di una cattedrale, ècirconfuso da una strana aura carismatica. Non è imponente né bello in manieraspeciale; anzi, a un attento esame lo si potrebbe perfino definire un po’ sciatto edenutrito; eppure Philip Blake riesce ugualmente a emanare un’aria di sicurezzasovrannaturale. I suoi occhi scuri riflettono la luce come due geodi, e il voltoscarno è decorato dai baffi a manubrio di un brigante del terzo mondo.

Si gira e fa un cenno verso l’uscita sud: Alice sente il suo sguardo freddo su disé e si irrigidisce. La voce amplificata crepita ed echeggia: “VOGLIO ANCHEESPRIMERE UN RINGRAZIAMENTO SPECIALE AI NOSTRI IMPAVIDI GLADIATORI,BRUCE E GABE! MOSTRIAMOGLI UN PO’ D’AFFETTO, TUTTI INSIEME... UNBELL’APPLAUSO!”.

Applausi, urla e grida di incitamento aumentano di volume, risuonando contro isostegni metallici e gli alti teloni di copertura come una muta di cani affamati elatranti. Il Governatore li lascia sfogare, come un direttore d’orchestra pazienteche sprona l’esecuzione di una sinfonia. Alice chiude la borsa e si alza.

Bruce saluta eroicamente la folla e poi segue Gabe nel buio del portico,svanendo giù per la rampa d’uscita con la formalità di un rito religioso.

Al centro del campo, Philip Blake china la testa, aspettando che l’onda diapplausi si affievolisca.

Nel silenzio che cala, abbassa un poco la voce vellutata, parlando piano e

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lasciando che le parole siano trasportate dal vento: “MA ADESSO... TORNIAMOSERI PER UN MINUTO... SO CHE LE NOSTRE PROVVISTE SI STANNO RIDUCENDO.MOLTI DI VOI FANNO ECONOMIE E RAZIONAMENTI. FANNO SACRIFICI”.

Alza gli occhi sul suo gregge e prosegue senza mai perdere il contatto visivo.“SENTO L’ANSIA CHE CRESCE. MA VOGLIO CHE TUTTI VOI SAPPIATE CHE...

SONO IN ARRIVO I RIFORNIMENTI. FAREMO UNA SERIE DI SPEDIZIONI... LAPRIMA DOMANI... E QUESTE SPEDIZIONI CI DARANNO LE PROVVISTESUFFICIENTI PER CONTINUARE AD ANDARE AVANTI. PERCHÉ QUESTA È LACHIAVE, SIGNORE E SIGNORI, LA COSA PIÙ IMPORTANTE DI TUTTE: NOICONTINUEREMO AD ANDARE AVANTI! NON CI ARRENDEREMO! MAI!”

Alcuni spettatori applaudono, ma i più rimangono in silenzio, scettici e incertisui loro sedili freddi e duri. Hanno vissuto di acqua acida e metallica e dei fruttimarci degli orti incolti per settimane. Hanno dato ai figli le ultime scatolette dicarne e i resti ammuffiti della selvaggina affumicata.

Dal centro del campo, il Governatore li tiene avvinti al suo sguardo.“SIGNORE E SIGNORI, QUI A WOODBURY SI STA COSTRUENDO UNA NUOVA

COMUNITÀ... E LA MIA SACRA MISSIONE È DI PROTEGGERE QUESTA COMUNITÀ.FARÒ TUTTO QUANTO VA FATTO. SACRIFICHERÒ QUANTO VA SACRIFICATO.QUESTO È IL SENSO DI UNA COMUNITÀ! QUANDO SACRIFICHI I TUOI BISOGNIPER I BISOGNI DELLA COMUNITÀ, PUOI CAMMINARE A TESTA ALTA!”

Queste parole accelerano un po’ il ritmo degli applausi: alcuni spettatorivengono come pervasi di rinnovato fervore religioso e iniziano a urlare. Il

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Governatore continua col suo sermone.“VOI AVETE DOVUTO SOFFRIRE IMMENSAMENTE A CAUSA DELL’EPIDEMIA.

SIETE STATI PRIVATI DI TUTTO QUELLO PER CUI AVETE LAVORATO DURO PERTUTTA LA VITA. MOLTI DI VOI HANNO PERSO I LORO CARI. MA QUI... AWOODBURY... AVETE QUALCOSA CHE NESSUNO, UOMO O BESTIA, PUÒPORTARVI VIA: AVETE IL SOSTEGNO L’UNO DELL’ALTRO!”

Adesso alcuni abitanti saltano in piedi e si prendono per mano; altri alzano ipugni al cielo. Il rumore cresce.

“LASCIATEMI TIRARE LE CONCLUSIONI: IL BENE PIÙ PREZIOSO CHE ABBIAMOAL MONDO È LA NOSTRA STESSA GENTE. E PER IL BENE DELLA NOSTRA GENTE...NON CI ARRENDEREMO MAI... NON VACILLEREMO MAI... NON PERDEREMO MAI ILCONTROLLO... E NON PERDEREMO MAI LA FEDE!”

Altri spettatori si alzano in piedi. Grida e applausi si levano fino al cielo.“AVETE UNA COMUNITÀ! E SE VI APPOGGIATE A ESSA, NON C’È FORZA AL

MONDO CHE POSSA PORTARVELA VIA! SOPRAVVIVREMO. VE LO PROMETTO.WOODBURY SOPRAVVIVRÀ! CHE DIO VI BENEDICA TUTTI... E BENEDICAWOODBURY!”

Nell’arena, Alice esce con la sua borsa da dottore dall’ingresso sud senzanemmeno guardarsi indietro.

È un film che ha già visto.-----

Dopo il suo show post spettacolo, Philip Blake fa una sosta nel bagno degli

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uomini situato in fondo al portico cosparso di rifiuti dell’arena. Lo stretto spaziopuzza di urina secca, muffa annerita e merda di ratto.

Philip piscia, si bagna il viso e per un attimo fissa il suo riflesso cubista nellospecchio incrinato. Da qualche parte lontano nella sua mente, in un angoloremoto della memoria, echeggia debole il pianto di una ragazzina.

Philip si stacca dallo specchio ed esce sbattendo la porta: gli stivali con la puntadi metallo e la catena che gli ciondola dalla cintura tintinnano. Giù per un lungocorridoio di calcestruzzo, giù per una rampa di scalini di pietra, giù per un altrovestibolo e giù per l’ultima rampa di scale e, finalmente, raggiunge i “recinti”: unafila di serrande di garage crivellate di ammaccature e vecchi graffiti.

Gabe sta davanti all’ultima porta a sinistra: allunga la mano in un barile dimetallo e getta qualcosa di umido da una finestra rotta. Il Governatore si avvicinasenza dire una parola e si ferma davanti a una finestra. “Gran bel lavoro, oggi,amico.”

“Grazie, capo.” Gabe si china ancora dentro il barile e tira fuori un altro pezzo,un piede umano reciso in maniera irregolare all’altezza della caviglia e incrostatodi sangue rappreso. Lo scaglia con noncuranza attraverso l’apertura seghettata.

Dal vetro sporco Philip guarda il recinto con il pavimento di mattonellepunteggiate di sangue. Vede lo sciame di non morti, una piccola orgia di facceazzurro chiaro e bocche annerite: le due dozzine di erranti sopravvissuti all’eventodel giorno si ingozzano con i pezzi di corpi come una mandria di cinghiali che sicontendono i tartufi. Philip li fissa, incantato, affascinato dallo spettacolo.

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Alla fine, distoglie lo sguardo da quell’abominio e indica con un cenno il bidonepieno di resti freschi. “Stavolta chi è?”

Gabe alza gli occhi: il suo logoro dolcevita nero è squarciato sopra un pettorale;sul ventre sporge l’armatura, e le ascelle sono macchiate di aloni di sudorerivelatori dello sforzo che ha dovuto sostenere. Indossa guanti chirurgici diplastica che gocciolano di sangue fresco. “Che vuoi dire?”

“Il tizio che gli dai da mangiare chi è?”Gabe annuisce. “Oh... il vecchio che viveva vicino all’ufficio postale.”“Morte naturale, spero?”“Già.” Gabe fa di sì col capo e lancia un altro pezzo dall’apertura. “Un attacco

d’asma l’altra notte, poveraccio. Hanno detto che soffriva di enfisema.”Il Governatore sospira. “Ormai è andato in gloria. Dammi un braccio. Dal

gomito in giù. E magari uno degli organi più piccoli... un rene, il cuore.”Gabe fa una pausa: il rumore terrificante del pasto frenetico echeggia lungo il

corridoio. Gabe rivolge al Governatore uno sguardo strano, un misto di simpatia,affetto e forse anche di senso del dovere, come un boy scout desideroso diaiutare il suo capo squadriglia. “Se vuoi un consiglio” dice Gabe, addolcendo lavoce rauca, “tu va’ a casa, te li porto io dopo.”

Il Governatore lo guarda. “Perché?”Gabe si stringe nelle spalle. “Se la gente mi vede che trasporto qualcosa, non ci

fa caso. Ma se tu trasporti qualcosa, allora ti vorranno aiutare... potrebberochiederti cos’è, si domanderanno cosa stai facendo.”

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Philip lo fissa un istante. “Hai ragione.”“Non la prenderebbero bene.”Philip gli rivolge un cenno soddisfatto. “Allora è tutto a posto. Faremo come dici

tu. Resterò a casa tutta la notte; passa da dietro.”“Sarà fatto.”Il Governatore fa per andarsene, ma poi si ferma un momento. Si gira verso

Gabe e gli sorride. “Gabe... grazie. Sei un brav’uomo. Il migliore.”L’uomo massiccio sogghigna: una medaglia al merito per lo scout numero uno.

“Grazie, capo.”Philip Blake si volta e si dirige verso le scale con andatura leggermente diversa,

quasi saltellando.A Woodbury, la cosa più simile a una dimora di rappresentanza ufficiale è

l’appartamento con tre stanze all’ultimo piano di un grosso complessocondominiale al termine della Main Street. Pesantemente fortificato, con ilportone d’ingresso presidiato ininterrottamente da squadre di mitraglieri diguardia nella torretta lungo la strada, l’edificio è in mattoni gialli, con giuntistuccati a calce, sgombro da graffiti e sporcizia.

Quella sera, quando entra nell’atrio e passa davanti alla lunga fila di cassette dimetallo che non vedono la posta da oltre ventotto mesi, Philip Blake fischiettafelice. Sale le scale due gradini alla volta, soddisfatto di sé e pervaso di affettoper i suoi fratelli di provincia, la sua famiglia allargata, il suo posto nel nuovomondo. Si ferma davanti alla sua porta alla fine del corridoio del secondo piano,

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cerca le chiavi ed entra in casa.Il posto non sarebbe mai comparso sulle pagine di una rivista di architettura. Le

stanze rivestite di moquette sono per lo più senza mobili, solo qualche poltronaqua e là circondata da scatoloni. Ma è pulito e ben organizzato, un macrocosmodella mente divisa in compartimenti ben ordinati di Philip Blake.

“Papino è tornato” annuncia allegramente entrando in soggiorno. “Scusa se hofatto tardi, pasticcino... ma ho avuto molto da fare.” Slaccia la pistola, si toglie ilpanciotto, posa chiavi e pistola sulla credenza vicino alla porta.

In mezzo alla stanza, una ragazzina con indosso un grembiulino sbiadito gli dàle spalle. Sbatte piano contro la grande finestra panoramica, come un pescerosso che cerca compulsivamente di fuggire dalla boccia.

“Come sta la mia principessina?” dice lui avvicinandosi alla bambina. Perso perun attimo nella beatitudine di una vita domestica normale, Philip s’inginocchiadietro di lei e si allunga quasi che si aspettasse un abbraccio. “Su, bambolina... èil tuo papà. Non aver paura.”

La cosina che un tempo era una ragazzina si volta di scatto verso di lui, facendoscattare la catena attaccata al collare d’acciaio. Emette un ringhio gutturale,digrignando i denti marci. Il suo volto, quello che una volta era un’adorabilevisetto angelico dagli occhi azzurri, ha il pallore livido della morte. Gli occhi sonovuoti, due opache biglie lattiginose.

Philip Blake si accascia sul pavimento e si siede incrociando le gambe davanti alei, appena fuori dalla sua portata: tutta la gioia è svanita. Non mi riconosce. La

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sua mente corre veloce, i pensieri tornano alla loro cupa, meditabondaimpostazione predefinita: Perché cazzo non mi riconosce?

Philip Blake è convinto che i non morti possano imparare e accedere ancora alleparti dormienti della loro memoria e del loro passato. Non ha prove scientifichedella sua teoria, ma ci crede, deve crederci.

“È tutto okay, Penny, è solo il tuo papà.” Le offre la mano come se lei potesseprenderla. “Dammi la mano, dolcezza. Ti ricordi? Ricordi quando ci prendevamoper mano e facevamo lunghe passeggiate fino al lago Rice?”

Lei si muove a tentoni verso la sua mano, prova a portarsela alla bocca,serrando i dentini da piranha.

Lui ritira il braccio di scatto. “Penny, no!”. Poi ci riprova e le porge la manodelicatamente. Ma lei cerca ancora di morderla. “Penny, basta!” Si sforza dicontrollare la rabbia. “Non farlo. Sono io... il tuo papà... non mi riconosci?”

Lei cerca di afferrargli la mano: la bocca annerita e decomposta mastica l’aria;l’alito fetido e pestilenziale esala in un latrato acquoso.

Philip indietreggia e ai alza. Si strofina le mani nei capelli, con lo stomacostretto nella morsa dell’angoscia. “Cerca di ricordare, tesoro.” La implora con unnodo in gola e la voce che trema come se fosse sul punto di singhiozzare. “Puoifarcela. Lo so. Cerca di ricordare chi sono.”

La cosa-bambina tende la catena, muovendo la bocca in un gesto involontario.Inclina la testa putrefatta verso di lui: i suoi occhi senza vita non registranonient’altro che la fame, e forse anche una traccia di confusione, la confusione di

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un sonnambulo che vede qualcosa che non gli appartiene.“Maledizione, ragazzina, tu lo sai chi sono!” Philip stringe i pugni, torreggiando

sopra di lei. “Guardami...! Sono tuo padre...! Non lo capisci...?! Sono il tuo papino,dannazione...! Guardami!!”

La bambina morta ringhia. Philip scoppia in un ruggito di rabbia e alza la manod’istinto per darle uno schiaffo quando, d’un tratto, il rumore di qualcuno chebussa alla porta spezza l’incantesimo. Philip sbatte gli occhi, la mano destraancora pronta a colpire la bambina.

Qualcuno sta bussando. Philip si guarda oltre la spalla. Il suono proviene dallacucina, dove la doppia porta sul retro si apre su un balconcino pericolanteaffacciato su un vicolo stretto.

Philip sospira, piega le mani e inghiotte la propria rabbia. Si allontana dallabambina e attraversa l’appartamento respirando lentamente e a fondo. Va allaporta e la apre.

Gabe è in piedi nell’ombra e tiene in mano una scatola di cartone imbrattata dimacchie oleose. “Ciao, capo. Ecco la roba che volevi...”

Philip allunga la mano verso la scatola, la afferra senza dire niente, e tornadentro.

Gabe resta lì al buio, contrariato dalla brusca accoglienza, mentre la porta glisbatte in faccia.

Quella notte, Lilly impiega un tempo spaventoso per addormentarsi. È stesa sulnudo materasso del suo futon e indossa una t-shirt umida del Georgia Tech e

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delle mutandine. Cerca di trovare una posizione comoda, mentre fissa le crepenel soffitto intonacato del suo squallido appartamento al piano terra.

La tensione accumulata nella nuca, in fondo alla schiena e nelle giunture leprovoca una sensazione simile a una serie di scosse elettriche intermittenti lungotutto il corpo. Un po’ come dev’essere l’elettroshock. Una volta un terapista leaveva suggerito la terapia elettroconvulsivante per il suo presunto disturbod’ansia. Lei aveva rifiutato, ma continuava a chiedersi se l’avrebbe aiutata.

Ora gli strizzacervelli non ci sono più, i lettini sono stati rovesciati, i palazzidegli uffici distrutti e devastati, le farmacie saccheggiate, l’intero campo dellapsicoterapia estinto come i centri benessere e le terme. Ora Lilly Caul è sola, solacon la sua insonnia lacerante e i pensieri ossessivi infestati dai ricordi del defuntoJosh Lee Hamilton.

Ma Lilly pensa soprattutto a quanto Bob Stookey le ha detto prima sulmarciapiedi nella catatonia della sbronza. Lilly ha dovuto chinarsi peravvicinarglisi e sentire il rantolo strozzato e le parole che uscivano con fatica eurgenza.

“Lei deve sapere cosa lui ha detto” le aveva sussurrato Bon nell’orecchio.“Prima di morire... lui mi ha raccontato... Josh mi ha raccontato... che era Lilly...Lilly Caul... era lei... la sola donna che lui avesse mai amato.”

Lilly non ci aveva mai creduto. Mai. Non quando l’enorme Josh Hamilton eravivo. E nemmeno dopo che Josh era stato assassinato a sangue freddo da uncriminale di Woodbury. Era forse un muro eretto intorno al suo cuore per via del

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senso di colpa? Perché aveva illuso Josh, lo aveva usato per farsi proteggere?O era semplicemente perché Lilly non si amava abbastanza per amare qualcun

altro?Dopo aver sentito quella esternazione pronunciata da un ubriaco catatonico su

un marciapiedi, Lilly era pietrificata per l’orrore. Si era allontanata dal vecchiouomo come se fosse radioattivo e poi si era messa a correre come una pazza finoal suo appartamento, chiudendosi dentro.

Ora, nell’eterna oscurità del suo appartamento solitario, la smania e l’angosciale strisciavano sulla carne viva, assillandola col desiderio dei farmaci che ai vecchitempi si sparava come caramelle. Avrebbe dato l’ovaia sinistra per una pastigliadi Valium, uno Xanax, forse anche dello Zolpidem... diavolo, si sarebbeaccontentata anche di un alcolico forte. Lilly fissa il soffitto ancora un po’ efinalmente ha un’idea.

Scivola fuori dal letto e fruga nella cassetta della frutta, dove tiene le provvistein costante diminuzione. Tra due lattine di carne in scatola, un pezzo di sapone, eil rotolo mezzo finito della carta igienica (ormai, a Woodbury, la carta igienicaviene distribuita e venduta come i lingotti d’oro alla Borsa di New York), trovauna bottiglia quasi vuota di NyQuil2.

La trangugia fino all’ultimo goccio e torna a letto. Si strofina gli occhi, respiracol fiato corto e debole, e cerca di sgombrarsi la mente, concentrandosi sulrumore bianco dei generatori in strada: il loro ronzio onnipresente diventa comeun battito cardiaco per le sue orecchie.

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Poco meno di un’ora dopo, Lilly sprofonda nella morbidezza del materasso enelle grinfie di un incubo vivido e terrificante.

Forse dipende dall’azione del NyQuil preso a stomaco vuoto o forse dai residuiraccapriccianti dello spettacolo gladiatorio rimasti appiccicati alla sua mente, omagari è il risultato dei suoi sentimenti irrisolti per Josh Hamilton... qualunque nesia il motivo, Lilly si ritrova a vagare per un cimitero di campagna, nel cuore dellanotte, alla disperata ricerca della tomba di Josh.

Si è persa e sente il suono di ringhi bestiali provenire dalla foresta buia dietrodi lei, da entrambi i lati. Sente i ramoscelli che si spezzano, la ghiaia chescricchiola, i passi pesanti degli zombie, di centinaia di zombie, che avanzano perlei.

Supera le lapidi una dopo l’altra, alla luce della luna... in cerca del luogodestinato all’eterno riposo di Josh.

All’inizio, il suono ritmico dei colpi si insinua subdolo nella narrazione del sogno:giunge da lontano, una debole eco smorzata dal rumore crescente dei morti. Perun po’ Lilly non se ne accorge neppure. È troppo impegnata nella ricerca febbriledella sola lapide importante in una foresta di pietre tombali grigie e segnate dalleintemperie. Gli azzannatori si avvicinano.

Alla fine, Lilly scorge in lontananza una tomba recente, su un pendio ripido diterra sassosa e alberi scheletrici. Lì, nell’ombra, una lapide di candido marmo sene sta tutta sola in cima a un grossa montagnola di terra umida e rossiccia e ilpallido bagliore della luce lunare si riflette sulla sua superficie. Quando Lilly è

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ormai vicina, il nome inciso sulla pietra diventa visibile ai raggi della luna:JOSHUA LEE HAMILTON

N. 15/1/69 – M. 21/11/12Più Lilly si avvicina al luogo della sepoltura, più le sue orecchie registrano il

rumore. Il vento sussurra. Gli erranti la circondano. Con la coda dell’occhio,intravede la muta di cadaveri putridi che emergono dal bosco, trascinandosi versodi lei, con gli occhi morti che brillano al buio come monetine e i vestiti laceri concui sono stati sepolti che fluttuano al vento.

Il rumore diventa sempre più presente.Si arrampica sul pendio e si accosta alla tomba. Il rumore si rivela attutito dal

suono di qualcosa che bussa, come un pugno che picchia una porta o, forse,l’interno di una bara, e che giunge smorzato dagli strati di terra. Lilly non riesce arespirare. S’inginocchia accanto alla pietra tombale. Il suono viene dall’internodella tomba di Josh. È fortissimo: la terra rimestata sulla superficie della tombatrema e precipita in rivoli di valanghe in miniatura.

Il terrore di Lilly si trasforma. La donna sfiora la montagnola di terratremolante. Il suo cuore si congela. Josh è laggiù, picchia contro l’interno dellasua bara, un’orribile preghiera di essere liberato dalla prigione della morte.

Intanto gli zombie stanno venendo per lei, che sente il loro alito fetido sul collo,le loro ombre che si allungano da ogni lato su per la collinetta. È condannata.Josh vuole uscire. Il rumore contro le pareti della bara aumenta. Lilly abbassa losguardo sulla tomba, le lacrime le rigano le guance, colando lungo il mento e

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cadendo a terra. Le tavole ricavate a colpi di scure della modesta bara di Joshdiventano visibili nel fango e tra le doghe si scorge qualcosa che si muove.

Lilly piange. Gli erranti la circondano. Il rumore dentro la bara diventa il rombodi un tuono. Lilly singhiozza, allunga la mano, accarezza la bara e poi, di colpo...

...Josh schizza fuori dalla prigione di legno, squarciandola come se fosse fatta difiammiferi. La sua bocca affamata mastica l’aria, producendo un gemito inumano.Lilly grida, ma nessun suono esce dalle sue labbra. La grossa faccia squadrata diJosh è agitata dalla sete di sangue. Le cerca il collo, con gli occhi morti eluccicanti come nichelini.

L’impatto dei denti marci di Josh contro la sua giugulare la sveglia in unospasmo di orrore.

Lilly si sveglia di soprassalto, madida di un sudore febbrile. La luce del giornovibra del suono di qualcuno che bussa alla porta del suo appartamento. Lilly èsenza fiato. Batte gli occhi per cacciare l’incubo, mentre il suono del suo stessourlo le echeggia ancora nelle orecchie. Alla porta continuano a bussare.

“Lilly? Tutto okay?”È una voce familiare, sebbene le orecchie la percepiscano appena, attutita

com’è dalla porta. Lilly si strofina il viso, trae un respiro profondo e cerca diorientarsi.

Dopo un po’, i contorni della stanza diventano nitidi e il suo respiro tornanormale. Si alza dal letto, ma quando cerca i jeans e la maglietta viene assalitada un capogiro. Ormai il rumore alla porta è frenetico.

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“Arrivo!” esclama lei con una voce strozzata, mentre s’infila i vestiti.Raggiunge la porta. “Oh... ciao” bofonchia, dopo aver aperto la porta e aver

visto Martinez in piedi nella veranda alla pallida luce del mattino.L’alto e slanciato latinoamericano indossa una bandana stile pirata intorno alla

testa; le braccia muscolose sbucano dalle maniche tagliate della maglia dalavoro; e sopra la grossa spalla porta un fucile d’assalto. Il suo bel viso ècorrugato dalla preoccupazione. “Cosa diavolo sta succedendo lì dentro?” dice,scrutandola con gli occhi scuri, luccicanti d’ansia.

“Sto bene” risponde lei, suonando poco convincente.“Ti sei dimenticata?”“Um... no.”“Prendi le armi, Lilly. Partiamo per la spedizione di cui ti avevo parlato e

abbiamo bisogno di tutte le braccia che riusciamo a mettere insieme.”

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TRE“‘Giorno, capo!”

Un uomo di mezza età tarchiato e calvo di nome Gus accoglie Martinez e Lillyaccanto al semirimorchio più lontano, quello che blocca l’uscita sul lato nord dellacittà. Con il collo taurino e la canotta sporca d’olio tesa sul ventre rotondo, Gusnon dà l’idea di essere una persona particolarmente brillante. Ma quel che glimanca in intelligenza, lo compensa con la lealtà.

“Giorno, Gus” risponde Martinez avvicinandosi. “Ti spiace andare a prendere unpaio di taniche vuote di carburante, in caso facessimo qualche scopertafruttuosa?”

“Subito, capo.”Gus si volta e se ne va col calcio della pistola calibro 12 che gli spunta da sotto

il braccio, quasi fosse un quotidiano arrotolato per una lettura futura. Martinez eLilly guardano il piccolo troll svanire dietro un angolo.

Lilly lancia un’occhiata a est e vede il primo sole del mattino fare capolino dallacima della barricata. Non sono ancora le sette, e il freddo fuori stagione dellasettimana prima è svanito. In quella parte della Georgia, la primavera sa essereun tantino bipolare, passando dal fresco e piovoso al caldo e umido dei tropicisenza preavviso.

“Lilly, perché non vai dietro con gli altri?” Martinez indica con un cenno un

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grosso carro merci militare a media distanza. “Il buon Gus lo faccio venire nelsedile del passeggero con me, in caso dovessimo raccogliere qualcosa lungo lastrada.”

Inerte sotto una tettoia di querce che ondeggiano, il pesante autocarro èparcheggiato perpendicolarmente al semirimorchio. Le ruote sono enormi eimbrattate di fango; il cassone è antimine, rivettato e robusto come un’autobotte,recente acquisizione dalla vicina stazione della Guardia Nazionale. Il portelloposteriore è coperto da un telo cerato.

Mentre Martinez e Lilly si avvicinano, un uomo più anziano con un cappellino dabaseball e un giubbotto da roadie compare davanti all’autocarro, strofinandosi lemani su uno straccio unto. David Stern è un uomo sulla sessantina, ha un ariascarna e vissuta, occhi acuti, pizzetto grigio ferro, e il portamento da duro,vagamente regale, del coach di una squadra universitaria di football. “Il livelloera un po’ basso” dice a Martinez. “Ci ho messo un po’ d’olio riciclato... dovrebbebastare a far muovere quest’affare ancora un po’. ‘Giorno, Lilly.”

Lilly rivolge all’uomo un cenno intontito e bofonchia un saluto assonnato.Gus torna con due taniche in plastica ammaccate.“Buttale dietro, Gus.” Martinez si avvia verso il retro dell’autocarro. Lilly e David

lo seguono. “Dov’è la signora, David?”“Eccola!” Il portello si apre e Barbara Stern sporge la testa brizzolata.

Nonostante i suoi sessantacinque anni, indossa una giubbotto jeans sopra uncamicione di cotone sbiadito e ha i riccioli selvaggi e argentati di un’attempata

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Madre Terra. Il suo viso solcato di rughe e cotto dal sole è animato da uno spiritotagliente che, con ogni probabilità, ha tenuto all’erta suo marito per tutti queglianni. “Cercavo di insegnare qualcosa a Junior. Ma è come cercare di cavargli undente.”

Il “Junior” a cui si riferisce sbuca all’improvviso fuori dalla stiva.“Quanto la fai lunga...” dice il ragazzo con un sorrisetto beffardo. Austin Ballard

è un giovane di ventidue anni, con lunghi boccoli castano scuro e occhi infossatiluccicanti di malizia. Con il bomber di pelle e i fili di gingilli intorno al collo,scimmiotta l’aria di una rockstar di seconda categoria, da incorreggibile bad boy.“Come diavolo fai a sopportarla, Dave?” dice.

“Bevo di brutto e le do sempre ragione” esclama saggiamente David Stern dadietro Martinez. “Barbara, smettila di fare la mammina con quel ragazzo.”

“Voleva fumare qui, Gesù Santo” brontola Barbara Stern. “Dovevo lasciarglielofare per spedirci tutti dal creatore?”

“Okay, è tutto a posto.” Martinez controlla il caricatore. È concentratissimo,forse anche un po’ nervoso. “Abbiamo un lavoro da fare. Conoscete tutti laprocedura. Vediamo di fare meno cazzate possibile.”

Martinez ordina a Lilly e David di andare dietro con gli altri due; poi fa il girocon Gus verso la cabina.

Lilly si arrampica ed entra nell’atmosfera rarefatta della stiva, che puzza disudore stantio, cordite e muffa. Una plafoniera ingabbiata illumina debolmente icontenitori allineati sui due lati del pavimento ondulato. Lilly cerca un posto dove

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mettersi.“Ti ho lasciato un posto” le dice Austin con un sorrisino lascivo, dando dei

colpetti al bagagliaio libero vicino a lui. “Su, siediti... non mordo mica.”Lilly alza gli occhi, sospira e si siede vicino al giovane.“Tieni le mani a posto, Romeo” lo prende in giro Barbara Stern dal lato opposto

di quella “prigione” forzata. La donna siede sopra una cassetta di legno vicino aDavid, che sorride ai due.

“Sono una bella coppia, però, eh?” dice con un luccichio negli occhi.“Ma per favore” mormora Lilly con lieve disgusto. L’ultima cosa che vuole è

lasciarsi coinvolgere in una storia con un ventiduenne, specie un ragazzinofastidiosamente civettuolo come Austin Ballard. Negli ultimi tre mesi, da quandoè arrivato a Woodbury da nord, malnutrito e disidratato, insieme a un grupporaffazzonato di altri dieci, ci prova con quasi ogni donna single che non sia ancorain menopausa.

Ma, a malincuore, Lilly deve ammettere che Austin Ballard è proprio il tipo chela sua vecchia amica Megan avrebbe definito “uno spettacolo per gli occhi”. Conla chioma riccia e le lunghe ciglia, potrebbe infiammare facilmente l’anima sola diLilly. E poi il ragazzino è ben più di quello che appare a prima vista. Lilly lo havisto in azione. Sotto l’aspetto del bravo ragazzo e il fascino malizioso si cela ungiovane uomo duro, temprato dall’epidemia, più che disposto a rischiare la vitaper i compagni superstiti.

“A Lilly piace fare la preziosa” la punzecchia Austin, ancora con il suo sorriso

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sghembo. “Ma cambierà idea.”“Continua a sognare” sussurra Lilly, mentre l’autocarro vibra e rimbomba.Il cambio ingrana e il veicolo avanza lento, facendo sussultare la stiva.Lilly sente un secondo motore, un grosso diesel, che accelera. Quando capisce

che l’uscita si sta aprendo, le si stringe lo stomaco.Martinez guarda il semirimorchio indietreggiare piano con il tubo di scarico

verticale che sputacchia e fuma, aprendo nella barricata un varco di circa settemetri.

Alla pallida luce del sole il bosco adiacente a Woodbury fa la sua comparsa a uncentinaio di metri di distanza. Nessun errante in vista. Il sole, ancora basso nelcielo, filtra dagli alberi lontani in un pulviscolo che disperde la nebbia delle primeore del mattino.

Martinez prosegue per altri sei metri e poi si ferma, abbassando il finestrino.Scruta due mitraglieri appollaiati su una gru a cestello spinta contro l’angolo delmuro. “Miller! Mi faresti un favore?”

Uno dei due, un afroamericano con la testa rasata e una tuta degli AtlantaFalcons si sporge. “Spara pure, capo.”

“Mentre siamo via, tieni gli azzannatori lontano dal muro. Puoi farlo per me?”“Certo!”“Non vogliamo problemi quando torniamo. Mi segui?”“Siamo qui per questo, amico! Non preoccuparti!”Martinez sospira e alza il finestrino. “Sì, come no” borbotta tra i denti,

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ingranando le marce e schiacciando il pedale del gas. Il veicolo parte rombandonel mattino brumoso.

Martinez lancia una brevissima occhiata dal finestrino del guidatore allospecchietto laterale. Attraverso la nuvola di polvere alzata dalle ruote massicce,vede Woodbury allontanarsi dietro di loro. “Non mi preoccupo... sicuro. Cosa maipotrebbe andare storto?”

Impiegano mezz’ora per raggiungere la superstrada 85. Martinez prende iltratto a ovest di Woodbury Road, zigzagando tra carcasse di auto abbandonate eautocarri che ingombrano le due corsie. Mantiene la velocità tra i quaranta e icinquanta chilometri orari nella remota eventualità che un azzannatore sbuchi dalbosco e gli si attacchi alle calcagna.

L’autocarro schiva i rottami, e il dondolio costringe i passeggeri sul retro areggersi ai sedili. Lilly ha un po’ di nausea, ma si sforza di non andare a strusciarecontro Austin.

In marcia verso la superstrada, superano Greenville, un’altra piccola comunitàagricola lungo l’autostrada 18 che è praticamente l’immagine speculare diWoodbury. Un tempo, Greenville era un capoluogo di contea, un’enclavepittoresca di edifici governativi di mattoni rossi, capitelli bianchi e maestose casevittoriane, molte delle quali presenti nel registro nazionale dei luoghi storici. Ora,nei severi raggi del sole, il posto giace demolito e senza vita. Dal telo cerato chesbatte Lilly intravede i segni della rovina: finestre sbarrate, colonnati spezzati,macchine rovesciate.

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“A quanto pare, Greenville è stata ripulita” commenta cupo David Stern, mentreosservano le tracce di quella devastazione. Su molte finestre compare l’eloquentegraffito che adorna gli edifici in questa parte dello stato: una grossa Z maiuscoladentro un cerchio, che significa Zombie, che significa “Zona off limits”.

“Qual è il piano, Dave?” chiede Austin, pulendosi le unghie con un coltello dacaccia, in una posa che Lilly trova insopportabile. Non ha ancora capito se il suo èun vezzo genuino o se invece lo fa solo per far scena.

David Stern alza le spalle. “Mi sa che nella prossima città, mi pare siaHogansville, c’è un negozio di alimentari che Martinez crede ancora praticabile.”

“Praticabile?”David si stringe di nuovo nelle spalle. “Chi lo sa... è tutto un processo di

eliminazione.”“Già. Be’... assicuriamoci solo di non restare eliminati noi nel processo.” Si volta

e dà una leggera gomitata a Lilly nelle costole. “L’hai capita, Lilly?”“Ah, ah, ah” dice secca lei, tornando a guardare fuori.Superano una strada d’accesso familiare, che serpeggia fuori dalle due corsie

principali: sul ciglio un’alta insegna brilla nel sole del mattino. Il logo del marchio,illuminato dallo sprazzo di sole dorato, è inclinato; le grosse lettere blu sonorotte, sbiadite e schizzate di merda di uccelli:

Walmart Risparmi i tuoi soldi. Vivi meglio.

Lilly ricorda gli eventi dell’anno prima e una scarica gelida di paura le esplode

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in pancia. In quello stesso Walmart, lei, Josh e il loro gruppetto giunto da Atlantasi imbatterono per la prima volta in Martinez e nei suoi. In lampi di ricordi confusi,Lilly rammenta di quando trovarono pistole e provviste... e di quando poiincontrarono Martinez... del momento di stallo... di quando Megan aveva dato dimatto... del discorso di Martinez per convincerli... e infine del tormento di Josh,che non sapeva decidersi se dare fiducia a Woodbury o meno.

“Cosa c’è che non va in quello?” chiede Austin, indicando con il pollice il negoziodefunto, mentre l’autocarro supera il parcheggio sferragliando.

“Tutto” mormora Lilly tra i denti.Erranti randagi vagano nel parcheggio del Walmart come creature tornate

dall’inferno; le auto rovesciate e i carrelli della spesa sono fossili battuti dalleintemperie e infestati di erbacce. Le pompe di benzina sono annerite ecarbonizzate dagli incendi che hanno infuriato nella regione a febbraio. Quanto alnegozio, somiglia a una rovina antica di vetri rotti e metallo incurvato, di cartonivuoti e scatole vomitate dalle finestre aperte.

“L’hanno già ripulito di tutto il cibo e di tutte le provviste diverso tempo fa” silamenta David Stern. “C’è passato praticamente chiunque.”

Mentre oltrepassano il Walmart, Lilly dà un’occhiata al terreno coltivato a norddella proprietà. Gli erranti, da quella distanza piccoli e indistinti come insetti sottouna pietra, incedono lenti avanti e indietro tra il fogliame e le spighe morte.

Dall’avvento del gregge dell’anno prima, l’attività degli erranti è ripresa: lapopolazione degli zombie cresce e si diffonde nei luoghi isolati e nelle campagne

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abbandonate, che prima giacevano incolte e deserte. Erano circolate voci chegruppi di scienziati messi insieme alla buona a Washington e nei laboratorisotterranei a ovest stessero sviluppando modelli comportamentali e previsioni dicrescita sulla popolazione dei morti rianimati: i dati non erano promettenti. Lebrutte notizie aleggiano sulla regione e aleggiano, in quello stesso momento,nella pancia scarsamente illuminata dell’autocarro, mentre Lilly cerca di cacciaredalla propria mente quei pensieri cupi.

“Ehi, Barbara.” Scocca un’occhiata alla donna dai capelli grigi seduta davanti alei. “Perché non ci racconti ancora la tua famosa storia?”

Austin alza gli occhi con fare bonario. “Oh, Dio... non di nuovo.”Lilly lo guarda. “Tu sta’ zitto. Dai, Barbara, raccontaci la storia della luna di

miele.”Austin si strofina gli occhi. “Qualcuno mi spari.”“Shhh!” Lilly gli dà una gomitata, poi guarda la donna più anziana e riesce a

sfoderare un sorriso. “Va’ avanti, Barbara.”La donna sorride al marito. “Vuoi raccontarla tu?”David la circonda con un braccio. “Sicuro, sarebbe la prima volta... che lasci

parlare me.” Guarda la moglie con un luccichio negli occhi e tra loro passaqualcosa che pervade l’angusta semioscurità e stringe il cuore di Lilly. “Okay... èsuccesso ai tempi della preistoria, quando avevo ancora i capelli neri e unaprostata che funzionava.”

Barbara gli dà un pugno scherzoso sul braccio. “Puoi tagliare e arrivare al

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punto, per favore? Questa gente non ha bisogno di conoscere tutta la storia delletue vie urinarie.”

L’autocarro sferraglia sopra un binario della ferrovia, sbatacchiando la stiva.David si regge al suo trespolo, poi trae un respiro profondo e sorride. “Il fatto èche eravamo solo due ragazzini... ma eravamo pazzamente innamorati.”

“Lo siamo ancora, per qualche motivo... Dio solo sa quale” aggiunge Barbara,rivolgendogli un sorrisetto e una finta occhiataccia.

David le fa la linguaccia. “A ogni modo... ci ritrovammo diretti nel posto piùbello sulla faccia della terra, Iguazu, in Argentina, con nient’altro se non i vestitiche avevamo addosso e un centinaio di dollari in pesos.”

Barbara interviene di nuovo: “Se la memoria non m’inganna, ‘Iguazu’ significa‘gola del Diavolo’, ed è sostanzialmente un fiume che scorre attraverso il Brasile el’Argentina. Lo avevamo letto in una guida e avevamo pensato che fossel’avventura perfetta”.

David sospira. “A ogni modo... eravamo arrivati che era domenica, e il lunedìsera avevamo già fatto l’escursione a monte, forse cinque miglia, fino aquell’incredibile cascata.”

Barbara scuote la testa. “Cinque miglia?! Hai voglia di scherzare? Saranno stateventicinque miglia!”

David fa l’occhiolino a Lilly. “Esagera sempre. Credetemi... erano solo venti otrenta chilometri.”

Barbara sta al gioco e incrocia le braccia sul petto. “David? Quanti chilometri è

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un miglio?”Lui sospira e scuote la testa. “Non lo so, tesoro, ma sono sicuro che stai per

dircelo.”“Circa uno virgola sei... perciò trenta chilometri sono circa venti miglia.”David le rivolge un’altra occhiataccia. “Posso raccontare la storia? Ti sta bene?”Lei distoglie lo sguardo stizzita. “E chi te lo impedisce?”“E così arrivammo a quella meravigliosa cascata e, voglio dire, quella è la

cascata più bella sulla faccia della Terra. In qualsiasi punto, sei praticamentecircondato, a trecentosessanta gradi, e l’acqua ti scroscia tutt’intorno.”

“E gli arcobaleni!” aggiunge Barbara in estasi. “Ovunque guardi. Un verospettacolo.”

“E così” prosegue David “la mia fidanzatina qui decide di divertirsi un po’.”Barbara sogghigna. “Volevo solo abbracciarlo, tutto qui.”“E si mette a palpeggiarmi, con l’acqua che ci scorre tutt’intorno...”“Non ti stavo palpeggiando!”“Mi era tutta addosso. E poi, all’improvviso, mi fa ‘David, dove hai il portafogli?’

E io mi tocco il dietro dei jeans e quell’affare non c’è più.”Barbara scuote la testa, rivivendo quel momento per la milionesima volta. “E

anche il marsupio era vuoto. Qualcuno ci aveva ripulito da qualche parte lungo lastrada. Passaporti, carte d’identità, tutto. Eravamo due stupidi americani bloccatinel cuore dell’Argentina e non sapevamo cosa diavolo fare.”

David sorride tra sé, serbando quel momento nella memoria come un prezioso

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cimelio conservato in un cassetto. Lilly ha la sensazione che esso rappresentiqualcosa di essenziale per gli Stern, qualcosa di non detto ma potente quanto ilflusso delle maree o l’attrazione gravitazionale della Luna. “Tornammo alvillaggio più vicino e facemmo qualche chiamata” continua David “ma non c’eranoambasciate nel raggio di chilometri e gli sbirri erano utili come un dito in unocchio.”

“Ci dissero di aspettare, perché le nostre carte d’identità erano saltate fuori aBuenos Aires.”

“Cioè a ottocento miglia di distanza.”“Chilometri, Barbara. Ottocento chilometri di distanza.”“David, non ricominciare.”“A ogni modo, avevamo ancora qualche centavos in tasca... l’equivalente di

cosa, Barbara? Cinquanta dollari? E così trovammo un piccolo villaggio econvincemmo un tizio del posto a lasciarci dormire sul pavimento del suo granaioper cinquanta centavos.”

Sul viso di Barbara compare un sorriso nostalgico. “Non era esattamente il Ritzma ci arrangiammo.”

David le sorride. “Saltò fuori che l’uomo gestiva un piccolo ristorante in città:accettò di farci lavorare lì mentre aspettavamo che la faccenda dei passaportifosse risolta. Barb faceva servizio in sala mentre io lavoravo nel retro,spiattellando chorizo e preparando menudo per i locali.”

“La cosa buffa è che è stato uno dei periodi più belli della nostra vita.” Barbara

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sospira pensosa. “Eravamo in un contesto estraneo e potevamo contare solo l’unosull’altra, ma è stato... bello.” Guarda il marito e, per la prima volta, la suaespressione da matrona eternamente crucciata si addolcisce. E per un attimo laattraversa uno sguardo che annulla il tempo, cancella gli anni e la trasforma inuna giovane sposa innamorata di un brav’uomo. “Anzi” dice piano “direi che èstato meraviglioso.”

David la guarda. “Restammo bloccati laggiù per... quanto, Barb?”“Due mesi e mezzo a dormire con le capre e nutrirci di stramaledetto menudo,

in attesa di ricevere notizie dall’ambasciata.”“È stata... un’esperienza.” David la cinge con un braccio e la bacia

delicatamente sulla tempia. “E non la scambierei per tutto il tè del Tennessee.”L’autocarro sussulta sopra un’altra serie di dossi e il frastuono del silenzio che

segue preme su Lilly. Aveva sperato che la storia degli Stern le alleggerissel’animo. Aveva sperato che la distraesse, la calmasse, forse persino che placasse isuoi rimuginii. E invece è servita solo a stuzzicare la crosta della ferita sul suocuore. L’ha fatta sentire piccola, sola e insignificante.

È sopraffatta dalle vertigini e ha voglia di piangere... per Josh... per Megan...per se stessa... per quell’incubo che stringe il mondo in una morsa.

Alla fine, Austin spezza l’incantesimo con un cipiglio confuso. “Che cazzo è ilmenudo?”

L’autocarro sobbalza su una serie di binari ed entra a Hogansville da ovest.Martinez tiene entrambe le mani sul volante, mentre studia le strade deserte e le

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vetrine dei negozi attraverso il parabrezza.L’esodo di massa ha lasciato il piccolo villaggio alla mercé di erbacce e piante

selvatiche, con gli edifici sprangati e le vie lastricate di effetti personaliabbandonati qua e là: materassi ammuffiti, cassetti, vestiti lerci che intasano itombini. Pochi erranti randagi, dagli abiti laceri come spaventapasseri, vaganosenza meta nei vicoli e nei parcheggi vuoti.

Martinez rallenta e porta l’autocarro a un’andatura costante di venti migliaall’ora. Vede un cartello stradale e consulta la pagina strappata di un vecchioelenco telefonico che ha incollato sul cruscotto. Il Piggly Wiggly di Hogansvilledovrebbe trovarsi sul lato ovest della città, a circa mezzo miglio da lì. Le ruotescricchiolano sopra i vetri rotti e i detriti e il rumore attira l’attenzione deglizombie più vicini.

Dal sedile del passeggero, Gus infila un proiettile nella culatta del suo calibro12. “Ci penso io, capo” dice, abbassando il finestrino.

“Fermo, Gus!” Martinez si allunga per prendere un borsone ficcato tra i sedili.Estrae una .357 Magnum a canne mozze con silenziatore e la porge all’uomocalvo. “Usa questa, non voglio che il rumore ne attiri degli altri.”

Gus posa il fucile a canna liscia, prende il revolver, apre il cilindro, controlla icolpi e lo richiude. “Bene.”

Punta il revolver fuori dal finestrino e abbatte tre cadaveri con la tranquillità dichi fa un gioco al Luna Park. La raffica, smorzata dal riduttore di rumore, ricorda ilsuono di rametti che si spezzano. Gli erranti si piegano uno dopo l’altro: dal

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cranio eruttano bolle di fluido nero e tessuto, e i corpi si accasciano a terra contonfi umidi e gratificanti. Martinez procede verso ovest.

Fa una svolta all’altezza di un incrocio bloccato dai rottami di un incidente cheha coinvolto tre auto, aggrovigliate in un intrico di metallo bruciato e vetro.L’autocarro costeggia il marciapiedi e Gus tira giù un altro paio di zombie conindosso uniformi lacere da paramedici. L’autocarro prosegue per una stradalaterale.

Appena oltre una serie di negozi sbarrati, sul lato sud della strada, apparel’insegna del Piggly Wiggly: l’imboccatura del parcheggio deserto pullula di unamezza dozzina di erranti. Mentre l’autocarro entra lento nel parcheggio, Gus ponefine alla loro miseria con pochi lamenti.

Uno si rovescia contro la fiancata dell’autocarro e una fontana di sangue viscidoschizza sul cofano prima che il cadavere scivoli sotto le ruote.

“Cazzo!” impreca Martinez, accostando davanti al supermercato.Dal parabrezza sporco di sangue si vede l’area disastrata che un tempo era

stato il Piggly Wiggly. Mattonelle spezzate e vasi rovesciati sono sparsi davantiall’ingresso; le vetrine sfondate hanno l’aria di bocche sdentate; file di carrelliarrugginiti giacciono capovolti o schiacciati sotto alberi abbattuti. All’interno, lecorsie sono state saccheggiate, gli scaffali sono vuoti, gli impianti penzolano daifili del soffitto e ondeggiano piano nel vento. “Cazzo! Cazzo...! Cazzo...! Cazzo-cazzo-cazzo!”

Martinez si strofina la faccia, afflosciandosi contro il sedile del guidatore.

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Gus lo guarda. “E ora che facciamo, capo?”Il telo cerato si apre di scatto e la brusca luce del giorno inonda il rimorchio.

Lilly sbatte gli occhi per il bagliore e li stringe per adattarli.Si alza e abbassa lo sguardo su Martinez che, in piedi fuori dall’autocarro, tiene

aperto il telo con un’espressione severa sui lineamenti scuri. Gus è dietro di lui esi torce le mani. “Ci sono notizie buone e cattive” borbotta Martinez.

Gli Stern si alzano e Austin li imita lentamente, stirandosi come un gattoassonnato.

“Il negozio di alimentari è stato distrutto, ripulito” annuncia Martinez. “Siamonella merda.”

Lilly lo guarda. “E le notizie buone?”“Dietro il negozio c’è un magazzino, sprangato e senza finestre. Si direbbe che

non l’abbiano toccato. Potrebbe essere una miniera d’oro.”“Cosa stiamo aspettando?”Martinez la guarda dritto negli occhi. “Non so se sia sicuro. Voglio che stiate

tutti in guardia, con le armi cariche e pronte a sparare. Portate anche le torceelettriche... sembra parecchio buio lì dentro.”

Prendono tutti le armi e l’altra attrezzatura. Lilly fruga nello zaino e ne estrae lesue pistole, un paio di Ruger .22 semiautomatiche; poi controlla le munizioni. Hadue caricatori ricurvi, ciascuno con venticinque colpi. Bob le ha insegnato comeusare i caricatori ad alta capacità, che rendono le pistole meno maneggevoli, madanno anche una maggiore continuità di fuoco quando le cose si fanno frenetiche.

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“Austin, tu porta le borse” dice Martinez, indicando con un cenno il mucchio disacche di canapa nell’angolo. “Tienile aperte e pronte.”

Austin le sta già controllando: le raccoglie e se le mette in spalla. Gli altriverificano le scorte di munizioni e ripongono le armi in fondine a estrazionerapida ai fianchi e alla cintura. Barbara spinge una Colt Army calibro .45 sotto unafusciacca che ha stretto intorno al tronco robusto; David le porge due caricatori diriserva.

Agiscono con la pratica e la concentrazione di rapinatori di banche veterani.L’hanno già fatto molte volte. Eppure, quando Martinez lancia un’ultima occhiatadal telo aperto, l’atmosfera all’interno della stiva buia crepita di tensione.“Andiamo sul retro” dice. “State pronti a ballare e guardatevi le spalle... il rumoredell’autocarro ha già attirato altri azzannatori.”

Poi svanisce, dopo che le sue parole hanno ricevuto una rapida successione dicenni di assenso dagli occupanti del rimorchio.

Lilly si avvicina al portello posteriore e si appoggia allo stipite, mentre il suonodelle portiere della cabina che sbattono è seguito da quello del motore cheaccelera. L’autocarro sbanda via di lì e rimbomba intorno al supermercato.

Quarantacinque secondi dopo, l’aerofreno sibila e l’autocarro si ferma.Lilly trae un respiro profondo, estrae una Ruger, apre il telo e salta fuori.Atterra sul suolo crepato, col sole negli occhi, il vento in faccia, l’odore di

plastica bruciata che arriva da un incendio lontano. Martinez è già fuori dallacabina: la calibro .357 silenziata nella fondina contro la coscia. Gus si dà da fare

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davanti all’autocarro; poi sale dietro il volante.Il magazzino si trova alla loro destra, ai margini del parcheggio sul retro,

annidato in una selva di erbacce taglienti: una gigantesca scatola di metalloondulato grande quanto tre cinema. Lilly vede la porta metallica noncontrassegnata in cima a una piccola rampa di scale, vicino all’area di carico, edue enormi saracinesche all’ombra dello strapiombo. Sembra tutto congelato,pietrificato dal tempo, arrugginito per cessata attività, imbrattato di graffiti.

Si guarda oltre la spalla e scorge un gruppetto di erranti, a cento metri didistanza, accanto all’insegna sfasciata del Piggly Wiggly: richiamati dal subbuglio,cominciano ad avviarsi lenti e dinoccolati nella loro direzione.

Austin spunta dietro di lei. “Andiamo, andiamo” mormora, trascinando le borse.“Finché siamo giovani e tutti interi!”

David e Barbara compaiono dietro di lui, tenendosi bassi, con gli occhi aperti evigili. Martinez dà il segnale a Gus, indicando con la mano la zona di carico. “Gus,fa’ marcia indietro, tieni la radio accesa e controlla quanto succede fuori.”

“Roger.” Gus accelera e ingrana la marcia.“Usciremo dal lato della zona di carico” lo informa Martinez. “Perciò tieni il

motore acceso e sta’ pronto a partire subito.”“Okay!”E allora le cose si mettono in moto in fretta e con grande efficienza: Gus fa

retromarcia nell’area di carico e gli altri strisciano rapidi e silenziosi verso la portanon contrassegnata, muovendosi con la fredda abilità di una squadra SWAT3.

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Martinez sale le scale, estrae dalla cintura una lunga zeppa di metallo e cominciaad armeggiare con il lucchetto, battendo la zeppa con il calcio dell’arma. Gli altrisi stringono dietro di lui, lanciando occhiate ai morti che sconfinano.

Il lucchetto cede e Martinez dischiude la porta, facendo stridere i cardini.Sprofondano nel buio e nella puzza di carne marcia, vomito, ammoniaca: la

porta sbatte dietro di loro, facendoli sussultare. Un unico lucernario sopra le grucoperte di ragnatele fornisce quel tanto di luce che basta per rivelare sagome dicorridoi e montacarichi rovesciati tra alti scaffali.

Ciascuno degli intrusi, Lilly inclusa, si concede una pausa per sorridere quandogli occhi si adattano abbastanza per vedere le pile di cibi in scatola che arrivanofino al soffitto. È davvero la miniera d’oro che Martinez aveva sperato di trovare.Ma nel preciso istante in cui si rendono conto del colpo di fortuna che hannoavuto, sentono anche i rumori che, nell’attimo stesso del loro arrivo, hanno presoa crescere nelle ombre più profonde e, uno dopo l’altro, i loro sorrisi svaniscono...

...quando la prima delle figure in ombra emerge da dietro gli scaffalitraboccanti di merci.

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QUATTROAppena Martinez dà il segnale, cominciano a sparare: il concerto dei silenziatori ei lampi delle bocche da fuoco illuminano il magazzino buio. Lilly spara tre raffichein rapida successione e abbatte due zombie a una distanza di una quindicina dimetri. Uno dei bersagli, un uomo obeso in abiti da lavoro laceri e con la carne delcolore dei vermi, rovina contro uno scaffale e urta una fila di pomodori in scatola:dal cranio zampilla un fiotto di fluidi cerebrali. L’altro azzannatore, un maschio piùgiovane in pantaloncini, forse un addetto ai montacarichi, si affloscia tra i fiotti disangue che schizzano dallo squarcio nel teschio.

I morti continuano ad avanzare, almeno due dozzine, forse anche di più, daogni angolo del magazzino.

L’aria crepita di lampi a sprazzi, mentre i tiratori restano raggruppati vicino allaporta e le canne delle loro armi sparano in tutte le direzioni. Austin lascia caderele borse e si dà da fare con la sua Glock 19, un’altra acquisizione dal depositodella Guardia Nazionale, dotata di riduttore del rumore e di un accessorio sotto lacanna che proietta un sottile filo di luce rossa nel buio. David abbatte unafemmina con indosso un’uniforme lercia del Piggly Wiggly, facendola ruotarecontro una rastrelliera di ciambelle stantie. Barbara colpisce un maschio piùvecchio che indossa un’elegante camicia macchiata di sangue, cravatta a clip ecartellino col nome; forse era il responsabile del negozio. Lo zombie cade in una

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nuvola rossastra, che tinteggia un impianto della luce sul soffitto con unaprofusione di puntini.

La raffica smorzata emette un frastuono surreale, come un applauso sfrenato,accompagnato da uno spettacolo di fuochi d’artificio che squarcia il silenzio fetidoe dal clangore metallico dei bossoli che cadono a terra. Martinez si spinge piùavanti, puntando al gruppo in fondo al magazzino. Oltrepassano i corridoiperpendicolari e sparano alle figure con gli occhi lattiginosi, che avanzano goffeverso di loro: un tempo erano i macchinisti, i commessi, i vicedirettori, i cassieri eognuno collassa in un battesimo zampillante di sangue. Quando l’ultimo siaccascia sul pavimento, hanno perso il conto.

Nel silenzio echeggiante, Lilly sente la voce di Gus che gracchia dal walkie-talkie di Martinez. “...state ancora sparando?! Mi sentite?! Capo?! Mi ricevete?Che succede?”

Martinez si ferma alla fine del corridoio principale per riprendere fiato. Afferra laradio attaccata alla cintura. “Stiamo bene, Gus” dice nel microfono. “Ci hannoaccolto con un piccolo party di benvenuto... ma è tutto a posto.”

La voce sfrigola nell’aria. “Mi è quasi venuto un colpo!”Martinez preme il pulsante per parlare: “Quando è scoppiato il casino, tutto il

personale del cazzo dev’essersi nascosto qui dentro.” Guarda la carneficina velatadal fumo azzurro: adesso l’aria tanfa di cordite. Preme ancora il pulsante. “Sta’pronto a partire, Gus. Stiamo per stipare l’autocarro di tante cose buone.”

La voce di Gus risponde: “Bella notizia, capo. Mi tengo pronto. Passo e chiudo”.

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Martinez spegne la radio, la ripone nella cintura e si rivolge agli altri. “Statetutti bene?”

Lilly si sente forte e all’erta, sebbene le fischino le orecchie. “Tutto bene” dice,sganciando i caricatori delle due Ruger, che sferragliano a terra. Prende icaricatori nuovi da dietro la cintura e li ficca al loro posto. Ispeziona i corridoi aidue lati, dove i resti degli erranti giacciono in pozzanghere di sangue. Non provaniente.

“State in guardia caso mai ne sia rimasto indietro qualcuno” ordina Martinez,osservando i corridoi bui.

“Maledetta!” si lamenta David Stern, scuotendo una torcia elettrica. La manonodosa gli trema. “Ho controllato la batteria giusto l’altra notte.”

Barbara alza gli occhi al buio. “Quando si tratta di tecnologia, quell’uomo èsenza speranze.” Gli prende la torcia dalla mano. “Forse quelle batterie sono unpo’ scariche.” Svita la torcia e armeggia con le pile stilo. Ma non serve: l’aggeggioseguita a non funzionare.

“Aspetta un secondo” dice Austin, spingendo la Glock dietro la cintura. “Houn’idea.”

Si avvicina a uno scaffale su cui sono accatastati pacchi di legna da ardereaccanto a sacchi di carbonella, lattine di liquido infiammabile e scatole di trucioli.Tira fuori un lungo pezzo di legno, prende una bandana dalla tasca e la avvolgeintorno all’estremità del tronco.

Lilly lo guarda con interesse. Non riesce a capirlo quel ragazzino, che in qualche

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modo le sembra più grande della sua età. Lo guarda impregnare il tessuto colliquido infiammabile. Poi Austin prende un accendino e dà fuoco alla bandana: dicolpo un pennacchio di luce arancione immerge il corridoio centrale in un alonesplendente di luce. “Molto d’atmosfera” dice Lilly con un sorrisetto. “Ben fatto,campione.”

Si dividono in due gruppi. Martinez e gli Stern vanno sul fronte dell’edificio: unlabirinto di scaffali ricolmi di cibi in scatola, provviste domestiche, vivandeliofilizzate, condimenti e alimenti base; Lilly e Austin si occupano del retro.Martinez ordina a tutti di muoversi in fretta, di non cazzeggiare in giro e di lasciarperdere, se vedono qualcosa di cui non sono sicuri. Di prendere solo le cose conla data di scadenza.

Austin guida Lilly giù per un corridoio laterale, sul quale si affacciano ufficideserti. Superano le porte una dopo l’altra: sono tutte sbarrate e tutte lascianointravedere dalle finestre la stessa buia vacuità. Austin cammina poco più avantidi Lilly, tiene la torcia in una mano e la Glock nell’altra. Lilly ha entrambe lepistole in pugno, pronte a fare fuoco al minimo accenno di movimento.

Nella tremolante luce giallognola, oltrepassano file di bombole di propano,attrezzi per il giardinaggio, sacchi di fertilizzante, pile di legna da ardere, bobinedi tubi per annaffiare e oggetti inutili come mangiatoie per uccellini e nani dagiardino. Lilly sente l’eco dei sussurri e dei passi trascinati degli Stern e diMartinez che si muovono nell’oscurità dietro di lei: le si rizzano i peli sulla nuca.

Alla fine del corridoio principale, contro la parete di fondo, svoltano e scoprono

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un grosso carrello idraulico abbandonato in mezzo a rastrelli, vanghe e altriutensili. Austin lo spinge nel corridoio: è un grosso carrello a mano, munito dipesanti ruote d’acciaio e di due bracci per sollevare lunghi almeno due metri emezzo. Lo prova muovendo la leva idraulica. “Questo potrebbe tornarci utile”conclude.

“Fammi un favore, reggimi la torcia in alto un secondo.” Lilly indica le ombrelungo il muro nero. Austin alza la torcia, che con il suo bagliore tremolante rivelauna pila di carrelli vuoti.

Si muovono in fretta, infilando i bracci di carico sotto il carrello più vicino.Poi tornano nel buio corridoio centrale, con le ruote che cigolano

rumorosamente sul pavimento di cemento sudicio. Cominciano a caricare ilcarrello: Austin spinge e tiene la torcia, Lilly afferra le cose essenziali. Prendonotaniche da cinquanta galloni4 di acqua potabile, scatole di semi, attrezzi affilati,bobine di corda. Fanno un’altra svolta e percorrono una corsia di cibi in scatola.Lilly comincia a sudare mentre ammucchia interi imballaggi di pesche, mais,fagioli, cavoli, lattine di sardine, tonno e carne in scatola.

“Ci tratteranno da eroi quando torniamo con tutta questa merda” grugnisceAustin mentre spinge il carrello lungo il corridoio.

“Già. E forse, finalmente, riesci a scopare” dice Lilly, impilando le cassettepesanti con un gemito.

“Posso farti una domanda?”“Spara.”

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“Da dove viene questo atteggiamento?”Lilly continua a lavorare, con le pistole che scavano sotto la cintura. “Non so

cosa intendi.”“Su, Lilly... l’ho notato subito... appena ci siamo incontrati... ce l’hai su col

mondo intero.”Si avviano all’estremità del corridoio di scatolette. Lilly sbatte un altro cartone

di lattine sul carrello e borbotta: “Possiamo solo finire qui e andarcene via?”“Era solo per fare un po’ di conversazione” dice Austin, girando il carrello alla

fine del corridoio con un grugnito.Procedono giù lungo un’altra fila di scaffali stipati di cassette di frutta marcia. Si

fermano. Austin alza la torcia e illumina pesche e banane nere e raggrinzite nellecassette infestate di vermi. La frutta si è decomposta in grumi neri e viscidi.

Lilly si asciuga il sudore dalla fronte e la voce le esce di bocca bassa e rauca.“La verità è che ho perso delle persone che mi erano molto vicine.”

Austin fissa la frutta marcita. “Ascolta... mi dispiace di averne parlato... midispiace davvero.” Fa per addentrarsi più a fondo nel corridoio. “Non devi...”

“Aspetta!”Lilly lo afferra e lo tiene immobile. Un debole rumore metallico le fa irrigidire la

colonna vertebrale. Sussurra: “Illumina laggiù.”Nella luce tremolante scorgono una serie di porte frigo lungo il lato sinistro del

corridoio. La puzza di carne rancida aleggia nell’aria. Lilly estrae le pistole.L’ultima porta a sinistra è semichiusa e oscilla piano, cigolando sui cardini

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arrugginiti.“Resta dietro di me con la torcia in alto” sussurra Lilly, alzando coi pollici il cane

di entrambe le Ruger e strisciando verso l’ultima porta a sinistra.“Un errante?” Austin afferra la Glock e le si avvicina da dietro.“Tu non fiatare e tieni alta la torcia.”Lilly supera la porta che oscilla e si ferma con la schiena contro il freezer. “Al

tre” sussurra. “Pronto?”“Pronto.”Lei stringe il chiavistello. “Uno, due, tre!”Spalanca la porta del freezer con entrambe le canne alzate: il suo cuore salta

un battito. Non c’è niente. Niente se non buio e fetore.L’odore la inghiotte, facendole lacrimare gli occhi e costringendola a

indietreggiare, abbassando le pistole. L’interno del freezer buio è impregnato diun’atmosfera cupa, untuosa, rancida, che sa di morte. Lilly sente un rumore eposa lo sguardo su qualcosa di piccolo e peloso che sgambetta ai suoi piedi.Emette un sospiro sofferto quando realizza che a fare tutto quel rumore era soloun ratto.

“Merda” commenta Austin senza fiato, abbassando la Glock con un sospiro disollievo.

“Andiamocene” dice Lilly, spingendo le pistole sotto la cintura. “Abbiamo presoabbastanza. Torniamo indietro, carichiamo l’autocarro e andiamocene via di qui.”

“Buon piano” dice Austin, tirando indietro il carrello con un sorriso e

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spingendolo lungo il corridoio. Si avviano insieme verso l’uscita del magazzino.Dietro di lui, una grossa figura barcolla fuori dal freezer.

Austin lo sente per primo e ha solo il tempo per voltarsi e vedere un maschiomassiccio in tuta da lavoro, che quasi rotola nella loro direzione. Lo zombie è altoquasi due metri; il volto è maciullato, le mandibole si stringono e si distendono,gli occhi sono del colore del latte rancido. La permanenza prolungata nel freezerlo ha coperto di una pellicola di muffa biancastra.

Austin si allontana con un balzo, cerca di afferrare la Glock e inciampasull’angolo del carrello.

Cade, la pistola gli scivola dalla mano, la torcia rotola a terra. L’enormeazzannatore incombe minaccioso su di lui, sbavando una bile nera; il fascio diluce illumina un’angolazione surreale. Le fiamme sfarfallano e riflettono gli occhiluccicanti e lattiginosi del cadavere.

Austin cerca di rotolare via, ma l’azzannatore agguanta le gambe dei suoipantaloni con le sue gigantesche dita. Il giovane emette un grido infuriato,scalcia e impreca contro l’errante. La cosa apre la bocca e Austin ne colpisce lefauci nere, simili ai denti di uno squalo, con il tacco dello stivale.

Lo scricchiolio della mandibola lo rallenta appena.La creatura cerca di mordere la coscia di Austin. Il suo peso è insopportabile,

come se a schiacciarlo fosse una casa intera; la cosa sta per azzannargli l’arteriafemorale, i denti anneriti sono ormai a pochi centimetri, quando la detonazioneattutita di due cartucce silenziate calibro .22 risuona nell’aria.

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Dal momento in cui l’azzannatore è apparso sono passati solo pochi secondi, equesta è l’esatta quantità di tempo occorsa a Lilly per sentire il casino, fermarsi,voltarsi, armare il cane, alzare le pistole, prendere bene la mira e intervenire.Colpisce l’azzannatore dritto in mezzo agli occhi, appena sopra il setto nasale.

L’enorme cadavere barcolla sferzando l’aria in una nuvola di sangue che al buiosembra fumo, la cima del cranio squarciata e zampillante.

Si accascia ai piedi di Austin, che si allontana dimenandosi senza fiato estrisciando le chiappe sul cemento freddo per diversi concitati istanti.

“Cazzo...! Gesù...! CAZZO!”“Stai bene?” Lilly lo raggiunge, s’inginocchia e gli ispeziona le gambe. “Tutto

okay?”“Io... sì... sto bene, bene” farfuglia lui, riprendendo fiato. Fissa il massiccio

grumo del cadavere ai suoi piedi.“Su, forza...”“YO!”La voce di Martinez che giunge dalla parte anteriore del magazzino risuona

nelle orecchie ancora mezze assordate di Lilly. “Lilly! Austin! State bene?!”Lilly si volta e risponde gridando. “Sì, tutto a posto!”“Allora sbrigatevi e portate qui la vostra merda!” Martinez sembra nervoso. “Il

rumore ne sta attirando troppi! Dobbiamo andarcene!”“Su, ragazzino” mormora Lilly a Austin, aiutandolo ad alzarsi.Una volta in piedi, Austin recupera la torcia prima che appicchi il fuoco a

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qualcosa, e insieme spingono il carrello a mano, che ormai pesa una tonnellata:devono mettercisi entrambi a sbuffare e ansimare per farlo rotolare lungo ilcorridoio.

Si ritrovano tutti nella zona di carico. Gli Stern e Martinez hanno riempito iborsoni e una mezza dozzina di scatole di cartone con beni di ogni genere, tra cuiconfezioni di noodle ramen5, caffè istantaneo di prima qualità, bottiglie da duelitri di succo di frutta, pacchi di farina, riso, diversi chili di zucchero, barattoli dacinque litri di verdure sott’aceto, cassette avvolte in pellicola per alimenti diprodotti precotti di pasticceria, hamburger, maccheroni al formaggio e sigarette.Martinez avvisa Gus via radio di riportare l’autocarro più vicino possibile all’area dicarico; gli dice anche di stare pronto a muoversi appena la saracinesca delgarage si alza. Austin, ancora senza fiato e tremante per l’attacco, spinge ilcarrello verso la porta di metallo ondulato.

“Dammi il martello che hai trovato” dice Martinez a David.L’uomo più anziano fa un passo avanti e gli porge l’arnese. Gli altri si accalcano

intorno nervosi, mentre Martinez sbatte la testa del martello contro il lucchettoche chiude in basso la porta del garage. Il lucchetto è ostinato e il rumore delmartello rimbomba nel silenzio. Lilly si guarda alle spalle: le sembra di sentire ilsuono di passi strascicati nelle ombre profonde dietro di lei.

Alla fine il lucchetto cede e Martinez strattona la saracinesca, che si arrotolacon uno stridore arrugginito. Il vento, la luce, la puzza di catrame e plasticabruciata inondano il magazzino, costringendo tutti a stringere gli occhi. Sul

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pavimento si levano mulinelli di cinghie da imballaggio sciolte e rifiuti alzati dallabrezza.

All’inizio, quando emergono all’esterno, nessuno fa caso alle pile di rifiuti fradicie cartone ammuffito disseminate nell’area di carico, vicino a un cassonedell’immondizia, che palpita per il movimento di qualcosa sepolto là in mezzo.Sono tutti troppo impegnati a seguire Martinez fuori dal locale sudicio con lebraccia cariche di provviste.

Gus tiene il motore acceso: il tubo di scarico scoppietta e sbuffa nella brezzaprimaverile. Cominciano a caricare la roba sul rimorchio.

Prima le sacche pesanti. Poi le scatole. Per ultimo il contenuto dei carrelli, i cibiin scatola, le taniche d’acqua, gli attrezzi da giardino, gli arnesi e il propano.Nessuno ha ancora notato il cadavere che attraversa l’area di carico, facendosistrada tra il mucchio di rifiuti e mettendosi in piedi con l’incertezza scricchiolantee inebriata di un neonato troppo cresciuto. Lilly coglie il lampo di un movimentocon la coda dell’occhio e si gira verso l’azzannatore.

È il cadavere di un afroamericano atletico, tra i venti e i trent’anni, con la testaincoronata da una fitta rete di treccine. Trascina goffamente i piedi verso di lorocome un mimo ubriaco che cammina contro un vento immaginario, e artiglial’aria. Indossa una tuta da ginnastica arancione e sbrindellata: Lilly la trovafamiliare senza capire perché.

“Ci penso io” dice la donna a nessuno in particolare, mentre estrae una Ruger.Gli altri si accorgono del subbuglio e interrompono i loro sforzi; estraggono le

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armi e guardano Lilly che, immobile come una stele, prende la mira contro ilcadavere in avvicinamento. Passa un secondo. Lilly non si muove, è una statua.Gli altri la osservano. Finalmente, con calma quasi languida, si decide a tirare ilgrilletto, più volte di seguito, vuotando le sei cartucce rimaste nel caricatore.

La pistola rimbomba e lampeggia, e il giovane cadavere di colore esegue unasorta breve balletto sussultante nell’area dl carico, mentre dai fori d’uscitasgorgano spruzzi di sangue. I proiettili mangiano il guscio duro del cranio,distruggendo le treccine e facendo volare nel cielo pezzi del lobo prefrontale egrumi grigi di liquido cerebrospinale. Finito il lavoro, Lilly lo resta a fissareinsensibile.

L’azzannatore si piega in due e crolla in una pozza di sangue.In piedi nella foschia azzurra del fumo e della cordite della pistola, Lilly

borbotta qualcosa tra sé. Nessuno sente cosa dice. Gli altri continuano a fissarlaper un lungo istante finché Austin non le si avvicina e dice: “Ben fatto, AnnieOakley.6”

Martinez spezza l’incantesimo. “Okay... diamoci una mossa, gente! Prima diattirarne altri!”

Stipano il retro dell’autocarro. Lilly si arrampica per ultima, sistemandosi inmezzo alla stiva stracolma. Si siede su una bombola di propano e si aggrappa auna ringhiera laterale per restare in equilibrio quando il veicolo partirà. Le portedella cabina sbattono, le marce ingranano e l’autocarro si allontana dall’area dicarico con un ruggito.

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Solo allora Lilly ricorda dove ha già visto una tuta arancione come quella cheindossava lo zombie con le treccine (per qualche ragione, il ricordo le scoppia intesta proprio quando l’autocarro se ne va). È una divisa da carcerato.

Ripercorrono il parcheggio, l’uscita e oltre metà della strada d’accesso primache Barbara Stern rompa il silenzio. “Per essere un branco di invalidi emotivi nonè stata una brutta giornata di lavoro.”

Il primo a ridacchiare è David Stern. Poi la sua risata contagia gli altripasseggeri e alla fine persino Lilly ride, di un sollievo frastornato e soddisfatto.

Al momento di imboccare l’autostrada, ormai tutti gli occupanti del rimorchioscuro e maleodorante fremono di eccitazione.

“Riuscite a immaginare la faccia che faranno i ragazzini dei DeVries quandovedranno tutto quel succo d’uva?” Barbara Stern, col suo completo jeans sbiaditoe le trecce grigie scarmigliate, sembra letteralmente ribollire. “Quando abbiamofinito la Kool-Aid7 la settimana scorsa, ho creduto che volessero assediare ilmagazzino.”

“E il caffè istantaneo Starbucks?” interviene David. “Non vedo l’ora di gettarequei dannati fondi nel compost.”

“Abbiamo tutti i gruppi di alimenti, no?!” si entusiasma Austin seduto su unacassetta davanti a Lilly. “Zuccheri, caffeina, nicotina e cupcake Dolly Madison. Iragazzini saranno in carica da zuccheri per un mese.”

Per la prima volta da quando si sono conosciuti Lilly gli sorride. Austin rispondeal suo sguardo facendole l’occhiolino; la corrente che arriva dal telo gli scompiglia

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i boccoli intorno al bel volto.Lilly lancia un’occhiata dal portello: i contorni della strada di quella campagna

deserta si confondono e il sole del pomeriggio crea un gradevole effetto strobofiltrando dagli alberi che svaniscono in lontananza. Solo per un attimo, Lilly senteche forse potrebbe davvero concedere un’occasione a Woodbury. Con un numerosufficiente di persone come loro, persone che si preoccupano le une delle altre,possono avere l’opportunità di costruire una comunità.

“Sei stato bravo, oggi, ragazzino” dice alla fine ad Austin. Poi guarda gli altri.“Siete stati tutti bravi. Anzi, se potessimo...”

Un debole rumore da fuori la interrompe a metà della frase. All’inizio sembrasolo il vento che schiaffeggia il telo. Ma più Lilly lo ascolta, più somiglia a unrumore quasi alieno, giunto da un altro tempo e un altro spazio, un rumore chenon ha più sentito, che nessuno ha più sentito, da quando è scoppiata l’epidemiadiversi anni prima.

“Lo sentite?” Lilly guarda gli altri, che ormai paiono tutti concentrati adascoltare in preda allo stupore. Il rumore sale e scende nel vento. Sembra veniredal cielo, forse a un miglio da lì, e fa vibrare l’aria come un rullo di tamburo.“Sembra... no. Non è possibile.”

“Cosa, cazzo?” Austin si avvia verso il fondo della stiva e fa capolino fuori,allungando il collo per dare un’occhiata al cielo. “Non ci credo!”

Lilly gli si avvicina, reggendosi al portello e sporgendosi fuori.Quando scruta il cielo, il vento le sferza i capelli e le punge gli occhi; scorge un

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lampo fugace nel cielo a ovest.Solo la coda del velivolo è visibile sopra la linea degli alberi: il rotore gira

all’impazzata e il corpo dell’elicottero sbanda verso il basso. L’aeromobile è neiguai: precipita fuori dalla vista, lasciando dietro di sé una sottile scia di fumonero, come una cometa nera.

L’autocarro rallenta. Ovviamente anche Martinez e Gus lo hanno visto.“Quello era...?” Lilly esplicita la domanda che tutti si stanno facendo tra sé,

quando le sue parole vengono interrotte.L’impatto dello schianto, a quasi un chilometro di distanza, fa tremare la terra.Una colonna di fiamme illumina il bosco e graffia il cielo.

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CINQUE“Laggiù! Laggiù! Presto!”

Gus aziona i freni e l’autocarro stride sulla strada con un gemito, scavalcasobbalzando il cordolo di erba fangosa e si ferma in una nuvola di monossido dicarbonio e polvere.

“Con il rimorchio non possiamo andare oltre” dice Martinez, sporgendosi verso ilsedile del passeggero. Allunga il collo per vedere attraverso il parabrezza lurido elancia uno sguardo fugace alla colonna di fumo che si alza oltre gli alberi a ovest.Sembra all’incirca a un quarto di miglio di distanza. Prende la calibro .357. “Ilresto lo dobbiamo fare a piedi.”

“Ma è parecchia strada, capo.” Gus guarda fuori dal finestrino, grattandosi laguancia brizzolata. “Mi sa che è caduto proprio in mezzo al bosco.”

Martinez ci pensa un po’, masticandosi l’interno della guancia. In quella partedella Georgia, molte carreggiate tagliano le valli basse e boscose conosciute conil nome di hollow. Percorse da fiumi e circondate da colline coperte di fittavegetazione, queste selve di sottobosco, erbacce e fango sono tutto unproliferare di doline, colonie di zanzare, angolini e fessure dove non è raroimbattersi in azzannatori imbrattati di fango in agguato.

Gus guarda Martinez. “Che dici? Proviamo ad arrivarci col mezzo?”“Negativo.” Martinez biascica la risposta tra i denti, mentre controlla il tamburo

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della Magnum. Sente la porta posteriore dell’autocarro che sbatte: gli altriscendono fuori e la brezza del pomeriggio trasporta le loro voci tese. “Finiremoper rimanere impantanati in questa melma, sicuro come la merda.”

“Come dici tu, capo.” Gus porta la leva del cambio in folle e spegne il motore. Ilsilenzio si riempie dei rumori della natura: il ronzio meccanico dei grilli, lostormire del vento fra gli alberi.

“Lascia il calibro .12, prendi un fucile semiautomatico, in caso le cose simettano male, e afferra il machete sotto il sedile.” Martinez tiene legato allagamba un coltello da caccia dei corpi speciali dei marine con una lama di quindicicentimetri. Controlla che sia al suo posto in maniera compulsiva, con la mascellaserrata e l’espressione concentrata, per poi scendere dalla cabina, mentre gli altriarrivano dal retro.

Si ritrovano tutti davanti al mezzo, tra le erbacce e i nugoli di moscerini: hannoi volti pallidi per la tensione. L’aria puzza di putredine e metallo rovente. Austinse ne sta lì a torcersi le mani e a fissare il luogo dello schianto. Gli Stern sistringono, con la fronte corrugata dall’inquietudine. Lilly tiene le mani sui fianchie le Ruger riposte nelle fondine sul torace. “Che hai in mente?” chiede a Martinez.

“Dave e Baby, voi due restate di guardia nell’autocarro.” Martinez si ficca laMagnum sotto la cintura. “Se siete circondati, distraeteli... trascinateveli dietro...poi tornate indietro e ci caricate. Tutto chiaro?”

David annuisce più volte, come una bambolina con la testa a molla. “Sì,assolutamente.”

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“Portate la ricetrasmittente sempre con voi e mentre siamo via tenete lafrequenza aperta.”

Gus porge il walkie-talkie a David, che sta ancora annuendo e borbotta: “Hocapito, ho capito tutto”.

“Dietro c’è una scatola di bengala” dice Martinez a Gus. “Va’ a prenderne unamanciata. E prendi anche il kit di pronto soccorso, okay?”

Gus si affretta verso il retro dell’autocarro, mentre Martinez guarda l’orologio.“Ci rimangono quattro ore buone di luce. Voglio arrivare là e tornare prima chefaccia buio: non cazzeggiate.”

A Lilly è rimasto un solo caricatore ad alta capacità. Lo infila nella Ruger,facendo scattare il carrello. “E cosa succede se troviamo dei superstiti?”

“Questo è il punto” dice Martinez, sganciando il coltello dalla gamba eposizionando l’impugnatura per un’estrazione rapida. “E poi forse l’elicottero èancora tutto intero.”

Lilly lo guarda. “Ma non abbiamo né barelle né medici: non c’è modo di portarliindietro.”

“Quando arriveremo là ci penseremo” dice lui, aggiustandosi la bandana, giàbagnata di sudore, sulla fronte.

Gus torna con una manciata di bengala, simili a candelotti di dinamite.Martinez ne consegna uno a ciascuno. “Voglio che restiate tutti insieme, in

formazione serrata... ma se, per qualche ragione, vi separate, accendete uno diquesti e verremo a recuperarvi.” Poi guarda gli Stern. “Anche voi, se avete un

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problema qualsiasi, accendetene uno.” Lancia un’occhiata all’uomo calvo. “Gus, tucopri il fianco destro con il machete. Non fare rumore. Usa il fucilesemiautomatico come ultima risorsa. Io mi occupo del fianco sinistro.” Poi sirivolge a Lilly. “Tu e Junior state nel mezzo.”

Austin guarda il cielo. Le nuvole di metà pomeriggio sono tornate e il giorno siè velato di un grigio polvere. La palude davanti a loro ondeggia di ombrestriscianti. È stato un anno umido e il terreno è pressoché impraticabile,impantanato dalle alluvioni, denso di vegetazione caduta e fitti grovigli di pinibianchi che si ergono tra loro e il luogo dell’impatto.

“In mezzo al bosco scorre un ruscello” dice Martinez, facendo un respiroprofondo ed estraendo la Magnum. “Lo seguiamo fin quando è possibile e poi cifacciamo guidare dal fumo. Tutto chiaro?”

Annuiscono tutti, senza dire niente, ricacciando indietro l’ansia crescente chepassa tra loro come un virus.

Anche Martinez annuisce. “E allora balliamo.”Per un po’ arrancano a fatica: il fango risucchia implacabile le suole degli stivali,

producendo un rumore di schiocchi umidi nel silenzio primordiale dei boschi. Ilgruppo segue le curve serpentine del torrente salmastro e più si addentrano nelcanalone, più gli alberi inghiottono la luce del giorno.

“Tutto bene, campione?” sussurra Lilly a Austin, che cammina al suo fianco,stringendo forte la Glock con entrambe le mani sudate.

“Da favola” mente lui. Ha fermato i lunghi riccioli che gli incorniciano il viso con

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un cordino di pelle. E si morde il labbro nervosamente, mentre avanza in mezzoal fango.

“Non dovresti tenere la pistola così” gli dice lei con un sorrisetto.“Così come?”“Come se fossi in un commando della Delta Force8. Tienila solo a portata di

mano.”“Okay.”“Se devi prendere la mira, prenditi il tempo che occorre. Sono lenti e non puoi

sbagliare. Non c’è bisogno che ti atteggi a pistolero.”Austin le scocca un’occhiata. “Voglio solo essere pronto... in caso dovessi venire

a salvarti.”Lei alza gli occhi al cielo.“Certo, grande, ora sì che mi sento al sicuro.”Scruta gli alberi più avanti e scorge la lieve foschia del fumo che inizia a

diffondersi nel bosco. L’aria, piena di insetti, puzza di circuiti e metallo bruciati. Ilrelitto è ancora a qualche centinaio di metri di distanza. Ormai si può sentire ildebole crepitio del fuoco, appena udibile sopra il frusciare del vento tra le cimedegli alberi.

Sulla destra, forse venti metri davanti a Lilly, Martinez si muove a zig-zag nelsottobosco, facendosi strada tra il fogliame con il coltello da caccia. Sul sentieroche corre parallelo a sinistra, Gus arranca con il machete in spalla e gli occhi dacane bastonato ben aperti in cerca di azzannatori nell’ombra. Il cielo si vede astento, oscurato da grovigli di rami e viticci.

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Lilly sta per dire qualcos’altro quando una figura appare davanti a Gus.Lilly si ferma ed estrae rapida la pistola, mentre il respiro le si mozza in gola.

Vede Gus alzare il machete. Il grosso errante maschio, vestito con una tuta dalavoro lacera, gli dà la schiena: sta barcollando con le gambe morte e la testainclinata verso il luogo dello schianto come un cane richiamato da un fischio aultrasuoni.

Il machete cala veloce e la lama si incastra scricchiolando nella dura madredello zombie. Dal cranio zampilla un fiotto di fluidi, che produce un rumorescrosciante nel silenzio dei boschi: l’errante crolla a terra. Lilly fa appena intempo a riprendere fiato quando un altro rumore attira la sua attenzione adestra.

A non più di cinque metri da lei, Martinez colpisce un altro errante vagabondoin agguato tra gli sterpi, una femmina allampanata con i capelli grigi e arruffaticome ragnatele: probabilmente la moglie del fattore. Il coltello le penetra dietrola testa, sulla nuca, atterrandola con la velocità di un embolo silenzioso, senzache lei lo abbia nemmeno visto arrivare.

Lilly emette un involontario sospiro di sollievo e abbassa la pistola: capisce cheal momento gli erranti sono ipnotizzati dalla vista e dai suoni dello schianto.

Martinez si ferma per voltarsi a guardare gli altri. “State tutti bene?” chiede conun filo di voce.

Tutti fanno sì con la testa. E poi riprendono ad avventurarsi, lentamente macon decisione, tra gli alberi fitti e le ombre velate di nebbia. Martinez indica loro

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di accelerare. Ma il terreno è spugnoso e bagnato e li rallenta. Le ombre si fannosempre più dense, l’odore di metallo bruciato e combustibile in fiamme liinghiotte; gli scricchiolii crescono.

Lilly ha la nausea, la pelle le pizzica per l’ansia. Si sente addosso gli occhi diAustin. “Pensi di riuscire a smetterla di fissarmi?”

“Non è colpa mia se sei così attraente” dice lui con il medesimo sorrisinonervoso.

Lei scuote la testa sgomenta. “Puoi almeno provare a rimanere concentrato?”“Sono totalmente concentrato, credimi” replica lui, continuando a stringere la

pistola con quella falsa impugnatura da sbirro.A meno di cento metri dal luogo dello schianto, s’imbattono in una frana: una

radura paludosa, infestata di insetti e disseminata di tronchi caduti che bloccanoloro il passo. Con un gesto silenzioso della mano, Martinez fa cenno di usare glialberi caduti come ponti. Gus va per primo, sgambettando tra i tronchi più grossi.Lo seguono Martinez, Lilly e da ultimo Austin. Mentre raggiunge l’altra sponda, ilragazzo si sente strattonare i jeans. Gli altri sono già passati, e ormai arrancanoverso la radura. Austin si ferma. All’inizio crede di essere rimasto impigliato in unpezzo di corteccia, ma poi abbassa lo sguardo.

Mani decomposte sbucano dall’acquitrino e gli artigliano i pantaloni.Austin lancia un grido e cerca la pistola a tentoni mentre le dita morte lo

stringono, trascinandolo giù. La metà superiore di una creatura putrefatta ecoperta di melma esce dal pantano per ghermirgli le gambe. Rivestita di una

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sostanza viscida e nera, ha un teschio senza capelli, indistinguibile come uomo odonna, e occhi bianchi e opachi come lampadine; la bocca, che ricorda quella diuna tartaruga, scatta sulle giunture scricchiolanti di una mandibola marcescente.

Austin esplode un colpo smorzato dal silenziatore che avvampa, ma il proiettilemanca il bersaglio. La pallottola scortica la punta del cranio dell’azzannatore perpoi cadere inutile nell’acquitrino.

A pochi metri da lì, Lilly sente lo sparo. Si volta e fa per prendere le pistole, mainciampa su se stessa e scivola nel fango. Rotola distesa sull’erba e le armi levolano entrambe via dalle mani.

Austin cerca di far fuoco una seconda volta, ma lo zombie è sempre più vicino.Si leva fuori dalla palude come una melmosa balena nera, le mandibolescardinate che emettono un gorgoglio disgustoso. Austin si ritrae d’istinto,lasciandosi sfuggire un grido acuto, e la pistola gli cade di mano. Sferra un calcioalla bocca della creatura, ma la punta dello stivale rimane incastrata nel morsodei denti marci e della bava putrida. L’azzannatore stringe.

Lilly striscia verso le pistole. Ormai anche Martinez e Gus hanno sentito iltrambusto e si sono voltati, ma è troppo tardi perché possano intervenire. Ilgigantesco azzannatore acquitrinoso è sul punto di masticare lo stivaleTimberland da trekking di Austin, che cerca freneticamente di estrarre qualcosadalla tasca. Dopo un interminabile istante la mano finalmente si stringe intorno albengala.

Nell’ultimo istante possibile, prima che l’azzannatore sia in grado di lacerargli la

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pelle del piede, il ragazzo accende il segnalatore luminoso e lo ficca nell’occhiosinistro dello zombie. La creatura indietreggia improvvisamente, mollando lapresa e gettando all’indietro la testa putrida fra una fontana di scintille.

Austin resta a fissarlo per un momento, incantato dalla vista delle fiammedentro la cavità marcia del teschio. Per un orribile istante l’occhio sinistro brillaper l’intensità della luce di segnalazione. Lo zombie s’irrigidisce nel fango. D’untratto dalla nuca scoppia un’esplosione di fiamme, come dalla bocchetta di unasaldatrice.

L’occhio sinistro scoppietta come una lampadina sovraccarica, spruzzandoaddosso ad Austin schizzi di tessuto caldo... poi la creatura affonda nel vuototetro.

Austin trema: si pulisce il volto e resta a guardare ancora un momento,ipnotizzato dallo spettacolo dello zombie che affonda nell’oblio... finché nonrestano altro che bolle sulla superficie della palude e un lieve bagliore tremolantesotto il fango. Solo alla fine riesce a distogliere lo sguardo. Ritrova la pistola eriprende fiato.

“Ben fatto” dice Lilly con una dolcezza forzata mentre percorre il ponte. “Su...dammi la mano.”

Aiuta Austin a mettersi in piedi, tenendolo stretto sul tronco scivoloso dimelma. Anche lui riprende fiato, manda giù lo shock e ficca la pistola nellacintura. Poi la guarda negli occhi. “C’è andato vicino.” Riesce a sfoggiare unsorriso incerto. “Quella cosa ti aveva quasi preso.”

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“Già... grazie a Dio eri nei paraggi” dice lei, con un sorriso sulle labbramalgrado il cuore seguiti a batterle forte nel petto.

“LILLY!”La voce di Martinez s’intrufola in quel momento con la potenza di un tuono,

richiamando l’attenzione di Lilly alle sue spalle.A trenta metri di distanza, attraverso un varco tra gli alberi, in una coltre di

fumo acre e nero, Martinez e Gus hanno trovato il luogo dello schianto.“Vieni, ragazzino” dice Lilly, digrignando i denti per la tensione. “Abbiamo un

lavoro da fare.”Il velivolo giace su un fianco nel letto di un torrente asciutto e sputa fumo dal

serbatoio del carburante sfondato. Non ci sono vittime in vista. Lilly si accostacauta, tossisce e agita la mano per allontanare le esalazioni dal viso. IntantoMartinez si è avvicinato alla cabina di pilotaggio e si è accovacciato, riparandosila bocca con la mano. “Sta’ attento!” gli urla Lilly, estraendo le pistole. “Nonsappiamo cosa c’è dentro!”

Martinez tocca la maniglia del portellone e si brucia, ritraendo la mano discatto. “Figlio di PUTTANA!”

Lilly si fa più vicina. Il fumo ha cominciato a disperdersi, aprendosi come unatenda per rivelare il terreno soffice e bruciato intorno al sito dell’impatto.Probabilmente il pilota ha puntato al terreno morbido del letto del fiume e laterra circostante, disseminata di foglie, è stata squarciata dalla violenza delloschianto. Il rotore principale si è staccato: è per terra, a venti piedi da lì, ritorto

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come se qualcuno lo avesse annodato.“Gus! Austin! Tenete d’occhio i margini esterni!” Martinez indica le file adiacenti

di pini bianchi, più alti lungo la sponda. “Il botto presto attirerà qui uno sciame!”Gus e Austin si girano verso il bosco e alzano le armi contro il buio dietro gli

alberi.Più si avvicina al rottame, più Lilly sente il calore sul viso. La fusoliera è riversa

sul fianco destro; la pinna caudale e il rotore posteriore sono orribilmente piegati.Uno scivolo è stato divelto come per opera di un apriscatole gigantesco. Tettoia efinestrini sono rotti e appannati dagli iperventilatori dei passeggeri od offuscatidal fumo: quale che ne sia la causa, è impossibile vedere all’interno della cabina.La fuliggine ha coperto il grosso delle indicazioni sulla cromatura e il telaio, maLilly riesce a distinguere una serie di lettere lungo la coda. Vede una W e forseuna R... nient’altro.

All’improvviso Martinez alza una mano, mentre il rumore dell’incendio languisceabbastanza perché possano sentire le grida smorzate che provengono dall’internodella cabina. Martinez si accovaccia più vicino.

Lilly gli è subito dietro, con le Ruger alzate, armate e pronte a sparare. “Sta’attento!”

Martinez prende un respiro profondo e poi si arrampica sul lato della fusoliera.Lilly lo segue, puntando le due calibro .22 contro il portellone.Tenendosi inequilibrio sulla struttura d’acciaio ammaccata, Martinez si toglie la bandana e laarrotola intorno alla maniglia. Lilly sente una voce acuta. “...fuori da qui...!”

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Martinez tira.La porta scatta, si apre cigolando sui cardini e in uno sbuffo di fumo rivela la

sagoma malandata di una donna disperata. Indossa un piumino strappato e unasciarpa ed è sporca di sangue. Schizza fuori dalla cabina, tossendo e urlando:“...TIRATEMI FUORI DA QUI...!”

Lilly abbassa le pistole: la donna non si è ancora trasformata. Martinez portavia la vittima dalla trappola infernale. La donna si contorce tra le sue braccia e ilsuo viso esanime è una maschera di agonia. Una gamba è gravemente ustionata:il tessuto dei jeans è bruciato e luccica di pus e sangue. La donna si tiene ilbraccio sinistro contro la pancia: la frattura al gomito sporge dalla manica delmaglione.

“Dammi una mano, Lilly!”La trasportano via dal rottame e la depongono a terra. Di carnagione chiara e

coi capelli biondo cenere, sembra avere tra i trenta e i quarant’anni. Adesso sicontorce per il dolore con il viso bagnato di lacrime e balbetta istericamente: “Voinon capite! Noi dobbiamo...!”

“È tutto a posto, tutto a posto” le dice Lilly, scostandole delicatamente i capelliumidi dal viso. “Possiamo aiutarti: abbiamo un medico non lontano da qui.”

“Mike...! Lui è ancora...!” Le palpebre sbattono, il corpo è in preda agli spasmidella sofferenza, gli occhi si girano all’indietro per lo shock. “Non possiamolasciarlo... dobbiamo... tirarlo fuori... dobbiamo...!”

Lilly le accarezza la guancia: la carne è sudata e viscida come un’ostrica. “Cerca

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di restare calma.”“...dobbiamo seppellirlo... facciamo qualcosa... prima che lui...”La testa le ciondola di lato e la donna sprofonda nell’incoscienza con la

repentinità di una candela che si spegne.Lilly alza lo sguardo su Martinez.“Il pilota” dichiara Martinez, incontrando lo sguardo di Lilly con un’espressione

dura.Nel frattempo il fumo si è disperso, il calore è diminuito e Gus e Austin sono

tornati a guardarsi le spalle. Martinez si alza e torna ai rottami dell’elicottero. Lillylo segue. Si arrampicano su uno degli scivoli stritolati e si danno una spinta pervedere nel boccaporto spalancato. Quando guardano dentro, l’odore di carnecarbonizzata assale i loro sensi.

Il pilota è morto. Nell’abitacolo denso di fumo e crepitante di scaricheelettriche, l’uomo di nome Mike, ricurvo nel suo bomber di pelle, è ancoraimbracato al seggiolino: tutta la parte sinistra del corpo è bruciata e sfiguratadall’incendio scoppiato a bordo. Le dita di una mano rivestita dal guanto si sonofuse con la barra di comando. E solo per un istante, mentre guarda nell’infernodella cabina, Lilly ha la sensazione che quel tizio fosse un eroe. Portando ilvelivolo nel solco spugnoso di un torrente, ha salvato la vita della suapasseggera... sua moglie, la sua ragazza?

“Per lui è troppo tardi” mormora Martinez al suo fianco.“Ovvio” replica lei, abbassandosi. Lancia un’occhiata alla radura, dove Austin, in

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ginocchio accanto alla donna priva di sensi, le sente il battito sul collo. Gus tiened’occhio il bosco nervosamente. Lilly si pulisce la faccia. “Probabilmentedovremmo onorare la sua richiesta, giusto?”

Martinez scende e guarda la radura, mentre il fumo se ne va via col vento. Siasciuga gli occhi. “Non lo so.”

“Capo!” grida Gus dal limitare del bosco. Dalla foresta circostante giungonosuoni inquietanti trasportati dal vento. “Dobbiamo andarcene da qui, subito!”

“Arriviamo!” Martinez si rivolge a Lilly. “Portiamo la donna con noi.”“E lui...?”Martinez abbassa la voce. “Lo sai cosa ci farebbe il Governatore, vero?”Lilly sente un brivido di rabbia correrle lungo la schiena. “Questo non c’entra

niente con il Governatore.”“Lilly...”“Quel tizio ha salvato la vita di quella donna.”“Ascoltami. Abbiamo tempo solo per portarla indietro attraverso quei boschi.”Lilly sospira angosciata. “E non credi che il Governatore verrà a sapere che

abbiamo lasciato il pilota?”Martinez si allontana e sputa rabbioso. Si asciuga la bocca. Ci pensa su.“Capo!” Gus grida ancora, suonando eccessivamente nervoso.“Ho detto che arriviamo, maledizione!” Martinez fissa il terreno bruciato: pensa,

si tormenta... fino all’inevitabile decisione definitiva.

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SEIQuando tornano all’autocarro, il sole sta già tramontando e le ombre della forestasi allungano loro intorno. Sfiniti dal viaggio attraverso la forra, dove gli incontricon gli erranti hanno cominciato a farsi sempre più fitti, hanno bisogno dell’aiutodi David e Barbara per trasportare i corpi, legati a una lettiga improvvisata contronchi di betulla e rami di salice, verso il portello posteriore del camion. Lisollevano uno alla volta dentro la stiva carica.

“State attenti con lei” ammonisce Lilly, mentre David e Barbara spingono labarella che trasporta la ferita tra due pile di cassette. La donna sta lentamenterinvenendo: la testa ciondola avanti e indietro e gli occhi sbattono. Non c’è moltospazio per i due corpi extra nell’autocarro e Barbara deve risistemare in frettascatole e pile di cartoni per riuscire a ricavarlo.

“È messa male, ma tiene duro” aggiunge Lilly, salendo nella stiva. “Vorrei poterdire lo stesso del pilota.”

Tutte le teste si voltano verso il portello mentre Gus e Martinez sollevano ilpilota morto, i cui resti sfigurati sono ancora assicurati alla barella. David faspazio al cadavere spingendo una pila di pesche in scatola contro una parete esgombrando una piccola striscia di pavimento ondulato tra una torre di cartoni diHamburger Helper9 e una mezza dozzina di bombole di propano.

Mentre guarda i resti bruciati del pilota, David si asciuga le mani artritiche sul

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giubbotto di seta. “È un bel dilemma.”Lilly lancia un’occhiata all’indietro verso il portello aperto e Martinez scruta

l’oscurità del vano di carico. “Dobbiamo seppellirlo: è una lunga storia.”David fissa il cadavere. “E se lui...?”“Tienilo d’occhio” gli ordina Martinez. “Se si trasforma durante il tragitto, usa

una pallottola piccolo calibro. Abbiamo promesso alla signora che avremmo...”“Non fatelo!”L’esclamazione improvvisa riporta bruscamente l’attenzione di Lilly alla donna

che, ancora avvolta nei rami di salice, si agita sul pavimento d’acciaio con la testainsanguinata che ciondola inerte avanti e indietro. Gli occhi febbricitanti sonospalancati e fissano il soffitto dell’autocarro. “Mike, siamo a sud... che ne è... chene è della torre?!”

Lilly s’inginocchia al suo fianco. “È tutto okay, tesoro. Adesso sei al sicuro.”Barbara va nell’angolo opposto della stiva e strappa veloce il coperchio di un

gallone d’acqua filtrata. Torna dalla donna ferita con la brocca. “Ecco, dolcezza...bevi un sorso.”

Quando l’acqua le cola in bocca, la donna rabbrividisce per una scossa didolore. Tossisce e prova a parlare. “...Mike... lui è...?”

“Merda!”Dal retro risuona la voce di Austin che si sforza di arrampicarsi nell’autocarro.

Lanciandosi occhiate nervose dietro le spalle, vede una muta di zombie barcollarefuori dal bosco a circa venti metri di distanza: sono almeno dieci, tutti maschi e

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grossi. Si avvicinano muovendo alacremente le bocche affamate con gli occhicerulei che rilucono nella luce del crepuscolo. Austin sale a bordo con la pistolaancora stretta nella mano sudata.

“LEVIAMOCI DI QUI, CAZZO!”Le portiere della cabina sbattono facendoli sussultare tutti. Le marce grattano.

La carrozzeria trema e vibra sotto di loro. Lilly si regge alle casse, mentrel’autocarro si lancia in retromarcia in un vortice di gas e polvere.

Dal telo che sventola Lilly vede gli erranti che si avvicinano.L’autocarro si fionda dritto contro i morti: li abbatte come birilli del bowling e le

ruote massicce producono un tonfo bagnato. Il camion li schiaccia, il motoregeme rumorosamente e le ruote slittano un istante nel grasso degli organiputrefatti.

Quando riacquistano presa sul terreno, Gus ingrana la prima e l’autocarroromba via da lì, sbandando di coda giù per la strada a due corsie nella direzioneda cui sono venuti. Lilly torna a guardare la donna coi capelli biondo cenere.“Resisti ancora un po’, tesoro... presto starai bene... ti portiamo da un dottore.”

Barbara versa altra acqua sulle labbra screpolate e riarse della donna.Lilly le si fa ancora più vicino. “Mi chiamo Lilly e lei è Barbara. Puoi dirmi il tuo

nome?”La donna pronuncia qualcosa, ma la sua voce è sopraffatta dal ruggito

dell’autocarro.Lilly si avvicina ancora. “Ripetilo, dolcezza. Dimmi come ti chiami.”

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“Chrisss... Chris-tina” riesce a dire la donna tra i denti serrati.“Christina, non preoccuparti... andrà tutto bene... ce la farai.” Lilly accarezza la

fronte madida di sudore della donna che, scossa dai brividi, si contorce sullabarella, respirando col fiato corto e debole. Tiene gli occhi semichiusi e muove lelabbra a formare una litania silenziosa e dolente che nessuno può sentire. Lilly leliscia i capelli arruffati. “Andrà tutto bene” continua a sussurrare, più a se stessache alla vittima.

Il camion rimbomba giù per la strada e il telo sbatte nel vento.Lilly lancia un’occhiata fuori e vede i confini degli alti pini sfumare in

lontananza. Il sole che tramonta dietro la cima degli alberi crea un effetto stroboquasi ipnotico. Per un breve istante Lilly si chiede se davvero andrà tutto bene.Forse ormai Woodbury si è stabilizzata. Forse i metodi machiavellici delGovernatore li terranno veramente al sicuro, terranno il coperchio sul calderone.Lilly vuole credere in Woodbury. Forse la chiave è proprio questa... crederci. Forsesolo questo li farà sopravvivere...

Forse, forse, forse, forse...“D-dove sono?” La voce è rauca, strozzata, incerta.Il dottor Stevens è in piedi accanto al letto: indossa il camice sciupato e gli

occhiali con la montatura di ferro, e guarda la donna salvata dal velivolo. “Saraiintontita per un po’” le dice. “Ti abbiamo dato un paio di antidepressivi.”

La donna di nome Christina giace supina su una lettiga di fortuna nellecatacombe di mattoni sotto il circuito. Le hanno infilato una vestaglia di spugna

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smessa; il braccio destro è avvolto in un’ingessatura improvvisata con ramoscellie garza. Distoglie il viso pallido e cinereo dalla forte luce alogena che brilla su dilei.

“Alice, tienimela un secondo.” Stevens porge la fiala della flebo alla giovaneinfermiera. Anche Alice indossa un camice lacero e porta i capelli raccolti in unacoda di cavallo. Mentre regge in alto la fiala, collegata con un tubicino a un agonel braccio ferito della donna, si costringe a sorridere.

Christina torna a ripetere con voce rauca: “D-dove sono?”Stevens raggiunge un lavello lì vicino, si lava le mani e le asciuga. “Potrei dirti

le cose come stanno e risponderti che sei nel Nono Girone dell’Inferno, ma per ilmomento preferisco lasciar perdere le note a margine.” Torna a voltarsi verso dilei e, con un sorriso caldo ma venato di cinismo, aggiunge: “Ti trovi a Woodbury,metropoli della Georgia in via di espansione... popolazione chi-diavolo-lo-sa. Iosono il dottor Stevens e questa è Alice. Sono le sette e un quarto e, a quanto neso, ti hanno estratto dal relitto di un elicottero schiantatosi questo pomeriggio...”

Lei riesce ad annuire, ma sussulta per una fitta in mezzo al tronco.“Sarà sensibile ancora per un po’” le dice Stevens, continuando ad asciugarsi le

mani con una salvietta. “Avevi ustioni di terzo grado sul venti per cento del corpo.La buona notizia è che non credo che avrai bisogno di un trapianto di pelle... sitratta solo di un piccolo edema che tratteremo con una terapia endovenosa. Pertua fortuna ci erano rimasti tre litri di glucosio, che stai succhiando come unmarinaio ubriaco. Sei riuscita a fratturarti il braccio in due punti. Ci occuperemo

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anche di questo. Hanno detto che ti chiami Christina?”Lei annuisce.Stevens accende una torcia a stilo, la abbassa e le controlla gli occhi. “Come va

la memoria a breve termine, Christina?”Lei inspira dolorosamente e l’aria produce un debole fischio nella gola. “La

memoria ve bene... il mio pilota... si chiama Mike... si chiamava Mike... loro lohanno...?”

Stevens ripone la torcia nella tasca e si fa serio. “Mi rincresce doverti dire che iltuo amico è morto nello schianto.”

Christina riesce a fare un cenno. “Lo so... ma mi chiedevo... il suo corpo... lohanno portato indietro?”

“In effetti, sì.”Lei deglutisce e si bagna le lebbra secche. “Bene... gli avevo promesso una

sepoltura cristiana.”Stevens guarda il pavimento. “Ammirevole da parte tua... una sepoltura

cristiana.” Stevens e Alice si scambiano uno sguardo. Stevens torna a guardare lapaziente e le sorride. “Un passo alla volta... okay? Per ora, concentriamoci sullosforzo di rimetterti in piedi.”

“Che c’è? Ho detto qualcosa di sbagliato?”Stevens la studia. “No, non è niente, non preoccuparti.”“La mia richiesta di dare al mio pilota una sepoltura adeguata è un problema?”Stevens sospira. “Ascolta... voglio essere onesto con te. Non penso che sarà

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possibile.”Christina si sforza di mettersi seduta con un grugnito. Alice la aiuta, tenendole

il braccio alzato. Christina guarda Stevens. “Che diavolo di problema c’è?”Stevens sposta lo sguardo da Alice alla paziente. “Il Governatore è il

problema.”“Chi?”“Il tizio che governa questo posto.” Stevens si toglie gli occhiali, prende un

fazzoletto e pulisce le lenti con cura. “Si crede un impiegato statale, immagino. Diqui il nome.”

Christina aggrotta la fronte, confusa. “E questo tizio è...?” Cerca le parole. “Èstato...?”

“È stato, cosa?”Lei si stringe nelle spalle. “È... come dire? è stato ‘eletto’? è un funzionario

eletto?”Il dottore scocca un’altra occhiata intensa ad Alice. “Um... wow... domanda

interessante.”Alice borbotta. “È stato eletto, come no... con un solo voto... il suo.”Il medico si strofina gli occhi. “È un tantino più complicato di così.” Misura le

parole. “Tu sei nuova qui. Quell’uomo... in questo nostro piccolo canile lui è ilcane alfa. È diventato leader a tavolino e mantiene l’ordine facendo il lavorosporco.” Il sorriso langue nel disprezzo. “Il problema è che ci ha preso gusto.”

Christina lo fissa. “Cosa vuol dire?”

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“Ascolta.” Stevens si rimette gli occhiali e si passa le mani tra i capelli con farestanco. “Qualunque cosa succeda ai resti del tuo amico... accetta il mio consiglio.Piangilo e rendigli omaggio in silenzio.”

“Non capisco.”Stevens guarda Alice e il suo sorriso svanisce del tutto. Guarda Christina negli

occhi. “Starai bene. Tra una settimana o giù di lì... quando il tuo braccio saràguarito... potrai pensare ad andartene da qui.”

“Ma io non...”“E un’altra cosa.” Stevens la fissa. La sua voce scende di un’ottava, facendosi

molto seria. “Quell’uomo. Il Governatore. Non fidarti. Capito? È capace diqualsiasi cosa. Tieniti alla larga da lui... e aspetta finché non puoi andartene viada qui. Capisci cosa ti sto dicendo?”

Lei non risponde, si limita a fissarlo, a digerire quelle parole.Il buio cala lento sulla cittadina. Da alcune finestre cominciano a brillare le

lanterne, altre pulsano già dell’incerta corrente dei generatori. Di notte,Woodbury ha un’aria surreale, come se d’un tratto il ventunesimo secoloritornasse al diciannovesimo, un’atmosfera divenuta abituale negli insediamentipost epidemia. In un angolo, le fiamme di una torcia illuminano un McDonald’ssprangato e devastato: la luce giallo-arancione si riflette sulle rovine fatiscentidelle arcate dorate.

Gli uomini di Martinez, appostati sulle gru a cestello nei punti di giunzionechiave della barricata, devono occuparsi del numero crescente di ombre che si

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muovono ai margini dei boschi adiacenti. Dal ritorno della missione diricognizione il traffico degli zombie è leggermente aumentato, e le postazionicalibro .50 sui lati nord e ovest scoppiettano di spari intermittenti. Il checonferisce alla cittadina, che si crogiola nella luce viola dell’imbrunire, l’atmosferadi una zona di guerra.

Lilly Caul supera lenta un portico di vetrine puntando al suo edificio: trasportauna cassetta di pesche colma di provviste. Sente l’eco delle armi automatichenella strada battuta dal vento alle sue spalle. Si ferma e si guarda indietro, nelladirezione di una voce che si alza sopra la sparatoria.

“LILLY, ASPETTA!”Fra le raffiche luminescenti dei proiettili traccianti che attraversano il cielo, la

sagoma di un giovane in giacca di pelle dai fluenti riccioli scuri cammina a grandipassi verso di lei. Austin porta in spalla una sacca carica di viveri. Abita a unisolato a ovest da Lilly. E avanza con un sorriso grande e impaziente stampato infaccia. “Lascia che ti aiuti.”

“È tutto okay, Austin, ce la faccio” dice lei, mentre lui cerca di prenderle lacassetta. Per un attimo di imbarazzo, fanno a tira-e-molla con la cassetta. Allafine Lilly si arrende. “Okay, okay... Prendila.”

E così Austin cammina felice al suo fianco con la cassetta tra le braccia. “Unabella scarica di adrenalina, oggi, eh?”

“Tranquillo, Austin... non correre.”Procedono verso casa di Lilly. In lontananza, un uomo armato cammina avanti

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e indietro lungo una fila di semirimorchi alla fine della strada. Austin rivolge aLilly il sorrisino provocante che ha usato con lei per settimane. “Di’ un po’, certoche oggi sul campo abbiamo condiviso una bella botta di cameratismo, eh? Nonhai sentito anche tu un certo legame, là fuori?”

“Austin, puoi darci un taglio, per favore?”“Ti sto conquistando, vero?”Lilly scuote la testa e, malgrado i nervi tesi, scoppia in una risatina. “Sei

inarrestabile, te lo concedo.”“Cosa fai stasera?”“Mi stai chiedendo di uscire?”“C’è uno scontro nell’arena. Perché non lasci che ti accompagni: porterò un

pacchetto di quelle Twizzler che ho trovato oggi.”Il sorriso di Lilly sbiadisce. “Non sono una grande fan.”“Di cosa? Delle liquirizie?”“Molto divertente. Quei combattimenti sono roba da barbari. Preferirei

mangiare pezzi di vetro.”Austin si stringe nelle spalle. “Come vuoi.” Poi nei suoi occhi luccica un’idea.

“Che ne diresti se invece di un appuntamento, ti chiedessi di darmi qualchelezione?”

“Lezioni di cosa?”“Lezioni su come affrontare i morti.” A quelle parole un’espressione solenne gli

si dipinge sul viso. “Sarò onesto con te. Da quando tutta questa merda è

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cominciata, mi sono più o meno sempre nascosto all’interno di gruppi numerosi...non me la sono mai veramente dovuta cavare per conto mio. Ho un bel po’ daimparare. Non sono come te.”

Lei gli rivolge un’occhiata mentre continuano a camminare. “Cosa vuoi dire?”“Sei una in gamba, Lilly... non perdi mai la lucidità, il sangue freddo, tipo Clint

Eastwood.”Raggiungono lo spartitraffico davanti all’abitazione di Lilly: l’edificio è ormai

avvolto dalle ombre e nella luce calante i rampicanti di kudzu secchi sui mattonirossi sembrano un nodulo tumorale.

Lilly si ferma, si gira verso Austin e dice: “Grazie per l’aiuto, Austin. Adesso,faccio da sola.” Prende la cassetta e lo guarda. “Ma voglio dirti una cosa.” Sibagna le labbra e si sente stringere da una fitta di emozione. “Non sono semprestata così. Avresti dovuto vedermi all’inizio. Avevo paura anche della mia ombra.Ma qualcuno mi ha aiutato quando ne avevo bisogno. E non è che fosserocostretti. Credimi. Ma lo hanno fatto, mi hanno aiutato.”

Austin non dice nulla, si limita a fare di sì con la testa e aspetta che lei finiscadi formulare il suo pensiero, perché sembra che qualcosa la stia divorando.Qualcosa di importante.

“Ti insegnerò un paio di cosette” gli dice alla fine. “E a proposito... è solo cosìche riusciremo a sopravvivere. Aiutandoci a vicenda.”

Austin sorride e, per la prima volta da quando Lilly lo conosce, il suo è unsorriso caldo, sincero, innocente. “Lo apprezzo, Lilly. E scusami se ho fatto un po’

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il cazzone.”“Non sei un cazzone” dice lei. E poi, senza preavviso, si sporge oltre la cassetta

e gli dà un bacino platonico sulla guancia. “Sei solo giovane.”Si volta ed entra, chiudendogli lentamente la porta in faccia.Austin resta lì per un po’, a fissare il grosso portone di quercia e a strofinarsi la

guancia come se fosse stata sfiorata dall’acqua benedetta.“Doc?” Tre colpi forti e secchi interrompono la quiete dell’infermeria

improvvisata... seguiti dall’inconfondibile voce gutturale, con il lieve accentorurale della Georgia, appena fuori dalla porta: “La nuova paziente può riceverevisite?”

Nella stanza di mattoni di cemento il dottor Stevens e Alice si scambiano unosguardo. Sono davanti a un lavabo di acciaio inossidabile, intenti a sterilizzare glistrumenti in un secchio d’acqua bollente, con il vapore che fluttua sulle loroespressioni tese. “Solo un attimo!” grida Stevens, asciugandosi le mani eandando alla porta.

Prima di aprirla, Stevens lancia un’occhiata alla paziente seduta sul bordo dellabarella, con le gambe lunghe e bendate a penzoloni. Christina, ancora investaglia e con una coperta avvolta intorno al tronco, sorseggia acqua filtrata dauna tazza di plastica Il suo viso gonfio, ancora bellissimo, malgrado i capelliarruffati come paglia, legati con un elastico annodato, registra la tensione delmomento.

Nell’attimo che precede l’apertura della porta, qualcosa di non detto passa tra

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medico e paziente. Stevens annuisce e poi apre.“Ho saputo che si è appena unita a noi un signorina molto coraggiosa!” tuona il

visitatore, irrompendo nella stanza come una forza della natura. Il Governatoreindossa sulla sua gracile corporatura la tenuta del guerriero della domenica: gilèda caccia, dolcevita nero e pantaloni mimetici infilati dentro gli anfibi neri;l’insieme lo fa somigliare a un dittatore degenerato del terzo mondo. Mentre siaggira per la stanza, i capelli del colore dell’onice gli fluttuano sulle spalle e i baffipiegati in un sorrisetto. “Sono venuto a porgerle i miei rispetti.”

Subito dietro di lui arrivano Gabe e Bruce, cupi e guardinghi come due agentidei servizi segreti.

“Eccola qui” dice Philip Blake alla ragazza seduta sulla lettiga. Poi si avvia versoil letto, prende una sedia di metallo pieghevole e la piazza al contrario accantoalla barella. “Allora, come stiamo, signorina?”

Christina posa l’acqua e con fare pudico si tira la coperta sopra la scollaturalisa. “Andrà tutto bene, penso. Grazie a queste persone.”

Il Governatore si lascia cadere sulla sedia davanti a lei, appoggiando le bracciaasciutte sullo schienale. Il suo è lo sguardo gioviale del venditore eccessivamentezelante. “Il Doc Stevens e Alice sono grandiosi... questo è sicuro. Non so comefaremmo senza di loro.”

Stevens parla a voce alta dall’altro lato della stanza. “Christina, di’ ciao a PhilipBlake. Conosciuto anche come il Governatore.” Il medico sospira e distoglie losguardo, disgustato da tutta quella recita di finta convivialità. “Philip, lei è

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Christina.”“Christina” ripete il Governatore facendo vibrare la voce, quasi che voglia

provare il nome per vedere se è della taglia giusta. “Un nome davvero delizioso,non trovate?”

Un brivido di timore improvviso e potente attraversa la schiena di Christina.Qualcosa negli occhi di quell’uomo, infossati e scuri come quelli di un puma, lamette immediatamente a disagio.

Poi il Governatore si rivolge agli altri, senza staccarle gli occhi luccicanti didosso. “Voi gente, pensate che la signora e io potremo scambiare due chiacchierein privato?”

Christina vorrebbe dire qualcosa, obiettare, ma la personalità di quell’uomo èforte come un fiume impetuoso che scorre nella stanza. Gli altri si guardanosenza dire una parola e poi, uno a uno, escono docili dall’infermeria. L’ultimo èGabe, che si ferma nell’arco della porta. “Resto qui fuori, capo” dice. E poi...

Click.

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SETTE“E così, Christina... Benvenuta a Woodbury.” Il Governatore punta il suo sorrisofolgorante dritto sulla donna ferita. “Posso chiederti da dove vieni?”

Christina si guarda il grembo, respirando profondamente. Per una ragione nonben definita, si sente spinta a tenergli nascosto che lavorava per un’emittentetelevisiva. E si limita a dire: “Vengo dalla periferia di Atlanta: ce la siamo vistabrutta laggiù.”

“Io sono di una merdosa cittadina fuori Savannah: si chiama Waynesboro.” Ilsuo sorriso si allarga. “Nessun lusso paragonabile ai quartieri ricchi di Hot-Lanta.”

Lei alza le spalle. “Di certo io non sono ricca... magari!”“Quei posti sono andati tutti al diavolo, ormai, vero? Quella guerra l’hanno vinta

gli azzannatori.” Non le stacca il ghigno di dosso. “A meno che tu non sappiaqualcosa che io non so.”

Lei lo fissa, senza dire niente.Il sorriso del Governatore svanisce. “Posso chiederti come sei finita in

quell’elicottero?”Lei esita per un breve istante. “Il pilota era... un amico. Si chiamava Mike.” Poi

inghiotte ogni reticenza. “Il fatto è che gli ho promesso una sepoltura cristiana.”Sente il calore dello sguardo del Governatore come una fornace. “Pensi che potreifarlo?”

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L’uomo magro spinge la sedia più vicina al letto. “Penso che in questo campodovremmo poterti accontentare... se starai al gioco.”

“Se io cosa?”Il Governatore si stringe nelle spalle. “Se rispondi a qualche domanda. Tutto

qui.” Prende un pacchetto di gomme da masticare alla frutta dalla tasca del gilè,ne scarta una e se la infila in bocca. Ne offre una anche a lei, che declina. Mettevia le gomme e avvicina la sedia. “Vedi, Christina... il fatto è che... io ho delleresponsabilità verso la mia gente. È una questione di... come dire... fare tutti icontrolli del caso.”

Lei lo guarda. “Ti dirò tutto quello che vuoi sapere.”“Tu e il pilota eravate soli? Oppure c’erano altre persone con voi prima del

decollo?”Lei deglutisce di nuovo, stringendosi. “Ci eravamo nascosti con un po’ di

persone.”“Dove?”Lei alza le spalle. “Un po’ qui... un po’ là.”Il Governatore sorride e scuote la testa. “Vedi, Christina... così non va.” Spinge

lo schienale contro la barella, vicino abbastanza perché lei senta il suo odore:sigarette, chewing gum e qualcosa di inidentificabile tipo carne avariata; poiparla piano. “A questo punto, in un tribunale, un buon avvocato muoverebbeun’obiezione sulla base del fatto che la testimone sta tacendo un’informazione.”

Sta per oltrepassare un limite, una voce ronza nella testa di Christina. Non

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fidarti. È capace di qualsiasi cosa. In poco più che un sussurro, la donna dice:“Non avevo capito di essere sotto processo.”

Il viso scarno e solcato di rughe del Governatore si trasforma: ogni traccia diilarità è sparita. “Non devi aver paura di me.”

Lei lo guarda. “Io non ho paura di te.”“La verità è che non voglio costringere nessuno a fare qualcosa che non vuole

fare... nessuno deve farsi male.” Con il gesto casuale di un uomo che si aggiusta ipolsini, posa la mano nodosa sul bordo del letto, tra le cosce di lei: vuoleprovocarla... ma non la tocca; si limita a tenere la mano in mezzo alle sue gambebendate. Il suo sguardo non vacilla. Resta avvinto a quello della donna. “È soloche... farò qualsiasi cosa serva per assicurarmi che questa comunità sopravviva.Capisci?”

Lei si guarda la mano, lo sporco sotto le unghie. “Sì.”“Perché non vai avanti e cominci a parlare, dolcezza? Ti ascolto.”Christina emette un respiro angosciato e cambia posizione. Si fissa il ventre.

“Lavoravo per Channel 9, WROM, l’affiliata della Fox di Atlanta nord... seguivo laproduzione di brevi segmenti di trasmissione... vendita di dolci per beneficenza,cuccioli smarriti e roba del genere. Lavoravo nella grossa torre a PeachtreeStreet, quella con la piattaforma sul tetto.” Mentre parla, il respiro si fa pesante:il dolore le preme sul petto. “Quando è iniziata la Svolta, circa venti di noi sonorimasti intrappolati nella stazione... per un po’ abbiamo vissuto del cibo dellamensa al quarto piano... poi abbiamo cominciato a usare l’elicottero per fare

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spedizioni di rifornimento.” Resta senza fiato per un istante.Il Governatore la fissa. “Alcune di quelle provviste sono rimaste là?”Christina scuote la testa. “Niente... né cibo... né corrente... niente. Quando

abbiamo finito il cibo... le persone hanno iniziato a mangiarsi tra loro.” Chiude gliocchi e cerca di respingere i ricordi che tornano a sommergerla come fotogrammidi uno snuff movie: gli scaldavivande schizzati di sangue, gli schermi accesi in unperenne effetto nebbia, la testa mozzata che marciva nella cella del freezer, legrida nella notte. “Mike mi proteggeva, che sia benedetto... era il pilotadell’elicottero del traffico... abbiamo lavorato insieme per anni... e alla fine lui eio... siamo riusciti a salire di nascosto sul tetto e a sgattaiolare nell’elicottero.Pensavamo di essere al sicuro... ma non avevamo capito... che nel nostro gruppoc’era qualcuno fermamente deciso a impedire a chiunque altro di andarsene. Quelqualcuno aveva sabotato il motore. Lo capimmo subito. Eravamo appena usciti dicittà... avevamo fatto sì e no cinquanta miglia... prima c’è stato il rumore... poiabbiamo visto il...” Scuote la testa triste e alza lo sguardo. “A ogni modo... ilresto lo sai.” Cerca di non far vedere che sta tremando. La sua voce diventaacuta, mesta. “Non so cosa vuoi da me.”

“Nei hai viste parecchie.” Il Governatore le dà un colpetto sulla coscia bendata:il suo atteggiamento è cambiato improvvisamente. Le rivolge un sorriso, siallontana dal letto e si alza. “Mi dispiace per quello che hai dovuto passare. Sonotempi difficili... ma qui sei al sicuro.”

“Al sicuro?” Christina non riesce a spegnere la rabbia che ribolle. Gli occhi

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trasudano furia. Il lato caparbio del suo carattere viene fuori: il produttoreesperto che non si lascia fregare da nessuno. “Sei serio?”

“Serissimo, tesoro. Stiamo costruendo qualcosa di buono qui, qualcosa disolido. E siamo sempre in cerca di brava gente che si unisca a noi.”

“Non credo proprio.” Lo guarda in cagnesco. “E preferisco rischiare la sorte làfuori con gli azzannatori.”

“Calmati, dolcezza. So che sei stata messa a dura prova. Ma non è un validomotivo per rinunciare a qualcosa di buono. Qui stiamo costruendo una comunità.”

“Ma piantala!” Praticamente gli sputa le parole in faccia. “Li conosco quellicome te.”

“Benissimo, basta così.” Suona come un insegnante che cerca di calmare unostudente disobbediente. “Abbassiamo un pochino i toni.”

“Potrai anche ingannare qualcuno di questi zotici con la tua pantomima daLeader Benevolo...”

Lui le balza addosso e le dà un manrovescio sul volto ferito, forte abbastanzada farle sbattere la testa contro la parete.

Christina rantola, sbatte gli occhi, inghiotte il dolore. Si strofina la faccia eritrova il fiato per parlare in tono piano e monocorde. “Ho lavorato con uominicome te per tutta la carriera. Ti credi un capo? Davvero? Sei solo un bulletto chegioca a governare il cortile di una scuola. Il dottore mi ha detto tutto di te.”

Il Governatore, in piedi sopra di lei, annuisce e le sorride freddo. Il suo voltos’indurisce, gli occhi si stringono, le iridi scure sono due punte di spillo argentate

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che riflettono la luce alogena. “Io ci ho provato” mormora a se stesso più che alei. “Dio sa se ci ho provato.”

Le salta ancora addosso, questa volta puntando al collo. E la strangola. Leis’irrigidisce sul letto. Lo guarda dritto negli occhi. All’improvviso si calma. Il suocorpo comincia ad agitarsi contro il letto per gli spasmi involontari, facendocigolare le rotelle, ma lei non sente più dolore. Il suo viso è esanime. Christinavuole morire.

Il Governatore le sussurra piano: “Ci siamo quasi... ecco fatto... andrà tuttobene...”

Lei gira gli occhi all’indietro, mostrando il bianco, e diventa livida nella strettadi lui. Le sue gambe scalciano e si dimenano, urtando contro la flebo.L’attrezzatura d’acciaio cade a terra sferragliando e rovesciando il glucosio.

Nel silenzio che segue, la donna si irrigidisce, gli occhi fissi in uno sguardopallido e vuoto. Passa un altro istante, e poi il Governatore lascia la presa.

Philip Blake indietreggia dalla lettiga dove la donna di Atlanta giace morta, conle braccia e le gambe divaricate che ciondolano fuori dal letto. Riprende fiato,inspirando ed espirando a fondo, per ritrovare l’autocontrollo.

In un compartimento lontano del suo cervello, una voce obietta debole, prova aresistere, ma lui la ricaccia in quell’angolo buio della sua mente. Mormoraqualcosa a se stesso, come se fosse in corso una discussione, e la sua voce èudibile appena alle sue stesse orecchie: “Andava fatto... non avevo scelta...nessuna scelta...”

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“CAPO?!”Il suono smorzato della voce di Gabe dall’altra parte del muro lo riporta

indietro. “Solo un secondo” grida lui, ritrovando un tono energico. “Dammi soloun secondo.”

Deglutisce e si dirige verso il lavello. Fa scorrere l’acqua, si sciacqua la faccia, silava le mani e si asciuga con una salvietta umida. Proprio quando sta per girarsi,intravede il suo riflesso sulla superficie dell’armadietto di acciaio inossidabilesopra il lavabo. Il suo volto, che brilla sulla superficie argentata dell’armadietto,sembra quasi spettrale, traslucido, non del tutto formato. Si volta. “Vieni dentro,Gabe!”

La maniglia della porta scatta e l’uomo tozzo e stempiato scruta dentro lastanza. “Tutto okay?”

“Mi serve una mano” dice il Governatore, indicando la donna morta. “Andavafatto. Tu non parlare, ascolta e basta.”

In un edificio residenziale vicino alla pista, nella quiete polverosa di unappartamento al secondo piano, il dottor Stevens se ne sta stravaccato con ariaassonnata, il camice sbottonato, una rivista di cucina ripiegata sul ventre pinguee una bottiglia semivuota di Pinot Nero di contrabbando appoggiata su una cassavicino a lui, quando qualcuno bussa alla porta. Il dottore sobbalza sulla poltrona ecerca gli occhiali a tentoni.

“Doc!” Quando sente la voce smorzata fuori dalla porta, si alza e si muove.Stordito dal vino e dalla mancanza di sonno, avanza lento attraverso quello che

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dovrebbe essere il soggiorno del suo appartamento spartano. Il posto è unlabirinto di scatole di cartone e pile di roba da leggere raccolta qua e là,fiocamente illuminato da lanterne al cherosene: il rifugio da fine del mondo di unintellettuale. Per qualche tempo, Stevens ha seguito i comunicati sporadicisull’epidemia emessi dal CDC10 e da Washington che giungevano coi gruppi disuperstiti stampati su circolari raffazzonate; ma ormai tutti quei dati rimangonointonsi e impolverati sul davanzale, dimenticati dal dottore, assorbito dal doloreradioattivo per la perdita della sua famiglia.

“Dobbiamo fare una chiacchierata” dice l’uomo in piedi nel corridoio buio,quando Stevens apre la porta.

È il Governatore; al suo fianco ci sono Gabe e Bruce con i fucili d’assalto inspalla. La faccia scura e irsuta del Governatore è raggiante di finta allegria. “Nondisturbarti a offrirci latte e biscotti: non ci fermiamo molto.”

Stevens alza le spalle e guida il trio in soggiorno. Ancora stordito, si muoveverso il divano sgangherato e disseminato di giornali. “Accomodatevi pure, seriuscite a trovare un posto dove sedervi in questo porcile.”

“Restiamo in piedi” dice il Governatore con noncuranza, lanciando un’occhiataalla topaia. Gabe e Bruce si piazzano dietro Stevens, come predatori cheaccerchiano la preda.

“E così... a cosa devo questa visita inaspettata...?” comincia a dire il dottorequando la canna di una pistola automatica Colt risuona e gli sfiora la nuca. Gabepreme il foro d’uscita della semiautomoatica contro il suo collo: il meccanismo è

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armato e pronto a sparare.“Sei uno studioso di storia, Doc.” Il Governatore gli gira intorno, come uno

sciacallo. “Di sicuro ricordi che ai tempi della Guerra Fredda, quando i Rossiagitavano contro di noi i loro cazzi nucleari... c’era questo modo di dire. M-A-D,Mutual Assured Destruction... ‘distruzione reciproca assicurata’, la chiamavano.”

Il battito di Stevens accelera, la bocca è asciutta. “So di cosa parli.”“Ed è quello che stiamo facendo qui.” Il Governatore gli arriva davanti. “Se io

cado tu vieni a fondo con me. E viceversa. Mi segui?”Stevens deglutisce. “In tutta onestà, non ho la minima idea di cosa parli.”“Quella Christina, aveva l’impressione che io fossi una brutta persona.” Il

Governante continua a muoversi in tondo. “Hai per caso idea del perché puòesserle venuta una simile idea?”

Stevens fa per parlare: “Ascolta, io non...”“Chiudi quella cazzo di bocca!” Il Governatore estrae una pistola 9mm nera,

preme sul grilletto e ficca il muso sotto il mento del medico. “Hai le mani sporchedi sangue, Doc. Il decesso della ragazza è colpa tua.”

“Decesso?” Per la pressione della canna della pistola la testa di Stevens èpiegata all’indietro. “Cos’hai fatto?”

“Il mio dovere.”“Cosa le hai fatto?”Il Governatore gli sibila a denti stretti. “L’ho rimossa dall’equazione. Era un

rischio per la sicurezza. E sai perché?”

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“Ma cosa...?”“Sai perché era un rischio per la sicurezza, Doc?” Aumenta la pressione sul

mento. “Era un rischio per la sicurezza a causa tua.”“Non so di cosa parli.”“Sei un uomo sveglio, Doc. E credo che tu sappia esattamente di cosa parlo.”

Allenta la pressione, tira indietro la pistola e continua a girare in cerchio. “Gabe,metti giù la pistola. Adesso possiamo lasciarlo in pace.”

Gabe mette via l’arma e si allontana. Il medico emette un flebile sospiro; lemani gli tremano. Guarda il Governatore. “Cosa vuoi, Philip?”

“VOGLIO LA TUA LEALTÀ, MALEDIZIONE!” tuona il Governatore.E il ruggito improvviso della sua voce sembra mutare la pressione atmosferica

nella stanza. Gli altri tre uomini si immobilizzano come morti. Il dottore fissa ilpavimento, con i pugni serrati e il cuore che gli martella nel petto.

Il Governatore seguita a camminare avanti e indietro intorno al dottore. “Saicosa succede quando danneggi la mia immagine in questa città? La gentes’innervosisce. E quando s’innervosisce, diventa imprudente.”

Il dottore continua a fissare il pavimento. “Philip, non so cosa ti ha detto quelladonna...”

“La vita qui è appesa a un filo, Doc, e tu stai cazzeggiando con quel filo.”“Cosa vuoi che ti dica?”“Non voglio che tu mi dica niente, voglio che per una volta stai a sentire. Voglio

che chiudi quella tua boccaccia da sapientone e ascolti e pensi a una cosa.”

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Il dottore sospira esasperato, ma non dice nulla.“Voglio che prima di invelenire qualcun altro contro di me, tu rifletta su cosa è

successo a quella donna.” Il Governatore gli si avvicina. “Voglio che concentri iltuo cervellone su questa cosa. Puoi farlo per me?”

“Tutto quello che vuoi, Philip.”“E voglio che tu rifletta anche su un’altra cosa. Voglio che tu rifletta su quanto

sei fortunato... ringrazia il tuo mestiere se sei ancora in giro.”Il dottore lo guarda. “Cosa vuol dire?”Il Governatore lo trafigge con lo sguardo. “Mettiamola così. Prega solo che non

incontriamo un altro cazzo di dottore. Mi segui?”Il dottore abbassa gli occhi. “Ti seguo, Philip. Non c’è bisogno che mi minacci.”Il Governatore inclina la testa e gli sorride. “Doc... su, su... sono sempre io.”

L’incanto del consumato venditore porta-a-porta è tornato. “Perché dovreiminacciare il mio vecchio segaossa?” Gli dà una pacca sulla schiena. “Questo èsolo una scaramuccia, un innocuo e chiassoso bisticcio tra vicini.” Philip guardal’orologio. “Ci piacerebbe moltissimo restare qui a fare una partita di scacchi conte, ma abbiamo...”

Un suono che arriva da fuori interrompe le sue parole e mette tutti sull’attenti.Inizialmente debole, trasportato dal vento, è lo scoppiettio inconfondibile di

spari calibro .50: viene da est. A giudicare dalla durata e dalla furia, si direbbeuna scontro a fuoco serio: più di una postazione latra rumorosamente per diversiistanti.

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“Fermi!” Il Governatore alza la mano e inclina la testa verso la finestra. Sembraprovenire dall’angolo nord-est della barricata, ma a quella distanza, è difficilestabilirlo con sicurezza. “Sta succedendo qualcosa di grosso” dice il Governatore aGabe.

Gabe e Bruce sfoderano i mitra Bushmaster, togliendo le sicure.“Andiamo!” Il Governatore esce di corsa dalla stanza; Gabe e Bruce lo seguono

dappresso.Schizzano fuori dall’edificio di Stevens con i mitra spianati: il Governatore è in

testa, con la 9mm in mano, carica e pronta a sparare.Sono diretti a est. Alcuni rifiuti, trascinati dal vento, gli rotolano tra i piedi.

L’eco della sparatoria è già svanito nella brezza ma, a circa trecento metri didistanza, si vede il fascio di luce di due proiettori al tungsteno che rimbalza tra lesagome dei tetti.

“BOB!” Il Governatore vede il vecchio medico rannicchiato contro una vetrina amezzo isolato da lì. Avvolto in una coperta logora, l’ubriacone se ne staraggomitolato a tremare, con gli occhi sgranati verso il trambusto. Si direbbe chela sparatoria lo abbia svegliato solo pochi attimi prima: la sua espressioneesanime e agitata è quella di un uomo che qualcun altro ha svegliato da unincubo. Il Governatore si affretta verso di lui. “Hai visto qualcosa, amico? Siamosotto attacco? Cosa succede?”

Il medico sputacchia un po’, rantolando per la tosse. “Non lo so di sicuro... hosentito un tizio... veniva dal muro appena un attimo fa...” Poi si piega in due per

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un accesso di tosse.“Cos’ha detto, Bob?” Il Governatore tocca la spalla del vecchio, dandogli una

scossetta.“Ha detto... che è un nuovo arrivo... una cosa del genere... gente nuova.”Il Governatore emette un sospiro di sollievo. “Ne sei sicuro, Bob?”Il vecchio uomo annuisce. “Parlava di gente nuova entrata con una muta di

erranti alle calcagna. Ma li hanno beccati tutti... gli zombie, cioè.”Il Governatore gli dà un’altra pacca. “Che sollievo, Bob. Tu resta buono qui,

mentre noi diamo una controllata fuori.”“Sì, signore, agli ordini.”Il Governatore si rivolge ai suoi uomini, parlando sotto voce. “Finché non

abbiamo la situazione sotto controllo, tenete le pistole a portata di mano, okay,ragazzi?”

“Sì, capo” dice Gabe, abbassando il muso del Bushmaster, ma seguitando atenere l’arma tra le braccia muscolose. Toglie il dito dal grilletto, ma tiene l’indicedella mano guantata contro il calcio. Bruce fa lo stesso, respirando nervoso.

Il Governatore lancia un’occhiata al suo riflesso nella vetrina del negozio diferramenta. Si liscia i baffi, si scosta dagli occhi un ciuffo di capelli corvini emormora: “Su, ragazzi, prepariamoci a dare il benvenuto ai nuovi arrivati.”

In piedi nell’alone della luce al magnesio e nella nube di cordite, Martinez nonsente subito i passi pesanti che giungono verso di lui da un tratto buio dellastrada adiacente. A distrarlo è anche il caos in cui è piombata la città sulla scia

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dei nuovi venuti.“Li porto dal pezzo grosso” dice a Gus, che sta vicino a un buco nel muro e

regge una manciata di armi confiscate: un paio di manganelli antisommossa, unascure, due pistole calibro .45 e una specie di spada giapponese ancora nel suofodero ornato. L’aria puzza di carne putrefatta e metallo rovente. Il cielo notturnoè velato.

Nella foschia del fumo delle armi, si intravedono alcuni cadaveri cenciosi: sonosparsi a terra fuori dalla barricata alle spalle di Gus e dentro la breccia. Unanuvola di vapore si leva nel freddo della notte dai corpi appena abbattuti e le loroimpronte nere luccicano sul selciato.

“Se sento anche solo un azzannatore avvicinarsi a meno di cinque metri”abbaia Martinez, mantenendo il contatto visivo con ciascuno dei venti uomini chestanno impacciati intorno a Gus “dovrete vedervela con me! E adesso date unaripulita!”

Poi Martinez si rivolge ai nuovi. “Quanto a voi, seguitemi.”I tre stranieri, due uomini e una donna, si fermano un attimo contro il muro:

diffidenti ed esitanti, strizzano gli occhi abbagliati dal tungsteno e appoggiano laschiena alla barricata come prigionieri acciuffati nel bel mezzo di un’evasione.Disarmati, disorientati, sudici per il viaggio, gli uomini indossano tenuteantisommossa, la donna un vestito con cappuccio che, a prima vista, sembraquasi uscito da un altro tempo, una specie di mantello da monaco o di unmembro di un ordine segreto.

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Martinez muove un passo verso i tre e fa per dire qualcosa, quando il suono diuna voce familiare echeggia alle sue spalle.

“Da qui in avanti me ne occupo io, Martinez!”Martinez si volta e vede il Governatore che avanza, con Gabe e Bruce subito

dietro.Più si avvicina, più il Governatore entra nella parte del cittadino ospitale, tutto

‘benvenuti, entrate pure, fate come foste a casa vostra’, se non fosse per i pugniche si serrano e si sciolgono di continuo. “Avrei piacere di accompagnare i nostriospiti di persona.”

Martinez gli fa un cenno e indietreggia, senza dire niente. Il Governatore siferma un attimo per guardare il varco lasciato dal semirimorchio mancante.

“Mi serve che resti alla barricata” spiega piano a Martinez. Poi, indicando lacarneficina a terra, aggiunge: “Sbarazzatevi di tutti gli azzannatori che di sicuro sisono trascinati dietro.”

Martinez continua ad annuire. “Sì, Governatore. Non sapevo se saresti saltatofuori per occuparti di loro quando abbiamo dato la notizia del loro arrivo. Sonotutti tuoi.”

Il Governatore si volta verso i forestieri... con un sorriso a trentadue dentistampato in faccia. “Seguitemi, gente. Vi faccio fare una visita guidata.”

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OTTOQuella sera Austin va nell’arena prima del solito, verso le otto e quarantacinque.Si siede da solo, dietro la rete metallica arrugginita, in fondo alla seconda fila.Pensa a Lilly. Si chiede se avrebbe dovuto insistere di più perché andasse con luiquella sera. Ripensa allo sguardo che gli ha rivolto prima, la dolcezza che haattraversato i suoi occhi nocciola un attimo prima di baciarlo, e prova uno stranomisto di eccitazione e panico che gli brucia nel ventre.

Le grandi lampade allo xeno intorno allo stadio prendono vita, illuminando lapista sterrata e l’area del campo interno disseminata di rifiuti. Lentamente legradinate intorno ad Austin si riempiono degli abitanti della città, rumorosi eaffamati di sangue e catarsi. L’aria è gelida e puzza di combustibile e zombieputrefatti. Austin avverte una bizzarra sensazione di straniamento.

Indossa felpa con cappuccio, jeans e stivali da motociclista; i capelli lunghi sonoraccolti all’indietro con un elastico di pelle. Non fa che agitarsi sul seggiolinofreddo e duro, con i muscoli indolenziti per le avventure del pomeriggio. Si sentea disagio. Spinge lo sguardo oltre il campo interno, verso l’estremità più lontanadell’arena, dove gli ingressi scuri si riempiono di nugoli di cadaveri eretti.Ciascuno è tenuto al guinzaglio tramite grosse catene dagli addetti, checominciano a condurre in mezzo gli azzannatori: alla luce intensa e argentata deifasci dei riflettori, i volti dei morti sembrano dipinti; somigliano a quelli di attori

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del teatro kabuki o di macabri clown.La folla ribolle di rumore, fischi e applausi. I ringhi e i gemiti catarrosi degli

erranti che prendono posto sulla striscia sterrata lungo il bordo esterno della pistasi mischiano alle grida degli spettatori, creando un baccano soprannaturale.Austin fissa lo spettacolo. Non riesce a scacciare il pensiero di Lilly dalla testa. Ilruggito che sale tutt’intorno a lui comincia a sbiadire... e sbiadisce... sbiadisce inlontananza... Finché l’unico suono che il ragazzo sente è la voce sommessa diLilly che gli fa una promessa.

Ti mostrerò delle cose... è solo così che sopravvivremo... aiutandoci a vicenda.Qualcosa urta Austin alle costole, riportandolo bruscamente alla realtà.Il giovane sobbalza e vede che un vecchio si è seduto proprio accanto a lui.È un vecchio ebreo hasidico pieno di vita, con la barba tinta di giallo dalla

nicotina, la faccia antica e rugosa come una pergamena arrotolata, un cappottonero e lacero e un cappello a tesa larga. Si chiama Saul e in qualche modo èriuscito a sopravvivere nelle strade di Atlanta dopo la Svolta. Saluta Austin e conun sorriso che fa mostra dei suoi denti macchiati e marci gli dice: “Ci sarà dadivertirsi stasera... eh?”

“Già.” Austin si sente confuso, ha le vertigini. “Non vedo l’ora.”Poi torna a guardare l’adunata di morti alla periferia del circuito e la vista gli fa

venire la nausea. Dalla ferita aperta nel ventre porcino di un azzannatore, unmaschio obeso in tuta da imbianchino schizzata di bile, spunta un nodo diintestino tenue. A un’altra, che geme e strattona la catena, manca metà faccia:

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l’arcata dentaria superiore brilla alla luce dei riflettori. Austin sta perdendo il suoentusiasmo per i combattimenti. Lilly ha ragione. Il ragazzo guarda il pavimentoappiccicoso sotto la panca: le cicche delle sigarette, le pozzanghere di analcolici ebirra svaporata. Chiude gli occhi e pensa al dolce viso di Lilly, con lo spruzzo dilentiggini sopra il naso e la curva sottile del collo.

“Permesso” dice, alzandosi e oltrepassando il vecchio.“Torna in fretta” borbotta il tizio, sbattendo gli occhi con fare agitato. “Lo

spettacolo sta per cominciare!”Austin è già a metà del corridoio. Non si volta indietro.Mentre attraversa la città, superando l’ombra delle vetrine e degli edifici

sprangati della strada principale, scorge una mezza dozzina di persone venireverso di lui dal lato opposto.

Si stringe il cappuccio della felpa, si ficca le mani in tasca e continua acamminare a testa bassa. Pur evitando qualsiasi contatto visivo con il gruppo,riconosce il Governatore, che avanza davanti ai tre forestieri come una guidaturistica, con il petto gonfio d’orgoglio. Bruce e Gabe chiudono la fila con i fucilid’assalto carichi e pronti.

“...a circa mezzo miglio si trova una base della Guardia Nazionale... del tuttoabbandonata” sta dicendo il Governatore agli stranieri. Austin non li ha mai vistiprima. Il Governatore li tratta come fossero dei pezzi grossi. “Dentro c’era rimastoogni ben di Dio” spiega il Governatore. “E noi ne stiamo facendo buon uso.Occhiali per la visione notturna, fucili da cecchino, munizioni: li avete visti in

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azione. Questo posto non esisterebbe senza quella roba.”Mentre cammina sul marciapiedi opposto, Austin riesce a dare ai nuovi arrivati

un’occhiata migliore.I due uomini e la donna sembrano cupi, segnati da più di uno scontro, forse

anche un po’ nervosi. Dei due uomini, che indossano entrambi una tenutaantisommossa, il più grande d’età sembra anche più duro, pericoloso e astuto. Hai capelli rossicci, la barba screziata di grigio, e cammina a fianco del Governatore.Austin lo sente dire: “A quanto pare siete stati fortunati. E adesso dove ci porta?Ci dirigiamo verso un posto illuminato. Cos’è? Una partita di baseball?”

Prima che svaniscano dietro l’angolo, Austin guarda oltre la spalla e vede glialtri due ancora meglio. Il più giovane indossa un casco e sembra asiatico, ma daquella distanza e con quella luce è difficile stabilirne l’età.

La donna è una vista ben più interessante. Il suo viso magro e scolpito si vedeappena nell’ombra del cappuccio: dovrebbe avere circa trentacinque anni, èafroamericana, di una bellezza esotica.

Anche se solo per un istante, Austin ha un brutto presentimento nei riguardi diqueste persone.

“Be’, straniero” sente dire al Governatore, mentre si allontanano “mi sa che nonsiamo gli unici fortunati. Non potevate capitare in un momento migliore. Staserac’è uno scontro...”

Svoltano l’angolo: il vento e le ombre sovrastano il resto della conversazione.Austin tira un sospiro di sollievo, si scrolla di dosso l’inspiegabile sensazione di

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paura e prosegue verso la casa di Lilly.Un minuto dopo, si ritrova davanti all’abitazione di Lilly. Il vento si è alzato e

solleva mulinelli di rifiuti sulla soglia. Austin si ferma, si abbassa il cappuccio, siscosta una ciocca di riccioli dagli occhi e ripete mentalmente quello che vuoledire.

Si avvia alla porta dell’appartamento di Lilly e trae un respiro profondo.Lilly siede accanto alla finestra su una poltrona logora con un libro di cucina

aperto sul capitolo dedicato ai grandi contorni del Sud. Una candela tremola suun tavolino lì accanto. D’un tratto, il suono di qualcuno che bussa interrompe lesue fantasticherie.

Stava pensando a Josh Hamilton e a tutti i piatti fantastici che avrebbepreparato se fosse sopravvissuto: il misto di pena e rimpianto le hanno tolto ogniappetito per qualunque cosa che non sia carne in scatola e riso istantaneo. Quellasera ha pensato parecchio anche al Governatore.

Ultimamente, la sua paura di quell’uomo si sta trasformando in qualcos’altro.Non può scacciare dalla sua testa il ricordo del Governatore che condannal’assassino di Josh, il macellaio della città, a una morte orribile per mano deglizombie affamati. Con un insieme di vergogna e soddisfazione, Lilly continua arivivere quell’atto di vendetta nei suoi pensieri più oscuri. Quell’assassino haavuto quanto meritava. E forse il Governatore è il solo rimedio che hanno controquel genere di ingiustizie. Occhio per occhio.

“Ma chi diamine...?” brontola, alzandosi.

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Attraversa la stanza a piedi nudi, trascinando i jeans scampanati e strappati sulparquet lurido. Indossa una canottiera termica verde oliva tagliata con cura inmodo da formare una perfetta scollatura a V, e sotto un reggiseno sportivo;intorno al collo porta collane di cuoio e perline. I capelli biondi sono raccolti incima alla testa in una morbida coda di cavallo alta alla Brigitte Bardot. Il suogusto eccentrico, maturato nei negozi dell’usato e nei magazzini dell’Esercitodella Salvezza di Marietta, non è morto nemmeno nel mondo post epidemia. Inun certo senso, il suo stile è la sua armatura, il suo meccanismo di difesa.

Apre la porta e vede Austin in piedi al buio.“Scusa se continuo a disturbarti” dice impacciato, con un braccio che stringe

l’altro come se gli stessero saltando le cuciture della manica. Ha il cappuccio dellafelpa stretto intorno al viso e per un attimo brevissimo le sembra una personadiversa. Il piglio arrogante che brilla sempre in quei occhi si è spento. La suaespressione si è ammorbidita e la persona vera sotto il guscio duro è emersa. Laguarda in viso. “Facevi qualcosa?”

Lei gli sorride. “Già: mi hai beccata mentre ero al telefono con il mio broker aspostare i miei milioni nei miei conti off-shore.”

“Passo in un altro momento?”Lilly sospira. “Era una battuta, Austin... umorismo, ricordi?”Lui annuisce triste. “Oh... giusto.” Riesce a sorridere. “Sono un po’ lento

stasera.”“Che posso fare per te?”

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“Sì, già... um.” Lancia un’occhiata alla strada buia. Praticamente l’intera città siè trasferita nell’arena per i festeggiamenti notturni. Il vento spazza i rifiuti lungo imarciapiedi deserti e fruscia nelle linee elettriche defunte, producendo una neniainquietante. Solo pochi uomini di Martinez restano di pattuglia agli angoli dellebarricate, con i fucili semiautomatici e i binocoli. Di tanto in tanto un riflettorepunta il suo fascio di luce argentata sui boschi vicini. “Mi chiedevo se, um, non seitroppo impegnata” balbetta, senza guardarla. “Se per caso hai voglia, cioè, difare un piccolo allenamento stasera.”

Lei lo guarda di traverso. “Allenamento?”Si schiarisce la gola imbarazzato, con gli occhi bassi. “Voglio dire: hai detto che

forse mi mostravi delle cose... mi davi qualche suggerimento su come... haicapito... su come affrontare gli azzannatori, come proteggermi.”

Lei lo guarda e trae un profondo sospiro. Poi sorride. “Dammi un secondo...prendo le pistole.”

Costeggiano la stazione ferroviaria al confine orientale della città,allontanandosi quanto più possono dalle luci e dal rumore dell’arena. Lilly haalzato il colletto del giubbotto jeans per ripararsi dal freddo. L’aria puzza dimetano ed esalazioni maleodoranti, in un miscuglio di decomposizione che liaccompagna nelle ombre illuminate dalla luna del deposito ferroviario. Lilly guidaAustin attraverso alcuni possibili scenari, lo interroga, lo sfida. Austin ha con sé lasua Glock 9mm e un coltello legato intorno alla coscia destra con un nastro dipelle.

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“Su, continua a muoverti” gli dice lei a un certo punto, mentre lui avanza lentolungo il limitare dei boschi, con la pistola stretta nella mano destra lungo il fiancoe il dito esterno al grilletto. Sono fuori ormai da quasi un’ora e Austin comincia adagitarsi. La foresta pulsa per i rumori notturni, i grilli, i rami che frusciano, e perla minaccia costante delle ombre che si muovono oltre gli alberi. Lilly cammina alsuo fianco con la tranquilla autorità di un allenatore. “Devi sempre continuare amuoverti, né troppo veloce né troppo piano... e tieni sempre gli occhi aperti.”

“Fammi indovinare... così, giusto?” dice lui con una traccia di esasperazionenella voce. Uno dei silenziatori di Lilly è attaccato alla canna della sua pistola. Ilcappuccio della felpa è tirato intorno al viso. Un’alta rete metallica corre lungo iboschi: un tempo fungeva da protezione alla stazione. Un sentiero grigiocosteggia una fila di binari abbandonati e coperti di erbacce.

“Ti ho detto di abbassare il cappuccio” dice lei. “Così ti tagli la visioneperiferica.”

Lui obbedisce e continua a muoversi lungo la linea degli alberi. “Così?”“Meglio. Devi sempre essere consapevole di quello che ti circonda. La chiave è

tutta qui. È più importante dell’arma che usi o di come tieni la pistola o la scure oqualunque altra cosa. Devi sapere sempre cosa ti sta a fianco. E dietro. Così puoifuggire in fretta, se è necessario.”

“Capito.”“E non lasciarti mai circondare: mai, mai, mai. Sono lenti, ma possono

ammassartisi addosso se sono abbastanza.”

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“L’hai già detto.”“Il punto è che devi sempre sapere da che parte correre, se devi farlo. Ricorda:

sarai sempre più veloce di loro... ma questo non significa che non puoi ritrovartiaccerchiato.”

Austin annuisce e lancia occhiate intermittenti oltre la spalla, tenendo tracciadell’oscurità su tutti i lati del sentiero. Si volta e ripercorre lentamente il sentieroall’indietro, in cerca delle ombre.

Lilly lo guarda. “Metti via la pistola per un secondo” gli dice. “E prendi ilcoltello.” Lui sostituisce le armi. “Okay. Adesso diciamo che sei a corto dimunizioni, sei isolato, forse ti sei perso.”

Lui la guarda di traverso. “Lilly, l’abbiamo già fatto... due volte.”“Ecco un punto a tuo favore: sai contare.”“Dai...”“E adesso lo rifacciamo per la terza volta, perciò rispondi alla domanda. Come

tieni il coltello?”Lui sospira, costeggiando gli alberi, con gli stivali che scricchiolano nella cenere.

“Lo tengo con la lama rivolta verso il basso e stringendo forte l’impugnatura...Non sono stupido, Lilly.”

“Non ho mai detto che sei stupido. Ma dimmi perché lo tieni così.”Lui continua a camminare lungo il margine dei boschi, scuotendo

distrattamente la testa. “Lo tengo così perché così lo posso calare giù con forzasulla loro testa e assestare un colpo deciso.”

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Lilly nota accanto al sentiero, a circa sei metri, un’asse isolata: si tratta di unpezzo di traversina ferroviaria impregnata di creosoto. “Va’ avanti” dice. Insilenzio, si sposta da quella parte. “Forza, prosegui” insiste, mentre, senza farsivedere, sposta con un piede il pezzo di legno sul percorso di Austin. “Perchéassesti un colpo deciso?”

Lui emette un altro sospiro esasperato, indietreggiando allegramente. “Assestiun colpo deciso perché hai la possibilità di distruggergli il cervello.” Continua aindietreggiare lentamente verso il pezzo di legno, stringendo il coltello, ignarodell’ostacolo che gli blocca la strada. “Non sono un idiota, Lilly.”

Lei sorride. “Oh no, certo, sei un ninja a tutti gli effetti. Oggi, se non ci fossistato tu a sgomberarci i boschi verso il luogo dello schianto, sarebbe stata la fine.Avevi tutto sotto controllo.”

“Non ho paura, Lilly, te l’ho detto un milione di volte. Sono in giro...”Inciampa sulla traversina. “Ouch...! CAZZO!” esclama cadendo in uno sbuffo di

polvere grigia.Mentre se ne sta seduto lì, abbattuto, imbarazzato e umiliato, Lilly scoppia a

ridere. Gli occhi del ragazzo brillano al buio per l’emozione e i suoi riccioli glipenzolano davanti al viso. Sembra un cane bastonato. La risata di Lilly svaniscesubito e il senso di colpa le trafigge le viscere. “Scusa, scusa” mormora,inginocchiandosi accanto a lui. “Non volevo...” Gli accarezza le spalle. “Scusa,sono stata una stronza.”

“È okay” dice lui piano, respirando profondamente con lo sguardo basso. “Me lo

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sono meritato.”“No. No.” Si siede al suo fianco. “Non ti meriti niente di tutto questo.”Lui la guarda. “Non preoccuparti. Stai solo cercando di aiutarmi e lo apprezzo.”“Per metà del tempo non so nemmeno io cosa faccio.” Si strofina la faccia. “So

solo che... dobbiamo essere pronti. Odio doverlo dire ma... dobbiamo esserefamelici come gli azzannatori.” Lo guarda. “Solo così possiamo farcela.”

I loro sguardi si incrociano. Il ronzio tutt’intorno si fa più intenso, i suoni dellanotte sono ormai una sorta di boato. Da lontano arriva l’eco, udibile appena,degli ululati bestiali degli spettatori che applaudono alla vista del sangue.

Alla fine Austin dice: “Stai cominciando a parlare come il Governatore.”Lilly fissa lo sguardo in lontananza, senza dire niente; si limita ad ascoltare i

rumori portati dalla brezza.Austin si bagna le labbra e la guarda. “Lilly, stavo pensando... e se non c’è

nessun’altra parte dove andare? Se è tutto qui? Cosa facciamo se non c’ènient’altro che questo?”

Lilly ci pensa un po’. “Non importa. Finché ci siamo gli uni per gli altri... e siamodeterminati a fare ciò che serve... sopravviveremo.”

Le parole aleggiano nell’aria della notte un momento. Si sono avvicinati inmaniera quasi impercettibile: la mano di Lilly indugia sulla spalla di lui; la manodi Austin trova la parte bassa della schiena di lei.

All’improvviso Lilly si rende conto che all’inizio può anche aver pensato a tuttala comunità che resta unita, ma adesso pensa solo ad Austin e lei. Si ritrova a

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sporgersi vicino a lui, che risponde sporgendosi verso di lei. Sente che qualcosa siscioglie, si lascia andare: le loro labbra si avvicinano, stanno per baciarsi quando,di colpo, Lilly si ritrae. “Cos’è quello? Dio santo!”

Sente qualcosa di umido intorno alla vita e abbassa lo sguardo.L’orlo della sua felpa è bagnato di sangue, che gocciola in rivoli tra le foglie a

terra, nero e lucente come olio motore. La lama del coltello sbuca da unosquarcio nei jeans di lui, all’altezza del fianco, dove ha affettato un pezzo di carnequando è caduto. Austin ci mette sopra la mano. “Merda” dice a denti stretti,mentre il sangue gli gocciola tra le dita. “Credevo di essere stato morso.”

“Dai, alzati!” Lilly scatta in piedi e gli offre una mano, aiutandolo piano adalzarsi. “Ti porto dal dottor Stevens.”

Il suo nome per esteso era Christina Meredith Haben. Era cresciuta a Kirkwood,in Georgia. Negli anni 80 era andata al college a Oberlin, dove aveva studiatocomunicazione televisiva. Aveva avuto un figlio naturale, che aveva dato inadozione il giorno dopo l’11 settembre. Aveva avuto diverse disavventuresentimentali: non aveva mai incontrato l’Uomo Giusto, non si era mai sposata e siera sempre considerata unita in matrimonio al suo lavoro come produttriceassociata in una delle principali stazioni del Sud. Aveva vinto tre Emmy, un Clio eun paio di Cable Ace, che la rendevano giustamente orgogliosa, ma i suoisuperiori non l’avevano mai rispettata o premiata con il compenso che meritava.

Eppure in quel momento, sulle mattonelle del pavimento lurido, nel baglioredelle luci fluorescenti, tutti i rimpianti, le paure, le frustrazioni, le speranze, i

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desideri di Christina Haben se ne sono andati, annullati dalla morte: e i suoi restigiacciono sparsi a terra tra gli schizzi di sangue, mentre diciassette prigionierizombie squarciano i suoi organi e i suoi tessuti.

I morti banchettano con le parti del corpo, ormai quasi irriconoscibile, cherispondeva al nome di Christina Haben, e i rumori acquosi del pasto orgiasticoriecheggiano sulle pareti di mattoni. Sangue, liquido spinale e bile si mescolanonegli angoli della stanza come bevande colorate, scorrono tra i giunti dellemattonelle, spruzzano le pareti con scure esplosioni scarlatte e infradiciano gliazzannatori frenetici. Scelte per la loro integrità fisica e destinate all’arena deigladiatori, quelle creature sono per lo più adulti maschi: in questo momento,stanno accucciati come scimmie e rosicchiano le protuberanze stoppose cheappartenevano allo scheletro inferiore di Christina Haben.

Un paio di finestre rettangolari sono inserite nella saracinesca che circonda lastanza. Dalla finestra di sinistra, una faccia magra, segnata e ornata di baffiscruta l’azione all’interno.

In piedi nel corridoio silenzioso fuori dal recinto, il Governatore è intento aguardare attraverso il vetro della finestra; dal suo viso non trapelano emozioni,se non la severa soddisfazione per quanto sta vedendo. Il suo orecchio sinistro èfasciato per un recente scontro con i nuovi arrivati, e il dolore lo perseguita. Locostringe a serrare i pugni. Gli corre giù per il midollo come una scossa elettrica,lo cinge, concretizza la sua missione. Tutti i suoi dubbi, le sue previsioni e, anzi,ogni residuo di umanità sono accantonati dalla rabbia, dalla vendetta, dalla voce

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dentro di lui che gli serve da bussola. Ormai sa come impedire a quella polverieradi esplodere. Sa cosa deve fare per...

Un rumore di passi strascicati dall’estremità opposta del corridoio interrompe isuoi pensieri.

-----Lilly è arrivata in fondo alle scale, tenendo il braccio intorno ad Austin; svolta

l’angolo e si affretta giù per il corridoio principale che attraversa le fetidecatacombe di mattoni con i garage e le aree di servizio sotto l’arena.

All’inizio non vede la figura scura e solitaria che, all’estremità del corridoio,guarda attraverso l’apertura sulla saracinesca. È troppo in ansia per la ferita diAustin e troppo presa dallo sforzo di tenere la mano destra premuta sul taglio,mentre trascina i piedi verso l’infermeria.

“Guarda un po’ chi si vede” dice la figura, quando Lilly e Austin sono più vicini.“Oh... ciao” dice Lilly a disagio, mentre cammina lentamente con Austin, dal

quale cadono alcune gocce di sangue, niente di mortale, ma abbastanza di chepreoccuparsi. “Lo sto portando dal dottore.”

“Spero che quell’altro se la passi peggio” scherza il Governatore, mentre Lilly eAustin si fermano fuori dalla saracinesca ammaccata.

Austin riesce a fare un sorrisetto, con i riccioli lunghi e umidi che gli ricadanosulla faccia. “Non è niente... solo una ferita superficiale... sono caduto sul miocoltello come un idiota.” Si tiene il fianco. “L’emorragia si è arrestata. Ormai ètutto okay.”

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Dal vetro sigillato si odono debolmente i rumori smorzati della furia del pasto.Sembra il ringhio di uno stomaco immenso. Dalla finestra più vicina Lilly lanciaun’occhiata all’orgia raccapricciante che si svolge nella gabbia e poi guardaAustin, che ha visto anche lui. Non dicono niente. Un tempo Lilly sarebbe statadisgustata da quello spettacolo; adesso lo registra appena. Guarda ilGovernatore. “A quanto pare, hanno avuto la loro razione di vitamine e minerali.”

“Non sprechiamo niente qui” dice il Governatore, accennando alla finestra conun’alzata di spalle. “Quella poveretta dell’elicottero non ha fatto in tempo adarrivare che è morta... le ferite interne riportate nello schianto, credo...” Torna aguardare dal vetro. “Lei e il pilota servono ormai uno scopo più importante.”

Lilly nota l’orecchio bendato. Scocca un’altra occhiata ad Austin, che stafissando, anche lui, la fasciatura sporca di sangue del Governatore e l’orecchiomaciullato sotto.

“Non sono affari miei” dice alla fine, indicando l’orecchio. “Ma tu stai bene?Sbaglio, o ti sei beccato una brutta ferita anche tu?”

“Quelli nuovi: sono arrivati stanotte” mormora il Governatore, senza distoglierelo sguardo dalla finestra. “A quanto pare erano un problema più grande di quantoavessi pensato all’inizio.”

“Già. Ti ho visto con loro, prima.” interviene Austin. “Gli stavi facendo fare ungiro in città, giusto? Cos’è successo?”

Il Governatore si volta e guarda Lilly dritto negli occhi, come se a porre ladomanda fosse stata lei. “Ho cercato di essere molto gentile con quella gente, di

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mostrarmi ospitale. Di questi tempi siamo tutti sulla stessa barca, no?”Lilly annuisce brevemente. “Assolutamente. E allora che problema avevano?”“È venuto fuori che erano una pattuglia in ricognizione proveniente da un

insediamento nei paraggi, e le loro intenzioni non erano esattamenteamichevoli.”

“Cos’hanno fatto?”Il Governatore la fissa. “La mia ipotesi è che volessero saccheggiarci.”“Saccheggiarci?”“Succede di continuo. La pattuglia si intrufola in un posto, lo mette in sicurezza

e prende tutto. Cibo. Acqua. I vestiti che indossi.”“E allora cos’è successo?”“Ci siamo azzuffati per bene. Non avevo certo intenzione di lasciare che ci

dessero noia. Né ora né mai. La ragazza di colore ha cercato di staccarmil’orecchio con un morso.”

Lilly si scambia uno sguardo teso con Austin. Poi guarda il Governatore. “Gesù...ma cosa sta succedendo? Ma cosa cazzo sono, dei selvaggi?”

“Siamo tutti selvaggi, piccola Lilly. E noi dobbiamo essere i più selvaggi delcircondario.” Fa un respiro profondo. “È andata malaccio al capo. Quel tiziocombatteva duro. Ha finito per farsi tagliare la mano di netto.”

Lilly non riesce a muoversi. Sentimenti contrari le scorrono in corpo, la pungonoda dentro, scatenano scintille di traumi nella mente, memorie del proiettile cheha distrutto la nuca di Josh Hamilton. “Gesù Cristo” mormora quasi tra sé.

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Il Governatore inspira di nuovo a fondo, poi emette un sospiro esasperato.“Stevens lo sta tenendo in vita. Potrebbe dirci qualcosa. O forse no. Ma ormaisiamo al sicuro. E questo è tutto ciò che conta.”

Lilly annuisce e fa per dire qualcosa, quando il Governatore la interrompe.“Non permetterò a nessuno di fottere la nostra città” dice, mantenendo il

contatto visivo con entrambi. Un rivolo di sangue gli scorre dall’orecchio fasciatogiù lungo il collo. Il Governatore lo asciuga e sospira di nuovo. “Voi altri siete lamia priorità numero uno e questo è tutto.”

Lilly deglutisce a fatica. Per la prima volta da quando è arrivata in quel posto,prova per quell’uomo qualcos’altro oltre al disprezzo... se non fiducia, allora forseun barlume di simpatia. “A ogni modo” dice “ora è meglio se porto Austin ininfermeria.”

“Vai, vai” dice il Governatore con un sorriso stanco. “E fatti dare un cerotto peril nostro bel Gorgeous George11.”

Lilly cinge Austin con un braccio e lo aiuta a camminare lentamente giù per ilcorridoio. Ma prima che girino l’angolo, si ferma e guarda indietro verso ilGovernatore. “Ehi, Governatore” dice piano. “Grazie.”

Mentre percorrono il dedalo di corridoi che portano all’infermeria, incontranoBruce. Il grosso afroamericano arriva dalla direzione opposta e cammina conpassi decisi: i suoi stivali militari echeggiano, la calibro .45 rimbalza sulla cosciamuscolosa, il volto arde di urgenza. Quando vede Lilly e Austin, alza lo sguardo.“Ciao, ragazzi” dice e la tensione emerge dalla sua voce da baritono. “Per caso

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avete visto il Governatore?”Lilly gli dice dove si trova e poi aggiunge: “Mi sa che stanotte c’è la luna piena,

eh?”Bruce la guarda. A giudicare dall’espressione tirata e dagli occhi stretti, sembra

che si stia chiedendo cosa esattamente lei sappia. “Che vuoi dire?”Lei alza le spalle. “Mi sembra solo che le cose s’incasinino sempre di più ogni

minuto che passa.”“Perché dici così?”“Non lo so... quegli stronzi che hanno cercato di saccheggiarci... gente che si

comporta in modo folle.”Lui pare sollevato. “Sì... vero... proprio un casino di merda. Devo andare.”Li supera e si precipita giù per il corridoio verso le gabbie degli zombie.Lilly lo guarda, accigliata.Qualcosa non torna.

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NOVEQuando arrivano all’infermeria, Lilly e Austin trovano il dottor Stevens curvo soprala sagoma seminuda di un maschio adulto privo di sensi, disteso su una barellanell’angolo. L’uomo, un trentenne ben piazzato dai capelli rossicci e la barbabrizzolata, ha un asciugamano buttato sopra i genitali e una fasciaturaimpregnata di sangue sul moncherino del polso destro. Il dottore gli stadelicatamente togliendo dalle spalle un corpetto protettivo schizzato di sangue.

“Doc? Ti ho portato un altro paziente” dice Lilly, attraversando la stanza conAustin, che trascina i piedi al suo fianco. Non ha idea di chi sia l’uomo svenutosulla barella. Austin, invece, sembra riconoscerlo subito e, dandole piano digomito, le sussurra: “È lui... il tizio che si è scontrato con il Governatore.”

“Che altro c’è ora?” chiede il dottore, alzando lo sguardo dalla lettiga eguardandoli dalla punta degli occhiali. Vede le dita di Austin sporche di sangue,premute contro le costole. “Mettilo lì, me ne occupo subito.” Il medico lanciaun’occhiata dietro di sé. “Alice, ci dai una mano con Austin?”

L’infermiera esce da un ripostiglio lì accanto con le braccia cariche di fasciaturedi cotone, cerotto e garze. Indossa il camice e ha i capelli raccolti dietro, perlasciare libero il volto giovanile: sembra esausta. Si affretta per la stanzacercando lo sguardo di Lilly, ma senza dire nulla.

Lilly aiuta Austin ad avvicinarsi a un lettino per le visite nell’angolo opposto.

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“Chi è il paziente, Doc?” chiede, facendo finta di niente e aiutando Austin asalire sul bordo del tavolo. Austin trema leggermente per una fitta di dolore, manon ci fa caso, intrigato com’è dall’uomo riverso e svenuto sulla barella. Alice glisi fa accanto e inizia ad aprire piano la cerniera della felpa di Austin, perispezionare la ferita.

Intanto il dottore infila con cura un camice da ospedale liso al suo sconosciutobrizzolato: lo fa passare dalla testa che ciondola e poi guida le braccia mollidentro le maniche. “Credo di aver sentito dire da qualcuno che si chiama Rick, manon ne sono sicuro.”

Lilly cammina verso la lettiga e posa sull’uomo svenuto uno sguardo disgustato.“Quello che ho sentito io è che ha aggredito il Governatore.”

Il dottore non la guarda; si limita a contrarre le labbra in una smorfia discetticismo, mentre allaccia il camice sul dietro. “E da chi l’avresti sentito, digrazia?”

“Da lui in persona.”Il medico sorride mesto. “Proprio come pensavo.” Le scocca uno sguardo. “E

davvero credi che ti abbia fornito la vera versione dei fatti?”“Che vuoi dire?” Lilly si avvicina, abbassando lo sguardo sull’uomo sulla barella.

Con l’espressione assente e confusa del sonno, con la bocca dischiusa che emetterespiri corti e deboli, quell’uomo dai capelli rossicci potrebbe essere chiunque. Unmacellaio, un fornaio, un fabbricante di candelieri... un serial killer, un santo...chiunque. “Perché mai il Governatore avrebbe dovuto mentire su una cosa così? A

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che pro?”Il dottore finisce di allacciare il camice e poi adagia un lenzuolo sopra il

paziente. “A quanto pare hai scordato che il tuo impavido capo è un bugiardocongenito.” Stevens lo dice in maniera distratta, come se comunicasse l’ora o latemperatura. È in piedi davanti a Lilly. “Storia vecchia, Lilly. Cerca la parola‘sociopatico’ e ci trovi la sua faccia accanto.”

“Ascolta... io non dico che sia Madre Teresa... ma se fosse esattamente ciò checi serve in questo momento?”

Il dottore la guarda. “Ciò che ci serve? Credi sul serio che lui sia ciò che ciserve?” Stevens scuote la testa, distoglie lo sguardo e si avvicina allo schermo diun saturimetro su un tavolo vicino alla barella. La macchina è spenta e loschermo è bianco. È collegato a una batteria da automobile da dodici volt esembra appena caduto dal cassone di un camion. Stevens ci armeggia unmomento e risistema i terminali. “Sai cos’è che ci serve davvero? Un monitor chefunzioni, ecco cosa.”

“Dobbiamo restare uniti” insiste Lilly. “Quelle persone sono una minaccia.”Il dottore si gira furente verso di lei. “Quand’è che sei entrata nella setta, Lilly?

Una volta sei stata tu a dirmi che il Governatore è la minaccia più grossa per lanostra sicurezza. Ricordi? Che fine ha fatto la ragazza ribelle?”

Lilly lo guarda di traverso. Nella stanza non vola una mosca. Alice e Austinavvertono la tensione e il loro silenzio contribuisce ad accrescere l’imbarazzo. Lillydice: “Quella volta poteva ucciderci tutti, ma non l’ha fatto. Io voglio solo

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sopravvivere. E tu, per quale motivo ce l’hai tanto con lui?”“Il motivo, come dici tu, è steso laggiù” dice il dottore, indicando l’uomo senza

sensi. “Ho idea che sia stato il Governatore ad aggredire lui.”“Di che parli?”Il dottore annuisce. “L’ha attaccato senza essere stato provocato, ecco di che

parlo. Il Governatore ha mutilato quell’uomo.”“Ma è ridicolo.”Il dottore la studia. E il suo tono di voce cambia, si abbassa, diventa freddo.

“Cosa ti è successo?”“Quello che ho detto, Doc: sto solo cercando di sopravvivere.”“Usa la testa, Lilly. Perché mai quelle persone avrebbero dovuto venirsene a

zonzo fino a qui con brutte intenzioni? Stanno solo brancolando nel buio, comenoi.”

Torna a guardare l’uomo sulla lettiga. Gli occhi del paziente si muovono a scattisotto le palpebre, sintomo di un sogno disperato e febbricitante. Per un attimo ilsuo respiro diventa agitato, ma poi si calma di nuovo.

Il silenzio si allunga. Alla fine, a parlare è Austin, dall’altro lato della stanza.“Doc: con lui c’erano altri due, un tizio più giovane e una donna. Sai dove sono?Che fine hanno fatto?”

Stevens si limita a scuotere la testa, guardando il pavimento. La voce gli escedalle labbra in un sussurro flebile. “Non lo so.” Poi guarda Lilly. “Ma lascia che telo dica... in questo momento non vorrei essere nei loro panni.”

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Da dietro la porta sigillata di una rimessa in fondo a un corridoio solitario nelloscantinato dell’arena si ode una voce smorzata. È una voce femminile, rauca perla stanchezza e tirata per la tensione nervosa, una voce bassa e indecifrabile peri due uomini in piedi fuori dalla porta.

“Da quando l’ho messa lì dentro non ha mai smesso” dice Bruce al Governatore,che sta davanti alla porta a braccia conserte. “Continua a parlare da sola.”

“Interessante” commenta il Governatore: i suoi sensi sono affilati dalla violenzalatente nell’aria. Il brontolio dei generatori gli rimbomba nelle ossa. Riesce adistinguere il tanfo del marciume e dell’intonaco ammuffito.

“Questa è gente fuori di testa” aggiunge Bruce, scuotendo il cranio lucido, conla mano posata istintivamente sull’impugnatura della calibro .45 che tiene nellafondina sul fianco.

“Già... matti da legare” mormora il Governatore. L’orecchio gli pulsa. La pellegli pizzica per la trepidazione. Controllo. Il ritornello ribolle nella voce che vivenello scomparto più profondo del suo cervello: Le donne sono fatte per esserecontrollate... guidate... spezzate.

Per un istante fugace, Philip Blake ha la sensazione che una parte di lui siauscita dal suo corpo e osservi da fuori lo svolgersi della scena. È affascinato dallavoce interiore che è ormai la sua seconda natura, una seconda pelle: Deviscoprire cosa sanno quelle persone, da dove vengono, cosa possiedono e, cosapiù importante di tutte, quanto sono pericolose.

“Quella signorina là dentro è una cazzo di dura” dice Bruce. “Non ti dirà niente.”

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“So io come spezzarla” sussurra il Governatore. “Lascia fare a me.”Respira profondamente, inspira piano e si prepara. La situazione è pericolosa.

Quella gente potrebbe fargli male con grande facilità, potrebbe fare a pezzi la suacomunità, e lui deve fare appello alla parte di se stesso che sa come far male aglialtri, che sa come spezzare la gente, che sa come controllare le donne. Non batteciglio.

Semplicemente si gira verso Bruce e dice: “Apri”.La saracinesca arrugginita si solleva, facendo stridere le rotelle e sbattendo

contro il binario in alto. La donna al buio in fondo al recinto strattona le corde chela tengono legata; le lunghe trecce rasta sono aggrovigliate sul viso.

“Chiedo scusa” dice il Governatore. “Non volevo interromperti.”Nello spiraglio di luce che giunge dal corridoio, l’occhio sinistro della donna

brilla da una fessura nelle trecce, e quell’occhio inquadra malevolo i visitatori chetroneggiano come giganti nel corridoio, sagomati dalle lampade grigliate lungo ilsoffitto alle loro spalle.

Il Governatore si avvicina di un passo. Bruce entra dietro di lui. “Mi sembravache stessi avendo una vivace e allegra conversazione con... scusa, maesattamente con chi è che stavi parlando? Ma no, lascia perdere, non m’importa.Vediamo di cominciare.”

La donna sul pavimento, con il collo sottile legato al muro nero, ricorda unanimale esotico tenuto al guinzaglio dentro un recinto: scura, flessuosa, agile,come una pantera, anche nei suoi consunti e malconci abiti da lavoro. Le braccia

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sono legate ai due angoli della camera e la pelle color caffè espresso brilla per ilsudore. Le trecce da Medusa luccicano fluenti sulle spalle e la schiena. Attraversoi capelli fissa l’uomo atletico che si avvicina a lei con calma minacciosa.

“Bruce, fammi un favore.” Il Governatore parla con il tono assente e pragmaticodi un operaio che si appresta ad aggiustare un tubo rotto o a riempire una buca.“Toglile gli slip e lega una gamba a quel muro laggiù.”

Bruce avanza e fa quanto gli è stato detto. Quando le tira giù le mutande, ladonna si tende. Bruce agisce con la sicurezza brusca di chi toglie un cerotto dauna ferita. Poi indietreggia di un passo, prende una bobina di fune dalla cintura ecomincia a legare una gamba.

“E adesso lega l’altra gamba a quel muro lì” lo istruisce il Governatore.La donna non gli toglie gli occhi di dosso. Lo guarda in cagnesco, gli occhi colmi

di un odio capace di saldare l’acciaio.Il Governatore le si avvicina e comincia a slacciarsi la cintura. “Non agitarti

troppo, ragazza, non subito.” Sgancia la cintura e si sbottona i pantaloni mimetici.“Tra poco avrai bisogno di tutte le tue energie.”

La ragazza sul pavimento lo fissa con l’intensità di un buco nero che inghiotte lamateria. Ogni particella della stanza, ogni molecola, ogni atomo è attirato verso ilvuoto nero dei suoi occhi. Il Governatore si avvicina. Si alimenta del suo odiocome una calamita.

“Quando hai finito, Bruce... lasciaci soli” dice il Governatore, con lo sguardofisso sulla donna. “Ci serve un po’ di privacy.” Le sorride. “E uscendo chiudi la

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porta.” Il suo sorriso si allarga. “Dimmi una cosa, ragazza. Quanto credi che mi civoglia per rovinarti la vita, per frantumare il tuo senso di sicurezza, per farti apezzi?”

Dalla donna non giunge risposta, solo lo sguardo primordiale dell’animale che sirizza prima di uno scontro mortale.

“Secondo me, più o meno mezz’ora.” Ancora quel sorriso. Lo sguardo di sbieco,da serpente. Ormai è a solo pochi centimetri da lei. “Ma a dire il vero, ho inmente di farlo ogni giorno finché posso...” I pantaloni sono all’altezza dellecaviglie. Quando Bruce raggiunge la porta, il Governatore se li sfila. Un brivido glicorre lungo la schiena.

Bruce esce e la porta esterna scende sbattendo. Il riverbero del colpo fasussultare la donna, seppur leggermente.

Il Governatore si toglie la biancheria e la sua voce riempie lo spazio vuoto.“Sarà uno spasso.”

In superficie. Nell’aria della notte. Nel silenzio della città buia. Tardi. Due figurecamminano fianco a fianco davanti alle vetrine fatiscenti.

“Non riesco a venire a capo di tutta questa merda” dice Austin Ballard,passeggiando con le mani in tasca lungo la via desolata. Rabbrividisce per ilfreddo con il cappuccio tirato sopra i capelli. La paura per ciò che ha appena vistoindugia sul suo viso, dove si manifesta in lampi fugaci, mentre la luceintermittente si diffonde sulla strada.

“La sala in cui li nutrono?” Lilly cammina lenta accanto a lui con il giubbotto

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jeans abbottonato fino al collo. Si stringe le braccia intorno al tronco in un gestoinconscio di autoprotezione.

“Già... quello e anche il tizio con la mano tagliata. Che cazzo sta succedendo,Lilly?”

Lei fa per rispondere quando la detonazione di una raffica di grosso calibroecheggia in lontananza. Il rumore li fa sobbalzare entrambi. Martinez e i suoiragazzi sono ancora là fuori, a sgobbare fino a tarda notte, per eliminare gliazzannatori vaganti attirati al muro dal trambusto dell’arena nella pista.

“La solita roba” dice Lilly, senza crederci davvero. “Ci farai l’abitudine.”“A volte mi sembra che gli zombie siano l’ultimo dei nostri problemi.” Austin

rabbrividisce. “Pensi davvero che quella gente avesse intenzione disaccheggiarci?”

“E chi lo sa?”“Quanti altri ce ne saranno?”Lei alza le spalle. Non riesce a scuotersi di dosso la sensazione confusa e

viscerale che qualcosa di pericoloso e inesorabile sia già cominciato. Simile a unghiacciaio nero e sinistro che si muove impercettibile sotto i loro piedi, il corsodegli eventi sembra scivolare verso un orizzonte indefinito. E per la prima voltada quando si è imbattuta in quella piccola comunità raffazzonata... Lilly Caulprova fin nelle ossa una paura che nemmeno lei sa identificare. “Non lo so” dicealla fine “ma mi sa che per un po’ possiamo dire addio all’idea di farci una nottedi sonno tranquilla.”

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“A essere onesti, non è che abbia dormito granché da quando è iniziata laSvolta.” Una fitta di dolore dalla ferita lo fa trasalire. Si porta una mano al fianco.“In effetti, da quando è cominciata non ho più dormito per una intera nottata.“

”Nemmeno io.“Camminano ancora un po’ in silenzio... poi Austin dice: ”Posso farti una

domanda?“.“Dai.”“Sul serio adesso sei dalla parte del Governatore?”Lilly si sta chiedendo la stessa cosa. È forse un caso di sindrome di Stoccolma,

lo strano fenomeno psicologico per cui gli ostaggi cominciano a provare empatiae sentimenti positivi verso i loro carcerieri? Oppure sta proiettando tutta la suarabbia e le sue emozioni represse su quell’uomo come se fosse una specie dicane da guerra collegato direttamente al suo io? Lilly non sa rispondere; sa soloche ha paura. “Lo so che è uno psicopatico” dice alla fine, misurando le parole.“Credimi... se le circostanze fossero diverse... attraverserei la strada e me neandrei dall’altra parte se lo vedessi venire verso di me.”

Austin sembra insoddisfatto, ansioso, ammutolito. “Vuoi dire... che è un po’ ilvecchio discorso del ‘quando il gioco si fa duro...’? Una roba così?”

Lei lo guarda.“Dico che sapendo quello che c’è là fuori, potremmo ritrovarci inserio pericolo. Forse il pericolo peggiore da quando questa cittadina è stataconsolidata.” Ci pensa un po’. “Forse vedo nel Governatore... non so... una speciedi fuoco che estingue il fuoco.” Poi, un po’ più dolce e meno sicura di sé,

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aggiunge: “Finché è dalla nostra parte”.Un’altra raffica di spari crepita in lontananza, facendoli scattare.Arrivano in fondo alla strada principale, dove due vie si intersecano con un

passaggio a livello pietrificato. Nel buio della notte, il cartello stradale fatiscentee le erbacce che arrivano fino alle spalle evocano un paesaggio da fine delmondo. Lilly si ferma: si prepara ad andare per la sua strada verso il suoappartamento a nord.

“Okay, be’, a ogni modo...” Austin sembra non sapere cosa fare delle sue mani.“Prepariamoci a un’altra notte insonne.”

Lei gli rivolge un sorriso stanco. “Senti un po’... perché non vieni da me e miannoi ancora con i tuoi racconti di quando surfavi lungo le coste di Panama CityBeach? Chissà, magari mi sfinisci al punto che riesco ad addormentarmi.”

Per un attimo, Austin Ballard sembra un animale al quale sia appena stata toltauna spina dalla zampa.

Si sistemano per la notte nel soggiorno improvvisato di Lilly, in mezzo agliscatoloni, gli scampoli di moquette e le cose inutili lasciate dagli anonimi inquiliniprecedenti. Lilly prepara del caffè istantaneo su uno scaldavivande. Poi si siedonoalla luce della lanterna e parlano. Parlano della loro infanzia, dell’innocuoambiente suburbano che condividono, un ambiente fatto di vicoli ciechi,squadriglie di scout e baracchini di hot-dog; e poi arrivano all’inevitabileconversazione post Svolta, di cosa faranno se e quando si troverà una cura e iguai finiranno. Austin dice che probabilmente si trasferirà al caldo, si troverà una

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brava ragazza, metterà su casa e un laboratorio di tavole da surf o qualcosa delgenere. Lilly gli racconta il suo sogno di diventare stilista, di andare a New York,come se New York esistesse ancora, e di farsi un nome. Si scopre sempre piùaffezionata a quel giovane uomo arruffato e dall’animo buono. Si meraviglia chesotto l’aspetto da spaccone si nasconda una persona tanto nobile e gentile. Sichiede se l’atteggiarsi a playboy non sia soltanto un balordo meccanismo didifesa. O forse anche lui vive la stessa cosa che, in questo momento, vive ognialtro superstite, la cosa a cui nessuno sa dare un nome, ma che somiglia a unaspecie di violento disturbo da stress. E comunque, a prescindere dalle sueepifanie riguardo ad Austin, Lilly è contenta che quella notte le tenga compagniae i due continuano a parlare fino alle ore piccole.

A un certo punto, a tarda notte, dopo un lungo momento di silenzioimbarazzato, Lilly si guarda intorno nell’appartamento buio e pensa: cerca diricordare dove ha messo la sua piccola scorta di bumba. “Sai cosa?” dice alla fine.“Se la memoria non m’inganna, credo di avere mezza bottiglia di SouthernComfort nascosta in caso di emergenza.”

Austin le rivolge un’occhiata interrogativa. “Sicura di volerlo dividerlo con me?”Lei fa spallucce, si alza dal divano e attraversa la stanza diretta verso una pila

di cassette. “Quale occasione migliore?” mormora, rovistando tra le coperte,l’acqua in bottiglia, le munizioni, i cerotti, il disinfettante. “Eccoti qua, bellezza”dice alla fine, quando localizza la bottiglia di bellissimo vetro satinato piena diliquore di colore ambrato.

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Torna indietro, togliendo il tappo. “A una buona nottata di sonno!” Dopo ilbrindisi, ingurgita una generosa sorsata e si asciuga le labbra.

Si siede sul divano vicino a lui e gli porge la bottiglia. Austin, che continua afremere per il dolore al fianco, beve e poi fa una smorfia per il bruciore nella golae per la fitta nella gabbia toracica. “Gesù, che razza di femminuccia.”

“Di che parli? Non sei una femminuccia. Non conosco molti ragazzi della tua etàche partecipano alle spedizioni... o che si sbattono fuori dalla zona sicura.”Prende la bottiglia e manda giù un altro sorso. “Starai benissimo.”

Lui la guarda. “Un ragazzo della mia età’? E tu cosa saresti, un’anziana? Hoquasi ventitré anni, Lilly.” Sul suo viso si allarga un sorriso. “Dammi quella cosa.”Prende la bottiglia e inghiotte un altro sorso, fremendo per il bruciore. Tossisce esi preme il fianco. “Cazzo!”

Lei soffoca una risatina. “Tutto a posto? Vuoi un po’ d’acqua? No?” Gli prende labottiglia e beve ancora. “La verità è che sono grande abbastanza per essere latua... sorella maggiore.” Fa un rutto. Poi ridacchia, coprendosi la bocca. “GesùSanto, scusa.”

Lui ride. Il dolore sale di nuovo dalla gabbia toracica, facendolo trasalire.Bevono e parlano per un po’, finché Austin comincia a tossire ancora, tenendosi

il fianco.“Tutto okay?” Lilly allunga una mano e gli toglie una ciocca di riccioli dagli

occhi. “Vuoi un Tylenol12?”“Sto bene!” esclama lui, emettendo un sospiro di dolore. “Scusa... grazie per

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l’offerta, ma sto bene.” Allunga un braccio e le tocca la mano. “Scusa se sonocosì... irritabile. È che mi sento un idiota... un invalido del cazzo. Come ho fatto aessere tanto maldestro?”

Lei lo guarda. “Mi faresti il favore di chiudere il becco? Non sei maldestro e nonsei un invalido.”

Lui la guarda. “Grazie.” Le sfiora la mano. “Lo apprezzo.”Per un attimo, Lilly ha la sensazione che l’oscurità che la circonda muti, si

confonda. Sente che il suo corpo si distende, sente il calore fluire dalla pancia giùfino alle dita dei piedi. Ha voglia di baciarlo. Anzi, a dirla tutta, ha moltissimavoglia di baciarlo. Vuole dimostrargli che non è un coniglio... che è un uomo,buono, forte, virile, nobile. Ma qualcosa la trattiene. Non è brava in questogenere di cose. Non è che sia una santarellina: anzi, ha avuto parecchi uomini.Ma non può permettersi di farlo. E così si limita a guardarlo; ma, a quanto pare,lui interpreta l’espressione sul suo viso come un segnale che sta per succederequalcosa di interessante. Il suo sorriso svanisce. Le accarezza il viso. Lei si bagnale labbra, valuta la situazione, muore dalla voglia di prenderlo e coprirgli il viso dibaci feroci.

Alla fine, lui rompe la tensione e dice: “Vuoi monopolizzare quella bottiglia peril resto della notte?”.

Lei ride e gliela passa. Lui butta giù una serie enorme di sorsate, facendo fuoriuna grossa porzione del liquore rimanente. Questa volta non rabbrividisce. E nonsussulta. Si limita a guardarla e dice: “Forse faccio meglio a dirtelo, però.” I suoi

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grandi occhi castani si riempiono di imbarazzo, rimpianto e forse anche di un po’di vergogna. “Non ho un preservativo.”

Comincia con uno sghignazzare ubriaco. Lilly esplode in una risata fragorosache le nasce dal fondo della pancia: è da quando è scoppiata l’epidemia che nonride così. Si piega in due dal ridere finché non le fanno male i fianchi e gli occhiiniziano ad appannarsi per le lacrime. Austin non può fare a meno di unirsi a lei eanche lui ride, e ride, finché non si rende conto che Lilly lo ha afferrato per lafelpa, dicendo qualcosa tipo che non gliene frega un cazzo dei preservativi. Eprima che anche loro capiscano cosa stia succedendo, lei gli ha tirato il viso versoil suo e le loro labbra si sono unite come ventose.

La passione alimentata dall’alcool esplode. Si avvinghiano e cominciano apomiciare con tale trasporto che rovesciano la bottiglia, la lampada vicino aldivano e la pila di libri che Lilly aveva intenzione di leggere, prima o poi. Austinscivola fuori dal bordo del divano e va a sbattere contro il pavimento. Lilly loplacca e gli ficca la lingua in bocca. Sente il sapore dolce del liquore nel suorespiro e il muschio pungente del suo profumo, poi si rifugia tra le sue gambe.

Si immergono nel calore che scorre l’uno dall’altra, il calore del desideriorepresso per tanti mesi, e ci danno dentro per diversi minuti lì sul pavimento.Austin le accarezza la curva del seno sotto la canotta, i fianchi morbidi e il puntoprezioso in mezzo alle gambe. Lei si bagna, respira forte e veloce, accaldata perl’eccitazione. Ma poi capisce che lui trema di nuovo per il dolore al fianco, vede lafasciatura che tira verso il petto e si ritrae. Quella vista le spezza il cuore; si

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sente in colpa e adesso vuole terribilmente porvi rimedio.“Vieni qui” dice, prendendogli la mano e riportandolo sul divano. “Guardami” gli

sussurra, mentre lui crolla sul sofà senza fiato. “Guardami soltanto.”Gli toglie i vestiti, uno alla volta, senza staccargli gli occhi di dosso. Lui ha già

le mani sulla cintura e la slaccia. Lei si sfila la canottiera e lo fissa con occhi chebrillano. Si prende il suo tempo. Ripiega ogni indumento via via che lo toglie, ijeans, il reggiseno, le mutandine, trafiggendolo, tenendolo avvinto, finché nonresta completamente nuda nello squarcio della luce lunare davanti a lui. I capellile ricadono sul viso e la testa le gira, stordita dal liquore e dal desiderio. Le vienela pelle d’oca sulle braccia.

Va da lui senza dire nient’altro. E senza smettere di guardarlo, gli si siedesopra. Lo guida dentro di sé e lui ansima, emettendo un sospiro vigoroso. È unasensazione incredibile. Lei dondola ritmicamente su e giù e il suo campo visivo siriempie di scariche di luce e scintille. Lui inarca la schiena e si spinge dentro dilei. Non è più ferito. Non è più un ragazzino che cerca di fare il fico.

Austin viene per primo e il suo orgasmo li fa tremare entrambi. Lilly freme: èuna sensazione di formicolio che comincia dalla punta delle dita dei piedi, scorrein lei fino a convergere nel plesso solare, dove esplode. L’orgasmo la scuote e perpoco non la stacca da lui, ma lei si tiene ai suoi riccioli lunghi e lucenti, e siaccascia tra le sue braccia in un groviglio di sudata soddisfazione. Crollano l’unasull’altro, stringendosi a vicenda e lasciando che la calma torni come una mareache si ritrae.

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Rimangono così, reciprocamente avvinti per un tempo lunghissimo, ad ascoltareun silenzio rotto solo dalla sinfonia sincopata del loro stesso respiro. Lilly si tira suuna coperta e torna alla dura realtà. Un dolore lancinante le parte dalle tempie,proseguendo giù per il setto nasale. Cos’ha fatto? Quando il ronzio svanisce, unvago senso di rimpianto le annoda le viscere: guarda fuori dalla finestra. Alla fine,comincia a dire: “Austin, ascolta...”

“No.” Lui le accarezza la spalla e si alza i pantaloni. “Non dirlo.”“Dire cosa?”Lui si stringe nelle spalle. “Non so... qualcosa tipo che è stata una così... e non

dovremmo rifarlo... ed è stata colpa dell’alcool o qualcosa del genere.”Lei sorride triste. “Non volevo dire questo.”Lui la guarda e sorride. “Voglio fare la cosa giusta con te, Lilly... non voglio farti

pressioni.”Lei lo bacia sulla fronte.E poi mettono ordine nel casino che hanno fatto: raccolgono il contenuto sparso

del tavolino, sistemano le lampade al loro posto, impilano i libri, si rinfilano ivestiti. Non hanno molto altro da dire, sebbene muoiano entrambi dalla voglia diparlarne.

Più tardi, quasi all’alba, Austin dice: “Sai... una cosa soprattutto mi disturbavadi quella ‘sala da pranzo’ nei garage sotto la pista.”

Lei lo guarda, lasciandosi cadere sul divano, esausta. “Cosa?”Lui inghiotte l’aria. “Non vorrei sembrarti morboso, ma c’è una cosa che non mi

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tornava.”“Cosa?”Lui la guarda. “Okay... dunque... apparentemente il Governatore ha dato i

cadaveri del pilota e della ragazza dell’elicottero a quegli zombie. Giusto?”Lilly annuisce: non ha nessuna voglia di ripensarci. “Sì, immagino di sì.

Purtroppo.”Lui si morde il labbro. “Lo ripeto; non voglio sembrarti morboso, ma non riesco

a togliermi di dosso la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato.”“E sarebbe?”Lui la guarda. “Le loro teste. Non c’erano. Che fine hanno fatto quelle cazzo di

teste?”

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DIECIBruce Allan Cooper se ne sta in piedi davanti alla saracinesca nello scantinatosotto l’arena. Sopra di lui una sola lampada grigliata al tungsteno fornisce latremolante illuminazione nello stretto corridoio. L’uomo scaccia dalla mente isuoni che provengono dall’altro lato della porta: come diavolo può un uomo farloper così tanto tempo? Le grida furiose della ragazza nera sono ormai degeneratein singhiozzi confusi e strozzati.

Bruce tiene le sue braccia, grosse come i tubi di una stufa, conserte sul petto ela sua mente continua a vagare nel ricordo dei tempi pre-epidemia, quandogestiva il distributore di benzina insieme al suo vecchio. Pure allora gli capitava diperdere la cognizione del tempo, sepolto nel motore di una Camaro con alberi acamme e camere di combustione emisferiche. E anche adesso ha perso lacognizione del tempo. Ripensa alla sua vecchia fidanzata, Shauna, e a quanto cidavano dentro: il ricordo lo rende felice in un modo vagamente malinconico. Maquesto. Questo è diverso.

È lì in piedi da così tanto che comincia ad avere i crampi e non fa che spostareil peso da una gamba all’altra. Pesa oltre centodieci chili e ha i muscoli di unoscaricatore, ma questo è ridicolo. C’è un limite al tempo in cui può reggersi lì inpiedi.

Negli ultimi venti minuti, ha sentito i sussurri bassi della voce del Governatore,

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che sprona la donna, la schernisce, la punzecchia. Dio solo sa cosa le sta facendoadesso.

Cala il silenzio.Bruce accosta l’orecchio alla porta: Cosa cazzo le sta facendo?Nel buio della cella di detenzione, il Governatore si erge sopra la figura

accasciata della donna: si allaccia i pantaloni e si alza la lampo. Le corde ai polsisanguinanti della donna sono l’unica cosa che tiene sollevato dal pavimento il suocorpo devastato. Il respiro sfiancato riempie il silenzio, le trecce le ricadono sulviso malconcio. Un misto di lacrime, muco e sangue le gocciola sulle labbragonfie.

Il Governatore riprende fiato, si sente bene, esausto, accaldato per lo sforzo.Abbassa lo sguardo su di lei: ha le mani indolenzite e le nocche scorticate perquanto si è dato da fare, per quante volte le ha preso a pugni i denti. È diventatobravo a strangolarla fin quasi al punto di farla svenire e poi a riportarla indietroproprio all’ultimo istante, con un ceffone o un cazzotto nel ventre assestati almomento giusto. Si è tenuto alla larga dalla bocca il più possibile, ma si èprodigato con gli altri orifizi con grande cura. Il motore che gli romba dentro haalimentato i suoi affondi, lo ha mantenuto lucido e forte.

“Okay... lo ammetto” dice con calma. “Mi sono lasciato un po’ andare.”Lei ansima, sbuffa: a tenerla cosciente è un filo sottilissimo. Non riesce ad

alzare la testa, ma è chiaro che vorrebbe farlo. Vuole davvero dirgli qualcosa. Sulpavimento sotto di lei si è formata una pozzanghera di fluidi e sangue; le lunghe

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trecce penzolano scarmigliate. La maglietta di elastan è tutta bucherellata esquarciata all’altezza del seno. La parte inferiore del corpo, nuda e tenuta apertadalle funi, luccica di sudore; sulla carne color caramello sono visibili i lividi e leabrasioni del lavoro del Governatore.

Lui la fissa. “Ma non ho rimorsi. Mi sono goduto ogni minuto. E tu?” Aspetta divedere se dice qualcosa. Lei rantola, sospira, emette una combinazione confusadi tosse, singhiozzi e lamenti. Lui sorride. “No? Avrei detto il contrario.”

Si dirige alla porta e batte un colpo. Poi si liscia i lunghi capelli neri. “Quiabbiamo finito!” grida a Bruce. “Fammi uscire!”

La porta stride sulle rotelle e lascia entrare la luce forte del corridoio.Bruce se ne sta lì, silenzioso e stoico come l’indiano di legno davanti a una

tabaccheria. Il Governatore evita di guardarlo. Si gira verso la donna sulpavimento, piega la testa e la studia un istante. È una tipa dura, non c’è dubbio.Bruce aveva ragione. Non c’è stato verso di farla parlare, quella troia. Ma adesso,adesso, il Governatore nota qualcosa in lei che gli scatena un inaspettato brividodi piacere. Deve guardare più da vicino, con tutti quei capelli che le ricadono sullafaccia coprendo i lineamenti, ma il rumore è chiarissimo. Il Governatore lodistingue e sogghigna.

La ragazza sta piangendo.Il Governatore se ne compiace. “Continua così, dolcezza, piangi più che puoi.

Buttalo fuori tutto. Te lo sei guadagnato. Non hai niente di cui vergognarti. Piangipure tutte le tue lacrime.” Si volta per andarsene.

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Ma poi, sente qualcos’altro e si ferma. Torna a guardarla e piega di nuovo latesta. Per un attimo brevissimo, crede di sentirla dire qualcosa. Ascolta piùattentamente e lo sente, tra gli sbuffi dell’agonia.

“Non... sto piangendo per me” dice lei, con la testa che le ciondola per il dolore.Per buttar fuori le parole ha bisogno di risucchiare l’aria con respiri corti e deboli.“Piango... per te.”

Lui la fissa.Lei alza la testa abbastanza per guardarlo dritto negli occhi tra la tenda delle

trecce madide. Il volto scuro è coperto di muco e sangue, le lacrime le rigano leguance gonfie: lo trafigge con lo sguardo. E per un momento, per un istantesoltanto, tutto il dolore, la disperazione, l’angoscia, il senso di perdita e sconfortodel mondo abbrutito dall’epidemia appaiono sul suo viso scolpito e profanato...finché tutto quanto non viene cauterizzato nello spazio di un respiro dal caloreincandescente del suo odio puro... e quel che resta è una maschera di ferinoistinto omicida. “Penso a tutte le cose che ti farò” dice in tono monocorde, quasicalmo “e il pensiero mi fa piangere, mi spaventa.”

Il Governatore sorride. “Carino da parte tua. Ma adesso farai meglio a riposartiun po’. Più tardi verrà un tizio a darti una ripulita, forse ti medicherà. E forse se laspasserà un po’ anche lui. Ma più che altro ti preparerà per quando tornerò.” Lefa l’occhiolino. “Te lo dico perché lo so che non vedi l’ora.” Si volta e le fa uncenno di saluto con la mano mentre si allontana. “A dopo.”

Esce.

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La saracinesca si abbassa con un tonfo metallico.Quando il Governatore torna al suo appartamento il sole si sta alzando.L’aria profuma di pulito, di terra fertile e trifogli. La luce dorata e la brezza di

quel mattino di primavera in Georgia spazzano via l’atmosfera lugubre dellecatacombe. Lungo la strada il Governatore fa la muta: perde la pelle del duro eindossa quella del buon capo di città. Incontra alcuni mattinieri e rivolge lorocenni amichevoli, augurandogli una buona giornata con il sorriso gioviale di unosceriffo di paese.

Ormai sta quasi saltellando: è il signore del suo piccolo feudo. I pensieri difemmine da spezzare e forestieri da controllare svaporano, spinti nei recessi piùprofondi della sua mente. Il rombo dei camion e dei chiodi che si conficcano nellegno riempiono già l’aria: Martinez e la sua squadra stanno fortificando le nuovesezioni della barricata.

Mentre s’appressa al suo edificio il Governatore incontra una donna con i suoidue figli, due ragazzini che scorrazzano per la strada.

Il Governatore sorride ai bambini spostandosi dal loro tragitto. “‘Giorno” dicealla madre con un cenno.

Preoccupata per i suoi piccoli, la donna, un donnone di Augusta, grida:“Bambini, per favore! Vi ho detto di non correre!” Poi rivolge a Philip un saluto eun accenno di sorriso. “‘Giorno, Governatore.”

L’uomo prosegue e vede Bob curvo sul marciapiedi vicino ai gradini.“Bob, ti prego” dice, avvicinandosi al rottame umano accucciato sotto un

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tendolino accanto all’ingresso del Governatore. “Mangia qualcosa. Non possovederti lasciarti andare così. Ci siamo sbarazzati del sistema del baratto: tidaranno qualcosa.”

Bob gorgoglia e rutta. “Va bene... okay... se questo ti farà smettere di farmi dachioccia.”

“Grazie, Bob” dice il Governatore, diretto verso l’atrio. “Sono solo preoccupatoper te.”

Bob borbotta qualcosa che suona come: “Sì, come no...”Il Governatore entra nel suo palazzo. Un insetto, un moscone enorme, ronza

per le scale. I corridoi sono silenziosi come cripte vuote.Dentro l’appartamento, trova la sua bambina morta rannicchiata sul pavimento

del soggiorno, intenta a fissare lo sguardo vacuo sulla moquette macchiata e arantolare come se russasse. Emana fetore tutt’intorno. Il Governatore le siavvicina, colmo di affetto. “Lo so, lo so” le dice in tono amorevole. “Scusa se hofatto così tardi... o tanto presto. Dipende dai punti di vista.”

Lei ruggisce all’improvviso: un ringhio stridulo che le esce da dentro come ilgemito di un gatto torturato. Scatta in piedi e gli si scaglia contro.

Lui le dà una sberla, forte, un manrovescio, mandandola a sbattere contro laparete. “Comportati bene, per Dio!”

Lei barcolla e lo guarda con occhi lattiginosi. Un’espressione come di paura leappare sul volto livido, contrae l’apertura priva di labbra della bocca e la fasembrare stranamente timida e docile. A quella vista il Governatore si sgonfia.

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“Scusami, piccola.” Si chiede se abbia fame. “Perché sei tanto arrabbiataultimamente?” Nota che il suo secchio è capovolto. “Niente pappa, eh?”

Raccoglie il secchio e ci rimette dentro un piede mozzato. “Devi stare piùattenta. Se rovesci il secchio, rotola tutto fuori dalla tua portata. Dovresti saperloormai.”

Guarda dentro il secchio. Il contenuto è in avanzato stato di decomposizione. Ipezzi di carne umana sono ricoperti di muffa ed emanano un fetore indescrivibile,da far letteralmente lacrimare gli occhi. Galleggiano in una sostanza densa eviscosa, fin troppo familiare a qualunque patologo: il viscidume giallo simile allabile che segnala l’estremo stadio della decomposizione dei tessuti morti, quandotutti i vermi e i mosconi se ne sono ormai andati e lasciandosi dietro soltanto unmucchio di proteine essicate.

“Non lo vuoi?” chiede il Governatore alla ragazzina morta, pescando il piedegonfio e annerito dal bidone con un gesto disgustato. Lo tiene con il pollice el’indice, formando una specie di pinza, e lo getta alla creatura. “Tieni... mangia.”

Lei si mette a quattro zampe e s’ingozza del boccone, con la schiena arcuata eun fervore scimmiesco. D’un tratto sembra irrigidirsi per il sapore. “PFUH!”grugnisce, sputando i pezzetti masticati.

Il Governatore se ne va scuotendo la testa mesto e si dirige verso la sala dapranzo, rimproverandola. “Hai visto...? Hai rovesciato il secchio e adesso il tuocibo è andato a male. Colpa tua.” Poi, abbassando la voce, aggiunge tra i denti:“Del resto, non capisco come riesci a mangiare quella roba, anche quando è

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fresca....”Si lascia cadere sulla poltrona Barcalounger, che si reclina con un cigolio. Ha le

palpebre pesanti, le articolazioni doloranti, i genitali infiammati per tutto losforzo. Si stende e ripensa alla volta che ha veramente assaggiato il cibo diPenny.

Era stato nel cuore della notte, circa tre mesi prima. Il Governatore era ubriacoe cercava di calmare la bambina morta. Era successo in modo quasi spontaneo.Semplicemente aveva afferrato un pezzo di tessuto, la parte di un dito umano, dicui non ricordava nemmeno il proprietario, e se l’era ficcato in bocca.Contrariamente a tutte le battute, non sapeva nemmeno lontanamente di pollo.Aveva un sapore più amaro, metallico, di selvaggina; sapeva di ferro come ilsangue, ma con una sensazione al palato simile alla carne stufata molto dura egranulosa. L’aveva sputato subito.

Tra i buongustai vige l’assioma secondo il quale il cibo più vicino percomposizione genetica al suo consumatore è il più squisito, succulento egratificante. Da qui l’esistenza nelle culture orientali di piatti esotici come cervelladi scimpanzè trapanate e rigaglie varie. Ma Philip Blake sa che quella credenza èuna menzogna: gli umani sanno di merda. Forse se serviti crudi con l’aggiunta diqualche condimento, una tartare umana, per così dire, i tessuti e gli organipossono essere tollerabili, ma il Governatore non è ancora in vena disperimentare.

“Ti farò avere dell’altro cibo, tesoro” grida dolcemente al minuscolo cadavere

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nell’altra stanza, mentre si rilassa sulla poltrona e si appisola al suono riposantedelle bollicine che filtrano nell’ombra della sala da pranzo. I sibili lievi degliacquari sono onnipresenti nell’appartamento, come un rumore bianco ol’interferenza di un apparecchio televisivo defunto. “Ma oggi papà è stanco, habisogno di chiudere gli occhi... perciò dovrai aspettare, tesoro... finché non misveglio.”

Si addormenta subito al ronzio delle vasche d’acqua gorgoglianti. Quando ilrumore di qualcuno che bussa penetra il suo assopimento e lo fa saltare su, nonha idea di quanto tempo sia rimasto fuori dal mondo.

All’inizio pensa che a fare rumore sia Penny nell’altra stanza, ma poi lo senteancora, questa volta più forte: viene dalla porta sul retro. “Sarà meglio che ci siaun buon motivo” borbotta, arrancando attraverso l’appartamento.

Apre la porta. “Che c’è?”“Ecco quello che avevi chiesto” dice Gabe, in piedi fuori dalla doppia porta e

con un contenitore di metallo sporco di sangue in mano. L’uomo dal collo grossoha l’aria cupa e nervosa: incerto dell’umore del giorno, lancia un’occhiata dietro disé. La scatola di munizioni che regge, recuperata dalla base della GuardiaNazionale, gli serve da contenitore per organi improvvisato. Guarda ilGovernatore. “I due dell’elicottero.” Batte gli occhi. “Ah... ci ho messo anchequalcos’altro.” Un altro battito d’occhi. “Non so se volevi tenerli. Puoisbarazzartene se non li vuoi.”

“Grazie” biascica il Governatore, prendendo il contenitore. Il metallo è caldo e

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appiccicoso per il sangue. “Adesso lasciami dormire un po’, okay? Non far venirenessun altro.”

“Okay, capo.”Gabe si volta e scende le scale in fretta, felice di essersi liberato del pacco.Il Governatore chiude la porta, si gira e si dirige in sala da pranzo.Quando passa, Penny barcolla verso di lui, tirando la catena: lo annusa e

allunga i braccini morti verso quelle cose buone. Sente l’odore della carnenecrotica. I suoi occhi sono grandi monete argentate, che non si staccano dallascatola.

“No!” la rimprovera lui. “Questo non è per te, tesoro.”Lei latra e sputacchia.Lui si ferma. “E va bene... okay... aspetta un secondo.” Torna sulla sua

decisione, forza l’apertura del contenitore e ci infila una mano. Oggetti umidi ecarnosi sono racchiusi dentro grandi buste da freezer. Uno degli oggetti, unamano umana ricurva come un granchio bianco surgelato, fa comparire un ghignosulle labbra del Governatore. “Questa te lo posso anche dare.” Estrae la manoche una volta apparteneva all’intruso di nome Rick e la getta alla ragazzina.“Dovrebbe tenerti buona abbastanza per farmi schiacciare un pisolino.”

La bambina morta gozzoviglia con l’appendice gocciolante, producendo rumoriingordi, e la cartilagine scricchiola sotto i dentini neri come ossi di pollo. IlGovernatore si allontana, svolta l’angolo ed entra nella sala da pranzo con ilcontenitore.

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Nella camera fiocamente illuminata, estrae dalle buste gli altri due oggetti.“Avete visite, ragazzi” dice a qualcuno nell’ombra, inginocchiandosi e togliendo

una testa femminile dalla plastica. È il cranio della donna che si chiamavaChristina. L’espressione impressa sulla sua faccia, ormai morbida, gonfia edelastica come un impasto crudo, è di puro orrore. “Dei nuovi vicini.”

Apre la sommità di un acquario vuoto, spinto contro la parete più lontana, elascia cadere la testa di una donna nel fluido.

“Vi terrete compagnia” dice piano, quasi teneramente, quando lascia cadere ilsecondo cranio, appartenente al pilota, nell’acqua torbida di una vasca adiacente.Emette un sospiro. La mosca ronza da qualche parte lì vicino, invisibile,incessante. “E adesso vado a distendere un po’ le gambe.”

Torna alla poltrona e si butta giù con un gemito stanco, ma appagato.Ventisei acquari gorgogliano nella stanza: ciascuno contiene almeno due teste

umane rianimate, alcuni anche tre o quattro. I filtri borbottano, le luci ronzanopiano. Ogni apparecchio è collegato a una presa di corrente principale e il cavodelle dimensioni di un’anaconda corre lungo il battiscopa e l’angolo del muro finoa un generatore sul tetto.

Racchiuse nelle verdi bocce piene d’acqua, le facce livide e ingiallite sicontraggono come se fili di burattini invisibili le muovessero. Le palpebre, sottili evenate come foglie secche, sbattono a intervalli casuali. I bulbi oculari velati dallacataratta sono fissi sui riflessi e le ombre rifratte dall’acqua. Le bocche si apronoe si chiudono a intermittenza, come un perpetuo gioco Acchiappa la Talpa che

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occupa tutti i pannelli di vetro. Il Governatore ha raccolto le teste nell’arco didodici mesi con l’attenzione di un curatore museale. La selezione è istintiva el’effetto di tutti quei volti morti alquanto misterioso.

Il Governatore sprofonda nella poltrona. Il poggiapiedi si alza facendo striderele molle. Rimane steso lì, a fissare l’insieme delle facce, con il peso dellastanchezza che gli preme sul petto. Nota appena il nuovo volto, la testa di donna,un tempo brillante produttore della WROM Fox di Atlanta, che ora boccheggia erigurgita bolle dalla bocca ebete. Vede solo l’insieme, la totalità di tutte quelleteste, il quadro generale di tutte quelle vittime casuali.

Le grida della tipa di colore nella camera di sicurezza sotterranea continuano ariverberarsi nella sua mente. In uno scomparto seppellito in profondità nel suocervello la parte di lui disgustata dal suo comportamento non smette dilamentarsi e disapprovare. Come hai potuto fare una cosa simile a un altroessere umano? Fissa le teste. Come può qualcuno fare una cosa simile a un’altrapersona? Guarda affascinato quei volti pallidi e gonfi.

L’orrore nauseabondo di tutte quelle facce indifese, che anelano a unaliberazione che non arriverà mai, è così cupo, lugubre, perfettamente opportuno,che ancora una volta, in qualche modo, penetra il rimuginio di Philip Blake e lopurifica. In qualche modo, sigilla la sua psiche ferita con la natura caustica dellarealtà. Lo vaccina dal dubbio, dall’esitazione, dalla pietà, dalla compassione. Delresto, quella è forse la stessa fine che toccherà a tutti: teste fluttuanti in unavasca per l’eternità. Chi può dirlo? La logica conclusione, il promemoria costante

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di cosa ti aspetta se ti concedi anche solo un millisecondo di debolezza. Le testerappresentano il vecchio Philip Blake. Il Philip Blake debole, mansueto... l’eternofrignone. Come hai potuto fare una cosa tanto orribile? Come può qualcuno fareuna cosa simile? Fissa le teste. E loro lo cingono, lo investono di autorità, logalvanizzano.

La sua voce scende di un’ottava ed esce in poco più che un sussurro:“Cinquantasette canali e niente da vedere13.”

Come...?Hai...?Potuto...?Lui la ignora e si mette a dormire fissando le bocche che si muovono,

gorgogliano, si contraggono e gridano le loro acquose grida silenziose. Come...?Sprofonda nell’oscurità del sonno. Con lo sguardo fisso. Avvinto. E comincia asognare: il mondo dell’incubo filtra nel mondo reale e lui si ritrova a correre inuna foresta buia. Prova a urlare ma la sua voce non emette suono. Apre la boccae lancia un grido silenzioso. Non escono suoni da lui... solo bolle, che sgorganonel buio e svaniscono. Il bosco gli si chiude intorno. E lui resta immobile, serra ipugni, freme di rabbia pura, che si rovescia fuori dalla bocca. Brucia tutto. Bruciatutto. Distruggi tutto. Distruggi ogni cosa. Adesso. Adesso! ADESSO!

Più tardi, il Governatore si sveglia di soprassalto. All’inizio non riesce a stabilirese sia giorno o notte. Ha le gambe intorpidite e gli fa male il collo per la stranaposizione che ha assunto sul poggiatesta della poltrona.

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Si alza, va in bagno e si ricompone. Mentre si guarda allo specchio, sente igemiti bassi della bambina incatenata al muro nell’altra stanza. La svegliaappoggiata sulla tazza del gabinetto gli dice che è quasi mezzogiorno.

Si sente rinvigorito. Forte. Lo aspetta una giornata fitta di impegni. Usa lapietra pomice per togliersi il sangue della ragazza di colore da sotto le unghie. Sidà una ripulita, indossa abiti freschi di bucato, fa una colazione veloce a base dilatte in polvere, cereali e caffè istantaneo scaldato con un fornello da campeggio.Dà a Penny un altro boccone di carne fresca dal contenitore d’acciaio.

“Papà va al lavoro” dice allegramente al cadaverino mentre si avvia all’uscita.Afferra la pistola e il walkie-talkie in carica vicino alla porta. “Ti voglio bene,tesoro. Cerca di non combinare guai mentre sono via.”

Uscendo dall’edificio contatta Bruce con la radio. “Incontriamoci alla pista” dicenel microfono “in cima all’entrata di servizio.” Spegne la ricetrasmittente senzaaspettare la risposta.

Dieci minuti dopo, raggiunge l’apice di una scala unta, che conduce al buiocavernoso del labirinto sotterraneo. Il cielo sopra il circuito sembra minaccioso, ilgiorno si sta facendo scuro e tempestoso.

“Ciao, capo” dice l’uomo grosso e calvo, arrivando a grandi passi dalparcheggio.

“Dove diavolo eri?”“Sono venuto subito, scusa.”Il Governatore si lancia un’occhiata alle spalle, notando un paio di passanti.

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Abbassa la voce. “Com’è la situazione con la donna?”“Parla ancora da sola. Quella troia è fuori di testa, credimi.”“L’avete ripulita?”“Sì, per benino. È venuto a darle un’occhiata Albert... le ha portato anche del

cibo... ma lei non l’ha toccato. Immagino che abbia bevuto solo un po’ d’acqua,nient’altro.”

“È ancora sveglia?”“Già. Almeno, lo era quando l’ho vista io, circa un’ora fa.”“Qual era il suo... atteggiamento?”“Il suo cosa?”Il Governatore sospira. “Atteggiamento, Bruce. Il suo stato d’animo. Cosa cazzo

faceva?”Bruce alza le spalle. “Non lo so. Continuava a fissare il pavimento e a parlare

con le voci nella sua testa.” Si bagna le labbra. “Posso farti una domanda?”“Sarebbe?”“Ti ha detto niente? Ti ha dato qualche informazione?”Il Governatore si passa le dita tra i capelli lunghi. “Io non le ho chiesto niente...

perciò non aveva niente da dirmi, giusto?”Bruce lo guarda, aggrottando le sopracciglia. “Non le hai chiesto niente?”“Niente.”“Scusa, ma perché?”Il Governatore guarda in lontananza i pennacchi di fumo che escono dal tubo di

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scarico di un bulldozer che sposta la terra contro la barricata: gli operai stannomettendo in sicurezza le ultime sezioni e il ronzio di motori e martelli riempiel’aria. “Ogni cosa a suo tempo” dice, pensandoci su. “A proposito... voglio che tufaccia una cosa per me. Dove lo teniamo quello più giovane?”

“Il ragazzo asiatico? È nel livello B, nel magazzino vicino all’infermeria.”“Trasferiscilo nella rimessa accanto a quella della donna.”Il solco sulla fronte di Bruce si fa più profondo; pieghe e grinze gli attraversano

la testa calva. “Okay, ma... vuoi che senta cosa succede in quella stanza?”Il Governatore gli rivolge un sorriso freddo. “Non sei poi così stupido, Brucey.

Voglio che quel ragazzino senta tutto quello che stanotte farò a quella puttana. Eallora uno di loro parlerà. Fidati di me.”

Bruce fa per dire qualcosa, ma il Governatore si volta e se ne va senzaaggiungere altro.

Quella mattina, nel silenzio polveroso dell’appartamento, Lilly e Austin riesconoa dormire qualche ora di sonno agitato e, quando alla fine si svegliano, intornoall’una, l’atmosfera conviviale della notte prima si è trasformata in una serie digoffi accomodamenti.

“Oh... scusa” dice Austin, quando apre la porta del bagno e trova Lilly sedutasul gabinetto con la t-shirt del Georgia Tech e le mutandine intorno alle caviglie.Austin se ne va subito.

“Nessun problema” dice lei. “Dammi solo un minuto o due! Poi è tutto tuo.”“Certo” risponde lui, ficcandosi le mani in tasca e camminando avanti e indietro

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per il corridoio. Quella mattina presto si era messo a dormicchiare sul pavimentodel soggiorno, avvolto in una coperta da imballaggio, mentre Lilly dormiva nellacamera da letto sul futon malridotto. Dal corridoio, Austin le grida: “Oggi haitempo per darmi un’altra lezione?”

“Ti piace proprio essere bacchettato” dice lei da dentro il bagno, tirando losciacquone e dandosi una sistemata allo specchio. Quando esce, gli dà uncazzotto bonario sul braccio. “Che ne dici se prima diamo modo al tuo fianco diguarire?”

“Cosa fai stasera?”“Stasera?”“Potrei prepararti la cena” dice lui con gli occhi che brillano d’innocenza.“Oh... um... wow.” Lilly vuole assolutamente dire la cosa giusta. Non vuole

perdere Austin come amico. Mentre cerca le parole adatte, sentimenticontrastanti si confondono dentro di lei. Si sente più vicina a lui e, nello stessotempo, anche stranamente lontana. La verità è che non può ignorare i sentimentiche nutre per quel ragazzone sciatto. È buono, coraggioso, leale e, deveammetterlo, un amante formidabile. Ma cosa sa veramente di lui? E cosarealmente sanno tutti di tutti in questa perversa nuova forma di società? Austin èforse uno di quegli uomini vecchio stampo convinti che il sesso suggelli unaccordo? E se è così, perché lei non può semplicemente arrendersi a quello cheprova per lui? Cosa c’è che non va in lei? La risposta è sfuggente: paura,autoconservazione, senso di colpa, schifo di se stessa: non lo sa esattamente

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nemmeno lei. La sola cosa che sa per certo è che non è pronta per una relazione.Non ancora. E a giudicare dall’espressione che appare in quel momento sugliocchi del ragazzo, ci è già quasi arrivato anche lui. Alla fine dice: “Lasciami... unpo’ di tempo per pensarci”.

Lui sembra mortificato. “Lilly, è solo una cena... non ti ho chiesto di scegliereun mobile.”

“Lo so... è solo che... ho bisogno di pensarci.”“Ho fatto qualcosa di sbagliato?”“No, no. Assolutamente. È solo...” Si ferma. “È solo che...”Lui le rivolge un sorriso. “Ti prego, non dire ‘non è colpa tua, sono io’.”Lei ride. “Okay, scusa. Ti sto solo chiedendo... di darmi un po’ di tempo.”Lui le fa un piccolo inchino. “Come desidera, milady... le darò tempo e spazio.”

Va in soggiorno e raccoglie la pistola, il cappotto e lo zaino. Lei lo accompagna alportone.

Escono.“C’è aria di tempesta” dice Austin, alzando lo sguardo sulla cupa coltre di

nuvole.“Già” dice lei, strizzando gli occhi per la luce grigia. Il mal di testa è tornato.Lui fa per scendere i gradini, quando Lilly allunga una mano e lo tira piano per

il braccio. “Austin, aspetta.” Cerca le parole adatte. “Scusa... lo so che sonoridicola. Voglio solo andarci piano. Quello che è successo ieri notte...”

Lui la prende tra le braccia, la guarda dritto negli occhi e dice: “Quello che è

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successo ieri notte è stato bellissimo. E non ho nessuna voglia di sputtanarlo.” Ilsuo viso si ammorbidisce. Le accarezza i capelli e le stampa un bacino platonicosulla guancia. Lo fa senza malizia, senza premeditazione. Semplicemente le baciala tempia con enorme tenerezza. “Vuoi sapere la verità?” La guarda negli occhi.“Per te vale la pena aspettare tutto il tempo che occorre.”

E con quelle parole si trascina giù per le scale e arranca nella cupa ariatemporalesca.

-----Quel pomeriggio la pioggia cade a fiumi. Martinez è costretto a sospendere i

lavori di costruzione che restano da fare nell’angolo nordorientale del bastione.Lui e la sua squadra si trasferiscono sotto i tendalini della stazione ferroviariaabbandonata, dove se ne stanno a fumare, guardare l’acqua che cade e tenered’occhio gli alberi a nord. Nelle ultime settimane gli avvistamenti di zombie neiboschetti e nelle paludi oltre le palizzate di pini bianchi sono aumentati.

La massa di pioggia battente dal cielo mitraglia la foresta e inonda i prati. Nelcielo si scatenano raffiche di tuoni e folgori bianche crepitano all’orizzonte. È untemporale rabbioso, biblico per portata e furia. Martinez lo fissa nervoso: fuma lasua sigaretta senza filtro, che si arrotola da sé, a oltranza, fino in fondo. L’ultimacosa di cui ha bisogno adesso è una scenata.

Ma è proprio quello che in quel preciso momento sbuca dall’angolo nella formadi Lilly Caul. La donna attraversa di corsa il parcheggio adiacente, tenendosi ilgiubbotto di jeans sopra la testa per proteggersi dalla pioggia. Si avvicina con

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un’espressione ansiosa sul viso, affrettandosi a raggiungere il riparo temporaneo.È senza fiato e scuote le gocce dal giubbotto. “Gesù Santo, è arrivato in fretta,eh?” dice a Martinez ansimando.

“Ciao, Lilly” dice lui, schiacciando il mozzicone a terra col piede.Lei riprende fiato e si guarda intorno. “Come va?”“Va.”“Che ne è degli intrusi?”“Chi?”“Gli stranieri” dice lei, asciugandosi il viso. “Quelli... che sono arrivati l’altra

notte.”“Che vuoi sapere?” Martinez alza le spalle, lanciando un’occhiata nervosa ai

suoi uomini. “Non è affar mio.”“Sono stati interrogati?” Lo guarda. “Cosa c’è che non va?”Lui le rivolge uno sguardo strano. “Non avresti nemmeno dovuto saperlo.”“Sapere cosa?”Martinez la afferra, la porta lontano dagli uomini, in fondo al tendalino. La

pioggia si è stabilizzata e il ronzio tipo motore di jet del rovescio copre la loroconversazione. “Ascolta” le dice Martinez, misurando le parole. “Questo non haniente a che fare con noi e ti consiglio di starne alla larga.”

“Di che diavolo parli? Ho fatto solo una domanda.”“Il Governatore vuole tenere la faccenda nascosta. Non vuole che la gente si

preoccupi.”

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Lei sospira. “Io non sono preoccupata. Ero solo curiosa di sapere se avevascoperto qualcosa.”

“Non lo so, e non lo voglio sapere.”“Si può sapere cos’hai?”La rabbia divampa nelle viscere di Martinez, corre su per la spina dorsale e gli

asciuga la bocca. Avrebbe voglia di strangolarla quella ficcanaso. La afferra per lespalle. “Stammi a sentire. Ho già abbastanza problemi e devo occuparmi anche diquesta merda?! Stanne fuori. Lascia perdere!”

Lilly si ritrae. “Ehi, Kemosabe14! Sta’ indietro.” Si strofina la spalla. “Non so chiti abbia pisciato nei cereali stamattina, ma non puoi prendertela con qualcunaltro.”

Martinez fa un respiro profondo e la guarda. “Okay, ascolta. Ti chiedo scusa. Maper ragioni di sicurzza sappiamo solo lo stretto necessario. Il Governatore sa ciòche fa. E se c’è qualcosa che dobbiamo sapere anche noi, sarà lui a dircelo.”

Lilly lo liquida con un gesto della mano, si volta e si allontana nella pioggia,borbottando: “Fa’ un po’ come ti pare”.

Martinez la guarda svanire nella bruma. “Lui sa ciò che fa” ripete piano, tra identi, come a voler convincere se stesso.

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UNDICILa pioggia continua a cadere, un diluvio ininterrotto sulla Georgia centro-meridionale per quasi tre giorni di fila. È solo a metà settimana che il tempocomincia a cambiare, lasciando sulla sua scia allagamenti e tralicci abbattutilungo la strada verso la costa orientale. La terra intorno a Woodbury èalluvionata e disseminata di pozze di fango, i campi incolti a sud imbevuti a talpunto che gli uomini sul muro scorgono fuori dai boschi gruppetti di zombie chesguazzano nelle aree inondate come enormi sanguisughe luccicanti che siarrampicano l’una sull’altra. È come sparare a dei pesci in barile per i mitraglieridei calibro .50 agli angoli nordorientale e sudorientale della barricata. Ma a partequelle piccole esibizioni, rumorose e raccapriccianti, di ciò che il Governatore habattezzato ‘gestione dei rifiuti’, per tutta la settimana la città di Woodbury restaquasi sinistramente tranquilla. E infatti è solo alla fine della settimana che Lilly siaccorge che qualcosa non va.

Fino ad allora, mantiene un basso profilo, trascorrendo dentro casa la maggiorparte delle sue giornate, ubbidendo alla direttiva di Martinez di tenersi per séqualunque accenno agli stranieri ostili in città. Passa il tempo a leggere, aguardare la pioggia, a pensare, a vegliare al buio tormentandosi su cosa fare conAustin. Giovedì, lui si presenta alla sua porta con una bottiglia di vino sgraffignatanella vecchia dispensa del tribunale, insieme a un mazzo di salvia russa raccolta

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vicino all’ufficio postale. Lei è così commossa da quel gesto che lo lascia entrare,ma insiste perché eviti l’argomento della loro relazione o qualsiasi accenno allanotte in cui entrambi si sono lasciati andare. A lui sembra che basti potertrascorrere un po’ di tempo con lei. Fanno fuori tutta la bottiglia giocando aPictionary: a un certo punto Austin la fa ridere tanto da costringerla a sputare ilvino per non strozzarsi, quando le rivela che il suo disegno, che sembrava unuovo fritto, è in realtà il suo cervello sotto l’effetto della droga15. Se ne va soloquando la luce grigia dell’alba filtra dalle fessure delle finestre sbarrate. Il giornodopo Lilly deve ammettere a se stessa che, malgrado le assurde circostanze, quelragazzo le piace e forse... forse potrebbe arrivare a dagli una possibilità.

Poi giunge la domenica mattina. Esattamente una settimana dopo la fatidicanotte. Lilly si sveglia di soprassalto appena prima dell’alba. A disturbarla èqualcosa di amorfo annidato nel profondo della sua mente. Forse è qualcosa cheha sognato o qualcosa propagatosi attraverso il suo subconscio nel corso dellasettimana; sta di fatto che la colpisce con tutte le forze proprio quella mattina,come la testa di un martello dritta in mezzo agli occhi.

Salta giù dal letto e attraversa la stanza di corsa, aprendo un raccoglitore adanelli posato su una scrivania di fortuna realizzata con due mattoni di cemento eun pannello di compensato. Fruga tra le pagine freneticamente.

“Oh, no... no, no, no” mormora tra i denti, rovistando nel calendario. Per quasiun anno, ha tenuto conto della data con dedizione quasi religiosa. Per molteragioni diverse. Vuole sapere quando cadono le festività, vuole sapere quando

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cambiano le stagioni e, più di tutto, vuole semplicemente rimanere in contattocon il vecchio ordine delle cose, con la vita civilizzata, con la normalità. Vuolerestare connessa con il passare del tempo, sebbene in quei tempi bui molti sisiano arresi e non ricordino più la Festa dell’Albero o lo Yom Kippur.

Lilly controlla la data e richiude il calendario ansimando.“Oh, merda... cazzo... merda” sussurra tra sé, indietreggiando dalla scrivania e

girando intorno come se il pavimento le stesse crollando sotto i piedi. Per un po’cammina in tondo nervosa nel bagno buio: i suoi pensieri galleggiano e sischiantano uno contro l’altro. Non può essere il ventitré. Non è possibile. Si stasolo immaginando tutto. È tutta una sua paranoia. Ma come fa a esserne sicura?Come fa qualcuno a essere sicuro di qualcosa in quel maledetto Mondo postepidemia? Deve pur esserci un modo per tranquillizzare la sua mente... perdimostrare a se stessa che è solo una sua paranoia. D’un tratto, s’immobilizza eha un’idea.

“Okay!”Schiocca le dita e si precipita verso il vecchio guardaroba di metallo ammaccato

dove tiene cappotti, pistole e munizioni. Afferra il giubbotto di jeans, le due Rugercalibro .22, i silenziatori e un paio di caricatori da venticinque cartucce. Si infila ilgiubbotto, avvita i silenziatori e spinge le pistole sotto la cintura. Ripone icaricatori nelle tasche, prende un respiro profondo, si alza il colletto e si dirigealla porta.

Quando esce dall’edificio prima dell’alba il suo respiro appare in una nuvoletta

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di fumo. La città dorme ancora e il sole sbuca appena dai boschi a est: angeliciraggi di luce filtrano tra i granelli bassi della nebbia. Lilly attraversa la strada ecammina svelta sullo stretto marciapiedi verso il vecchio ufficio postaleabbandonato.

Poco oltre l’ufficio, sull’altro lato del muro a sud, fuori dalla zona sicura, si trovauna farmacia svaligiata. Lilly deve entrare in quella farmacia, solo un attimo, perscoprire se è impazzita davvero. C’è solo un problema.

La farmacia è oltre il muro, e dopo il passaggio del temporale l’attività deglizombie è aumentata parecchio là fuori.

Nello scantinato scarsamente illuminato sotto l’arena, Bruce sente l’ormaifamigliare bussare dall’interno dell’ultima saracinesca a sinistra. Si prepara perquanto sta per vedere, si abbassa, apre la serratura, afferra la maniglia e tira sula saracinesca che stride cigolando. L’apertura rivela un recinto di cemento buio,un tempo deposito di carrozzerie unte e pezzi di ricambio, ormai solo un luogo diumiliazione e dolore. Il Governatore è in piedi nell’oscurità, senza fiato perquanto si è dato da fare.

“Questo sì che è divertimento” mormora, con il volto madido di sudore, gli aloniumidi sotto le ascelle e le mani ancor più sporche di sangue dell’ultima seduta,due giorni prima. L’ha torturata per tutta la notte, il terzo round questasettimana; inizia a essere stremato, come gli si legge negli occhi affossati.

Per un breve istante, Bruce intravede la figura devastata sul pavimento dietro ilGovernatore. Il torace è appeso a pochi centimetri da terra: le funi la tengono

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sollevata, le trecce ciondolano e i fluidi gocciolano dal volto gonfio. Le spallestrette si sollevano ritmicamente: i polmoni sono a corto d’aria, la parte inferioredel corpo, nuda, è accasciata come una bambola spezzata. È viva a stento,almeno a una prima occhiata, poiché a un’indagine più attenta si noterebbe lafornace che arde sotto gli occhi insanguinati, un reattore nucleare di rabbia che latiene sveglia, appesa a un’esile speranza di vendetta.

“Chiudi” dice il Governatore, afferrando un asciugamano sulla spalla di Bruce.Bruce obbedisce, sbattendo la saracinesca a terra con un fragore metallico.Il Governatore si strofina la faccia. “Non parlerà mai. Quante volte ci abbiamo

provato ormai? Tre, quattro? Ho perso il conto.” Getta l’asciugamano. “E ilragazzino? È crollato?”

Bruce scuote la testa. “Gabe dice che sente tutto dalla parete, che singhiozzacome un moccioso, giorno e notte. Non ha più smesso, da quando hai cominciatoa darti da fare con lei.”

Il Governatore sbuffa, distende i muscoli del collo affaticati, fa scrocchiare lenocche sporche di sangue. “Ma non si è ancora arreso, vero?”

Bruce si stringe nelle spalle. “Stando a Gabe, non fa che piangere e strillare epiangere. Tutto qui. Non parla.”

“Mi sono stufato.” Il Governatore respira profondamente, pensa, rigira le cosenella mente. “Questa gente è più dura di quanto pensassi, non vogliono mollare,cazzo.”

Bruce ci riflette un po’. “Posso suggerire una cosa?”

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“Cosa?”Bruce alza di nuovo le spalle. “In galera, la gente la spezzano con l’isolamento.”Il Governatore lo guarda. “E allora?”“Allora pensavo che forse dobbiamo solo tenerli sotto chiave, separati, sai,

come in quelle cazzo di celle d’isolamento. Forse è il modo più semplice perpiegarli.”

“Questa non è una prigione, Bruce. Io ho una città da...” Il Governatore sbattegli occhi e piega la testa, come per effetto di una rivelazione improvvisa. “Unmomento....”

Bruce lo guarda. “Che c’è, capo?”“Forse ci sono.”“Cosa?”Il Governatore fissa il grosso uomo nero. “Se non ricordo male, Gabe aveva

detto che le tute antisommossa che indossavano erano quelle che si usano inprigione, giusto?”

Bruce annuisce silenzioso: si guarda intorno nel corridoio e ci pensa su.Il Governatore si avvia verso le scale, mormorando: “Adesso che ci penso,

anche quel Rick indossava un’uniforme carceraria sotto il giubbotto”.Bruce si precipita dietro di lui. “Dove vai, capo?”Il Governatore sta già salendo le scale e voltandosi gli grida: “Da’ una ripulita a

quella puttana... poi raggiungi Gabe... ci vediamo in infermeria. Penso di avertrovato un modo migliore per venire a capo della faccenda!”.

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Lilly si ferma vicino al muro con il battito del cuore accelerato. Il sole è ormaialto e i raggi del mattino le martellano la nuca. A cinquanta metri di distanza,uno degli uomini di Martinez passeggia su una passerella improvvisata: la suasagoma tarchiata si staglia contro il cielo dell’alba.

Lilly aspetta fin quando la guardia non si trova dietro un tubo di scarico, e poi simuove.

Striscia oltre il muro in fretta e atterra su una strada di ghiaia dall’altra parte.L’impatto degli stivali sulle pietre produce uno scricchiolio. Lilly si accuccia unmomento con il battito ancora più veloce, e aspetta di vedere se la guardia l’hanotata.

Dopo un attimo di silenzio durante il quale ha persino evitato di respirare,attraversa la strada e scivola dietro un edificio distrutto. Controlla la pistola,armando il carrello. Avanza tenendola lungo il fianco, arrancando giù per unastrada laterale disseminata di rottami e mucchi di corpi di zombie decapitati inputrefazione. Il fetore è terribile.

Il vento freddo le soffia quel tanfo addosso, avvolgendola come un sudario.Supera l’ufficio postale tenendosi bassa, sgattaiolando oltre vecchi manifestistrappati e cartelloni imbrattati di graffiti. Ritraggono allegri postini intenti aconsegnare pacchi colorati a dei bambini o pensionati sorridenti, felici dicollezionare francobolli. Sente un trascinío sommesso alle sue spalle, ma non sivolta: forse sono solo le foglie nel vento.

Continua a puntare verso sud.

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I resti devastati dell’emporio che cerca si trovano all’estremità della strada: unascatolina di mattoni rossi a pezzi con la vetrina crivellata di proiettili sbarrata daalcune tavole. La vecchia insegna della farmacia, un enorme mortaio conpestello, pende da cavi sfilacciati, ondeggiando nella brezza. Lilly si affretta araggiungere l’entrata. La porta è bloccata e Lilly è costretta ad aprirsi un varcocon una spallata.

Irrompe nell’interno buio del negozio: il vetro della porta rotta piove sulpavimento. Mentre studia l’area disastrata che un tempo forniva farmaci per latosse, adesivi da dentiera e batuffoli di cotone alle massaie e agli abitanti delposto influenzati, il cuore le pulsa forte nel petto.

I corridoi sono stati completamente saccheggiati e gli scaffali ripuliti: solo pochicartoni vuoti e pozzanghere di fluidi non identificati giacciono qua e là. Lilly simuove a zig-zag tra i detriti e punta al bancone della farmacia nei corridoi inombra sul retro.

Un rumore attira la sua attenzione a destra: forse è un sibilo d’aria o unabottiglia rovesciata. La sua pistola si alza immediatamente. Scorge un lampoconfuso di pelliccia gialla. Allenta la pressione sul cane quando si rende conto cheè solo un gatto selvatico. La creatura spelacchiata schizza tra gli espositorirovesciati con un topo in bocca.

Lilly tira un flebile sospiro di sollievo, torna a rivolgersi verso il bancone dellafarmacia... e lancia un grido.

Il vecchio farmacista sbuca dalle ombre vicino a lei allungando le braccia e

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incurvando le dita annerite e nodose come fossero artigli: la gigantesca boccamarcia si muove frenetica come un tritalegno. Il doppio mento che gli penzola dalvolto allungato ha la consistenza dello sformato di pane ed è rivestito da unostrato di muffa color ruggine. Gli occhi biancastri sono grossi come uova sode.Indossa un camice bianco profanato da macchie di sangue e bile.

Lilly fa un balzo indietro, alzando la pistola e inciampando su un espositore dicibo per cani.

Atterra sul sedere, con i barattoli che le piovono rumorosamente tutt’intorno. Simette a sparare prima ancora di riprendere fiato. Le detonazioni silenziatedell’arma lampeggiano rimbombando nello spazio ristretto: metà dei colpifiniscono sul soffitto, mandando in frantumi le luci al neon. Ma gli altri penetranonella testa calva del farmacista.

Le ossa del cranio si frantumano e schizzano in aria; sangue e tessutiimbrattano gli scaffali vuoti. L’enorme azzannatore si abbatte come una vecchiaquercia sopra Lilly, che grida e si dimena schiacciata dalla mole del cadavere easfissiata dal tanfo. Finalmente riesce a liberarsi.

Per diversi istanti di silenzio concitato rimane rannicchiata lì sul pavimentoaccanto allo zombie caduto. Ricaccia indietro il disgusto, l’impulso di fuggire viada quel posto sinistro, mentre una voce nella testa le dice che è stata una pazzaa rischiare la vita per quella sua ridicola missione di ricognizione a scopopersonale.

Accantona quei pensieri e ritrova l’orientamento.

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Il bancone della farmacia è immerso nel buio ad appena cinque metri da lì. Lillypercorre cauta il corridoio sul retro, adattando lentamente la vista all’oscurità.Vede il bancone, sommerso di fluidi appiccicosi, mucchi di documenti e muffa cosìspessa da sembrare un manto di pelliccia posato sopra ogni cosa.

S’infila attraverso la porta e comincia a rovistare tra il misero contenuto degliscaffali. Niente si è salvato dai saccheggi, se non le medicine inutili, cometrattamenti per l’acne e le emorroidi e farmaci dai nomi criptici che nessuno si èpreso la briga di identificare. Ovviamente, non c’è traccia di antidepressivi, dioppiacei o analgesici di sorta. Ma a lei non importa.

Non vuole un aiuto per sballarsi, andare KO o arrestare il dolore.Dopo una ricerca sfibrante che sembra non finire mai, trova quello che cercava

sul pavimento sotto il terminale del computer, in una pila di confezioni rovesciatee boccette di plastica per pillole. È rimasta solo una scatola e si direbbe chequalcuno l’abbia calpestata. Il contenitore è schiacciato e scoperchiato, maconserva ancora il suo contenuto in un blister sigillato e intatto.

Lilly lo infila nella tasca, si alza e se ne va al diavolo via da lì.Quindici minuti dopo è di nuovo nel suo appartamento con il kit.Altri cinque minuti dopo, è sempre lì, immobile che aspetta di vedere se la sua

vita sta per cambiare completamente.-----

“Era un brav’uomo” dice una voce smorzata dall’altra parte della porta chiusadell’infermeria, una voce inconfondibile nel suo tono sardonico, la leggera

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cadenza, il sarcasmo stanco: è la voce dello stimato dottor Stevens. “Ma pongol’accento sul verbo era.”

Fuori dalla porta ci sono il Governatore, Gabe e Bruce. I tre si fermanointeressati ad ascoltare il mormorio basso che proviene dall’altra parte.

“Ci siamo imbattuti in questa ridente cittadina molto presto” prosegue la vocedel dottore. “La base della Guardia Nazionale nelle vicinanze, i vicoli stretti:decidemmo che era un posto che avremmo potuto difendere. E così loreclamammo come nostro.” Segue un breve istante di silenzio, un debole rumored’acqua corrente. “Si è capito subito che era un duro” riprende “ma serviva alloscopo.”

Mentre ascolta il Governatore serra i pugni: la rabbia gli irrigidisce la schiena,mista con l’adrenalina pura della sorpresa.

“Philip è emerso molto in fretta come leader del nostro gruppo” dice ancora lavoce. “Ha fatto quanto andava fatto, ciò che era necessario per tenere la gente alsicuro. Ma dopo un po’...”

La furia corre lungo la spina dorsale del Governatore, gli punge le dita, gliriempie la bocca di bile amara e silicea. Si appoggia alla porta per sentire meglio.

“...per alcuni di noi è stato chiaro che si comportava così più per il suo piacerepersonale che per il bisogno di proteggerci. Era evidente che non era altro che undannato bastardo o poco più. E non voglio nemmeno accennare a sua figlia.”

Il Governatore ha sentito abbastanza. Allunga la mano verso la maniglia maqualcosa lo ferma.

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Dall’altra parte della porta si ode una voce più profonda e rauca, con unmarcato accento da classe operaia del Kentucky. “ Perché gli lasciate fare quellecose? I combattimenti, dar da mangiare agli zombie...”

La voce del dottore: “Cosa pensi che abbia fatto a chiunque abbia provato aopporsi? Odio quel figlio di puttana ma non posso farci niente. E poi, qualunquealtra cosa faccia... tiene questa gente al sicuro. E questo è abbastanza per lamaggior parte delle persone”.

Il Governatore respinge l’urgenza di buttare giù la porta con un ariete eucciderli tutti.

Il dottore: “Finché c’è un muro a separarli dagli azzannatori non si preoccupanotroppo di chi sta in mezzo a loro dall’altra parte di quel muro”.

Philip Blake apre la porta con un calcio, la serratura va in frantumi e vola per lastanza, rimbalzando sulle mattonelle del pavimento come un bossolo vuoto. Laporta sbatte contro la parete adiacente, facendo sussultare tutti quelli che sononella stanza.

“Dici bene, dottore” dice il Governatore, aggirandosi calmo nell’infermeria,seguito dappresso dai suoi compari. “Dici bene.”

Se è possibile che un’intera stanza inizi a sfrigolare di energia statica, questo èesattamente quanto succede nell’attimo successivo, quando gli occhi di tutti,Stevens, lo straniero seduto sul letto, Alice davanti al lavello, scattano versol’uomo magro che passeggia nell’infermeria con le mani sui fianchi come se quelposto fosse di sua proprietà. Lo sguardo cordialmente divertito del Governatore è

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smentito dall’espressione cupa e funesta stampata sui volti di Bruce e Gabe, cheentrano come cani da guardia alle calcagna del padrone.

“Cosa vuoi?” riesce a dire alla fine il dottore con tono tirato.“Mi avevi detto di venire oggi, Doc” replica il Governatore con la distratta

cordialità dell’ennesimo paziente capitato per un controllo. “Per cambiarmi lafasciatura” dice, indicando l’orecchio ferito. “Ricordi?” E allora il Governatorescocca un’occhiata all’intruso, seduto immobile sul letto dall’altra parte dellastanza. “Bruce, tieni sotto mira il nostro Mancino.”

Il grosso uomo nero estrae una calibro .45 placcata in argento e la punta control’uomo di nome Rick.

“Siediti, Philip” dice il dottore. “Farò in fretta.” Il tono della voce si abbassa,grondando disprezzo. “Sono certo che hai cose più importanti da fare.”

Il Governatore si lascia cadere di peso su un lettino per le visite illuminato dauna lampada alogena.

L’uomo di nome Rick non riesce a levargli gli occhi di dosso. Il Governatorericambia il suo sguardo con un sorriso: sono due predatori naturali nella giungla,intenti a studiarsi inarcando la schiena. “Sembri in forma, straniero. Procede benela guarigione?” Aspetta che lo straniero risponda, ma l’uomo non dice una parola.

“Be’...” mormora il Governatore tra sé, mentre Stevens si avvicina e si china perdare un’occhiata più da vicino all’orecchio fasciato “per quanto possibile.”

Alla fine, l’uomo dai capelli rossicci trova il modo di ribattere: “Allora?...Quand’è che cominci a torturarmi?”.

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“Torturarti? Mai.” Gli occhi del Governatore luccicano di scherno. “Ti hoinquadrato subito: tu non mi dirai mai un cazzo. Hai una famiglia che ti aspettanel posto da dove sei venuto, dovunque sia. E non la tradirai.”

Stevens srotola delicatamente la fasciatura e ispeziona l’orecchio mutilato conuna pila tascabile.

“No, avevo pensato di torturare gli altri davanti a te” spiega il Governatore.“Sapevo che tu non saresti crollato, ma ero quasi sicuro che uno di loro avrebbefinito per cedere.” Gli fa l’occhiolino. “Ma i piani sono cambiati.”

L’uomo sul letto lancia un’occhiata al muso della Magnum a canna lunga diBruce. Poi dice: “Cambiati come?”

“Andrai nell’arena” gli risponde allegramente il Governatore. “Almeno mifrutterai un po’ di spettacolo.” Distoglie lo sguardo con un vago sorriso. “E ho inmente di violentare quella troia a sangue, finché non trova il modo di uccidersi.”

La stanza, quasi che fosse un solo organismo, assorbe quelle parole in unsilenzio assordante. La strana scena si allunga; gli unici rumori sono Stevens chetaglia un pezzo di nastro medico e il fruscio della garza.

“Quanto al ragazzino dai dotti lacrimali ipersensibili...” aggiunge il Governatore,con un sorriso che va dall’orecchio sano a quello ferito. “Lo lascio andare.”

Segue un attimo di silenzio attonito. L’uomo di nome Rick, preso allasprovvista, lo fissa. “Lo lasci andare? Perché?”

Ormai Stevens ha finito di esaminare e sostituire la vecchia fasciaturasull’orecchio del Governatore.

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Indietreggia; il Governatore respira soddisfatto, si batte le cosce con un gestogioviale e si alza dal tavolo. “Perché?” Rivolge allo straniero un sorriso. “Perchéha cantato come un pappagallino. E mi ha raccontato tutto quel che mi servivasapere.”

Il Governatore fa un cenno ai suoi uomini e si dirige verso la porta seguitando asorridere. “So tutto della vostra prigione” mormora uscendo. “E se è stupidoabbastanza da tornarci, ci porterà dritti laggiù.”

Il trio scivola fuori dalla stanza, sbattendosi la porta rotta alle spalle.Sull’eco dei passi che si allontanano, nell’infermeria cala un silenzio orribile.Alle prime luci del giorno dopo, il mitragliere del calibro .50 dell’angolo

nordorientale della barricata comincia a sparare su un nugolo di zombie appostatisul limitare dei boschi, facendo schizzare fontane di materia cerebrale e tessutomorto nell’aria frizzante del mattino.

Il rumore sveglia la città. Il latrato del grosso calibro raggiunge un vicolo dietroai fabbricati alla fine della Main Street, echeggia giù per il viottolo e penetra nelsonnellino ebbro di una figura lurida e cenciosa raggomitolata sotto lapiattaforma di una scala anticendio.

Bob si muove, tossisce e cerca di capire dove si trova, che anno è e come cazzosi chiama. L’acqua piovana, dalle grondaie intasate, continua a traboccare e agocciolargli tutt’intorno. I pantaloni sono fradici. Bob annaspa nello stuporealimentato dall’alcool, zuppo fin nelle ossa; si strofina il viso brizzolato e siaccorge che le sue guance incavate sono rigate di lacrime.

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Stava di nuovo sognando Megan? Faceva un altro incubo nel quale non riuscivaa raggiungerla mentre penzolava per il collo dal trespolo del suo suicidio? Non selo ricorda. Ha voglia di strisciare dentro il cassone dell’immondizia lì vicino e dilasciarsi morire, e invece si mette in piedi a fatica e barcolla giù per il vicolo versola luce del giorno.

Decide di fare colazione: un paio di sorsi di infimo whiskey rimasti nella piccolabottiglia che tiene nella tasca della giacca. Poi si siede sul marciapiede, contro lafacciata di mattoni del palazzo del Governatore: il suo posto fortunato, la suacasa lontano da casa. Crolla contro il muro, affonda le dita annerite nella tasca ene estrae la sua “medicina”.

Beve una sorsata generosa, fino in fondo, poi si accascia contro il muro. Nonriesce più nemmeno a piangere. Il dolore e la disperazione gli hanno bruciato idotti lacrimali. E così si limita a emettere un sospiro arrocchito dal catarro di alitofetido, si appoggia all’indietro e si appisola per una quantità di tempo indefinitaprima di udire una voce.

“Bob!”Sbatte gli occhi appannati più volte e vede la figura indistinta di una giovane

donna che si avvicina attraversando la strada. All’inizio, non ricorda nemmeno ilsuo nome, ma l’espressione del suo viso via via che si fa più vicino, un misto difrustrazione, ansia e persino rabbia, penetra nell’anima di Bob e ne risveglia lamemoria.

“Ehilà, Lilly” dice, portandosi la bottiglia vuota alle labbra. Fino all’ultimo

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goccio. Si pulisce la bocca e cerca di concentrarsi su di lei. “Buongiorno.”Lei lo raggiunge, si inginocchia e gli prende gentilmente la bottiglia di mano.

“Bob? Cos’hai intenzione di fare? Ammazzarti al rallentatore?”Lui inspira e poi esala un respiro nauseante, quasi infiammabile, capace di

accendere un barbecue. “Me ne stavo qui... valutando le varie opzioni.”“Non dirlo nemmeno.” Lo guarda negli occhi. “Non è divertente.”“Non volevo esserlo.”“Okay... come vuoi.” Si asciuga la bocca e lancia un’occhiata oltre la spalla,

studiando nervosa la strada. “Hai visto Austin, per caso?”“Chi?”Lei lo guarda. “Austin Ballard. Dai che hai capito: quello un po’ trasandato.”“Il giovane capellone?”“Proprio lui.”Bob emette un altro coro di colpi di tosse secca e ansimante. Si piega in due un

attimo, cercando di sputarlo fuori. Sbatte di nuovo le palpebre. “No, signora. È unpo’ di giorni che non vedo quel ragazzaccio.” Finalmente riesce a controllare latosse e fissa i suoi occhi gialli in quelli di lei. “Cos’è, ti sei presa una cotta?”

Lilly guarda i confini lontani della città, mordendosi un’unghia. “Eh?”Bob riesce a esibire un sorriso sghembo. “Fate coppia?”Lei si limita a scuotere la testa, scoppiando in una risatina stanca. “Coppia?

Non direi. Non esattamente.”Bob continua a guardarla. “Vi ho visti andare insieme a casa tua, la settimana

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scorsa.” Un altro sorriso sbilenco. “Sarò anche un ubriacone, ma non sono cieco.Ho visto come camminavate e vi parlavate...”

Lei si strofina gli occhi. “Bob, è complicato... ma adesso devo trovarlo.” Loguarda. “Pensaci bene: quand’è stata l’ultima volta che l’hai visto?”

“Lilly, non sono molto bravo coi particolari. La mia memoria non èesattamente...”

Lei lo afferra e lo scuote. “Bob, svegliati! È importante! Devo trovare Austin... èimportantissimo! Mi capisci?” Gli dà uno schiaffetto. “Concentrati, prova a farlavorare quelle cellule cerebrali annebbiate dall’alcool e PENSACI!”

Bob rabbrividisce nella sua stretta, con gli occhi cadenti sgranati e umidi. Lelabbra livide tremano mentre cerca di formare le parole, ma ormai le lacrimestanno arrivando. “I-io non... è stato... non ne sono molto sicuro...”

“Bob, scusami.” Tutta la rabbia, l’urgenza e la frustrazione svaniscono dal visodi Lilly, che lo lascia e lo guarda con un’espressione addolcita. “Scusami tanto.”Lo cinge con un braccio. “È che sono un po’... come dire... ho qualche...”

“È tutto okay, cara” dice lui e, con un accenno di vergogna, aggiunge:“Ultimamente non sono più io, e in questo momento non sono esattamente alsettimo cielo”.

Lei lo guarda. “Ti fa ancora male, vero? Un male cane.”Lui sospira ancora. Si sente quasi normale quando è vicino a quella donna.Per un attimo pensa di raccontarle dei sogni su Megan. Pensa di parlarle

dell’enorme buco nero aperto nel suo cuore e che risucchia fino all’ultima briciola

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della sua vita. Pensa di spiegare a Lilly di non essere mai stato molto bravo agestire il lutto. Ha perso dozzine di amici in Medio Oriente. In quanto medicodell’esercito, ha assistito a così tanta morte e dolore che ha creduto di restarnedilaniato. Ma nessuna di quelle morti è paragonabile alla perdita di Megan e almodo in cui l’ha persa. Pensa a tutto questo per la durata di un istanteagonizzante, poi alza lo sguardo su Lilly e si limita a mormorare: “Proprio così,dolcezza, mi fa ancora male”.

Restano seduti lì, nella luce nuvolosa del mattino, ancora un bel po’, senza direniente, entrambi immersi nei loro pensieri, entrambi a rimuginare sul futuro cupoe incerto, quando alla fine Lilly lo guarda. “Bob, hai bisogno che ti portiqualcosa?”

Lui alza la bottiglia vuota e la picchietta. “Portami un’altra di queste dallascorta vicino alla scala anticendio. Non mi serve altro.”

Lei sospira.Passa un altro lungo momento di silenzio. Bob si sente alla deriva, le palpebre

gli pesano sugli occhi. La guarda. “Mi sembri un po’ giù di corda, cara” dice. “Misa che sono io che devo portare qualcosa a te!”

Sì, pensa lei tra sé, mentre il peso del mondo la schiaccia. Che ne dici di unapistola e due proiettili, così Austin e io la facciamo finita?

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DODICIMartinez cammina su e giù per la passerella posizionata sul semirimorchioparcheggiato all’angolo settentrionale del muro quando si sente chiamare daqualcuno.

“Ehi, Martinez!” la voce si apre un varco nel vento e nel tuono che graffia ilcielo a est. Martinez abbassa lo sguardo e vede Rudy, il barbuto ex stuccatore daSavannah, che arriva dal cantiere. Rudy è massiccio come una sequoia e porta icapelli neri impomatati all’indietro evidenziando una vampiresca attaccatura a Vsulla fronte.

“Che vuoi?” gli grida Martinez. Vestito nella sua tenuta d’ordinanza, magliettasenza maniche, bandana e guanti da corsa tagliati, Martinez imbraccia unKalashnikov con caricatore ricurvo e calcio tagliato. Dal tetto di acciaioarrugginito del Kenworth può vedere per oltre un miglio in ogni direzione e, senecessario, far fuori una mezza dozzina di non morti con una sola raffica. Nessunorompe il cazzo a Martinez, né umani né azzannatori, e quella visita inaspettata glista già dando sui nervi. “Il mio turno finisce solo tra un paio d’ore.”

Rudy strizza gli occhi per il sole ed esibisce un’alzata di spalle stoica. “Sonovenuto a darti il cambio, perciò oggi stacchi prima. Il capo vuole vederti.”

“Merda” mormora Martinez tra i denti: quella mattina non ha nessuna voglia diandare nell’ufficio del principale. Scende giù dalla parte della cabina, borbottando

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piano: “Cosa diavolo vuole?”Salta giù dal predellino.Rudy gli lancia un’occhiata. “Figurati se l’ha detto a me!”“Sta’ in guardia lassù” gli ordina Martinez, guardando la stretta apertura

davanti all’autocarro e studiando i campi inondati a nord. La campagna è deserta,ma Martinez ha una brutta sensazione su cosa si nasconde dietro il cupo elontano colonnato dei pini. “Finora è stato tranquillo... ma in genere non duramai.”

Rudy gli fa un cenno di assenso e si arrampica su per la cabina.Martinez si allontana, mentre la voce di Rudy lo segue. “Vai a vedere il

combattimento, oggi?”“Prima vediamo cosa vuole il Governatore” borbotta Martinez, ormai fuori dalla

portata d’orecchio di Rudy. “Una maledetta cosa alla volta.”Gli occorrono undici minuti esatti per attraversare la città a piedi, con un paio di

soste per distribuire qualche calcio nelle chiappe agli operai sorpresi abighellonare nei vicolini della via del mercato, alcuni già con la bottiglia in manoalle due del pomeriggio. Quando raggiunge il palazzo del Governatore, il sole hasquarciato le nuvole e reso la giornata umida come un bagno turco.

Madido di sudore, il grosso latinoamericano aggira l’edificio e sale sul terrazzinodi legno su cui si affaccia l’ingresso del Governatore. Picchia forte sullo stipite.

“Porta il culo qui dentro” lo accoglie il Governatore, aprendo la porta doppia.Quando entra nell’atmosfera rancida della cucina, un brivido gli increspa la

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pelle della nuca. Il posto puzza di grasso, muffa nera e qualcosa di putrido. Undeodorante per auto al profumo di pino pende sopra il lavello. “Che succede,capo?” dice Martinez, posando il fucile d’assalto e appoggiandosi contro unarmadietto.

“Ho un lavoro per te” dice il Governatore, riempiendo d’acqua un bicchiere.Quell’appartamento è uno dei pochi rimasti a Woodbury con l’impianto idraulicofunzionante, sebbene il rubinetto rigurgiti spesso acqua marrone di ruggine. IlGovernatore la tracanna. Sopra il fisico asciutto indossa una canotta consunta eha i pantaloni mimetici infilati dentro gli anfibi. La benda sull’orecchio è arancioneper il sangue e lo iodopovidone. “Ti va un bicchier d’acqua?”

“Sì.” Martinez se ne sta appoggiato contro il pensile, le braccia muscoloseconserte sul petto per calmare il battito del cuore. La piega che le cose stannoprendendo comincia già a non piacergli. In passato, le persone alle quali ilGovernatore ha affidato degli “incarichi speciali” hanno fatto una brutta fine.“Grazie.”

Il Governatore riempie un altro bicchiere e glielo porge. “Voglio che vai a fareuna visitina a quel tizio, Rick, e voglio che gli butti lì qualcosa del tipo che sei unpo’ scontento di come vanno le cose da queste parti.”

“Scusa?”Il Governatore lo guarda negli occhi. “Insomma... che sei stufo, hai afferrato?”“Non proprio.”Il Governatore alza gli occhi al cielo. “Cerca di seguirmi, Martinez. Voglio che

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entri in confidenza con quello stronzo. Che ti guadagni la sua fiducia. Gli dici chesei insoddisfatto di come viene governata la città. Voglio trarre vantaggio daquello che sta succedendo in quella cazzo di infermeria.”

“E cosa succede nell’infermeria?”“Lo stronzo sta facendo la corte a Stevens e alla sua cagnolina, l’infermiera.

Quei due pensano che gli stranieri siano gente a modo, rispettabile... ma tu nondevi crederci. Mi hanno staccato questo cazzo di orecchio a morsi!”

“Giusto.”“Mi hanno aggredito, cazzo, Martinez. Vogliono la nostra città, vogliono le

nostre provviste... e faranno qualsiasi cosa per prendersele. Credimi. Farannoqualsiasi cosa. E io farò qualsiasi cosa per impedirglielo.”

Martinez beve l’acqua, annuendo e pensandoci sopra. “Tutto chiaro, capo.”Il Governatore va alla finestra nera e scruta il pomeriggio afoso. Il cielo è del

colore del latte avariato. Non si vedono uccelli da nessuna parte. Né uccelli, néaerei, niente di niente, se non un infinito cielo grigio. “Voglio che tu vada afondo” dice con una voce bassa e severa. Si gira e lo guarda. “Voglio che liconvinci a portarti nella prigione dove vivono.”

“Vivono in una prigione?” Per Martinez questa è una novità. “Uno di loro haparlato?”

Il Governatore torna a guardare fuori. Gli racconta a voce bassissima delledivise da carcerato che gli uomini indossavano sotto i giubbotti antisommossa edella conclusione logica... perfettamente logica che ne ha ricavato. “Abbiamo

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qualche galeotto in città” dice alla fine. “Ho chiesto in giro. A un giorno dicammino da qui ci sono tre o quattro prigioni di stato, una a Rutledge, una neipressi di Albany e una a Leesburg. Se localizziamo il posto senza sbatterci troppoper strada sarebbe decisamente meglio.” Si volta e guarda Martinez. “Continui aseguirmi?”

Martinez annuisce. “Farò ciò che posso, capo”.Il Governatore distoglie lo sguardo. Dopo un attimo di silenzio, dice: “L’orologio

fa tic-tac, Martinez. Mettiamoci al lavoro”.“Posso fare una domanda?”“Cosa?”Martinez misura le parole. “Diciamo che troviamo quel posto...”“Sì?”Martinez alza le spalle. “E poi?”Il Governatore non risponde. Si limita a fissare il cielo vuoto, con un’espressione

misera e desolata come il paesaggio dilaniato dall’epidemia.-----

I pezzi del domino cominciano a cadere quello stesso pomeriggio, e lasequenza apparentemente casuale di eventi inizia a sortire le sinistreconseguenze di una collisione tra nuclei atomici.

Alle 14:53 secondo il fuso degli stati orientali del Nord America, uno dei migliorilottatori del Governatore, un camionista allampanato di Augusta di nome HaroldAbernathy, compie una visita inaspettata all’infermeria. Chiede al dottore di

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prepararlo per il combattimento del giorno. Vuole che il medico gli rimuova lefasciature per apparire al meglio agli occhi della folla. Alla presenza dellostraniero di nome Rick, Stevens comincia a srotolare la garza con riluttanza e atogliere la miriade di bende dalle vecchie ferite di Abernathy, quandoall’improvviso un quarto uomo irrompe nella stanza tuonando con vocebaritonale: “Dov’è quel coglione? DOV’È?!”. Eugene Cooney, un uomo sdentato,massiccio e con la testa rasata, va dritto verso Harold, latrando e sbraitando cheHarold non ci va piano coi pugni là fuori e gli ha fatto perdere gli ultimi dentidavanti che gli restavano. Harold cerca di scusarsi per essersi “lasciato prenderela mano” dalla folla, ma secondo l’ultimo arrivato “le scuse non bastano ametterci una pezza” e prima che qualcuno possa intervenire, Eugene estrae unminaccioso coltello da caccia e aggredisce Harold alla gola. Nel caos generale, lalama fende la gola di Harold Abernathy recidendo l’arteria carotidea: fiotti disangue imbrattano le piastrelle della parete in un disegno raccapricciante. Primache Stevens faccia in tempo persino a reagire e a cercare di arrestarel’emorragia, Eugene Cooney ha voltato i tacchi ed è uscito con l’indifferentesoddisfazione di un macellaio che ha sgozzato un maiale. “Stronzo” commentavoltandosi indietro.

La notizia dell’aggressione e della morte di Harold in seguito alla copiosaperdita di sangue si diffonde in città nel corso dell’ora successiva. La voce passada un uomo all’altro lungo il muro fino a raggiungere il Governatore esattamentealle 15:55. A presentargli il freddo resoconto dell’incidente è Bruce: il

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Governatore lo ascolta, facendo capolino dalla porta sul retro. Assimila il rapportostoicamente, ci pensa su e alla fine dice a Bruce di non dare alla cosa tropporilievo. Non vuole che gli abitanti della città si allarmino. Anzi, diffonderanno lavoce che Harold Abernathy è morto per le ferite interne riportate neicombattimenti perché Harold era un gran lavoratore e dava tutto se stesso edera quasi una specie di eroe e anche perché quei combattimenti sono una robavera e la gente non dovrebbe dimenticarlo. Bruce vuole sapere chi sostituiràHarold nel match del giorno, previsto tra poco più di un’ora. Il Governatorerisponde che ha già un’idea.

Alle 16:11 di quel pomeriggio, il Governatore lascia il suo appartamentoaccompagnato da Bruce e attraversa la città in direzione della pista, che si sta giàriempiendo di spettatori impazienti di assistere all’inizio dei festeggiamenti. Alle16:23 i due uomini hanno già sceso due rampe di scale e percorso migliaia dicentimetri di uno stretto corridoio di mattoni verso l’ultima cella sulla sinistra dellivello più basso. Per strada il Governatore spiega a Bruce la sua idea e gli dice dicosa ha bisogno. Alla fine raggiungono la cisterna improvvisata. Bruce apre lasaracinesca e il Governatore gli fa un cenno. Quando Bruce tira su la porta, levecchie rotelle stridono bucando il silenzio.

Nel buio della squallida stanza di cemento sporco di grasso e muffa, l’esilefigura dalla pelle bruna legata al muro in fondo alza la testa con ogni briciolo diforza che le è rimasta in corpo: le trecce rasta ricadono sopra il viso martoriato.Un odio incandescente come fuoco arde nelle cavità dei suoi occhi a mandorla e

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lo sguardo al laser filtra dai capelli fissando il Governatore che fa un passo versodi lei. La porta si richiude sbattendo dietro di lui. Nessuno dei due si muove. Ilsilenzio preme su entrambi.

Il Governatore si avvicina di un altro passo e arriva a una dozzina di centimetrida lei; fa per dire qualcosa quando lei gli salta addosso. Malgrado la precarietàdelle sue condizioni, va molto vicino a morderlo, così vicino che il Governatoreindietreggia di scatto; il debole schiocco dei denti e il cigolio delle funi cheresistono colmano il silenzio.

“E allora? Se anche mi mordi, cosa pensi di ottenere?” le dice il Governatore.Nulla se non un lieve sibilo d’aria esce dalla bocca della donna: le labbra

scoprono i denti in una smorfia di disprezzo puro e assoluto.“Come pensi di uscire da qui?” seguita lui, sporgendosi in modo che a dividere

le loro facce siano solo pochi centimetri. Il Governatore si abbevera della suarabbia. Può sentirne l’odore, un odore muschiato di sudore, spezie e sangue, e loassapora. “Dovresti davvero smetterla di lottare. Le cose sarebbero molto piùfacili per te. Del resto, l’ultima volta ti sei quasi spezzata i polsi. E noi questo nonlo vogliamo, vero?”

Lei incatena il suo sguardo serpentino su di lui: la sete di sangue nei suoi occhiè quasi ferina.

“Così, per il tuo bene” dice lui, rilassandosi un po’, indietreggiando eprendendole le misure “apprezzerei se ci dessi un taglio... ma adesso passiamooltre.” Si concede un attimo di pausa teatrale. “Abbiamo un po’ di problemi. O

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meglio, tu hai un problema enorme e io, se la vogliamo mettere così, ho parecchi‘problemi’... ma quello che voglio dire è che ho un problema nuovo e mi serve iltuo aiuto.”

Il volto di lei è ancora immobile come quello di un cobra, concentrato e fissosugli occhi scuri del Governatore.

“Ho un combattimento in programma per oggi nell’arena... di quelli grandiosi.”La sua voce ha assunto il tono piatto di un cliente che chiama un taxi. “Mi aspettoun sacco di gente... e io ho appena perso un lottatore. Ho bisogno di unsostituto... e voglio che sia tu.”

Qualcosa luccica sotto l’espressione velata della donna, qualcosa di nuovo neisuoi occhi scintillanti. Non dice niente, ma piega la testa verso di lui, quasiinvolontariamente, mentre assimila ogni sua parola.

“Prima che cominci a sbraitare cose del tipo che ‘non-farei-mai-niente-per-te’ e‘chi-cazzo-ti-credi-di essere-per-chiedermi-qualcosa’... voglio che pensi a unacosa.” La fissa. “Io sono nella posizione di renderti la vita più facile.” Per unistante fugace, un sorriso gli si allarga sui lineamenti. “Cristo, persino unapallottola basterebbe a renderti la vita più facile... ma sì, insomma, possoaiutarti.”

Lei lo fissa. Aspetta. Gli occhi scuri ardono.Il Governatore le sorride. “Semplicemente non perdere di vista questa cosa.”

Guarda la porta voltando la testa. “Bruce!”La saracinesca si alza e una mano guantata appare da sotto.

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Bruce tira su la porta, facendo entrare la luce fredda e nuda del corridoio.Il grosso uomo tiene un oggetto che cattura la luce, e il suo bordo d’acciaio

rifulge di un bagliore quasi liquido.La donna sul pavimento posa il suo sguardo sull’oggetto nella mano nera

dell’uomo.Pur senza fodero, la spada appare magnifica sotto la luce fioca e richiama la

donna come un faro per un viaggiatore. Originariamente creata per i samurai delquindicesimo secolo e oggi forgiata a mano ormai solo da pochi maestri armaioli,la katana è acciaio che si fa poesia pura. La lunga lama ricurva con l’eleganza delcollo di un cigno e l’impugnatura avvolta con pelle di serpente decorata a manocon perline ne fanno un’autentica opera d’arte e, nel contempo, uno strumento diprecisione letale.

Alla sua vista la donna s’irrigidisce all’istante, e le viene la pelle d’oca sullebraccia e le gambe. Nello stesso istante tutta la rabbia, l’agonia feroce tra legambe e il rumore bianco nella sua mente svaniscono... sostituiti dal bisognoinnato di stringere le mani intorno a quel manico perfettamente bilanciato. Lapresenza di quell’oggetto la porta in un altro luogo, la ipnotizza, e a stento ladonna sente la voce del mostro che seguita a farfugliare.

“Mi piacerebbe darti questa” sta dicendo. “E sono sicuro che a te piacerebberiaverla.” La sua voce svanisce mano a mano che l’arma diventa più luminosa agliocchi della donna: il brillio della mezzaluna d’acciaio è un frammento di lunanuova che eclissa qualsiasi altra cosa nella cella, nel mondo, nell’universo.

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“Ti batterai contro un uomo” le spiega il mostro, ma la sua voce scolora nelnulla. “E la folla, be’, dovrà credere che hai un vantaggio. Alla gente non piaceguardare i maschi che pestano a sangue le ragazze.” Una pausa. “Lo so... Èstrano anche per me. Immagino che se gli vai addosso con una spada, sarà okayper lui darti una bella sberla con una mazza da baseball.”

Nel cervello traumatizzato della donna la spada vibra quasi come una dolcelitania e illumina la fosca prigione di una luce così vivida che sembra aver presofuoco.

“In cambio, avrai un’intera settimana di riposo” seguita il mostro. “E cibo. Eforse anche una sedia o un letto. Ma devo ancora pensarci.” La sagoma delmostro incombe su di lei. “A essere sinceri, la nostra piccola relazione è stataparecchio stancante. Ho bisogno di una pausa.” La guarda con un sorriso oscenostampato in faccia. “Sono ancora incazzato nero per via dell’orecchio,intendiamoci. Ma credo di essermi preso almeno una piccola rivalsa.” Un’altrapausa. “E be’, il tizio contro cui ti batterai stanotte potrebbe anche ucciderti.”

Nella fantasia della donna raggi di luce celestiale sembrano diffondersi dallapunta cesellata della spada.

“Ma io non voglio che tu lo uccida” continua il mostro. “È un piccolo segreto chenon dobbiamo svelare alla gente. I combattimenti della nostra piccola arena sonoun tantino, come dire... organizzati. Il pericolo con gli zombie è reale, certo, matu non devi fare troppo male al tuo avversario.”

La decorazione di luce riflessa dall’arma sembra allungarsi verso la donna sul

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pavimento e la voce nella sua testa le sussurra una promessa... sii paziente,aspetta, abbi pazienza.

“Decidi pure con calma” dice il Governatore alla fine, facendo un cenno a Bruce.Si dirigono alla porta e il Governatore mormora: “Ti concedo venti minuti.”

-----Quel giorno Lilly cerca Austin in ogni angolo della città. A un certo punto, dopo

aver parlato con gli Stern, si preoccupa che se la sia svignata da solo per andarea cercare una leggendaria piantagione di marijuna non lontano da Woodbury.

Austin ha parlato di quel posto più volte, usando in genere il tono malinconicodi chi descrive un Eden perduto. Sosteneva di aver sentito delle voci secondo lequali un programma medico governativo producesse semi per conto della Pfizer16in vista di una probabile legalizzazione. Lilly è quasi pronta a corrergli dietro: aquanto pare, la famigerata fattoria si trova a est di Barnesville, il che significauna breve corsa in macchina da Woodbury o una camminata a piedi di un giorno.Ma poi, nel tardo pomeriggio, grazie a un paio di indizi, comincia a pensare cheforse Austin è sempre rimasto lì, proprio sotto il suo naso.

Gus dichiara di averlo visto intorno a mezzogiorno di quello stesso giornoappostato nei boschetti vicino allo scalo ferroviario, come per cercare qualcosa.Questo per Lilly non ha alcun senso. Ma del resto quand’è che i movimenti diAustin Ballard hanno senso?

Più tardi, dopo il triste incontro con Bob, Lilly è sulla via di casa quandos’imbatte in Lydia Blackman, un’anziana e benestante vedova di Savannah che ha

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assunto con entusiasmo il ruolo di pettegola della città. Stando a Lydia, meno diun’ora prima Austin rovistava nel mucchio di rifiuti dietro il magazzino in MainStreet, frugando tra secchi e fusti d’olio. Alcuni passanti fanno commentisarcastici sul ragazzo, che “si sta trasformando in un barbone” e “la prossimavolta lo vedremo spingere un carrello per strada in cerca di scatolette vuote”.

Lilly è sbalordita, la pelle tirata per la tensione nervosa: ormai è quasi allacanna del gas. Decide che il modo migliore per trovare qualcuno è di nonmuoversi. Perciò si dirige verso l’appartamento di Austin, sul lato est della città,vicino alla fila degli autocarri, e si piazza sotto il portico. Ed è esattamente lì chesi trova in questo momento, seduta a gambe incrociate, con i gomiti appoggiatisulle ginocchia e la testa tra le mani.

Il sole è calato a ovest sopra la gigantesca arena a forma di disco, e la brezza èdiventata fredda. Lilly vede l’ultimo abitante della città superare di corsa la casadi Austin alla volta del grande spettacolo. I combattimenti cominceranno tramezz’ora e Lilly non ha nessuna intenzione di trovarsi nei paraggi di quel posto,ma è determinata a trovare il giovane capellone per sganciargli la sua bomba.

Meno di cinque minuti dopo sta per arrendersi quando vede la figura familiareemergere come una visione dalla riccioluta criniera in felpa e jeans strappati,circonfuso dai raggi che filtrano di sbieco dal vicolo adiacente. Austin porta lozaino a tracolla e il contenuto non identificato sporge dall’interno. Ha l’ariasolenne, forse anche un tantino solitaria, finché non svolta l’angolo in direzionedel suo edificio e vede Lilly sulla scalinata d’ingresso. “Oh, mio Dio” dice,

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muovendosi verso di lei, con gli occhi improvvisamente luccicanti come quelli diun bambino che trova un cesto di uova pasquali sotto il letto. “Ti ho cercatadappertutto.”

Lilly se ne sta lì, con le mani in tasca. Alza le spalle brusca. “Davvero?... questaè bella. Io cercavo te.”

“Favoloso” dice lui, baciandola sulla guancia e lasciando cadere lo zaino suigradini. “Ho una cosa per te.”

“Davvero? Anch’io ho una cosa per te” dice lei con espressione assente.Austin fruga nello zaino. “Ti ho aspettata a casa tua, ma tu non ti sei mai fatta

vedere.” Estrae un grosso barattolo arrugginito con l’etichetta del lievito ClabberGirl sbiadita su un lato e con dentro un delizioso mazzolino di astri e gissofilabianca. E in un attimo tutto il suo strano comportamento di quel giorno, arovistare tra erbacce e mucchi di spazzatura, si spiega. “Barbara ha detto chequesta roba bianca si chiama Occhi di Bambola... da brivido, eh?!”

“Grazie” dice Lilly, prendendogli il dono dalle mani senza sentimento eposandolo sullo scalino. “È molto dolce da parte tua.”

“Che problema hai?”Lei lo guarda. “Quali sono i tuoi piani?”“Eh?”“Mi hai sentita.” Lilly si mette le mani sui fianchi come se stesse per licenziarlo.

“Parlo dei tuoi piani per il futuro.”Lui inclina la testa con un’espressione confusa. “Non lo so... penso che

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continuerò a fare pratica con la Glock, per fare progressi al tiro allo zombie... eforse mi cerco un altro generatore per sentire un po’ di musica nella mia tana.”

“Non sto parlando di questo e tu lo sai.” Si morde il labbro un attimo. “Parlo dise e quando riusciremo a emergere da questo casino. Quali sono i tuoiprogrammi? Per il resto della tua vita?”

Una confusione più profonda gli attraversa i lineamenti. “Intendi... un lavoro eroba del genere?”

“Intendo una carriera. Intendo crescere. Quali sono i tuoi piani? Farai il bullo daspiaggia professionista? La rockstar? Lo spacciatore? ...cosa?”

Lui la fissa. “Cosa sta succedendo?”“Rispondi alla domanda.”Austin si infila le mani in tasca. “Okay. Prima di tutto, non so nemmeno se ci

sarà mai un futuro per cui fare piani. Secondo, non ho la minima idea di cosafarò.” Studia la sua espressione cupa: Lily non sta scherzando. “Però ho unalaurea.”

“E dove l’hai presa?”Lui sospira: la sua voce ha perso un po’ di brio. “All’ATC.”“ATC... cos’è?”La voce di Austin si abbassa ancora. “Atlanta Technical College.”“Sul serio?” Gli lancia un’occhiata. “Di che si tratta, Austin? Non sarà mica un

cazzo di sito Internet dove paghi due soldi per un pezzo di carta e loro timandano un buono sconto per un cambio dell’olio e un servizio di curriculum?”

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Austin deglutisce con forza. “No, è una scuola vera.” Abbassa lo sguardo. “C’èun campus nei pressi dell’aeroporto.” La sua voce scende di un’ottava. “Studiavoper diventare assistente legale.”

“Semplicemente perfetto.”Lui la guarda. “Di che diavolo parli, Lilly? Dove vuoi andare a parare?”Lei distoglie lo sguardo un attimo e guarda la strada vuota. Il rumore della folla

che va fuori di testa per i combattimenti a un isolato e mezzo da lì echeggia nelcielo. Lilly scuote la testa lentamente. “Corse di autocarri e strip club” mormoratra sé.

Austin le fissa la nuca e la ascolta con attenzione, sempre più preoccupato.“Cosa?”

Lei si volta e lo guarda. “È un mondo per uomini, ragazzino.” Il suo volto è unamaschera di dolore e gli occhi hanno già cominciato a bagnarsi. “Voi maschipensate che è solo una botta e via e poi ‘sayonara’. Be’, non è così. Non è così,Austin. Le azioni hanno conseguenze. La scelta più semplice basta a fartiammazzare.”

“Lilly...”“E adesso è più vero che mai.” Si stringe come se stesse congelando. Guarda di

nuovo altrove. “Il mondo di merda in cui viviamo non è molto clemente. Finiscinei guai e sei morto... o peggio.”

Lui allunga la mano e le accarezza delicatamente la spalla. “Lilly, di qualunquecosa si tratti... possiamo affrontarla. Insieme. Non è quello che mi hai detto tu

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stessa? Di restare uniti? Dimmi cos’hai. Cos’è successo?”Lei si allontana e fa per scendere le scale. “Non so cosa mi sia passato per la

testa” dice con una voce che crepita di disprezzo.“Aspetta!” grida lui. “Lilly, posso sistemare le cose... di qualunque cosa si

tratti.”Lei si ferma in fondo ai gradini. Si gira e lo guarda. “Davvero? Puoi sistemare le

cose?” Infila la mano in tasca e ne estrae un piccolo aggeggio di plastica.Somiglia a un termometro digitale. “Aggiusta questo, allora!” Glielo tira.

Lui lo afferra e lo guarda. “Che diavolo è?” A un esame più ravvicinato, vede lafinestrella sulla provetta del test digitale e le parole stampate accanto:

non incinta: |incinta: ||Sullo schermo ci sono due linee verticali: il risultato del test è positivo.

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PARTE SECONDA

Lo spettacoloabbia inizio

Poiché allora vi sarà grande tribolazione,quale non vi è mai stata dal principio del mondo

fino a ora, né mai più vi sarà.—Matteo 24:21

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TREDICIL’enorme faro al tungsteno all’estremità nord della pista si accende con un suonosimile a uno sparo, scintillando come la capocchia di un gigantesco fiammifero: ilraggio argentato centra il diamante dell’arena un tempo nota come Circuito deiVeterani di Woodbury. La luce artificiale infiamma la folla di oltre cinquantaspettatori sparsi tra le panche sul lato ovest del campo. Urla, grida e fischi dagente di ogni età e carattere rotolano fino al cielo cupo di giallo e si mischianocon l’odore del fumo di legna e della benzina nell’aria gelida. Le ombre si stannoallungando.

“Affluenza più che discreta, eh?” Il Governatore studia la folla esigua perquanto chiassosa, guidando Gabe e Bruce su per la tribuna della stampa accantoalla galleria, dove una volta i cronisti locali e i talent scout della NASCAR sipassavano bottiglie di Jack Daniels e masticavano tabacco Red Man mentreosservavano lo spettacolo di caos recintato, giù nella polvere.

Gabe e Bruce seguono il Governatore verso i palchetti protetti dal vetro,continuando a ripetere “sì, signore” e “giustissimo”... e proprio quando stanno perchiudersi dentro il loro piccolo club, una voce risuona da sotto.

“Ehi, capo!” È un brizzolato coltivatore di arachidi con un cappellino della CAT.Seduto nell’ultima fila, si gira verso il Governatore e gli dice: “Sarà meglio cheoggi sia di quelli belli!”.

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Il Governatore gli rivolge il genere di sguardo che si dà a un bambino inprocinto di fare il suo primo giro sulle montagne russe. “Non temere, amico. Cosìsarà. Hai la mia parola.”

Sotto l’arena, qualche minuto prima che i festeggiamenti della serata prendanoil via, la porta dell’infermeria si apre inaspettatamente e un uomo alto, con unabandana stretta intorno alla testa, entra con aria ansiosa. “Doc? Dottor Stevens?”

Rick Grimes, lo sventurato straniero, trascina i piedi vicino alla parete nera,lungo la quale sono sistemate strumentazioni mediche di seconda mano. Ricknota appena il visitatore e continua a muoversi in modo quasi robotico con lamente che vaga a milioni di miglia di distanza. Tiene il braccio mutilato come unneonato morto: la mancanza della mano è ormai evidente nella fasciaturabulbosa a forma di molletta.

“Ehi, amico!” Martinez si ferma sulla soglia con le mani sui fianchi. “Per caso haivisto...?” Si interrompe. “Oh... ma tu sei... Com’è che ti chiami?”

L’uomo ferito si gira piano: il moncone insanguinato cattura la luce. La voceesce impastata, rauca e alterata. “Rick.”

“Oh, mio Dio.” Martinez lo fissa, sorpreso dalla vista raccapricciante del polsomozzato. “Cosa ti è successo alla...? Gesù, cosa ti è capitato?”

Rick abbassa lo sguardo. “Un incidente.”“Cosa?! E come?!” Martinez gli si avvicina e gli posa una mano sulla spalla. Rick

indietreggia. Martinez fa appello a tutto lo sdegno e la simpatia che riesce aesibire. Ne viene fuori una performance rispettabile. “Te l’ha fatto qualcuno?”

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L’uomo di nome Rick gli balza contro e lo afferra per la camicia con la manobuona. “Chiudi la bocca! Chiudi quella cazzo di bocca!” I suoi occhi azzurribruciano di rabbia come carboni ardenti. “Sei stato tu a consegnarmi a quellopsicopatico! Tu mi hai fatto questo!”

“Wow... ehi!” Martinez si fa indietro, mortificato, facendo finta di niente.“BASTA COSÌ!”Il suono della voce del dottor Stevens è come una doccia fredda per i due. Il

dottore s’intromette nella zuffa, tenendoli a debita distanza con il palmo aperto.“Basta, piantatela subito!” Li fissa entrambi. Poi cinge Martinez con un braccio.“Su, Martinez. Meglio se te ne vai.”

Rick si sgonfia, reggendosi il moncherino con gli occhi bassi. Martinez siallontana.

“Che problema ha quello?” chiede piano Martinez dall’altra parte della stanza,soddisfatto della sua messinscena. I semi sono stati piantati. “Sta bene?”

Il dottore si ferma nell’arco della porta, parlando in tono confidenziale. “Nonpreoccuparti per lui. Cosa volevi? Mi stavi cercando?”

Martinez si strofina gli occhi. “Il nostro buon Governatore mi ha chiesto diparlarti... ha detto che gli sembravi insoddisfatto. Sa che siamo amici. Voleva soloche...” A questo punto Martinez si ferma, sinceramente disorientato. Nutre uncerto affetto per il cinico e sarcastico Stevens. Segretamente, nel profondo delcuore, lo ammira, ammira quell’uomo istruito e pragmatico.

Per un brevissimo istante, lancia un’occhiata all’uomo dalla parte opposta della

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stanza. Lo straniero di nome Rick è appoggiato al muro e si tiene il polso fasciatocon espressione distante. Fissa il vuoto, come se guardasse in un abisso e sisforzasse di capire la fredda realtà della sua situazione. Eppure, nello stessotempo, almeno agli occhi di Martinez, quell’uomo sembra solido come una roccia,pronto a uccidere, se necessario. La barbuta mascella squadrata, le rughe agliangoli degli occhi, risultato di anni di risate, sconcerto o sospetto, o forse delletre cose insieme, tutto sembra delineare i contorni di un uomo fatto di unasostanza diversa. Forse non un professionista istruito, ma di certo un uomo danon sottovalutare.

“Non lo so” mormora Martinez alla fine, rivolto al dottore. “Immagino chevolesse solo che io... mi assicurassi che non avresti creato qualche problema ouna cosa così.” Un’altra pausa. “Vuole solo assicurarsi che tu sia contento.”

Adesso tocca al dottore distogliere lo sguardo dalla stanza e valutare le cose.Alla fine rivolge a Martinez uno dei suoi soliti sorrisi storti e dice: “E da quando

in qua?”.L’arena prende vita con una fanfara assordante di musica trash heavy metal e

una scarica di urla belluine dagli spalti. In quel preciso istante, il burbero, rude,semianalfabeta gigante noto come Eugene Cooney emerge dall’ombra delvestibolo nord come una specie di cencioso Spartaco della domenica. Sulle spalle,massicce come travi di ferro, indossa una consunta imbottitura da football. Portacon sé una mazza sporca di sangue e avvolta con strisce di nastro isolante.

Quando supera le forche caudine degli zombie incatenati ai cancelli

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all’estremità del circuito interno, la folla gli grida frasi di incitamento. Le creatureallungano le mani verso di lui: protendono le bocche putride e digrignano i dentianneriti; sottili filamenti di bile nera svolazzano fra i granelli della luce polverosa.Eugene saluta quegli esseri alzando il dito medio. La folla ama quell’uomo e gliruggisce tutta la sua ammirazione quando lui prende posto al centro del campo ebrandisce la mazza con una sorta di tronfia pomposità che farebbe vergognarepersino un portabandiera dei marine. Il fetore di organi e interiora in avanzatostato di decomposizione si mescola con la brezza.

Eugene agita la mazza e aspetta. Anche gli spettatori aspettano. Sull’arena,come fosse uno strano quadro, cala il silenzio dell’attesa: tutti attendono divedere chi sarà lo sfidante.

In alto nella tribuna stampa, Gabe, in piedi dietro al Governatore, guarda lascena e, alzando la voce per farsi sentire, chiede: “Ne sei proprio sicuro, capo?”

Il Governatore non lo guarda nemmeno. “Veder pestare quella puttana senzache io debba versare una goccia di sudore? Sì... penso che sia una buona mossa.”

Un rumore proveniente dal campo richiama la loro attenzione sulla pozza diluce intorno al portale sud.

Il Governatore sorride. “Ci sarà da divertirsi.”Lei entra nel campo dal buio del vestibolo con un’andatura brusca, quasi

frettolosa. Le testa china, le spalle quadrate sotto il mantello monastico, le trecceche fluttuano nel vento, avanza rapida e con fermezza malgrado le ferite e losfinimento, come se dovesse soltanto afferrare un coniglio selvatico per la

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collottola. Nella mano destra stringe saldamente la lunga sciabola ricurva, con lapunta rivolta verso il basso in un angolo di quarantacinque gradi.

Accade tutto molto in fretta: l’aspetto esotico di quella persona, capace diemanare un naturale senso di autorità, e lo strano zelo del suo contegno, paionorapire il pubblico, come se l’intera adunata avesse inspirato e trattenesse il suorespiro collettivo. Quando quella curiosa creatura con la spada decorata passa inmezzo agli zombie, quelli protendono le mani verso di lei, quasi come supplici chela circondano. La donna si avvicina a Eugene senza espressione, senzacompiacimento né emozioni.

Eugene alza la mazza, le ringhia contro una specie di folle minaccia e poi laattacca.

Il grosso bruto sembra muoversi al rallentatore per la semplice rapidità con cuila donna gli assesta un calcio ben piazzato nei genitali. Il colpo raggiunge il puntomorbido in mezzo alle gambe e strappa al mastodonte un gemito quasifemmineo. Eugene si piega in due come se fosse improvvisamente intossicato diagonia. Gli spettatori ululano.

Il seguito si svolge seguendo l’arco veloce e sicuro di un coltello da gourmet.La donna ammantata si limita a ruotare compiendo una specie di piroetta

bassa: un movimento così naturale, esperto, preciso e inevitabile da sembrarequasi innato; e poi cala la spada, che stringe ora con entrambe le mani, sul collodel grosso uomo. La lama forgiata a mano, lavorata da generazioni di artigianiper millenni, recide la testa di Eugene Cooney in un sussurro.

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All’inizio, tra le gradinate, la visione della lama d’acciaio che scintilla nella luceal tungsteno e di quel cranio massiccio mozzato con la facilità con cui una sega anastro taglierebbe una forma di Brie, è talmente surreale che la reazione dellafolla è straniata: qualche colpo di tosse, un coretto sparso di risate nervose... finoall’abbattersi di un vero tsunami di silenzio.

La quiete improvvisa che attanaglia lo stadio polveroso è inappropriata e fuoriluogo. A spezzarla, l’istante successivo, è lo spruzzo di sangue, che schiuma dalcollo reciso di netto di Eugene Cooney. Il corpo senza testa crolla come unpupazzo, prima in ginocchio e poi sul ventre, atterrando esanime come unammasso di pelle morta della muta di un animale. Ed è in quel preciso istanteche la folla inizia a urlare tutto il suo sdegno.

In alto, nella galleria, dietro uno schermo di vetri luridi, una figura atleticascatta in piedi. Il Governatore guarda il campo interno a bocca aperta; poi serra identi e sibila: “Ma che cazzo...?!”.

Per un lungo e surreale istante, si direbbe che una strana paralisis’impadronisca di tutte le persone che si trovano dentro la tribuna stampa e suglispalti. Gabe e Bruce si avvicinano al vetro, stringendo e sciogliendo i pugni. IlGovernatore dà un calcio alla sedia pieghevole dietro di lui e l’arnese metallico vaa sbattere contro la parete nera.

“Scendiamo!” Il Governatore indica la scena che si sta svolgendo sul campo:l’amazzone nera con la spada pronta e il cerchio di cadaveri che si protendonoverso di lei. Rivolto a Gabe e Bruce, grida: “Imbrigliate quegli azzannatori e

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PORTATE QUELLA PUTTANA LONTANO DALLA MIA VISTA, CAZZO! ” Una rabbialiquida gli scorre in corpo. “Giuro che adesso la ammazzo!”

Gabe e Bruce corrono alla porta e inciampano uno sull’altro per uscire.Giù nel campo, la donna ammantata, della quale nessuno si è ancora disturbato

a sapere il nome, sfoga la sua furia controllata sull’anello di zombie che laaccerchiano. Comincia quasi come una danza.

L’amazzone, in posizione accovacciata, ruota e cala la spada contro il primoerrante. La lama affilata sussurra, dilaniando cartilagine e il midollo spinaledecomposti. La prima testa cade e rotola nella polvere: sangue e tessutisbocciano nella luce artificiale, mentre il cadavere crolla a terra. La donnacontinua nella sua rotazione e fende un’altra testa. Una fontana di fluidi zampillain aria, mentre la danza di lei prosegue ininterrotta. Cala la spada su un altrocollo putrefatto e un nuovo cranio vola via dal suo sfilacciato ormeggiosanguinante. A ogni giro, una decapitazione... e un’altra, un’altra e un’altraancora... finché la terra non diventa nera per i liquidi cerebrospinali. Il respirodella donna inizia a farsi ansante.

In quel momento, all’insaputa della folla e della donna al centro del circuito,Gabe e Bruce giungono in fondo alle scale e svoltano l’angolo della portacorrendo verso la pista.

Il pubblico comincia a ragliare, producendo strani latrati da scimmie misti afischi: difficile stabilire, per un orecchio non avvezzo, se si tratti di grida di rabbia,di paura o di eccitazione. Il clamore pare infondere nuovo vigore alla donna

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nell’arena, che finisce gli ultimi tre morti viventi con un’aggraziata combinazionedi grand plié, jeté e letali pas de pirouette. La spada stacca le teste in silenzio, ilballetto è un bagno di sangue battesimale, il suolo polveroso irrorato di liquamirosso scuro.

Proprio in quell’istante, Gabe attraversa la pista di sicurezza, seguito dappressoda Bruce: i due caricano verso la donna, che gli dà le spalle. Gabe la raggiungeper primo e le si tuffa letteralmente addosso come farebbe con un running backche stia per andare a punto.

La donna cade a terra e la spada le vola dalle mani. I due uomini le salgonosopra facendole mangiare la polvere. Un rantolo le emerge dai polmoni: ha dettoforse dieci parole in tutto da quando è arrivata a Woodbury. Si dimena sotto illoro peso, soffiando respiri affannati, mentre loro le schiacciano il volto a terra.L’ansimare infuriato alza piccoli sbuffi di polvere. Gli occhi ardono di rabbia edolore.

Dinnanzi a quello spettacolo, assorbito ormai a un livello più profondo, ilpubblico resta di nuovo ammutolito. Il silenzio torna a premere sull’arena finché ilsolo rumore è il rantolo ansante della donna a terra e un leggero clic provenientedalla galleria sopra gli spalti.

Il Governatore emerge, ebbro di rabbia: serra i pugni così forte che le unghiecominciano a scorticargli a pelle.

“EHI!”Una voce femminile profonda, arrochita dal tabacco e dagli stenti, lo chiama da

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sotto. Lui si ferma sul parapetto.“Ehi tu, figlio di puttana!” La donna a cui appartiene indossa un camice logoro e

siede in una fila interna, tra due bambini i cui abiti sono talmente logori da farlisembrare dei trovatelli. Ha lo sguardo furioso puntato sul Governatore. “Chediavolo era quella merda?! Io non porto i miei figli qui fuori per questa roba! Liporto a vedere i combattimenti per un po’ di sano divertimento... ma questo èstato uno stramaledetto massacro! Non voglio che i miei ragazzi assistano a uncazzo di omicidio!”

Mentre Gabe e Bruce si sforzano di trascinare l’amazzone fuori dalla pista, lafolla dà voce alla sua disapprovazione. I mormorii crescono e si fondono in gridadi rabbia. Il grosso della gente concorda con la donna, ma ormai è qualcosa di piùprofondo che trascina l’adunata. Quasi un anno e mezzo di inferno, inedia, noia,terrore intermittente si riversano fuori da alcuni spettatori in una raffica di urla egrida.

“Li hai traumatizzati!” grida la donna tra gli strilli. “Sono venuta qui per vedereun po’ di ossa rotte, per veder saltare qualche dente... non questo! Questo ètroppo! MI HAI SENTITO?!”

In alto, sul parapetto, il Governatore si ferma e abbassa lo sguardo sulla folla,con la rabbia che gli scorre dentro come un incendio che divora fino all’ultimacellula: gli occhi gli lacrimano, la spina dorsale diventa fredda e nelle pieghe piùprofonde del suo cervello una parte di lui va in pezzi... controlla... controlla lasituazione... brucia via il cancro... brucialo subito.

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Dalle gradinate, la donna lo vede allontanarsi. “Ehi, dannazione! Dico a te! Nonpuoi andartene! Torna qui!”

Il Governatore scende le scale, dimentico dei fischi e dei boati didisapprovazione, e se ne va con una sete infernale di vendetta che gli brucianella mente.

Corrono... a capofitto... perse nel buio, accecate dalla notte... si tuffano neiboschi alla ricerca frenetica della sicurezza dell’accampamento. Tre donne... unasulla cinquantina, una di quasi sessant’anni e una di venti... si agitano tra lefoglie e i grovigli di rami, nel tentativo disperato di tornare nel cerchio di campere case mobili che si trova nell’oscurità a meno di un miglio più a nord. Quellepovere donne volevano solo raccogliere delle more selvatiche e adesso sonocircondate. Messe alle corde. In trappola. Dove hanno sbagliato? Eppure hannofatto piano e con movimenti furtivi e svelti hanno trasportato le bacche negli orlidelle gonne, attente a non parlarsi, a comunicare solo con gesti delle mani... einvece gli erranti si avvicinano a loro da ogni direzione: il fetore si alzatutt’intorno e il coro di latrati acquosi risuona come una trebbiatrice da dietro glialberi. Una donna grida quando un braccio morto sbuca da una fratta e la afferra,squarciandole la gonna. Come ha fatto a succedere così in fretta? Gli zombie sonousciti dal nulla. Come hanno fatto quei mostri a scoprirle? D’un tratto i cadaveriambulanti bloccano la strada alle donne, le circondano, tagliano loro ogni via difuga. In preda al panico le donne si battono per respingere l’assalto con gridaassordanti... il loro sangue si confonde con il succo viola delle bacche... finché è

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troppo tardi... e il bosco diventa rosso del loro sangue... e le loro grida vengonosommerse da quella trebbiatrice inarrestabile.

“Sono conosciute come le Donne di Valdosta” dice Lilly con un brivido, dopoaver raccontato la sua storia di ammonimento. Sta seduta sulla scala anticendiodi Austin ed è avvolta in una coperta.

È tardi e i due sono rimasti a sedere lì per quasi un’ora, indugiando sullapiattaforma a lungo dopo che le luci dell’arena hanno cominciato a spegnersi insequenza e gli abitanti della città delusi hanno ripreso la via del ritorno verso leloro topaie. Austin fuma una sigaretta arrotolata a mano e ascolta tutto intento lasua strana storia. Le viscere gli si annodano per l’emozione, un’emozione grande,che non sa analizzare né comprendere, ma prima di dire la sua ha bisogno diesaminare ogni cosa, perciò se ne sta zitto ad ascoltare.

“Quando ero con Josh e gli altri” prosegue Lilly con una voce priva di emozionie assottigliata dalla stanchezza “loro mi dicevano sempre: ‘Stai attenta... indossasempre un assorbente durante il ciclo, ma ricorda di immergerlo nell’aceto permascherare l’odore... o farai la fine delle Donne di Valdosta’.”

Austin esala un sospiro debole e mortificato. “Immagino che una di loro avessele mestruazioni.”

“Ci sei arrivato” dice Lilly, alzandosi il colletto e tirandosi la coperta sopra lespalle. “Si è scoperto che gli erranti sentono il sangue mestruale come squali... ècome un dannato richiamo.”

“Gesù.”

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“Per mia fortuna, sono sempre stata regolare come un orologio.” Scuote latesta con un brivido. “Dopo ventotto giorni dalla mia ultima mestruazione miassicuro di starmene tappata in casa o quantomeno in un posto sicuro. Daquando è avvenuta la Svolta, ho cercato di tenerne conto meticolosamente. Eccoperché l’ho capito. Avevo un ritardo e l’ho subito capito. Mi sentivo gonfia edolorante... e avevo un ritardo.”

Austin annuisce. “Lilly, voglio solo che tu...”“Non lo so... non lo so” mormora lei come se non lo avesse nemmeno sentito.

“Sarebbe stato un bel guaio anche in qualunque altro momento, ma adesso, nelcasino di merda in cui ci troviamo...”

Austin la lascia sfogare; poi con molta dolcezza e gentilezza, dice: “Lilly, vogliosolo che tu sappia una cosa.” La guarda con gli occhi lucidi. “Voglio avere questobambino con te.”

Lilly lo guarda. Un lungo momento di silenzio aleggia nell’aria frizzante. Lillyabbassa lo sguardo. La pausa lo sta uccidendo. Vorrebbe dire un mucchio di altrecose, vorrebbe dimostrarle che è sincero, vorrebbe che lei si fidasse di lui, ma leparole gli sfuggono. Non è bravo con le parole.

Alla fine lei lo guarda con gli occhi gonfi. “Anche io.” La sua voce è poco più cheun sussurro. Poi ride. È una risata liberatoria, frivola e isterica, eppure liberatoria.“Che Dio mi aiuti... lo voglio anche io.”

Si stringono in un forte abbraccio e, per un lungo istante, restano così, su quellostrapiombo freddo e ventoso sotto la finestra sul retro. Le lacrime scendono

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liberamente.Dopo un po’, Austin le alza il viso, le scosta i capelli dagli occhi, le asciuga le

lacrime dalle guance e sorride. “Faremo in modo che funzioni” mormora.“Dobbiamo. È un gran bel vaffanculo alla fine del mondo.”

Lei annuisce, accarezzandogli la guancia. “Hai ragione, ragazzino. Quando hairagione, hai ragione.”

“E poi” aggiunge lui “ormai il Governatore tiene questo posto sotto controllo. Loha messo al riparo dai pericoli per noi... ne ha fatto una casa per il nostrobambino.” Le bacia teneramente la fronte, sentendosi sicuro come non si è maisentito prima in vita sua. “Avevi ragione su di lui” dice piano. “Quell’uomo sa ciòche fa.”

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QUATTORDICII passi rimbombano giù per il corridoio sotto i livelli inferiori. Avanzano veloci,scendono i gradini due alla volta, si muovono con ritmo rabbioso, attirandol’attenzione di Gabe e Bruce nell’oscurità. I due stanno fuori dall’ultima cella, nelbuio illuminato dalle lampadine nude, e cercano di riprendere fiato dopo lo sforzocompiuto per portare via la ragazza di colore.

Per essere una cosina tutta pelle e ossa, si difende bene. Le braccia grossecome prosciutti di Gabe si stanno coprendo di lividi nei punti che la signora hagraffiato, e Bruce avverte un dolore sotto l’occhio destro dove la puttana gli hadato una gomitata. Ma nulla è paragonabile al ciclone che in questo momentoviene giù per il corridoio verso di loro.

Via via che si avvicina, l’ombra della figura si allunga, retroilluminata dalla lucenel reticolato di ferro. L’uomo esile si ferma a dieci metri di distanza, i pugnistretti. “Allora?” Il contorno del viso affilato è immerso nell’oscurità. “Lei èdentro?” La sua voce echeggia alterata e strozzata per l’emozione. “L’aveterinchiusa lì dentro? È legata? ALLORA?!”

Gabe deglutisce. “Sì, l’abbiamo riportata lì, capo... ma non è stato facile.”Bruce ha ancora il fiato corto per la fatica e tiene l’elegante spada nella

manona come un bambino terrebbe un giocattolo rotto. “Quella puttana è matta”mormora.

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Il Governatore si ferma davanti a loro: si direbbe fatto solo di occhi infuocati efurore incontenibile. “Voglio solo... solo... DAMMI QUEL CAZZO DI AGGEGGIO!”

Agguanta la spada dalla mano di Bruce, che sobbalza d’istinto. “Signore?” dicecon voce bassa e incerta.

Il Governatore sbuffa e digrigna i denti; cammina avanti e indietro stringendo laspada tanto da far sbiancare le nocche. “Dove ho sbagliato con quella puttana?!Gliel’avevo detto... che ci sarei andato più piano con lei... che mi serviva che mifacesse un cazzo di favore... solo un favore del cazzo! SOLO UN FAVORE!” La suavoce rimbomba e praticamente inchioda gli altri due alla parete. “Aveva accettatodi aiutarmi! LEI AVEVA ACCETTATO!” Le tempie gli pulsano, la mascella èserrata, i muscoli del collo sono prominenti, le labbra lasciano i denti scoperti:Philip Blake somiglia a un animale in gabbia. “Cazzo! Cazzo! CAZZO!” Si rivolge aidue uomini. Latra sputando. “Noi. Avevamo. Un accordo!”

Gabe fa per parlare. “Capo, forse se noi...”“Chiudi la bocca! CHIUDI QUELLA CAZZO DI BOCCA!”Il corridoio echeggia. Il silenzio che segue potrebbe ghiacciare un lago.Il Governatore riprende fiato. Si calma, inspira ed espira, alza la spada in una

strana posa: all’inizio, solo per un attimo, si direbbe intenzionato ad attaccare isuoi uomini. Poi mormora: “Dissuadetemi dall’entrare lì dentro adesso persquartarla in due dalla fica al collo con quest’affare”.

Gli altri due non hanno risposte per lui. Sono a corto di idee.Il silenzio è glaciale.

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In quello stesso momento, un altro paio di passi, pesanti, urgenti e furtivi, simuovono attraverso il dedalo di aree di servizio sotterranee e corridoi lebbrosisotto la pista. Nella quiete ovattata dell’infermeria, quei passi, che si avvicinanodall’estremità sud dell’arena, sono ancora troppo lontani per essere uditi.

Nella clinica improvvisata, negli attimi che precedono la rivelazione dellosconvolgente volgere degli eventi, le lampade fluorescenti al soffitto pulsanotremolanti per via dell’incerta corrente trasmessa dai generatori al pianosuperiore. L’alzarsi e abbassarsi della luce, insieme al ronzio incessante, hannoiniziato a innervosire l’uomo di nome Rick.

Seduto su una barella in un angolo, guarda il dottor Stevens intento a lavarsi lemani. Il medico è sfinito: inala un respiro profondo e si stiracchia i muscoli stanchidella schiena. “Okay” dice, togliendosi gli occhiali e strofinandosi gli occhi. “Oravado a casa per schiacciare un pisolino, o almeno ci provo. Non ho dormitogranché questi giorni.”

Intanto Alice sbuca da una dispensa con una siringa ipodermica in una mano euna fiala di Netromycin, un forte antibiotico, nell’altra. Prepara la siringa e rivolgeun’occhiata al dottore. “Tutto okay?”

“Sì, sì, sto bene... alla grande... e comunque niente che un dito di vodkaStolichnaya non possa aggiustare. Ma tu, Alice, vieni a chiamarmi se succedequalcosa di grosso, okay?” Ci pensa su un attimo. “Se hai bisogno di me, vogliodire.”

“Nessun problema” dice lei, alzando la manica di Rick e strofinando la parte con

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dell’alcool. Gli inietta altri cinquanta cc, continuando a parlare distrattamente conil dottore. “Ti serve un po’ di riposo.”

“Grazie” dice il dottore, uscendo e chiudendosi la porta alle spalle.“Allora...” Rick la guarda, mentre lei gli tiene la garza sul braccio per sigillare il

punto dell’iniezione. “Cosa c’è tra voi due? State...?”“Insieme?” Lei sorride malinconica, come se fosse divertita da uno scherzo

segreto. “No. Ma penso che lui lo vorrebbe e, onestamente, è un brav’uomo.Molto bravo, a dire il vero. E mi piace.” Alza le spalle, buttando la fiala usata inun contenitore di rifiuti e abbassando la manica di Rick. “Ma non m’importa sequesta è davvero la fine del mondo... è troppo vecchio per me.”

Il volto dell’uomo si addolcisce. “Quindi sei...?”“Single?” Alice fa una pausa, lanciandogli un’occhiata. “Sì, ma non sono in cerca

di nessuno e tu hai un anello al dito, perciò...” Si interrompe. “Tua moglie èancora viva? Ti chiedo scusa se...”

“Sì, è viva.” Sospira lui. “È tutto a posto. E non preoccuparti, sto solo cercandodi fare un po’ di conversazione. Mi dispiace se t’è sembrato che ci stessi...” Unaltro sospiro. “Sei un medico anche tu? Oppure un’infermiera? Un paramedico?Una cosa del genere?”

Lei si dirige verso una scrivania in disordine spinta contro la parete. Scrivequalcosa su un registro. “In verità, stavo per andare al college per diventarearredatrice d’interni, quando gli azzannatori, gli erranti... chiamali come ti pare,hanno fatto altri piani per me. Fino a pochi mesi fa non sapevo niente di questa

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roba.”“E adesso? Come hai fatto a imparare?” L’uomo ferito pare sinceramente

interessato, anche se si tratta solo di una pigra-chiacchierata-vicino-al-distributore-del-caffè. “Te l’ha insegnato il dottor Stevens?”

“Per lo più sì” dice lei con un cenno, seguitando a scrivere appunti riguardoall’inventario, la distribuzione dei medicinali e il livello degli approvvigionamenti.A Woodbury ogni merce è contata, specie le medicine; per questo Stevens haistituito un meticoloso sistema di registrazione, al quale Alice si attienereligiosamente.

Nella pausa che segue, i passi in avvicinamento hanno raggiunto il corridoioesterno all’infermeria: sono ancora lontani abbastanza per essere inudibili a Ricke Alice, ma si avvicinano in fretta, con determinazione e urgenza.

“Ho sempre imparato in fretta” dice Alice. “Fin da bambina. Mi basta starlo aguardare mentre fa una cosa, una, forse due volte, e so già farlo anch’io.”

Rick sorride. “Be’, sono colpito.”“Non dovresti.” Gli rivolge uno sguardo inflessibile. “Non ci trovo nulla di

speciale nel prestare attenzione a qualcosa, solo perché la maggior parte dellealtre persone non lo fa.” Si concede una pausa e sospira. “Pensi che abbia dettouna cosa cattiva? Ti sono sembrata una stronza? Mi capita spesso. Scusa.”

“Non ci pensare” dice Rick e il sorriso indugia sulle sue labbra. “Non l’ho presacosì. E, in un certo senso, hai ragione.” Abbassa lo sguardo sul moncherinofasciato. “La maggior parte della gente non presta attenzione... a niente.” Alza gli

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occhi. “Si limitano ad attraversare la vita preoccupati solo delle loro cazzate,senza accorgersi di quel che gli succede intorno.” Torna a fissare la suamenomazione ed emette una sorta di flebile grugnito secco.

Lei lo guarda. “Che c’è?”“Mi manca mia moglie” dice lui piano, abbassando lo sguardo. “Io... non riesco

a smettere di pensare a lei.” Una lunga pausa... e poi: “È incinta”.Alice lo fissa. “Davvero?”Rick annuisce. “Già. Dovrebbe partorire tra un paio di mesi. L’ultima volta che

l’ho vista... stava bene.” Deglutisce. “Ma il bambino... non so se...”E in quel momento la porta si spalanca e interrompe la sua frase a metà.

“Rick... alzati! SUBITO!”L’uomo che irrompe nell’infermeria indossa una bandana sbiadita e porta un

fucile di grosso calibro. Le braccia muscolose sporgono dalla maglietta senzamaniche e sotto le ascelle si allargano aloni di sudore. “Presto... dobbiamoandare!” incalza l’uomo, precipitandosi verso Rick e afferrandolo per il braccio.“SUBITO!”

“Che...? Che cazzo fai?!” Rick indietreggia, allontanandosi da quel forsennato.Anche Alice arretra con gli occhi sgranati.

Martinez trivella Rick con lo sguardo. “Ti salvo la pelle.”Rick sbatte gli occhi. “Cosa vuol dire che mi salvi la vita?!”“Ti porto via di qui! Ti aiuto a fuggire! Andiamo!”“Lasciami andare, maledizione!” Rick sfila via il braccio, il cuore che gli batte

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nel petto.Martinez alza la mano in un gesto di scusa. “Okay. Ascolta, mi dispiace. Okay. È

solo che dobbiamo fare in fretta. Non sarà facile portarti via da qui senza farsinotare da nessuno. Stammi solo a sentire. Voglio portarti via di qui ma non possorubare un veicolo... ne teniamo solo un paio con la benzina dentro, e quelli èquasi impossibile arrivarci senza essere visti.”

Rick e Alice si scambiano uno sguardo di terrore. Poi Rick torna a guardareMartinez. “Perché stai...?”

“Se si accorgono che te ne sei andato quando non siamo ancora abbastanzalontani, riusciranno a raggiungerci. Dobbiamo andarcene senza che nessuno sene accorga per un bel pezzo.” Martinez guarda Alice e poi Rick. “Ora andiamo...presto!”

Rick fa un respiro profondo. Si sente travolto da una raffica di sentimenticontrastanti. Poi rivolge all’altro un riluttante cenno di assenso. Guarda Alice e poiMartinez, che si volta e si avvia alla porta.

“Aspetta!” Rick afferra Martinez, che sta già uscendo dalla stanza. “Mi hannodetto che ci sono degli uomini di guardia alla porta! Come facciamo a superarli?”

Martinez sorride a dispetto dell’adrenalina. “Di loro ci siamo già occupati.”“Come sarebbe ‘vi siete’...?!” Rick lo segue fuori dalla porta di gran trotto,

tuffandosi nel corridoio.Rimasta sola dentro la stanza, Alice fissa attonita la porta spalancata.Martinez scivola cauto giù per il corridoio centrale, evitando le pozze di luce

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prodotte dalle lampade appese. Scende le scale verso il livello più in basso e fadue rapide svolte: prega in silenzio che nessuno lo veda. Solo lui e il Governatoresono a conoscenza di quella messinscena; e i tipi come Gabe e Bruce in generepreferiscono sparare prima e fare le domande... be’... mai. Quando si avvicinanoa una delle celle, Martinez alza la mano in un gesto di avvertimento. I due sifermano davanti a una porta di sicurezza.

“Conosci già il mio collega, giusto?” sussurra a Rick, aprendo in fretta la portadi metallo.

Dentro lo spazio fiocamente illuminato, un paio di corpi giacciono privi di sensisul pavimento di cemento. Sono due degli uomini del Governatore, Denny e Lou.Sono entrambi feriti e ammaccati, ma respirano ancora col fiato corto e debole.Una terza figura li controlla. Indossa un giubbotto antisommossa, ha i pugniserrati, respira forte e tiene un manganello in mano.

“GLENN!”Rick barcolla all’improvviso dentro la stanza e si dirige verso l’uomo più

giovane.“Rick, Gesù, sei vivo!” Il giovane asiatico con il giubbotto antiproiettile nero

stile SWAT abbraccia Rick. Con la faccia rotonda e infantile, gli occhi a mandorlascuri e i capelli corti, il ragazzo potrebbe passare per una recluta dell’esercitopriva dell’addestramento di base. O forse un boy scout, pensa tra sé Martinezsulla soglia, mentre assiste al piccolo, lacrimevole ricongiungimento degli altridue.

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“Pensavo fossi morto, amico” dice quello più giovane a quello più vecchio.“Martinez mi ha detto di averti visto, ma... non lo so... forse fino a ora non ciavevo creduto davvero.” Il ragazzo guarda il moncherino di Rick. “Gesù, Rick,c’era così tanto sangue...”

“Sto bene” dice Rick, abbassando lo sguardo e tenendosi la fasciaturamacchiata di sangue contro il petto. “Immagino di essere fortunato che quelfanatico mi abbia portato via solo questo. E tu, come stai?” Gli dà un colpettosull’imbottitura di kevlar della spalla. “Sapevo che ti avevano lasciato andare...che gli avevi detto tutto della prigione e che volevano seguirti.”

Il ragazzo scoppia in una risata nervosa e a Martinez sembra il verso di un canein iperventilazione. “Amico... quelli non mi hanno mai chiesto niente.”L’espressione sul suo viso cambia: gli occhi si stringono, le mascelle si serrano. Ilragazzino guarda a terra. “Rick, ho passato un giorno chiuso dentro un garagevicino a quello dove c’era Michonne.” Un’altra pausa: gli occhi del ragazzo sibagnano per il ribrezzo. “Rick...”

Il giovane s’interrompe ancora. Si direbbe che faccia fatica persino a prenderefiato, figurarsi a spiegare quanto è successo. Martinez, in mezzo alla stanza, ècompletamente assorbito. È la prima volta che sente il nome della donna nera e,per qualche ragione, quel suono, Mee Shaun? Meeshone?, lo rende nervoso.Nemmeno lui capisce bene perché.

Rick accarezza la spalla del giovane. “È tutto okay, Glenn. Adesso ce neandiamo tutti e tre via da qui.”

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“Rick, sai quanto amo Maggie” dice il ragazzo alla fine, guardandolo attraversogli occhi umidi. “Non metterei mai nessuno in pericolo, ma le cose che ho sentito,le cose che hanno fatto a Michonne.” Si ferma di nuovo. Poi con voce tremantedice: “Penso che gli avrei detto qualunque cosa pur di farli smettere.” Ricacciaindietro la vergogna con uno sbuffo. “Ma non mi hanno mai chiesto niente.” Faun’altra pausa, avvamapa di rabbia. “È come se avessero fatto tutto quanto soloper prendermi per il culo.”

Ormai è giunto il momento per Martinez di farsi avanti e mettere in moto quellafottuta messinscena. “Ci sei andato vicino” dice abbassando la voce con tonograve. Rivolge ai due uno sguardo cupo e continua: “Philip, il Governatore,chiamatelo come vi pare... ha superato il limite ormai da un pezzo. Ho sentitodelle voci sulla merda che faceva... ma non ci volevo credere”. Trae un respiroprofondo. “È il genere di cose che preferisci ignorare... starne alla larga. Dopo cheti ho visto” indica Rick con un cenno “mi è venuto il sospetto che ‘l’incidente’ incui hai perso la mano avesse a che fare con lui.”

Rick e Glenn si scambiano un’occhiata. Qualcosa di non detto passa tra loro.Martinez se ne accorge, ma non lo dà a vedere.

“Mi ha chiesto di dare il cambio ai suoi uomini” prosegue Martinez con voceancora più bassa “di fare la guardia al garage dove teneva Glenn. Non sapevoche ci tenesse dentro dei prigionieri. Per lo più lavoro alla sicurezza, dedico tuttoil mio tempo ai recinti.” Un altro sospiro. Guarda i due uomini in mezzo allastanza. “Non potevo permettere che continuasse... dovevo fare qualcosa per

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fermare questa cazzo di follia.” Fissa il pavimento. “Siamo ancora umani,dannazione!”

Rick riflette, si bagna le labbra pensoso; le rughe sul suo viso si scavano.Guarda Glenn. “I miei stramaledetti vestiti.” Guarda Martinez. “I miei vestiti!”Scuote la testa. “Indossavamo giubbotti antisommossa e quando il dottore mistava medicando... qualcuno deve aver visto cosa indossavo sotto.” Scuote letesta lentamente, guardando le crepe sull’intonaco delle pareti e gli angoli venatidi ruggine o sangue. “Cristo” esclama.

L’uomo più giovane lo guarda. “Cosa vuoi dire?”“La tuta, la tuta arancione” mormora Rick. “Ecco come hanno saputo della

prigione. Come ho fatto a essere così maledettamente stupido?”“Presto!” Martinez ha sentito abbastanza e occorre fare in fretta. “Dobbiamo

andarcene da qui.”Rick fa un cenno a Glenn, che abbassa la visiera.E poi il trio scivola fuori dalla stanza e si avvia giù per il corridoio verso la

rampa.Per quasi dieci strazianti minuti, nel livello più basso dello scantinato, Bruce e

Gabe non si sono mossi dal loro posto contro la parete di mattoni adiacente allacella di custodia.

Il Governatore cammina davanti a loro con la katana in mano. Entra ed escedalle pozze di luce sporca prodotta dalle lampadine di sicurezza a cento watt; eborbotta tra sé, con gli occhi vitrei per la rabbia e la follia. Dall’altra parte una

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voce smorzata, femminile, udibile appena sopra la saracinesca dell’area diservizio, prosegue ininterrotta il suo criptico brusio. Con chi diavolo parla? Cherazza di guasto sta facendo marcire il cervello di quella donna?

Bruce e Gabe aspettano gli ordini, ma le decisioni non sono affatto imminenti: ilGovernatore sembra impegnato a lottare contro le sue stesse voci demoniache,come se, agitando la sciabola nell’aria, potesse fare a brandelli anche i suoiproblemi. Di tanto in tanto latra parole confuse e rabbiose: “Cazzo... cazzo...come... cazzo... è potuto...?!”

A un certo punto, Gabe azzarda un suggerimento: “Ehi, capo, perché non ciconcentriamo su quelle prigioni giù ad Albany? Ce n’è un sacco dopo...”

“Chiudi quella cazzo di bocca!” Il Governatore continua a camminare su e giù.“Adesso mi tocca raccogliere nuovi azzannatori per i combattimenti! E devotrovare nuovi lottatori! CAZZO!”

Bruce s’intromette: “Capo, e se noi...?”“CAZZO!” Agita la spada. “Quella puttana del cazzo!” Si gira verso la

saracinesca e sbatte lo stivale più forte che può contro i pannelli di metalloarrugginito, che rimbombano: il colpo ha lasciato una bozza grande quanto lapancia di un maiale. Gabe e Bruce sussultano per il rumore. “CAZZO...! CAZZO...!CAZZO...! CAZZO!” Il Governatore si rivolge a loro. “APRITE!”

Bruce e Gabe si scambiano una rapida occhiata. Poi Bruce va alla porta,s’inginocchia e afferra il bordo inferiore con entrambe le mani.

“Voglio vedere le sue viscere del cazzo sparse sul pavimento, maledizione”

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ringhia il Governatore. La porta si alza stridendo e il Governatore si contorce,come fosse stato folgorato da una scarica di corrente elettrica. “FERMO!”

Bruce si immobilizza con la porta alzata a metà e le grosse mani saldate albordo. Sia lui che Gabe si voltano per guardare il capo.

“Richiudila” dice il Governatore. La sua voce è tornata normale, come se fossestato girato un interruttore.

Bruce lo guarda. “Subito, capo... ma perché?”Il Governatore si strofina il setto nasale e gli occhi. “Voglio...”Gli uomini aspettano. Si scambiano un altro sguardo fugace. Alla fine Bruce si

bagna le labbra. “Stai bene, capo?”“Voglio dormirci su” dice lui calmo. “Non voglio fare nulla di cui potrei

pentirmi.”Esala un lungo respiro, allungando i muscoli del collo. Poi si volta e faper andarsene. “Voglio riesaminare tutti gli elementi” mormora mentre siallontana, senza nemmeno guardarli. “Sarò di ritorno tra qualche ora.”

Scompare dietro l’angolo alla fine del corridoio, svanendo dalla luce cupa comeun fantasma.

“ASPETTATE!”La voce sbuca dall’ombra alle spalle dei fuggiaschi; proviene dal fondo del

corridoio. All’inizio Martinez è convinto che li abbiano beccati e che il suo pianosia andato al diavolo ancor prima che abbiano messo fuori un piede.

“Fermatevi, per favore!”I tre uomini si fermano di colpo in prossimità di due tunnel che si intersecano.

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Martinez sente un formicolio alla nuca. Si girano uno alla volta, prima Martinez,poi Rick e infine Glenn: tutti e tre respirano forte, con il cuore che gli batte nelpetto e le mani tremanti pronte a impugnare le armi da fuoco. Stringono gli occhiper vedere chi è: una figura indistinta si avvicina rapida, passando sotto un conodi luce gialla.

“Aspettatemi” dice la giovane donna. La luce le illumina il vertice della testa,facendo brillare i capelli biondi raccolti in una treccia francese. Alcuni ricci lericadono sul viso da ragazzina. Il suo camice risplende nella luce fioca delcorridoio. Lei si avvicina, a corto di fiato.

È Rick a parlare. “Che c’è, Alice? Cosa vuoi?”“Ci ho pensato su” dice lei con voce tremante, cercando di riprendere fiato nel

tunnel scuro e senz’aria. Da qualche parte non lontano da lì, nel livello più alto,fuori dai vestiboli, il vento mormora tra le panche vuote e le gru. “Se ve neandate” dice “voglio che ci portate con voi. Io e il dottor Stevens.”

Gli uomini si lanciano occhiate nervose, ma nessuno osa rispondere.Alice guarda Rick. “Dovunque voi viviate sarà meglio di qui... e con tua moglie

incinta, sono sicura che potresti aver bisogno di noi.”Rick ci pensa un attimo. Poi le porge un sorriso esile. “Niente di più vero. Ci

piacerebbe avervi con noi. Anzi...”“Okay, signora e signori” Martinez s’intromette con la voce tesa coma una corda

violino. “Adesso dobbiamo andare.”Si precipitano giù per un tunnel da cui si diramano altri corridoi e poi giù per

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una lunga rampa. Il tempo stringe. Arrivano nella fetida oscurità dello scantinato.Glenn ha un ricordo confuso del posto dove è tenuta Michonne: quellesaracinesche tutte uguali, i segni di grasso vecchio e sabbia, così tremendamentesimili, lo disorientano. Ma ricorda di essere stato trascinato per quel sottolivello.Alla fine raggiungono lo stretto e ultimo labirinto di aree di servizio e si fermano.

“Sono quasi sicuro che sia dietro il prossimo angolo” sussurra Glenn, quando siaccalcano nell’ombra di due gallerie.

“Bene” dice Rick piano. “La prendiamo, recuperiamo il dottore e ce neandiamo.” Guarda Martinez. “La casa del dottore è molto lontana dal recinto? C’èuna via d’uscita facile?”

“Fermi!” Martinez alza in aria una mano guantata: la sua voce è un sussurro.“Restate... in silenzio. E state indietro.” Sporge cauto la testa dall’angolo, poitorna a guardare il gruppo. “Ci resterei come un coglione se il Governatore nonavesse messo una guardia nel posto dove tiene la vostra amica.”

Rick fa per parlare: “Perché non...”“Correre lì non è l’idea migliore” lo avverte Martinez. “A meno che tu non voglia

farti sparare. Qui mi conoscono tutti. Andrò avanti io... e poi vi chiamo quando hofinito.”

Nessuno ha nulla da obiettare.Martinez prende un respiro profondo, si dà una sistemata e poi svolta l’angolo,

lasciando i tre derelitti a stringersi nervosi nel buio del tunnel.Glenn guarda Alice. “Ciao, io sono Glenn.”

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“Alice” dice lei con un sorriso agitato. “Piacere di conoscerti.”Rick sente appena il loro scambio di battute. Il suo cuore batte in controtempo

con il ticchettio dell’orologio che ha in testa. Quella è la loro unica occasione.

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QUINDICI“Ehi, Gabe... come butta?” Martinez cammina verso l’ultima saracinesca conun’andatura tranquilla. Si avvicina alla guardia tarchiata con un sorrisoamichevole e un cenno della mano. “Che ci fai qui? Difendi una riserva d’oro?”

L’uomo corpulento è appoggiato di schiena alla saracinesca. Sorride a Martineze scuote la testa. “Non esattamente. Dentro c’è la puttana che ha mandato invacca i combattimenti.”

Martinez si ferma accanto all’uomo massiccio. “Uh...uhh.”“Quella è una gran rompicazzo” dice Gabe con un sorrisetto. “Il capo non vuole

correre rischi.”Martinez risponde al sorrisetto con uno dei suoi sguardi lascivi. “Pensi che

potrei darle un’occhiata? Solo una sbirciatina. Non l’ho guardata bene all’inizio.Sembrava una gran gnocca.”

Il ghigno di Gabe si allarga. “Oh, sì... era gnocca. Ma dopo che il Governatorel’ha pestata, be’...”

Il colpo arriva come dal nulla: una botta rapida e violenta, sferrata con lenocche al pomo d’Adamo, che toglie a Gabe fiato e voce. L’uomo si piega in duetramortito, cerca di respirare.

Martinez finisce il lavoro con il calcio del Garand calibro .762. L’estremitàstondata dell’impugnatura colpisce l’uomo tarchiato alla nuca con un tonfo ligneo.

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Gabe crolla faccia avanti: un piccolo rivolo di sangue ha già preso a formarsi sulcemento. Martinez grida voltandosi: “VIA LIBERA!”.

Dal buio in fondo al tunnel, arrivano tutti di corsa, gli occhi sgranati el’adrenalina che pompa nelle vene. Rick lancia un’occhiata a Gabe; poi si rivolge aMartinez e fa per dire qualcosa, ma l’altro è già accucciato alla base dellasaracinesca.

“Aiutatemi a tirarla su: è tutta ammaccata e non si vuole aprire” dice con ungrugnito, alle prese con il bordo inferiore della porta. Rick e Glenn si accovaccianovicino a lui e ci vuole la forza di tutti e tre per alzare quell’aggeggio, che si apre ametà, facendo stridere i cardini.

Si abbassano per passare sotto l’orlo metallico. Rick muove alcuni passi nelbuio della stanza intonacata che puzza di muffa... ma all’improvviso rimaneimmobile sul posto, pietrificato dalla vista dell’amica... in quel preciso istante loassale una consapevolezza profonda, istintiva, quasi biologica, che si innescanelle sinapsi del cervello: la guerra è già cominciata.

La donna stesa sul pavimento della buia cella di custodia, con le braccia legateal muro, non riconosce subito i suoi amici. Le lunghe trecce ricadono giù, il pettosi alza e si abbassa con respiri corti e deboli per il dolore, scie di sangue si apronoa ventaglio sul calcestruzzo dal punto in cui si trova. Cerca di alzare la testa eguardare con gli occhi catatonici.

“Mio Dio...” Rick si avvicina cauto, capace a stento di parlare. “Sei...?”Lei alza la testa e gli sputa. Lui balza indietro, proteggendosi istintivamente la

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faccia. La disidratazione, lo shock e lo sfinimento hanno trasformato la sua salivain segatura. La donna cerca di sputare di nuovo.

“Ehi, Michonne! Fermati” dice Rick, accucciandosi davanti a lei. “Sono io.” Lasua voce si addolcisce. “Michonne, sono Rick.”

“R-Rick?” La sua voce è un sussurro appassito, debole, rauco. Gli occhi sisforzano di metterlo a fuoco. “Rick?”

“Ragazzi!” Rick si mette in piedi e si rivolge agli altri. “Datemi una mano aslegarla!”

Gli altri tre si precipitano alle corde. Alice scioglie piano una caviglia; Glenns’inginocchia accanto all’altra e si dà da fare per sciogliere il nodo scorsoio,mormorando alla donna: “Gesù Santo... stai bene?”

Con un altro rantolo strozzato lei risponde: “N-no... non sto bene... nemmenoun po’”.

Rick e Martinez prendono un polso ciascuno e cominciano a slegare i nodi.Un flusso di sentimenti contrastanti scorre dentro Martinez che, alle prese con

la corda, sente l’odore della povera donna, la febbre che emana dal suo corpomartoriato. L’aria puzza di disperazione, un misto di odori corporei, feritesuppuranti e tracce di sesso violento. La donna ha i pantaloni legati alla vita condel nastro da imballaggio: il tessuto è squarciato e sporco di macchie umide diogni genere: sangue, lacrime, sperma, sudore, urina, saliva... segni etestimonianze dei giorni di tortura. La carne sembra piagata, come se qualcuno leavesse applicato una levigatrice a nastro su braccia e gambe.

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Martinez lotta contro l’impulso di confessare tutto, di svelare la trappola. Gli siannebbia la vista. Ha le vertigini, la nausea. La sicurezza di quella città di merda,un minimo vantaggio tattico valgono tutto quello? Cosa, in nome di Dio, ha fattoquella donna per meritare questo? Per un attimo, Martinez immagina ilGovernatore che fa lo stesso a lui. Non è mai stato tanto confuso.

Alla fine le corde cedono e la donna crolla a terra ansimando.Si dimena un attimo sul pavimento in posizione prona, con la fronte schiacciata

contro il cemento. Gli altri si fanno indietro, poi Rick si accuccia vicino a lei, che sisforza di respirare, di alzarsi, di orientarsi. Le dice: “Ti serve...?”.

D’un tratto la donna a terra si tira su in ginocchio. E con un unico grugnitoostinato ricaccia indietro tutta l’agonia.

Rick e gli altri la fissano. Ipnotizzati dalla sua imprevista riserva di energia, lestanno intorno in silenzio, senza sapere cosa dire o fare. Come faranno a portarlafuori da lì? Sembra una paraplegica che cerca di alzarsi dalla sedia a rotelle.

D’un tratto lei si alza sulla spinta della pura rabbia e stringe le mani magreserrando i pugni. Inghiotte il dolore e si guarda in giro nella stanza. Poi guardaRick: la sua voce somiglia alla granulosa incisione prodotta da un fonografo.“Togliamoci dal cazzo.”

Non vanno molto lontano. Escono appena dallo scantinato, salgono su per unasola rampa di scale, raggiungono l’estremità del corridoio principale, conMichonne in testa, quando la donna nera alza di scatto la mano in un gesto diavvertimento. “Fermi! Arriva qualcuno.”

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Gli altri si immobilizzano, accalcandosi dietro di lei. Martinez si fa largo tra glialtri e si piazza accanto alla donna, sussurrandole all’orecchio: “Me ne occupo io.Ancora nessuno sa cosa sto facendo... farò in modo che non vi scoprano.”

Dietro l’angolo si staglia una sagoma e si sente un rumore di passi che siavvicinano.

Martinez emerge nel fascio di luce che illumina il bivio.“Martinez?” Alla vista dell’uomo con la bandana, il dottor Stevens sussulta. “Che

ci fai qua sotto?”“Ehi, Doc... stavamo giusto venendo da te.”“Qualche problema?”Martinez lo fissa. “Ce ne andiamo... dalla città. Vuoi venire con noi?”“Cosa?” Stevens sbatte gli occhi, piega la testa e prova a fare i conti con

quanto ha appena sentito. “Noi chi?”Martinez scocca un’occhiata dietro di sé e fa un cenno agli altri. Davanti allo

sguardo fisso del dottore, Rick, Michonne, Glenn, e per ultima Alice, esconoimpacciati dall’ombra e restano fermi nella luce severa della lampada. Guardanoil dottore, che li fissa a sua volta, studiando il tutto con espressione cupa.

“Allora, Doc” dice alla fine Rick. “Allora? Sei con noi o no?”Il viso del dottore subisce una lieve trasformazione. Gli occhi si stringono dietro

gli occhiali con la montatura di ferro e le labbra si curvano delineandoun’espressione pensosa. Per un istante lo si direbbe impegnato nella diagnosi diun insieme di sintomi particolarmente complesso.

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E poi dice: “Datemi solo il tempo di prendere qualche provvista dall’infermeria epoi possiamo andare”. Sfodera l’ormai familiare sorriso sardonico. “Faccio in unminuto.”

Escono dalle porte fatiscenti dell’arena e attraversano di corsa il parcheggio,tenendosi alla larga dagli sguardi dei cittadini in giro per la strada.

Il cielo della notte si apre sopra di loro: un firmamento di stelle, velate solo dasottili ciuffi di nuvole, ma niente luna. Si muovono in fila, in fretta, ma nontroppo: non vogliono fare rumore, attirare attenzione indesiderata o dare l’idea diuna fuga. Qualche passante li saluta. Nessuno riconosce gli stranieri, Rick eGlenn, ma alcuni si voltano quando riconoscono la donna con le trecce rasta.Martinez li incalza perché continuino a muoversi.

Uno dopo l’altro, superano con un salto l’inferriata sul lato ovest dell’arena,percorrono un parcheggio vuoto e avanzano verso la strada principale. Il dottorechiude la fila, stringendo la sua borsa di provviste mediche.

“Qual è la via più veloce per andarsene?” chiede Rick ansimando, quando lui eMartinez si fermano per riprendere fiato nell’ombra dell’edificio commerciale. Glialtri si schiacciano alle loro spalle.

“Quella.” Martinez indica il marciapiedi deserto sull’altro lato della strada.“Seguitemi... saremo fuori in un attimo.”

Si lanciano attraverso la strada e si tuffano nelle ombre del marciapiedisgombro. Il vialetto si estende per almeno quattro isolati a ovest, sotto tendalinie tettoie. I fuggiaschi corrono in fila indiana nelle tenebre.

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“Prima ci togliamo dalla vista, meglio è” commenta Martinez a bassa vocerivolgendosi a Rick. “Dobbiamo solo arrivare a un vicolo e poi superare una diquelle recinzioni. Non sono presidiate quanto la porta principale. Non dovrebbeessere difficile.”

Attraversano un altro mezzo isolato quando sentono risuonare una voce.“DOTTORE!”Quella parola li fa quasi inciampare sui loro stessi passi; a Martinez si rizzano i

peli sul collo. Si fermano barcollando. Martinez si volta e vede una figura nonidentificata che arriva da dietro l’angolo di un edificio alle loro spalle.

Con un gesto rapido e istintivo, senza nemmeno guardare, muove la punta deldito verso il grilletto... pronto a qualunque evenienza.

Un nanosecondo dopo, quando vede che ad avvicinarsi è una delle massaiedella città, Martinez si concede un attimo per tirare un sospiro di sollievo eallenta la pressione sul grilletto. “Dottor Stevens!” grida la donna con una vocedebole per la malnutrizione.

Stevens si gira. “Oh... salve, signorina Williams” la saluta. Con un cennonervoso. Gli altri scivolano nell’ombra, fuori dalla vista della donna. Il dottore leblocca il passo. “Cosa posso fare per lei?”

“Mi dispiace disturbarla così” dice lei, correndogli incontro. Indossa uncamicione logoro e informe, ha i capelli corti e lo guarda con occhi grandi e pesti.I fianchi pieni e le gote rotonde appesantiscono ormai la bellezza di un tempo.“Mio figlio, Matthew, ha un po’ di febbre.”

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“Oh... um...”“Sono sicura che non è niente, ma non voglio correre rischi.”“Capisco.”“Può fare un salto più tardi?”“Certo. Io... è solo che... um” il dottore balbetta, facendo impazzire Martinez.

Perché cazzo non se ne libera? Il dottore si schiarisce la gola. “È solo che... uh...portalo nel mio studio più tardi... se puoi... lo visiterò. Io... vedrò di trovare unminuto.”

“Va bene, grazie... è tutto okay, dottor Stevens?” La donna lancia un’occhiataagli altri, immobili nell’ombra dietro Stevens; poi rivolge al dottore uno sguardointerrogativo coi suoi occhioni tristi. “Mi sembra agitato.”

“Sto bene... davvero.” Si stringe la borsa al petto. “È solo che... in questomomento ho una questione urgente da sbrigare.”

Fa per allontanarsi, producendo un’ondata di sollievo nel corpo di Martinez.“Non voglio sembrarle brusco” seguita Stevens “ma devo proprio andare. Mi

perdoni.” Il dottore si gira e si unisce agli altri.Martinez guida il gruppo dietro un angolo e si ferma un attimo sul bordo del

marciapiedi, l’adrenalina aumenta. Per un breve istante, considera l’ipotesi dilasciarsi dietro Stevens e Alice. Quei due sanno troppo e sono troppo legati allacomunità: potrebbero essere un peso enorme. E, ancora peggio, lo conoscono fintroppo bene. Potrebbero smascherare il suo bluff. Forse l’hanno già fatto. Forsehanno solo finto per tutto il tempo.

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“Dottore?” Alice si avvicina a Stevens e gli mette una mano sulla spalla.Stevens si strofina la faccia mortificato. Alice gli parla piano. “Il figlio di quelladonna...?”

“Adesso non posso pensarci” mormora il dottore. “È troppo... non posso.Dobbiamo andarcene da qui... potremmo non avere un’altra occasione.” Fa unrespiro per prepararsi, abbassa lo sguardo e scuote la testa. “Questa gente...dovrà cavarsela senza di noi.”

Alice lo guarda. “Hai ragione. Lo so. Andrà tutto bene.”“Ehi!” gli sibila Martinez con urgenza. “Ci penserete dopo... ora non c’è tempo!”Li guida giù per una passerella, attraverso un’altra strada e giù per una via

laterale verso l’ingresso di un vicolo duecento metri a sud.Il silenzio calato sulla città lo infastidisce. Martinez sente il ronzio dei generatori

e il fruscio dei rami contro il muro. I loro passi gli echeggiano nelle orecchie comefossero spari, il cuore gli batte forte nel petto tanto forte che potrebbe guidareuna banda musicale.

Accelera l’andatura. I passanti sono diminuiti. Ormai sono soli. Martinezaumenta ancora il ritmo del suo passo, portandolo dal trotto alla corsa: gli altristentano a stargli dietro. Un attimo dopo, la donna di nome Michonne rivolge unostrano commento a qualcuno alle sue spalle.

“Smettila di guardarmi così” dice tra un respiro e l’altro mentre corre. “Nonpreoccuparti per me.”

La voce di Glenn si sente appena sopra il rumore dei passi concitati e dei respiri

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affannosi. “Okay... scusa.”“State zitti!”Giunti nei pressi dell’imboccatura del vicolo, Martinez gira la testa e rivolge loro

un sussurro smorzato. Alza la mano guantata, li fa fermare e poi li guida oltrel’angolo di un edificio adiacente, nell’oscurità disseminata di rifiuti.

Il vicolo è avvolto da ombre fitte e appiccicose per via del fetore dei rifiutiallineati lungo un muro; una sola luce d’emergenza tremola in fondo. Il battito delcuore di Martinez sale di un grado. L’uomo esamina in fretta l’area e vede lasentinella in fondo al vicolo.

“Okay... aspettatemi qui un minuto” dice agli altri. “Torno subito.”E così Martinez si appresta a compiere un’altra strepitosa performance: un ruolo

dentro un ruolo dentro un ruolo. Ricaccia indietro la tensione e si avvia versol’estremità del vicolo. Vede il giovane delinquente sulla piattaforma rialzata atrenta metri da lì: con la schiena girata e un AK tra le braccia, lo sguardo fissooltre la barricata temporanea di pannelli d’acciaio rivettati.

Dall’altra parte della barricata si aprono le scure periferie e la libertà.“Ehi... ehi, ragazzino!” Martinez si avvicina alla sentinella con un cenno

amichevole. La sua voce suona indifferente e insieme autoritaria, come seordinasse a un gattino di scendere dal tavolo da pranzo. “Sono venuto a darti ilcambio!”

Il ragazzo sussulta, si gira e guarda giù. Ha sì e no vent’anni, il fisicoallampanato e decorato di ornamenti hip hop, i ricciolini anni 80: lì, sul suo

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trespolo, lo si direbbe impegnato a giocare a guardie e ladri. Sembra anche untantino fatto e paranoico.

Martinez gli si avvicina ancora. “Dammi quel fucile e fila via. Copro io il restodel turno.”

Il ragazzino scende giù con un’alzata di spalle. “Certo, amico... come ti pare.”Salta a terra. “Ma, uh... perché? Ti servo da qualche altra parte o che?”

Martinez allunga la mano per prendere l’AK dalle braccia del ragazzo e, usandodi nuovo il tono amorevole ma fermo del proprietario di un cucciolo, dice: “Nonfare domande. Ti sto facendo un favore. Dammi il fucile, dimmi grazie...e goditi iltuo tempo libero.”

Il ragazzo lo fissa, porgendogli l’arma. “Uh... certo.”E se ne va, dirigendosi giù per il vicolo e borbottando tra sé. “Come ti pare...

come ti pare, amico... è il tuo spettacolo... io, qui, ci lavoro soltanto.”Finché la sentinella non è emersa dal vicolo ed è svanita nella notte,

blaterando una versione stonata di un qualche sconosciuto pezzo rap, gli altri sistringono dietro l’edificio adiacente. Aspettano che il ragazzo scompaia dietro unangolo. Poi Rick fa un cenno a Glenn e scivolano, uno alla volta, nel vicolo,attraversando rapidi la lunghezza del tratto di strada scuro, fetido e lastricato dirifiuti.

Martinez li aspetta sul trespolo e li guarda con fervore. “Presto!” Li incalza.“Superiamo questo muro e siamo al sicuro.”

Il gruppo si raccoglie alla base della barricata.

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Martinez continua a guardarli. “È andata meglio di quanto pensassi, madobbiamo fare in fretta. Uno dei tirapiedi del Governatore potrebbe arrivare da unmomento all’altro.”

Rick lo guarda reggendosi il moncherino. “Va bene, va bene... pensi che nonabbiamo fretta anche noi di andarcene via di qui?”

Martinez riesce a esibire un sorriso teso. “Sì, penso di sì.”Dietro Rick, una voce mormora qualcosa che Martinez non capisce subito.Rick sussulta, si gira e guarda Michonne. Glenn fa lo stesso. A dire il vero, si

voltano tutti a guardare la donna nera che, al buio, fissa la notte con uno sguardotruce e stoico.

“Io non me ne vado” mormora con una voce fredda e convinta, che suona comeuna dichiarazione di nome-rango-e-numero-di-matricola.

“Cosa?!” Glenn la guarda confuso. “Di che parli?”Michonne lo fissa con occhi senza fondo. La voce è salda come quella di un

prete che legge la Sacra Scrittura. “Vado a fare una visitina al Governatore.”

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SEDICIIl silenzio ammutolito che segue la dichiarazione di Michonne sembra avvincerel’intero gruppo per attimi senza fine, mentre le conseguenze di quelle parole sidiffondono da una persona all’altra, da uno sguardo impacciato all’altro, comeuna malattia trasmessa dal contatto visivo. Non serve formulare a parole cosa hain mente per Philip Blake e, sebbene nessuno osi contemplare i dettagli, questa èla parte che all’inizio colpisce gli altri. Ma quando il silenzio si allunga e diventasgradevole nel buio fetido di quel vicolo, Martinez, che assiste alla scena dall’altodella piattaforma, capisce che la deviazione inarrestabile di Michonne tradiscequalcosa di più cupo della mera vendetta. In quei tempi brutali, l’atto dellavendetta, che durante il normale corso degli eventi umani è visto quasi come unbasso istinto elementare, sembra assumere una dimensione di ineluttabilitàapocalittica, naturale quanto sparare a uno zombie in testa o vedere una personacara trasformarsi in un mostro. In quell’orribile nuova società le appendici infettesono recise e cauterizzate in fretta. I cattivi non sono più i personaggi delle favoleo dei telefilm polizieschi. Nel nuovo mondo, sono bestie malate che vannoseparate dal resto del gregge. Sono parti difettose che vanno sostituite. Nessunodi quanti si trovano quella notte vicino a quel muro può biasimare o persinoessere sorpreso per l’improvvisa e inesorabile decisione di Michonne di tornareindietro e trovare la cellula cancerosa che indugia in quella città: l’uomo che l’ha

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profanata. Eppure questo non rende più facile accettare questa decisione.“Michonne, non credo...” fa per obiettare Rick.“Vi raggiungerò” lo interrompe lei. “O forse no.”“Michonne...”“Non posso andarmene senza farlo.” Il suo sguardo trafigge quello di Rick. “Voi

andate.” Poi si gira e guarda Alice. “Dove abita?”In quel momento, dall’altra parte della città, nessuno nota due figure che

scivolano nelle fauci scure di un vicolo oltre la doppia curva di Durand Street, piùlontano possibile dal trambusto della pista e dal cuore della zona commerciale,ma pur sempre dentro la zona sicura. Nessuna guardia si aggira così lontano asud della Main Street e le recinzioni esterne di filo spinato tengono in scacco gliazzannatori.

Infagottati nelle giacche di jeans, con due coperte arrotolate sotto braccio, idue si muovono fianco a fianco, tenendosi bassi. Uno porta a tracolla una lungasacca di tela: a ogni passo, il contenuto produce un leggero rumore metallico .Alla fine del vicolo, si stringono per passare attraverso una strettoia tra la cabinadi un semirimorchio e un carro merci della ferrovia.

“Mi dici dove mi porti?” Lilly Caul vuole sapere. Segue Austin attraverso unparcheggio vuoto velato di tenebre.

Austin le rivolge un ghigno furfantesco. “Lo vedrai... fidati di me.”Lilly supera cauta un’aiuola di asclepiade spinosa e sente l’odore di

decomposizione che emana dalla foresta vicina, a circa cinquanta metri oltre il

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perimetro esterno. Le si rizzano i peli sul collo. Austin la prende per un braccio ela aiuta a oltrepassare i legni caduti e ad avventurarsi nella radura.

“Sta’ attenta e guarda dove metti i piedi” le dice, trattandola con i guanti divelluto come un futuro padre vecchia maniera, un atteggiamento che Lilly trovairritante e, al contempo, adorabile.

“Sono incinta, Austin. Non invalida.” Lo segue al centro della radura. È unposticino intimo, protetto dal fogliame e dai rami caduti. A terra c’è un cratere,bruciato e pietrificato, che un precedente visitatore ha scavato per ottenere unabuca per il fuoco. “Dove hai imparato le cure prenatali? Dai cartoni?”

“Ah, ah, che ridere... siediti, spiritosona.”Due vecchi tronchi costituiscono il posto perfetto, anche se non esattamente

più comodo, dove una coppia possa sedersi e parlare. Il frinire dei grilliimperversa tutt’intorno, mentre Austin posa la borsa e si siede accanto a Lilly.

Il cielo sopra di loro freme di stelle come solo in campagna può capitare divedere. Le nuvole si sono disperse e, una volta tanto, l’aria non puzza di zombie.Odora di pino, di terra umida e di limpida brezza notturna.

Per la prima volta da... be’, da quando riesce a ricordare, Lilly si sente unapersona tutta intera. Ha la sensazione che forse abbiano davvero l’occasione difar funzionare le cose. Austin non è il padre ideale né il marito perfetto,nemmeno con ogni sforzo dell’immaginazione, ma in lui c’è una scintilla che arrivadritta al cuore di Lilly. È un’anima rispettabile e, per adesso, questo èabbastanza. Hanno parecchie sfide dinnanzi a loro, hanno parecchio da esercitarsi

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e parecchia strada irta di pericoli da affrontare. Ma ormai Lilly crede chesopravvivranno... insieme.

“Ebbene, qual è il misterioso rituale per il quale mi hai trascinata fin qui?” dicealla fine, alzandosi il colletto e allungando il collo indolenzito. Ha il senocongestionato e il ventre si è lamentato per tutto il giorno. Ma in uno stranomodo non si è mai sentita meglio.

“I miei fratelli e io lo facevamo sempre ad Halloween” dice lui, indicando lasacca di tela. “Cominciammo una volta che eravamo fumati, credo... ma, perqualche ragione, adesso ha un senso.” La guarda. “Hai portato le cose che tiavevo chiesto di portare?”

Lei gli fa cenno di sì con la testa. Poi dà un colpetto alla tasca del giubbotto.“Proprio qui.”

“Okay... bene.” Si alza, prende la borsa e apre la cerniera. “Di solitoaccendevamo un fuoco per buttarci la roba dentro... ma penso che stanottesarebbe meglio evitare di attirare l’attenzione.” Estrae una pala, si dirige allabuca e comincia a scavare. “Così ci limiteremo a seppellire la roba.”

Lilly prende un paio di fotografie che ha trovato nel portafoglio, un proiettile diuna delle Ruger e un piccolo oggetto avvolto in un foglio di carta velina. Siappoggia le tre cose in grembo. “Okay... quando vuoi, ragazzino.”

Austin posa la pala, torna alla borsa estrae una bottiglia di plastica da un litro edue bicchieri di carta. Versa un liquido scuro in ogni bicchiere. “Ho trovato un po’di succo d’uva... non vogliamo bere vino nelle tue condizioni.”

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Lilly sorride. “Mi farai impazzire con questo tuo atteggiamento da mammaebrea.”

Austin ignora il suo commento. “Hai caldo abbastanza? Ti serve un’altracoperta?”

Lei sospira. “Sto bene, Austin... per amor del cielo, smettila di preoccuparti perme.”

Lui le porge un bicchiere di succo e prende un sacchetto di plastica dalla tasca.“Okay, comincio io” dice. Dentro la bustina ci sono mezza oncia di marijuna,

una piccola pipa di metallo e delle cartine. Austin rivolge all’attrezzatura unosguardo malinconico e dice: “È tempo di mettere via i giochi dei bambini.” Alza ilbicchiere. “Brindo all’amore di una vita per l’erba.” Guarda il sacchetto. “Mi haiaiutato a superare un bel po’ di merda, ma è tempo di andare.”

Getta l’erba nel buco.Lilly alza il suo bicchiere. “Brindo alla sobrietà... è una brutta stronza, ma è per

il meglio.”E bevono.“Non posso credere che se ne sia andata così” dice il giovane di nome Glenn

arrampicandosi su per il muro. La corazza protettiva gli cigola mentre, in piedi sulbordo della piattaforma rialzata, aiuta Alice a salire su. L’infermiera ha qualcheproblema, non riesce a far forza sulla parte superiore del corpo come dovrebbe, efatica a issarsi. Glenn la tira oltre il bordo e grugnisce per lo sforzo. “Avremmodovuto aiutarla? Nemmeno io vado matto per quel tipo.”

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Rick, in piedi sulla piattaforma dietro Glenn, guarda Martinez che dà una manoa Stevens a salire sulla barricata. “Fidati di me, Glenn” dice Rick piano.“Probabilmente l’avremmo solo rallentata. La cosa migliore è andarcene da quifinché possiamo.”

Il dottore si arrampica a fatica sul muro e raggiunge gli altri: i suoi passiecheggiano sulla piattaforma.

Martinez si assicura che stiano tutti bene. Prendono tutti un respiro profondo, sigirano e fissano il paesaggio devastato dall’altra parte del bastione. Attraversouna stretta apertura tra due edifici abbandonati vedono i boschi vicini. Il ventodella notte alza mulinelli di rifiuti lungo le strade vuote e polverose; le rovinefatiscenti dei piloni ferroviari appaino in lontananza come giganti caduti. La lunapiena è ormai alta nel cielo, una luna da folli, e la luce lattiginosa mette ungrosso punto esclamativo su tutti i crepacci bui, le nicchie tenebrose e le forreserpeggianti dove potrebbero annidarsi gli azzannatori.

Rick prende un altro respiro e dà a Glenn una pacca rassicurante sulla schiena.“Michonne sa prendersi cura di se stessa” dice a bassa voce. “E poi, ho avutol’impressione che volesse farlo da sola.”

“Prima le signore” dice Martinez ad Alice, indicando il bordo della piattaforma.Alice azzarda un passo verso il cornicione, riempiendo d’aria i polmoni.Martinez la aiuta a trovare un punto d’appoggio e poi la abbassa verso il muro

esterno. “Ecco che vai” dice, afferrandola per le ascelle. Le sfiora il senoinvolontariamente. “Bene, così. Ci sei quasi.”

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“Sì, ma tu bada a dove metti le mani” dice Alice, strisciando con un grugnito giùper il muro. Quando alla fine atterra sulla strada, sollevando una nuvoletta dipolvere, si accovaccia istintivamente. Si guarda intorno nella zona di pericolo, congli occhi sgranati e i peli del collo irti.

Dopo di lei, Martinez cala Glenn e il dottore, che atterrano vicino ad Alice,alzando altra polvere. Il silenzio è rotto dal loro ansare, pesante e teso, e dalcuore che gli martella nelle orecchie: ciascuno si volta e studia la strada buia chesi apre dinnanzi a loro e che conduce fuori dalla città, nel nero oblio della notte.

Sentono Martinez che scende dal muro a fatica e atterra con un tonfo, facendosferragliare le armi che porta a tracolla sulla schiena. Alza lo sguardo sulparapetto e dice: “Okay, Rick... vieni giù”.

In alto sulla piattaforma, Rick piega il moncherino fasciato contro lo sterno.“Non sarà una passeggiata” mormora. “Mi reggete?”

“Ti reggiamo, fratello.” Martinez si protende verso di lui. “Cerca solo discendere piano.”

Rick comincia a calarsi goffamente lungo il muro esterno con una mano sola.“Cristo” dice Alice. “Non fatelo cadere. State attenti!”Martinez afferra quell’uomo di ottanta chili con un grugnito e lo posa a terra.

Rick esala un sospiro di dolore e si guarda intorno.Il dottor Stevens è in piedi nell’ombra di una vetrina abbandonata: un’insegna

rovinata dalle intemperie pende da un filo e recita MCCALLUM FORAGGIO ESEMENTI. Tira un sospiro di sollievo e controlla se la sua borsa ha riportato danni.

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Le fiale di vetro degli antibiotici e degli antidolorifici sono intatte, gli strumenti inbuon ordine. “Non riesco ancora a credere che ce l’abbiamo fatta a uscire cosìfacilmente” borbotta, dando l’ultima controllata al contenuto della borsa. “Vogliodire, i muri non sono esattamente concepiti per tener dentro la gente... ma...”

Dietro il dottore, una sagoma si muove nei recessi dell’entrata traballante delnegozio. Nessuno la nota. Né sente i passi goffi e trascinati che scricchiolanosopra i detriti e le cinghie da imballaggio, avanzando verso le loro voci.

“Mi sento maledettamente sollevato” dice, richiudendo la borsa.La figura barcolla fuori dalla porta: è solo un lampo nel buio di denti, vestiti

sbrindellati e pelle livida. E serra la mascelle sulla prima carne umana cheincontra sul suo cammino.

A volte la vittima non lo vede arrivare finché non è troppo tardi, il che forse, aun livello essenziale, è il modo più pietoso in cui le cose possano andare.

La creatura che affonda i denti nella nuca sguarnita del dottor Stevens èenorme: probabilmente era un agricoltore o un commesso abituato a caricarequotidianamente balle di fertilizzante o pacchi di mangime da trenta chili sul retrodi un furgone. Stringe le fauci nella giugulare del dottore in una stretta tale chenemmeno un piede di porco sarebbe in grado di fargli mollare la presa. Indossauna vecchia salopette; sulla testa bianca e venata i capelli radi sono ridotti a filisimili a ragnatele; gli occhi somigliano a gialle lampadine pilota. Il suono degliincisivi marci nel tessuto vivo sembra un colpo di tosse soffocato.

Il dottor Stevens si irrigidisce: le braccia scattano in alto, gli occhiali gli saltano

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via dal viso, la borsa in aria. Un grido di orrore gli esplode dalle labbra in seguitoallo shock involontario. Non vede né localizza l’artefice della sua dipartita: solo lasfumatura rosso intenso dell’agonia violenta gli lampeggia nello sguardo.

La subitaneità dell’attacco coglie tutti di sorpresa: il gruppo reagisceall’unisono. Le mani corrono alle armi mentre i corpi indietreggiano.

Alice urla: “DOTTOR STEVENS!!” Per l’effetto combinato del pesodell’azzannatore e della torsione involontaria del dottore, Stevens barcollaall’indietro, perde l’equilibrio e cade a terra, rovinando sopra il suo aggressorecon un grugnito umido: il sangue bagna e battezza il gigantesco azzannatoresotto di lui in un torrente di liquido nero e viscido come melassa. Con vocestrozzata e incerta, il dottore farfuglia: “Cosa...? Cos’è? È...? È uno di loro? È...? Èun azzannatore?”.

Gli altri balzano verso di lui, ma Alice ha già allungato la mano verso l’AK dellasentinella, che penzola dalla cinghia sulla spalla di Martinez e tuona:“DAMMELO!”

“Ehi!” Martinez non capisce cosa sta succedendo: lo strattone alla spalla, le vociche gridano tutt’intorno, gli altri due che lo spingono da dietro.

Alice ha già alzato l’AK: prende la mira, tira il grilletto, e grazie a Dio ilragazzino sul muro teneva l’arma carica e pronta a sparare, con la sicura tolta: ilfucile latra.

I bossoli volano e un bouquet di fuoco scintilla sfarfallando fuori dalla cannatozza. I proiettili traccianti esplodono disegnando una catena di buchi nella

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tempia dell’azzannatore, nella guancia, nella mascella, nella spalla e a metà deltorace. La cosa si contorce e si dimena per gli spasmi della morte sotto il dottoreferito. Alice continua a sparare, e spara, spara, finché il caricatore non è vuoto eil carrello si apre... ma lei continua ancora a sparare.

“Basta così, Alice... basta così.”Il debole suono di una voce maschile è la prima cosa che penetra il fischio che

le risuona nelle orecchie e nel cervello traumatizzato. Alice abbassa l’arma ecapisce che il dottor Stevens, dalla specie di feretro insanguinato su cui giace,cerca di dirle qualcosa.

“Oh-Dio-dottore... DOTTOR STEVENS!” Getta via il fucile d’assalto che cade aterra sferragliando e si precipita accanto a lui. S’inginocchia, allunga la manoverso il collo, si bagna la punta delle dita con il suo sangue arterioso in cerca delbattito, cerca di rammentare le lezioni di rianimazione che lui le ha impartito, iprotocolli dell’unità traumi, quando si rende conto che le sta strattonando ilcamice con le dita sporche di sangue.

“Io non... sto morendo... Alice... pensalo... in termini scientifici” dice, mentre lasua bocca si riempie di sangue. Al buio, la sua faccia sembra quasi serena. Glialtri si accalcano alle spalle di Alice per vedere e ascoltare più da vicino. “Mi stosolo... evolvendo... in una forma di vita diversa... peggiore.”

L’orrore si diffonde da una persona all’altra, da un viso all’altro, mentre Alice sisforza di trattenere le lacrime e gli accarezza la guancia. “Dottore...”

“Esisterò ancora, Alice... in un certo senso” dichiara in poco più che un sussurro.

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“Prendi le provviste, Alice... ne avrai bisogno... per prenderti cura di quella gente.Ricorda quanto ti ho insegnato. E adesso... va’... va’... va’ avanti.”

Alice lo fissa mentre la vita scorre via da lui e i suoi occhi intelligenti diventanovitrei e poi vuoti, spalancati sul nulla. Lascia ciondolare la testa, ma le lacrimenon arriveranno. La desolazione dentro di lei non permetterà alle lacrime discendere.

Martinez la guarda, assiste a tutta la scena con nervosa intensità. Un pugno diemozioni contrastanti gli stringe le viscere. Gli piacciono quei due, il dottore eAlice. Gli piacciono malgrado l’odio che provano per il Governatore, malgrado ipiccoli tradimenti, i complotti, i pettegolezzi, il sarcasmo e la mancanza dirispetto. Dio lo aiuti... quei due gli piacciono. Si sente legato a loro da una stranaaffinità; e adesso cerca a tentoni qualcosa a cui sostenersi nel buio.

Alice si alza e raccoglie la borsa delle provviste mediche.Martinez le tocca la spalla, dicendo piano: “Dobbiamo andare”.Alice annuisce, senza dire nulla, continuando a fissare i cadaveri.“La gente in città penserà che a sparare è stata la guardia, per far fuori degli

azzannatori che si sono avvicinati troppo al recinto” prosegue Martinez, con lavoce concitata e tesa. Lancia un’occhiata agli altri due, che sono in piedi lì vicino,con aria nervosa. Torna a rivolgersi ad Alice. “Ma il suono attirerà altriazzannatori... e noi dobbiamo andarcene prima che arrivino.”

Guarda il volto flaccido del dottore, schizzato di sangue e paralizzato nellamorte.

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“Lui... era un buon amico” aggiunge alla fine. “Mancherà anche a me.”Alice gli rivolge un ultimo sguardo e si allontana. Annuisce a Martinez.Senza dire altro, Martinez afferra l’AK e fa un gesto agli altri. Poi guida i tre

superstiti giù per una strada laterale, verso i confini della città: in pochi minuti leloro sagome sono inghiottite da un buio assoluto, inclemente e implacabile.

“Maledizione, tesoro... mangialo!” Il Governatore si abbassa carponi sullamoquette fetida del soggiorno. Tiene un piede umano mozzato reggendolo perl’alluce davanti alla ragazzina morta. La spada giapponese giace sul pavimento lìvicino: è un tesoro, un talismano, un bottino di guerra che il Governatore non hapiù perso di vista dopo la disfatta all’arena. Ormai le sue implicazioni sono la cosapiù distante dalla sua mente. “Non è freschissimo” dice, indicando l’appendicegrigia “ma ti giuro che nemmeno due ore fa questa cosa camminava.”

Il cadaverino strattona la catena lunga una ventina di centimetri. Emette unaltro piccolo ringhio, che la fa somigliare a una bambola Chatty Cathy rotta, edistoglie gli occhi di vetro satinato dal bocconcino.

“Su, Penny, non può essere tanto cattivo.” Si avvicina ancora un po’ e leondeggia il piede gocciolante davanti alla viso. È grosso, difficile stabilire seappartenesse a un uomo o a una donna: le dita sono piccole, ma al naturale,senza alcuna traccia di smalto. Ha già cominciato a diventare verdognolo e airrigidirsi per il rigor mortis. “E non potrà che peggiorare, se non lo mangi subito.Su, tesorino, fallo per...”

Un tonfo enorme fa sussultare il Governatore sul pavimento.

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“Che cazzo è!” Si gira verso la porta d’ingresso, quando risuona un altro tonfopoderoso. Il Governatore si alza.

Un terzo colpo alla porta fa cadere la polvere del cartongesso dall’architrave: ilchiavistello cigola.

“Che diavolo c’è?! Non c’è bisogno di sfondarmi la porta!”Il quarto impatto fa saltare chiavistello e catena: la porta si spalanca con forza

andando a sbattere contro la parete adiacente in un’esplosione di schegge dilegno e polvere. Il pomello si conficca nel legno come una spina.

L’inerzia accompagna l’estraneo dentro la stanza in un vortice.Il Governatore s’irrigidisce al centro del soggiorno, serra i pugni e stringe i

denti: è in atto l’istinto elementare che dice “combatti o fuggi”. Sembra che abbiaappena visto un fantasma materializzarsi accanto al suo divano usato.

Michonne ruzzola dentro l’appartamento e per poco non cade di faccia per viadello slancio.

Si ferma a pochi centimetri di distanza dall’oggetto della sua ricerca.Recupera l’equilibrio, raddrizza le spalle, serra i pugni anche lei, pianta i piedi a

terra, protende la testa in avanti in una posa d’attacco.Per il più breve degli istanti, restano così, uno dinnanzi all’altra. Michonne si è

preparata lungo la strada: ha sistemato la tuta, infilato la canottiera dentro ipantaloni, stretto una fascia intorno alle trecce sciolte; e adesso pare pronta acominciare una giornata di lavoro o, magari, chissà... recarsi a un funerale. Dopouna pausa insopportabile, durante la quale i due sfidanti si fissano con

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un’intensità quasi patologica, il primo suono proviene dal Governatore.“Bene, bene.” La sua voce è bassa, piatta, fredda, senza traccia di sentimenti o

emozioni. “La cosa si fa interessante.”

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DICIASSETTE“Ora tocca a me” dice Lilly. La sua voce si ode appena sopra il frastuono dei grillie la brezza che scuote le fronde nel buio della radura. Prende una foto di lei eMegan in un bar a Myrtle Beach scattata con una macchina usa e getta. Sonoentrambe strafatte e hanno gli occhi velati e rossi come tizzoni. Lilly si alza e siavvicina al buco nel terreno. “Alla mia migliore amica, la mia vecchia amicaMegan, che riposi in pace.”

L’istantanea volteggia e cade come una foglia morta nel buco.“A Megan” dice Austin, bevendo un altro sorso di succo zuccheroso. “Okay...

passiamo ai prossimi... i miei fratelli.” Estrae dalla tasca una piccola armonicaarrugginita. “Vorrei bere in memoria dei miei fratelli, John e Tommy Ballard,uccisi dagli zombie ad Atlanta l’anno scorso.”

Getta l’armonica nel buco. Il piccolo strumento di metallo rimbalza a terra conun tonfo. Austin lo guarda; i suoi occhi assumono uno sguardo assente e lucido.“Musicisti fantastici, compagni in gamba... spero che adesso siano in un postomigliore.”

Austin si asciuga gli occhi. Lilly alza il bicchiere e dice piano: “A John eTommy”.

Bevono un altro sorso.“Il mio prossimo oggetto è un tantino strano” dice Lilly, prendendo il proiettile

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calibro .22 e tenendolo in alto tra il pollice e l’indice. L’ottone brilla nella lucedella luna. “Siamo circondati dalla morte, tutti i giorni; la morte è ovunque” dice.“Mi piacerebbe proprio seppellirla, cazzo. So che è solo un gesto, che noncambierà niente... ma voglio farlo. Per il bambino. Per Woodbury.”

Butta la pallottola nel buco.Austin fissa il proiettile un attimo e poi mormora: “Per il nostro bambino”.Lilly alza il bicchiere. “Per il nostro bambino... e per il futuro.” E dopo un attimo

di riflessione, aggiunge: “E per il genere umano”.Fissano entrambi la pallottola.“Nel nome dello Spirito Santo” dice Lilly pianissimo, guardando il buco.Il genere di combattimento più spontaneo, quello corpo a corpo, può svolgersi

nei modi più vari. In Oriente, esso è visto in termini zen: è studiato, controllatoaccademico. Gli avversari si affrontano spesso dopo anni di allenamento, quandohanno raggiunto livelli di precisione matematica. In Asia, lo sfidante più deboleapprende a usare la forza dell’avversario per ritorcergliela contro, e gli scontri sirisolvono prontamente. All’estremità opposta dello spettro, nei ring in giro per ilmondo, gli incontri di arti marziali miste possono durare ore, prevedere moltiround, e l’esito finale può dipendere solo dalla resistenza fisica dei singolicombattenti.

Un terzo genere di colluttazione è quello che si verifica nei vicoli bui delle cittàamericane: in questo caso i contendenti intraprendono un tipo di battaglia deltutto diverso. Veloce, brutale e imprevedibile, a volte persino maldestro, il

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combattimento di strada dura in genere pochi secondi. I guerrieri di strada hannola tendenza a sferrarsi colpi a casaccio, spinti solo dalla rabbia. Di solito iltafferuglio finisce in parità... o peggio, con qualcuno che estrae un coltello oun’arma da fuoco per concludere le cose in modo ancor più rapido e letale.

La battaglia che ha luogo quella notte, nel soggiorno fetido e fiocamenteilluminato del Governatore, comprende tutti e tre gli stili e abbraccia un totalecomplessivo di ottantasette secondi: anche se i primi cinque comportano benpoca lotta. Comincia con i due avversari piantati sul posto e intenti a fissarsi l’unonegli occhi dell’altra.

Durante quei primi cinque secondi si scambiano parecchie informazioni nonverbali. Michonne tiene lo sguardo avvinto a quello del Governatore, che la fissa asua volta: nessuno dei due sbatte le palpebre. La stanza sembra cristallizzarsicome un diorama irrigidito nel ghiaccio.

Poi, esattamente al secondo numero tre, il Governatore distoglie lo sguardo peruna frazione di istante, volgendolo al pavimento alla sua destra.

Registra la bambina e la spada, entrambe a portata di mano. Penny pareindifferente al dramma umano che si svolge intorno a lei: la sua faccia livida ecerea è sepolta nel secchio di interiora. La spada scintilla alla debole luce di unalampadina.

In quell’istante di tregua, il Governatore fa del suo meglio perché il viso nonlasci trapelare il panico e la sollecitudine per l’incolumità della ragazzina morta;né l’idea che sta prendendo forma nella sua mente: il cervello umano è capace di

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formulare pensieri complessi in un ammontare di tempo minimo, in meno diquanto occorre a una sinapsi per accendersi. E in quell’attimo il Governatorepensa che forse può riuscire ad afferrare la spada e mettere fine in fretta allafaccenda.

Nello spazio di quel singolo secondo, il terzo in una serie di ottantasette, ancheMichonne scocca uno sguardo alla ragazzina e alla katana.

Il secondo numero quattro trova il Governatore impegnato a riportare losguardo negli occhi ribollenti di Michonne. Anche lei torna a guardare ilGovernatore nello stesso momento.

Per la durata del successivo secondo e mezzo, il secondo numero quattro e unaporzione del numero cinque, i due nemici leggono l’espressione l’uno dell’altra.

Ormai il Governatore sa che lei ha capito a cosa stava pensando e sa che lui neè consapevole; il successivo mezzo secondo, quel che resta del secondo numerocinque, ricorda la fine di un countdown. I motori avvampano e la situazioneesplode.

Occorrono sei secondi perché la fase seguente dello scontro abbia inizio.Il Governatore si tuffa per prendere la spada e Michonne grida un “NO!”

squassante. Quando la spalla del Governatore colpisce la moquette a meno di unmetro dalla lama e la mano protesa è vicinissima all’impugnatura decorata con ilsuo motivo a squame di serpente, anche Michonne si è mossa con la rapidità diun tuono.

È lei a sferrare istintivamente il primo colpo dello scontro al secondo numero

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undici. La sua gamba si alza e dà un calcio al Governatore. L’estremità dura dellostivale lo colpisce in faccia, sotto la tempia, proprio quando lui stava afferrandol’elsa della spada.

Lo schianto nauseante del cuoio duro che frattura la mandibola riempie lastanza: è un suono non troppo diverso da quello di un gambo di sedano che sispezza. Il Governatore balza all’indietro in preda al dolore: un filo di sangue gliesce dalla bocca. Cade di schiena: la spada non si è mossa.

I successivi otto secondi sono un guazzabuglio di movimenti esplosivi eimprovvisa immobilità. Michonne approfitta dello stordimento del Governatore,che è riuscito a rotolare sui gomiti e sulle ginocchia, con il viso che sgocciolasangue dappertutto e i polmoni che si gonfiano. E si lancia rapida verso la spadacaduta. La agguanta e si gira su se stessa in meno di tre secondi. Poi impiega isuccessivi quattro secondi a calmare il respiro e a prepararsi per infliggere il colpomortale.

Sono trascorsi precisamente diciannove secondi: Michonne è in vantaggio.Penny ha alzato lo sguardo dal suo pasto: ringhia piano e sputa contro i dueavversari. Il Governatore riesce ad alzarsi sulle ginocchia traballanti.

Senza che nemmeno lui se ne accorga, la sua faccia assume un’espressione dipura e assoluta sete di sangue; la mente è uno schermo TV al termine deiprogrammi, un muro vuoto di rumore bianco, che blocca ogni pensiero a partequello di far fuori quella stronza. Abbassa istintivamente il baricentro come uncobra che si attorciglia prima di colpire.

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La spada gli appare come una bacchetta magica che assorbe tutta l’energiadella stanza. Sangue e saliva gli gocciolano dalla bocca. Michonne è ad appenaun metro e mezzo da lui e tiene la spada alzata. Sono passati ventisette secondi.Un colpo ben piazzato con quella lama affilata come un rasoio e sarà tutto finito;ma questo pensiero non turba il Governatore che, al trentesimo secondo, fa il suoaffondo.

La reazione di Michonne copre un totale di tre secondi. Nel primo, lo lasciaavvicinarsi fino a pochi centimetri; nel secondo, libera uno dei suoi brevettati calciall’inguine; e nel terzo, il colpo lo immobilizza. Da quella vicinanza, la puntad’acciaio dello stivale da lavoro sortisce il risultato massimo: il Governatore sipiega letteralmente in due. Il calcio gli ha tolto completamente il fiato e un mistodi sangue, moccio e saliva gli esce dalla bocca schizzando il pavimento. Emetteun grugnito confuso e cade in ginocchio davanti a lei: rantola senza fiato; ildolore è come un ariete che gli picchia contro le budella. Dimena le braccia unistante come se cercasse di appoggiarsi a qualcosa e poi cade carponi.

Un violento fiotto di vomito scuro gli erutta dalla bocca e le schizza sui piedi.Al quarantesimo secondo, le cose si calmano. Il Governatore si contorce a terra,

tossisce, cerca di recuperare l’autocontrollo. Può sentirla in piedi sopra di lui, chelo guarda con calma inquietante. La sente che alza la lama. Inghiotte il saporeamaro della bile nella gola, chiude gli occhi e aspetta che il sussurro dell’acciaioforgiato a mano gli sfiori la nuca e ponga fine a tutto. Così è. Aspetta di moriresul pavimento come un cane bastonato. Apre gli occhi.

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Lei esita. Il Governatore sente la sua voce, piatta, tranquilla e fredda, come lefusa di un gatto: “Non volevo che succedesse così in fretta”.

Cinquanta secondi.“Non deve finire così” dice sopra di lui, ondeggiando la lama.Cinquantacinque secondi.In fondo, nei recessi del cervello del Governatore, si accende una scintilla. Ha

un’occasione. Un’ultima possibilità per colpirla. Finge un altro colpo di tosse,senza alzare lo sguardo; tossisce di nuovo; sbatte gli occhi impercettibilmente ele osserva i piedi, calzati nei grossi stivali con la punta d’acciaio, a solo pochicentimetri dalle sue mani.

Un’ultima occasione.Al sessantesimo secondo, si scaglia contro le gambe della donna che, colta di

sorpresa, ruzzola all’indietro.Il Governatore atterra sopra di lei come un amante; la spada vola a terra.

L’impatto le toglie il fiato. Lui sente il suo profumo muschiato, un misto di sudore,spezie e sangue rappreso. Lei si agita sotto di lui: la spada è ha pochi centimetri.Il luccichio della lama cattura i suoi occhi.

Al secondo numero sessantacinque, lui prova ad afferrare l’arma, allungando lamano verso l’impugnatura. Ma prima che abbia modo di afferrarla, i denti diMichonne penetrano nella carne di lui, nel punto dove la spalla incontra il collo.Lo morde con forza, e i denti lacerano epidermide e strati di tessuto sottocutaneofino ad arrivare al muscolo.

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Il dolore feroce è così improvviso, enorme e acuto che lui strilla come unaragazzina. Rotola via, muovendosi ormai per puro istinto; si stringe il collo esente qualcosa di umido gocciolargli tra le dita. Michonne indietreggia e sputa unpezzetto di qualcosa. Fitti rigagnoli di sangue le scorrono sul torso.

“Put... PUTTANA... DEL CAZZO!” Lui riesce a mettersi seduto, tamponando ilflusso di sangue con la mano. Non gli viene in mente che potrebbe anche averglireciso la giugulare e che forse è già un uomo morto. Non gli viene in mente chelei sta già prendendo la spada. Non gli viene nemmeno in mente che la sta giàrialzando sopra di lui.

Tutto quello a cui sa pensare in quel momento, al secondo numero settantatrédello scontro, è che deve arrestare l’emorragia.

Settantacinque secondi.Inghiotte il sapore metallico che ha in bocca e cerca di vedere attraverso gli

occhi acquosi, mentre il suo sangue impregna la moquette.Al settantaseiesimo secondo, sente che l’avversaria trae un respiro profondo, si

alza sopra di lui e mormora qualcosa che suona un po’ come: “Mi è venutaun’idea migliore”.

Il primo colpo del manico smussato della spada lo raggiunge alla testa, sopra ilsetto nasale. Produce un rumore assordante nelle sue orecchie, come quello diuna mazza Louisville Slugger17 che colpisce la palla nel punto giusto; e loinchioda a terra.

Le orecchie fischiano, la vista si annebbia, il dolore lo soffoca: compie un ultimo

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tentativo di afferrarla per le caviglie, quando l’impugnatura di ferro cala di nuovo.Al secondo numero ottantatré dello scontro, il Governatore crolla e un’ombra

scura gli cala sugli occhi. Il colpo finale alla testa arriva all’ottantaseiesimosecondo, ma lui lo sente appena.

Un secondo dopo, diventa tutto nero e lui fluttua nel vuoto siderale.Nel buio rischiarato dalla luna, nel silenzio della notte, Lilly srotola con cura

l’ultimo oggetto che intende buttare nella buca. È delle dimensioni di un nocciolodi pesca ed è riposto in un fazzoletto da naso. Lo guarda, e un’unica lacrima leriga la guancia. Ricorda tutto quanto quel piccolo grumo significa per lei. JoshHamilton le ha salvato la vita. Josh era un brav’uomo, che non meritava di morirea quel modo, con un proiettile conficcato nella testa, esploso da un criminale diWoodbury, l’uomo che chiamavano il macellaio.

Lilly e Josh avevano viaggiato insieme per molte miglia, avevano imparato asopravvivere insieme e insieme sognavano un futuro migliore. Cuoco gourmet echef professionista, Josh Hamilton doveva essere il solo uomo che se ne andavain giro per le strade dell’apocalisse con un tartufo nero italiano in tasca. Tagliavaquella cosa a fettine sottilissime per insaporire olio, zuppe e piatti di carne. Ilgusto di noci e terra era indescrivibile.

La cosa che Lilly tiene in grembo emana ancora un aroma pungente: lei siavvicina e annusa a fondo. L’odore le riempie i sensi con i ricordi di Josh, i ricordidel loro arrivo a Woodbury: ricordi di vita e morte. Le lacrime le salgono agliocchi. Le è rimasto un po’ di succo d’uva nel bicchiere; lo alza e dice: “A un mio

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vecchio amico. Che mi ha salvato la vita più di una volta”.Austin, vicino a lei, china la testa: ha compreso l’importanza del momento, la

necessità di esorcizzare la pena. Stringe il bicchiere al petto.“Spero che un giorno ci rincontreremo” dice lei, avvicinandosi alla buca.Getta nella fossa il piccolo tubero nero insieme agli altri oggetti simbolici.“Amen” dice Austin piano, bevendo un sorso. Si accosta a Lilly e la cinge con un

braccio; per un attimo, restano entrambi lì, nell’oscurità, a fissare il miscuglio dioggetti nel buco.

Il canto dei grilli e il suono del vento accompagnano i loro pensieri silenziosi.“Lilly?”“Sì?”Austin la guarda. “Ti ho già detto che ti amo?”Lei sorride e continua a guardare a terra. “Chiudi il becco e prendi quella pala,

ragazzino.”Dal vuoto della notte assoluta, dall’oscurità in fondo alla Fossa delle Marianne,

emerge una frase senza senso, una frase che galleggia nel buio opaco comeun’insegna spettrale, un messaggio che non significa nulla, un segnale cifrato dienergia elettrica che crepita nella mente di un uomo ferito con l’intensità di unneon:

MAGLIA E MAGLIONE!L’uomo ferito non capisce. Non può muoversi. Non può respirare. È un tutt’uno

con il buio. È una massa informe di carbonio che fluttua nello spazio... eppure...

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eppure... continua a sentire la presenza di quel messaggio destinato solo a lui, uncomando urgente, che non ha alcun senso:

SVEGLIA E MAGLIONE!Di colpo sente le leggi fisiche dell’universo tornare a posto molto lentamente,

come un vascello che, perso nella regione più remota dell’oceano, ritrova la rotta:sente il peso della gravità che si fa largo tra la bruma del dolore paralizzante epreme su di lui, prima sul tronco e poi sulle estremità; si sente strattonare dasotto e da ogni lato, come se gli ormeggi che lo tengono prigioniero in quellavasca nera di deprivazione sensoriale si stringessero progressivamente.

Percepisce l’esistenza della sua stessa faccia, appiccicosa per il sangue, caldaper l’infezione; sente una pressione sulla bocca e una puntura negli occhi, chesono ancora privi di vista, ma cominciano ad assorbire il bagliore di una lucenebulosa da qualche parte sopra di lui.

Il messaggio al neon trasmesso al mesencefalo si chiarisce pian piano, tramiteun suono o qualche altro mezzo telepatico, e quando il messaggio si definisce, siapure a scatti, come il crudo imperativo di scattare a posto al pari di una tesseranella scatola di un puzzle, la sua psiche spezzata comincia a valutarne ilsignificato più profondo.

Il comando rabbioso che al momento gli viene rivolto scatena un campanellod’allarme che frantuma il suo coraggio e indebolisce la sua determinazione. Tuttele difese si sbriciolano. Tutti i blocchi eretti nel cervello, tutti i muri robusti, ledivisioni, gli scomparti, crollano... finché lui non è più nulla... nulla se non un

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essere umano a pezzi che brancola nel buio, terrorizzato, minuscolo, fetale...mentre la sua mente decodifica piano le parole cifrate:

SVEGLIA, COGLIONE!La voce arriva da pochi centimetri di distanza, una voce femminile ansimante e

familiare.“Sveglia, coglione!”Lui apre gli occhi incrostati. Oh, Dio, oh, Dio, no-no-no... NO! Una voce in fondo

al subconscio capisce l’orrore e la vera natura della situazione: è legato allepareti del suo stesso fetido soggiorno, che ora funge da duplicato perfetto dellacamera delle torture sotto il circuito dove teneva Michonne.

Una lampada con un paralume di stagno brilla sopra di lui. Deve averla portataMichonne. La parte superiore del suo corpo è ammaccata e contusa; le funi lotorcono così duramente che le spalle sono quasi slogate. Il resto del corpo, checon non poco orrore scopre essere completamente nudo, sta con le gambepiegate alle ginocchia e allargate goffamente contro un pannello di legnoinchiodato in fretta alla moquette. Il cazzo gli brucia, allungato com’è in unastrana angolazione sotto di lui, come se fosse incollato al pavimento in una pozzadi sangue rappreso. Un grosso filo di bava vischiosa e insanguinata gli penzoladal labbro inferiore.

Il debole piagnucolio dentro di lui penetra il rumore nella sua testa: Ho paura...oh, Dio, ho paura...

...ZITTO!

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Cerca di respingere la voce. Nella bocca, asciutta come una dolina riarsa, senteil sapore amaro del ferro, come se stesse succhiando delle monetine. La testa glisembra pesare mezzo quintale. Batte gli occhi più volte, cercando di mettere afuoco la faccia in ombra che gli sta dinnanzi.

A poco a poco, in una serie di lampi indistinti e sfocati come miraggi, appare ilviso esile di una donna dalla pelle nera, accovacciata proprio davanti a lui, a solopochi centimetri di distanza; e quella donna lo brucia con lo sguardo.“Finalmente!” dice con un’intensità che lo fa sussultare. “Pensavo che non tisaresti più svegliato.”

Indossa pantaloni da lavoro e stivali; tiene indietro le trecce con una fascia; eappoggia le braccia sulle anche come un tecnico che esamina unelettrodomestico difettoso. Come cazzo ha fatto? Perché nessuno ha visto quellaputtana appostarsi vicino a casa sua? Dove cazzo sono Gabe e Bruce? Dove cazzoè Penny? Il Governatore cerca di mantenere il contatto visivo con la donna, maha qualche difficoltà a reggere su la testa, che ormai pesa mezza tonnellata.Vorrebbe chiudere gli occhi e addormentarsi. Lascia crollare il capo e sente quellavoce spaventosa.

“Sei svenuto due volte quando ti ho inchiodato l’uccello a quella tavola. Te loricordi?” Inclina la testa verso di lui con fare curioso. “No? La memoria ti si è unpo’ incasinata, eh? Ci sei?”

Il Governatore comincia a iperventilare, il cuore gli batte forte nel petto. Sentela sua voce interiore, di solito sepolta in profondità nelle cavità più remote del

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cervello, emergere in superficie, prendere il sopravvento e dominare il suo flussodi coscienza: Oh, Dio ho paura... ho paura... cosa ho fatto? Questo è Dio che mela fa pagare. Non avrei mai dovuto fare le cose che ho fatto... a quella donna...agli altri... a Penny... ho una paura fottuta... non riesco a respirare... non vogliomorire... ti prego, Dio, non voglio morire ti prego non farmi morire non vogliomorire oh Dio-oh-Dio...

...CHIUDI QUELLA BOCCA DEL CAZZO...!!Philip Blake urla in silenzio alla voce nella sua testa, la voce di Brian Blake, il

suo io più debole e fragile. Si irrigidisce e trema contro le corde. Un’acuta fitta didolore parte dal pene mutilato e gli pugnala il tronco: emette un rantolo inudibileda sotto il nastro che gli copre la bocca.

“Piano, cowboy!” La donna gli sorride. “Non starei a muovermi tanto, se fossi inte.”

Il Governatore lascia crollare la testa, chiude gli occhi ed emette un flebilerespiro dalle narici. Il bavaglio gli stringe sulla bocca: un pezzo di nastro adesivodi quattro centimetri per quattro. Prova a gemere, ma non gli riesce nemmenoquello: le corde vocali sono strozzate dal dolore e dalla guerra che si combattedentro di lui.

L’io “Brian” si fa largo tra gli strati... per tornare a insinuarsi nel prosencefalodel Governatore: Dio, ti prego... ti prego... ho fatto cose cattive lo so lo so manon mi merito tutto questo... non voglio morire così... non voglio morire come unanimale... in questo posto buio... ho tanta paura non voglio morire... ti prego... ti

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supplico... abbi pietà... implorerò questa donna... la implorerò per la mia vita perpietà per la mia vita ti prego ti prego-ti prego-ti prego-ti prego-ti prego-ti prego-OH DIO-ti prego-DIO-ti prego...

Philip Blake trasalisce, il suo corpo è scosso dalle convulsioni, la fune gli scavanei polsi.

“Piano, piano, amico” gli dice la donna: il suo viso bruno riluce quasi rossastronella luce tremolante della lampada. “Non voglio che svieni di nuovo senzanemmeno darmi il tempo di cominciare.”

Con gli occhi sbarrati e i polmoni in fiamme, il Governatore reprime la voce, lainghiotte, la spinge indietro nelle oscure spirali del cervello. E ruggisce in silenzioal suo altro io: SMETTILA DI PIAGNUCOLARE COME UN BAMBINO SMIDOLLATODEL CAZZO E ASCOLTAMI, ASCOLTAMI, ASCOLTA, ASCOLTA: TU NON TIMETTERAI A SUPLLICARE E A PIANGERE COME UN BAMBINO, COME UNBAMBINETTO DEL CAZZO!!!

La donna interrompe il clamore: “Calmati un attimo... smettila di agitarti così...e stammi a sentire. Non devi preoccuparti per la ragazzina...”.

Alla menzione di Penny, Philip Blake spalanca gli occhi e guarda la donna.“...l’ho messa nel salotto, oltre la porta, dove tenevi tutto quel ciarpame. Ma

che stai facendo? Costruisci una gabbia per la tua piccola schiava sessuale?Perché la tieni qui?” La donna curva le labbra pensosa. “Sai una cosa... nonrispondere. Non lo voglio sapere.”

Si alza, gli sta sopra un attimo e inspira profondamente. “Non vedo l’ora di

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cominciare.”All’improvviso la tempesta che infuria nel cervello di Philip cessa come se fosse

saltato un fusibile. Alza lo sguardo sulla donna, che ha ormai la sua completaattenzione, e attraverso la sua visione limitata la guarda voltarsi e passeggiarelenta per la stanza: Michonne si muove con una sorta di autorità indifferente,come se avesse tutto il tempo di questo mondo.

Per un solo istante crede di sentirla fischiettare piano, mentre si avvicina a unagrossa sacca sporca d’unto appoggiata a terra nell’angolo più lontano. Si china erovista tra un mucchio di arnesi. “Comincerò con una specie di mostra-e-dimostra” mormora, estraendo dalla sacca un paio di pinze. Si alza, si gira e gli favedere le pinze come se chiedesse di fare un’offerta in un’asta. Con che offertavogliamo partire per queste raffinate pinze Craftsman? Lo fissa. “Mostra-e-dimostra” ripete. “Userò su di te tutto quello che ho qui prima che tu muoia. Einizierò con... queste eccezionali pinze.”

Philip Blake inghiotte l’acido e abbassa lo sguardo sulla piattaforma di legnoimpregnata di sangue.

Michonne rimette le pinze nella sacca, afferra un altro strumento e glielomostra. “Il prossimo sarà un martello.” Agita il martello allegramente. “A dire ilvero, ho già usato questo piccolino con te, giusto un pochino.”

Rimette a posto il martello e fruga ancora tra il contenuto della borsa, mentrePhilip fissa la piattaforma sporca e cerca di far entrare aria nei polmoni.

“GUARDAMI, FIGLIO DI PUTTANA!” Il ruggito della sua voce richiama

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l’attenzione di Philip. Lei tiene in mano un piccolo arnese cilindrico con unabocchetta di rame. “Fiamma di acetilene” dice con un po’ di autocompiacimento,la voce tornata improvvisamente calma. “Sembra quasi piena. Ed è un bene. L’haiusata per cucinare.” Gli rivolge un altro sorriso glaciale. “Lo farò anch’io.”

La testa di Philip Blake crolla di nuovo; il rumore bianco nel suo cervellocrepita.

La donna al centro della stanza estrae dalla borsa un altro strumento. “Tipiacerà un sacco quello che farò con questo” dice, alzando un cucchiaio piegato inmodo che lui possa vederlo bene. La concavità del cucchiaio brilla nella lucetenue della stanza.

Il Governatore ha le vertigini; i polsi gli bruciano di dolore.Michonne rovista nella sacca in cerca di un altro oggetto e alla fine lo trova.Lo tiene in alto perché lui lo veda. “Trapano elettrico” dice. “Devi averlo

caricato di recente... la batteria è al massimo.”Cammina verso di lui, tirando il grilletto del trapano e mandando su di giri il

motore. Il rumore ricorda il ronzio di uno strumento dentistico. “Penso checominceremo con questo.”

A Philip Blake occorre ogni briciolo di forza che gli è rimasta in corpo per alzarelo sguardo e guardarla: in quel momento la punta del trapano si mette a girare esi avvicina piano alla parte fibrosa della sua spalla sinistra, nel punto dove ilbraccio incontra il torace, il punto dove vivono tutti i nervi.

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DICIOTTONel corso normale della vita quotidiana di una cittadina, coi suoi alti e bassi, ungrido smorzato nel cuore della notte desterebbe non solo sospetti, ma anche puroterrore tra quanti riposano, pensando ai fatti loro, con le finestre aperte perlasciare entrare la piacevole brezza di una sera di primavera o sonnecchiano,durante il terzo turno, sopra i registratori di cassa di un minimarket aperto tuttala notte. Ma in quel momento, esattamente alle 1:33 secondo il fuso degli statiorientali del Nord America, quando il lamento si diffonde dal secondo piano delpalazzo del Governatore, il rumore, attutito dagli strati di malta, calcestruzzo evetro, come pure dal nastro adesivo, è del tutto normale nel corso della vitaquotidiana di Woodbury, in Georgia.

Gli uomini impegnati nell’ultimo turno ai muri nord, ovest e sud hannocominciato ad abbandonare le loro postazioni, sconcertati dall’assenza delsupervisore. Martinez non è più andato a controllarli da ore: un comportamentobizzarro, che ha lasciato le guardie perplesse. Bruce e Gabe hanno già scopertol’infermeria deserta. Il dottore e Alice non si trovano, e i due uomini discutono sesia il caso di disturbare il Governatore con quella notizia.

L’insolita calma che aleggia in città ha destato anche Bob da un sonno agitato,spingendolo a tirarsi in piedi a fatica e a fare una passeggiata barcollantenell’aria della notte per provare a schiarirsi la mente e a scoprire perché le cose

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sembrano così stranamente tranquille e silenziose. Forse, Bob Stockey è il soloabitante che, in quel momento, sente davvero il debole suono di un grido. Sitrova a incespicare davanti alla facciata dell’edificio del Governatore proprioquando lo strillo acuto, mascherato dal bavaglio di nastro adesivo, debole,eppure inconfondibile come il verso lamentoso di una strolaga nei cupi paraggi diun lago, echeggia da una finestra sbarrata. Il suono è così angoscioso einaspettato che Bob crede di averlo immaginato: quel pessimo liquore gli giocaspesso brutti scherzi. L’uomo continua a brancolare giù per il marciapiedi, ignarodell’importanza di quegli strani rumori.

E invece, all’interno della palazzina, in fondo al corridoio del secondo piano,dentro il soggiorno soffocante dell’appartamento più grande, nella luce itterica diuna lampada sospesa, che ora ondeggia piano nelle correnti d’aria, non c’è nulladi immaginario nel dolore inflitto a Philip Blake. Quel dolore è una cosa viva, cherespira, un predatore che lo divora con la ferocia di un cinghiale alla ricerca dipepite di sangue nel fascio di nervi tra il pettorale sinistro e il muscolo deltoide.

La punta del trapano scava sempre più a fondo nel tessuto nervoso,disegnando nell’aria una scia di sangue e particolato umano.

Ormai il grido di Philip, filtrato dal nastro adesivo quasi al punto di sembrare lasirena dell’allarme di un’auto, è costante. Michonne spinge la punta rotante finoin fondo e una sottile nebbiolina di sangue le schizza sul viso. Quando il trapanogira vibrando rumorosamente, Philip lancia un gemito ferino, che suona come un“MMMMMMMMMMMMMMGGGHHHHH!!!”. Alla fine Michonne allenta la pressione

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sul grilletto e senza tante cerimonie tira via la punta dalla polpa della spalla diPhilip con uno strattone violento.

Il Governatore trema per l’agonia, mentre le due corde che lo tengono legatocigolano sonoramente a ogni spasimo.

Michonne lascia cadere il trapano sul pavimento, senza cura, incrinandol’involucro. Riccioli di cartilagine e materia sono rimasti appiccicati alla punta inun miscuglio insanguinato. Michonne annuisce soddisfatta.

“Okay” dice, parlando a se stessa più che alla sua vittima. “Occupiamoci diquella emorragia e assicuriamoci di tenerti sveglio.”

Trova il nastro adesivo, lo prende, ne srotola un bel pezzo, lo strappa coi dentie lo avvolge intorno alla spalla ferita con ben poca delicatezza. Userebbe piùriguardo se dovesse preparare un tacchino per la cena del Giorno delRingraziamento. Sigilla la ferita come se isolasse un tubo che perde.

Intanto, Philip Blake sente che l’oscurità gli vela la vista. Sente che il mondo sisepara e, come due vetri che si staccano scivolando sott’acqua, formaun’immagine doppia, che sbiadisce, e sbiadisce, finché la testa non ciondola inavanti, il freddo si diffonde nel corpo e lui può, con misericordia, cominciare asvenire di nuovo.

La sberla arriva dal nulla, forte e veloce, e lo colpisce sulla guancia.“SVEGLIATI!”

Lui si dimena contro le funi e spalanca gli occhi alla vista orribiledell’espressione risoluta e funesta della donna nera. Il suo viso, sul quale sono

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ancora evidenti le cicatrici e le piaghe color porpora della tortura che lei stessa hasubito, esibisce una smorfia di disprezzo: lo sguardo torvo e inflessibile è fisso sulGovernatore. Il suo sorriso è il ghigno di un clown, un ghigno di follia e odio.“L’ultima cosa che vuoi fare è svenire di nuovo” dice con calma. “Così, ti perditutto il divertimento.”

E ora è la volta delle pinze a becco lungo. Michonne le prende dalla sacca etorna indietro fischiettando quel motivetto che lo fa rabbrividire. Sembra unalveare di vespe che gli ronza nelle orecchie. Il Governatore posa lo sguardoagitato sulla punta delle pinze, mentre Michonne si allunga e gli afferra la manodestra, che ciondola dal polso legato. Continuando a fischiettare distrattamente,gli prende l’indice e lo tiene sollevato con cura tra il suo stesso indice e il pollice,come se stesse per fargli la manicure.

Le occorre un certo sforzo, ma alla fine riesce a strappargli l’unghia con ungesto rapido, come se togliesse un cerotto da una ferita. Il dolore violento glicorre a spirale giù per il braccio, lo soffoca, gli brucia i tendini come lava fusa. Ilsuo lamento feroce, smorzato dal nastro, sembra quello di una mucca che vienemacellata. Lei procede con il dito medio e stacca anche quell’unghia, facendogocciolare bollicine di sangue. Philip è in iperventilazione per l’agonia. Michonnefa lo stesso con l’anulare e poi con il mignolo, per buona misura.

“Quella mano è messa malaccio” dice come una vera estetista che fornisce unconsiglio di bellezza.

Lascia cadere le pinze, si volta e cerca qualcosa in mezzo alla stanza. “Proprio

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male” mormora, prendendo la spada.Torna indietro e con un gesto rapidissimo, senza esitazione, la alza come un

battitore della Major League intenzionato a realizzare un fuori campo. E la calacon forza sull’articolazione del braccio destro, proprio sopra il gomito.

La prima sensazione che assale Philip Blake, quando la fune rotola via con ilbraccio attaccato, prima ancora del dolore bruciante e insopportabile, è unallentamento della pressione. Il pene si stacca dall’asse; una fontana di sanguezampilla dal moncone seghettato; e il Governatore cade di lato, sciogliendosi dalmuro orientale. Atterra duramente. Con un orrore incapace di comprendere, unorrore che si fa strada dal centro degli occhi, giù nelle pupille e nel cuore delleiridi, con le aperture che si chiudono riducendosi a punture di spillo simili a diodiincandescenti, l’uomo contempla i resti del suo braccio destro. E lancia un suonoche, smorzato dalla museruola del nastro adesivo, sembra l’imitazione grottescadel verso di un maiale sgozzato.

Ormai è in un bagno di sangue, che ha reso la piattaforma di legno viscidacome una chiazza d’olio. Un freddo profondo lo inghiotte, gelandogli la carne.

“Non temere” gli dice Michonne, ma lui non sente nemmeno una parola diquanto lei sta dicendo. “Sono quasi sicura di poter arrestare quella emorragia.”Estrae dalla tasca un accendino. “Dov’è quella torcia?”

Nell’intervallo surreale di tempo che passa prima che torni con la torcia, lui,steso sul pavimento nel suo stesso sangue e nella morsa del freddo che sidiffonde in tutto il corpo, sente l’altra voce sepolta in una parte remota del

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cervello, che singhiozza e si strozza con la sua stessa supplica di dolore: Dio, tiprego non lasciarmi morire così... ti prego... salvami... non lasciare che finisca...così... non voglio morire così...

BASTA!BASTA!!Giù, in fondo all’anima, Philip Blake svolta un angolo... e la rivelazione gli corre

su per la spina dorsale esplodendo nel cervello.Michonne si avvicina al rallentatore con la torcia; la bocchetta si accende con

un WWWWHOOMP, ma la sua vista non lo agita più né più lo spaventa. Lei è ildestino fatto persona e lui ritrova la sua vera natura. La guarda abbassare lafiamma ossidrica verso il moncone. La fissa, la scruta attraverso i capelli unti, erivive la sua più grande epifania.

È ora, pensa, scagliandole addosso i suoi pensieri attraverso il faro del suosguardo febbricitante. Va’ avanti. Io sono pronto. Facciamola finita. Ti sfido. Va’avanti, puttana. Sono pronto a morire, cazzo. E allora uccidimi... fallo adesso...UCCIDIMI! SCOMMETTO CHE NON HAI LE PALLE PER FARLO! VA’ AVANTI EUCCIDIMI ADESSO, PUTTANA DEL CAZZO!!

Lei brucia il moncone con la fiamma azzurra, cauterizzando sangue, polpa etessuto, tra volute di fumo e suoni orribili, che crepitano e friggono nel silenziodel soggiorno. Philip conosce il dolore peggiore che abbia mai sperimentato...mai.

Mai.

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E per sfortuna di Philip Blake, conosciuto anche come il Governatore, laprocedura non lo uccide.

La donna di nome Michonne ha solo cominciato a darsi da fare con lui.-----

Dall’altra parte della città, sotto le stelle, mentre il ronzio onnipresente dei grillie gli altri rumori della notte continuano senza tregua, la prima palata vieneriversata sopra la buca. La terra sabbiosa e marrone scuro della Georgia cadesopra la fotografia di Megan con un tonfo lieve. Austin prende un’altra palata e labutta. E un’altra. E un’altra ancora. Il terriccio comincia a coprire la pila di oggettipreziosi con l’irrevocabilità di una sepoltura funebre.

A un certo punto, Austin si concede una pausa e guarda Lilly, lì vicino, che loosserva avvolta in una coperta. La tiene stretta intorno al collo e lascia che lelacrime salgano, le corrano giù per le guance e si perdano nel tessuto.

Austin le porge una palata di terra, che lei lascia cadere sulla buca.Nessuno dei due lo dice a voce alta, ma la sensazione che provano in

quell’istante è quella di un addio.Devono dire addio al dolore, alla paura, al passato. Adesso hanno un futuro.

Hanno loro stessi, l’uno per l’altra, e hanno una minuscola scintilla di nuova vitache cresce dentro Lilly come una promessa silenziosa. Lilly sorride triste e siasciuga il viso. Austin le sorride a sua volta. Finiscono di riempire la buca e Austinripone la vanga.

Poi tornano ai ceppi e riposano i corpi stanchi al buio, immersi nel silenzio.

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“Oh, ti sei svegliato... bene.”La luce è diventata diafana e surreale nell’orribile soggiorno, mentre la voce

fluttua come una bellissima falena che si libra nell’aria dietro di lui. Non la vedepiù, solo la sua sagoma tremola nel pavimento; ma sente che è là dietro, vicinoal suo culo. Si accorge di essere stato messo in una posizione diversa: adessogiace prono, con la faccia schiacciata sulla piattaforma e il sedere sollevato. Tuttii suoi organi sensoriali assorbono l’ambiente con lentezza e in maniera confusa:come una telecamera il cui obiettivo è stato deformato con un calcio.

L’estremità fredda del cucchiaio gli entra in profondità nel retto.Quando l’arnese affonda fino all’osso sacro, lui scatta in avanti coi gomiti. Per

un attimo fugace, rivive la paura che ha sempre avuto della visita alla prostata,con le domande di routine e il medico di Jacksonville (come si chiamava? Kenton?Kenner?) che chiacchierava oziosamente tutto il tempo del draft18 dei Falcons19.Si immagina nell’atto di ridere per quel piccolo ricordo intimo, e invece rantola.

Lei spinge il cucchiaio giù fino alle vertebre sacrali e lo gira con un senso dirivalsa, come se cercasse di tirargli fuori tutto il coccige e gli intestini. Lui grida.Naturalmente il nastro smorza il grido e tutto quanto lui stesso sente con le sueorecchie è una serie di gemiti infantili. Fa per dimenarsi un po’ e il fuoco divampafuori controllo nell’addome: il cucchiaio ha toccato una parte dell’anatomiainterna.

Quando sta per sprofondare di nuovo nelle sabbie mobili dell’incoscienza, leitira via dall’ano il cucchiaio piegato, che esce con un schiocco umido. “Fatto” dice.

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“Ti farà male per un po’ là sotto.”Si alza e gli si piazza davanti, in modo che lui possa scorgerla pur con la vista

periferica febbricitante. Solleva il cucchiaio sporco di sangue.“E io che credevo che metterlo dentro fosse difficile” commenta sarcastica,

mentre le imposte si abbassano di nuovo, mai tanto misericordiosamente, sugliocchi del Governatore, riportandolo nella benedetta, vuota e fredda oscurità.

I vari esperti del settore – spie della CIA, banditi del terzo mondo, ex KGB,cartelli della droga e via dicendo – sanno come tenere una persona sveglia evigile durante un “interrogatorio potenziato”. Ma questa amazzone dai capelli diMedusa non ha domande da fare né ha pratica nell’arte di tenere una personacosciente. Tutto ciò che ha, almeno per quanto può dire il Governatore, è il suoinnato senso della giustizia e quel tanto di insolenza da strada che le basta percontinuare la sua tortura raffazzonata e tenerlo sveglio. Philp lo capisce ognivolta che si sveglia e scopre, attraverso le lenti surreali di un dolore infernale, cheil suo livello di comprensione è sempre più corrotto e distorto.

Questa volta, si sveglia con la sensazione che un pianoforte gli sia caduto sullatesta. Sente l’impatto pesante che gli schianta una parte del teschio, causandogliun trauma cranico e facendo detonare una bomba atomica di agonia giù per ilsetto nasale. Sente il fragore atonale di tutti gli ottantotto tasti del piano, tuttiinsieme, dentro la sua testa; nelle orecchie gli risuona una melodia stonata, cosìforte da togliergli persino il fiato.

Michonne gli sta sopra. Gli sbatte la suola dello stivale sulla testa per la

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seconda volta.Il tacco gli rompe la mascella e di colpo il Governatore è sveglio solo a metà...

non del tutto cosciente e non proprio privo di sensi.Ciondola, geme e balbetta da sotto il nastro in una specie di nebbia

neurologica. Le funzioni più complesse del cervello hanno cessato la loro attivitàe sono passate al programma predefinito: il suo io originario. Ha la sensazione diessere tornato bambino, a Waynesboro, e di stare seduto sulle ginocchia di papàal luna park. Sente l’odore del popcorn, della merda di cavallo e dello zuccherofilato. Sente l’organetto suonare un motivo comico e la star dello spettacolo, laGuerriera Nera del Borneo, girargli lentamente intorno, girare lentamente intornoal suo posto in prima fila, sulle ginocchia del papà.

“Mi sa che ti ho dato un calcio troppo forte” dice nella sua vocina buffa. Ilpubblico applaude e ride. “Mi sa che si è rotto qualcosa.”

Lui vorrebbe ridere per quella battuta, ma qualcuno, forse il suo papà, gli metteuna mano sulla bocca. Il che fa sembrare tutto anche più divertente. La GuerrieraNera del Borneo s’inginocchia vicinissimo alla sua faccia. Lui la guarda. Leiricambia il suo sguardo con un sorriso divertito. Cosa mai vorrà fare con quelcucchiaio? Forse si esibirà di nuovo nel suo numero migliore!

Lei tiene il cucchiaio vicino al suo occhio sinistro e mormora: “Non svenire...non abbiamo ancora finito.”

Quando comincia a scavare per tirare fuori il bulbo oculare, il bordo delcucchiaio è freddo. Gli ricorda la volta in cui il dentista aveva dovuto trapanargli

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una carie in fondo alla bocca... e gli aveva fatto tanto, tanto, tanto, tanto,tantooooooooooo male. Dopo aveva ricevuto un lecca-lecca, che lo aveva fattostare un po’ meglio, ma stavolta non ci sono lecca-lecca e fa ancora più male diquanto lui ritenesse possibile. Sente persino il suono rivoltante, come quando lasua mamma fa a pezzi il pollo per il pranzo, lo schiocco umido e viscido. LaSignora del Borneo continua a scavare il bulbo che, alla fine, esce dal suoalloggiamento.

Vorrebbe applaudire quella mirabolante signora nera che riesce a far penzolareil bulbo oculare, appeso a fili di nervi e a una roba rossa e schifosa simile a unastella filante bagnata.

Ormai la sua vista è del tutto fuori controllo. Gli sembra di essere sullemontagne russe, come quando papà ha portato lui e suo fratello Brian alla Heartof Georgia State Fair20 e sono andati sullo Zipper, e gli girava tutto. Può ancoravedere dall’occhio a penzoloni. E può ancora vedere dall’altro occhio. Ma quelloche vede lo fa sentire in colpa per la Mirabolante Guerriera Selvaggia del Borneo.

Lei sta piangendo.Le lacrime rotolano giù per il suo viso marrone e lucente, mentre lei sta

accovacciata davanti a Philip e, all’improvviso, Philip si sente triste per quellapovera signora. Perché piange? Lo fissa come un bambino smarrito, come unaragazzina che ha appena fatto qualcosa di molto brutto.

Poi accade qualcos’altro, che attira l’attenzione di Philip Blake.Il suono di qualcuno che bussa forte alla porta lo riporta indietro nel presente.

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Sbatte l’occhio buono. Anche la signora sbatte gli occhi per cacciare le lacrime.Entrambi sentono la profonda e rabbiosa voce maschile fuori dalla porta.

“GOVERNATORE! SEI LÌ DENTRO?!”Di colpo, la musica dell’organetto s’interrompe e il piccolo Philip Blake non è più

al luna park.-----

Michonne afferra la spada e sta in piedi davanti alla porta, paralizzata perl’indecisione. Non ha completato il suo capolavoro: il pezzo più importante delpuzzle deve ancora andare al suo posto, ma forse adesso bisognerà dare untaglio, in molti sensi, a tutta la faccenda.

Si gira verso quel che resta dell’uomo sul pavimento e che un filo sottile tieneancora in vita. Fa per dirgli qualcosa, quando la voce tuona fuori dalla porta.

“EHI...! PHIL! APRI! LA TROIA FUORI DI TESTA SE N’È ANDATA, CAPO! INSIEMEAL DOTTORE, AD ALICE E AGLI ALTRI DUE!” Il legno della porta cigola; il rumoredi qualcosa che si spezza si riverbera con un tonfo enorme.

Michonne abbassa lo sguardo sul Governatore e allunga la punta della katanaverso il suo inguine.

Fuori dalla porta la voce di Gabe, inconfondibile nel suo latrato stridulo edall’accento marcato, si alza di un’ottava: “COSA CAZZO È SUCCESSO ALLA TUAPORTA, CAPO?! COSA STA SUCCEDENDO?! DI’ QUALCOSA, SIGNORE! STIAMOPER ENTRARE!”

Un altro tonfo poderoso: forse Gabe e Bruce spingono la porta con le spalle o

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con un ariete improvvisato: i cardini fanno cadere la polvere e minacciano diesplodere nei punti che Michonne ha inchiodato frettolosamente.

Michonne tiene la spada a pochi centimetri dal pene flaccido del Governatore.“A quanto pare quanto resta di quell’affare potrebbe anche guarire, se

sopravvivi” gli dice a voce bassa come se parlasse a un amante. Non ha idea sepossa sentirla o capirla. “Ma noi questo non lo vogliamo.”

Con un singolo scatto del polso, recide il pene dell’uomo alla base. L’organocade senza vita sul pavimento di legno e il sangue gocciola.

Michonne si volta e si precipita fuori dalla stanza. Attraversa l’appartamento,spalanca una finestra ed esce fuori. Quando finalmente la porta cede, lei è già ametà della scala antincendio.

Bruce irrompe nell’appartamento per primo. Con la testa che luccica come unapalla da biliardo e gli occhi sgranati per l’agitazione, per poco non ruzzola a terra.Gabe entra con un balzo alle sue spalle: serra i pugni e studia in fretta lasituazione.

“CAZZO!” Bruce sente il minuscolo latrato della bambina morta e si gira.“CAZZO!” Vede Penny incatenata a distanza di sicurezza in mezzo all’atrio.“CAZZO...! CAZZO...! CAZZO!” Sente nell’aria il fetore di fluidi corporei e di sanguecome fosse un mattatoio. Si guarda intorno. “CAZZO...! CAZZO...! CAZZO...!CAZZO...! CAZZO...! CAZZO!!”

“Attento!” Gabe spinge Bruce di lato, quando la ragazzina morta si protendeverso di loro, tendendo le catene e facendo scattare i dentini neri nell’aria vicino

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al torace di Bruce. Gabe urla: “Sta’ lontano da lei!”.“Oh cazzo... cazzo” esclama Bruce all’improvviso, quando si volta verso l’arco

che immette nel soggiorno. E vede i resti raccapriccianti del pasto di Penny.“Governatore! Oh... cazzo!”

Nell’oscurità calma e immacolata della radura, sotto la volta del cielo agreste,Austin Ballard rompe finalmente il silenzio. “Sai una cosa? Mi è appena venuto inmente... che potrei costruire una piccola nursery nella veranda sul retro del mioappartamento.”

Lilly annuisce. “Sarebbe carino.” Ci pensa su. “Nel magazzino ho visto una cullache non usa nessuno.” Riflette ancora un po’. “Di’ pure che sono matta, ma pensoche funzionerà.”

Austin si allunga verso di lei e la attira a sé in un tenero abbraccio. Rimangonoseduti così, sullo stesso tronco, abbracciati l’uno all’altra. Lilly gli bacia i capelli.Lui le sorride e la stringe forte. “In questo momento Woodbury è il posto piùsicuro dove potremmo stare” dice piano.

Lei annuisce ancora. “Lo so... Ho la sensazione che il Governatore abbia le cosesotto controllo.”

Austin la stringe delicatamente. “E Stevens e Alice faranno nascere il bambino.”“Giusto.” Lilly sorride a se stessa. “Penso che siamo proprio in buone mani.”“Già.” Austin fissa la notte. “Il Governatore ci terrà al sicuro.” Sorride. “È la

miglior situazione al mondo per cominciare una nuova vita.”Lilly gli fa un altro cenno. Il suo sorriso potrebbe alimentare la corrente di una

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città intera. “Mi piace come suona: una nuova vita... suona bene.”Per la prima volta in tutta la sua esistenza, ha davvero la sensazione che andrà

tutto bene.Gabe e Bruce si tuffano nella camera delle torture del soggiorno e, di colpo,

vedono le prove dell’operato di Michonne: gli arnesi sporchi di sangue, la sacca, ilbraccio mozzato, i tessuti e le macchie di sangue che si aprono a ventaglio sullapiattaforma di legno come ali che spuntano dal corpo di un demone infernale.Muovono qualche altro passo verso i resti.

Hanno la mente inondata dal panico, ma cercano di restare calmi e si parlano.Gabe abbassa lo sguardo sul corpo e dice: “Come facciamo con la nera?”.Bruce è a bocca aperta. “Che si fotta. Probabilmente ormai è fuori dalla zona

sicura... non ha nessuna possibilità.”“Gesù” mormora Gabe, guardando quel che resta del capo: i resti eviscerati,

bruciati, flagellati, deformati, e l’occhio che, ancora attaccato a fili di tessuto, glipenzola su un lato del volto. Il corpo si contorce. “È... è morto?”

Bruce, che respira col fiato corto e debole, s’inginocchia accanto alGovernatore.

Un debole fischio esce dalle narici dell’uomo.Per lo scempio che è stato fatto del corpo, Bruce non riesce nemmeno a trovare

un punto dove sentire il battito. Toglie piano il nastro dalle labbra.Poi si piega e avvicina l’orecchio alla bocca insanguinata.Tracce di un flebile respiro raggiungono il suo orecchio, ma Bruce non sa

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stabilire se si tratti dello spasmo della morte......o se l’uomo sia aggrappato all’orlo di un limbo sul limitare della morte.Sotto una volta di stelle scintillanti, Austin accarezza il viso di Lilly come se

sfiorasse i grani di un rosario benedetto. “Lilly, sono sicuro che le cose andrannoa posto da sole. Te lo prometto.” La bacia. “Andrà tutto alla grande.” La bacia dinuovo. “Vedrai.”

Lei sorride. Dio la aiuti, ma ci crede: crede in Austin... crede nel Governatore...crede in Woodbury. Andrà tutto bene.

Appoggia la testa sulla spalla di Austin senza smettere di sorridere. E ascolta ilronzio incessante della notte, che ripete in eterno l’antico ciclo di distruzione erigenerazione.

Grazie, Dio.Grazie.

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NOTEI romanzi di The Walking Dead sono collegati alla serie a fumetti creata daRobert Kirkman e pubblicata negli Stati Uniti da Image Comics. L’edizione italianaè curata da Saldapress.

1 Generale confederato nella guerra di secessione americana. N.d.E.2 Uno sciroppo per la tosse. N.d.E.3 Special Weapons And Tactics, letteralmente Armi e Tattiche Speciali: acronimo che indica le unità speciali dipolizia. N.d.E.4 Pari a poco meno di 190 litri. N.d.E.5 Una zuppa giapponese composta da spaghetti serviti in un brodo di carne o di pesce. N.d.E.6 Tiratrice statunitense (1860-1926) entrata nell’immaginario collettivo per la sua straordinaria abilità col fucile.N.d.E.7 Bibita in polvere disponibile in numerosi gusti. N.d.E.8 Reparto di operazioni speciali dell’esercito degli Stati Uniti. N.d.E.9 Linea di prodotti alimentari a base di pasta in vendita in confezioni di cartone. N.d.E.10 Center for Disease Control and Prevention, ovvero Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie.N.d.E.11 Letteralmente “lo splendido George”, nome d’arte del wrestler George Raymond Wagner, divenuto celebrenegli anni 40. N.d.E.12 Medicinale a base di paracetamolo. N.d.E.13 57 Channels (And Nothin’ On), titolo di una canzone di Bruce Springsteen contenuta nell’album Human Touch(Columbia, 1992).14 Espressione tipica di Tonto, la spalla pellerossa di Lone Ranger (in Italia “Il cavaliere solitario”) dell’omonimaserie radiofonica e televisiva. N.d.E.

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15 Riferimento a una campagna pubblicitaria contro l’uso degli stupefacenti nella quale il cervello di una personache aveva assunto droga veniva, appunto, paragonato a un uovo fritto. N.d.E.16 Una delle più importanti case farmaceutiche del mondo. N.d.E.17 Una delle marche più importanti di attrezzatura per il baseball. N.d.E.18 Il meccanismo che regola l’acquisizione di giocatori sotto contratto in diverse leghe sportive statunitensi.N.d.E..19 La squadra di football americano di Atlanta. N.d.E.20 Nome con cui è nota la fiera di Macon, Georgia, N.d.E..

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AUTORIROBERT KIRKMAN è famoso per le sue serie a fumetti The Walking Deade Invincible per la Image Comics sotto l’etichetta Skybound. È uno dei cinquesoci della Image Comics ed è un produttore esecutivo e uno deglisceneggiatori della serie televisiva di successo tratta da The Walking Dead,trasmessa in Italia da Sky. JAY BONANSINGA è uno scrittore di romanzi horror acclamato dallacritica. Tra i suoi lavori Perfect Victim, Shattered, Twisted e Frozen. Il suoromanzo d’esordio, The Black Mariah, è stato uno dei finalisti per il BramStoker Award.

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I ROMANZI DI

THE WALKING DEADL’ASCESA DEL GOVERNATORE

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THE WALKING DEADLA STRADA

PER WOODBURY

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