La Bella Addormentata Nel Bosco

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C’ erano una volta un Re e una Regina che erano disperati di non avere figli, ma tanto disperati da non potersi dir quanto. Anda- vano tutti gli anni ai bagni, ora qui ora là: voti, pellegrinaggi; vollero provarle tutte, ma nulla giovava. Alla fine la Regina rimase in- cinta e partorì una bambina. Fu fatto un battesimo di gala; si diedero per madrina alla Principessina tutte le fate che si poterono trovare nel paese (ce n’erano sette) perché ciascuna di esse le facesse un regalo e così toccarono alla Principessa tutte le perfezioni immaginabili di que- sto mondo. Dopo la cerimonia del battesimo, il corteo tornò al palazzo reale, dove si dava una gran festa in onore delle fate. Davanti a ciascuna di esse fu messo un magnifico astuccio d’oro massiccio, che conteneva un cucchiaio, una forchetta e un coltello d’oro finissimo, tutti guarniti di diamanti e di rubini. Mentre stavano per prendere il loro posto a ta- vola, si vide entrare una vecchia fata, la quale non era stata invitata con le altre perché da cinquant’anni non usciva più dalla sua torre e tutti la credevano morta e incantata. Il Re le fece dare una posata, ma non ci fu modo di farle dare, come alle altre, un astuccio d’oro massiccio, perché di questi ne erano stati ordinati solamente sette, per le sette fate. La vecchia prese la cosa per uno sgarbo e brontolò fra i denti alcune pa- role di minaccia. Una delle giovani fate, che era accanto a lei, la sentì e per paura che volesse fare qualche brutto regalo alla Principessina, ap- pena alzati da tavola, andò a nascondersi dietro una porta, per potere in questo modo esser l’ultima a parlare e rimediare, per quanto fosse stato possibile, al male che la vecchia avesse fatto. Intanto le fate cominciarono a distribuire alla Principessa i loro doni. La più giovane di tutte le diede in regalo che ella sarebbe stata la più bella donna del mondo; un’altra, che ella avrebbe avuto moltissimo spirito; la terza, che avrebbe messo una grazia incantevole in tutte le cose che avesse fatto; la quinta che avrebbe cantato come un usignolo e la sesta che avrebbe suonato tutti gli strumenti con una perfezione da trasecolare. Essendo venuto il momento della vecchia fata, essa disse tentennando il capo più per la bizza che per ragion degli anni, che la Principessa si sarebbe bucata la mano con un fuso e che ne sa- rebbe morta! Questo orribile regalo fece venire i brividi a tutte le per- sone della corte e non ci fu uno solo che non piangesse. A questo punto, la giovane fata uscì di dietro la porta e disse forte queste parole: – Rassicuratevi, o Re e Regina; vostra figlia non morirà: è vero che io non ho abbastanza potere per disfare tutto l’incantesimo che ha fatto la mia sorella maggiore; la Principessa si bucherà la mano con un fuso, ma invece di morire, s’addormenterà soltanto in un profondo sonno, che durerà cento anni, in capo ai quali il figlio di un Re la verrà a sve- gliare –. Il Re, per la passione di scansare la sciagura annunziatagli dalla vecchia, fece subito bandire un editto, nel quale era proibito a tutti di filare col fuso e di tenere fusi per casa, pena la vita. La bella addormentata nel bosco di Charles Perrault APPROFONDIAMO IL GENERE LA FIABA ANDREA BARABINO NICOLETTA MARINI, Le pietre bianche © SEI, 2010 leggere ★★ livello di difficoltà TESTO NARRATIVO Charles Perrault (Parigi, 1628-1703) Scrittore di prosa, raccolse storie della tradizione popo- lare e le rielaborò in modo ori- ginale ne I racconti di mamma Oca (1697), che contiene un- dici fiabe divenute famosissime, come Cappuccetto rosso, Ce- nerentola, Il gatto con gli sti- vali , La bella addomernata.

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fiaba per bambini

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C’erano una volta un Re e una Regina che erano disperati di nonavere figli, ma tanto disperati da non potersi dir quanto. Anda-vano tutti gli anni ai bagni, ora qui ora là: voti, pellegrinaggi;

vollero provarle tutte, ma nulla giovava. Alla fine la Regina rimase in-cinta e partorì una bambina. Fu fatto un battesimo di gala; si diederoper madrina alla Principessina tutte le fate che si poterono trovare nelpaese (ce n’erano sette) perché ciascuna di esse le facesse un regalo ecosì toccarono alla Principessa tutte le perfezioni immaginabili di que-sto mondo. Dopo la cerimonia del battesimo, il corteo tornò al palazzoreale, dove si dava una gran festa in onore delle fate. Davanti a ciascunadi esse fu messo un magnifico astuccio d’oro massiccio, che contenevaun cucchiaio, una forchetta e un coltello d’oro finissimo, tutti guarnitidi diamanti e di rubini. Mentre stavano per prendere il loro posto a ta-vola, si vide entrare una vecchia fata, la quale non era stata invitata conle altre perché da cinquant’anni non usciva più dalla sua torre e tutti lacredevano morta e incantata. Il Re le fece dare una posata, ma non ci fumodo di farle dare, come alle altre, un astuccio d’oro massiccio, perchédi questi ne erano stati ordinati solamente sette, per le sette fate. Lavecchia prese la cosa per uno sgarbo e brontolò fra i denti alcune pa-role di minaccia. Una delle giovani fate, che era accanto a lei, la sentì eper paura che volesse fare qualche brutto regalo alla Principessina, ap-pena alzati da tavola, andò a nascondersi dietro una porta, per potere inquesto modo esser l’ultima a parlare e rimediare, per quanto fosse statopossibile, al male che la vecchia avesse fatto.Intanto le fate cominciarono a distribuire alla Principessa i loro doni.La più giovane di tutte le diede in regalo che ella sarebbe stata la piùbella donna del mondo; un’altra, che ella avrebbe avuto moltissimospirito; la terza, che avrebbe messo una grazia incantevole in tutte lecose che avesse fatto; la quinta che avrebbe cantato come un usignoloe la sesta che avrebbe suonato tutti gli strumenti con una perfezioneda trasecolare. Essendo venuto il momento della vecchia fata, essadisse tentennando il capo più per la bizza che per ragion degli anni,che la Principessa si sarebbe bucata la mano con un fuso e che ne sa-rebbe morta! Questo orribile regalo fece venire i brividi a tutte le per-sone della corte e non ci fu uno solo che non piangesse. A questopunto, la giovane fata uscì di dietro la porta e disse forte queste parole:– Rassicuratevi, o Re e Regina; vostra figlia non morirà: è vero che ionon ho abbastanza potere per disfare tutto l’incantesimo che ha fattola mia sorella maggiore; la Principessa si bucherà la mano con un fuso,ma invece di morire, s’addormenterà soltanto in un profondo sonno,che durerà cento anni, in capo ai quali il figlio di un Re la verrà a sve-gliare –. Il Re, per la passione di scansare la sciagura annunziataglidalla vecchia, fece subito bandire un editto, nel quale era proibito atutti di filare col fuso e di tenere fusi per casa, pena la vita.

La bella addormentata nel boscodi Charles Perrault

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TESTO NARRATIVO

� Charles Perrault

(Parigi, 1628-1703)Scrittore di prosa, raccolsestorie della tradizione popo-lare e le rielaborò in modo ori-ginale ne I racconti di mammaOca (1697), che contiene un-dici fiabe divenute famosissime,come Cappuccetto rosso, Ce-nerentola, Il gatto con gli sti-vali, La bella addomernata.

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Fatto sta che, passati quindici o sedici anni, il Re e la Regina essendoandati a una loro villa, la Principessina, correndo un giorno per il ca-stello e andando da un quartiere all’altro, salì fino in cima a una torre,dove in una piccola soffitta c’era una vecchina, che se ne stava solasola, filando la sua rocca. Questa buona donna non sapeva nulla dellaproibizione fatta dal Re di filare col fuso.– Che fate voi, buona donna? – disse la Principessa. – Son qui che filo, mia bella ragazza – le rispose la vecchia, che non laconosceva. – Oh! carino, carino tanto! – disse la Principessa – ma come fate? datemiun po’ qua, che voglio vedere se riesce anche a me –. Vivacissima e ancheun tantino avventata com’era (e d’altra parte il decreto della fata volevacosì), non aveva ancora finito di prendere in mano il fuso che si bucò lamano e cadde svenuta. La buona vecchia, non sapendo che cosa fare, simise a gridare aiuto. Corse gente da tutte le parti; spruzzarono dell’ac-qua sul viso alla Principessa: le sganciarono i vestiti, le batterono sullemani, le stropicciarono le tempie con acqua della Regina d’Ungheria; manon ci fu verso di farla tornare in sé. Allora il Re, che era accorso al ru-more, si ricordò della predizione delle fate e sapendo bene che questacosa doveva accadere, perché le fate l’avevano detto, fece mettere laPrincipessa nel più bell’appartamento del palazzo, sopra un letto tuttoricami d’oro e d’argento. Si sarebbe detta un angelo, tanto era bella: per-ché lo svenimento non aveva tolto nulla alla bella tinta rosa del suo colo-rito: le gote erano di un bell’incarnato e le labbra come il corallo. Ellaaveva soltanto gli occhi chiusi: ma la si sentiva respirare dolcemente ecosì dava a vedere che non era morta. Il Re ordinò che la lasciassero dor-mire in pace, finché non fosse arrivata la sua ora di destarsi. La buona fata, che le aveva salvata la vita, condannandola a dormire percento anni, si trovava nel regno di Matacchino, distante di là dodici milachilometri, quando capitò alla Principessa questa disgrazia, ma ne fu av-vertita in un baleno da un piccolo nano che portava ai piedi degli stivalidi sette chilometri (erano stivali con i quali si facevano sette chilometriper ogni passo). La fata partì subito e in men di un’ora fu vista arrivaredentro un carro di fuoco, tirato dai draghi. Il Re andò ad offrirle la mano,per farla scendere dal carro. Ella diede un’occhiata a quanto era statofatto e poiché era molto prudente, pensò che quando la Principessa ve-nisse a svegliarsi, si vedrebbe in un brutto impiccio, a trovarsi sola sola inquel vecchio castello ed ecco quello che fece. Toccò con la sua bacchettatutto ciò che era nel castello (meno il Re e la Regina) governanti, dami-gelle d’onore, cameriste, gentiluomini, ufficiali, maggiordomi, cuochi,sguatteri, lacchè, guardie, svizzeri, paggi e servitori; toccò ugualmentetutti i cavalli, che erano nella scuderia con i loro palafrenieri e i grossimastini di guardia nei cortili e la piccola Puffe, la cagnolina della Princi-pessa, che era accanto a lei, sul suo letto. Appena li ebbe toccati, si ad-dormentarono tutti, per risvegliarsi soltanto quando si sarebbe risve-gliata la loro padrona, per trovarsi pronti a servirla in tutto e per tutto.Gli stessi spiedi, che giravano sul fuoco, pieni di pernici e di fagiani siaddormentarono e si addormentò anche il fuoco. E tutte queste cose fu-

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rono fatte in un batter d’occhio, perché le fate sono sveltissime nelle lorofaccende. Allora il Re e la Regina, quand’ebbero baciata la loro figliuola,senza che si svegliasse, uscirono dal castello e fecero bandire che nessunosi avvicinasse a quei pressi. La proibizione non era nemmeno necessaria,perché in meno d’un quarto d’ora crebbe, intorno al parco, una quantitàstraordinaria di alberi, di arbusti, di sterpi e di pruneti, così intrecciatifra loro, che non c’era pericolo che uomo o animale potesse passarvi at-traverso. Si vedevano appena le punte delle torri del castello: ma biso-gnava guardarle da una gran distanza. Anche qui è facile riconoscere chela fata aveva trovato un giusto ripiego affinché la Principessa, durante ilsonno, non avesse a temere l’indiscrezione dei curiosi.In capo a cent’anni, il figlio del Re che regnava allora e che era diun’altra famiglia che non aveva che far nulla con quella della Princi-pessa addormentata, andando a caccia in quei dintorni, domandò checosa fossero le torri che si vedevano spuntare al di sopra di quella foltaboscaglia. Ciascuno gli rispose, secondo quello che ne avevano sen-tito dire: chi gli diceva che era un vecchio castello abitato dagli spiriti;chi raccontava che tutti gli stregoni del vicinato facevano lì il loro ri-trovo. La voce più comune era quella che fosse la casa di un orco, ilquale portava dentro tutti i ragazzi che poteva agguantare per poimangiarseli a suo comodo e senza pericolo che qualcuno lo rincor-resse, perché egli solo aveva la capacità di aprirsi una strada attraversoil bosco. Il Principe non sapeva a chi dar retta, quando un vecchiocontadino prese la parola e gli disse: – Mio buon Principe, sarà ormaipiù di cinquant’anni che ho sentito raccontare da mio padre che inquel castello c’era una Principessa, la più bella che si potesse mai ve-dere; che essa doveva dormirvi cento anni e che sarebbe destata dal fi-glio di un Re, al quale era destinata in sposa –. A queste parole il Prin-cipe s’infiammò; senza esitare un attimo, pensò che sarebbe stato lui,quello che avrebbe condotto a fine una sì bella avventura e spinto dal-l’amore e dalla gloria, decise di mettersi subito alla prova. Appena simosse verso il bosco, ecco che subito tutti gli alberi d’alto fusto e ipruneti e i roveti si tirarono da parte da se stessi, per lasciarlo passare.Egli s’incamminò verso il castello, che era in fondo a un viale ed entròdentro. La cosa che gli procurò un po’ di stupore fu quella di vedereche nessuno delle sue genti aveva potuto seguirlo, perché gli alberi,appena passato lui, erano tornati a ravvicinarsi. Non per questo si dis-suase nel proseguire per la sua strada: un Principe giovane e innamo-rato è sempre pieno di valore. Entrò in un gran cortile, dove lo spet-tacolo che gli apparve dinanzi agli occhi sarebbe bastato a farlo gelaredi spavento. C’era un silenzio, che metteva paura: dappertutto l’im-magine della morte: non si vedevano altro che corpi distesi per terra,di uomini e di animali, che parevano morti, se non che dal naso bitor-zoluto e dalle gote vermiglie dei guardaportoni, egli si poté accorgereche erano soltanto addormentati e i loro bicchieri, dove c’erano sem-pre gli ultimi sgoccioli di vino, mostravano chiaro che si erano addor-mentati bevendo e festeggiando. Passa quindi in un altro gran cortile,tutto lastricato di marmo; sale la scala ed entra nella sala delle guardie,

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che erano tutte schierate in fila con la carabina in braccio e russavanocome tanti ghiri; traversa molte altre stanze piene di cavalieri e didame, tutti addormentati, chi in piedi chi a sedere. Entra finalmentein una camera tutta dorata e vede sopra un letto, che aveva le cortinetirate su dai quattro lati, il più bello spettacolo che avesse visto mai:una Principessa che mostrava dai quindici ai sedici anni e nel cuiaspetto sfolgorante c’era qualche cosa di luminoso e di divino. Si ac-costò tremando e ammirando e si pose in ginocchio accanto a lei. Inquel momento, siccome la fine dell’incantesimo era arrivata, la Prin-cipessa si svegliò e guardandolo con certi occhi, più teneri assai diquello che sarebbe lecito in un primo abboccamento: – Siete voi, mioPrincipe? – ella gli disse. – Vi siete fatto molto aspettare! Il Principe, incantato da queste parole e più ancora dal modo colquale erano dette, non sapeva come fare a esprimerle la sua grazia e lasua gratitudine. Giurò che l’amava più di se stesso. I suoi discorsi fu-rono sconnessi e per questo piacquero di più, perché poca eloquenza,grande amore! Esso era più imbrogliato di lei, né c’è da farsene mera-viglia, a motivo che la Principessa aveva avuto tutto il tempo per poterpensare alle cose che avrebbe avuto da dirgli. A quanto pare (la storiaperaltro non ne fa parola), durante un sonno così lungo, la sua buonafata le aveva regalato piacevolissimi sogni. Fatto sta che erano giàquattro ore che parlavano fra loro due fitto fitto e non si erano ancoradetti la metà delle cose che avevano da dirsi.Intanto tutte le persone del palazzo si erano svegliate con la Princi-pessa e ciascuno aveva ripreso le sue faccende. Siccome gli abitanti delcastello non erano innamorati, non si reggevano in piedi dalla fame.La dama d’onore, che sentiva di essere sfinita come gli altri, perdette lapazienza e disse ad alta voce alla Principessa che la zuppa era in tavola.Il Principe diede mano alla Principessa, perché si alzasse: ella era abbi-gliata con gran magnificenza ed egli fu abbastanza prudente da farleosservare che era vestita come si usava un secolo addietro. Non perquesto, però, era meno bella. Passarono nel gran salone degli specchi elì cenarono, serviti a tavola dagli ufficiali della Principessa. Gli oboe ei violini suonarono sinfonie vecchissime, ma sempre belle, quantunquefosse quasi cent’anni che nessuno pensava più a suonarle e dopo cena,senza metter tempo in mezzo, il grande elemosiniere li maritò nellacappella di corte e la dama d’onore tirò le cortine del parato. Dormi-rono poco. La Principessa non ne aveva un gran bisogno e il Principe,appena fece giorno, la lasciò per ritornare in città, dove il padre suostava in pensiero per lui. Il Principe gli dette a intendere che, nell’an-dare a caccia, s’era perso in una foresta e che aveva dormito nella ca-panna d’un carbonaio, dove aveva mangiato pane nero e un po’ di for-maggio. Quel buon uomo di suo padre, che era proprio un buonuomo, ci credette: ma non fu così di sua madre, la quale, vedendo cheil figliuolo andava quasi tutti i giorni a caccia e che aveva sempre dellescuse pronte per giustificarsi tutte le volte che gli accadeva di passaretre o quattro nottate fuori di casa, finì con il pensare che ci doveva es-sere di mezzo qualche amore. Bisogna sapere, infatti, che egli passò più

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di due anni insieme con la Principessa e ne ebbe due figli, di cui lamaggiore, che era una femmina, si chiamava Aurora e il secondo, cheera maschio, fu chiamato Giorno, perché prometteva di essere anchepiù bello della sorella. La Regina si provò più volte a interrogare il fi-glio e a spingerlo a rivelare qualche parola, dicendogli che in questomondo ognuno è padrone di fare il piacer suo: ma egli non si arrischiòmai a confidarle il segreto del suo cuore. Voleva bene a sua madre mane aveva paura, perché essa veniva da una famiglia d’orchi e il Re s’eraindotto a sposarla unicamente a ragione delle sue grandi ricchezze.Anzi c’era in corte la diceria che ella avesse tutti gli istinti dell’orco eche, quando vedeva passare dei ragazzetti, facesse sopra di sé deglisforzi inauditi per trattenersi dalla voglia di avventarsi su di essi e dimangiarseli vivi. Ecco perché il Principe non volle mai dir nulla deisuoi segreti. Quando però il Re morì (cosa che accadde due anni dopo)e il Principe diventò il padrone del regno, fece subito bandire pubbli-camente il suo matrimonio e andò con grande piacere a prendere laRegina sua moglie al castello. Le fu preparato un solenne ingressonella capitale del Regno, dov’ella entrò in mezzo ai suoi due figli.Di lì a poco tempo il Re andò a far la guerra al Re Cantalabutta, suo vi-cino. Lasciò la reggenza del Regno alla Regina sua madre e le racco-mandò tanto e poi tanto la moglie e i figliuoli suoi. Si diceva che eglidovesse restare alla guerra tutta l’estate, che appena fu partito la Reginamandò la nuora e i suoi ragazzi in una casa in mezzo ai boschi, per potermeglio soddisfare le sue orribili intenzioni. Dopo qualche giorno, viandò essa pure e una tal sera disse al suo capo cuoco: – Domani a pranzovoglio mangiare la piccola Aurora-. – Ah, signora! – esclamò il cuoco. – Voglio così – rispose la Regina con il tono di voce di un’orchessa, cheha proprio voglia di mangiare della carne viva – e la voglio mangiare insalsa piccante –. Quel pover’uomo del cuoco, vedendo che con un’or-chessa c’era poco da scherzare, prese un grosso coltello e salì nella ca-mera della piccola Aurora. Ella aveva allora quattro anni appena e corsesaltellando e ridendo a gettarglisi al collo e a chiedergli qualche chicca.Egli si mise a piangere, il coltello gli cascò di mano e andò giù nellacorte a sgozzare un agnellino. Lo cucinò con una salsa così buona che lasua padrona ebbe a dire di non aver mai mangiato una cosa così squisitain vita sua. Intanto egli aveva portato via la piccola Aurora e l’aveva datain custodia a sua moglie, perché la nascondesse nel quartierino di suaabitazione in fondo al cortile. Otto giorni dopo quella strega della Re-gina disse al suo capo cuoco: – Ora voglio mangiare a cena il piccoloGiorno –. Egli non rispose né sì né no, risoluto com’era a farle lo stessotiro della volta passata. Andò a cercare il piccolo Giorno e lo trovò conuna spada in mano, che tirava di scherma con una grossa scimmia: ep-pure non aveva più di tre anni. Lo prese e lo portò a sua moglie, la qualelo nascose insieme con la piccola Aurora e al posto del fanciullo servì intavola un caprettino da latte, che l’orchessa trovò delizioso.Fin lì le cose erano andate bene; ma una sera la malvagia Regina disseal cuoco: – Voglio mangiare la Regina, cucinata con la stessa salsa deisuoi figliuoli –. Fu allora che il povero cuoco si sentì cascare le braccia,

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perché non sapeva proprio come fare a ingannarla per la terza volta.La giovane Regina aveva vent’anni suonati, senza contare i cento pas-sati dormendo e la sua pelle, quantunque sempre bella e bianchissima,era diventata un po’ dura. Come trovare nella stalla un animale cheavesse per l’appunto la pelle dura a quel modo? Per salvare la propriavita, prese la risoluzione di tagliar la gola alla Regina e salì nella ca-mera di lei, con il fermo proposito di non ritornare sui suoi passi. Eglifece di tutto per prepararsi a compiere un delitto non voluto e con unpugnale in mano entrò nella camera della giovane Regina: ma non vo-lendola prendere di sorpresa, le raccontò con grandissimo rispetto l’or-dine ricevuto dalla Regina madre. – Fate pure, fate pure – ella gli disse,porgendogli il collo; – eseguite l’ordine che vi hanno dato. Andrò cosìa rivedere i miei figli, i miei poveri figli, che ho tanto amato –. Ella licredeva morti fin dal momento in cui li aveva veduti sparire, senza sa-perne altro. – No, no, o signora, – rispose il povero cuoco, tutto inte-nerito – voi non morirete nient’affatto e non andrete a rivedere i vostrifigliuoli; ma li vedrete a casa mia, dove io li ho nascosti e anche perquesta volta ingannerò la Regina, facendole mangiare una giovanecerva invece di voi –. La condusse subito nella sua camera dove, la-sciando che si sfogasse a baciare le sue creature e a piangere con esse,se ne andò subito a cucinare una cerva, che la Regina mangiò per cena,con il medesimo gusto, come se avesse mangiato la giovane Regina.Ella era molto soddisfatta della sua crudeltà e già studiava il modo perdare a intendere al Re, quando fosse tornato, che i lupi affamati ave-vano divorato la Regina sua moglie e i suoi ragazzi.Una sera che la Regina madre, secondo il suo solito, ronzava in puntadi piedi per i cortili a fiutare l’odore della carne cruda, sentì in unastanza terrena il piccolo Giorno che piangeva, perché la sua mammalo voleva picchiare dato che era stato cattivo e sentì nello stesso tempola piccola Aurora che implorava perdono per il suo fratellino. L’or-chessa riconobbe la voce della Regina e dei suoi figliuoli e, furibondad’essere stata ingannata, con una voce spaventevole, che fece tremartutti, ordinò che la mattina dopo fosse portata in mezzo alla corte unagran vasca e che la vasca fosse riempita di vipere, di rospi, di ramarri edi serpenti per farvi gettar dentro la Regina, i figliuoli, il capo cuoco,la moglie di lui e la sua serva di casa. Ella aveva ordinato che fosseroportati tutti con le mani legate di dietro. Essi erano lì e già i carneficisi preparavano a gettarli nella vasca, quand’ecco che il Re, il quale nonera aspettato così presto di ritorno, entrò nella corte a cavallo: essoera venuto con la posta e domandò tutto stupito che cosa mai volessedire quell’orrendo spettacolo. Nessuno aveva coraggio di aprir bocca,quando l’orchessa, presa da una rabbia indicibile nel vedere quel chevedeva, si gettò da se stessa con la testa avanti nella vasca, dove in unattimo fu divorata da tutte quelle bestiacce, che c’erano state messedentro per suo comando. A ogni modo il Re se ne mostrò addolorato,perché in fin dei conti era sua madre: ma trovò la maniera di conso-larsene presto con la bella moglie e con i suoi bambini.

da www.paroled’autore.it

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