LA BASILICA DI SAN LORENZO MAGGIORE A MILANO TRA ETÀ ...

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221 LA BASILICA DI SAN LORENZO MAGGIORE A MILANO TRA ETÀ MEDIOEVALE E MODERNA: INDAGINE ARCHEOLOGICO ARCHEOMETRICA Le figure illustrano per ciascun pilastro i livelli sino ai quali si riscontra la conservazione della struttura medioevale ove vennero reimpiegati i vecchi bloc- chi di pietra di età tardoantica sagomati ed assem- blati secondo i sistemi di lavorazione a piè d’opera, descritti nell’articolo precedente come muratura a giunti ad L e resi perfettamente concavi a due a due (Fig. 2). Sempre in questa fase venne ispessito il corpo dei pilastri addossandovi semicolonne, ancora in ceppo e sarizzo, poggianti su capitelli corinzi rovesciati op- pure su basi in pietra, queste ultime non di spoglio ma frutto anch’esse di rilavorazioni a piè d’opera di blocchi di marmo preesistenti. In particolare i disegni mostrano come siano soprav- vissute sino a noi praticamente solo le due coppie orientali di pilastri, mentre quelli restanti vennero interessati dal crollo e dai successivi interventi di scalpellatura 1 che precedettero la loro ricostruzione in età moderna. Le due coppie di pilastri situati nella parte orientale della chiesa, come mostrano i disegni, sopravvivono ancor’oggi sino all’altezza dei capitelli delle paraste rinascimentali, quota oltre la quale ha luogo la ri- presa di età moderna. Per quanto concerne le altre due coppie situate dal- la parte dell’ingresso è chiaro che sino al 3° ed al 7° corso i pilastri C ed D rispettivamente sopravvivo- no nella fase medioevale, mentre i restanti E e F, come si mostrerà in seguito, vennero completamen- te rasati a seguito del crollo del 1573. A questa rico- struzione ha contribuito il riconoscimento, ove pos- sibile, del tipo di malta impiegata a sigillare le spesse ed irregolari fughe, presente in altri parti del com- plesso appartenenti alla medesima fase, nonché la stilatura del giunto stesso, realizzata sempre con lo stesso tipo di malta ed uno stiletto sottile, poi colo- rata a latte di calce bianchissimo. – Il piano di calpestìo venne riposizionato in questa fase ad una quota superiore rispetto a quella roma- na. Attualmente essa è individuabile circa 20 centi- metri sopra l’attuale pavimento ed è fissata dallo spessore dei dadi su cui poggiano le basi delle semi- colonne dei pilastri e da due grandi lastre di pietra collocate a sud ed a nord degli ingressi laterali alla chiesa. L’indagine stratigrafica delle murature in que- sti punti dimostra che queste due grandi soglie ven- nero posate durante la ricostruzione medioevale ed asportate in occasione dei lavori tardocinquecente- schi. In questo articolo sulle indagini archeologiche ed archeometriche in corso sulla basilica di San Lorenzo Maggiore a Milano, si riprende idealmente il filo della comunicazione scientifica esattamente da dove si era interrotta quella pubblicata nel precedente numero di questa rivista. La ricerca è avanzata nell’approfondimento degli studi sull’età medioevale e moderna, a saggiare, in par- ticolare, la reale consistenza dell’importantissima fase costruttiva ottoniana nonché quella ricostruttiva tar- docinquecentesca. 1. L’ETÀ MEDIOEVALE 1.1 INDAGINI STRATIGRAFICHE ED ARCHEOMETRICHE Le indagini stratigrafiche sono state completate ri- spetto ai pilastri ed alle colonne in pietra che reggono matroneo e cupola del tetraconco. Come anticipato in precedenza, a livello ipogeo, tra i blocchi in pietra delle fondazioni e l’intradosso della soletta in calcestruzzo che regge il pavimento della basilica, sono stati ritrovati svariati livelli pavimentali in cocciopesto ed un livello a calce identificato come il piano del cantiere tardoantico. Rispetto alle basi delle quattro coppie di pilastri che reggono la cupola ed alle colonne ad esse inframezza- te, sia ottagone che circolari, è stato possibile dedurre alcuni dati importanti: –I pilastri si trovano ancora nella posizione in cui ven- nero posati al momento della fondazione del tetra- conco. Il nucleo originario prevedeva la giustappo- sizione a diedro di due blocchi di ceppo sigillati da malta di cocciopesto finissimo, posati entro una mu- ratura in laterizi e malta di calce, sopra cui venne successivamente steso il piano di lavoro per il can- tiere. L’indagine stratigrafica condotta sull’elevato dei pi- lastri ha dimostrato che questi vennero rasati in se- guito al crollo medioevale della cupola. Soltanto nel pilastro B, infatti, sopravvive la situazione origina- ria sino al terzo livello di blocchi, ossia il primo so- pra la quota dell’attuale pavimento (Fig. 1). In tutti gli altri casi soltanto a livello ipogeo si ritrova la situazione tardoantica, con le basi dei pilastri tra mu- rature in laterizio e malta per uno spessore di circa 60 centimetri, coperti da un battuto a calce che ebbe funzione di piano di cantiere. Al di sopra dell’attuale pavimento i blocchi di pietra risultano riposizionati in età medioevale sino a quo- te variabili da caso a caso, ma sempre inferiori o, al più, pari a quella delle imposte delle volte che reg- gono l’attuale matroneo. 1 BASSI 1771, p. 96. © 2004 All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale

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LA BASILICA DI SAN LORENZO MAGGIORE A MILANOTRA ETÀ MEDIOEVALE E MODERNA:

INDAGINE ARCHEOLOGICO ARCHEOMETRICA

Le figure illustrano per ciascun pilastro i livelli sinoai quali si riscontra la conservazione della strutturamedioevale ove vennero reimpiegati i vecchi bloc-chi di pietra di età tardoantica sagomati ed assem-blati secondo i sistemi di lavorazione a piè d’opera,descritti nell’articolo precedente come muratura agiunti ad L e resi perfettamente concavi a due a due(Fig. 2).Sempre in questa fase venne ispessito il corpo deipilastri addossandovi semicolonne, ancora in ceppoe sarizzo, poggianti su capitelli corinzi rovesciati op-pure su basi in pietra, queste ultime non di spoglioma frutto anch’esse di rilavorazioni a piè d’opera diblocchi di marmo preesistenti.In particolare i disegni mostrano come siano soprav-vissute sino a noi praticamente solo le due coppieorientali di pilastri, mentre quelli restanti vennerointeressati dal crollo e dai successivi interventi discalpellatura1 che precedettero la loro ricostruzionein età moderna.Le due coppie di pilastri situati nella parte orientaledella chiesa, come mostrano i disegni, sopravvivonoancor’oggi sino all’altezza dei capitelli delle parasterinascimentali, quota oltre la quale ha luogo la ri-presa di età moderna.Per quanto concerne le altre due coppie situate dal-la parte dell’ingresso è chiaro che sino al 3° ed al 7°corso i pilastri C ed D rispettivamente sopravvivo-no nella fase medioevale, mentre i restanti E e F,come si mostrerà in seguito, vennero completamen-te rasati a seguito del crollo del 1573. A questa rico-struzione ha contribuito il riconoscimento, ove pos-sibile, del tipo di malta impiegata a sigillare le spesseed irregolari fughe, presente in altri parti del com-plesso appartenenti alla medesima fase, nonché lastilatura del giunto stesso, realizzata sempre con lostesso tipo di malta ed uno stiletto sottile, poi colo-rata a latte di calce bianchissimo.

– Il piano di calpestìo venne riposizionato in questafase ad una quota superiore rispetto a quella roma-na. Attualmente essa è individuabile circa 20 centi-metri sopra l’attuale pavimento ed è fissata dallospessore dei dadi su cui poggiano le basi delle semi-colonne dei pilastri e da due grandi lastre di pietracollocate a sud ed a nord degli ingressi laterali allachiesa. L’indagine stratigrafica delle murature in que-sti punti dimostra che queste due grandi soglie ven-nero posate durante la ricostruzione medioevale edasportate in occasione dei lavori tardocinquecente-schi.

In questo articolo sulle indagini archeologiche edarcheometriche in corso sulla basilica di San LorenzoMaggiore a Milano, si riprende idealmente il filo dellacomunicazione scientifica esattamente da dove si erainterrotta quella pubblicata nel precedente numero diquesta rivista.

La ricerca è avanzata nell’approfondimento deglistudi sull’età medioevale e moderna, a saggiare, in par-ticolare, la reale consistenza dell’importantissima fasecostruttiva ottoniana nonché quella ricostruttiva tar-docinquecentesca.

1. L’ETÀ MEDIOEVALE

1.1 INDAGINI STRATIGRAFICHE ED ARCHEOMETRICHE

Le indagini stratigrafiche sono state completate ri-spetto ai pilastri ed alle colonne in pietra che reggonomatroneo e cupola del tetraconco.

Come anticipato in precedenza, a livello ipogeo,tra i blocchi in pietra delle fondazioni e l’intradossodella soletta in calcestruzzo che regge il pavimento dellabasilica, sono stati ritrovati svariati livelli pavimentaliin cocciopesto ed un livello a calce identificato come ilpiano del cantiere tardoantico.

Rispetto alle basi delle quattro coppie di pilastri chereggono la cupola ed alle colonne ad esse inframezza-te, sia ottagone che circolari, è stato possibile dedurrealcuni dati importanti:– I pilastri si trovano ancora nella posizione in cui ven-

nero posati al momento della fondazione del tetra-conco. Il nucleo originario prevedeva la giustappo-sizione a diedro di due blocchi di ceppo sigillati damalta di cocciopesto finissimo, posati entro una mu-ratura in laterizi e malta di calce, sopra cui vennesuccessivamente steso il piano di lavoro per il can-tiere.L’indagine stratigrafica condotta sull’elevato dei pi-lastri ha dimostrato che questi vennero rasati in se-guito al crollo medioevale della cupola. Soltanto nelpilastro B, infatti, sopravvive la situazione origina-ria sino al terzo livello di blocchi, ossia il primo so-pra la quota dell’attuale pavimento (Fig. 1). In tuttigli altri casi soltanto a livello ipogeo si ritrova lasituazione tardoantica, con le basi dei pilastri tra mu-rature in laterizio e malta per uno spessore di circa60 centimetri, coperti da un battuto a calce che ebbefunzione di piano di cantiere.

– Al di sopra dell’attuale pavimento i blocchi di pietrarisultano riposizionati in età medioevale sino a quo-te variabili da caso a caso, ma sempre inferiori o, alpiù, pari a quella delle imposte delle volte che reg-gono l’attuale matroneo. 1 BASSI 1771, p. 96.

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– Tutte le colonne, sia quelle ottagonali che quelle cir-colari, si trovano posizionate su antichi stilobati dimarmo, tuttora visibili a livello ipogeo, collocati inposizione originaria. L’indagine stratigrafica confer-ma che i passaggi tra il deambulatorio ed il centro deltetraconco nacquero e rimasero, sia in età medioeva-le che moderna, pentapartiti. A cambiare furono sen-za dubbio gli elementi verticali. I più antichi risultanoessere attualmente le due colonne ottagonali n° 1 e 2nell’esedra meridionale, appartenenti alla ricostruzio-ne medioevale, mentre tutte le altre colonne ottago-ne e quelle circolari appartengono alla ricostruzionetardorinascimentale, e di queste si tratterà in seguito.Le colonne ottagone vennero realizzate rilavorandonon soltanto blocchi di sarizzo ma anche conci dellostesso marmo bianco venato che costituisce l’antistan-te colonnata corinzia. I conci di pietra, realizzati edassemblati secondo un procedimento che si illustreràqui di seguito, portano i segni della spianatura enchevrons caratteristici della ricostruzione seguita al crol-lo della cupola. La malta tra i giunti dei blocchi hacaratteristiche macroscopiche analoghe a quelle dellamalta impiegata nei pilastri concavi e la finitura stessadel giunto presenta un’identica stilatura a malta e lattedi calce. Anche qui la lavorazione dei conci non è per-fetta, i bordi non sono accuratamente levigati e retticome, del resto, si osserva anche nei pilastri.

L’indagine stratigrafica delle murature del tetracon-co ha fornito i seguenti risultati rilevanti:– Il crollo medioevale della copertura tardoantica,

come già aveva chiaramente affermato Chierici, in-

teressò in modo particolare le murature dell’esedrasettentrionale del tetraconco e la torre sudorientale.L’indagine stratigrafica ha permesso di definire il li-mite di demolizione della fase tardoantica sulle cor-tine murarie esterne del tetraconco, delle torri me-ridionali e della controfacciata.

– Nell’esedra nord il crollo delle murature tardoanti-che ebbe luogo sino ad una quota inferiore a quelladelle finestre del primo ordine, tanto che la soprav-vivenza tardoantica è qui minima. Nell’esedra orien-tale il limite di crollo corre al di sopra delle finestredel primo ordine analogamente a quanto si osservanell’esedra meridionale (Fig. 3).Il limite superiore delle murature medioevali si sno-da variamente all’altezza delle finestre del secondoordine: le lacune dell’intonaco hanno lasciato intra-vedere in misura variabile la sua esatta posizione. Ildato più importante emerso, al di là dell’individua-zione della quota di massima a cui esso si snoda, èstato l’accertamento dell’esistenza delle finestre delsecondo ordine, anche se con altra e diversa forma.Per quanto forma e dimensioni attuali di queste fi-nestre siano da attribuire alla ricostruzione tardori-nascimentale, l’indagine stratigrafica ha dimostra-to, in esedra sud in particolare, l’esistenza di apertu-re nella medesima posizione di quelle attualmentevisibili, poiché le murature laterali presentano inparte l’apparecchio medioevale senza alcun segnodi rottura (Fig. 4).

– All’interno del tetraconco entro le murature perime-trali vennero realizzati in breccia dei costoloni in la-terizio corrispondenti a quelli tardoantichi che scan-

Fig. 1 – Pianta del complesso laurenziano.

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Fig. 2 – Limiti di demolizione dei pilastri per l’età medioevale e tardoantica.

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discono il perimetro esterno. Attualmente nascostidall’intonaco di Chierici, questi sono visibili soltantoa livello ipogeo, ove si apprezza con chiarezza il lororapporto stratigrafico rispetto alle murature perime-trali tardoantiche. L’ispessimento dei costoloni anti-chi in età medioevale sembra un’opera di consolida-mento della struttura precedente destinata anche areggere il piano di camminamento del matroneo.

Al di là di quanto desunto dall’indagine stratigrafi-ca vi è anche un esito interessante, sul piano della sto-ria dell’architettura e delle tecniche costruttive, fruttodel confronto tra i risultati forniti dall’impiego di me-todologie diverse di datazione assoluta.– La ricostruzione ottoniana implicò la realizzazione di

una copertura in tubi fittili, evento del tutto eccezio-nale ed inatteso all’inizio della ricerca. L’ipotesi di unavolta leggera in tubuli è presente da lungo tempo nel-la letteratura sul complesso di San Lorenzo, contem-plata comunque per l’età tardoantica2. Le datazioniassolute fornite dalla Termoluminescenza dei fram-menti di tubi ritrovati dal Chierici durante i suoi ster-ri (Fig. 5) e la loro corrispondenza con i risultati otte-nuti nella datazione dei pilastri portanti e del tetra-conco mediante radiocarbonio 14 (Fig. 6) costitui-scono la prova archeometrica della costruzione diun’ampia copertura, forse emisferica, in tubi fittili,quindi con una tecnica tipica del periodo tardoanticoo bizantino, durante l’età degli Ottoni.

Fig. 3 – Estensione delle fasi medioevale e rinascimentale in esedra nord.

Fig. 4 – Esedra sud, finestra del secondo ordine USM 1013ricavata in parte entro l’apertura medioevale.2 RIVOIRA 1908, pp. 84-85, STORZ 1997.

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Fig. 5 – Grafico delle datazioni dei tubuli tramite TL.

Fig. 6 – Grafico delle datazioni mediante 14C della fase ottoniana (a) e medioevali successive (b).

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b

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1.2 OSSERVAZIONI SULLA TECNICA COSTRUTTIVAMEDIOEVALE OTTONIANA

I caratteri del murare del periodo che le datazioniassolute hanno collocato all’interno del X secolo cre-do debbano essere qui rimarcate, da un lato per mo-tivi documentari ma dall’altro anche perché, sino allostato attuale degli studi sull’area milanese, costitui-scono il primo esempio di pratiche di cantiere nuo-ve, nettamente distanti e diverse da quelle che dallatarda antichità sembrano essersi protratte almeno sinoall’età bizantina3. Se a livello documentario le fontimateriali non ci hanno consegnato nulla di precisosulle caratteristiche costruttive delle architetture delperiodo carolingio4 milanese, ben di più sappiamosulle pratiche costruttive basso medioevali, ancheperché disponiamo di un buon numero di edifici confasi di XII-XIV secolo5. La ricostruzione del San Lo-renzo milanese però, stando alle datazioni ricavateper via archeometrica, si pone come primo e più an-tico esempio documentato di modi costruttivi che ca-ratterizzeranno l’architettura di Milano dei periodisuccessivi.

Si sono già in parte illustrate le caratteristiche dellemurature di questa fase: recupero dei laterizi di etàtardoantica e loro rilavorazione delle facce; spianatu-ra en chevrons mediante attrezzi, ancora da individua-re con precisione, che danno luogo ad una texture aspina pesce della faccia esterna (Fig. 7); posa in operamolto accurata, con giunti di malta sottilissimi a for-mare una cortina esterna perfettamente piana; stilatu-ra a malta di calce grassa dei giunti orizzontali con stiliappuntiti (Fig. 8). Sulle murature esterne del tetracon-co i laterizi hanno pezzature oscillanti tra i 15-18-20centimetri, con spessori variabili tra i 6,5 ed 7 centi-metri (spessori maggiormente frequenti nei laterizi tar-doantichi). Il giunto di malta risulta spesso circa 1,5centimetri, stilato come si mostra nella Fig. 8. Media-

mente il modulo di due corsi di laterizi è attorno ai15-16 e 17-18 centimetri.

Il laterizio prevale nettamente sulla malta, impie-gata in volumi minimi, ridotti all’essenziale, mentre laqualità della posa come la lavorazione dei laterizi ri-sultano determinanti per garantire la stabilità del muro.Si può affermare, dunque, che questa tecnica muraria,rispetto a quella tardoantica, fosse basata fondamen-talmente sull’abilità delle maestranze nella lavorazio-ne e rilavorazione degli elementi nonché nella loro posain opera, mentre i mezzi di produzione e le materieprime avevano un limitato sviluppo.

Tra le altre cose sembra abbastanza importante ri-levare alcuni aspetti inerenti la realizzazione dei detta-gli tecnologici. Le caratteristiche fasce marcapiano dellatorre sudorientale o del tetraconco, ad esempio, na-scono direttamente dal reimpiego di laterizi di modu-lo sesquipedale provinciale tardoantichi, in parte inte-ri e disposti per fascia, in parte tagliati e disposti pertesta. Il modo in cui i pezzi vengono composti èsenz’altro diverso da quello adottato negli antichi cor-nicioni delle torri, ma la logica costruttiva essenzial-mente non cambia, poiché vengono sempre variamen-te composti i laterizi, ora interi ora segati (Fig. 9).

Permangono i motivi a mattonetti incontrati giànelle murature antiche per consentire la messa in ope-ra ordinata di laterizi di spessore notevole, circa 8-10centimetri, formando delle fasce continue sulla corti-na muraria. Qui come nel cantiere tardoantico conti-nuano le economie di materiale di reimpiego con so-luzioni evidentemente analoghe a quelle precedenti.

Le finestre sono ancora ad arco a tutto sesto, rea-lizzato con mattoni disposti radialmente come in quelleromane. Rispetto a quelle tardoantiche il proporzio-namento (rapporto larghezza-altezza) delle apertureottoniane del tetraconco non differisce di molto, male dimensioni delle aperture si fanno decisamente mi-nori. Nella fase ottoniana queste aperture hanno unprofilo a gradini, come si vede in Fig. 10. Quelle deltetraconco, inoltre, vennero differenziate da quelledella torre mediante la bicromia rosso-bianco dovutaall’inserimento di conci di pietra, dalla strombaturadell’apertura e dall’inserimento di capitelli e pezzi diarchitrave scolpiti.

Queste finestre erano destinate a dare luce al ma-troneo dell’edificio medioevale e ciò spiega il perchédella loro ampiezza rispetto a quelle che, invece, ca-ratterizzano gli ultimi tre livelli della torre sudorienta-

Fig. 8 – Stilatura del giunto di malta nella muraturaottoniana.Fig. 7 – Lavorazione en chevrons delle superfici laterizie.

3 Ricordo qui il ritrovamento di un laterizio collocato, tramitetermoluminescenza, in piena età longobarda in adiacenza alla fine-stra a fungo della cappella di Sant’Aquilino, all’interno di una tessi-tura muraria ancora prettamente tardoantica nei suoi componentie nella loro orditura, in FIENI 2002, pp. 89-90.

4 Non esiste alcuna documentazione precisa, anche in virtù deiconsiderevoli lavori di restauro subiti, circa i caratteri costruttividella fase carolingia di S. Ambrogio.

5 Si veda per brevità FIENI 2004 e FIENI 2002. e le note biblio-grafiche relative.

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le o la ripresa medioevale di quella sudoccidentale. Quile finestre hanno il caratteristico profilo a feritoia, stret-to ed allungato (Fig. 11). Laterizi di grandi dimensio-ni, assai probabilmente di recupero tardoantichi, ven-nero talora scolpiti per realizzare piccole architravi conuna concavità arcuata all’intradosso. Alcune di questeaperture sono strombate, altre no.

Per quanto concerne gli aspetti decorativi, si osser-va come le parti in pietra delle finestre del tetraconconon sembrino nate appositamente per esse, ma costi-tuiscano piuttosto delle rilavorazioni di pezzi lapideipreesistenti. Ne sono testimonianza, oltre il fatto che ipezzi sono tutti diversi ed hanno motivi ornamentalidi diverso disegno, i segni di lavorazione a trapanolasciati sulle facce esterne non lavorate dei frammentidi architrave della finestra 1000, sbozzati come se vifosse stata asportata una decorazione preesistente (vediFig. 12).

Della lavorazione della pietra in opera all’internodel tetraconco, si è in parte già detto. Le spigature vi-sibili sulle colonne ottagone caratterizzano soltanto ilitotipi teneri ma compatti, in definitiva i marmi reim-piegati nelle colonne ottagonali dell’esedra sud. Sariz-zo e ceppo, l’uno per motivi di durezza, l’altro per leevidenti disomogeneità tessiturali, non si prestarono aquesta lavorazione. Quanto alla tecnica dei giunti ad Lpresente nei pilastri, essa ebbe la finalità di massimiz-zare il recupero del materiale preesistente.

Il cantiere ottoniano sviluppa al massimo la tecnicadel reimpiego, ancor più di quanto non facesse quellotardoantico. La manodopera ha un ruolo centrale, al-meno sino a questo punto delle conoscenze, ma non viè ancora alcuna standardizzazione delle operazioni:tutto appare risolto step by step a piè d’opera, comemostra chiaramente l’analisi costruttiva dei pilastri.L’attività di spigatura dei laterizi, si è detto, venne pro-dotta con attrezzi ancora tutti da studiare e per i qualinon vi sono elementi che consentano di istituire con-fronti tra questi sottilissimi segni di spigatura, appa-rentemente realizzati con delle sorte di pettini appun-titi, ed altri casi di spigatura a cotto di superfici lateri-zie di età medioevale6. D’altro canto la finitura enchevrons che caratterizza le colonne ottagone in pietradell’interno possono, invece, essere ricollegate al nor-male impiego di asce, piuttosto che di scalpelli (Fig.13), durante la spianatura delle facce. Stando ai rilieviin corso su queste tracce di lavorazione si può alloraaffermare come manchino ancora regolarità ed uni-formità di tecnica esecutiva per queste superfici, siaper quanto concerne la pietra che il laterizio. Le capa-cità individuali non risultano ancora uniformate ad unaproduzione di scuola all’interno del cantiere ottonia-no. La trasmissione del sapere artigianale non avveni-va ancora secondo le modalità di apprendistato checaratterizzarono in altri periodi la bottega o la corpo-razione d’arte e mestiere, poiché non sembra esservil’obbiettivo di uniformare il prodotto finito ad unmodello di riferimento. Solo la messa in opera fu ac-curata e precisa, dato che da questa sarebbe dipesa lastabilità della costruzione.

Anche il secondo tipo di materiali di nuova produ-zione riscontrato per questa fase, cioè i tubi fittili, èfrutto di una lavorazione per nulla standardizzata. I

6 Ringrazio il Prof. Roberto Parenti per la consulenza fornitamisu alcune immagini relative a queste finiture superficiali.

Fig. 9 – Cornice marcapiano della torre sudorientale (a) edel tetraconco, esedra est (b).

a

b

Fig. 10 – Finestra medioevale in esedra nord.

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pezzi risultano diversi l’uno dall’altro per forma, spes-sore e segni di lavorazione del corpo ceramico. Le da-tazioni condotte tramite Termoluminescenza (vedi diseguito GALLI et alii) hanno dimostrato l’esistenza didue gruppi di materiali, uno collocabile in piena etàottoniana, l’altro di poco successivo, confermati an-che dall’andamento delle curve di glow. Accanto allagrande fase di X secolo, che avrebbe prodotto la co-struzione di una nuova copertura, sembrerebbe iden-tificata anche un’ulteriore fase costruttiva, cui appar-terrebbero i materiali del secondo gruppo, ricollegabi-li ai più tardi lavori di consolidamento di età romani-ca e già documentati in precedenza mediante radio-carbonio 14 (Grafico Fig. 6b).

Così nel 1590 Martino Bassi, nel descrivere SanLorenzo prima del crollo, scrisse di una «cupola di pie-tre cotte sostenuta dagli accennati quattro arconi e ne-gli angoli da molti archetti l’uno sopra l’altro, che spor-gevano in aria uno più dell’altro, nel modo che siveggono quelli ancora della chiesa di Sant’Ambrogio, eche con tutto ciò non cadde (come forse alcuni s’im-maginano) né per debolezza degli otto pilastri né perdebolezza degli arconi grandi…»7 La struttura vennedescritta anche dall’Alciati e dal Seregni, chiamati agiudicare i lavori effettuati dal Bassi, come una «cupo-

Figg. 11-13 – 11. Finestra aferitoia nella torre sudorien-tale; 12. Frammento lavoratoa trapano reimpiegato nella fi-nestra USM.1000 lato sini-stro; 13. tracce lasciate dagliattrezzi per la spianatura sullapietra.

7 Lettera di M. Bassi al Capitolo della Fabbrica, 5 gennaio 1590,in: BARONI 1940, pp. 174-178, doc. 180.

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la ove con molti archetti di cotto si attaccavano insie-me in aria portando fuori quella parte di cupola cheora si porta fuori con l’archetto picciolo e con i sopra-archi nascosti colle facciate»8. Il notissimo disegno ri-trovato presso le raccolte del Castello Sforzesco e pub-blicato da G. Nicodemi nel 1929 accreditò poi nellaletteratura architettonica novecentesca la tradizione diuna cupola su pennacchi sferici con tiburio e duplicegalleria esterna, manifestazione esemplare del costrui-re medioevale lombardo. I dati archeometrici comple-ti consentiranno di affermare con maggiore certezzaciò che a questo punto delle indagini è possibile sol-tanto ipotizzare, cioè che la basilica rappresentata nel-l’anonimo disegno costituisse il prodotto di diverse fasicostruttive medioevali. È possibile che la struttura deltiburio contraffortata dagli archi rampanti, quale tut-ta l’iconografia tardomedioevale ci ha tramandato,fosse il frutto di lavori realizzati in diverse fasi, fattoattualmente messo parzialmente in luce dalla letturastratigrafica delle torri. Mentre già altri autori hannoavuto modo di evidenziare l’esilità9 dei contrafforti,troppo snelli per essere stati costruiti in fase con unacupola spingente di muratura, quindi, più probabil-mente, tardi presidi per una struttura instabile, le evi-denze archeometriche hanno provato l’esistenza di unafamiglia più tarda di tubi fittili, di lavori di consolida-mento strutturale alle torri oltre che il tardo comple-tamento della torre sudorientale ove s’immorsa l’arcorampante. Questi fatti accrediterebbero l’ipotesi di unaseconda fase di lavori alla struttura della cupola, forseper riparare o per consolidare una struttura cui erastato apposto il tiburio. Gli archi rampanti, infatti, nonpotevano appoggiarsi altro che alle murature sommi-tali del tiburio, grosso modo alla quota della falda deltetto.

Il 5 giugno 1573 la grande cupola crollò improvvi-samente, secondo Martino Bassi perché «le volte deisemicircoli furono fabbricate unitamente e contesteassieme con i quattro arconi, al sostentamento dellequali vi erano le colonnette delle logge superiori, edavendo il tempo corroso e consumato i capitelli dellecolonnette della loggia sopra le porta, i quali, per nonesservisi provveduto, come fu avvertito, finalmentecadendo tirarono appresso e la volta e l’arcone comecose unite e la cupola che vi si appoggiava sopra, laquale lassò però in piedi tutt’i pilastri, parte delle due

volte laterali e tutta la volta ed arcone del semicircolosopra l’altare, i quali tutti si sono disfatti a forza discarpelli dopo l’essersi lasciati in piedi molto tempodopo la suddetta rovina»10.

1.3 ALCUNE CARATTERISTICHE DEI CANTIERI SUCCESSIVI

Le modalità costruttive del cantiere ottoniano per-mangono nelle fasi medioevali successive, come sem-brano attestare gli ultimi due livelli della torre sud-orientale o l’absidiola della cappella Cittadini.

Fanno la loro comparsa laterizi apparentemente nuo-vi, attualmente sottoposti ai riscontri dell’archeometria,miscelati con partite di elementi riciclati, ma le modali-tà di posa, il trattamento superficiale, la tecnica di lavo-razione dei giunti non cambiano rispetto alla fase co-struttiva ottoniana. Troviamo qui fasce marcapiano piùcomplesse di quelle viste in precedenza, con archetticiechi sormontati da caratteristici fregi a dentelli in cuii laterizi vengono posti a 45 gradi, frequenti nell’archi-tettura milanese e, più in generale lombarda, dall’etàcomunale sino a quella sforzesca. Genericamente attri-buita dal Chierici al XII secolo11, l’absidiola settentrio-nale della cappella poi denominata Cittadini presentaalcune analogie evidenti con i metodi costruttivi prece-dentemente presentati (Fig. 14). Agli elementi decora-tivi ad archetti, alle cornici a dentelli ed alla finestrastrombata con bardellone, estrema rielaborazione degliampi finestroni romani, si affianca una modalità di or-dire la murature ancora in laterizi di reimpiego ma nonpiù spigati e posati senza particolare ordine o cura. Nelleparti ancora autentiche di questo corpo di fabbrica igiunti di malta sono abbastanza consunti ed erosi ed ilmateriale laterizio è di pezzatura anche modesta, abba-stanza irregolare per dimensioni e posato in modo menoaccurato. Compare l’opera spicata come ulteriore mo-tivo decorativo della cortina muraria, funzionale al ri-ciclo di pezzi troppo sottili per essere posati di fasciaentro i corsi. Cambia la qualità della posa in opera, comerisulta chiaramente dall’incerta realizzazione dei parti-colari costruttivi di cui si è detto in precedenza.

L’intervento quattrocentesco commissionato dalla fa-miglia Cittadini propone la rielaborazione matura, so-stenuta da abbondanza di mezzi di produzione oltre cheda manodopera capace ed organizzata, dell’apparecchiomurario e di alcuni motivi decorativi già visti per le fasibassomedioevali del San Lorenzo. Le murature sono inlaterizi nuovi (28×12×8 centimetri), disposti alternati-vamente fascia-testa quasi in tutta la cortina, con i giuntidi malta stilati accuratamente (Fig. 15). Alla sommità lalinea di falda è sottolineata ancora da una cornice a den-telli analoga alle precedenti realizzata in laterizi intera-mente nuovi, il tutto destinato ad essere immediatamen-te intonacato e dipinto di rosso, come hanno provato ilacerti di intonaco ritrovati alla sommità della cappella12.La finestra archiacuta tardogotica è ancora caratterizzatadal profilo a gradini visto per le finestre di età ottoniana.Anche la cappella Cittadini è scandita da costolonatureesterne a diedro, moderna esecuzione del tutto analoga aquelle tardoantiche che segnano gli spigoli della cappella

8 Relazione di Ambrogio Alciati e di Vincenza Seregni, s.d., inIbidem, pp. 165-167, doc. n° 176.

9 CECCHI 1985, p. 98.10 Vedi nota 7.11 CHIERICI, in CALDERINI, CHIERICI, CECCHELLI, 1953, p. 105.12 Sono stati trovati numerosi frammenti di intonaco identico

alla malta da giunto per componenti, fatto che proverebbe la sincro-nia della messa in opera dello stesso con la realizzazione del muro.

Fig. 14 – La cappella Cittadini: absidiola orientale.

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di Sant’Aquilino. I pochi elementi che qui si fanno osser-vare sono, peraltro caratteristici di tutta l’architettura dietà sforzesca e non costituiscono di certo novità per chinormalmente la pratica. Piuttosto è rilevante osservarecome alcuni di questi caratteri costruttivi abbiano origi-ne in un passato più o meno lontano, che può rimontareanche sino alla tarda antichità.

2. L’ETÀ MODERNA

L’indagine sul cantiere moderno che seguì al crollodel 1573 ha sempre implicato difficoltà per gli studio-si a causa della mancanza di documenti scritti comple-ti ed esaustivi che consentissero di ricostruirne l’esattaestensione del crollo e, quindi, la portata della rico-struzione. Ciò a fronte di un nutrito corpus di disegnivariamente attribuiti e dalla cronologia non sempreben definita13.

Mentre i rilievi di Chierici hanno consentito di fissareil limite delle strutture medioevali sopravvissute sullemurature esterne del tetraconco, per nulla chiaro era sem-brato sinora il loro limite sui pilastri e sulle restanti strut-ture interne della chiesa. L’indagine stratigrafica recente-mente condotta ha mostrato l’andamento di questi limitiper ciascun pilastro, tutti ad quota inferiore al piano diimposta delle volte che reggono il camminamento del

matroneo. A livello delle murature in laterizio, inoltre,ha permesso di rilevare le varie fasi che costituirono l’ope-ra complessiva di ricostruzione del tetraconco e dellacupola. Che la ricostruzione di età moderna abbia avutoun percorso travagliato è fatto noto agli storici dell’ar-chitettura che ben conoscono i documenti scritti sino adoggi pubblicati e quanto gli stessi ci fanno intravedere,pur nella loro frammentarietà. Sullo sfondo dello scon-tro tra Martino Bassi, architetto ingegnere incaricato daCarlo Borromeo, e Guido Mazenta, prefetto della fab-brica, il cantiere non ebbe un andamento continuo ma,al contrario, subì degli arresti legati proprio alla battagliaper il progetto da realizzarsi.

I rilievi stratigrafici e quelli relativi alle caratteristi-che costruttive degli apparecchi murari e delle parti inpietra hanno fornito, in effetti, una serie di elementiche attesterebbero un cantiere iniziato secondo certemodalità e protrattosi sino ad un dato stadio di avan-zamento in modo abbastanza rapido ma senza grandeabbondanza di mezzi, mentre la cupola nonché unaserie ulteriore di interventi di consolidamento del te-traconco, avvenuti in un periodo decisamente diver-so, sarebbero stati caratterizzati da differenti condi-zioni di cantiere e modalità costruttive. Il confrontocon i documenti scritti è stato sino a questo momentopositivo, anzi decisamente corroborante i rilievi con-dotti sul manufatto.

2.1 LE MURATURE ESTERNE DEL TETRACONCO

Si è detto che il limite del crollo delle murature me-dioevali sul quale si innesta la ricostruzione moderna èstato individuato in parte dai rilievi condotti da Chierici.

L’andamento di questa interfaccia di fase è mostra-to nelle Fig. 16. La presenza dell’intonaco che rivesteil tetraconco negli ultimi due livelli ha condizionato lalettura stratigrafica proprio nella zona ove si trova illimite di crollo delle murature ottoniane sulle quali siinnestano quelle moderne. Nell’esedra settentrionaleil limite non è stato ricostruito con precisione. Dallelacune dell’intonaco le murature medioevali emergo-no all’altezza delle finestre del secondo ordine, nellaparete 4000 quasi sino alla sommità dell’apertura at-tuale. Nell’esedra orientale il limite passa ad una quo-ta non esattamente definita ma certamente all’altezzadelle finestre, così come nell’esedra meridionale, doveinvece è stato precisamente individuato quasi alla som-mità delle aperture (USM 10024).

Il crollo cinquecentesco, stando sia al racconto delBassi che all’indagine stratigrafica, ebbe luogo princi-palmente a sud ovest.

Come si è potuto rilevare nell’esedra meridionale laricostruzione dei muri moderni entra in parte nelle fine-stre medioevali del secondo ordine, fatto che prova l’esi-stenza delle aperture a quota matroneo nella fase medio-evale, come attestato dall’iconografia. Il progetto rina-scimentale rientrò accuratamente nella preesistenza, ri-prendendola ed evitando al massimo la demolizione deimuri superstiti. La finestra USM 9008, infatti, ha la spal-la sinistra ancora in muratura medioevale, mentre quelladestra risulta moderna, fatto che prova l’ampliamentodell’apertura preesistente. Il sistema di finestre dell’ese-dra settentrionale doveva logicamente ripetersi per l’in-tero profilo del tetraconco, come confermano anche al-cuni capitelli ritrovati da Chierici durante i suoi sterrisotto il pavimento della basilica, analoghi a quelli tuttorain opera nelle finestre settentrionali. È interessante os-

Fig. 15 – La cappella Cittadini: fase sforzesca.

13 BARONI 1940; BARONI 1941; BASCAPÈ 1967; GIORDANO 1985;LOI 1996; PARODI 1990; SCOTTI 1973; SCOTTI 1980.

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231Fig. 16 – Limite di demolizione delle murature medioevali.

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servare, sempre a proposito delle aperture del secondoordine, alcune particolarità che caratterizzano l’esedraest. Le aperture USM 5073 e USM 6021, uguali per dise-gno alle altre di questa fase, sono sormontate da piatta-bande di laterizi, altrove assenti, mentre sopra l’aperturaUSM 7024 si osserva la riparazione in fase di un’ampialesione, evidentemente apertasi già in fase di costruzionenelle murature. Fatti che testimoniano i problemi di sta-bilità della struttura della chiesa nel versante strapiom-bante verso la Vetra e la chiara percezione che di questi siaveva da parte di chi stava conducendo il cantiere.

Appartengono a questa fase tutte le murature sopra-stanti sino al cornicione sommitale: non si osservanoné arresti del cantiere né cambi nella fornitura dei ma-teriali. Nel momento in cui si iniziò la ricostruzione dellemurature perimetrali del tetraconco era già chiaro chesi dovesse sopraelevare la chiesa aggiungendovi l’atticocon le finestre a livello dell’estradosso delle volte checoprono il matroneo. Le murature sono realizzate inmattoni di reimpiego, prevalentemente pezzati attornoai 15-16 centimetri di larghezza, con un giunto di maltadi calce bianchissima, molto abbondante e rifluente versol’esterno del muro, spesso circa 2,5 centimetri. L’appa-recchio non appare molto ordinato né accurato, piut-tosto una realizzazione rapida e destinata ad essere ma-scherata dall’intonaco (Fig. 17).

Nei davanzali delle finestre vennero impiegati late-rizi di nuova produzione, sottili in quelli del secondoordine (25-26,5-27×17-17,5×5 centimetri), più spessie talvolta non interi in quelli del terzo (27-28×11,5-12×7,5-8 centimetri).

Per i cornicioni si utilizzarono sia laterizio che pie-tra. Particolarmente interessanti quelli sommitali, rea-lizzati con mattoni nuovi, alcuni anche appositamentesagomati a crudo (vedi Fig. 18) ultimati con blocchimodanati in ceppo gentile o mediano.

Ritroviamo dunque quello che è noto come il mu-rare alla moderna14, ove materiali di reimpiego e nuo-vi sono miscelati in una tessitura apparentemente di-sordinata ma ugualmente solida.

Qui come in altre parti della ricostruzione cinquecen-tesca i materiali del crollo sono accuratamente riutilizza-ti. I giunti di malta di calce bianchissima si sono fatti piùspessi rispetto a quelli visti nelle prime fasi medioevali erifluiscono dai giunti con abbondanza: la calce venne dicerto prodotta in grande quantità per questo cantiere,sulla carta limitato nelle disponibilità economiche.

14 DELLA TORRE 1998-99, pp. 300-302.

È evidente che ci si trovi in presenza di un nuovo mododi murare. L’assoluta regolarità delle murature sforzeschedi mattoni nuovi o di quelle ottoniane realizzate spigandoaccuratamente i vecchi mattoni romani è definitivamen-te abbandonata per un tessitura in parte perfino disordi-nata, forse perché realizzata in velocità.

Come mostrano i rilievi stratigrafici i costoloni cheritmano esternamente il profilo del tetraconco nascon-dono, a livello del terzo ordine di finestre, le catene abraga in ferro che legano le murature esterne del tetra-conco con quelle di imposta della cupola. A livello del-l’attico sporgono dai prolungamenti degli antichi co-stoloni i capichiave delle catene che legano i muri pe-rimetrali esterni del tetraconco ai muri di imposta deiquattro grandi catini interni su cui si appoggia il tibu-rio. Le catene, contenute nello spessore della porzio-ne sommitale delle grandi volte a botte anulari che co-prono il matroneo, vennero ovviamente realizzate con-testualmente a queste e costituiscono forse il più bel-l’esempio del murare milanese, armando le muraturecon abbondanza di tiranti metallici.

La messa in opera dei capochiave venne effettuataappoggiandoli, al di sopra ed al di sotto del bolzone,su blocchi di pietra, ceppo o sarizzo, incassati nel muroed appositamente sagomati per inserirvi il pezzo in spes-sore. Anche nei muri vennero lasciati degli scassi ap-positi per ospitare l’asta metallica: gli spazi furonoriempiti con schegge di laterizio ed il tutto sigillato amalta di calce aerea, sabbia e cocciopesto come si vedein Fig. 19. Talvolta il fermo del capochiave venne ga-rantito anche dall’inserimento di chiodi ai lati dell’asta,come si vede in Fig. 20.

Fig. 18 – Cornicioni in laterizio e pietra della fase moderna.

Fig. 17 – Apparecchio murario moderno, livello attico.

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Le volte superiori del matroneo vennero costruitecontestualmente ai muri d’ambito, perlomeno a parti-re da una certa quota in su. Armando le murature siottenne la stabilità della struttura del tetraconco e,soprattutto, del tiburio, ove dovevano andare a scari-carsi le forti spinte della nuova cupola.

2.2 LE MURATURE INTERNE DEL TETRACONCO

Certamente i lavori condotti all’interno della basi-lica sono risultati assai più complessi da leggere rispet-to a quelli realizzati sul perimetro esterno dell’edifi-cio.

Se gli interrogativi di partenza riguardavano sol-tanto l’individuazione del limite di demolizione delleparti medioevali in pietra sul quale si erano poi inne-stati i lavori di ricostruzione dei pilastri, l’indagine stra-tigrafica, in realtà, ha finito per mettere in luce altriinteressanti aspetti del cantiere moderno.

2.2.1 Elementi costruttivi in pietraLe quattro coppie di piloni su cui poggia la cupola,

le colonne circolari nelle esedre est ed ovest, quelle ot-tagonali dell’esedra nord nonché, inedita risultanza del-l’indagine archeologica, due di quelle situate in esedrasud, sono state oggetto di lavori durante l’età moderna.

Già il Chierici aveva condotto una serie di osserva-zioni su tutti questi elementi arrivando a conclusioniparzialmente in accordo con i recenti esiti dell’indagi-ne archeologica.

Si è visto come alla ricostruzione medioevale ap-partengano le due colonne ottagonali orientali dell’ese-

dra sud, per le quali anche l’indagine al radiocarbonio14C di grumi carbonatici ha datato la ricostruzione ot-toniana. Quelle occidentali della stessa esedra, invece,sono risultate uguali alle precedenti solo in apparen-za. Nelle colonne 3 e 4 manca completamente la lavo-razione en chevrons dei conci di pietra, sagomati edassemblati analogamente alle colonne medioevali 1 e2. La malta tra i giunti non è più a calce magnesiaca esabbia, ma è di calce bianchissima, addizionata con lentifini di cocciopesto e sabbia. Chierici sostenne che lecolonne dell’esedra meridionale vennero rastrematedurante la ricostruzione cinquecentesca, fatto per nul-la provato dall’analisi tecnica. L’ultimo concio dellecolonne, così come il capitello dorico, è effettivamen-te moderno e costituisce il completamento dei lavoridi riparazione e ricostruzione dei sostegni del matro-neo nella parte meridionale della chiesa. La datazionedi un frustolo ligneo presente nel giunto di malta dellacolonna n° 4 mediante 14C ha fornito una soglia tem-porale post quem compatibile con i lavori di età mo-derna, datando il 1450 d.C., con una s di probabilitàpari al 68% compresa tra il 1440-1480 ed il 1590-1620 d.C. Questo dato non risulta per nulla seconda-rio, come si avrà occasione di discuterne in seguitoanche in relazione ai lavori condotti sui pilastri princi-pali.

Le 4 colonne ottagone a queste corrispondenti nel-l’esedra settentrionale vennero erette anch’esse in que-st’occasione, ma, diversamente dalle precedenti, i concidi pietra risultano qui accuratamente lavorati e squadra-ti. I giunti di malta sono ridotti ad un filo sottilissimo edimpercettibile, i segni della squadratura dei conci, con lecaratteristiche cornici lungo i bordi, bene evidenti, chia-ro indice della presenza di scalpellini in possesso di unalitotecnica raffinata ed evoluta (vedi Fig. 21).

Le colonne ottagone, come si è già mostrato altrove,poggiano tutte su stilobati di marmo ancora posizionatecome nella fase originaria tardoantica e si può presup-porre, dunque, che abbiano sostituito antiche colonne.

Delle quattro coppie di piloni si è in gran parte giàdetto. Ciò che è importante aggiungere in questa sedesono alcune precisazioni circa il limite di crollo-de-molizione di ciascun elemento in occasione del crollotardocinquecentesco, a documentare ulteriormente,rispetto alle scarnissime fonti scritte, l’esistenza di al-meno due fasi di lavori su questi elementi.

L’indagine stratigrafica è stata condizionata dalle sti-lature cementizie che i restauri di Chierici hanno lascia-

Fig. 19 – Capochiave sulle murature sommatali moderne.

Fig. 20 – Dettaglio dei fermi dei capochiave.

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to sui giunti tra i blocchi di pietra. Di conseguenza, ovequeste impedivano l’osservazione dei letti di malta, de-cisivi per distinguere tra loro i materiali tardoantichi,medioevali e moderni, il limite di crollo è stato fissato,con gli handicap che questo stesso metodo implica, rile-vando le zone in cui conci di pietra, certamente di etàmoderna, vanno ad inserirsi entro la sezione antica omedioevale del pilastro stesso. È noto, infatti, che lasezione portante i pilastri venne ispessita in questa faseper motivi statici oltre che formali. L’ispessimento dellasezione portante venne effettuato sia con paraste a se-zione rettangolare che composta, come era già stato ri-conosciuto chiaramente da Chierici15. Le paraste ven-nero poste su entrambi i fianchi di ciascuna coppia dipilastri. Quelle a sezione composita furono poste inopera per consentire la costruzione di quattro archi atutto sesto posti tra ciascuna coppia di pilastri a reggereil piano di calpestìo del matroneo (Fig. 22a), mentre lealtre, a sezione rettangolare o poligonale, servirono perappoggiarvi la trabeazione che corre sopra le colonnelibere ottagonali e circolari. Il ceppo, prevalentementenella facies gentile, a tessitura più fine, venne segato inconci quadrati abbastanza regolari ed assicurato allapreesistenza con spesse zanche di ferro, tuttora visibili(Fig. 22b). La malta, a calce bianchissima e sabbia, ri-sulta perfettamente uguale a quella presente nella fasemoderna delle murature esterne e garantisce ulterior-mente l’interpretazione stratigrafica. Per assicurare unamigliore solidità e stabilità ai pilastri, destinati a regge-re il tiburio e la cupola, si fece in modo che alcuni concidi pietra delle paraste proseguissero entro la sezione

Fig. 21 – Particolare della litotecnica delle colonne ottagonedell’esedra nord.

Fig. 22 – a. Il pilastro G; b. Paraste moderne aggiunte aipilastri portanti la cupola.

del pilastro, assicurando meglio l’unione parasta-pila-stro. In corrispondenza di questi conci lapidei è parsolecito individuare il limite di crollo o di demolizionedei pilastri medioevali. In tal modo è stato bypassato ilproblema delle stilature cementizie, che impedivano lalettura dei giunti di malta tra i blocchi.

L’analisi stratigrafica così condotta ha consentito diverificare, anche in accordo con le dinamiche del crol-lo tardorinascimentale, la sopravvivenza, sino a quotamatroneo, dei pilastri orientali G, H, A, B, mentre ipilastri E ed F vennero rasati alla quota dell’attualepavimento.

Diversamente accade per i pilastri C e D, a destradell’ingresso della chiesa. Qui non si notano conci pas-santi tra le paraste e la sezione principale del pilastro,ma la malta che qua e là emerge da sotto le stilature15 CHIERICI, in CALDERINI, CHIERICI, CECCHELLI 1953, p. 96.

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appare del tutto analoga a quella delle colonne ottago-ne 3 e 4 viste in precedenza. Le malte a calce bianchissi-ma che si osservano in tutte le paraste o nei pilastri ri-costruiti per intero, così come nelle murature in lateri-zio del tetraconco, non sono presenti tra i blocchi postia diedro. Da un lato le logiche della stratigrafia archeo-logica ci impongono di mettere in relazione diretta questidue pilastri con le colonne 3 e 4 a costituire una fase asè stante rispetto a tutti gli altri lavori di età modernasin qui presentati. A sostegno dell’ipotesi che ci si troviin presenza di una fase costruttiva differente viene poila documentazione archivistica, laddove questa attestal’intervento dell’ingegnere Giovanni Cucco immedia-tamente dopo il crollo della cupola. Del breve interven-to del Cucco abbiamo notizia proprio dalle parole diMartino Bassi, che, scrivendo ai prefetti della fabbricail 5 gennaio 1590, raccontava dell’immediato incaricoaffidato a questi: «…Si dovranno anche ricordare che lacura della riedificazione d’esso tempio fu data da’ signo-ri prefetti di quel tempo a messere Giovanni Cucco inge-gnere, il quale, adoperatovisi per molti giorni intorno a’due pilastri verso la porta, rifacendogli colla semplicitàcolla quale gli ritrovò quando gli fece disfare, e forse,perché non piacesse tal nudità o per qualsivoglia altraragione, fui dagli stessi signori che ancora vivono incari-cato di tal cura…»16.

Il Cucco lavorò, dunque, al rifacimento di due pi-lastri adiacenti l’ingresso nelle forme analoghe a quel-le preesistenti, pilastri che credo possano essere benidentificati con quelli C e D, situati proprio nella par-te del tetraconco ove ebbe luogo il crollo del 1573. Leparaste, uguali a quelle che ispessirono gli altri pila-stri, vennero aggiunte più tardi, con la ripresa dei la-vori e, dunque, non possono essere ricollegate alla fi-gura ed all’opera del Cucco.

In questa prima fase, inoltre, al posto della semico-lonna su capitello corinzio rovesciato venne collocatauna parasta di sezione rettangolare, nel pilastro C ap-poggiata su di una base di marmo di reimpiego. Laparasta rettangolare, senza alcuna base d’appoggio,venne poi mantenuta anche nella costruzione degli al-tri due pilastri E ed F, quasi a voler distinguere quellinuovi dalle sopravvivenze medioevali.

Quanto alle colonne 3 e 4 si può ritenere che sianostate rifatte anch’esse secondo lo stesso criterio imita-tivo in quel primo momento di lavori del Cucco. I ma-teriali impiegati dovettero essere in gran parte recupe-

rati dal crollo e rimessi in opera secondo criteri di can-tiere antichi quanto la basilica. Nulla sappiamo circala rasatura dei pilastri E ed F, se fu opera del Cucco odi chi lo sostituì alla guida del cantiere, cioè il Bassi.

È certo che ad una fase a questa successiva apparten-gono la loro ricostruzione nonché la sopraelevazionesino alla quota attuale di quelli preesistenti. È possibileche almeno parte delle fondazioni della chiesa siano statein qualche modo saggiate sia per verificarne la consi-stenza dopo il crollo che per interessi antiquari.

A questo punto è importante anche illustrare i la-vori che interessarono il piano di calpestìo del tetra-conco. L’indagine stratigrafica ha mostrato il tagliodelle soglie USM 1003 situate a destra e sinistra degliingressi laterali alla chiesa (Fig. 23). Soglie che, comesi è avuto già occasione di illustrare, in età medioevaleavevano consentito di sopraelevare di circa 18 centi-metri rispetto a quello attuale il piano di calpestìo del-la chiesa. In occasione del cantiere tardorinascimenta-le il piano di camminamento venne riportato ad unaquota prossima a quella antica. Il pavimento dovevaessere in marmo bianco, come testimoniano le lastreancora visibili nelle botole tra le colonne in esedra sud.La stratigrafia dei livelli pavimentali ipogei, già altro-ve illustrata, ha dimostrato questo ritorno ad una quotaprossima a quella antica, conclusione peraltro cui giàera giunto Chierici17 all’epoca del suo restauro.

2.2.2 Elementi costruttivi in laterizioSempre all’interno della chiesa, oltre alla demoli-

zione delle volte superiori medioevali del matroneo,di cui sopravvivono tuttora le tracce sui muri della torresudorientale, dovettero essere in parte ricostruite an-che quelle inferiori. Coperte tuttora dall’intonaco ste-so dal Chierici e non accessibili dall’estradosso, anco-ra pavimentato in lastre di cotto, le volte delle esedredel primo ordine dovettero essere perlomeno parzial-mente demolite, dato il limite di crollo o di demoli-zione dei pilastri occidentali, delle colonne ottagone 3e 4, 5-8 e di tutte quelle situate nelle esedre orientaleed occidentale. I pesanti condizionamenti che qui haincontrato l’indagine stratigrafica a causa della pre-senza dell’intonaco non consentono di dire molto piùdi questo.

Più chiara è la lettura dell’ordine superiore di vol-te, interamente moderne. Le quattro esedre vennerocoperte con botti anulari costolonate, suddivise in cin-que campate principali corrispondenti ciascuna ad

Fig. 23 – Soglia USM 1003, lato sud.

16 Lettera di Martino Bassi al Capitolo della Fabbrica, 5/1/1590,in BARONI 1940, doc. 190, pp. 174-178. 17 CHIERICI in CALDERINI, CHIERICI, CECCHELLI 1953, p. 89, fig. 12.

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ognuna delle finestre dell’attico. Due campate trape-zoidali raccordano la volta a botte con le torri adia-centi. Ciascuna botte venne apparecchiata per campa-te, anch’esse irregolari, a spina pesce dritta e di spes-sore degradante verso la chiave della volta. Nello spes-sore di ciascuna costolonatura si trovano annegate lecatene a braga disposte radialmente rispetto al tetra-conco e di cui si è detto in precedenza. Come già altrilavori recenti hanno avuto modo di documentare18 ilsistema di catene in ferro è assai sviluppato. Quelliche il Bassi definiva incatenamenti vivi e morti19 costi-

18 CROCIANI, GIORGI, PEDROTTI 1991.19 Lettera di risposta di Martino Bassi al Capitolo della Fabbri-

ca, s.d., in BARONI 1940, doc. 175, pp. 161-164.

tuiscono un sistema in parte a vista e in parte occulto,che inizia alla quota delle volte superiori del matro-neo, come detto, per comprendere anche le quattrograndi catene radiali che uniscono i quattro archi diimposta della cupola con le murature che cingono iquattro catini che coprono le esedre; le cateneintradossali che legano i quattro arconi ed i quattroarchi intermedi visibili dall’interno della chiesa; le ca-tene nascoste, di cui sono a vista i soli capichiave, cheuniscono quasi alla sommità i quattro arconi in cepporetrostanti le grandi architravi in aggetto frapposte trai quattro grandi archi; il doppio cerchiaggio della cu-pola (Fig. 24).

Nelle aree triangolari soprastanti ciascuna coppiadi piloni portanti la cupola ed i pilastri delle torri si-

Fig. 24 – a. Pianta con l’indicazione di parte del sistema di catene di etàmoderna ( da CROCIANI, GIORGI, PEDROTTI 1991); b. Dettaglio delbolzone e del sistema di aggancio delle catene poste all’intradosso degliarconi che reggono il tiburio.

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tuati verso il centro della chiesa si osservano, semprealla quota dell’estradosso delle volte del matroneo,quattro enormi murature in laterizio, con grandi archidi cotto a tutto sesto, ora parzialmente coperti da unintonaco cementizio moderno. Questi poderosi prismiin muratura a sezione triangolare costituiscono dei verie propri contrafforti messi in opera in età modernaper contenere le spinte della cupola soprastante. Alsuo contraddittore, il Mazenta, che ebbe a «ragionaredi empiture de’ fianchi, di empiture de’ campanili osiano torri e di accrescimenti de’ secondi colonnati perla tribuna…»20 il Bassi rispose, non senza ripensamen-ti, con il sistema delle armature di ferro che consentìdi superare tutte le ipotesi di contrafforti esterni allacupola21, di riempimenti dell’area triangolare tra i pi-lastri della stessa cupola e delle torri22, di ispessimentodelle murature delle torri medesime23.

Altro aspetto decisamente trascurato in tutti gli studiprecedenti, compreso quello di Chierici, fu quello del-la facciata del complesso laurenziano. In particolaresu come questa si presentasse prima del crollo cinque-centesco, che interessò il lato occidentale dell’edifi-cio, nonché gli eventuali lavori effettuati durante laricostruzione moderna. È noto, infatti, alla storia del-l’architettura milanese, come San Lorenzo sia rimastapressoché priva di fronte, al pari di altre chiese am-brosiane. Alle murature nude che ci mostra una foto-grafia della fine del XIX secolo (vedi Fig. 25) venne

anteposta la soluzione ottocentesca di Cesare Nava etuttora in opera.

L’indagine stratigrafica ha prodotto interessanti in-formazioni non solo sulla facciata tardoantica, di cuisi osserva quanto è sopravvissuto nella zona setten-trionale accessibile dal matroneo, dimostrando l’esi-stenza di una facciata medioevale ripresa a seguito delcrollo del 1573.

Come si osserva in Fig. 26, che rappresenta la con-trofacciata meridionale a livello del matroneo, soprav-vive, quale momento più antico, la USM 100, resto diun arco medioevale realizzato con una tecnica analo-ga a quella visibile nella torre sudorientale. Le USM101 e 116 appartengono, invece, alla ricostruzionemoderna per apparecchio murario e per situazione stra-tigrafica. Più precisamente venne in un primo temporicostituito il paramento murario USM 101, di confi-ne con l’adiacente lato sud del quadriportico, quindi,una volta intrapresi i lavori di ricostruzione delle voltee dell’esedra occidentale, pressoché interamente di-strutta dal crollo della cupola, venne ricostruito il set-to USM 116, destinato a portare la facciata vera e pro-pria che non venne mai realizzata.

Le murature dell’esedra occidentale visibili dai vaniscala settentrionale e meridionale appaiono quasi in-teramente ricostruite in questa fase, segno che il crolloinvestì particolarmente la zona di affaccio verso il qua-driportico e l’aggancio con il corpo di fabbrica meri-dionale.

Lo sviluppo delle indagini sulle tecniche murarie,ossia lo studio sugli apparecchi e sui componenti inopera, ha consentito di evidenziare lavori di tipo di-verso, realizzati in momenti distinti che le indaginiarcheometriche stanno via via definendo con sempremaggiore precisione. In particolare a fianco dellagrande fase costruttiva che comprende la ricostruzionedei piloni, delle colonne circolari e di quelle ottagone

20 Lettera di Martino Bassi a Guido Mazenta, 18/12/1589, inBARONI 1940, pp. 155-156, doc. 170.

21 Vedi disegno del foglio 24, tomo IV, Raccolta Bianconi, Ar-chivio Storico Civico di Milano

22 Vedi disegno numero 69, S 150 sup. della Raccolta Ferrari,Biblioteca Ambrosiana di Milano.

23 Vedi disegno del foglio 23, tomo IV, Raccolta Bianconi, Ar-chivio Storico Civico di Milano.

Fig. 25 – La basilica di San Lorenzo senza la facciata di Cesare Nava.

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viste in precedenza, delle murature perimetrali deltetraconco e delle murature di facciata, delle volte edei catini delle esedre, vi sono altri lavori di età mo-derna chiaramente distinguibili dai precedenti. In pri-mo luogo occorre precisare che a fianco dei lavori diricostruzione ed ampliamento della struttura crollatavennero effettuati interventi atti a consolidare la pre-esistenza. Interventi effettuati sia a seguito del crolloche in un tempo, come si vedrà, decisamente poste-riore. Si osservano, per esempio, a livello del pianodi camminamento del matroneo, tre tamponamentidei grandi arconi romani di passaggio, situati due nellatorre sudoccidentale, il terzo in quella nordorienta-le. I primi appartengono, per modalità realizzative,al precedente gruppo di lavori, mentre quello dellatorre nord est risulta diverso. Qui i laterizi sono pre-valentemente nuovi, di dimensioni pari a circa26×10,5-11×7 centimetri, legati con una malta di-versa da quella impiegata nella fase precedente. L’ana-lisi delle murature induce ad accostare questo inter-vento ad una sostruzione abbastanza ampia visibilein fondazione, sotto i blocchi di ceppo, visibile nellazona antistante l’ingresso. Il consolidamento fondale(Fig. 27), realizzato in corrispondenza della zona oveaveva avuto luogo il crollo della cupola, venne rea-lizzato in laterizi interi nuovi, di dimensioni pari a27×11,5×6 centimetri. Per entrambi questi interventiè stata effettuata una datazione mediante termolumi-nescenza dei laterizi: per il primo la datazione ha in-dividuato il 1650 +/- 25 d.C., mentre per il secondoil 1675 +/- 25 d.C., soglie temporali post quem checollocano ben oltre gli anni dei lavori del Bassi questilavori di consolidamento.

Le murature della cupola e del tiburio sono realiz-zate in maniera assai regolare ed ordinata. In partico-lare quelle del tiburio, le più facilmente ispezionabili,sono ordite alternativamente per fascia e per testa, coni laterizi posati accuratamente, tutti rigorosamentenuovi (Fig. 28).

L’indagine stratigrafica ha evidenziato anche inter-venti di tipo manutentivo, sulle torri in particolare.Queste, come si è in parte detto in precedenza, furonoal centro del problema ricostruttivo, secondo le attesta-zioni fornite dai documenti scritti. Tra le provocatorieinterrogazioni di Guido Mazenta al Bassi vi fu proprioquella inerente l’esile spessore dei quattro archi di im-posta della nuova tribuna che le torri, definite fradice e

Fig. 27 – Sottofondazione seicentesca in esedra ovest.

Fig. 26 – Rilievo stratigrafico della parte meridionale della controfacciata.

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marce, non sarebbero state in rado di contraffortare24 eche il Bassi, non si sa se sulla base dello stesso genere divalutazioni, aveva stabilito che andassero rifatte ed or-nate25. Intenzione progettuale destinata a rimanere sul-la carta, poiché le torri, come si è visto, vennero conso-lidate attraverso una serie di opere tra cui, appunto, iltamponamento di tre delle quattro arcate di passaggiotra le due torri suddette e le esedre adiacenti.

Rispetto al problema del loro infradiciamento, piùvolte attestato nei documenti, vennero, in effetti, realiz-zati in più fasi alcuni cornicioni per la difesa dalle acquemeteoriche. Tra il secondo ed il terzo livello della torrenordorientale, ad esempio, si osserva quello costruitodurante la prima grande fase dei lavori, in scasso di murotardoantico con lastre di pietra appoggiate su di uno scu-ci cuci in laterizi, legati con malta a calce bianchissima esabbia, e laterizi di dimensione pari a circa 30×12×6,4centimetri. Intervento analogo ma successivo si osserva alivello superiore, ove si intendeva proteggere anche lazona di appoggio della copertura dell’attico del tetraconcoalla torre stessa. Questo, in laterizi in parte di recuperoed in parte nuovi, da 28×5,5 centimetri, risulta realizza-to con una malta diversa dalla precedente e che può esse-re messa in relazione con quella dell’intervento internodi tamponamento del grande arcone romano a quota ma-troneo.

Il confronto tra i dati di tipo archeologico ed i do-cumenti scritti permette di puntualizzare una serie dielementi rilevanti.– È stato possibile individuare i primi lavori seguiti al

crollo ed affidati all’ingegner Cucco.– Dal 1574 al 1591 il cantiere fu affidato a Martino

Bassi seppure in un clima di aperto contrasto con ilprefetto della fabbrica Guido Mazenta. A questa fasel’indagine archeologica consente di attribuire tutti ilavori murari inerenti i pilastri portanti la cupola, lecolonne circolari delle esedre est ed ovest nonchéquelle ottagonali dell’esedra nord, la ricostruzionee la sopraelevazione delle murature perimetrali deltetraconco, della facciata da definire nelle sue mem-brature architettoniche, dei quattro arconi in pietra

ed i catini autoportanti su cui si appoggia il tiburiocon le murature di controvento, le volte superioridel matroneo e parte di quelle inferiori. A fianco diquesti lavori ne vennero effettuati altri funzionalialla difesa delle murature dalle acque piovane sulletorri, in corrispondenza della falda del tetto del te-traconco.

– La cupola appare realizzata durante un cantiere di-stinto dal precedente per materiali, tipo di malta edaccuratezza nelle modalità di orditura della cortina.

– Altri e diversi lavori di età moderna di poco succes-sivi alla ricostruzione caratterizzano la struttura deltetraconco. La termoluminescenza dei laterizi ha for-nito delle soglie temporali post quem per le muratu-re del tamponamento interno alla torre di nord-est,quelle di sottofondazione dell’esedra nord e per icornicioni alti delle torri che consentono di separa-re decisamente questi interventi da quelli preceden-ti.

Rispetto ai documenti scritti è possibile affermareche questi forniscono una scansione temporale plausi-bile con i riscontri stratigrafici. In particolare a tutto il1581 sarebbero stati ultimati «li portici intorno al sitodentro la chiesa et farli sopra li teti, il che è stato ultrala elemosina di gran lungha, et per ciò si trovano inmolti debiti che non possono pagare»26, mentre nel 1584la ricostruzione sarebbe stata ultimata sino alla quotadel primo cornicione, come confermerebbe anche iltesto del Villa, secondo il quale, appunto la fabbricaarrivò al primo cornicione sotto S. Carlo Borromeo,al secondo con l’arcivescovo Gaspare Visconti (1584-94), ed ultimata soltanto con Federigo Borromeo27.

È già chiaro dalle fonti, dunque, che la cupola nonvenne realizzata con il Bassi, morto proprio nel 1591,anno della seconda ripresa dei lavori nella fabbrica.Il Morigia, morto nel 1604, testimoniò che i lavorierano ancora in corso all’epoca della stesura dellaNobiltà di Milano28: solo il Borsieri, nel più tardosupplemento al testo, descrisse i lavori effettuati trail 1595 ed il 1619 annoverandovi il completamentodella cupola.

Per quanto concerne la ricostruzione del tetracon-co, dunque, vi è accordo tra le scarne fonti scritte ed iriscontri archeologici. L’archeometria non può appro-fondire o raffinare ulteriormente le datazioni, datal’estrema ristrettezza dei range temporali in gioco. Nési può risolvere con questi strumenti la questione dellapaternità del disegno della cupola, rinviando nuova-mente all’indagine dei disegni e delle fonti scritte. Adaltra sede si rimanda, inoltre, la disamina dei lavori dietà moderna che interessarono le cappelle del com-plesso laurenziano.

Del tutto nuove ed inattese, invece, le risultanze ar-

Fig. 28 – Le murature dei muri d’ambito ove si impostala cupola.

26 I Deputati della Fabbrica a Carlo Borromeo, 18 agosto 1581,in BARONI 1940, p. 153, n° 166.

27 VILLA 1627, pp. 78 ss.28 MORIGIA 1619, pp. 53-54, nota 10 della nota del Borsieri.

Ancora nel 1608-1609 la cupola non risultava terminata, come at-testato dalle più recenti fonti documentarie reperite, in ROCCHI

COOPMANS DE YOLDI 1999, pp. 275-276.1 Il presente lavoro costitu-isce un estratto della Tesi di Laurea dal titolo: Indagini archeome-triche sul complesso laurenziano a Milano: gli elementi costruttivilapidei, allievo: Davide Distaso, Facoltà di Architettura del Politec-nico di Milano, rel. Prof.ssa Laura Fieni, correl. Prof.ssa MariagraziaSandri, a.a. 2002-2003.

24 Interrogazione di Guido Mazenta a Martino Bassi, 23 dicem-bre 1589, in BARONI 1940, pp. 158-160, n° 173.

25 Risposta di Martino Bassi s.d., in ibidem, pp. 161-164, n° 175.

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cheometriche inerenti i restanti lavori qui presi in esa-me. Il tetraconco venne consolidato abbastanza pre-sto: la struttura subì evidentemente degli assestamentiimmediatamente dopo il completamento della cupo-la, cui risultò opportuno provvedere murando il pas-saggio tra l’esedra est e la torre di nord est esottofondando l’esedra occidentale. I problemi di sta-bilità della collina artificiale, creata al momento dellafondazione dell’impianto, continuarono, dunque, acaratterizzare la storia costruttiva del San Lorenzoanche dopo la ricostruzione tardocinquecentesca sinoal momento degli interventi di restauro condotti daGino Chierici nel XX secolo.

Laura Fieni

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