La ‘Regola’ riprende a C...dodici monaci più il padre abate, così avrebbero fatto...

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l capitolo XV dell’ Exordium Parvum echeggia la Regola e, non solo con riferimenti es- pliciti, ne sintetizza la spiritu- alità fondamentale saldata con i valori essenziali e perenni del messaggio cris- tiano, la purifica dalle scorie ed incrostazioni storiche che ne hanno appannato la gen- uina testimonianza evangeli- ca, in una trasparente ricerca di rinunzia e di autenticità. La ratifica dell’interpre- tazione cistercense della Re- gola la ritroviamo, emblem- aticamente, nell’articolo pri- mo della Charta caritatis: “Vogliamo, dunque, fin d’ora, e ne facciano loro precetto, che osservino integralmente la Regola di San Benedetto come si osserva nel Nuovo Monastero. Non apportino al- cun senso nuovo nella lettura della santa Regola, ma la in- terpretino e la conservino nel modo in cui la interpretarono e la conservarono i nostri pre- decessori, cioè i padri e monaci del Nuovo Monastero e come la interpretiamo e la conserviamo noi attual- mente”. La Regola di San Benedetto riprese, dunque, a Cîteaux la sua centralità e di- venne punto oggettivo di riferimento, l’elemento coag- ulante. La riconsiderazione della Regola, sottratta ad un eccessivo personalismo e ad interessati ammorbidimenti e condizionamenti, comportò per Cîteaux, come con- seguenza più importante, la rivalutazione vicino all’abate del ruolo del consiglio dei fratelli all’interno del monas- tero e, poi, con l’espansione dell’Ordine, dell’assemblea annuale degli abati, nel Capi- tolo generale, che in rapida maturazione storica avrebbe assunto una funzione cen- trale e primaria nella vita e nella direzione delle abbazie, prima espressione europea e modello di democrazia a partecipazione diretta. L’orig- ine dell’Ordine cistercense, infatti, è stato il risultato di un progetto di un gruppo che si è ritrovato, si è riconosciuto in un ideale, si è organizzato in un movimento di espres- sione e di pressione, che co- munitariamente ha preso in- iziativa e si è realizzato. Il ri- torno a Molesme dell’abate Roberto e del gruppetto degli scontenti che in qualche mo- do avrebbe potuto rappre- sentare – e forse per questo era stato concepito – la de- capitazione e l’indebolimento del movimento, servì invece a purificarlo, a rafforzare la libertà di iniziativa e di coe- sione. Nei principi program- matici del capitolo XV del- l’Exordium Parvum, proprio in chiusura, viene stabilito in caso di fondazione di altri monasteri: “Come quegli [San Benedetto] aveva disposto che nei monasteri abitassero dodici monaci più il padre abate, così avrebbero fatto anch’essi”. La fondazione di altre abbazie poneva due gravi problemi di ordine giuridico: il rapporto con il vescovo diocesano e la garanzia di autonomia e di I controllo in seno all’Ordine. Al- la soluzione dell’uno e dell’altro problema provvidero con la stesura della Carta di Carità. Il prologo della Carta di Carità es- clude la giurisdizione dei vescovi non con l’esenzione, ma con un atto previo: “Prima che le abbazie cistercensi incomin- ciassero a fiorire, l’abate Ste- fano, il terzo abate di Cîteaux, ed i confratelli stabilirono di non fondar mai un’abbazia nel- la diocesi di alcun vescovo pri- ma che questi avesse ratificato il decreto [la Charta Caritatis], scritto ed approvato tra il monastero di Cîteaux e le altre abbazie da esso sciamate, al fine di evitare qualsiasi attrito e con- tesa fra il vescovo e i monaci”. La Carta di Carità è un origi- nalissimo organismo giuridico escogitato con l’intento di salva- guardare l’autonomia delle sin- gole abbazie e, nello stesso tem- po, conservare l’unità dell’Or- dine e l’uniformità della vita monastica. Le abbazie cister- censi, infatti, erano comunità autonome che, tramite il legame a catena di filiazione, forma- vano le cinque ramificazioni, che facevano capo a Cîteaux, a La Ferté, a Pontigny, a Clairvaux e a Morimond, venivano rapp- resentate dai rispettivi abati che costituivano il Capitolo generale, suprema autorità con pieni po- teri legislativi, esecutivi e giudiziari. Nell’Ordine cister- cense, almeno dalla seconda metà del XII secolo, l’autorità veniva espressa, in pienezza di potere, dal Capitolo generale ed esercitata, ordinariamente, in modo discendente tramite la lin- ea diretta di filiazione in seno alle cinque ramificazioni. In questa impostazione costi- tuzionale risulta con evidenza l’importanza delle ramificazioni e il peso di esse nella parteci- pazione degli abati al Capitolo generale. Secondo i principi del- la Carta di Carità ogni abbazia godeva di una reale autonomia, era composta di un corpo comu- nitario proprio – i monaci pro- fessavano, infatti, la stabilità e non potevano passare ordinaria- mente da un monastero ad un altro – aveva una dotazione pat- rimoniale indipendente. La dis- posizione delle visite annuali, previste per filiazione diretta, le legava idealmente tutte fino all’abbazia di Cîteaux che, a sua volta, era sottoposta alla visita annuale degli altri quattro pro- to-abati. Il Capitolo generale an- nuale di tutti gli abati le rappre- sentava tutte ed assicurava l’u- niformità di interpretazione e di osservanza della Regola, degli Statuti, degli Usi e delle Costu- manze. La Carta di Carità garan- tiva, dunque, una reale autono- Ottavo Centenario della Consacrazione della Basilica di Casamari CASAMARI La ‘Regola’ riprende a C n contributo fondamentale [nel periodo che segue di poco l’an- no mille] al recupero di un ruolo di guida della Chiesa in seno alla socie- tà civile, è stato dato dall’Ordine ci- stercense fondato, nella seconda me- tà dell’anno mille, da San Roberto, abate benedettino di Molesme, e co- sì denominato dalla località in cui sorse il primo monastero dell’Ordi- ne: Cîteaux, presso Digione. L’Ordi- ne, approvato da papa Pasquale II nel 1100, esercitò subito un forte ri- chiamo sui novizi ed ottenne in bre- ve grande reputazione. È appena il caso di ricordare che ai fondatori San Roberto, Sant’Alberico e Santo Stefano si venne ad aggiungere più tardi San Bernardo che fondò l’abba- zia di Chiaravalle” (Giulio Andreotti, dalla prefazione al libro “L’organizza- zione dei Cistercensi nell’epoca feuda- le” di Padre Federico Farina e Padre Igino Vona). “U Il contributo dell’Ordine cistercense nel ruolo di guida della Chiesa di Padre Federico Farina* Domenica 30 Luglio 2017 28

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l capitolo XV dell’ExordiumParvum echeggia la Regola

e, non solo con riferimenti es-pliciti, ne sintetizza la spiritu-alità fondamentale saldatacon i valori essenziali eperenni del messaggio cris-tiano, la purifica dalle scorieed incrostazioni storiche chene hanno appannato la gen-uina testimonianza evangeli-ca, in una trasparente ricercadi rinunzia e di autenticità.La ratifica dell’interpre-tazione cistercense della Re-gola la ritroviamo, emblem-aticamente, nell’articolo pri-mo della Charta caritatis:“Vogliamo, dunque, fin d’ora,e ne facciano loro precetto,che osservino integralmentela Regola di San Benedettocome si osserva nel NuovoMonastero. Non apportino al-cun senso nuovo nella letturadella santa Regola, ma la in-terpretino e la conservino nelmodo in cui la interpretaronoe la conservarono i nostri pre-decessori, cioè i padri emonaci del Nuovo Monasteroe come la interpretiamo e laconserviamo noi attual-mente”. La Regola di SanBenedetto riprese, dunque, aCîteaux la sua centralità e di-venne punto oggettivo diriferimento, l’elemento coag-ulante. La riconsiderazionedella Regola, sottratta ad uneccessivo personalismo e adinteressati ammorbidimenti econdizionamenti, comportòper Cîteaux, come con-seguenza più importante, larivalutazione vicino all’abatedel ruolo del consiglio dei

fratelli all’interno del monas-tero e, poi, con l’espansionedell’Ordine, dell’assembleaannuale degli abati, nel Capi-tolo generale, che in rapidamaturazione storica avrebbeassunto una funzione cen-trale e primaria nella vita enella direzione delle abbazie,prima espressione europea emodello di democrazia apartecipazione diretta. L’orig-ine dell’Ordine cistercense,infatti, è stato il risultato diun progetto di un gruppo chesi è ritrovato, si è riconosciutoin un ideale, si è organizzatoin un movimento di espres-sione e di pressione, che co-munitariamente ha preso in-iziativa e si è realizzato. Il ri-torno a Molesme dell’abateRoberto e del gruppetto degliscontenti che in qualche mo-do avrebbe potuto rappre-sentare – e forse per questoera stato concepito – la de-capitazione e l’indebolimentodel movimento, servì invecea purificarlo, a rafforzare lalibertà di iniziativa e di coe-sione. Nei principi program-matici del capitolo XV del-l’Exordium Parvum, proprio inchiusura, viene stabilito incaso di fondazione di altrimonasteri: “Come quegli [SanBenedetto] aveva dispostoche nei monasteri abitasserododici monaci più il padreabate, così avrebbero fattoanch’essi”. La fondazione dialtre abbazie poneva duegravi problemi di ordinegiuridico: il rapporto con ilvescovo diocesano e lagaranzia di autonomia e di

I

controllo in seno all’Ordine. Al-la soluzione dell’uno e dell’altroproblema provvidero con lastesura della Carta di Carità. Ilprologo della Carta di Carità es-clude la giurisdizione deivescovi non con l’esenzione, macon un atto previo: “Prima chele abbazie cistercensi incomin-ciassero a fiorire, l’abate Ste-fano, il terzo abate di Cîteaux,ed i confratelli stabilirono dinon fondar mai un’abbazia nel-la diocesi di alcun vescovo pri-ma che questi avesse ratificatoil decreto [la Charta Caritatis],scritto ed approvato tra ilmonastero di Cîteaux e le altreabbazie da esso sciamate, al finedi evitare qualsiasi attrito e con-tesa fra il vescovo e i monaci”.La Carta di Carità è un origi-nalissimo organismo giuridicoescogitato con l’intento di salva-guardare l’autonomia delle sin-gole abbazie e, nello stesso tem-

po, conservare l’unità dell’Or-dine e l’uniformità della vitamonastica. Le abbazie cister-censi, infatti, erano comunitàautonome che, tramite il legamea catena di filiazione, forma-vano le cinque ramificazioni,che facevano capo a Cîteaux, aLa Ferté, a Pontigny, a Clairvauxe a Morimond, venivano rapp-resentate dai rispettivi abati checostituivano il Capitolo generale,suprema autorità con pieni po-teri legislativi, esecutivi egiudiziari. Nell’Ordine cister-cense, almeno dalla secondametà del XII secolo, l’autoritàveniva espressa, in pienezza dipotere, dal Capitolo generale edesercitata, ordinariamente, inmodo discendente tramite la lin-ea diretta di filiazione in senoalle cinque ramificazioni. Inquesta impostazione costi-tuzionale risulta con evidenzal’importanza delle ramificazioni

e il peso di esse nella parteci-pazione degli abati al Capitologenerale. Secondo i principi del-la Carta di Carità ogni abbaziagodeva di una reale autonomia,era composta di un corpo comu-nitario proprio – i monaci pro-fessavano, infatti, la stabilità enon potevano passare ordinaria-mente da un monastero ad unaltro – aveva una dotazione pat-rimoniale indipendente. La dis-posizione delle visite annuali,previste per filiazione diretta, lelegava idealmente tutte finoall’abbazia di Cîteaux che, a suavolta, era sottoposta alla visitaannuale degli altri quattro pro-to-abati. Il Capitolo generale an-nuale di tutti gli abati le rappre-sentava tutte ed assicurava l’u-niformità di interpretazione e diosservanza della Regola, degliStatuti, degli Usi e delle Costu-manze. La Carta di Carità garan-tiva, dunque, una reale autono-

Ottavo Centenario della Consacrazione della Basilica di Casamari

CASAMARI

La ‘Regola’ riprende a C n contributo fondamentale [nel

periodo che segue di poco l’an-no mille] al recupero di un ruolo diguida della Chiesa in seno alla socie-tà civile, è stato dato dall’Ordine ci-stercense fondato, nella seconda me-tà dell’anno mille, da San Roberto,abate benedettino di Molesme, e co-sì denominato dalla località in cuisorse il primo monastero dell’Ordi-ne: Cîteaux, presso Digione. L’Ordi-ne, approvato da papa Pasquale IInel 1100, esercitò subito un forte ri-chiamo sui novizi ed ottenne in bre-ve grande reputazione. È appena ilcaso di ricordare che ai fondatoriSan Roberto, Sant’Alberico e SantoStefano si venne ad aggiungere piùtardi San Bernardo che fondò l’abba-zia di Chiaravalle” (Giulio Andreotti,dalla prefazione al libro “L’organizza-zione dei Cistercensi nell’epoca feuda-le” di Padre Federico Farina e PadreIgino Vona).

“U

Il contributo dell’Ordine cistercensenel ruolo di guida della Chiesa

di Padre Federico Farina*

Domenica 30

Luglio 201728

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mia periferica delle abbazie edinsieme, con il Capitolo gen-erale, un forte potere centrale.La fondazione di Cîteaux è unarisposta del monachesimobenedettino alle istanze spiri-tuali, religiose, ecclesiastiche,sociali, politiche ed eco-nomiche di una società in rap-ida trasformazione. È la nasci-ta di una spiritualità nuova,l’inizio di un rinnovamento,un genuino frutto della Regoladi San Benedetto, maturato di-etro ineludibili imperativi spir-ituali, morali, religiosi cheavrebbe accompagnato e sor-retto l’Europa fino alla nascitadegli Ordini mendicanti.Cîteaux non rinunciò al ruolosociale del monachesimocome punto di riferimento,come denuncia, come forzad’appoggio, come possibilità dipressione, svolto prima daCluny, ma purificò l’ideale

monastico con la rinunzia allerendite feudali come presup-posto al ritorno allo spirito dipovertà, di laboriosità di unavita fortemente ascetica, di fu-ga dal mondo, ad una forte ten-sione spirituale propria dellecomunità cristiane e monas-tiche primitive. Siamo convintiche a fondamento di questorinnovamento vi siano statelunghe e sofferte consider-azioni e riflessioni ecclesio-logiche sulla missione delmonachesimo nella Chiesa.Dalla lettura dei due documen-ti più importanti delle origini,l’Exordium Parvume la ChartaCaritatis, si ricava con immedi-atezza l’impressione che se ilpunto di riferimento isti-tuzionale è la puritas della Re-gola di San Benedetto, il puntodi riferimento ideale è il fasci-noso richiamo alle prime co-munità cristiane delineate negliAtti degli Apostoli nelle letteredi San Paolo e negli scritti diSan Giovanni. Rimbalza conevidenza l’importanza fonda-mentale attribuita ai vescovi lo-cali in cui le abbazie erano ubi-cate. In una sensibilità ecclesio-logica nuova, il vescovo divienepunto di riferimento spiritualee giuridico. La comunitàmonastica è considerata partedella comunità diocesana di cuil’abate esercita il mandato diguida in nome e con la benedi-zione del vescovo, dopo avernericevuto la consegna del pas-torale. A Cluny l’abate era il su-periore diretto di tutti i prioratidipendenti e riceveva personal-mente la promessa di obbe-dienza di ogni neo eletto, men-tre lui veniva confermato dallaSanta Sede. Nell’Ordine cister-cense, invece, l’abbazia dipen-deva, come figlia, da quella dacui era stata fondata e ogniabate, eletto dalla comunità,prometteva obbedienza alvescovo diocesano con la clau-sola “salvo Ordine nostro”. Lacura animarum, la visita canon-

ica annuale della comunità,era riservata all’abate dellacasa-madre. “Vogliamo, però,con sentimento di carità,ritenere la cura delle loro ani-me”. Come abbiamo già visto,per evitare ogni possibilefrizione tra il vescovo dioce-sano e l’abate padre, la ChartaCaritatis esige, per l’erezione diun’abbazia, un assenso pre-venivo del vescovo, con pro-fonda sensibilità, mutuata dalconcetto di parresiadelle let-tere di San Paolo, le abbaziecistercensi costituirono nonuna congregazione formata dacomunità monastiche dipen-denti e subordinate – i priorati– all’abbazia, ma un Ordinecon abbazie di uguale dignità,classificate secondo la cronolo-gia di fondazione. La dispo-sizione della visita annuale, lacura animarum, prevista per fil-iazione diretta ed immediata,legava le abbazie idealmente egiuridicamente, tramite la lin-ea cronologica ascendente, perle cinque ramificazioni, fino al-l’abbazia di Cîteaux che, a suavolta, era sottoposta alla visitaannuale degli altri quattro pro-to-abati di L Ferté, di Pontigny,di Clairvaux e di Morimond. IlCapitolo generale annuale ditutti gli abati, a somiglianza diun concilio generale dellaChiesa, le rappresentava tutteed assicurava l’uniformità diinterpretazione e di osservanzadella Regola, degli Statuti, degliUsi e delle Costumanze. Anchele cinque proto-abbazie chesarebbero dovute essere, sem-pre e comunque, le cinqueprimigenie anche se, nel frat-tempo, qualcuna fosse statasoppressa, richiamano lecinque prime sedi patriarcalidella Chiesa primitiva:Gerusalemme, Antiochia,Alessandria, Costantinopoli eRoma. L’autorità supremadell’Ordine, il Capitolo gen-erale, è concepita secondo laCharta Caritatis, un servizio di

carità, come riflesso della mis-sione dell’autorità nella Chiesauniversale. Lo storico cister-cense Angelo Manrique, par-lando, con tono solenne e litur-gico, dell’approvazione dellaCharta Caritatis del 1119, sotto-linea con finezza l’analogia trala struttura della Chiesa uni-versale e l’impostazionegiuridica dell’Ordine: “Dopoaver ottenuto il consenso ditutti – chi lo avrebbe potutonegare al venerabile Padre[Stefano]? – e, dopo aver cele-brato il Capitolo a Cîteauxdagli, allora, dieci abati di tuttol’Ordine, furono emanatenell’anno 1119, XXII della fon-dazione di Cîteaux, VI dellaprima fondazione [La Ferté]nel mese di settembre cosìcome da principio era consue-tudine, quelle prime, insignidisposizioni di Cîteauxriguardanti l’Ordine che noichiamiamo la Charta Caritatis,per l’unione dei nostri, perl’ammirazione dei secolari,come esempio a tutti gli altrireligiosi. La caratteristica piùimportante di esse consiste nelfatto che come Cristo hafondato la sua Chiesa sotto ilromano Pontefice con quattropatriarchi, con molti ar-civescovi e ancora con moltipiù vescovi, così anche l’Or-dine cistercense, sotto l’abatedi Cîteaux come supremomoderatore, ha gli abati-figli alposto dei vescovi, gli abati-padri al posto degli ar-civescovi, i proto-abati al postodei patriarchi, dai quali, radi-cati nella carità ed intrecciatitra lori da mutui servizi di re-sponsabilità, viene retto senzaalcun intervento di nessun al-tro, con le sedi ordinate nonsecondo il grado di dignità masecondo il criterio di anterior-ità di fondazione” (Annales, I,an.11190, cap. IV, n.3). GiàGioacchino da Fiore avevacolto questa impostazione ec-clesiologica dell’Ordine: “Del

resto se si parla dell’aspettobuono che il Signore ha operatoall’ora ed ora: come dallaChiesa di Gerusalemme sononate le quattro principaliChiese, cioè di Antiochia, di Ro-ma, di Alessandria e di Costan-tinopoli e da esse molte altre,così dall’abbazia di Cîteauxsono sorte molte altre abbaziedelle quali le quattro, che sonostate le prime, sono state costi-tuite madri delle altre”.Un’altra realizzazione forte-mente ecclesiologica dei Cister-censi è quella dei fratelli conver-si, la prima, o almeno una delleprime, organizzazioni, di reli-giosi laici. È una istituzione chedeve essere esaminata e consid-erata non solo con criteri stori-ci, sociali, organizzativi, norma-tivi e statistici, ma con un’otticasquisitamente ecclesiologicacome risposta ad un’istanza so-ciale di affrancamento e di lib-ertà. L’istituzione dei fratelliconversi è una risposta certa-mente organizzativa ma chenon può, e non deve essere lim-itata alla sola necessità di unasituazione sociale-economica,cinicamente strumentale allaconduzione diretta, razionaleed intensiva dei possedimentimonastici. Rifiutando decisa-mente lo sfruttamento feudale,in quanto contrari allo spiritodel Vangelo, alla storia delleprime comunità cristiane, aidettami della Regola di SanBenedetto, essi curarono l’isti-tuzione dei fratelli conversi, nélaici né monaci, che in spirito difraternità e di condivisione fos-sero come i diaconi nellaChiesa primitiva, la concretiz-zazione fattiva della carità: ifratelli conversi non erano némonaci né laici ma erano illegame materiale necessario tramonaci che, dediti allapreghiera, abitavano all’internodell’abbazia, ed il mondo ester-no: essi erano religiosi laici.

• Priore emerito dell’Abbazia di

Casamari

CASAMARI

San Bernardo da Chiaravalle

Cîteaux la sua centralità

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