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GIRAUDO / “Lex orandi” e teologia dei sacramenti / PIO 2005-06 (L841) 1 PONTIFICIO ISTITUTO ORIENTALE ROMA Anno Accademico 2005-06 Facoltà SEO — 1° Semestre IL MAGISTERO DELLA LEX ORANDI E LA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI di Cesare Giraudo sj NB: In queste dispense non tutti i capitoli saranno trattati allo stesso modo. Alcuni (in parti- colare quelli ritenuti programmatici) comporteranno una redazione piena. Gli altri (in parti- colare quelli relativi ai formulari eucologici) saranno semplicemente schematizzati o si ridur- ranno alla presentazione dei testi. P a r t e P r i m a IL RITORNO ALLA «LEX ORANDI»: PERCHÉ? ovvero: IL RICUPERO DI UNA IDENTITÀCapitolo 1 IL MALESSERE DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI NELLA CHIESA LATINA (e anche Orientale!) DEL II MILLENNIO 1. LA CONSTATAZIONE DI UN MALESSERE Oggi, spesso, soprattutto negli ambienti Occidentali (ossia dipendenti da quel tipico modo di problematizzare che ha ormai contagiato il mondo intero) la prassi sacramentale è fatta bersaglio di critica violenta. Si sente dire che i parroci si prodigano nel fare i sacramenti, perché — al di fuori di quelli — non sanno fare altro. Si parla di sacramentalizzazione a oltranza, di sacramentalizzazio- ne a tutto spiano! In appoggio si cita Paolo: «Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma a predica- re!» (1Cor 1,17). Conseguenza: I pastori entrano in crisi: «Ma allora, che cosa dobbiamo fare?». I fedeli resta- no sconcertati: «Ma allora, i sacramenti non servono più?». I teologi, da buoni intellettuali, non en- trano in crisi, ma trovano spunto per nuove ricerche. Questa constatazione accusatoria esprime un disagio che era nell’aria fin dagli anni Cinquanta, cioè una decina di anni prima che iniziasse il Vaticano II. Tale disagio ha stimolato positivamente la riflessione di dogmatici e di sacramentalisti, che si sono impegnati a rivalutare la nozione di sacramento. Autori come Semmelroth e Schillebeeckx hanno applicato la nozione di sacramento alla Chiesa oppure a Cristo (cf O. SEMMELROTH, La Chiesa, sacramento di salvezza, Napoli 1965 [= Die Kirche als Ursakrament, 1953]; E. SCHILLEBEECKX, Cristo, sacramento dell’incontro con Dio, Roma 1962 [= ediz. origin. 1958]).

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GIRAUDO / “Lex orandi” e teologia dei sacramenti / PIO 2005-06 (L841) 1

PONTIFICIO ISTITUTO ORIENTALE — ROMA Anno Accademico 2005-06

Facoltà SEO — 1° Semestre

IL MAGISTERO DELLA LEX ORANDI E LA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI

di Cesare Giraudo sj

NB: In queste dispense non tutti i capitoli saranno trattati allo stesso modo. Alcuni (in parti-colare quelli ritenuti programmatici) comporteranno una redazione piena. Gli altri (in parti-colare quelli relativi ai formulari eucologici) saranno semplicemente schematizzati o si ridur-ranno alla presentazione dei testi.

P a r t e P r i m a – IL RITORNO ALLA «LEX ORANDI»: PERCHÉ? –

ovvero: IL RICUPERO DI UNA IDENTITÀ–

Capitolo 1 IL MALESSERE DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI

NELLA CHIESA LATINA (e anche Orientale!) DEL II MILLENNIO

1. LA CONSTATAZIONE DI UN MALESSERE Oggi, spesso, soprattutto negli ambienti Occidentali (ossia dipendenti da quel tipico modo di problematizzare che ha ormai contagiato il mondo intero) la prassi sacramentale è fatta bersaglio di critica violenta. Si sente dire che i parroci si prodigano nel fare i sacramenti, perché — al di fuori di quelli — non sanno fare altro. Si parla di sacramentalizzazione a oltranza, di sacramentalizzazio-ne a tutto spiano! In appoggio si cita Paolo: «Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma a predica-re!» (1Cor 1,17). Conseguenza: I pastori entrano in crisi: «Ma allora, che cosa dobbiamo fare?». I fedeli resta-no sconcertati: «Ma allora, i sacramenti non servono più?». I teologi, da buoni intellettuali, non en-trano in crisi, ma trovano spunto per nuove ricerche. Questa constatazione accusatoria esprime un disagio che era nell’aria fin dagli anni Cinquanta, cioè una decina di anni prima che iniziasse il Vaticano II. Tale disagio ha stimolato positivamente la riflessione di dogmatici e di sacramentalisti, che si sono impegnati a rivalutare la nozione di sacramento. Autori come Semmelroth e Schillebeeckx hanno applicato la nozione di sacramento alla Chiesa oppure a Cristo (cf O. SEMMELROTH, La Chiesa, sacramento di salvezza, Napoli 1965 [= Die Kirche als Ursakrament, 1953]; E. SCHILLEBEECKX, Cristo, sacramento dell’incontro con Dio, Roma 1962 [= ediz. origin. 1958]).

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Questo nuovo modo di presentare la Chiesa e Cristo come sacramento è stato recepito dai documenti conciliari. I passi in cui la nozione di sacramento è applicata alla Chiesa sono i seguenti: «Dio... ha costituito la Chiesa, perché sia per tutti e per i singoli il sacramento visibile di questa uni-tà salvifica (sacramentum visibile huius salutiferae unitatis)» [in nota: cf CIPRIANO, Ep. 69,6, in PL 3, 1142b: inseparabile unitatis sacramentum] (Lumen Gentium 9 [EV1 n. 310]); «Cristo... costituì il suo corpo, che è la Chiesa, come un sacramento universale di salvezza (ut universale salutis sacra-mentum)» (LG 48 [EV1 n. 416]; cf anche LG 1.8 e implicitam' 17); «Inviata da Dio alle genti per essere sacramento universale di salvezza (universale salutis sacramentum), la Chiesa... si sforza di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini» (rinvia a LG 48) (Ad Gentes 1 [EV1 n. 1087]); «... il Si-gnore... fondò la sua Chiesa come sacramento di salvezza (ut sacramentum salutis)» (Ad Gentes 5 [EV1 n. 1096]). La nozione di sacramento è applicata a Xto nel passo seguente: «Tutti i presbiteri cooperano per realizzare il divino disegno di salvezza, che è il mistero di Cristo, cioè il sacramento nascosto da secoli in Dio [cf Ef 3,9] (Presbyterorum ordinis 22 [EV1 n. 1317]). L’idea è senz’altro affascinante. Ha il merito di mettere la nozione di sacramento in rapporto alla cristologia e all’ecclesiologia, ossia all’intera storia della salvezza, restituendole quel valore di-namico che la sistematica scolastica per ben mille anni le aveva sottratto. La teologia scolastica, preoccupata com’era di chiarire la causalità e l’efficacia dei sacramenti, li aveva riferiti unilateral-mente al concetto astratto di grazia (cf «i sacramenti sono segni efficaci della grazia»), dimentican-do che, prima di essere un astratto, tale grazia è un concreto, giacché è la nostra concreta partecipa-zione alla morte-risurrezione del Signore. Sebbene in misura molto minore, gli inconvenienti legati a un’eccessiva sistematizzazione della sacramentaria si riscontrano pure nella teologia ortodossa (cf Documento 1). Tuttavia si può far notare che la nozione di sacramento non può essere applicata indifferen-temente a Cristo, alla Chiesa e ai sacramenti. Di per sé, nell’accezione secondo cui la Chiesa acco-glie e comprende oggi la nozione di sacramento, il princeps analogatum (ossia il riferimento prima-rio) non è né Cristo né la Chiesa, ma sono i sacramenti. Altrimenti, facendo un uso troppo libero dei termini, corriamo il rischio di non capirci più (cf Documento 2). In conclusione: applicando a Cristo e alla Chiesa la nozione di sacramento, i teologi non so-no ancora riusciti a far uscire la sacramentaria dalla sua crisi. 2. LE CAUSE DEL MALESSERE Cerchiamo ora di individuare le cause che hanno determinato il malessere in cui versa la prassi sacramentale di oggi, quella della fine del II millennio. Su questo II millennio dobbiamo pun-tare, dunque, la nostra attenzione. Sappiamo che il II millennio è quello delle idee chiare e distinte e della sistematica spinta e assolutizzata. La sua teologia ha marinato la scuola della lex orandi. I suoi teologi si sono abituati a disattendere l’insegnamento impartito dai testi liturgici. Questi non sono più «pro-clamati», cioè gridati davanti alla Chiesa: sono semplicemente letti, per giunta «submissa voce», per di più in una lingua sempre meno compresa. Di conseguenza: il testo liturgico non è più «ascoltato» attivamente dall’assemblea che lo dovrebbe pregare. Esso viene compreso passivamente e parzialmente, com-preso più ancora che sulla base delle parole, in base al catechismo mandato a memoria. D’altronde i fedeli non sanno più pregare come assemblea: pregano come persone singole. La dimensione sacra-le, ossia quella che situa dinanzi a Dio la comunità in quanto tale, viene sostituita dalla dimensione

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devozionale, quella appunto che si limita a considerare l’individuo in quanto individuo davanti a Dio. Sentendosi emancipati dal magistero della lex orandi, i teologi salgono in cattedra, la fanno da padroni e fanno scuola. I liturgisti, che hanno abbandonato essi pure la loro maestra, si riducono ad alchimisti delle rubriche (trafficano con le rubriche come gli alchimisti in mezzo agli alambic-chi). Per farci un’idea della metodologia del II millennio, basta aprire un qualsiasi manuale di teo-logia sacramentaria. I manuali = libri di scuola, da avere tra mano; // enchiridion (ejgceirivdion = che si tiene in mano [oggi: «tascabile»]); // epitome (ejpitomhv < ejpi-tevmnw = taglio via il superfluo); // compendi, prontuari (nb: sempre utili, ma guai se uno si limita a quelli!). Caratteristici della teologia latina post-tridentina. Frutto di teologia riflessa, ridotta a sistema, sistematizzata. Vedremo che, credendo di tagliare via il «superfluo», queste epitomi dei sacramenti hanno tagliato via l’essenziale (= rife-rimento alla lex orandi). Come si presenta la teologia dei sacramenti in questi manuali? Proviamo a fare un sondag-gio sulla base di un manuale classico: ad es. quello di Adolphe-Alfred TANQUEREY, che ha scritto tanti manuali di teologia dogmatica e morale con moltissime edizioni. Qui: Synopsis Theologiae Dogmaticae. De Sacramentis, che però contiene solo alcuni sacramenti. Tutti i sacramenti sono trat-tati in 5 punti: (1) De existentia sacramenti, (2) De essentia sacramenti, (3) De effectibus sacramen-ti, (4) De ministro sacramenti, (5) De subiecto sacramenti. Sulla base di questa griglia di lettura comune, si leggono i singoli sacramenti. Ci faremo un’idea abbastanza precisa della teologia sacra-mentaria che è più vicina a noi. Anche se noi non l’abbiamo studiata così, tuttavia la respiriamo a partire dagli anni del catechismo! Per il BATTESIMO: (1) De existentia baptismi. R/: «De fide». (2) De essentia baptismi: ... Consta di materia e forma. Materia remota: «omnis et sola aqua vera et naturalis»; materia dubbia: possibile usarla in caso di necessità, sotto condizione; materia prossima: abluzione di acqua in 3 modi: infusione, immersione, aspersione. La forma deve esprimere l’invocaz. trinitaria, l’azione del lavare, il soggetto, il ministro. Pur riferendo la formula dei Greci, si dà come normativa quella dei Latini. (3) De effectibus baptismi. Produce due effetti: imprime il carattere e conferisce la grazia. (4) De ministro baptismi. Ministro del batt. solenne: ordinario (omnis et solus sacerdos) e straordi-nario (diaconus). Ministro del batt. privato: «in casu necessitatis, quilibet homo, ratione utens». Ci si domanda «Utrum angeli possint baptizare» (cf s. Tomm.: raramente, ma sì. (5) De subiecto baptismi: «Omnis et solus homo viator, nondum baptizatus». Si escludono i morti. Per la CONFERMAZIONE: (1) De existentia confirmationis. R/: «De fide». (2) De essentia confirmationis. Consta di materia e forma. Materia remota: crisma (olio oliva + bal-samo) benedetto dal vesc.; materia prossima: crismazione sulla fronte con imposizione della mano. Per la forma si dà come assolutamente conveniente quella latina («omnino conveniens est»). Di quella dei Greci, ci si contenta di dire che è valida (perché l’ha dichiarato pp. Urbano VIII). (3) De effectibus confirmationis. Imprime il carattere e conferisce la grazia.

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(4) De ministro confirmationis. Ordinario: «solus episcopus»; straordinario: ogni sacerdote avente speciale delegazione. dalla s. Sede (cf Cardinali non-vesc., Abati, Prelati..., e in pericolo di morte ogni sacerdote). (5) De subiecto confirmationis: «omnis et solus baptizatus, nondum confirmatus». Per l’EUCARISTIA la trattazione è molto più complessa, poiché è condizionata dalla divi-sione bi- o tri-partita del trattato, dovuta alla lettura che i teologi hanno fatto dei documenti di Tren-to (per un quadro della questione cf GIRAUDO, Il trattato «De eucharistia» e il magistero della «lex orandi», in La Scuola Cattolica 124 [1996], 175-180). La trattazione della PENITENZA non figura nel manuale sui sacramenti, ma nel manuale di teologia morale (Synopsis Theologiae Moralis, t. I). Il modo di trattarla è sempre lo stesso. (1) De existentia poenitentiae. Esiste, in quanto applicazione del potere delle chiavi («Tu es Pe-trus...»). (2) De essentia poenitentiae. Consta di materia e forma. Materia remota: sono tutti i peccati com-messi dopo il battesimo; materia prossima (disputant theologi!). Secondo l’A.: essa consiste nei tre atti: contrizione, confessione, soddisfazione. Per la forma si precisa che, anche se nelle Chiese O-rientali esistono (e sono esistite nella Chiesa Latina) formule deprecative, la forma indicativa latina è di fatto la migliore! Perché? R/ «Ceterum fatemur formam indicativam magis convenire potestati judiciali, quae ministris Ecclesiae convenit». Si potrebbe obiettare: chi l’ha mai detto che il confes-sore è giudice? Ma siccome la teologia latina, a partire da un determinato periodo, ha stabilito così, ne consegue che le formule liturgiche che si adattano a tale teologia vanno bene. Qui l’assioma è rovesciato: «lex credendi statuit legem orandi»! A proposito poi della formula essenziale si dice che per la validità del sacramento bastano: «Absolvo te a peccatis tuis»; ma possono bastare anche: «Absolvo te». Da ciò consegue che non sono necessari né il pronome personale «ego», perché im-plicito nel verbo, né l’espressione «in nomine Patris...», perché non prescritta da Xto. (3) De effectibus poenitentiae: rimette i peccati e (secondo un computo difficile da stabilire) anche la pena dovuta ai peccati. (4) De ministro poenitentiae: «Solus sacerdos», che ha ricevuto anche il potere di giurisdizione. (5) De subiecto poenitentiae: «Omnis utriusque sexus fidelis, postquam ad annos discretionis, id est ad usum rationis pervenerit, tenetur omnia peccata sua, saltem semel in anno fideliter confiteri» (CJC 1917, can. 906). L’obbligo di confessare i peccati concerne solo i peccati mortali, o anche i veniali? Disputant theologi! Per l’ESTREMA UNZIONE: (1) De existentia extremae unctionis: sacramento istituito da Cristo e promulgato da san Giacomo. (2) De essentia extremae unctionis. Consta di materia e forma. Materia remota: olio d’oliva bene-detto dal vescovo; materia prossima: unzione (almeno una!). Per la forma sono elencate le formule deprecative dei Greci («Deus omnipotens...»), le ottative dei Latini («Per istam sanctam unctio-nem...»), le indicative («Ungo te oleo sanctificato...») e le imperative («Accipe sanitatem corpo-ris...»). Si afferma che la forma deprecativa/ottativa è la migliore! (3) De effectibus extremae unctionis. Effetto primario: conforta l’anima in articulo mortis; effetti secondari: restituisce la salute fisica («si animae expediat») e rimette i peccati che rimangono. (4) De ministro extremae unctionis: «Omnis et solus sacerdos».

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(5) De subiecto extremae unctionis. È designato da tre condizioni: baptizatus, usum rationis adep-tus, periculose aegrotans. Per l’ORDINE: (1) De existentia ordinis. Esiste nei tre gradi (episcopo, presbitero e diacono) istituiti da Cristo. La questione si complica a causa degli ordini minori. (2) De essentia ordinis. Consta di materia e forma. Per la materia si precisa che ci sono varie sen-tenze. Nella Chiesa Latina la materia consiste probabilmente nell’imposizione delle mani e nella consegna degli strumenti. NB: qui l’A. è talmente preso dalle dispute circa la materia che non dice praticamente nulla della forma! (3) De effectibus ordinis: conferisce la grazia e imprime il carattere. (4) De ministro ordinis: «solus episcopus consecratus». (5) De subiecto ordinis: «solus vir baptizatus». Se è adulto, deve avere l’intenzione di ricevere l’ordine: «In adultis requiritur intentio saltem habitualis expressa recipiendi ordines, non vero in in-fantibus». Inoltre: «Si contingeret ab episcopo non solum minores [ordines], sed etiam sacros ordi-nes infanti conferri, concordi theologorum ac canonistarum suffragio definitum est, validam sed il-licitam censeri hanc ordinationem...». Pertanto: «Hinc valide ordinantur infantes, perpetuo amentes et qui metu gravi coacti sunt». Che cosa poi si debba fare di loro, lo stabilisce il CJC! Come la penitenza, anche il MATRIMONIO non figura nel trattato sui sacramenti. Lo tro-viamo nella Synopsis Theologiae Moralis. (1) De existentia matrimonii: istituito da Cristo. (2) De essentia matrimonii. Consta di materia e forma. Materia è il contratto matrimoniale (l’A. af-ferma: «omnes theologi tenent!»). In tal caso materia e forma coinciderebbero. Tuttavia alcuni teo-logi dicono: siccome il contratto è fatto di parole, esso costituisce la forma del sacramento. In tal caso, la materia remota sarebbe lo «jus in corpora in ordine ad actus conjugales», e la materia pros-sima il consenso. (3) De effectibus matrimonii: «vinculum inter conjuges et gratia». (4) De ministris matrimonii: gli sposi. NB: Qui niente (5) De subiecto matrimonii, perché qui si fanno combaciare a forza le nozioni di ministro e di soggetto. Pare che Melchior Cano (seguito da altri) sia stato il primo a sostenere che ministro del matrimonio è il sacerdote che benedice, e sog-getto del matrimonio sono gli sposi. Tuttavia la sentenza che identifica ministro e soggetto viene da-ta dall’A. come più antica e più moderna. Alla domanda: Allora, come si qualifica il sacerdote?, si risponde: «Alius est minister sacramenti et alius minister solemnitatis». Pertanto il sacerdote sareb-be soltanto ministro della «cerimonia» liturgica! La teologia (latina) dei sacramenti soffre di un profondo malessere. NB: Dicendo «la teol. latina» non ci riferiamo esclusivamente al malessere della Chiesa latina d’Occidente. I suoi condi-zionamenti strutturali sono presenti pure presso le Chiese Orientali cattoliche, e forse — sebbene in misura molto minore — anche presso le Chiese ortodosse (cf Documento 1). In ogni caso la teolo-gia sacramentaria odierna è a disagio con se stessa; manca di radici; è ancora complessata di fronte allo «stra-potere» delle teologie da tavolino. La manualistica dogmatica ha forzato la comprensione dei sacramenti sulla base di un’unica griglia di lettura costruita dai teologi da tavolino, e l’ha impo-sta a tutti i sacramenti. La manualistica morale e canonica si è appropriata della trattazione di alcuni sacramenti (cf penitenza e matrimonio), sottraendoli al De sacramentis, per inserirli nel trattato di teologia morale-canonica.

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3. COME INTERVENIRE? Come fare a guarire la sacramentaria da questo suo profondo malessere/disagio? Come fare a liberarla da questi complessi che si trascina dietro da mille anni? Effettivamente nel I millennio la teologia dei sacramenti godeva di migliore salute. Se ci riferiamo a determinati periodi, possiamo dire che godeva una salute perfetta. Alla domanda «Perché?», c’è una sola risposta: «Perché viveva in casa»; meglio ancora: «perché viveva in chiesa»! Torniamo alla dichiarazione di Paolo: «Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma a predica-re!» (1Cor 1,17). L’utilizzo di questa espressione richiama un disagio vecchio, riconducibile alla tensione tra parola e sacramento, o — se vogliamo — tra la Riforma, designata come Chiese della Parola, e la Controriforma, denominata la Chiesa dei sacramenti (cf Documento 4). Dom.: È pos-sibile comporre questa tensione? Risp.: Certo! anzi: è doveroso! Nel nostro corso ci proponiamo di superare la rigida demarcazione tra le Chiese della Parola e la Chiesa dei sacramenti. Ci proponiamo di leggere i sacramenti alla luce della parola. Vogliamo riflettere su quella parola che è costitutiva dei sacramenti. Certo, autodesignandosi come Chiese della Parola, le Chiese della Riforma pensavano alla Parola di Dio, quella appunto che viene proclamata «in c/Chiesa». Nell’ottica specifica di questo corso leggeremo i sacramenti alla luce di quella parola che, attingendo direttamente alla Parola di Dio, la trasforma in preghiera. Pertanto non ci interesseremo alla parola intesa riduttivamente come «forma» del sacramento, per giunta una parola ridotta alle parole necessarie e sufficienti perché il sacramento venga prodotto (= forma ridotta all’osso) e a sua volta produca i relativi effetti. Piuttosto, porteremo la nostra attenzione sulla parola intesa come discorso orante che la Chiesa rivolge a Dio quando si appresta a battezzare e a crismare, quando chiede a Dio di perdonare un peccatore o di ristabilire nella salute corporale e spirituale un infermo, quando chiede a Dio di costituire un fedele nell’ordine dei diaconi o dei presbiteri o dei vescovi, quando si appresta a bene-dire un’unione coniugale, quando soprattutto chiede a Dio di trasformare nell’unico corpo ecclesiale noi tutti che stiamo per comunicare all’unico corpo sacramentale. In altri termini: senza nulla perdere delle chiarificazioni cui, attraverso la riflessione della grande scolastica, è giunta la Chiesa (cf Documento 3), vogliamo lasciar emergere la teologia dei sacramenti dalla preghiera della Chiesa, ossia dalla lex orandi. Seguiremo un itinerario antico e nuovo a un tempo. Esso è antico, poiché costituisce l’iter classico di tutto il I millennio d’Oriente e d’Occidente, peraltro mantenutosi in larga misura nel II millennio orientale. Oggi peraltro a molti può apparire nuovo, perché sono mille anni che la teologia occidentale si è discostata dal sentiero tracciato (cf Corso del 2° sem.-2002-03, Cap. 1). Documento 1: La «scolastica» greca (da Y. SPITERIS, La teologia ortodossa neo-greca, EDB, Bo-logna 1992, pp. 123ss). NB: Questi stralci di Autore hanno lo scopo di invogliare lo studente alla lettura integrale del testo originale, con tutta la relativa documentazione in nota.

Quando parliamo di «teologia scolastica» greca ci riferiamo ai primi sessant’anni di questo secolo... Quasi tutti i noti teologi di questo periodo hanno fatto ottimi studi teologici, soprattutto in università protestanti della Germania. Ciò non sarà senza conseguenze per il loro pensiero... In que-sto periodo, soprattutto tra gli anni trenta e sessanta, sono stati pubblicati una serie di manuali ri-guardanti tutti i rami della teologia. Questi manuali rimarranno classici ancora oggi. Si tratta di ma-

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nuali che tentano di fare una sintesi di tutto il sapere teologico dell’epoca. In questo periodo (1936) ha luogo ad Atene il I Congresso internazionale delle scuole teologiche ortodosse. Questo fatto rap-presenta una pietra miliare per la teologia ortodossa in genere e per quella greca in particolare. L’alta qualità delle relazioni resta insuperata ancora oggi nel loro genere... Tra l’altro, l’importanza di quel primo congresso sta nel fatto che la teologia ortodossa prende coscienza della sua originalità e fa un’autocritica dell’influsso che ha subito da fonti estranee alla sua tradizione. Già nel Discorso introduttivo, il presidente del congresso, A. Alivizatos, sottolineava: «Dopo lo scisma, la Chiesa or-todossa e la sua teologia furono totalmente assorbite dalla polemica. Dopo secoli, quando alcuni va-lorosi teologi vollero riprendere dei lavori teologici, essi furono costretti a cercare la loro aspirazio-ne negli ambienti cattolici o protestanti dell’occidente, dove la vita intellettuale era rimasta viva... Lo stesso spirito fu trasmesso alle generazioni di teologi universitari del secolo diciannovesimo. Occorre dunque risalire al di là e mostrarci più conservatori degli anziani. Occorre ritornare alla dottrina dei santi Padri». ... questo periodo... ha avuto per la teologia ortodossa greca lo stesso compito che per il mondo occidentale ebbe la scolastica medievale: quello di sistematizzare la teologia ortodossa... (SPITERIS 123-4). Forse il capitolo che la teologia ortodossa dottrinalmente ha sviluppato di meno è quello dei sacramenti, a differenza della teologia cattolica che dal primo medioevo in poi ha avuto la possibili-tà di approfondire questa tematica, spinta anche dalla Riforma la quale negava la tradizionale teolo-gia sacramentaria. I dogmatici ortodossi, e non solo greci, hanno dovuto fare largo uso dell’esperienza cattolica nel concetto di sacramenti e persino nel numero dei sacramenti. Questo forte influsso lo possiamo vedere in maniera molto chiara anche in Christos Andruzzos († 1935). Infatti egli definisce i sacra-menti: Riti sacri divinamente istituiti da Gesù Cristo che manifestano e nello stesso tempo conferi-scono la grazia invisibile. Egli mostra di conoscere bene la terminologia scolastica riguardante i sa-cramenti, anche se non è sempre disposto ad adottarla. Così, per es., conosce la distinzione tra sa-cramentum (forma rituale del sacramento) e res sacramenti (la grazia che ciascun sacramento con-ferisce). Rigetta tuttavia come superflua e senza fondamento la distinzione di materia e forma. Per quanto riguarda la formula ex opere operato è disposto ad adottarla nel senso dato dai cattolici a questa formula... Egli ritiene necessarie tre condizioni affinché un sacramento sia valido: a) la collazione di una grazia invisibile attraverso dei segni o delle cose sensibili, indipendentemente dalla dignità del celebrante. Questa grazia agirà positivamente o negativamente secondo la fede e la dignità morale di chi la riceve e della Chiesa in nome della quale si conferisce il sacramento; b) l’istituzione dei sa-cramenti immediatamente dal Signore o mediatamente dagli apostoli; c) la celebrazione dei sacra-menti da parte della Chiesa per mezzo dei ministri canonicamente istituiti e sulla base di requisiti indispensabili... Egli afferma che... il carattere indelebile conferito dai sacramenti del battesimo, cresima e ordine sacro non può essere considerato verità di fede, perché le fonti della rivelazione non ne par-lano... Mentre riguardo al sacramento dell’eucaristia tratta in maniera molto succinta la questione dell’epiclesi, presenta la dottrina eucaristica in termini quasi simili alla teologia scolastica latina. Riguardo al sacramento della penitenza, precisa che la soddisfazione (in greco epitimia) non ha ca-rattere «soddisfatorio ma solo terapeutico... (SPITERIS 149-152).

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Nella sua monografia sui sacramenti Konstantinos Dyovouniotis († 1943) tratta i sacramenti non dal punto di vista canonico o morale, ma dogmatico. Divide la sua opera in due parti. La prima (Tà mysteria p. 7-36) è dedicata ai sacramenti in genere ed è così suddivisa: definizione e significato del sacramento; istituzione divina; segni sensibili; trasmissione della grazia; numero dei sacramenti; il ministro dei sacramenti; il soggetto dei sacramenti; l’efficacia dei sacramenti ex opere operantis ed ex opere operato; i sacramentali. La seconda parte, che è quella più estesa (pp. 37-196), comprende i singoli sacramenti e di questi si esaminano definizioni e nomi, istituzione divina, segni sensibili e gra-zia trasmessa. La monografia di Dyovouniotis è ammirevole per la sua chiarezza..., anche se deve molto alla teologia cattolica. Egli stesso afferma che seguirà il pensiero della Chiesa occidentale sui sacramenti nella misura in cui esso è conforme alla Scrittura e alla Tradizione. Accetta quasi in pieno la dottrina cattolica e quando prende le distanze da essa lo fa piuttosto su argomenti non sostanziali. Definisce i sacramenti: Celebrazioni sacre istituite da Gesù Cristo e dagli apostoli, le quali per mezzo di segni sensibili trasmettono misteriosamente la grazia di Dio. Critica la distinzione scolastica di materia e forma, in sostanza e accidenti, però accetta l’insegnamento centrale. Nella trasmissione della grazia insiste che essa, meritata da Cristo con la sua passione, viene data a noi dallo Spirito Santo per mezzo dei segni e delle parole dei sacramenti. A questo punto fa largo uso dei testi patristici sia orientali che occidentali. Riguardo alla dottrina settenaria dei sacramenti, egli dice che la si può ricavare dal NT e porta una serie di testi. In polemica con i protestanti, che affermano che è stata la scolastica cattoli-ca del medioevo a inventare il numero sette dei sacramenti, afferma che anche la tradizione orienta-le più antica conosce i sette sacramenti, anche se il primo accenno sul numero sette in oriente lo si trova solo nel 1270 presso il monaco Giobbe, tuttavia i Padri, nei loro scritti, trattano di tutti sette i sacramenti. Il primo documento ufficiale ortodosso che ne parla, dice, lo troviamo nella Confessio-ne di fede del patriarca Dositeo (1672). Condivide l’insegnamento di s. Agostino sulla necessità dei sacramenti. Essi sono necessari per la salvezza solo per coloro che sono in grado di riceverli. Citando Agostino, dice «non defectus sed contemptus sacramenti damnat» e spiega: «Si può essere salvati da Dio anche senza i sacramen-ti, quando la mancanza di questi non proviene da imperdonabile trascuratezza e disprezzo, ma dall’impossibilità di riceverli. Così Cristo salva dalla croce il ladrone pentito senza il battesimo...». Sebbene sia d’accordo sulla non reiterabilità di battesimo, cresima e ordine, rigetta l’insegnamento cattolico che questi sacramenti imprimano il carattere indelebile, perché non si trova nella sacra Scrittura... Tenta di dare una sua spiegazione sulla non ripetibilità di questi sacramenti... Un altro punto in cui si distacca dalla dottrina cattolica sui sacramenti è quello dove afferma che il ministro di questi deve essere sempre ordinato e mai un laico, anche se l’effetto del sacramen-to non dipende dalla fede e dalla rettitudine morale del ministro consacrato, perché, in ultima anali-si, la grazia viene trasmessa da Cristo, che è il vero ministro dei sacramenti. Egli accetta in pieno la dottrina cattolica dell’ex opere operantis ed ex opere operato, anzi egli difende la teologia cattolica dagli attacchi dei protestanti, secondo cui, con questa espressione, si favo-risce una specie di magia nei sacramenti. «L’opinione dei protestanti — scrive — secondo la quale l’insegnamento della Chiesa occidentale intorno all’efficacia dei sacramenti ex opere operato si basa sulla trasmissione dei sacramenti in modo magico e meccanico non è giusta, poiché la maggior parte dei moderni teologi occidentali esclude ogni simile trasmissione magica e meccanica. Il giusto signi-ficato dell’efficacia dei sacramenti ex opere operato, che si trova già nella Chiesa più antica, non si basa e neppure suppone un’efficacia magica e meccanica dei sacramenti» (SPITERIS 176-9).

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Documento 2: La categoria di sacramento riferita a Cristo e alla Chiesa: un circolo ermeneuti-co vizioso? (da C. ROCCHETTA, Sacramentaria fondamentale, EDB, Bologna 1989, 14-15). NB: Questi stralci di Autore hanno lo scopo di invogliare lo studente alla lettura integrale del testo origi-nale, con tutta la relativa documentazione in nota.

L’applicazione della categoria di sacramento a Cristo e alla Chiesa è ormai divenuta comune nel linguaggio teologico contemporaneo; una simile applicazione si fonda su un buon numero di te-sti del concilio Vaticano II e presenta... un’essenziale rilevanza teologica per l’elaborazione di una trattazione generale sui sacramenti. «In effetti — come nota R. Schulte — la visione sacramentale della Chiesa può mostrare il nesso, così importante in una prospettiva storico-salvifica, tra Cristo, sacramento dell’incontro con Dio, e i singoli sacramenti intesi come articolazioni e attualizzazioni della Chiesa, sacramento radicale». Una simile applicazione tuttavia non è priva di problemi, alme-no sul piano di una corretta metodologia teologica, e chiede di essere realizzata in modo adeguato. È vero che l’applicazione del termine sacramento a Cristo e alla Chiesa è fatta in modo analogico, ma c’è da chiedersi se il percorso ermeneutico che ordinariamente si segue non finisca, di fatto, per essere un percorso oggettivamente chiuso in se stesso, come un serpente che si morde la coda, e quindi vizioso. Il ragionamento metodologico sotteso a tale applicazione si svolge più o meno nel modo se-guente: si parte dal concetto di sacramento quale è stato canonizzato dalla scolastica e dalla teologia successiva; un simile concetto lo si applica a Cristo e alla Chiesa come categoria comprensiva del loro mistero/evento; successivamente — con un procedimento inverso — si qualificano i sacramenti alla luce della nozione di sacramento prima riferita a Cristo e alla Chiesa, in una sorta di ritorno al punto di partenza. Succede così che se il sacramento rituale è visto come segno e strumento della grazia, la Chiesa-sacramento sarà qualificata come segno e strumento della salvezza (LG 1), e vice-versa. Non che questa nozione di sacramento sia errata o non esprima un aspetto vero della realtà della Chiesa e contestualmente dei sacramenti, ma è evidente come in questo modo non si sfugge a una circolarità ermeneutica che rischia di essere realmente riduttiva. Se è chiaro infatti che il concetto scolastico di sacramento accolto dalla Chiesa, nella misura in cui è entrato a far parte del patrimonio dogmatico della fede, è un punto fermo della dottrina sacramentale, non è detto che tale concetto esaurisca tutta la ricchezza del dato presente nella rivelazione biblica e nella tradizione. Il depositum fidei è, di per sé, più ampio e ricco delle formulazioni dogmatiche strettamente conside-rate, almeno così come sono state assunte nel linguaggio teologico, pur contenendole e non potendo mai essere in contraddizione con esse. Se così è..., risulta limitativo farsi un’idea di Cristo e della Chiesa, facendo leva su una nozione di sacramento che, pur essendo vera, esprime solo in parte la realtà del sacramento quale risulta proclamata dalla testimonianza biblica e dalla rilettura della sto-ria del dogma. Uno studio attento e approfondito della categoria di sacramento nelle fonti della rivelazione dovrebbe, in un certo senso, prescindere dalla nozione classica di sacramento per verificare in quale modo ciò che noi intendiamo affermare con questa categoria sia presente nell’economia storica del-la salvezza e in particolare nella nozione originaria di mysterion di cui il termine sacramentum è una traduzione nel linguaggio teologico dell’occidente. Questo non vuol dire che la nozione classica di sacramento, quale è stata elaborata a partire da Pietro Lombardo sia da rifiutare; essa potrà (e, nella misura in cui fa parte della coscienza di fede della Chiesa, dovrà) essere ricuperata, ma entro il contesto più ampio dell’economia storica della salvezza e alla luce della ricchezza originaria del mysterion proclamato dal NT. Lo stesso discorso vale per quanto riguarda la sacramentalità fonda-

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mentale di Cristo e della Chiesa: soltanto se riportata all’ampiezza originaria e specifica del myste-rion neotestamentario, la categoria di sacramento potrà essere riferita a Cristo e alla Chiesa in un’accezione teologica sufficientemente comprensiva e adeguata. Documento 3: Il concetto di sacramento (da C. ROCCHETTA, Sacramentaria fondamentale, EDB, Bologna 1989, 16)

La descrizione classica del sacramento consiste essenzialmente nel porre il fatto sacramenta-le nell’ordine del segno causativo della grazia. I sacramenti sono segno e causa di grazia o — come recita la formulazione dogmatica del concilio di Trento — «i sacramenti contengono la grazia che significano e la conferiscono a coloro che non vi pongono ostacolo». Questa descrizione non va sot-tovalutata o addirittura cancellata da una rinnovata coscienza teologica; essa ha il grande merito — da considerare acquisito per la dottrina dei sacramenti — di affermare l’efficacia reale dell’azione sacramentale e la concomitanza che sussiste tra tale azione e l’effetto operato soprannaturalmente in essa. È grazie a tale caratterizzazione che è stato possibile, tra l’altro, poter distinguere in modo de-finitivo i sette sacramenti da tutti gli altri riti appartenenti all’universo sacramentale della Chiesa. La descrizione classica non è dunque da rifiutare o da annullare, ma piuttosto da rileggere ed inte-grare in una visione più ampia e completa, sia per quanto riguarda la sua fondazione scritturistica (in che modo la rivelazione biblica permette di parlare di sacramento?) che per quanto concerne la sua caratterizzazione dogmatica (che cos’è un sacramento?). Documento 4: Rapporto parola-sacramento (da C. ROCCHETTA, Sacramentaria fondamentale, EDB, Bologna 1989, 17)

Interrogativi analoghi si pongono per quanto concerne il rapporto, così sentito nella teologia sacramentale contemporanea, tra parola e sacramento. Come concepire tale rapporto? Quale valore attribuire a quella e che fa da congiunzione tra i due termini? Dal tempo della Riforma e della Con-troriforma la dialettica parola-sacramento è stata posta più in termini alternativi (se non di vera e propria opposizione) che di unità. È successo così che la Chiesa della riforma ha finito per qualifi-carsi essenzialmente come la Chiesa della parola, negando in termini più o meno radicali il valore del sacramento; da parte sua la Chiesa della controriforma si è presentata quasi soltanto come la Chiesa dei sacramenti, trascurando (o comunque sottovalutando) il significato salvifico della parola. Come ripensare oggi una simile relazione? Una piena teologia della parola non dovrebbe poter con-durre ad una piena intelligenza della teologia del sacramento? Che cosa implica una tale imposta-zione, non solo sul piano ecumenico, ma ancor prima su quello di una ricomprensione cattolica del fatto sacramentale nel suo rapporto inseparabile con la Chiesa? In questo ambito, come si situa il di-scorso della fede? Il suo ruolo è soltanto quello di costituire la condizione previa per una fruttuosa ricezione del sacramento o non rappresenta piuttosto l’elemento fondante (almeno come fede della Chiesa) dell’atto sacramentale stesso, quasi anima che vivifica e simultanemente è vivificata dal ge-sto sacramentale?