L’ SARDEGNA XV ’ANNUNCIAZIONE JOAN MATES · Sono note le vicende che portarono alla conquista...

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25 L’ARTE IN SARDEGNA NEL XIV-XV SECOLO E IL POLITTICO DELL’ANNUNCIAZIONE DI JOAN MATES Aldo Sari Università di Sassari Sono note le vicende che portarono alla conquista catalana della Sardegna. Il 13 giugno 1323 segna l’inizio del nuovo corso storico dell’Isola, preparato nell’ul- timo decennio del XIII secolo dalla sua infeudazione a Giacomo II d’Aragona. 1 Quel giorno di tarda primavera, infatti, le truppe catalane sbarcavano nel porto di Palma di Sulcis (in territorio di San Giovanni Suergiu) e il 28 successivo ponevano l’assedio a Villa di Chiesa (Iglesias). 2 Quasi un anno dopo, il 19 giu- gno del 1324, Cagliari pisana era costretta a firmare un trattato di pace con il re aragonese. 3 Il 9 giugno 1326 i Catalani prendevano definitivo possesso del Ca- stello di Cagliari. 4 Nel primo quarto del Trecento, grazie alla presenza di Pisa, Genova e della Chiesa, la Sardegna era pienamente inserita nel clima di rinnovamento econo- mico-culturale che, come nel resto della Penisola italiana e dell’Europa, appari- va il preludio dell’età moderna. Alla presa di possesso del Castello da parte catalana la vitalità della cultura artistica isolana era testimoniata a Cagliari, oltre che dall’architettura militare (il cui ardimento costruttivo e la perizia tecnica suscitarono l’ammirazione dei nuovi invasori, che ancora nel XVI secolo, durante i lavori di ampliamento e rifacimento delle mura, preferirono conservare le belle torri del Capula), da alcuni edifici religiosi sorti nel corso del XIII secolo: il S. Francesco, edificato dai minoriti nel quartiere di Stampace, e la fabbrica del Duomo che, costruito in forme romaniche nel primo Duecento, era ampliato, tra lo scorcio del XIII e il primo quarto del XIV secolo, secondo stilemi ormai gotici. La chiesa francescana, fondata nel 1274 (di essa, rovinata nel 1875 e incor- porata in edifici posteriori, non sono visibili oggi che alcuni frammenti della INSULA, num. 6 (dicembre 2009) 25-52 1 F. C. CASULA, La Sardegna aragonese, 1: La Corona d’Aragona, Sassari, 1990, p. 61 ss. 2 Ivi, p. 14 ss. 3 Ivi, p. 174 ss. 4 R. CONDE Y DELGADO DE MOLINA, La Sardegna aragonese, in Storia dei Sardi e della Sardegna, 2. Il Medioevo, dai giudicati agli aragonesi, a cura di M. Guidetti, Milano 1987, p. 262; F. C. CASULA, La Sardegna aragonese cit., p. 206 ss. Impaginato 6.pmd 15/03/2010, 15.05 25

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L’ARTE IN SARDEGNA NEL XIV-XV SECOLO

E IL POLITTICO DELL’ANNUNCIAZIONE DI JOAN MATES

Aldo SariUniversità di Sassari

Sono note le vicende che portarono alla conquista catalana della Sardegna. Il 13giugno 1323 segna l’inizio del nuovo corso storico dell’Isola, preparato nell’ul-timo decennio del XIII secolo dalla sua infeudazione a Giacomo II d’Aragona.1

Quel giorno di tarda primavera, infatti, le truppe catalane sbarcavano nel portodi Palma di Sulcis (in territorio di San Giovanni Suergiu) e il 28 successivoponevano l’assedio a Villa di Chiesa (Iglesias).2 Quasi un anno dopo, il 19 giu-gno del 1324, Cagliari pisana era costretta a firmare un trattato di pace con il rearagonese.3 Il 9 giugno 1326 i Catalani prendevano definitivo possesso del Ca-stello di Cagliari.4

Nel primo quarto del Trecento, grazie alla presenza di Pisa, Genova e dellaChiesa, la Sardegna era pienamente inserita nel clima di rinnovamento econo-mico-culturale che, come nel resto della Penisola italiana e dell’Europa, appari-va il preludio dell’età moderna.

Alla presa di possesso del Castello da parte catalana la vitalità della culturaartistica isolana era testimoniata a Cagliari, oltre che dall’architettura militare(il cui ardimento costruttivo e la perizia tecnica suscitarono l’ammirazione deinuovi invasori, che ancora nel XVI secolo, durante i lavori di ampliamento erifacimento delle mura, preferirono conservare le belle torri del Capula), daalcuni edifici religiosi sorti nel corso del XIII secolo: il S. Francesco, edificatodai minoriti nel quartiere di Stampace, e la fabbrica del Duomo che, costruito informe romaniche nel primo Duecento, era ampliato, tra lo scorcio del XIII e ilprimo quarto del XIV secolo, secondo stilemi ormai gotici.

La chiesa francescana, fondata nel 1274 (di essa, rovinata nel 1875 e incor-porata in edifici posteriori, non sono visibili oggi che alcuni frammenti della

INSULA, num. 6 (dicembre 2009) 25-52

1 F. C. CASULA, La Sardegna aragonese, 1: La Corona d’Aragona, Sassari, 1990, p. 61 ss.2 Ivi, p. 14 ss.3 Ivi, p. 174 ss.4 R. CONDE Y DELGADO DE MOLINA, La Sardegna aragonese, in Storia dei Sardi e della Sardegna,

2. Il Medioevo, dai giudicati agli aragonesi, a cura di M. Guidetti, Milano 1987, p. 262; F. C.CASULA, La Sardegna aragonese cit., p. 206 ss.

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tribuna e un portale laterale che, recuperato dalle macerie fu, sempre a Ca-gliari, ricomposto nel prospetto del Santuario di Bonaria), era, secondo unatipologia di origine cistercense fatta propria dai francescani, a croce commissa,con navata unica conclusa da transetto, su cui si aprivano il presbiterio qua-drato fiancheggiato da due cappelle. I tre ambienti, a differenza dell’aula e deltransetto coperti in legname, erano voltati a crociera costolonata. Come siintuisce dalla struttura rimasta, le costolature erano impostate su colonninepensili angolari, che nella tribuna sorgevano da peducci raffiguranti iltetramorfo. L’edificio – che si poneva fra il tipo con transetto pronunciato sucui si aprono numerose cappelle, attestato nei S. Francesco di Pistoia, Pisa eSiena, e quello senza transetto con tre cappelle al termine dell’aula, riscontrabilenelle chiese sempre francescane di Lucca, Cortona e Prato e in quelledomenicane di Cortona e Arezzo – anticipava una disposizione di pianta e dialzato diffusa in toscana nel XIV secolo.5 I suoi resti, ormai soprattutto scultorii,consentono di riconoscere l’educazione culturale, se non la provenienza dellemaestranze. Di gusto toscano sono la dicromia, la modulazione chiaroscuralee il motivo delle mensole a foglie d’acanto tra caulicoli bifidi del portale se-condario oggi a Bonaria.6 L’ornato ancora romanico di queste ultime sembre-rebbe confermare che l’edificazione della chiesa avvenisse subito dopo l’ac-quisto del terreno, fra l’ottavo e il nono decennio del Duecento. Lungol’archivolto sottili nervature segnano la superficie dei tori con effetto di spi-goli secondo uno schema di origine francese che si diffuse dall’Anjou, attra-verso la Borgogna, in tutta Europa dopo il sesto decennio del XIII secolo.

Gli stessi maestri del cantiere di S. Francesco di Stampace erano intervenutinelle opere di ampliamento della cattedrale di S. Maria di Castello, come pro-vano la contiguità di alcune forme del braccio settentrionale del transetto conquelle del portale della chiesa francescana, attualmente collocato nella facciatadel Santuario di Bonaria, ma, soprattutto, l’affinità della cappella nord dellatribuna con quelle che si affacciavano sul transetto nel S. Francesco di Stampace.Come nella chiesa francescana, anche nella cappella del Duomo, di pianta qua-drata e voltata a crociera costolonata, con identità di partito e d’ornato, le costo-le sono impostate agli angoli su capitelli di colonne pensili sostenute da peducciscolpiti con i simboli degli evangelisti.7

Aldo Sari

5 R. DELOGU, L’architettura del Medioevo in Sardegna, Roma 1953, p. 213.6 Ivi, pp. 213-214.7 Ivi, pp. 219-221.

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Durante l’assedio di Cagliari i Catalani s’erano accampati a poca distanzadalla città, sulla collina di Bonaria, nella costa orientale, dove rapidamente ave-vano eretto un centro fortificato in grado di controllare il porto e le immediatevicinanze.8 Il Castell de Bonaire, di cui i documenti tramandano le due porte diaccesso, una detta dell’Ammiraglio e l’altra di Quart,9 aveva all’interno dellemura anche una chiesa, dedicata alla SS. Trinità, incominciata nel 1324. Al suodisegno finale, così come al progetto dell’altra intitolata a S. Vittoria dei Catalani,nell’appendice di Lapola, contribuiva probabilmente quel Guillem «magisteroperis ecclesiae Tarracone», architetto della cattedrale di Tarragona, che nelgiugno del 1326 chiedeva di potersi trasferire a Bonaria.10

La chiesa – chiamata dal 1330 ecclesia Santae Mariae de Bonayre – non fu ilsolo edificio religioso che i Catalani edificarono in Sardegna in quegli anni – lefonti ricordano la cappella di Sant’Eulalia nel castello di Salvaterra, a guardiadella porta orientale d’Iglesias, e l’edicola commemorativa di Lucocisterna –, maè la sola che si sia conservata nel suo impianto originario, agevolmente identificabilesotto le manomissioni successive. Esemplata sulla barcellonese chiesa palatina diS. Àgata, costruita qualche decennio prima da Bertran Riquer, aveva pianta adaula conclusa da abside poligonale e copertura lignea su archi diaframma.

Al momento della conquista della Sardegna, l’architettura gotica catalana sidistingueva già per i suoi caratteri costitutivi: il predominio dell’orizzontalità del-le strutture sulla verticalità, in opposizione a quello che era l’elemento precipuodella contemporanea architettura nordeuropea; la sobrietà ornamentale e, soprat-tutto, la concezione unitaria dello spazio interno, suo dato saliente e qualificatore.

Un apporto fondamentale all’elaborazione dello spazio ampio e ininterrottole era venuto dagli ordini mendicanti. I domenicani e soprattutto i francescani,come era accaduto in Italia, avevano conformato anche in Catalogna fin dal-l’origine i loro edifici a quelli cistercensi, consentanei nella loro severa bellezzaagli ideali di povertà e semplicità che essi praticavano. Poiché le loro costitu-zioni indicavano per le chiese dell’Ordine strutture semplici e funzionali, vie-

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8 Cfr. Crònica de Ramon Muntaner, in Les quatres grans cròniques, a cura di Ferran Soldevila,Barcellona 1971, p. 915 ss.

9 F. SEGNI PULVIRENTI, L’architettura religiosa gotico-catalana: i primi esempi, in F. SEGNI

PULVIRENTI – A. SARI, Architettura tardogotica e d’influsso rinascimentale, Nuoro 1994, p. 14.10 S. CAPDEVILA, La Seu de Tarragona. Notes històriques sobre la construcció, el tresor, els artistes,

els capitulars, Barcellona 1935, p. 36 e n. 7; vedi A. FRANCO MATA, Influenza catalana nellascultura monumentale del Trecento in Sardegna, in «Arte Cristiana. Rivista internazionale diStoria dell’Arte e di Arti liturgiche», Nuova Serie, LXXV, fasc. 721, luglio-agosto 1987, p. 240,n. 3; F. SEGNI PULVIRENTI, L’architettura religiosa cit. p. 15.

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tando le volte in pietra, che erano consentite soltanto nel presbiterio, modellaro-no le loro prime chiese più che sugli edifici di culto cistercensi sulle soluzioniarchitettoniche che quell’Ordine aveva adottato nei dormitori e refettori dei proprimonasteri, i cui spazi, ampi e unitari, avevano copertura lignea a doppio spio-vente su archi diaframma trasversali a sesto acuto. E di quegli ambienti conser-varono sempre, anche quando disattesero le norme delle costituzioni dell’Ordi-ne, la visualizzazione chiara e immediata dello spazio interno.

L’influsso dell’architettura cistercense su quella degli Ordini mendicanti siravvisava nel primo impianto della chiesa di S. Francesco a Barcellona, fondatanel 1229 e scomparsa nel secolo XIX, a navata unica con cappelle laterali eabside quadrangolare, che presentava copertura in legname su archi diaframmaa sesto acuto, secondo lo schema dei dormitori cistercensi.

Al primitivo S. Francesco di Barcellona si attenevano le chiese minorite diS. Francesco di Montblanc, il cui convento era fondato prima del 1238, e diPalma di Maiorca, iniziata dopo il 1279, quando il convento era ceduto allesuore di S. Margherita. Ad aula coperta con soffitto in legname su archi dia-framma a sesto acuto e cappelle laterali tra i contrafforti, quest’ultima avevaperò abside poligonale con volta a nervature.11 Questo schema diveniva pecu-liare dell’architettura catalana durante il XIII e il XIV secolo, ma già intorno allametà del Duecento l’inosservanza delle costituzioni aveva portato ad un tipo dichiesa che si sviluppò parallelo al precedente e che adottò la volta a crociera,configurandosi ormai come pienamente gotico.

I domenicani nel 1219 avevano aperto una sede a Barcellona accanto alghetto ebraico, ma nel 1223 si erano trasferiti in alcune case cedute dalla muni-cipalità presso la chiesetta di S. Caterina nel quartiere di Sant Pere, dove nel1243 avevano cominciato la fabbrica del convento. Nel 1252 la chiesa era giàinnalzata fino alla base delle arcate, e dieci anni dopo erano ormai ultimatel’abside e le prime tre campate. I lavori continuarono fino al 1275, quando conil lascito testamentario di Ponç d’Alast si potè voltare la settima e ultima cam-pata. Il convento e la chiesa di S. Caterina subirono nel 1835 un incendio e dueanni dopo furono abbattuti. La chiesa, il cui impianto ci è noto grazie ai disegnieseguiti da Josep Casademunt i Torrents nel 1837, si modellava probabilmentesu quella del S. Francesco della stessa Barcellona, ristrutturata intorno al 1247.12

Anche S. Caterina fu costruita ad aula con cappelle laterali aperte tra i contrafforti

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11 N. DE DALMASES – A. JOSÉ I PITARCH, L’època del Cister, s. XIII. Història de l’Art Català, II,Barcellona 1985, pp. 119-121.

12 Ivi, pp. 122-124.

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esterni ed abside poligonale. Le sette campate, tante quanti i lati del poligonoabsidale, furono voltate a crociera, come le cappelle e il presbiterio.

L’elemento unificante fra il primo tipo costruttivo, esemplificabile nel S.Francesco di Montblanc, più elementare, con copertura in legname su archidiaframma, e il secondo, cioè la S. Caterina di Barcellona, con volte a crocierasull’aula, era l’unità dello spazio interno.

La definizione di spazi interni unici ritorna in tutte le edificazioni religiosedel XIV e XV secolo dei paesi dipendenti politicamente e culturalmente dallaCatalogna, cioè le isole Baleari, il territorio valenzano, Napoli, la Sicilia e, conqualche variazione, la Sardegna.13

Nel 1323, quando Alfonso d’Aragona sbarcava in Sardegna, i due tipi dichiesa, che possono considerarsi varianti di uno stesso modello,14 erano ormaidefiniti. Planimetricamente identici – ad aula con cappelle laterali, ricavate tra icontrafforti esterni addossati alle pilastrate di scarico degli archi diaframmainterni, e abside poligonale –, si differenziavano solo per la copertura che in unoera in legname a due spioventi, sostenuti da archi trasversali a sesto acuto, enell’altro a volte a crociera nervata tra archi diaframma che delimitano le cam-pate. Con la pianta avevano in comune, inoltre, l’uso delle volte nell’abside enelle cappelle e il presbiterio della stessa ampiezza e altezza della navata.

Il sentimento unitario dello spazio interno è tale che non viene meno neppu-re negli edifici a tre navate, che utilizzano pilastri sottili e molto distanziati fraloro a separare navi di altezza pressoché uguale con effetto di un’unica grandesala, ancor più marcato che nelle Hallenkirchen tedesche, dove i pilastri hannouna distanza meno accentuata.15 L’interno della Cattedrale di Barcellona, consoltanto cinque coppie di pilastri che separano le tre navate, e la S. Maria delMar, sempre a Barcellona, cominciata nel 1329 dopo la cacciata definitiva deipisani dal Castello di Cagliari, con quattro coppie di altissimi pilastri poligonali,sono gli esempi più significativi della concezione spaziale unitaria catalana ne-gli edifici a più navate.

Ma la spazialità ininterrotta, sottolineata dal presbiterio della stessa sezionetrasversale dell’aula, non era compiutamente attuata nella chiesa di Bonaria, incui, a differenza del modello barcellonese di S. Àgata – dove la navata conti-

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13 N. DE DALMASES – A. JOSÉ I PITARCH, L’art gòtic, s. XIV-XV. Història de l’Art Català, III, Barcellona1984, pp. 13-21.

14 A. FLORENSA, Il gotico catalano in Sardegna, in «Bollettino del Centro di Studi per la Storia dell’Archi-tettura», Contributi alla storia dell’architettura in Sardegna, n. 17, Roma 1961, p. 85.

15 Ivi, p. 86.

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nuava senza alcuna interruzione nel vano absidale –, l’aula era conclusa da unaparete rettilinea in cui si apriva un presbiterio molto più basso e stretto dell’aulastessa. Una soluzione che non trovava riscontri in Catalogna, tranne forse nellachiesa di S. Maria la Real a Perpignano, l’antica parrocchiale dei re di Maiorca,e nella Cappella reale della Cattedrale di Palma di Maiorca, costruita tra il 1313e il 1327 sul medesimo schema di quella rossiglionese.

Poiché sul presbiterio si eleva la torre campanaria, Renata Serra spiega leridotte dimensioni del vano presbiteriale con l’esigenza di assicurare stabilitàalla struttura.16 Se la singolarità della collocazione del campanile – nelle chiesecontinentali catalane le torri campanarie sorgono quasi sempre su cappelle late-rali – giustifica per la chiesa di Bonaria l’adozione di un’abside poco più ampiadi una cappella, non si riesce a dare una spiegazione soddisfacente alla persistenzadi tale caratteristica in tutte le successive architetture religiose di gusto goticocatalano edificate in Sardegna – ad eccezione del S. Francesco di Alghero –,nelle quali il campanile fiancheggia la facciata o poggia su una cappella latera-le, ma mai sul presbiterio.

Una ragione della peculiare tipologia delle chiese sorte nell’Isola in etàcatalana, potrebbe forse trovarsi nell’influsso determinante delle locali architet-ture degli Ordini mendicanti, quali, a Cagliari, il S. Francesco di Stampace e ilS. Domenico e, a Sassari, la S. Maria di Betlem. Anche per il Santuario di Bona-ria potrebbe non essere estraneo l’impianto della primitiva chiesa di Valverdead Iglesias, da poco conclusa al momento dello sbarco catalano. Proprio dal-l’esempio delle chiese francescane e domenicane isolane deriva il presbiterioquadrato invece che poligonale – presente però ad Alghero e in poche chiese delMeilogu –; mentre il campanile, almeno nel meridione dell’Isola, sarà posto sullato sinistro della facciata secondo il modello della Cattedrale tardoromanica diCagliari.17 Nel settentrione le torri campanarie, forse sullo schema di quelle,sempre tardoromaniche, del S. Pietro di Silki e del Duomo di Sassari, si eleve-ranno sulle cappelle laterali, lungo i fianchi dell’edificio. Fanno eccezione, an-che in questo caso, quelle di Alghero, che nel S. Francesco e nella Cattedralesorgono rispettivamente su una cappelletta retrostante e speculare al presbiterioe sulla cappella radiale centrale.18

16 R. SERRA, L’architettura sardo-catalana, in I Catalani in Sardegna, a cura di J. Carbonell e F.Manconi, Cinisello Balsamo 1984, p. 125.

17 Ivi, p. 135.18 A. SARI, L’architettura ad Alghero dal XV al XVII secolo, in «Biblioteca Francescana Sarda», IV,

1990, pp. 8 e 13-15.

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Lo iato tra la spazialità dell’aula e quella del presbiterio del Santuario diBonaria appariva certo assai più evidente prima che la copertura lignea suarchi trasversali fosse sostituita dalla secentesca bassa volta a botte spezza-ta segnata da sottarchi. Il soffitto in legname era del resto pressoché esclusi-vo negli edifici sardo-catalani del XIV-XV secolo. Avevano coperto in legna-me, ad esempio, sempre a Cagliari anche la chiesa di S. Giacomo, parroc-chiale del quartiere di Villanova, documentata dal 1346, e quella di S. Eulalia,parrocchiale della Marina e attestata dal 1371, i cui interni, rimaneggiati inepoca posteriore, presentano oggi complesse volte a crociera. A Sassari ilavori di rifacimento della chiesa francescana di S. Maria di Betlem, esegui-ti fra il 1440 e il 1465, risparmiarono la copertura in legname, evidentemen-te conforme anche al gusto dei dominatori.19 In effetti le coperture a voltanell’aula degli edifici ecclesiastici di impronta gotico-catalana risultano quasitutte posteriori al regno di Ferdinando II.

Queste particolarità, che distinguono le architetture sorte in Sardegna nelXIV-XV secolo rispetto ai modelli d’oltremare, testimoniano, nella sintesi ditradizione italiana e novità catalana, la nascita di una modalità isolana origi-nale, pur con una preponderante connotazione catalana. Quasi una sorta diresistenza all’acculturazione imposta da un nuovo ceto egemonico, ma chenon andrà mai oltre alcune soluzioni strutturali e l’interpretazione in chiaveneoromanica della plastica architettonica.

Fa eccezione Alghero che nel 1354, trent’anni dopo la conquista catalanadella Sardegna, era diventata villa regia.20 Consapevole del suo ruolo strategi-camente indispensabile per il dominio dell’Isola, Pietro il Cerimonioso comeprimo provvedimento, scacciati gli abitanti, l’aveva ripopolata, all’interno dellepoderose mura,21 con catalani e aragonesi, ai quali dava «totes les posessions,ço és, cases e terres e vinyes del dit lloc e de son terme»,22 trasformando lafortezza sardo-genovese in una preziosa testa di ponte catalana. E schietta-mente catalana, di conseguenza, fu la sua architettura, dove l’emulazione deiraggiungimenti estetici della madrepatria si evidenzia, oltre che nell’osser-

19 A. SARI, Storia di una chiesa francescana. Santa Maria di Betlem a Sassari, in «Nuova Comu-nità», VIII, gennaio 1989, p. 21.

20 Les quatres grans cròniques cit., p. 1121; G. MELONI, L’Italia medioevale nella Cronaca diPietro IV d’Aragona, Cagliari 1980, p.151, n. 2; R. CONDE, La Sardegna aragonese cit., p.270.

21 Sul circuito murario della villa e sulla sua storia vedi G. Sari, La piazsa fortificata di Alghero,Alghero 1988.

22 Les quatres grans cròniques cit., p. 1122.

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vanza dell’unità spaziale23 (mai rispettata compiutamente altrove nell’Isola),nei partiti ornamentali.

In realtà la conquista catalana non significò per la Sardegna una rottura de-finitiva e immediata con la cultura artistica del Continente italiano, sino ad allo-ra suo referente principale. Questa, infatti, convisse con l’ideologia dei nuovidominatori, pur in un ruolo ormai marginale, almeno fino agli inizi del XV seco-lo, come testimoniano, per non citare che alcune opere d’arte figurativa, ilpolittico commissionato verso il 1340, un quindicennio circa dopo l’impresaaragonese, dal convento di San Domenico di Cagliari al pisano Maestro dellaCarità,24 stretto collaboratore di Francesco Traini (il pannello superstite, raffi-gurante S. Domenico, si trova nella Casa parrocchiale di Ploaghe), o il dossale,di cui faceva parte la Madonna del Bosco, eseguito a Genova, alla fine delTrecento, da un pittore dell’ambito di Nicolò da Voltri per la chiesa di S. Nicoladi Sassari.25 A uno scultore napoletano della cerchia del Camaino appartiene,poi, la statua di calcare del Redentore nella cripta di Santa Restituta a Cagliari;26

mentre Nino Pisano è l’autore del San Basilio marmoreo per i conventuali diOristano. Intagliati da artisti toscani alla fine del XIV secolo sono pure l’Arcan-gelo Gabriele della parrocchiale di Sagama e l’Annunciata del Duomo diOristano. L’Arcangelo ligneo fu eseguito allo scorcio del Trecento, se dobbia-mo dar credito alla lettura fatta da Francisco Vico dell’iscrizione che correvaattorno alla base (riapparsa in parte dopo l’ultimo restauro), tracciata «con letras

23 Nella chiesa di S. Francesco, per esempio, ispirata in pianta e in alzato a moduli gotico-catalani,il presbiterio, ampio e luminoso, era di altezza uguale all’aula – a differenza di ciò che si riscon-tra nelle chiese sarde di matrice catalana, in cui la navata termina in un muro dove s’apreun’abside più bassa e stretta. La diretta adesione a principi costruttivi catalani era confermatapoi, nella stessa chiesa, dalla corrispondenza fra il numero dei lati del presbiterio pentagonale(ottenuto in pianta dalla giustapposizione di un quadrato con un semiesagono) e quello dellecampate dell’aula (A. SARI, L’architettura ad Alghero dal XV al XVII secolo cit., pp. 179-183).Tale corrispondenza, propria della tradizione planimetrica catalana, non trovava confronti nel-l’Isola, se si esclude il Santuario di Bonaria – edificato da maestranze catalane tra il 1324 e il1326, nel periodo cioè che va dall’assedio di Cagliari alla presa definitiva del Castello da partedelle truppe aragonesi –, il quale, precedentemente la sistemazione dell’attuale prospetto e ilprolungamento della navata (1895), aveva anch’esso un numero di campate identico a quellodei lati del poligono absidale (R. SERRA, Il Santuario di Bonaria in Cagliari e gli inizi delgotico catalano in Sardegna, in «Studi Sardi», XIV-XV, 1958, p. 348).

24 A. CALECA, Pittura in Sardegna: problemi mediterranei, in Cultura quattro-cinquecentesca inSardegna. Retabli restaurati e documenti, Catalogo della mostra, Cagliari 1985, p. 32.

25 R. SERRA, Retabli pittorici in Sardegna nel Quattrocento e nel Cinquecento, Roma 1980, p. 10;EAD., Pittura e scultura dall’età romanica alla fine del ‘500, Nuoro 1990, p. 46 e scheda n. 17a cura di R. Coroneo.

26 Ivi, p. 56 e scheda n. 20 a cura di R. Coroneo.

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de oro goticas, que dize assí: “Questo Angelo Gabrielle fece fare discreto virodonno Simone de Sassari 1390”».27 È attribuito al Maestro dell’Annunciazionedi Montefoscoli da Gert Kreytenberg, che riferisce l’Annunciata di Oristano,già assegnata a Nino Pisano da Raffaello Delogu, al Maestro della Madonna diCerreto.28

Tuttavia i catalani, consapevoli della funzione non secondaria della culturad’immagine nel processo di colonizzazione di un popolo, diffondevano, daiprimi momenti successivi alla presa di possesso dell’Isola, l’estetica gotica inquella loro particolare accezione che improntava ben presto tutto il paese sinoallo scorcio del XVI secolo.

Se, nel 1324, quando ancora assediavano Cagliari, fondavano, come si èdetto, sul colle di Bonaria, con schemi peculiari della loro architettura e sulmodello della Sant’Àgata di Barcellona, una chiesa destinata, secondo un pri-mo progetto, a divenire la parrocchiale di una nuova città da contrapporre alCastrum pisano, nel 1326, subito dopo il definitivo ingresso nel Castello, sotto-lineavano la propria vittoria anche culturale con l’apertura della cappella goticanel braccio meridionale del transetto del Duomo, dove la matrice della nuovaconcezione dello spazio era rimarcata dalle quatres barres, che ostentatamente,con la nuova arma di Cagliari, si disponevano nei capitelli dell’arco di accessoe nella chiave di volta.

Nessuna traccia resta, sempre a Cagliari, delle primitive strutture del SanGiacomo e della Sant’Eulalia. Si può supporre che, se non furono utilizzatefabbriche precedenti, non si discostassero dalle caratteristiche di spazio e diornato delle contemporanee architetture di Catalogna.

Alla metà dello stesso XIV secolo si introduceva in Sardegna il retaule che,nato in antitesi alla pittura murale e ai dossali orizzontali e poco visibili del-l’epoca romanica, si era diffuso verso la fine del primo ventennio di quel secoloin Catalogna, distinguendone originalmente la produzione artistica per tutta l’etàgotica. Nel retaule (‘retablo’, come si dirà più comunemente dal castigliano),che deriva la propria denominazione da retrotabula altaris, cioè ‘tavola dietrol’altare’ (rerataula), si concentrava la decorazione pittorica della cappella.

Già prefigurato nei paliotti dipinti del XII secolo, che nel successivo, perragioni liturgiche (la collocazione differente del sacerdote, che celebra dando lespalle ai fedeli, e l’obbligo di elevare l’Ostia), avevano trovato collocazione

27 F. VICO, Historia general de la Isla y reyno de Sardeña, Barcellona 1639, VI, cap. V, c. 57v.28 G. KREYTENBERG, Andrea Pisano und toskanische Skulptur des 14.Jahrhunderts, Monaco 1984,

p. 140, nn. 18-19.

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dietro l’altare, sulla mensa, addossati alla parete di fondo della cappella, tra-sformandosi in dossali e pale d’altare, il retablo sembra derivare più diretta-mente dalle tavole istoriate che i francescani diffondevano nel XIII-XIV secolo inEuropa, il cui schema, esemplato nella pala duecentesca (1235 c.) di BonaventuraBerlinghieri conservata nella chiesa di S. Francesco di Pescia, prevedeva alcentro un’immagine del Santo fondatore dell’Ordine affiancata da una seriesovrapposta di scomparti con storie della sua vita.

Non doveva differire da questa tipologia la «tabulam ad altare depictam et aurostellata» del convento francescano di Reading, in Inghilterra.29 Ad un dipinto collo-cato dietro l’altare, e quindi quasi certamente ad un polittico, allude il termineretrotabularium registrato nel 1294 nella raccolta di leggi di Giacomo II di Maiorca.

Come ha sottolineato Caterina Limentani Virdis: «Se pure le antiche deno-minazioni non sembrano registrarne affatto l’importanza, appare evidente chela caratteristica saliente del polittico è la sua struttura multipla, la sua natura diorganismo complesso capace di saldare in un insieme armonioso un numerovariabile di tavole, secondo un programma iconografico e decorativo sottomes-so alla gerarchia dei soggetti e dunque all’intenzione del committente».30

La schema del retablo – con un’organizzazione degli spazi dei singoli scom-parti non solo pittorica, ma volta quasi sempre a prolungare la spazialità reale (oin maniera indeterminata col fondo oro o definita con sfondi paesaggistici), econ la suddivisione mediante montanti a pinnacolo, tra cui s’impostano, a chiu-sura delle storie laterali, archi gigliati – è allusivo all’architettura, divenendocomplemento e conclusione di quella della chiesa e del presbiterio.

Come conferma la terminologia utilizzata nei documenti catalani del XV-XVI

secolo per designare i singoli elementi del retablo, era sempre stata chiara laconsapevolezza che esso fosse una macchina architettonica e che in quanto talesvolgesse un ruolo strutturale nello spazio presbiteriale. Altrettanto chiara do-veva esserne la valenza simbolica: un’opera d’architettura, anzi, meglio, di ur-banistica, dove si realizzava, grazie al Santo patrono e al suo operato, il Regnodi Dio sulla terra, ma allusiva anche ad una dimensione ultraterrena, la città diDio, cui dovrebbero aspirare tutti i fedeli.

Il retablo presenta due parti fondamentali: una inferiore con andamento oriz-zontale chiamata predella o bancal, e l’altra di maggiore estensione verticaleche vi si appoggia superiormente. Il termine bancal ha fra gli altri il significato

29 Notizia citata in C. LIMENTANI VIRDIS – M. PIETROGIOVANNA, Polittici, San Giovanni Lupatoto2001, p. 12.

30 Ivi, p. 15.

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di appezzamento di terreno e perciò anche di terreno compreso tra le mura el’incasato della città medievale. La parte superiore ha al centro la tavola conl’effigie del santo cui è dedicato il polittico, che è detta compartiment, quindi‘compartimento’, spazio in cui è diviso il territorio di questa immaginaria cittàceleste, ma che riflette quella terrestre in cui vivono i fedeli e nella quale comein un edificio religioso sta il santo titolare. Nella zona soprastante è un pannelloquasi sempre con la Crocifissione, detto cimal che può tradursi con ‘sommità’,luogo alto e perciò luogo dove sorge il castello cittadino. Lateralmente sono idepartiments, cioè tavole di minori dimensioni organizzate in verticale in cui sisvolgono le storie e i miracoli del titolare: tavole che nei documenti catalanisono chiamate cases, ‘case’, e l’insieme delle serie verticali forma i carrers,cioè le strade. I carrers sono uniti tra loro da montanti, mentre le cases sonoseparate da archeggiature e fregi. Infine, una fascia inclinata, i polvaroli, è dettaguardapols, cioè ‘tetti della tavola’, perciò tetti della città.

Per ovviare al rischio della frammentazione compositiva e all’attenuazionedella tensione emotiva dell’osservatore, sempre presenti in opere di così vastedimensioni suddivise in pannelli di soggetti differenti, pur se sottoposti ad ununico tema, i pittori ricorrono a ferrei principi compositivi e strutturali che van-no dall’uso della prospettiva, che, per quanto possibile, unifichi lo spazio dellevarie tavole nell’unico punto di fuga centrale; alla sezione aurea; agli indicatoridi percorso e perciò di lettura progressiva delle tavole,31 principi costruttivi cheriducono l’effetto di disorganicità, quando non l’annullano del tutto, ripristinan-do l’unità spaziale ed emotiva.

Ad uno dei primi retabli importati nell’Isola è legata forse la Madonna Neradel Duomo di Cagliari, ascrivibile, per via formale, alla metà del Trecento. L’in-taglio, che sembra modellarsi su altro celebre della cattedrale di Palma diMaiorca, assai probabilmente faceva parte, come suppose lo storico GiovanniSpano, di un retablo che ornava l’altare maggiore.32

Allo scorcio dello stesso secolo un artista catalano scolpiva per il Duomo diOristano il retablo marmoreo del Rimedio, di cui avanzano alcuni elementi lateralie la statua della Vergine col Bambino. Ad un polittico pure scultorio dovevano ap-partenere nella stessa chiesa oristanese i rilievi eseguiti qualche decennio prima sulverso di due plutei marmorei romanici da un maestro della cerchia di Jaume Cascalls.33

31 Sugli indicatori di percorso vedi gli studi di R. Concas in corso di stampa.32 G. SPANO, Guida del Duomo di Cagliari, Cagliari 1856, p. 32.33 J. AINAUD DE LASARTE, Les relacions econòmiques de Barcelona amb Sardenya i la seva projecció

artística, in «VI Congreso de Historia de la Corona de Aragón», Madrid 1959, p. 638.

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I frammenti sono comunemente considerati come pertinenti ad un unico retablo,cui si potrebbe pensare abbiano lavorato due scultori diversi; in realtà sia neiframmenti riferibili al polittico della Madonna del Rimedio sia nei rilievi scolpitisul retro dei plutei romanici è raffigurata fra le altre la scena dell’Annunciazione,ora, poiché è impensabile che in un retablo sia rappresentato due volte lo stessoepisodio, non resta che considerare l’eventualità di due polittici diversi, comeindicano pure le differenze stilistiche riscontrabili nei diversi frammenti. Opinio-ne questa già espressa da Raffaello Delogu nel lontano 1952 e ripresa da AngelaMata nel 1987, la quale ultima ritiene che le due lastre scolpite nel verso dei pluteiromanici fossero non una predella, ma gli elementi laterali di un retablo del tipocatalano a sviluppo orizzontale, con al centro la statua della Madonna col Bambi-no, e che i frammenti con l’Annunciazione e l’Incoronazione della Vergine appar-tenessero ad un secondo retablo marmoreo di mano differente.34 In realtà ragioniformali sembrerebbero accostare questi ultimi alla Madonna del Rimedio, piutto-sto che i rilievi attribuiti all’ambito di Jaume Cascalls.

A questo proposito sarebbe interessante interrogarsi anche dove i due pluteisiano stati rilavorati: in Sardegna, ad Oristano, o in Catalogna? Se in Catalogna,come probabile, cadrebbe l’attribuzione ad un maestro isolano dei rilievi roma-nici e la tesi della loro presenza ab antiquo nella cattedrale oristanese.

All’attività scultoria catalana di quegli anni risale, infine, la piccola Madon-na seduta con il Bambino sulle ginocchia del Santuario di Bonaria a Cagliari.

Poco dopo la metà dello stesso secolo XIV, precisamente il 16 luglio 1364,Llorenç Saragossa – «lo millor pintor» di Barcellona, a detta di Pietro il Cerimo-nioso35 – firmava il contratto per l’esecuzione di un retablo, dedicato ai santi Ga-briele e Antonio, per una cappella della Cattedrale di Cagliari, che doveva esseregià ultimato il 30 dicembre del medesimo anno.36 Dell’opera non resta traccia,anche se non è escluso che la sua presenza possa aver influito in qualche modosugli artefici isolani. Per la stessa cappella l’anno seguente, 1365, erano spediti daBarcellona due candelabri in ferro battuto, che come ipotizza Ainaud de Lasartedovevano essere simili ad altri esemplari catalani esistenti ancora a Cipro.37

34 A. FRANCO MATA, Influenza catalana cit., p. 231 ss.35 A. RUBIÓ I LLUCH, Documents per la història de la cultura catalana mig-eval, II, Barellona

1921, doc. CLXXIV; J. GUDIOL – S. ALCOLEA I BLANCH, Pintura gòtica catalana, Barcellona1986, p. 60.

36 J. MADURELL I MARIMON, El pintor Lluís Borrassà. Su vida, su tiempo, sus seguidores y susobras, in «Anales y Boletín de los Museos de Arte de Barcelona», VIII (Apéndice documental),1950, docc. 13-15; J. AINAUD DE LASARTE, Les relacions econòmiques cit., p. 640.

37 Ivi, pp. 639-640.

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Ma artisti catalani, giunti sin dalle prime spedizioni militari di con-quista, svolgevano a quell’epoca ormai attività stabile a Cagliari, parte-cipando così fattivamente al programma di catalanizzazione anche cul-turale della Corona.

Nel 1355 Pietro il Cerimonioso, nel quadro della politica di ripopolamentodella villa di Alghero, concedeva, per esempio, il trasferimento ad Alghero alpittore catalano Pere Blanch, che risiedeva allora a Cagliari, dove teneva certa-mente bottega.38 Nel 1395 anche un altro pittore catalano, Ramonet de Caldes,viveva nel Castello di Cagliari.39

Intanto continuavano le importazioni dirette dalla Catalogna. Il 4 marzo1404, a Barcellona, Pere Serra si impegnava a dipingere per 30 lire un piccoloretablo per Arnau ça Bruguera, cittadino algherese, che saldava il pagamentoil 25 settembre successivo.40 Qualche anno prima, il 10 aprile del 1399, ancheLeonardo De Doni, membro di una famiglia di commercianti d’origine pisanastabilitasi a Cagliari, il quale svolgeva un ruolo preponderante nell’esporta-zione del corallo da Alghero a Barcellona, aveva commissionato un retablo alSerra.41 Lo stesso Leonardo De Doni, come attesta un documento del 17 mag-gio 1403, era in rapporto con Joan Mates, collaboratore di Pere Serra. SempreLeonardo si faceva forse mediatore tra Mates e un familiare, Guido, residentea Cagliari, per la realizzazione del retablo dell’Annunciazione, che era collo-cato nella cappella di patronato della famiglia De Doni nella chiesa di S. Fran-cesco di Stampace a Cagliari.

Nei frammenti rimasti – lo scomparto mediano con l’Annunciazione, la so-vrastante Crocifissione, lo scomparto laterale alto di sinistra con la Caccia di S.Giuliano, la predella con i cinque scomparti, raffiguranti da sinistra: S. AntonioAbate, S. Giovanni Battista, Cristo come Uomo dei dolori, S. Margherita e S.Caterina d’Alessandria (tutti conservati nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari) –lo stile cortese del Mates, che appare lontano dagli italianismi di Pere e dalpatetismo di Lluis Borrassà, si rivela nella eleganza del segno, che fluisce inaccordo con la soavità della gamma cromatica.

38 J. MADURELL I MARIMON, El pintor Lluís Borrassà cit., doc. 401; J. AINAUD DE LASARTE, Lesrelacions econòmiques cit., p. 640.

39 J. MADURELL I MARIMON, El pintor Lluís Borrassà cit., doc. 96; J. AINAUD DE LASARTE, La pinturasardo-catalana, in I Catalani in Sardegna cit., p. 111.

40 J. MADURELL I MARIMON, El pintor Lluís Borrassà cit., doc. 68; J. AINAUD DE LASARTE, Les relacionseconòmiques cit., p. 640.

41 J. MADURELL I MARIMON, El pintor Lluís Borrassà cit., doc. 43.

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Così nel 1861 il canonico Giovanni Spano descriveva nella sua Guida dellacittà e dintorni di Cagliari, al paragrafo dedicato alla chiesa stampacina, ilpolittico ancora intatto:

Nelle tre cappelle che stanno sotto la Tribuna o il Coro, è dove più splende ilbello antico, né meglio potria desiderarsi dai più illustri giotteschi fino al Masaccio.Non è possibile poter descrivere minutamente le tavole che stanno in queste tre cap-pelle abbandonate ed interdette. Peccato che questi preziosi tesori siano ivi non cura-ti, pieni di polvere, ed albergo dei ragni! Di più, coll’umidità che vi è continuamente,un giorno verranno a perdersi, e perciò converrebbe di toglierli, ed assegnare ad essipiù decente luogo. Nella stessa condizione erano quelle quattro tavole della Chiesa diS. Francesco d’Oristano, che abbiamo osservato in casa Decandia. Qual altro pregionon avrebbero se a queste toccasse la medesima sorte!

La prima cappella a destra attigua a quella della Visitazione che abbiamo lascia-to, è dedicata alla Annunziata che sta nello spartimento di mezzo, ingombrato da unanicchia: a sinistra vi sta un personaggio, il conte Rogerio, in abiti da Principe consproni ai piedi, un cane sotto, con un falchetto in mano ed il cappuccio per lo stessofalco. A destra un Santo Monaco in abiti ruvidi, che è S. Brunone l’institutore del-l’Ordine Certosino, il quale vivendo in una spelonca di un eremo in Calabria, vennescoperto dai cani del conte di Calabria, Rogerio, che verso quel sito attendeva allacaccia. In mezzo vi è l’Annunciazione slanciandosi una mano dall’alto sulla Vergine.Ai lati di sopra in piccola dimensione vi sta S. Giorgio a cavallo a sinistra, ed a destraun gruppo d’angeli con Gesù bambino scherzando. Nel finimento avvi ripetuta laCrocifissione, come nell’altro altare, con diversi gruppi e figure. Nell’imbasamentofinalmente altri cinque spartimenti a metà di figure di Santi e di Sante. Queste sonoornate di diademi e di fregi dorati con pietre e gemme che sembrano fatte da poco. Ivolti delle Sante sono delicatissimi, che potrebbero confondersi coi ritratti dei mi-gliori che si conoscono del Giunta Pisano. Si vedono con una tale espressione, che sipotrebbero contare i peli ad uno ad uno nello sfilamento della barba e dei capelli.

Nel pavimento di questa cappella si osserva un marmo in cui è presentato inbasso rilievo un personaggio giacente in abito lungo colle mani incrociate, ed attornol’iscrizione in caratteri gotici: Hic jacet corpus nobilis viri Domini Guido De Dono(Dedoni) mercatoris de Castro Calleris qui obiit anno Dom. 1410 indictione III die12 Mensis Decembris cujus animam [sic] requiescat in pace.42 Al lato del cuscino visono due stemmi di famiglia, uguali a quello che si vede sopra l’arcata della cappella,che forse era patronato della famiglia Dedoni, una delle più antiche di Cagliari.43

Circa un cinquantennio più tardi, il retablo, smembrato e custodito nelMuseo Nazionale di Cagliari, dopo l’iniqua legge sulla soppressione degli

42 Questa la lettura corretta: «HIC IACET CO/RPUS NOBILIS VIRI DOMINI GUIDO DE DONOMERCATORIS DE CASTRO CALLE(R)IS/QUI OBIIT ANNO D(OMI)NI MCCCCX IN/DICTIO(N)E III DIE XII MENSIS D(E)CE(M)BRIS CUIUS ANIMAM REQ(U)IESCAT INPACE AME(N)».

43 G. SPANO, Guida della città e dintorni di Cagliari, Cagliari 1861, pp. 172-173.

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ordini religiosi che aveva disperso gran parte del patrimonio artistico dellachiesa e del convento di S. Francesco di Stampace, era studiato da Carlo Aru,che esponeva le sue deduzioni nel X Congresso di Storia dell’Arte, tenuto aRoma nel 1912, pubblicandole poco dopo, in attesa degli Atti, nell’ «Anuaride l’Institut d’Estudis Catalans».44

L’Aru, però, divideva le tavole che in origine avevano costituito il retablodell’Annunciazione in due gruppi che assegnava a due polittici differenti, attri-buendo il primo, risultante di due dipinti (un Santo Cavaliere e una Crocifissio-ne), a un pittore catalano della seconda metà del Trecento con influssi toscani, eil secondo, comprendente cinque elementi di una predella raffiguranti rispetti-vamente Cristo al sepolcro e quattro santi, ad un artista della scuola di LluísBorrassà attivo nei primi anni del XV secolo. Negli Atti, apparsi soltanto nel1922, lo studioso, che manteneva la divisione in due gruppi e le attribuzioni didieci anni prima, indicava nella cappella dell’Annunziata del S. Francesco diStampace la collocazione originaria del retablo di cui avrebbero fatto parte lecinque tavole della predella.45

Nel 1927 lo stesso Aru, nel saggio intitolato Lineamenti storici della pitturasarda,46 compiva «un altro passo verso la migliore conoscenza delle relazioniintercorrenti tra queste sette tavole».47 Egli, infatti, riuniva, sulla testimonianzadella Guida del Canonico Spano, i due gruppi, che erano considerati così ele-menti del medesimo polittico descritto dallo Spano nella cappelladell’Annunziata, e ne confermava l’esecuzione ad un seguace del Borrassà.

Ancora dieci anni dopo, nel 1936, la sua attribuzione era accolta nel cata-logo del Museo Nazionale e della Pinacoteca di Cagliari, in cui RaffaelloDelogu scriveva:

Si nota in seguito un gruppo notevolissimo di opere fra le quali primeggiano,per il vivissimo goticismo, i due frammenti raffiguranti un S. Cavaliere e la Croci-fissione, parti di una stessa ancona della chiesa di S. Francesco, dove sono di facileriscontro influenze coloristiche senesi. Alla stessa ancona apparteneva la sottostantepredella con le figure del Cristo, di S. Antonio Abate, di S. Giovanni Evangelista,

44 C. ARU, Storia della pittura in Sardegna nel secolo XV, in «Anuari de l’Institut d’Estudis Catalans»,IV (1911-12), Barcellona 1913. Dieci anni dopo il saggio era pubblicato finalmente: C. ARU, Lapittura sarda nei secoli XV e XVI, in «Atti del X Congresso Internazionale di Storia dell’Arte»(1912), Roma 1922.

45 Ivi, p. 263 ss.46 C. ARU, Lineamenti storici della pittura sarda, in «Fontana Viva», II, fasc. 2, 1927, p. 11.47 R. DELOGU, Chiosa al ‘Maestro di Peñafel’, in «Annali della Facoltà di Lettere, Filosofia e

Magistero della Università di Cagliari», XIV, 1946, pp. 3-4.

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S. Caterina d’Alessandria e di un’altra Santa; la squisita e delicatissima opera fudipinta da un seguace di Louis Borrassà, attivo nei primi anni del secolo XV. Note-vole il fiabesco e lirico contrasto tra la delicata figurina dell’ultima Santa a destrae il grottesco leone. L’opera costituisce la documentazione del primo apporto pitto-rico spagnolo alla terra sarda.48

Nel 1938, Chandler Rathfon Post identificava il Santo a cavallo con S. Giu-liano Ospedaliere,49 raffigurato, secondo una diffusa iconografia derivata dallaLegenda aurea, nell’atto di ascoltare attonito, durante una battuta di caccia, laprofezia del cervo che aveva scovato dalla macchia, secondo la quale egli avrebbeucciso i genitori di sua propria mano.50

In quello stesso anno il Delogu rinveniva nei magazzini del Museo Naziona-le di Cagliari un’Annunciazione, che «per linguaggio e tecnica, oltre che perl’aderenza alla descrizione dello Spano»,51 dichiarava la sua appartenenza aquel medesimo polittico cui erano stati assegnati i sette frammenti attribuiti allascuola del Borrassà.

Si ricomponeva così l’ancona descritta nel XIX secolo dal Canonico Spano,della quale «rimangono, quindi: tutta la predella, lo scomparto centrale con l’An-nunciazione, la soprastante Crocifissione e lo scomparto superiore di sinistracon la figura di S. Giuliano. Mancano, distrutti o probabilmente emigrati, trescomparti, oltre ai polvaroles, raffiguranti, stando alla descrizione dello Spano,“il Conte Ruggero in abiti da principe”, S. Bruno da Colonia ed “un gruppod’angeli con Gesù Bambino”».52

In realtà il conte Ruggero è da identificare con lo stesso S. GiulianoOspedaliere e S. Bruno di Colonia con S. Giuliano di Padova Confessore,mentre la tavola con Gesù Bambino tra gli angeli raffigurava il divin Pargoloche gioca con i tre santi Innocenti, le cui reliquie appartennero a S. GiulianoConfessore. Le storie più popolari della legenda dei due santi, che in un retablotradizionale sarebbero state confinate nei departiments, cioè nelle cases, oc-

48 R. DELOGU, La Pinacoteca di Cagliari, in A. TARAMELLI – R. DELOGU, Il R. Museo Nazionale ela Pinacoteca di Cagliari, Roma 1936, p. 39.

49 CH. R. POST, History of Spanish painting, Harward 1938, VII, parte 2, p. 747.50 IACOPO DA VARAZZE, Legenda aurea, a cura di A. e L. Vitale Brovarone, Torino 1995, pp. 176-

177.51 R. DELOGU, Chiosa cit., p. 5. La tavola, le cui vaste cadute di colore avevano in gran parte

compromessa la lettura delle due figure, era stata restaurata nel 1935, «sotto la direzione dell’Arch.Angelo Vicario, dal sig. Guido Fiscali mediante consolidamento del supporto, stuccatura dellelacune e nuova loro campitura con tinte neutre» (ivi, p. 5, nota 7).

52 Ivi, p. 6.

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cupavano il posto di solito riservato all’arcangelo Gabriele e all’Annunciata,in questo caso titolari del polittico e della cappella e perciò collocati nelcompartiment, cioè la tavola principale.

La presenza dei due S. Giuliano sembrerebbe un omaggio al capostipitedella famiglia Dedoni, del quale erano i santi eponimi.53

L’attribuzione proposta dall’Aru era stata accolta in Sardegna, come abbia-mo visto, dal Delogu, ma anche alcuni tra i più noti studiosi stranieri di pitturacatalana avevano condiviso il suo riferimento a un seguace del Borrassà.54

Sempre nel 1938 il Post riuniva sotto la personalità di un anonimo Maestrodi Peñafel – così denominato dalla sede originaria di due ancone rispettivamen-te dedicate a S. Michele e a Santa Lucia – i sette frammenti cagliaritani, toltal’Annunciazione di cui sembrava non essere a conoscenza.55

Nell’importante Chiosa al ‘Maestro di Peñafel’, del 1946, RaffaelloDelogu descrive in maniera incomparabile quella che è la qualità formaledel Maestro di Peñafel, identificato qualche anno dopo da Joan Ainaud deLasarte in Joan Mates:56

Per il «Maestro di Peñafel» la forma è colore e nel colore si risolve tutta lafenomenica del dipinto. In quale accezione debba poi, per lui, porsi l’astratto terminedi «colore», potrà intendersi ricostruendone la stesura; quella tecnica, cioè, nellaquale si concreta, e che è, la forma stessa; campite con tinte piatte fondamentali lediverse zone cromatiche, mettiamo, della figura, il pittore ne rialza con una serie dilinee – pennellate approssimativamente parallele od incrociate – come in un affresco– le parti in maggiore aggetto fino a sciogliere in una pasta chiarissima – che ricordamolto approssimativamente il leonardesco «lustro» – le quote più rilevate. Altrettan-to, in senso contrario, avviene per le zone rientranti o in ombra. Così la forma […] sifa tumida, morbida e lievitante; i piani si sfaldano; i contorni si smagliano o addirit-tura spariscono. E ciò, s’intenda, non più per virtù di luce, e cioè tonalmente, ma per

53 Il nome del fondatore della casata, Giuliano, mi è stato segnalato dalla professoressa MariaGrazia Scano Naitza, che ha in corso di stampa un saggio sulla famiglia Dedoni e sul suo ruoloanche culturale nella Cagliari del xv secolo.

54 Vedi G. GODDARD KING, Sardinian painting, Filadelfia 1923, p. 66 (la quale tuttavia seguiva irisultati dello studio che Carlo Aru aveva presentato nell’«Anuari de l’Institut d’Estudis Catalans»del 1913, non riconoscendo l’appartenenza dei frammenti ad un medesimo polittico); G. RICHERT,Mittelalterliche malerei in Spaniel, Berlino 1925, p. 55; A.L. MAYER, Historia de la pinturaespañola, Madrid 1928, p. 312.

55 A questo proposto scrive R. DELOGU, Chiosa cit., p. 7, nota 15: «Del rinvenimento e del restaurodi questa “Annunciazione”, oltre che del suo collegamento con gli altri scomparti dell’ancona,diedi diretta comunicazione al Prof. Post nel 1938. Ignoro se Egli abbia poi pubblicato la ripro-duzione nell’occasione inviatagli e riferito sulle notizie trasmessegli».

56 J. AINAUD DE LASARTE, Tablas ineditas de Joan Mates, in «Anales y Boletín de los Museos deArte de Barcelona», IV, 1948, p. 341 ss.

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un più semplice modo di essere, in sé, del colore. Così avviene nelle ancone di S.Lucia e di S. Michele, nell’altra dei due S. Giovanni, nella predella della collezioneLatecoére e così anche nella cagliaritana ancona dell’Annunziata. Nelle quali ope-re, in pieno accordo e concomitanza con la cennata sensibilità coloristica, è mino-re, o strettamente legato alle esigenze iconografiche, il gusto del «racconto» e lediverse scene sono sentite come occasioni per il prezioso accordo dei colori nellabellezza dei pigmenti.57

Joan Mates era nato a Vilafranca del Penedès da un sellaio. In un atto del12 luglio 1391 figura come pittore residente a Barcellona. In questa notizia ein un’altra del 17 novembre del successivo 1392 appare in rapporto con ilpittore Pere Serra, uno dei quattro figli d’un sarto barcellonese, Berenguer,che dominarono durante la seconda metà del Trecento il panorama artisticodella capitale catalana. Essi condivisero la medesima bottega e furono tra ipiù prolifici produttori del tempo di retabli, commissionati loro da tutti i terri-tori della Corona catalano-aragonese.58

Il maggiore dei fratelli Serra, Francesc, può considerarsi con RamonDestorrents, dopo la morte di Ferrer e Arnau Bassa per peste nera nel 1348,l’iniziatore della scuola pittorica barcellonese. Sebbene i documenti ci con-sentano di seguirne l’attività dal 1350 fino alla morte, nel 1362, tramandando-ci preziose informazioni su stipulazioni di contratti e ricevute di pagamento,non si è potuta identificare nessun’opera di sua mano. È quasi certo tuttaviache egli sia il cosiddetto Maestro di Sixena, la cui pittura risulta formalmentevicina a quella di Jaume e Pere Serra.59

La prima notizia di Jaume è del 1358, quando firma il contratto per ilretablo di S. Michele per la cattedrale di Girona, avvallato dal fratello mag-giore Francesc. Jaume, che a quella data doveva essere un pittore già afferma-to, collaborava certamente con il fratello, come sembra confermare l’impe-gno, sottoscritto il 30 giugno 1360, a dipingere e dorare il tabernacolo dell’al-tare maggiore della chiesa del monastero di S. Pere de les Puelles, il cui retabloera commissionato a Francesc, e il fatto che due anni dopo, nel 1362, egli siincaricava di completare, insieme con l’altro fratello, Pere, il più giovane dei

57 R. DELOGU, Chiosa cit., p. 10. Le ancone citate sono quelle attribuite dal Post al gruppo delMaestro di Peñafel e restituite nel 1948 a Joan Mates da Ainaud De Lasarte.

58 Vedi J. GUDIOL – S. ALCOLEA I BLANCH, Pintura gòtica catalana cit., pp. 52 ss; per Joan Mates sirimanda all’importante monografia di R. ALCOY – M.M. MIRET, Joan Mates, pintor del GòticInternacional, Barcellona 1998.

59 J. GUDIOL – S. ALCOLEA I BLANCH, Pintura gòtica catalana cit., pp. 52-53.

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tre, la pittura del retablo che Francesc, morendo prematuramente, aveva la-sciato incompiuta. Jaume sostituiva il fratello anche nella direzione della bot-tega, nella quale ben presto brillava il genio di Pere.

Formatosi presso il fratello maggiore, la personalità artistica di Jaume èattestata dal retablo commissionatogli nel 1361 da fra Martino de Alpartir per lasua sepoltura nel convento del Santo Sepolcro di Saragozza (oggi al Museo diBelle Arti). L’opera, realizzata prima della sua collaborazione con Pere, che inquesto momento si stava ancora formando nella bottega di Ramon Destorrents,l’altro protagonista della scuola pittorica barcellonese della seconda parte delXIV secolo, dimostra la dipendenza di Jaume da Destorrents e dall’autore delretablo di Sixena, che è stato riconosciuto in Francesc Serra. Si notano, rispettoa quelli, una minore complessità compositiva e un cromatismo poco variato,anche se più delicato. Il 19 aprile 1389 faceva testamento e di lui non si hannopiù notizie fino al 1395, quando risulta già defunto.60

Di Pere, il minore dei tre, possediamo un’abbondante documentazione, chedall’inizio del suo apprendistato nella bottega di Ramon Destorrents, previstodella durata di quattro anni nel contratto stipulato il 14 aprile 1357, giunge finoalla sua morte, avvenuta fra il 1405 e il 1408. Come scrive Josep Gudiol i Ricart:«Il fatto che la sua formazione avvenisse nella bottega di Ramon Destorrents enon in quella dei suoi fratelli dimostra la stretta relazione esistente fra i pittoribarcellonesi di quell’epoca».61 Nel 1362, anno della conclusione del suo tiroci-nio, morivano il maestro Destorrents e il fratello Francesc, e Pere entrava a farparte dell’impresa familiare, impegnandosi con Jaume a condurre a termine ilretablo per la chiesa di S. Pere de les Puelles, che Francesc non aveva fatto intempo a finire.

La collaborazione con Jaume durò oltre venticinque anni e, alla morte diquesti, Pere assumeva il comando della bottega, mantenendo un’elevata produt-tività grazie all’aiuto di collaboratori – quali Joan Mates, che, alla sua morte, il20 aprile 1409 si sarebbe incaricato di completare il retablo di S. Tommaso e S.Antonio commissionato al maestro per una cappella del chiostro della Cattedra-le di Barcellona e rimasto incompiuto; Mateu Ortoneda e Pere Vall – e discepo-li, come il fratello Joan, il perpignanese Jalbert Gaucelm e Tomàs Vàquer.62

60 Ivi, pp. 53-55.61 Ivi, p. 55: «El fet que la seva formació es produís al taller de Ramon Destorrents i no en el dels

seus germans demostra l’estreta relació que hi devia haver entre els pintors barcelonins d’aquellaèpoca».

62 Ibid.

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La bottega di Pere, malgrado la presenza nella capitale di Lluís Borrassà eJoan Mates, che avevano fatto proprie le novità formali del Quattrocento euro-peo, risultava fino alla prima decade del XV secolo ancora la più efficiente. Unodegli ultimi contratti firmati da Pere Serra fu quello stipulato il 4 marzo 1404con l’algherese Arnau ça Bruguera.

Lo stile di Pere Serra rivela la sua formazione nelle botteghe del Destorrentse del fratello Jaume, ma vi si distacca per la sensibilità narrativa, che si manterràin tutta la sua produzione, e la ricchezza compositiva. «Le sottili armoniecromatiche, l’eleganza delle figure e l’abilità nel disporle in suggestivi paesag-gi, tanto rurali come urbani, sono alcune altre caratteristiche che differenzianocon chiarezza l’arte di Pere Serra».63 Negli ultimi anni della sua attività, forsesotto l’influsso di Joan Mates, egli si avvicina timidamente al gusto internazio-nale, imprimendo maggiore movimento alle figure, attraverso la gestualità e ilfluttuare delle vesti, e più accentuati contrasti cromatici.64

Joan Mates è documentato a Barcellona come pittore dal 1391, ma in realtàfino al 1406 non si hanno notizie della sua attività come artista indipendente, se siesclude l’impegno stilato il 31 luglio 1400 con la confraternita di S. Eligio e S.Matteo di concludere il retablo per la cappella della chiesa del Carmelo di Manresa,che era stato commissionato al pittore fiammingo Jaume Lors, residente allora aBarcellona, il quale però, appena ingessate le tavole, era tornato in patria.65 Piùnumerosi sono invece i riferimenti, in quegli anni, ai suoi rapporti con i pittoribarcellonesi Mateu Ortoneda, Guillem Ferrer, Guerau Gener e, soprattutto, PereSerra, di cui fu valido collaboratore – come si è detto, dopo la morte di Pere fu luia portare a termine il lavoro lasciato incompiuto dal maestro.66

Dal 1406 la documentazione relativa all’attività pittorica di Mates divienepiù frequente e regolare. Dopo la commissione di un retablo per la cappella diS. Anna e S. Michele della Cattedrale di Barcellona, gli atti d’archivio registra-no numerosi altri incarichi assolti dal pittore nella Capitale del regno e nei terri-tori della Corona.

Per poter onorare le rilevanti richieste, che hanno spinto a considerarlo l’erededi Pere Serra nell’ambito pittorico catalano,67 Mates dovette servirsi di uno stuolo

63 Ivi, p. 57: «Les subtils harmonies cromàtiques, l’elegància de les figures i l’habilitat a disposar-les en els suggestius paisatges, tant rurals com urbans, són unes altres característiques quediferencien amb claredat l’art de Pere Serra».

64 N. DE DALMASES – A. JOSÉ I PITARCH, L’art gòtic cit., p. 168.65 J. GUDIOL – S. ALCOLEA I BLANCH, Pintura gòtica catalana cit., p. 88.66 Ibid.67 Ibid.

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di aiuti e collaboratori, il principale dei quali fu il figliastro Francesc Oliva.Questi, che figurava come pittore dal 1408, moriva però prima del 1431. Quasicertamente faceva parte della bottega del Mates anche il figlio Bernat, docu-mentato fra il 1425 e il 1462, della cui attività pittorica non si ha altra notiziache quella relativa ad un retablo eseguito per il castello di Vacarisses nel 1436.68

Nel 1426 iniziava l’apprendistato nella bottega del Mates il quattordicenneFrancesc Mates, figlio di un sarto barcellonese forse legato al pittore da vincolidi parentela. Collaboratore stabile sembra sia stato l’imatger Colino, che il Matesricorda nel suo testamento, redatto il 29 agosto 1431. Doveva essere l’ebanistache eseguiva la preparazione e l’intaglio dei retabli del pittore.69

Come attestano le opere documentate – il retablo dei santi Ambrogio eMartino nella Cattedrale di Barcellona, quello di S. Sebastiano per la cappelladel refettorio della Pia Almoina di Barcellona e il retablo maggiore della chiesaparrocchiale di Vilarodona – e le altre che gli si possono attribuire attraversol’analisi formale – come, per esempio, il retablo dei santi Lucia e Michele delSantuario di Peñafel e quelli di S. Giacomo di Vallespinosa, dei santi GiovanniBattista e Evangelista, dell’Annunciazione del S. Francesco di Cagliari –, JoanMates è un artista di grande talento:

Dotato di una personalità propria e creatore di una tipologia di facile identificazio-ne, non conserva, almeno nelle opere che sono arrivate sino a noi, la più piccola tracciadello stile di chi probabilmente fu il suo maestro, Pere Serra. Tanto meno accusa l’in-fluenza di Lluis Borrassà, il pittore barcellonese di più rilievo durante gli anni in cuiJoan Mates svolse la sua attività. Mates rappresenta tuttavia una modalità distinta nellacosiddetta pittura «internazionale», più prossima alle correnti stilistiche che si svilup-parono nella regione che comprende il nord della Francia e i paesi Bassi e che ebberouna grande risonanza nelle terre valenzane. Si tratta di un’arte che concede un’atten-zione particolare al gesto dei personaggi, sempre eleganti e distinti, e che evita i violen-ti scorci borrassaniani. Il disegno, corretto e d’una grande sensibilità, si manifesta inmaniera speciale nei soavi ritmi suggeriti dalle pieghe delle vesti.70

68 Ibid.69 Ibid.70 Ivi, p. 90: «Dotat d’una personalitat pròpia i creador d’una tipologia de fàcil identificació, no

conserva, si més no en les obres que ens n’han arribat, la més petita traça de l’estil del quipossiblement fou el seu mestre, Pere Serra. Tampoc no acusa la influència de Lluís Borrassà, elpintor barceloní de més pes específic durant els anys que Joan Mates desplegà la seva activitat.Mates representa tanmateix una modalitat distinta dins la denominada pintura “internacional”,més d’acord amb els corrents estilístics que es desenrotllaren a la regió que comprèn el nord deFrança e els Països Baixos i que tingueren un gran ressò per terres valencianes. Es tracta d’unart que concedeix una atenció particular al gest dels personatges, sempre elegants i distingits, ique evita els violents escorços borrassanians. El dibuix, correcte i d’una gran sensibilitat, esmanifesta d’una manera especial en els suaus ritmes suggerits pels plecs de la indumentària».

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Protagonista della sua pittura è quasi esclusivamente la figura umana, il cuielegante atteggiarsi conferisce un’aura profana anche agli episodi religiosi, se-condo modalità proprie dell’arte cortese nordeuropea. S. Giuliano del politticodi Cagliari; S. Sebastiano del retablo della Pia Almoina; S. Giovanni Battista eS. Giovanni Evangelista del retablo dei Santi Giovanni; S. Martino del retablodi S. Martino e S. Ambrogio nella cattedrale di Barcellona; S. Michele Arcange-lo del retablo di S. Maria di Peñafel; S. Lucia del retablo omonimo già nelmedesimo monastero di Peñafel; S. Margherita del retablo di Valldonzella paio-no più paggi e dame di una corte terrena che abitatori del paradiso cristiano.71

Per Rosa Alcoy e Maria Montserrat Miret il retablo dell’Annunciazione diCagliari sarebbe tra le prime opere eseguite dal Mates, anteriore perfino al retablodi S. Jaume di Vallespinosa, databile intorno al 1406-1410. Le forme «arroton-date e piene» di S. Antonio, S. Giovanni Battista, S. Margherita o S. Caterinainfatti non hanno ancora perduto l’impronta medievale, e anche il Cristo in pie-tà, malgrado il comprensibile espressionismo, non può ancora dirsi inserito deltutto nel clima internazionale. La tavola del Calvario mostra rispetto ad altresue pitture dello stesso tema una maggiore freschezza e la caccia di S. Giulianoprende come modello immediato la tavola dipinta nella bottega di Pere Serraper il retablo dei santi Giuliano e Lucia del convento del S. Sepolcro di Saragozza.

Malgrado la sua parziale sfortunata distruzione, il retablo di Cagliari è una dellecostruzioni figurative più singolari dipinte nella bottega di Joan Mates […] Le im-pertinenti lacune che profanano la pittura di Mates non devono essere d’ostacolo pervedere in questa opera alcuni dei frammenti pittorici più teneri del primo GoticoInternazionale catalano. Non ci deve sedurre lo stato rovinoso della superficie pitto-rica, ma ciò che si percepisce al di là di questo come una delle pagine in cui si forgiala pienezza artistica del maestro di Vilafranca già prima del 1410. Le linee si modu-lano, i meandri si fanno più presenti, per creare un’arte sofisticata che non dimenticala lezione dell’italianismo.72

Nella tavola con l’Annunciazione sono già presenti le peculiarità formali dellapittura di Mates: l’architettura relegata nello sfondo, ma che sopravanza lateral-

71 N. DE DALMASES – A. JOSÉ I PITARCH, L’art gòtic cit., p. 220.72 R. ALCOY – M. M. MIRET, Joan Mates cit., p. 47: «Malgrat la seva desafortunada destrucció

parcial, el retaule de Càller és una de les construccions figuratives més singulars que pintà el tallerde Joan Mates […] Les impertinents llacunes que profanen la pintura de Mates no han de serobstacle per veure en aquesta obra alguns dels fragments pictòrics més tendres del primer GòticInternacional català. No ens han de seduir l’estat ruinós de la superfície pictòrica sinó el que espercep més enllà d’aquest com una de les pàgines en què es forja la plenitud artística del mestrevilafranquí ja abans del 1410. Les línies es modulen, els meandres es fan més presents, per a crearun art sofisticat que no oblida la lliçó de l’italianisme».

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mente; i personaggi ravvicinati; il dialogo sottolineato dal gioco eloquente dellemani, cui si unisce qui, sonora come uno squillo di tromba, la mano benedicentedall’alto di Dio Padre; l’eleganza del ritmo compositivo, con gli ampi mantelliche si svolgono sinuosi e, consentanei con l’intimità dell’episodio, quasi si salda-no tra loro in una sorta di fusione mistica; il raffinato accordo cromatico e nonultimo il punteggiato che orla le aureole e le vesti, rialzandone il colore.

Joan Mates il 21 settembre 1415 era testimone di un contratto stipulato daBerenguer Carròs, conte di Quirra, con Ramon des Feu, decoratore di Barcellona,per la pittura di uno scudo,73 mentre lo stesso conte affidava a Pere Alexandrequella delle bandiere e dei pennoni di una galea.74

Ad artista di area catalana risale poi il Crocifisso detto di Nicodemo cu-stodito nel S. Francesco di Oristano. Databile ai primordi del secolo, la scul-tura ripropone, attraverso il Devot Christ (1307) della Cattedrale di Perpignano,il tipo renano del crocifisso gotico doloroso, in cui pietà e orrore si fondononella violenza della rappresentazione. Il torace espanso, il ventre incavato, ilcapo abbandonato sul petto, l’audace flessione delle gambe e il conseguenteesasperato sporgere delle ginocchia, i piedi lacerati dal lungo chiodo sarannopoi ripresi, dal XVI al XVII secolo, in tutta una serie di Crocifissi scultorii epittorici isolani.75

Un altro tema legato alla Passione di Cristo, diffuso in Sardegna in etàcatalana, è il Compianto scultorio. Tra i gruppi più notevoli e meglio conservatisono quello in terracotta di San Giacomo a Cagliari; l’altro della Cattedraledella stessa città, in cui alle statue lignee è accostata una Vergine in terracottaappartenente ad altro gruppo poco più tardo; e, infine, il Compianto di SantaMaria di Betlem a Sassari. Esemplati su modelli catalani, sono tutti ascrivibilialla seconda metà del Quattrocento.

Nel primo quarto del XV secolo, un pittore tarragonese, assai prossimo alMaestro di La Secuita, dipingeva il retablo per la chiesa di San Martino diOristano, in cui, come mostrano i due frammenti custoditi nell’Antiquariumcittadino, le esperienze italiane appaiono ormai calate nel gusto internazionale.

Probabilmente ad Álvaro Pirez, un artista iberico che aveva allora bottega aPisa, si affidava, infine, intorno al 1420, l’esecuzione del polittico per la cappel-

73 J. MADURELL I MARIMON, El pintor Lluís Borrassà cit., VII, 1949, reg. 212; J. AINAUD DE LASARTE,Les relacions econòmiques cit., p. 641.

74 J. MADURELL I MARIMON, El pintor Lluís Borrassà cit., VII, 1949, reg. 10; J. AINAUD DE LASARTE,Les relacions econòmiques cit., p. 641.

75 A. SARI, Il Cristo di Nicodemo nel S. Francesco di Oristano e la diffusione del Crocifissogotico doloroso in Sardegna, in «Biblioteca Francescana Sarda», I, n. 2, 1987.

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la della Madonna dei Martiri, nel chiostro di San Domenico a Cagliari, di cuiresta la tavola con la Vergine e il Bambino (ora nella Pinacoteca Nazionale diCagliari), di evidente influsso senese.76

Per quanto le opere citate, mancando i riscontri d’archivio, possano esseresolo attribuite, le fonti documentarie, nondimeno, confermano, anche per il XV

secolo, le numerose commissioni ad artisti catalani e la presenza di alcuni diessi in Sardegna. Presenza che, seppure momentanea, deve aver contribuito aindirizzare in senso sempre più ispanico l’arte nell’Isola. Ricordiamo Pere Closa,pittore barcellonese, che il 26 giugno 1433 affidava la sua bottega di Barcellonaal collega Pere Deuna per il periodo della sua permanenza in Sardegna.77

Qualche anno prima, nel 1429, Pere Alexandre, il pintor cortiner di cui si èdetto precedentemente, aveva affrancato il suo schiavo sardo, Antoni Despasa,che negli anni 1437-49 avrebbe esercitato liberamente il mestiere di pittore aBarcellona.78

Bernat Martorell, attivo nella capitale catalana dal 1427 alla morte, il 17ottobre 1452 riceveva da Miquel Salou la somma di 40 lire come acconto perl’esecuzione di un retablo destinato in Sardegna.79 Ma egli moriva il 23 dicem-bre senza avere, presumibilmente, condotto a termine l’incarico. L’8 marzo 1455il pittore valenzano Miquel Nadal, che aveva rilevato la sua bottega, riscuotevaun acconto di 10 lire delle 30 richieste per un retablo da inviare in Sardegna.80

Non sappiamo se si trattasse della stessa commissione o di un nuovo ordine.Certo è che, se mai fu eseguita, non esiste più nell’Isola un’opera che si possaaccostare allo stile del Martorell o di Miquel Nadal.

Il 22 febbraio 1455, a Cagliari, i pittori Rafael Tomàs, di Barcellona, e JoanFiguera, originario di Cervera, si impegnavano con il guardiano dei MinoriConventuali, Miquel Gros, e con il mercante Francesc Oliver, a realizzare per lachiesa di Stampace, entro un anno dal contratto, un retablo con le storie di SanBernardino da Siena.81

76 R. SERRA, Pittura e scultura cit., pp. 96 e scheda n. 39 a cura di R. Coroneo.77 J. AINAUD DE LASARTE, La pittura sardo-catalana cit., p. 118.78 J. MADURELL I MARIMON, El pintor Lluís Borrassà cit., VII, 1949, regg. 10, 174; J. AINAUD DE

LASARTE, Les relacions econòmiques cit., pp. 640-641.79 J. GUDIOL – S. ALCOLEA I BLANCH, Pintura gòtica catalana cit., p.124.80 J. GUDIOL – S. ALCOLEA I BLANCH, Pintura gòtica catalana cit., p. 130.81 C. ARU, Raffaele Thomas e Giovanni Figura, pittori catalani, in «L’Arte», XXIII, 1920, p. 136

ss; C. ARU, La pittura sarda nel Rinascimento, II. I documenti d’archivio, in «Archivio StoricoSardo», XVI, 1926, pp. 194-195; C. MALTESE, Arte in Sardegna dal V al XVIII, Roma 1962, pp.203-204; R. SERRA, Retabli pittorici in Sardegna cit., pp. 39-42, scheda 3; R. SERRA, Pittura escultura cit., pp. 97-101 e scheda n. 41 di R. Coroneo.

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Al polittico, conservatosi pressoché intatto – ancora nella seconda metà del-l’Ottocento Giovanni Spano lo descrive completo di polvarolo,82 del quale orarestano solo nove pannelli con figure di profeti, esposti con il retablo nella Pina-coteca Nazionale di Cagliari –, intervenne, però, anche un terzo pittore, cui sidevono il guardapols e le due tavole centrali più alte con la Crocifissione e ilCompianto, ad esclusione della figura di Cristo.83 Al Tomàs, stilisticamente legatoa Lluís Dalmau e al fiamminghismo iberico, spettano il comparto principale con ilSanto sorretto dagli angeli e le sei scene laterali, mentre al Figuera la predella.

Joan Figuera – che, a differenza del Tomàs, partito nel 1456 per Napoli,rimase a Cagliari sino alla morte avvenuta fra il 1477 e il 147984 – fu l’esecuto-re, intorno al 1459, anche della pala con i santi Pietro Martire e Marco Evange-lista per la cappella dei Calzettai in San Domenico a Cagliari, in cui appareancora evidente la sua dipendenza dai modi di Rafael Tomàs.

Nel retablo per il S. Lucifero, sempre a Cagliari, che può considerarsi la suaopera più matura e del quale purtroppo rimane la sola predella con sette scom-parti nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari, egli mostra, invece, uno stile piùoriginalmente personale, in cui prevalgono i contrasti cromatici e le luci riflessedi ascendenza huguettiana.

A Sassari aveva bottega, alla fine del secolo, un altro pittore catalano, JoanBarceló,85 nativo di Tortosa, ma nel 1485 residente a Barcellona. Di lui, che,sposatosi a Sassari nel 1510, risulta attivo in Sardegna fino al 1516, non restache l’ancona firmata per la cappella della Visitazione nel San Francesco diStampace, ora nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari. Precedentemente, nel1488, aveva eseguito un retablo, oggi perduto, per l’altare maggiore della rin-novata chiesa dei Conventuali di Alghero,86 e nel 1508 aveva firmato un con-tratto per il polittico presbiteriale della Santa Maria del Pi di Barcellona,87 chequasi certamente non fu mai realizzato.

L’opera cagliaritana, che nel 1861 era già priva di predella e polvaroli,88 ciconsente di inserire entro un ambito culturale ancora manifestamente valenzano-fiammingo la produzione del Barceló. È, infatti, strettamente collegabile al

82 G. SPANO, Guida della città cit., pp. 173-174.83 C. MALTESE, Arte in Sardegna cit., p. 203.84 G. OLLA REPETTO, Contributi alla storia della pittura sarda nel Rinascimento, in «Commentari»,

XV, 1964, p. 123.85 C. ARU, La pittura sarda cit., pp. 164-165.86 C. ARU, Un documento definitivo per l’identificazione di G. Barcelo, in «Annali della Facoltà di

Filosofia e Lettere della R. Università di Cagliari», III, 1931, p. 169 ss.87 CH. R. POST, A History of Spanish Painting cit., p. 467, n. 13.88 G. SPANO, Guida della città cit., p. 171 ss.

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fiamminghismo di Joan Rexach, di cui fu probabilmente allievo. All’insegna-mento del maestro valenzano appartengono la Crocifissione – che tuttavia hacome prototipo quella del retablo della Santa Croce, dipinto da Miquel Alcanyístra il 1403 e il 1409 per la cappella di Nicolàs Pujades in San Domenico aValencia – e, anche iconograficamente, la Pentecoste e la Sant’Apollonia. Que-st’ultima, poi, mutua dalla Sant’Orsola del retablo di Cubells, compiuto dalRexach nel 1458, oltre alla fisionomia e all’attitudine un po’ rigida pure ilfrangersi delle vesti.

Della sua bottega faceva parte quasi certamente Nicolau de Liper, pittore diSassari, il cui figlio quattordicenne, Francesco, nel 1518, alla morte del padre,entrava come apprendista a Barcellona dal pittore napoletano Nicolau deCredensa.89

Accanto a retabli interamente pittorici continuavano a prodursi quelli cheaccoglievano in luogo della tavola centrale la statua del titolare. Ad una struttu-ra siffatta dovevano appartenere la bella effigie lignea della Vergine col Bambi-no del Santuario di Valverde, presso Alghero, opera di un maestro catalano dieducazione nordica databile alla seconda metà del XV secolo,90 e la Madonnadel Fico in San Pietro di Silki a Sassari. Eseguita pure in Catalogna, ma aiprimissimi del Quattrocento, è la Madonna seduta col Bambino sulle ginocchiain Santa Maria di Betlem a Sassari. Degli ultimi del secolo è, invece, la grandestatua della Vergine di Bonaria, nell’omonimo Santuario cagliaritano, intagliataprobabilmente a Napoli, o in Sicilia, come farebbe pensare la qualità del legnoutilizzato, il carrubo, da un maestro di cultura ispanica.91

89 J. AINAUD DE LASARTE, Les relacions econòmiques cit., p. 643.90 A. SARI, L’arte, in F. MANUNTA – A. SARI, Il Santuario di Valverde tra arte, storia e leggenda,

Alghero 1994, pp. 43-44; vedi pure M. G. SCANO NAITZA, Percorsi della scultura lignea inestofado de oro dal tardo Quattrocento alla fine del Seicento in Sardegna, in Estofado de oro.La statuaria lignea nella Sardegna spagnola, Catalogo della mostra, Cagliari 2001, pp. 25-26;e, nello stesso Catalogo, la scheda 54 a cura di M. Porcu Gaias.

91 C. MALTESE, Arte in Sardegna cit., p. 207, scheda n. 72 a cura di R. Serra; R. SERRA, Per il‘Maestro della Madonna di Bonaria’, in «Studi Sardi», XXI, 1968-1970, pp. 52-72; EAD.,Pittura e scultura cit., pp. 68-77, e scheda n. 29 a cura di R. Coroneo.

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1. Joan Mates, Retablo dell’Annunciazione (prima del 1410), Cagliari,Pinacoteca Nazionale.

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2. Joan Mates, Retablo dell’Annunciazione (prima del 1410), Santa Margherita,part. della predella, Cagliari, Pinacoteca Nazionale

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