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5 LIMPRESA ITALIANA NELLECONOMIA GLOBALE Infrastrutture e reti per crescere in Europa A. Majocchi Un “Piano Delors” aggiornato per recuperare competitività G. M. Gros Pietro I trasporti in Italia: situazione e prospettive guardando all’Europa E. Pontarollo La possibile convergenza nelle autostrade della comunicazione tra reti fisse e reti mobili BIMESTRALE DI POLITICA ECONOMICA AGOSTO 2006 Tavola Rotonda “L’Europa tra crisi e rilancio” PARLAMENTO EUROPEO - BRUXELLES Interventi di: Paolo Gnes - Alberto Majocchi - Roberto Nigido Graham Watson - Elmar Brok - Jo Leinen Rocco Cangelosi - Pierre Jonckheer

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L’IMPRESA ITALIANA NELL’ECONOMIA GLOBALE

Infrastrutture e reti per crescere in Europa

A. MajocchiUn “Piano Delors” aggiornato

per recuperare competitività

G. M. Gros PietroI trasporti in Italia:

situazione e prospettiveguardando all’Europa

E. PontarolloLa possibile convergenza

nelle autostradedella comunicazione

tra reti fisse e reti mobili

BIMESTRALE DI POLITICA ECONOMICA

AAGGOOSSTTOO 22000066

Tavola Rotonda“L’Europa tra crisi e rilancio”PARLAMENTO EUROPEO - BRUXELLES

Interventi di:Paolo Gnes - Alberto Majocchi - Roberto Nigido

Graham Watson - Elmar Brok - Jo LeinenRocco Cangelosi - Pierre Jonckheer

Comitato scientifico

Paolo Gnes

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Boris Biancheri

Patrizio Bianchi

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Marco Onado

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Franco Varetto

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Alberto MucciSegreteria di redazione Priscilla Bigioni

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Bimestrale di politica economican. 5 - Agosto 2006

Copyright 2005 Cerved B.I. SpA. Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati Testata registrata al Tribunale di Roma al n. 409 del 19 ottobre 2005

L’ IMPRESA ITALIANA NELL’ECONOMIA GLOBALE

‹ editoriale ›

‹ editoriale ›Più efficienza e più risorsedi Paolo Gnes

Una componente essenziale della strategia di rilancio dell’economia europea, delineata dal Libro Bianco diDelors nel 1993 e recepita nell’Agenda di Lisbona nel 2000, è la realizzazione delle reti transeuropee dei tra-sporti, dell’energia e delle telecomunicazioni (Trans European Networks-TEN).

Il quadro d’insieme degli interventi da realizzare è stato definito dall’Unione Europea d’intesa con gli Statimembri. Esso prevede, in particolare, le principali direttrici dei trasporti ferroviari, stradali, aerei, marittimi, flu-viali con le relative interconnessioni, lo schema di massima dei collegamenti energetici (idrocarburi ed elettri-cità), le linee di sviluppo delle “autostrade informatiche” (connessioni a banda larga e Progetto Galileo).

L’attuazione di questi interventi è necessaria per il funzionamento del mercato interno, per l’effettiva unifi-cazione dell’Europa, per il rafforzamento della competitività delle imprese, per la realizzazione – unitamentealle politiche per l’istruzione, la ricerca e l’innovazione – di quella società dell’informazione che è alla base delmodello di sviluppo che vogliamo perseguire.

Gli investimenti nelle reti transeuropee – e nelle altre infrastrutture materiali e immateria-li – contribuirebbero quindi non solo al sostegno della domanda, ma anche allo sviluppodell’offerta, sia direttamente sia indirettamente, per i loro positivi effetti sulla produttivitàglobale, sulla competitività e sulla crescita potenziale. Andrebbero pertanto realizzati conelevata priorità quale importante componente di uno sviluppo qualificato.

Viceversa anche la realizzazione delle TEN, come degli altri progetti previsti dall’Agendadi Lisbona, sta procedendo a rilento, nonostante le ripetute dichiarazioni di volontà delConsiglio Europeo e i conseguenti progetti-stralcio predisposti dalla Commissione. Il ritar-do è particolarmente grave in Italia, ove il gap infrastrutturale continua a crescere.

Le ragioni di tali ritardi, quando non derivanti da difficoltà tecnico-operative, sono prin-cipalmente due: la lentezza del processo decisionale e i limiti di finanziamento.

La lentezza del processo decisionale dipende dalla complessità della struttura di gover-nance: l’Unione Europea promuove la definizione del quadro d’insieme e può incentivarne l’attuazione con-cedendo contributi in conto capitale, in verità molto modesti, ma l’attuazione resta di competenza degli Statimembri i quali devono a loro volta acquisire il consenso delle Regioni nonché degli enti e delle comunità loca-li. Il ruolo dell’Unione è essenziale, ma sarebbe ben più incisivo se la sua struttura di governo le consentisse diintervenire anche nell’attuazione. Quanto alla tutela dell’ambiente e delle comunità locali, è necessario adot-tare procedure più efficienti.

I limiti di finanziamento derivano essenzialmente dalla ristrettezza del bilancio comunitario e dalle politichedi riequilibrio dei disavanzi pubblici imposte agli Stati membri prima dai vincoli di Maastricht per l’ingresso nel-l’euro e poi dal Patto di stabilità.

Un efficiente finanziamento delle infrastrutture coerente con i vincoli di bilancio, che vanno rispettati, richie-de innanzitutto una rigorosa selezione dei progetti attuabili con le risorse pubbliche disponibili, sulla base diuna valutazione oggettiva della loro validità economica e sociale (analisi costi - benefici) e della loro coerenzacon gli obiettivi da perseguire.

Per massimizzare il volume di investimenti attivabili con le risorse pubbliche disponibili, occorre promuove-re l’adozione di moduli operativi coerenti con il finanziamento privato, quali il project financing e i partenaria-ti pubblico-privati (PPP). L’entità delle infrastrutture finanziabili dipende quindi in larga misura dalla loro validitàeconomica: quanto più i prezzi richiedibili a fronte dei servizi offerti sono in grado di coprire i relativi costi, inclu-sa la remunerazione del rischio, tanto più esse sono finanziabili privatamente e quindi sottratte al vincolo dibilancio.

Per quanto comprimibile con la selezione dei progetti e il ricorso al finanziamento privato anche attraversouna maggiore correlazione dei prezzi ai costi, necessaria soprattutto in Italia, il finanziamento pubblico restacomunque essenziale per la realizzazione delle infrastrutture e in particolare delle reti transeuropee.

Un maggiore apporto da parte dell’Unione, finanziato con l’emissione di obbligazioni (Union Bonds),darebbe quindi un importante impulso allo sviluppo infrastrutturale europeo senza far venir meno nella sostan-za, data la finalità dell’operazione, l’ortodossia finanziaria dell’Unione.

sommario N. 5 - AGOSTO 2006

Infrastrutture e reti per crescere in Europa

Alberto MajocchiUn “Piano Delors” aggiornato pag. 3per recuperare competitività

Gian Maria Gros PietroI trasporti in Italia: pag. 10situazione e prospettive guardando all'Europa

Enzo PontarolloLa possibile convergenza nelle autostrade pag. 18della comunicazione tra reti fisse e reti mobili

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Tavola Rotonda: Cerved – ALDE pag. 27“L’Europa tra crisi e rilancio”Interventi di:Paolo GnesAlberto MajocchiRoberto NigidoGraham WatsonElmar BrokJo LeinenRocco CangelosiPierre Jonckheer

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Libri in vetrina pag. 46

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UN “PIANO DELORS” AGGIORNATO PER RECUPERARECOMPETITIVITÀ

Come rispondere al declino dell’Europa? L’Autore analizza le cause di questo declino

(in particolare l’incompleta realizzazione del mercato interno, soprattutto per quanto riguarda

il settore dei servizi) e si sofferma sulle necessità di una politica delle infrastrutture,

quale fattore trainante per una crescita nel quadro della progressiva realizzazione

dell’Agenda di Lisbona, finanziata con l’emissione di Union bonds.

Una stima dei possibili effetti è stata fatta dall’ISAE…

Il tema della costruzione delle infrastrutture necessarieper il buon funzionamento del mercato unico euro-

peo, ossia del completamento su scala continentale dellereti di trasporto, di trasmissione dell’energia e delle auto-strade dell’informazione ha assunto un’importanza cre-scente nell’ultimo decennio. In realtà, nella visione tradi-zionale la politica delle infrastrutture o, più in generale,degli investimenti pubblici viene considerata come unostrumento per eccellenza di una politica della domanda,in un’ottica tipicamente keynesiana. Nella realtà attuale,in particolare nell’ultimo decennio,la realizzazione di infrastrutture e direti viene considerata invece, e agiusto titolo, uno strumento fonda-mentale di politica dell’offerta inquanto destinato a rafforzare lacompetitività di un sistema produt-tivo e ad incrementare il tasso dicrescita potenziale dell’economia.Per questo nel dibattito di politicaeconomica europeo – e non solonel dibattito italiano – questo temaè stato al centro dell’attenzione e siè posto ripetutamente l’accentosulla necessità di conseguire l’obiet-tivo di un completamento delle retiinfrastrutturali.

Resta tuttavia indiscutibile il fattoche i numerosi progetti che sullacarta sono stati definiti in realtà sisono tradotti in un numero moltolimitato di realizzazioni. E la giustifi-cazione principale di questa limita-

tezza di risultati conseguiti è legata ai vincoli finanziari chegravano sui maggiori paesi, da un lato, e, d’altro lato, allelimitate dimensioni del bilancio comunitario, che ha unastruttura molto rigida e non consente di finanziare un’ac-cresciuta spesa per investimenti infrastrutturali. Di conse-guenza, non si sono manifestati effetti positivi sulla com-petitività e sulle dimensioni del reddito potenziale, e lacapacità dell’economia europea di mantenere elevati tassidi sviluppo in un contesto globalizzato – dove le impreseeuropee devono fronteggiare non soltanto la concorren-

za tradizionale delle imprese ame-ricane e giapponesi, ma anchequella dei paesi industrialmenteemergenti – si è fortemente atte-nuata, soprattutto dopo l’avviodell’Unione monetaria, con conse-guenze negative anche per quan-to riguarda l’atteggiamento dell’o-pinione pubblica rispetto agli svi-luppi del processo di integrazioneeuropea.

Il declino relativo dell’Europa

In effetti, l’esito negativo deireferendum francese e olandeseha sottolineato in modo esplicitol’esistenza di una forte delusionenei confronti dei risultati raggiuntidall’Unione, soprattutto rispetto airisultati raggiunti sul terreno eco-nomico. Per dare un’immagineimmediata del declino relativo

ALBERTO MAJOCCHI

Presidente dell’ISAE (Istituto di Studi e AnalisiEconomica) dal marzo 2003. ProfessoreOrdinario di Scienza delle Finanze nella Facoltàdi Economia dell’Università di Pavia e Direttoredel Dipartimento di Economia Pubblica eTerritoriale. Ha lavorato e lavora come esperto di organismiinternazionali, fra i quali l’Oecd di Parigi e laCommissione Europea di Bruxelles.E’ Direttore della Scuola in Gestione Integratadell’Ambiente, Presidente del Centro StudiComunità Europee e Presidente del Forum perlo Sviluppo Sostenibile nella Città di Pavia.

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dell’Europa, in particolare nei confronti degli Stati Uniti, siusa fare riferimento a questo semplice dato: nel 2004 il Pilpro capite dell’Europa a 15, misurato a parità di potered’acquisto, risulta pari soltanto al 72,3% di quello ameri-cano. A sua volta, questo divario rispetto agli Stati Unitiviene spiegato per circa due terzi con le differenze nelnumero delle ore lavorate e nel tasso di occupazione,mentre un terzo del divario è imputabile all’andamentodella produttività del lavoro1. E, in effetti, dopo essere cre-sciuta in Europa in misura superiore rispetto agli Stati Unitia partire dalla fine della guerra mondiale e aver raggiun-to alla metà degli anni ’90 un livello pari al 97% di quelloamericano, la produttività oraria del lavoro nell’Europa a15 – che nel periodo 1987-95 aveva registrato un tasso dicrescita pari al 2,2%, ancora superiore rispetto all’1,1%degli Stati Uniti – è scesa infatti a circa l’88% rispetto aquella americana nel 2005 (con un tasso di crescita fra il2000 e il 2004 in EU-15 dell’1,5% mentre gli Stati Unitiraggiungevano il 2,5%2). E, se si cercadi spiegare questa riduzione della pro-duttività del lavoro, risulta che per il50% essa è legata al rallentamentonella crescita della produttività globaledei fattori che, secondo le valutazionedel Groningen Growth andDevelopment Centre, in EU-15 è scesadall’1,2% nel periodo 1990-95 allo0,9% per il 1995-2000 e allo 0,4% nel2000-04 (negli Stati Uniti passava inve-ce dallo 0,5% all’1,1% e infineall’1,7%). Il residuo 50% di riduzionedella produttività del lavoro può invece essere imputato auna riduzione dell’intensità di capitale, ossia a un livellopiù basso di investimenti.

La minor crescita del Pil e del reddito pro-capite inEuropa non è quindi più giustificabile soltanto con la ridu-zione delle ore lavorate, come è avvenuto fino al 1995,dato che nell’ultimo decennio le ore lavorate sono cre-sciute a un tasso annuo dello 0,7%; essa è legata anchea una minore produttività, e di conseguenza in Europa iltasso di crescita effettivo risulta inferiore al tasso di cresci-ta potenziale che, secondo la Banca Centrale europea, sicolloca tra il 2,25 e il 2,5%. In definitiva, non sembra pos-sibile spiegare la minor crescita europea soltanto con una

diversa funzione di preferenza degli europei che, secon-do Blanchard3, avrebbero scelto in passato di rinunciaread una quota di incremento del prodotto per conseguireuna riduzione delle ore lavorate.

Le cause del declino

In questi anni le linee lungo le quali si è cercato inEuropa di spiegare questo relativo declino sono statesostanzialmente due. Da un lato, si fa risalire la fragilitàdell’economia europea a una crisi strutturale della finanzapubblica che ha caratterizzato molti paesi europei primadell’avvento dell’Unione monetaria. Per questa ragione ilTrattato di Maastricht ha imposto limiti severi per quantoriguarda sia il livello dell’indebitamento netto delle ammi-nistrazioni pubbliche, sia lo stock complessivo di debito. E,in effetti, nel periodo dal 1993 al 1997 che ha precedutol’avvio dell’Unione monetaria il consolidamento della

finanza pubblica è avanzato in misuraspedita nell’Europa a 15, con una ridu-zione del disavanzo strutturale in misu-ra pari al 3,8% in quota sul Pil, e que-sta riduzione del disavanzo è imputabi-le soprattutto a una contrazione dellaspesa (- 2,4%) più che a una maggiorepressione fiscale e una minore spesaper interessi.

Ma il consolidamento fiscale non haavuto effetti positivi sullo sviluppo(anche se un rapporto dellaCommissione europea4 non esclude la

presenza di effetti non-keynesiani che avrebbero ridotto icosti della stabilizzazione della finanza pubblica in Italia);e, anzi, il Rapporto Sapir osserva che “è probabile che ilconsolidamento del bilancio abbia contribuito a provoca-re una performance insoddisfacente in termini di crescitaper l’economia europea negli anni che si collocano ametà dell’ultima decade”5. In ogni caso, conclude su que-sto punto il Rapporto, “a causa della situazione deteriora-ta della finanza pubblica nei primi anni ’90, i temporaneieffetti negativi sull’attività economica erano un prezzonecessario da pagare per ricostruire una disciplina fiscale,che rappresenta un fattore favorevole per la crescita nelmedio periodo”6. Ma in realtà questi effetti positivi in ter-

“Occorre rafforzare la concor-renza nel mercato dei prodot-ti e in particolare completarela costruzione del mercatointerno per quanto riguarda iservizi finanziari; favorire lamobilità del lavoro nell’areaeuropea; promuovere l’istru-zione superiore e le attività diricerca e sviluppo.”

1 C. Denis, K. Mc Morrow, W. Röger, R. Veugelers, “The Lisbon Strategy and the EU’s Structural Productivity Problem”, EC Economic Papers, n. 221,Brussels, February 2005, p. 9.

2 R. McGuckin, B. van Ark, Productivity, Employment and Income in the World Economies, The Conference Board, New York, 2005. p. 12. Secondoil Conference Board la crescita della produttività in Europa si è ridotta nel 2005 sia in Europa (0,5%) che negli Stati Uniti, dove tuttavia rimane moltopiù elevata (1,8%). Si veda: B. van Ark, C. Guillemineau, R.H. McGuckin, U.S. Productivity Growth Slowing Sharply as Emerging Markets Catch Up,The Conference Board, New York, January 2006.

3 O. Blanchard, “The Economic Future of Europe”, NBER Working Paper, n. 10310, Cambridge, 2004.4 European Commission, Italy’s Slow Growth in the 1990s: Facts, Explanations and Prospects, European Economy- Reports and Studies, Luxembourg,

1999.5 An Agenda for a Growing Europe. Making the EU Economic System Deliver (Sapir Report), Brussels, July 2003, p.48.6 ibidem, p. 49.

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mini di crescita del Pil non si sono ancora manifestati nelperiodo seguente all’avvio dell’Unione monetaria.

D’altro lato, si sottolineano le rigidità, in particolare delmercato del lavoro, e l’incompleta realizzazione del mer-cato interno, soprattutto per quanto riguarda il settore deiservizi in cui, secondo studi recenti, si concentra il massi-mo vantaggio relativo dell’economia americana7. In que-ste aree, anche se è difficile affermare che tutti i problemisiano stati risolti, è comunque certo che passi in avantisono stati realizzati; ma i risultati tardano a manifestarsi eanzi, a partire dal 1999, dopo il completamentodell’Unione monetaria, la crescita europea risulta ancorapiù anemica e il divario rispetto alla crescita americanatende di nuovo ad allargarsi.

Su questo punto, le indicazioni di policy riaffermaterecentemente anche nel Rapporto Sapir sono ormai larga-mente condivise: si tratta di rafforzare la concorrenza nelmercato dei prodotti e in particolare di completare lacostruzione del mercato interno per quanto riguarda i ser-vizi finanziari; di favorire la mobilità del lavoro nell’areaeuropea; di promuovere l’istruzione superiore e le attivitàdi ricerca e sviluppo. Sono le stesse priorità assunte daigoverni dell’Unione a fondamento della strategia diLisbona.

Ma vi è un punto ulteriore su cui il consenso è meno dif-fuso, e riguarda il fatto che anche la diversa impostazionedella politica economica può contribuire a spiegare ildeclino relativo dell’Europa. E, in effetti, in presenza diuna politica monetaria abbastanza espansiva, negli StatiUniti il saldo del bilancio federale è passato da un surpluspari al 2,4% nel 2000 a un deficit del 3,6% nel 2004,mentre in Europa l’intonazione della politica fiscale è statadeterminata prevalentemente dalla necessità di procede-re al consolidamento della finanza pubblica per rispettarei vincoli di Maastricht e del Patto di Stabilità8.

La politica delle infrastrutture

I vincoli di finanza pubblica hanno in realtà inciso, inmisura significativa, sulla possibilità di portare a compi-mento le riforme strutturali di cui l’Europa ha urgente

bisogno. Da un lato, è un fatto che, dopo l’avviodell’Unione monetaria, nel marzo 2000 il Consiglio euro-peo ha definito a Lisbona una strategia che mirava a faredell’Europa “l'economia basata sulla conoscenza più com-petitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare unacrescita economica sostenibile con nuovi e migliori postidi lavoro e una maggiore coesione sociale”. Ma, d’altro,lato, occorre riconoscere che nella fase congiunturale dimoderata, e prolungata, stagnazione che ha caratterizza-to negli ultimi anni l’economia europea, gli obiettivi fissa-ti a Lisbona non sono stati raggiunti, come è stato recen-temente ribadito anche dal Rapporto Kok9.

In realtà, le misure necessarie per rilanciare in modostrutturale la crescita in Europa erano già state definitecon chiarezza nel Libro Bianco di Delors10 del 1993, cheha in larga misura anticipato le decisioni prese successiva-mente a Lisbona. Nel Libro Bianco, per avviare a realizza-zione la nuova società dell’informazione, viene infatti pro-posta un’associazione operativa tra settore pubblico e set-tore privato al fine di accelerare la costruzione delle auto-strade dell’informazione (reti a bande larghe) e di svilup-pare le relative applicazioni; viene sottolineata la necessitàdi accrescere le attività di ricerca, con la definizione dipriorità ineludibili che riguardano le nuove tecnologiedell’informazione, le bio-tecnologie e le tecnologie eco-compatibili; viene riaffermata l’esigenza di puntare sull’i-struzione e sulla formazione, in particolare sulla formazio-ne lungo tutto l’arco della vita lavorativa. Per quantoriguarda la disoccupazione, il Libro Bianco indica comeobiettivo prioritario la riduzione del costo del lavoro nonqualificato e come strumento suggerisce “una riduzionedel 30-40% dei contributi sociali concentrata sulle retribu-zioni più basse, che comporterebbe una crescita dell’oc-cupazione pari al 2%”. La riduzione del costo del lavoronon qualificato – per un importo pari a uno o due puntidi Pil – avrebbe dovuto essere coperta per circa il 30% daun aumento automatico del gettito conseguente alla cre-scita del Pil; la parte residua di finanziamento – secondo ilLibro Bianco – sarebbe stata assicurata attraverso un’im-posta energia/CO2, conseguendo così un doppio dividen-do attraverso i benefici in termini ambientali destinati ad

7 Circa metà nel divario nella crescita della produttività del lavoro si può far risalire ai settori del commercio all’ingrosso e al dettaglio – che rappresen-tano circa il 10% del Pil, e un ruolo rilevante giocano anche i servizi finanziari. Su questo punto si veda: B. van Ark, R. Inklaar, R. H. McGuckin, “ICTand Productivity in Europe and the United States: Where Do the Differences Come From?”, CESifo Economic Studies, vol. 49, n. 3, 2003, pp. 295-318; R. H. McGuckin, B. van Ark, M. Spiegelman, The Retail Revolution: Can Europa Match U.S. Productivity Performance?, Research Report 1358,The Conference Board, New York, 2005. Per un riferimento specifico all’area dell’Unione monetaria si veda: A. van Riet, M. Roma, “Competition,Productivity and Prices in the Euro Area Services Sector”, European Central Bank Occasional Paper n. 44, April 2006.

8 Su questo punto cfr. R.C. Shelburne, “Is Europe Sick?”, Global Economy Journal, Vol. 5, Issue 3, Article 1, 2005, p. 15. L’Isae ha stimato quale sareb-be stata la performance dell’Unione monetaria europea nel periodo 2001-2003 in diverse ipotesi di politica macroeconomica. In particolare, a fron-te di un tasso di crescita reale dell’1% nell’area euro, in presenza di una politica strutturale di rilancio degli investimenti, ispirata alla strategia diLisbona, e di una politica fiscale espansiva, pari al guadagno in termini di riduzione del deficit generata dalla crescita del Pil conseguente all’espan-sione degli investimenti, il tasso di crescita sarebbe aumentato di mezzo punto, raggiungendo l’1,5%. Si veda: Isae, Le previsioni per l’economiaitaliana, Roma, luglio 2004, pp. 65-71.

9 Facing the Challenge. The Lisbon Strategy for Growth and Employment (Kok Report), Brussels, November 2004.10 Commissione europea, Crescita, competitività, occupazione. Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo, Libro Bianco, Bollettino delle

Comunità europee, Supplemento n. 6, 1993.

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aggiungersi ai benefici occupazionali.Un altro pilastro del Libro Bianco è rappresentato dal

rafforzamento delle reti transeuropee nel settore dei tra-sporti e dell’energia. E, in effetti, neglianni seguenti, dopo aver definito unpiano per l’alta velocità nel trasportoferroviario, sono stati approvati trepiani riguardanti i trasporti combinati,le strade e le vie navigabili; nella pro-spettiva dell’allargamento sono stati poiconcepiti altre tre piani orientativi, cheriguardano rispettivamente l’infrastrut-tura ferroviaria classica, l’infrastrutturaaeroportuale e l’infrastruttura portuale.Parimenti, si è ormai definitivamenteaffermata l’idea che l’effettiva realizza-zione di un mercato interno dell’ener-gia presupponga necessariamente ilcompletamento di una rete europea per l’elettricità e il gas.

Per quanto riguarda il finanziamento il Libro Bianco sibasa su tre principi di fondo: l’equilibrio finanziario deveessere garantito nella misura più ampia possibile dal con-tributo degli investitori privati; gli interventi finanziari degliStati membri devono essere compatibili con i vincoli difinanza pubblica previsti dal Trattato di Maastricht; il livel-lo europeo può intervenire per sostenere gli sforzi finan-ziari degli Stati membri e per favorire la mobilitazione delcapitale privato. In particolare, per il finanziamento comu-nitario delle reti transeuropee il Libro Bianco prevede,oltre agli interventi del bilancio e ai prestiti della BancaEuropea degli Investimenti, l’emissione da parte dellaCommissione – con l’appoggio tecnico della Bei – diUnion bonds a favore dei promotori dei progetti relativialle reti trans-europee, e l’emissione da parte delle societàprivate o pubbliche che promuovono il progetto di obbli-gazioni a lungo termine garantite dal Fondo europeo pergli investimenti e convertibili, interamente o parzialmente,in azioni o certificati di investimento.

L’iniziativa europea per la crescita

La definizione di una politica di rilancio dell’economiaeuropea, dopo che gli obiettivi del Libro Bianco sono statilargamente recepiti nelle decisioni del Consiglio europeodi Lisbona, viene ulteriormente precisata con l’approvazio-ne di un’Iniziativa europea per la crescita. Il processo inquesto caso è stato attivato da una proposta del governoitaliano durante il suo semestre di Presidenza, fatta pro-pria da Ecofin e recepita nelle conclusioni del Consiglioeuropeo di Bruxelles del 16 e 17 ottobre 2003, cui hafatto seguito una comunicazione della Commissione11

approvata nei suoi contenuti di fondo dal Consiglio euro-

peo di Bruxelles del 12 e 13 dicembre 2003. L’Iniziativaeuropea per la crescita prevede investimenti materiali eimmateriali in due grandi settori: le infrastrutture delle reti

transeuropee che includono i traspor-ti, le telecomunicazioni e l’energia; l’in-novazione e la R&D, anche con riferi-mento alle tecnologie ambientali. Inparticolare, il Consiglio europeo haapprovato il Programma Quick Start,una serie di progetti di immediatapotenziale realizzazione che fannopropri, per quanto riguarda lo svilup-po della rete transeuropea di trasporti,gli orientamenti emersi all’interno delgruppo Van Miert. Per il finanziamentodei progetti di natura transfrontaliera,in sede Ecofin è stato anche raggiuntoun accordo per portare il contributo

massimo dell’Unione dal 10% al 20%. Il Programma Quick Start individua i principali settori di

investimento nelle reti e nella conoscenza. La previsionecomplessiva di spesa fino al 2010 ammonta a circa 60miliardi di euro. In particolare, la Commissione ha selezio-nato 29 corridoi paneuropei come collegamenti TEN-tra-sporti, al cui interno sono stati individuati diversi progettiprioritari che comportano investimenti pari a 38 miliardi dieuro fino al 2010. Si tratta in prevalenza di linee ferrovia-rie transfrontaliere, collegamenti marittimi e fluviali o trat-ti stradali che assicurano la connessione con altre reti,quali le autostrade del mare.

Nell’ambito delle proposte per le TEN-energia sono statiindividuati 17 collegamenti energetici che richiedonoinvestimenti per lo più del settore privato, pari a 10,1miliardi di euro fino al 2010. Sono stati anche scelti 3 pro-getti relativi alla banda larga, di cui particolarmente rile-vante quello che mira a ridurre il divario digitale e che pre-vede l’utilizzazione di un prestito di 7 miliardi di euro dellaBanca europea per gli investimenti. Infine, in materia diricerca, sviluppo e innovazione si sono individuati cinquesettori prioritari che richiedono un investimento totale dicirca 23 miliardi di euro fino al 2015.

Ma, nonostante l’approvazione di questa Iniziativa, lapolitica per il rilancio della crescita è rimasta largamentesulla carta; e, di conseguenza, anche tendendo contodelle difficoltà incontrate nella realizzazione della strategiadi Lisbona, il Consiglio europeo, nella sessione tenutasi aBruxelles il 22 e 23 marzo 2005, ha deciso di promuover-ne una nuova versione fondata sulla riaffermazione dell’o-biettivo di:- rendere l’Europa più capace di attrarre investimenti e lavoro;- fare della conoscenza e dell’innovazione il fulcro della

crescita europea;

“Gli obiettivi da perseguire: 1)rendere l’Europa più capace diattrarre investimenti e lavoro;2) fare della conoscenza e del-l’innovazione il fulcro della cre-scita europea; 3) elaborarepolitiche che consentano alleimprese europee di crearenuovi e migliori posti di lavoro;4) ampliare e migliorare leinfrastrutture europee.”

11 Commissione europea, Un’iniziativa europea per la crescita. Investire nelle reti e nella conoscenza per la crescita e l’occupazione, COM(2003)690,Bruxelles, 11 novembre 2003.

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- elaborare politiche che consentano alle imprese europee di creare nuovi e migliori posti di lavoro.Nelle conclusioni del Consiglio europeo è stata altresì

confermata la necessità di “ampliare e migliorare le infra-strutture europee” in quanto gli investimenti nelle infra-strutture favoriranno la crescita e una maggiore conver-genza a livello economico, sociale e ambientale. E conriferimento all’Iniziativa europea per la crescita e ai pro-grammi Quick Start, è stata nuovamente sottolineata l’ur-gente necessità di realizzare i progetti prioritari nel settoredelle reti energetiche e di trasporto, con l’invito all’Unionee agli Stati membri di proseguire negli sforzi per portare acompimento gli investimenti necessari e di sostenere ilpartenariato nel finanziamento tra il settore pubblico equello privato. È sulla base di questi orientamenti che laCommissione ha presentato nel luglio 2005 una comuni-cazione al Consiglio e al Parlamento europeo per definireuna nuova strategia e per individuare le azioni da condur-re per portare a realizzazione Lisbona12.

Il finanziamento di un piano di sviluppo conUnion bonds

Nonostante le difficoltà incontrate nella realizzazionedella strategia di Lisbona appare comunque generalmen-te accettata la conclusione che, nell’attuale fase congiun-turale che vede una progressiva ripresa dopo un lungoperiodo di moderata recessione, l’obiettivo prioritariorimane quello di promuovere a livello europeo un pianocoordinato di investimenti – pubblici e privati – capaci dicolmare il gap di infrastrutture che in molti paesidell’Unione è stato indotto dalle politiche restrittive neces-sarie per adeguarsi prima ai parametri di Maastricht e poiai vincoli del Patto di Stabilità, e al contempo di garantireun piano di spese per rafforzare la competitività e favorirel’avvio di un modello di sviluppo sostenibile. In primaapprossimazione, questo piano potrebbe prevedere:a) investimenti per il completamento delle reti europee

nel settore dei trasporti, dell’energia e delle telecomunica-zioni, tenendo conto anche delle esigenze di connessio-ne emerse a seguito dell’allargamento;b) un piano di spese di ricerca e sviluppo e di promozio-

ne dell’istruzione superiore, per rafforzare la competitivitàdella produzione europea;c) investimenti pubblici e privati nelle tecnologie d’avan-

guardia e per promuovere la formazione di campionieuropei nelle industrie di punta;d) il finanziamento di una serie di progetti per migliora-

re la qualità della vita dei cittadini dell’Unione (mobilitàsostenibile, depurazione delle acque, energie rinnovabili,nuove fonti di energia pulita etc.);e) investimenti per garantire la conservazione e promuo

vere l’utilizzo dei beni culturali.Per la realizzazione di questo Piano – che consentireb-

be una forte accelerazione verso il conseguimento degliobiettivi definiti nella strategia di Lisbona – si potrebberoutilizzare i tre diversi canali di finanziamento già previstidal Libro Bianco di Delors, ossia:

a) il bilancio comunitario; b) i prestiti della Banca Europea per gli Investimenti;c) l’emissione di obbligazioni dell’Unione.Nella situazione attuale dell’economia europea, e

tenendo conto altresì dei risultati di basso profilo raggiun-ti per quanto riguarda le prospettive finanziariedell’Unione per il periodo 2007-2013, la prospettiva piùsignificativa, anche da un punto di vista politico, è rappre-sentata certamente dalla previsione di un ricorso all’emis-sione di Union bonds, ossia di obbligazioni dell’Unionesupportate dalla garanzia del bilancio comunitario. Datala reputazione dell’Unione sul mercato mondiale e la forzaattuale della moneta europea, queste obbligazionipotrebbero essere emesse a basso tasso di interesse e con-tribuirebbero, oltre che a rafforzare il mercato finanziarioeuropeo assorbendo una parte dell’eccesso di liquiditàche attualmente lo caratterizza, a favorire il finanziamen-to del piano europeo di sviluppo attraverso l’attrazione diuna larga fetta del risparmio mondiale che attualmente,in assenza di valide alternative, trova ancora collocazionesul mercato americano nonostante la perdita progressivadi valore del dollaro.

L’applicazione della golden rule a livello europeo

L’emissione di Union bonds trova generalmente opposi-zione da parte degli Stati membri, per una molteplicità diragioni. In primo luogo, prevale l’opinione che l’ortodos-sia finanziaria prescriva, come d’altronde è previstonell’Articolo 268, terzo comma, del Trattato sull’Unioneeuropea, che “nel bilancio, entrate e spese devono risul-tare in pareggio”; e che questa norma di per sé precludail finanziamento di una parte della spesa attraverso l’emis-sione di obbligazioni. In secondo luogo, gioca contro unapolitica attiva di intervento nell’economia europea lavolontà di evitare un rafforzamento del livello sopranazio-nale di governo e di mantenere, come previsto dall’artico-lo 99 del Trattato di Maastricht, il coordinamento dellepolitiche di bilancio come unico strumento – accanto allapolitica monetaria governata dalla Banca centrale euro-pea in funzione dell’obiettivo della stabilità dei prezzi – digoverno della politica economica dell’Unione. Last, butnot least, questa volontà di limitare i poteri del livello euro-peo di governo è apparsa giustificata dal deficit democra-tico che caratterizza ancora la struttura istituzionaledell’Unione, un deficit che contribuisce a spiegare altre-

12 Commissione europea, Azioni comuni per la crescita e l’occupazione. Il programma comunitario di Lisbona, COM(2005)330, Bruxelles, 20 luglio2005.

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sì l’atteggiamento negativo di una parte consistentedell’opinione pubblica nei confronti del Trattato costitu-zionale che, su questo terreno, ha fatto soltanto moltotimidi passi in avanti. In realtà, è una regola generalmen-te accettata nell’ortodossia finanziaria che l’equilibrio dibilancio riguardi la spesa corrente – che deve essere finan-ziata con imposte, lasciando altresì margini per un avan-zo primario –, mentre le spese di investimento, che hannoeffetti pluriennali, possono essere coperte con l’emissionedi titoli sul mercato. Questa golden rule non ha trovatofinora applicazione a livello europeo per le ragioni chesopra abbiamo ricordato. Ma oggi le condizioni sembra-no propizie per applicarla nell’ambito dell’Unione mone-taria. In effetti, dopo l’introduzione dell’euro le politicheredistributive gestite a livello nazionale possono essereunicamente finanziate con imposte e i livelli di indebita-mento accettabili senza produrre esternalità negativesono fissati inequivocabilmente dal Patto di Stabilità e diCrescita. A sua volta, il bilancio euro-peo si propone di conseguire l’obietti-vo della coesione attraverso l’utilizzodei fondi strutturali, ma non ha – enon si prevede che abbia in futuro –una funzione di redistribuzione inter-personale del reddito. Non si correquindi il rischio che i fondi raccoltiattraverso le emissioni di titoli possanoessere utilizzati per finalità diverse dalfinanziamento delle spese per la realiz-zazione dell’Agenda di Lisbona, per cui le emissioni sono previste.

Evidentemente, negli anni successivisul bilancio verranno a gravare le spese per il servizio deldebito, ma, come vedremo, si tratta di somme limitate eche richiedono in prospettiva soltanto una limitata espan-sione delle dimensioni del bilancio, che è comunque ine-ludibile anche per ragioni allocative (basti pensare soltan-to alle nuove responsabilità dell’Unione in tema di sicurez-za e di difesa). Da qui discende la conseguenza che ine-vitabilmente nei prossimi anni si riproporrà il problema digarantire effettive risorse proprie all’Unione, ma questo èun tema che dovrà comunque essere affrontato nel qua-dro del prossimo round di negoziati costituzionali che sipresume verrà avviato con l’annunciata iniziativa delnuovo governo tedesco.

Una valutazione degli effetti sulla crescita

Una stima dei possibili effetti di una progressiva realizza-zione dell’agenda di Lisbona finanziata dall’emissione diUnion bonds è stata effettuata recentemente dall’Isae13,mettendo in evidenza che – pur senza considerare gli

effetti positivi che gli interventi previsti potrebbero averedal lato dell’offerta e, quindi, sul tasso di crescita potenzia-le dell’economia europea – l’efficacia di un Piano Delorsaggiornato sarebbe significativa. In particolare, avendocome orizzonte temporale il quinquennio 2006-2010, sisono simulati gli effetti di nuovi investimenti per unammontare destinato a crescere progressivamente dauno 0,2% del Pil nel primo anno fino all’1% nel 2010. Inuovi investimenti, riproporzionati tra i vari pilastri secon-do le indicazioni del Rapporto Sapir relative alla strutturadel bilancio dell’Unione, sono stati successivamente impu-tati ai privati e al settore pubblico sulla base dell’ipotesiche le spese di ricerca e sviluppo e quelle per l’istruzioneavanzata e per l’addestramento della forza lavoro sianofinanziate in misura paritaria, mentre le reti trans-europeesarebbero per l’80% a carico del settore privato e per il20% di quello pubblico. A sua volta, la quota pubblicaverrebbe finanziata, in parti uguali, dai singoli Stati e da

una nuova Agenzia europea perLisbona. Sulla base di queste ipotesi, gliimpegni finanziari per l’Agenzia euro-pea per Lisbona ammonterebbero a4,2 miliardi di euro nel 2006 per salirea 21,2 miliardi nel 2010, mentre gliimpegni per il pagamento di interessi acarico del bilancio comunitario risulte-rebbero pari a 0,5 miliardi di euro nel2006 e raggiungerebbero i 7,7 miliar-di a partire dal 2010 fino al rimborsodel debito.

L’Isae ha poi condotto una simulazio-ne degli effetti di questi interventi nel-

l’ipotesi che vi sia un coordinamento tra l’azione per ilrilancio e la politica monetaria, assumendo che la Bancacentrale europea si astenga dal contrastare, per timore diun’accelerazione dell’inflazione, gli effetti espansivi deinuovi investimenti e lasci quindi inalterati i tassi di interes-se. In questa simulazione, gli effetti sono abbastanza signi-ficativi in termini di crescita del Pil, al costo di un’inflazio-ne leggermente più elevata (un punto in più a fine perio-do nell’area euro), ma in assenza di effetti di spiazzamen-to degli investimenti e grazie al contributo positivo dell’au-mento dei consumi, con un incremento del tasso di cre-scita del Pil pari mediamente a tre/quattro decimi dipunto. Tenuto conto dell’andamento quasi stagnantedella popolazione europea, questa dinamica tenderebbea coincidere con quella del reddito pro capite che torne-rebbe ad aumentare, dopo molti anni, più che negli StatiUniti: in questo scenario, il processo di catching up dei cit-tadini europei nei confronti di quelli americani, interrotto-si a metà degli anni ‘90, riprenderebbe un nuovo slancio.Il guadagno complessivo in termini di prodotto interno

“L’Europa deve in via priorita-ria portare a compimento larealizzazione dell’Agenda diLisbona, a partire da un pro-gressivo completamento dellereti infrastrutturali nel settoredei trasporti e delle autostradedell’informazione e da unforte rafforzamento degli inve-stimenti in ricerca e sviluppo.”

13 Isae, Le previsioni per l’economia italiana, Roma, luglio 2005, pp. 58-64.

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Bibliografia

lordo sarebbe superiore all’impegno finanziario necessa-rio per attuare il piano di investimenti: a fine periodo, afronte di investimenti addizionali pari all’1% del Pil, que-sto aumenterebbe di 1,5 punti. Inoltre, lo sforzo finan-ziario pubblico sarebbe più che compensato dall’au-mento del Pil, permettendo al deficit di ridursi media-mente di tre decimi di punto a fine periodo.

Il rilancio della crescita europea

A giudizio degli analisti il 2006 vedrà ancora una fortecrescita dell’economia mondiale, trascinata dai paesiemergenti del continente asiatico e da un’economiaamericana che si muove sostanzialmente sugli stessiritmi del 2005. Ma, a fronte di queste prospettive positi-ve, rimangono alcuni punti oscuri da affrontare, e inparticolare, da un lato, gli squilibri che continuano adaffliggere sia il bilancio pubblico che il saldo della bilan-cia dei pagamenti americana e, d’altro lato, un prezzodel petrolio in continuo aumento. La soluzione deglisquilibri americani è un compito che spetta in primoluogo al governo degli Stati Uniti, anche se il resto delmondo può esercitare una pressione affinché venganoprogressivamente ridotti i disavanzi attuali. Ma sul prez-zo del petrolio l’Europa può certamente incidere positi-vamente. È un fatto che la crescita del prezzo di questafonte di energia è stata favorita da una domanda mon-diale in forte espansione, soprattutto a causa dell’esplo-sione della domanda da parte della Cina e degli altripaesi industrialmente emergenti; ma la recente impen-nata dei prezzi del greggio è legata anche alla crisi in

atto in Medio Oriente, dove è largamente concentratala produzione petrolifera. L’Europa dovrebbe quindimuoversi, da un lato, per favorire una positiva soluzionedei nodi politici che affliggono il Medio Oriente, dall’al-tro dovrebbe portare a compimento la realizzazione diun effettivo mercato interno dell’energia, che presuppo-ne naturalmente il completamento della rete energeticache deve collegare fra di loro i diversi paesi europei.

Ma, per evitare che il divario rispetto agli Stati Uniti siallarghi ulteriormente, l’Europa deve in via prioritariaportare a compimento la realizzazione dell’Agenda diLisbona, a partire da un progressivo completamentodelle reti infrastrutturali nel settore dei trasporti e delleautostrade dell’informazione e da un forte rafforzamen-to degli investimenti in ricerca e sviluppo. Per superare ivincoli finanziari che gravano sui bilanci nazionali e sulbilancio comunitario, questa politica dovrà inevitabil-mente essere finanziata con l’emissione di Union bonds.Ma questa prospettiva può risultare realistica e non vel-leitaria soltanto se viene rilanciato al contempo anche ilprocesso di rafforzamento istituzionale dell’Unione euro-pea, che sembra essersi arrestato dopo il no francese eolandese nel referendum per la ratifica dellaCostituzione europea. Il quadro in cui si delinea possibi-le questo rafforzamento appare al momento coinciderecon quello che segna i confini dell’Unione monetaria. Inquesto quadro all’Italia spetta il ruolo di sostenere conforza l’iniziativa che è già stata annunciata dal nuovogoverno tedesco per rilanciare il processo costituzionale.Insieme al futuro dell’Europa politica sono oggi in giocoanche le potenzialità di crescita dell’economia europea.

Le reti infrastrutturali, come è ben noto e come con-fermano dati di fatti e teorie economiche, fungono

da motore per la crescita economica, sociale e culturale diun paese. Permettono infatti la soddisfazione di bisogniumani fondamentali, quali il mantenimento di modernistandard di vita, lo sviluppo di attività produttive e la crea-zione di ricchezza, la comunicazione, la mobilità e loscambio di persone, merci e dati.

Risalta invece agli occhi di tutti l’inadeguatezza delladotazione infrastrutturale del nostro paese, soprattuttonel trasporto, dove strozzature e anelli mancanti produco-no diseconomie, impediscono recuperi di produttività,ostacolano la creazione di nuova occupazione; in sintesi,bloccano le prospettive di sviluppo.

Nel trasporto, più che in altre attività, il tempo è dena-ro. Ed è denaro di tutti perché il tempo che si perde incoda per entrare in città o per l’imbarco, in dogana, inattesa di un carico, ai valichi o perattraversare un tunnel è un costoelevato che si riverbera non solo suiprezzi del trasporto e quindi suiprezzi dei prodotti, ma anche sullaproduttività di chi si sposta e sul-l’ambiente. La transitabilità del terri-torio e delle frontiere non è solovitale per la competitività dellanostra industria, è anche un impor-tante fattore di attrazione di investi-menti stranieri e di flussi turistici.

Le infrastrutture, in particolarequelle di trasporto e di comunica-zione, generano economie esterneper le imprese, traducendosi facil-mente e quasi automaticamente inrisparmi di costi e di tempi. Gli inve-

stimenti in infrastrutture di trasporto, inoltre, hanno unimpatto di rilievo sull’economia in termini di sostegnociclico (incremento di Pil ed occupazione) e di aumenti diproduttività e competitività, funzionali all’innalzamentodel tasso di sviluppo potenziale del paese.

I vantaggi derivanti dal miglioramento della logistica, intermini di minori costi per il manifatturiero, emergonochiaramente dall’incidenza dei costi complessivi del tra-sporto e della logistica sul valore della produzione indu-striale, stimata in oltre 20 punti percentuali. La riduzionedei costi per la logistica, conseguibile con l’adeguamentodel sistema dei trasporti, apporterebbe quindi un imme-diato recupero di competitività della produzione nazionale.

Per quanto riguarda invece le potenzialità di sviluppoed occupazione del settore, si stima che nei prossimi anniil numero complessivo di addetti del settore logisticodovrebbe crescere di circa il 15% in Europa.

(Confindustria, febbraio 2006). Il settore dei trasporti, infine,

svolge una funzione di crescenterilevanza strategica in un contestodi globalizzazione degli scambi edi delocalizzazione dei processiproduttivi, in cui le varie fasi dellaproduzione avvengono in puntigeografici differenti, in un merca-to globalizzato, in un’Europa allar-gata.

La globalizzazione sta infattiprovocando una divaricazione fral’interesse dei territori e quellodelle imprese:

- i primi, alla luce del processodi redistribuzione internazionaledella divisione del lavoro, sono in

I TRASPORTI IN ITALIA:SITUAZIONE E PROSPETTIVEGUARDANDO ALL’EUROPA

Dopo aver documentato e quantificato l’ampio divario infrastrutturale tra l’Italia

e gli altri paesi, l’Autore formula una serie di proposte, chiedendo tra l’altro

un potenziamento dell’offerta di logistica, necessaria per un paese che resta manifatturiero,

ma che non potrà avere sul territorio tutte le fasi della produzione.

Il caso delle autostrade è emblematico…

GIAN MARIA GROS PIETRO

Presidente Autostrade S.p.A. dal 2002.Consigliere di Amministrazione FIAT, Edison eSEAT P.G.. Docente di Economia dell’Impresa eDirettore del Dipartimento di Scienze economi-che e aziendali dell’Università LUISS Guido Carlidi Roma. Membro Giunta e Consiglio DirettivoConfindustria e Consigliere Cnel.

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competizione fra loro per attrarre investimenti produttivi,anche in funzione della propria dotazione di infrastruttu-re e servizi;

- le imprese, invece, possono delocalizzare le attivitàproduttive, ma questo fenomeno comporta problemi peril territorio “abbandonato”, in termini di perdita di posti dilavoro.

Diventa allora cruciale elevare la competitività del terri-torio, arricchendolo della necessaria dotazione infrastrut-turale e di servizi, funzionale non solo a trattenere leimprese esistenti, ma anche ad attrarre nuovi investimen-ti produttivi.

Il deficit infrastrutturale

L’Italia ha accumulato negli anni un forte gap infrastrut-turale e gestionale nel sistema dei trasporti, connesso almancato adeguamento dell’offerta alla crescita delladomanda.

Questo differenziale può essere ricondotto al consisten-te calo nel processo di accumulazione pubblica avvenutoall’inizio degli anni ‘90. Secondo le stime Ance, il volumedi investimenti nel 2005 in opere pubbliche è stato pari a21,6 miliardi di euro; nonostante il trend di crescita delperiodo 1997-2004, il volume degli investimenti in fabbri-cati e opere infrastrutturali a prezzi costanti è ancora net-tamente inferiore a quello del 1990.

Nel nostro paese, all’interno degli investimenti in costru-zioni, la quota dedicata agli investimenti infrastrutturali siattesta all'1,5% rispetto ad una media europea del 2,7%.Tutto ciò spiega l’ampio divario infrastrutturale tra l'Italia egli altri Paesi.

Il caso della rete autostradale è emblematico: l'Italia, all'i-nizio degli anni '70 era leader in Europa per quantoriguarda le autostrade, seconda sola alla Germania e conuna dotazione due volte superiore a quella francese edaddirittura dieci volte maggiore di quella spagnola. Madopo la metà degli anni '70, più precisamente dopo l'a-dozione della legge 492 del 1975, che vietava la costru-zione nel nostro paese di nuove autostrade, la situazione

è completamente mutata. Effettuando oggi lo stesso con-fronto fatto agli inizi degli anni ‘70, i risultati sono comple-tamente ribaltati, perché mentre in altri paesi sono statirealizzati consistenti programmi infrastrutturali, in Italia lenuove opere autostradali sono state bloccate; nello stessoperiodo, mentre l’estensione della rete autostradale èrimasta pressoché immutata, il traffico è più che triplicato.Oggi la rete italiana risulta di gran lunga la più carente,avendo accumulato, negli ultimi 20 anni, un grave gap:dall’offerta autostradale italiana emerge un deficit del63% rispetto alla media europea di km per milione di abi-tanti e dell’88% rispetto alla densità veicolare.

Anche la rete ferroviaria italiana mostra un gap impor-tante rispetto ai principali paesi dell’UE. Confrontando l'e-stensione delle reti alla superficie del paese, l'Italia risultaavere un indicatore di dotazione infrastrutturale pari allametà di quello tedesco ed al 70% di quello francese edinferiore anche al Regno Unito (fonte: elaborazioni ANCEsu dati Eurostat).

Tutto ciò comporta per il nostro sistema-paese una seriedi effetti negativi, fra cui:- squilibri nella ripartizione modale del traffico; - insufficiente integrazione fra modi di trasporto;- ridotta connessione con la rete europea;- mancata valorizzazione del Mezzogiorno.

‹ Infrastrutture e reti per crescere in Europa ›

Paesi

Francia 59.900 35.354 10.509 175 3.364

Germania 82.650 45.750 12.511 152 3.740

Portogallo 10.480 4.769 2.113 202 2.257

Spagna 40.980 22.312 10.299 261 2.166

Media (esclusa Italia) - - - 183 3.083

Popolazione Parco circolante

Abitanti Totale veicoli

(x 1.000) (x 1.000)

Rete autostradale

Autostrade km di autostrade Veicoli per km

(km) per mln abitanti di autostrade

Fonte: Autostrade S.p.A.

INVESTIMENTI IN OPERE PUBBLICHE A PREZZI COSTANTI

Note: 2004: preconsuntivi; 2005: previsioni.Fonte: Rapporto sulle infrastrutture in Italia, Ance 2005.

€/m

l n 1

91 92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05

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Il sistema dei trasporti: contesto di riferimento

Negli ultimi anni la situazione si è finalmente sbloccata:è in corso un processo a livello nazionale ed europeoattraverso cui si sta profondamente modificando il quadronormativo e pianificatorio di riferimento per la realizzazio-ne di nuove opere infrastrutturali.

A livello nazionale, già nel 2000 il Piano Generale deiTrasporti e della Logistica aveva costituito un punto disvolta per il settore, individuando le criticità ed il fabbiso-gno infrastrutturale del paese, le linee programmatiche ele opere da realizzare, nonché gli investimenti necessari.

Un punto di svolta per l’ammodernamento delle retiinfrastrutturali del paese è poi l’emanazione della LeggeObiettivo, attraverso cui sono stati definiti i presuppostiper accelerare la realizzazione dei programmi ed introdur-re strumenti innovativi, quali il project financing.

In linea con le indicazioni della Legge obiettivo, ilProgramma delle infrastrutture strategiche approvato dalCIPE a fine 2001 ha definito gli interventi prioritari neces-sari all’adeguamento infrastrutturale del Paese che, nelsettore dei trasporti, riguardano strade ed autostrade, fer-rovie, hub portuali ed aeroportuali, interporti, piattaformelogistiche, interventi per favorire l’intermodalità.

Più recentemente, con il Patto per la Logistica, cui èseguito nel 2006 il Piano per la Logistica, si sono rilancia-ti i presupposti per l’adeguamento del sistema nazionaledei trasporti e della logistica in un’ottica di governance disistema. L’obiettivo del programma è finalizzato a ridurreil gap nei confronti degli altri paesi, accrescendo la com-petitività del sistema-paese attraverso interventi per:

- accelerare l’adeguamento delle reti infrastrutturali deitrasporti e dei nodi, favorendone l’integrazione;

- migliorare l’attraversamento dei valichi alpini poten-ziando il sistema stradale e ferroviario;

- potenziare il sistema portuale in particolare quello inte-ressato dagli scambi commerciali con il far-east;

- rilanciare il sistema aeroportuale nel settore cargo;

- utilizzare le maggiori capacità del sistema ferroviario(grazie della realizzazione del Programma linee ad AltaVelocità) per il rilancio del trasporto merci;

- incentivare il trasporto intermodale stradale-ferroviario-marittimo.

A livello europeo:- con la pubblicazione nel 2001 del Libro Bianco della

Commissione Europea, “La politica europea dei trasportifino al 2010”, che contiene le misure da adottare per per-seguire una politica comune sostenibile dei trasporti,mirata al riequilibrio dei modi, alla sicurezza della circola-zione e al decongestionamento dei grandi assi;

- con la revisione, sulla base delle indicazioni delGruppo di lavoro Van Miert, delle Reti Transeuropee diTrasporto e la definizione del Master Plan europeo delleinfrastrutture e dei trasporti, che propone la costruzione diun’offerta di trasporto coerente con la liberalizzazione deiprocessi di scambio, con un approccio integrato alle tec-nologie e all’organizzazione dei processi produttivi dei ser-vizi di trasporto, basato sull’uso comune di strutture e infra-strutture.

Le opportunità da valorizzare per l’Italia

La difficile conformazione morfologica italiana nondeve essere percepita come un ostacolo allo sviluppodelle vie di comunicazione, bensì come una singolarità ingrado di tradursi in un punto di forza, vero “asset” strate-gico per la crescita del nostro paese, avendo chiaro che lamobilità è l’asse portante del processo di sviluppo di unsistema-paese. Non si può ignorare che oggi l’espansioneeconomica mondiale è guidata dall’Asia, nè si può pensa-re di fare concorrenza ai paesi emergenti sul terreno delcosto del lavoro. Va però tenuto presente che il trafficodelle merci proveniente dall’Oriente deve transitare obbli-gatoriamente dal canale di Suez per arrivare in Europa.Sfruttando il vantaggio competitivo della propria posizio-ne geografica (5 giorni di viaggio in meno rispetto ai porti

del Nord Europa), l’Italia si puòproporre come piattaforma logisti-ca nel Mediterraneo per i prodottiasiatici.

L’Italia, al centro del bacinoMediterraneo, è infatti attraversatada tre grandi assi di comunicazio-ne: l’asse Nord-Sud, l’asse Est-Ovest e l’asse transcontinentalemarittimo. Con il potenziamentodel sistema dei trasporti, l’Italiapuò svolgere un ruolo centralenegli scambi all’interno delMediterraneo.

È importante tuttavia che gliimprenditori non si limitino a scari-

Fonte: Conto Nazionale dei Trasporti 2005

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Traffico totale interno passeggeri per modalità trasporto - Passeggeri*Km 2004

Traffico totale interno passeggeri per modalità trasporto - Tonnellate*Km 2004

trasporto

su

strada

impianti

navigazione

navigazione

per via d’ac-

autotrasporto

> 50 Km

5,9%navigazione

naviga-

zione

per via

F.F.S.S.

e concesseoleodotti (> 50

km)

care e rivendere le merci a basso prezzo in arrivo, masfruttino le opportunità offerte dalla divisione internazio-nale dei processi produttivi, attivandosi per elaborare isemilavorati in arrivo (manipolazione, confezionamento),arricchire i prodotti di valore aggiunto a marchio Italia, svi-luppare funzioni di assistenza, gestione e perfezionamentodel prodotto. In questo senso la sfida è tradurre in oppor-tunità il rischio della concorrenza dei paesi emergenti.

L’espansione del mercato della logistica, su scala euro-pea e globale, è una delle occasioni che l’Italia può edeve cogliere, anche perché i posti di lavoro connessi allalogistica hanno il vantaggio di non essere delocalizzabili.Gli operatori del trasporto, e non solo del trasporto, sonopronti ad investire; i più strutturati lo fanno da tempo econ successo, ma hanno anche bisogno di certezze sugli indirizzi e le scelte delle politiche pubbliche.Analogamente, adeguate e moderne infrastrutture sonoindispensabili per lo sviluppo del settore del turismo, nelquale il nostro paese, per l’eccezionale dotazione di beniculturali e ambientali, gode di un vantaggio inimitabile.

Il turismo è un comparto centrale per l’economia, datoche non solo porta flussi di denaro dall’estero, ma creaposti di lavoro e permette una promozione “gratuita” delmade in Italy.

Tuttavia c’è bisogno di iniziativa per questo settore, cheresta ancora ampiamente sottoutilizzato: non bastano lebellezze naturali: perché queste siano pienamente fruibili,è necessario che siano accessibili in tempi ragionevoli.Invece le carenze del sistema dei trasporti rendono diffici-

le e costosa l’accessibilità in molte mete italiane, soprattut-to al Sud. Non dimentichiamo che il turismo costituisceuna forte leva per lo sviluppo, in quanto in grado di ali-mentare un circolo virtuoso capace di sostenere e incre-mentare i livelli di occupazione e delle attività produttivecollegate, sia nel settore commerciale che in quello indu-striale. Per il Mezzogiorno, in particolare, il grande poten-ziale di capacità di attrazione turistica rappresenta un’oc-casione unica di rilancio economico e sociale.

L’obiettivo del riequilibrio modale

Come è noto, l’Italia ha caratteristiche produttive,morfologiche e storiche particolari. Ha un tessuto di pic-cole e medie imprese sparse sul territorio, è circondatadalla barriera alpina e dal mare, è percorsa da rilievi intutta la sua lunghezza ed ha un’alta densità abitativa.Inoltre ha una tradizione marinara da cui abbiamo eredi-tato realtà portuali collocate nel cuore storico delle nostrecittà. Da qui nascono molte delle nostre difficoltà e da quidobbiamo partire per dare risposte alle esigenze di mobi-lità di un paese moderno, inserito nel contesto europeo eglobale.

La domanda di mobilità che si sta sviluppando richiedeun uso più razionale delle infrastrutture esistenti; a questoproposito spesso si parla di esigenza di riequilibrio moda-le. Tuttavia anche qui occorre esser chiari. Le diversemodalità di trasporto sono intercambiabili solo a certecondizioni, per determinati tipi di spedizioni, per percor-

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Asse Nord-Sud, tra l’EuropaCentrale ed il Bacino del Mediterraneo

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Asse Est-Ovest, dall’Europa dell’Este i Balcani alla penisola Iberica

Asse transcontinentale marittimo che, attraverso il Canale di Suez, collega il Far East

con l’Europa e l’Atlantico

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renze medio-lunghe, e qualunque spedizione è destinataad iniziare e/o terminare il suo percorso su un camion osu un furgone. Il trasporto stradale ha caratteristiche diflessibilità e capillarità non eguagliabili, tanto più in unpaese che ha le peculiarità prima descritte. Non a casoanche a Bruxelles si discute su come trasferire dalla stradaad altre modalità non la maggior parte dei carichi, ma lacrescita prevista, e già questo è considerato un obiettivoottimistico.

La nozione di riequilibrio modale è di uso corrente comeespressione sintetica delle politiche sostenute, soprattuttodall’Unione europea, a fini di contenimento dell’impattoambientale dei trasporti e della congestione, rilancio dellamodalità ferroviaria e promozione del corto raggio marittimo.

L’Italia presenta tuttavia peculiarità che suggeriscono diporre la questione del riequilibrio modale nell’ottica piùampia dell’ottimizzazione della complementarietà intra-modale e inter-modale per la crescita quantitativa e quali-tativa dell’offerta, a fini di sviluppo.

Non ci sono rivoluzioni da fare, ma correttivi da calibra-re per ottenere almeno due risultati:

- rendere più elastiche le condizioni di economicità dellamultimodalità per il committente, in termini di tempo,prezzo e qualità, così favorendo l’uso del ferro, del maree del cielo;

- ottimizzare i carichi destinati comunque a viaggiare sustrada, per ridurre in misura apprezzabile la percentualedi veicoli che circolano vuoti o semi vuoti.

Gli operatori del trasporto hanno abbandonato datempo l’ottica della competizione tra modalità in favore diuna collaborazione e complementarità in chiave logistica,che è ben più produttiva per tutti. L’upgrade qualitativo equantitativo dell’offerta di trasporto è diffusamente imma-ginato in chiave di flessibilità plurimodale, e su di essasoprattutto si incardinano i servizi suscettibili di produrrerisultati apprezzabili anche in tempi brevi, come le auto-strade del mare e il complesso pacchetto per la fruibilitàturistica del territorio italiano.

Le risorse, anche di territorio, sono limitate e allora èvitale concentrare gli interventi e puntare sulle tecnologie.Servono alcune grandi opere, per avvicinare ilMezzogiorno e per assicurare le connessioni con i grandicorridoi marittimi e terrestri internazionali.

Sono urgenti le opere minori di magliatura della rete,realizzabili in tempi più brevi e mirate ad eliminare i colli dibottiglia, a decongestionare i nodi urbani, a connettere inmodo efficiente le reti delle diverse modalità. E servono leapplicazioni tecnologiche e informatiche, in grado difavorire, anche in ambito urbano, la fluidificazione deitransiti, l’ottimizzazione dei flussi, la sicurezza e l’interope-rabilità dei sistemi, anche oltre frontiera.

I sistemi intelligenti sono infatti da considerare partedella concezione stessa di “rete infrastrutturale”, comecomponente in grado di ottimizzare anche le capacitàdella rete fisica. Le infrastrutture terrestri, in particolare,non sono più concepibili come semplici nastri d’asfalto o

di rotaia né solo come piattaforme di smistamento, macome sistemi capaci anche di partecipare alla gestione deiflussi di informazione sulla circolazione e sui carichi.

Ma le infrastrutture restano solo uno dei nodi da scio-gliere. A monte di tutto serve una pianificazione raziona-le e di sistema, e decisioni conseguenti; forse proprio perqueste mancanze scontiamo oggi una situazione di ina-deguatezza del sistema.

Si sente la necessità di una riconversione in chiave logi-stica della politica dei trasporti nel suo complesso, che hasinora favorito il mantenimento di modelli operativi, equindi di una struttura del mercato, che comprime la pos-sibilità delle imprese del settore di evolvere nel ruolo cheè loro più congeniale, quello appunto della logistica, spe-cie in termini di dimensioni d’impresa, di standardizzazionedei servizi, di specializzazione. Va perseguita la coessenzia-lità e interdipendenza degli interventi. Solo dalla parallelaazione su più fronti – assetto normativo, politica industria-le dei trasporti, interconnessione infrastrutturale, upgradetecnologico, etc. – può derivare una “politica” per i tra-sporti capace di mettere in movimento le capacità proget-tuali e di investimento delle imprese e dunque di aprirespazi per la necessaria innovazione organizzativa e tecnica.

Si avverte l’urgenza di un coordinamento istituzionaleche prevenga scelte di pianificazione, regolazione eincentivazione contraddittorie ai livelli locale, nazionale,europeo e favorisca una pianificazione integrata della retee dei nodi su scala almeno interregionale, secondo unapproccio opportunamente selettivo.

Le infrastrutture di trasporto: i programmidell’Unione Europea

Lo sviluppo del settore dei trasporti è un obiettivo fon-damentale per la realizzazione del mercato interno euro-peo, necessario per favorire la libertà di movimentonell'UE, tenuto anche conto del ruolo primario dei tra-sporti per la competitività del sistema economico. Infatti, ilsettore – che comprende il trasporto su strada e su rotaia,la navigazione marittima, fluviale ed aerea – genera il10% per cento del Pil comunitario, crea il 7% dei posti dilavoro, assorbe il 40% degli investimenti degli Stati mem-bri e richiede il 30% dei consumi di energia comunitari. Sitratta di un sistema complesso "a rete" che richiede ilnecessario supporto logistico e innovativo.

Il Trattato di Maastricht ha riconosciuto il rilievo decisivodelle reti transeuropee (Trans European Networks – TEN)nei settori dei trasporti, dell'energia e delle comunicazio-ni. Gli obiettivi dell'UE nel settore dei trasporti sono:

- creare un sistema di trasporti moderno ed efficienteche favorisca la concorrenza e sia sostenibile dal punto divista economico, sociale e ambientale;

- favorire la liberalizzazione del trasporto ferroviario; - armonizzare la legislazione sulla sicurezza dei mezzi e

delle infrastrutture di trasporto; - ridurre l'impatto ambientale dei trasporti stabilendo dei

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limiti per l'emissione di sostanzeinquinanti e di rumore; - favorire la creazione di nuove

ed efficienti vie di comunicazionetra l'Ue e i paesi vicini.Nel 2004 il Parlamento Europeoha approvato i nuovi orientamenticomunitari per lo sviluppo dellereti TEN-T che comprendono unalista di 30 progetti prioritari. L’Italiaè ben rappresentata nelle nuovemappe delle reti transeuropee diTrasporto, essendo percorsa:

- dall’asse ferroviario n. 1“Berlino-Palermo”, che prevede ilpotenziamento del tunnel delBrennero e la costruzione delPonte sullo Stretto;

- dal “Corridoio V” che, collegan-do Lisbona a Kiev, attraversa la pia-nura padana;

- da un terzo grande asse checonnette il porto di Genova conquello di Rotterdam;

- inoltre, i porti italiani benefice-ranno di due “autostrade delmare” quella dell’area occidentalee quella dell’area orientale delMediterraneo.

Programma di investimentidel Gruppo Autostrade

In questo scenario si inseriscel’attività del Gruppo Autostrade. Autostrade per l’Italia e lealtre Concessionarie del Gruppo hanno in fase di realizza-zione un programma di investimenti in “Grandi Opere”per circa 11 miliardi di euro, che prevede interventi per ilpotenziamento e allargamento di circa 570 km della reteautostradale.

Tale piano ha l’obiettivo di migliorare la capacità dellarete in esercizio sulle principali direttrici di collegamentonazionali, onde assicurare una mobilità più sicura e conmigliori livelli di servizio.

In particolare, per quanto riguarda Autostrade perl’Italia, il piano di investimenti si articola in due program-mi di interventi. Il primo, compreso nel piano finanziarioallegato alla Convenzione del 1997 con l’ANAS, e il secon-do, contenuto nel IV Atto Aggiuntivo alla citataConvenzione stipulato nel 2002 e reso efficace nel 2004.Gli interventi di ampliamento e potenziamento interessa-no le maglie di rete su cui si concentrano i maggiori volu-mi di traffico o in prossimità delle aree metropolitane delpaese e che sono interessate da più frequenti turbative efenomeni di congestionamento.

I programmi di intervento delle altre società delGruppo, compresi nei rispettivi piani finanziari, rispondo-no ai medesimi obiettivi di Autostrade per l’Italia e preve-dono il potenziamento di arterie già esistenti.

Solo la Società Raccordo Autostradale Valle d’Aosta(RAV) è impegnata nella realizzazione di una nuova trattaautostradale. Hanno particolare rilevanza le opere diampliamento e ammodernamento della Napoli-Pompei-Salerno (SAM) e delle autostrade romano-abruzzesi(Strada dei Parchi).

Va inoltre evidenziato che il contributo del GruppoAutostrade non si limita al potenziamento infrastrutturale,ma comprende anche azioni volte a valorizzare a pieno lafunzionalità del modello gestionale a rete, attraverso l’in-troduzione nel sistema di quote crescenti di innovazionetecnologica e di servizi:

- infomobilità;- controllo e gestione del traffico; - regolazione degli accessi nelle Zone a Traffico Limitato;- utilizzo sistemi avanzati di pagamento;- parcheggi; - sviluppo dell’intermodalità.

PROGRAMMA DI INVESTIMENTI DI AUTOSTRADE PER L’ITALIA

3a corsiaLainate - Como

3a corsiaMilano - Varese

AccessibilitàPolo Fieristico Milano

4a corsiaMilano - Bergamo

Modena - Bologna

Tang. di Bologna

3a corsiaRimini Nord - Pedaso

Passante di Genova

Variante di Valico

Nodo di Firenze

3a corsiaOrte - Fiano

Interventi previsti nellaConenzione 1997

Interventi previsti nel4a Atto Aggiuntivo 2002

3a corsiaGRA - Roma Nord

Milano

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Bologna

Firenze

Pescara

Roma

NapoliBari

Venezia

Le scelte da attuare

A oltre quattro anni dall’entrata in vigore della LeggeObiettivo possiamo tracciare un primo bilancio dei suoieffetti. La nuova normativa ha avuto sicuramente il meri-to di aver colto pienamente la centralità di una modernarete di trasporto per lo sviluppo, definendo gli interventi,rimuovendo taluni ostacoli, accelerando iter approvativi,nei percorsi e nei tempi.

Vanno rimarcati anche i limiti: troppe opere sono statedefinite prioritarie (circa 260 interventi da realizzare indieci anni), resta ancora molto elevato il divario tra fabbi-sogno finanziario e risorse disponibili, mentre non tutti ivincoli sono stati rimossi.

In considerazione anche della difficile situazione in cuiversa la finanza pubblica, è urgente intervenire sui nodiche ancora persistono, con l’obiettivo di:

- ridefinire le effettive priorità del Sistema;- superare le difficoltà che ritardano il processo realizza-

tivo delle opere;- creare le condizioni per il reperimento delle risorse

finanziarie necessarie alla realizzazione degli interventi.Sul primo aspetto gli interventi compresi nel

Programma delle opere strategiche del CIPE configuranosostanzialmente il fabbisogno infrastrutturale del paese enon costituiscono una scelta di priorità. Assumendo di rimuovere i più importanti colli di bottiglia nel sistema di comunicazione del paese e favorirne la concreta realizza-bilità, è necessario definire poche ed essenziali opere,quelle di cui il paese ha estremo bisogno.

Perché le opere siano effettivamente realizzate in tempi

ragionevoli, è tuttavia necessarioun forte impegno per rimuoverei vincoli ancora esistenti. Infatti,pur in presenza di numerosi can-tieri avviati, l’attività di esecuzio-ne delle opere, in particolarequelle autostradali, continua ariscontrare forti criticità e ritardi,dovuti a fattori, cause e situazio-ni al di fuori della responsabilitàgestionale ed operativa del con-cessionario.

I ritardi nelle autorizzazioniambientali e urbanistiche permolti progetti, anche a valle delleConferenze dei Servizi e dellaValutazione d’Impatto Ambien-tale, hanno generato e continua-no a generare rallentamenti.

Se si intendono realizzaresenza intoppi le infrastrutture peril rilancio della competitività delpaese, devono essere istituite

procedure accelerate, anche per le opere non rientrantinella Legge Obiettivo, con l’obiettivo di:

- intervenire per velocizzare gli iter approvativi;- dare certezza al quadro di riferimento per le imprese:

costi, tempi e modifiche progettuali;- rimuovere alcuni limiti dell’attuale legislazione che in

ambito di gara: prevede la scelta dei partecipanti secon-do criteri formali (possesso dei requisiti di legge, non par-ticolarmente selettivi); predilige il criterio del massimoribasso, con la possibilità che le imprese presentino offer-te in perdita. Si auspica che la normativa nazionale direcepimento della Direttiva 2004/18 in materia di appalticontenga il superamento di tali limiti tipicamente naziona-li, riavvicinando la nostra disciplina a quella dell’UnioneEuropea;

- attuare la composizione fra interesse generale ed inte-resse particolare delle comunità locali.

Bisogna inoltre guardare agli esempi di paesi vicini chehanno altrettanto a cuore la tutela dell’ambiente, dovetuttavia si riesce a costruire. Le opere per essere realizzatehanno bisogno di certezze. L’iter procedurale, anchelungo e complesso, una volta esaurito, non può essererimesso in discussione. La competitività necessita di unariduzione dei tempi di realizzazione delle grandi opere perfavorire la mobilità.

Il contributo dei privati

Per quanto riguarda il finanziamento delle opere, già daalcuni anni la carenza di fondi statali per la realizzazionedi opere pubbliche, connessa all’esigenza di rispettare gliobiettivi di deficit di bilancio, spinge il pubblico a ricerca-

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Fonte: Ministero Infrastrutture.

CORRIDOIO V

CORRIDOIO V

CORRIDOIO VII

CORRIDOIO DEI DUE MARI

Genova

Rotterdam Berlino

Kiev

Varna

BariLisbona

Corridoi transeuropei programmati sulterritorio italiano

Lisbona - Kiev (Corridoio V)Bari - Varna (Corridoio VII)Rotterdam - Genova (Corr. dei due mari)Berlino - Palermo (Corridoio I)

Palermo

CORRIDOIO I

re nuove forme di cooperazione, finalizzate al coinvolgi-mento di risorse private in progetti infrastrutturali.

Il Private-Public-Partnership (PPP) rappresenta un validostrumento per realizzare opere pubbliche attraversoforme di collaborazione con i privati attraverso:

- un’equilibrata allocazione del rischio tra il committen-te pubblico e il finanziatore/operatore privato nelle attivitàdi progettazione, costruzione e gestione dell’opera;

- la definizione contrattuale degli standard di qualità cheil privato si impegna ad erogare, sia nella costruzione del-l’infrastruttura che nella gestione del servizio.

Il coinvolgimento del capitale privato può consentire dimigliorare e accelerare la progettazione, costruzione egestione delle infrastrutture di trasporto, con benefici perla mobilità di uomini e mezzi, ma dipende dal tipo diopera e da come si procede. Per realizzare infrastrutture èinnanzitutto necessario garantire che sussistano le condi-zioni di fattibilità delle stesse. Le risorse finanziarie sonoinfatti reperibili sul mercato ad un costo ragionevole, masolo se i progetti risultano essere credibili, non solo dalpunto di vista tecnico ed economico. È infatti indispensa-bile il sostegno di un’adeguata capacità di governo delsistema: ciò significa che i diversi livelli di governo del ter-ritorio condividano senza riserve le nuove opere, altri-menti ciò si traduce in criticità e ritardi.

In assenza di certezza del contesto o di capacità digoverno si rischia che la realizzazione di infrastrutture, purse necessarie, venga rimandata nel tempo, come nel casodella tratta autostradale nuova Milano-Brescia (Brebemi) e

quindi che i finanziatori chiedano tassi di remunerazionedel capitale più elevati.

Conclusioni

L’uscita dallo stato di stagnazione del sistema produttivonazionale passa necessariamente attraverso il superamen-to del gap infrastrutturale con gli altri paesi, nostri princi-pali competitors. Abbiamo bisogno di un potenziamentodell’offerta di logistica, necessaria per un paese che restamanifatturiero ma che non potrà avere sul territorio tuttele fasi delle produzioni.

L’investimento in infrastrutture va finalizzato anchetenendo in conto la necessità di decongestionare i “collidi bottiglia” del sistema nazionale dei trasporti.L’adeguamento della rete dei trasporti, funzionale al siste-ma produttivo, permetterà anche una maggiore accessi-bilità e valorizzazione del territorio, in termini di attrattivitàper investimenti e flussi turistici.

Gli scenari sono in rapida evoluzione sotto diversi puntidi vista: quadro normativo, processi produttivi, logiche disviluppo, pianificazione dei trasporti. Ci sono oggi le con-dizioni per avviare un modo nuovo di fare programmazio-ne nel sistema dei trasporti coordinando le diverse moda-lità, in modo da:

- salvaguardare le esigenze del territorio;- rafforzare il patrimonio infrastrutturale al servizio della

capacità produttiva;- proiettare l’Italia in una logica di crescita e di sviluppo.

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Negli ultimi venticinque anni, il settore delle teleco-municazioni (Tlc) è stato caratterizzato in tutto il

mondo da profondi mutamenti, che hanno trasformatoquello che era un mercato rigorosamente monopolistico(in genere nelle mani di imprese pubbliche) in un’arenasempre più concorrenziale.

Fin dagli anni ‘30, infatti, l’elevatissimo livello dei costifissi, l’irrecuperabilità degli stessi, la presenza di economiedi scala e di densità avevano fatto sì che la gestione dellereti e l’offerta di servizi Tlc venisseconsiderata un classico esempio dimonopolio naturale.

Di conseguenza, il settore sicaratterizzava per la presenza diimprese monopoliste verticalmenteintegrate, sottoposte a regolamen-tazione amministrativa, che avevacome obiettivo di controllare edincoraggiare l’efficienza del gestoremonopolista del servizio. Tale con-dizione, peraltro, ben si adattavaad una situazione caratterizzata dagrande stabilità tecnologica, congestori sostanzialmente monopro-dotto, specializzati nel trasportodella voce, e da un’utenza pocosofisticata.

Su questo quadro molto statico,a partire dagli anni 70, si è abbattu-ta una vera e propria bufera tecno-logica, con una serie di rotture, chehanno determinato cambiamenti

radicali non solo nelle reti ma anche nei servizi offerti enella domanda degli utenti, aprendo infine la strada allaliberalizzazione dei mercati.

Una bufera tecnologica

Il punto di partenza di tale sommovimento è rappresen-tato indubbiamente dallo sviluppo delle tecnologie digita-li che hanno reso possibile la conversione di molti tipi di

informazione (testi, voci, suoni,immagini in movimento) in mes-saggi binari codificati, che posso-no essere combinati, immagazzi-nati, manipolati e trasmessi velo-cemente in maniera efficiente e ingrandi volumi su ogni tipo di rete,informatica o di Tlc, senza perderedi qualità, aprendo così la stradaalla convergenza tra le diversereti.

Per molti anni, però, le poten-zialità della digitalizzazione sonostate più evidenti nel settore infor-matico e nell’InformationTechnology che non nelle Tlc. Iprodigiosi progressi della microe-lettronica sono stati facilmenteincorporati nei calcolatori, mavenivano frenati dalla lentezza edall’inadeguatezza delle infrastrut-ture Tlc. Tradizionalmente, infatti, igestori telefonici si erano preoccu-

Il settore delle telecomunicazioni vive dagli anni ‘70

una vera e propria bufera tecnologica. Il punto di partenza è individuato nello sviluppo

delle tecnologie digitali… L’Autore illustra i termini di questa bufera e individua

i possibili sbocchi di cambiamenti che incidono sul nostro modo di vivere e di operare.

ENZO PONTAROLLO

Professore ordinario di Economia industrialenell’Università Cattolica del Sacro Cuore diMilano. È stato Vice Presidente di Italcable ecomponente del Consiglio Superiore Tecnicodelle Poste e Telecomunicazioni ed ha fattoparte del Comitato Consultivo della CEE sugliappalti pubblici. È autore di diverse pubblicazio-ni su tematiche di telecomunicazioni, imprendi-toria, economia e politica industriale, tra cui:Regole e regolatori nelle telecomunicazionieuropee (con A. Oglietti), il Mulino, 2003; Laliberalizzazione zoppa. Il caso della telefoniafissa (con S. Frova), Vita e Pensiero, 2004.

LA POSSIBILE CONVERGENZANELLE AUTOSTRADEDELLA COMUNICAZIONETRA RETI FISSE E RETI MOBILI

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pati di costruire reti adatte a comunicazioni che scorronoregolarmente, costantemente ed in tempo reale (come lavoce), e di garantire l’affidabilità delle stesse e la qualitàdel servizio: ciò veniva realizzato tramite la commutazionedi circuito che, invece, si è dimostrata inefficiente nellacomunicazione dei dati, che vanno ad ondate, nonrichiedono trasmissione in tempo reale e nemmeno con-nessioni dedicate.

L’esplosione del traffico dati ha, perciò, condotto allacostituzione di reti separate a commutazione di pacchetto,X25 (per velocità fino a 64 kbit/s) e Frame Relay (per velo-cità fino a due Mbit/s). Nonostante i diversi tentativi perintegrare e far convergere i due mondi della voce e deidati, i risultati sono stati abbastanza modesti, come dimo-stra l’esperienza dell’ISDN e il difficile decollo delle reti ATM.

Dai primi anni ‘90, tuttavia, telefonia vocale e trasmissio-ne dati hanno iniziato a convergere grazie al protocollo IP,che diventa la base per la creazione di reti multiservizio, acommutazione di pacchetto, in grado di trasportare voce,e-mail, dati, per arrivare alla videoconferenza.Gradualmente, si è andato definendo un protocollo capa-ce di far interagire le varie reti e far comunicare tra loro lediverse tecnologie in una sola rete aperta.

Le difficoltà maggiori che hanno rallentato l’affermazio-ne delle piattaforme IP hanno riguardato la telefoniavocale, in quanto il protocollo IP non garantiva lo stessolivello di affidabilità assicurato dalla commutazione di cir-cuito. Per superare tale ostacolo, è stato necessario inte-grare il protocollo IP con idee e soluzioni tratte dalmondo delle Tlc, capaci di garantire livelli standard diqualità del servizio. Il lavoro di ricerca, tuttavia, è ancorain corso, per cui oggi “tutto è trasmesso per pacchetti,anche se ci sono pacchetti più garantiti di altri”(Vannucchi, 2005, p. 12).

La convergenza tra i mondi della telefonia vocale e deidati implica la realizzazione di infrastrutture uniche, lecosiddette Next Generation Networks (NGN), che con-sentiranno di ridurre notevolmente i costi e razionalizzarela gestione dei servizi, in quanto operare con più reti conintensità d’uso, modalità di funzionamento e caratteristi-che tecnologiche diverse conduce a numerose ridondan-ze e sovrapposizioni. Se tutti i servizi vengono trasportatie indirizzati sfruttando un unico network, gli operatorisaranno in grado di risparmiare sulle spese di investimen-to, e di minimizzare i costi di gestione e manutenzioneottenendo economie di scala.

La Voice over IP (VoIP) apre agli operatori Tlc nuoveinteressanti opportunità di business, ma li espone anchea potenziali minacce dovute sia al calo della redditività dei

servizi di telefonia vocale, che hanno rappresentato dasempre la cash cow del settore, sia all’affermazione dinuovi soggetti provenienti dai servizi Internet e dai media.Le principali applicazioni del VoIP sono due: da un lato,esso verrà impiegato da tutti i grandi gestori Tlc per forni-re telefonia di alta qualità, analoga a quella attuale ma acosti molto più bassi.

L’altra applicazione del VoIP è quella realizzata da Skypeche, grazie ad un software fornito agli utenti, consente diutilizzare la rete Internet sia per realizzare gratuitamentecomunicazioni telefoniche dirette da computer a compu-ter, sia per raggiungere attraverso Internet nodi di raccol-ta per effettuare chiamate da e verso reti telefoniche con-venzionali a tariffe particolarmente convenienti (Capitanie Decina, 2006, p. 6).

Tutti gli esperti credono nell’affermazione del VoIP1, maanche nel fatto che si determinerà una riduzione signifi-cativa degli introiti dei servizi voce; di qui deriva la neces-sità per i gestori delle reti di individuare e fornire nuovi ser-vizi, in grado di creare nuovo valore.

La risposta a questo problema sembra legata alla possi-bilità di trasportare sulle reti IP anche le immagini fullmotion, cioè la televisione. Ciò è reso possibile dallo svi-luppo dello standard MPEG, che consente di comprimereil segnale televisivo, rendendolo veicolabile sulle reti Tlc.

Diventa così possibile la convergenza tra Tlc e televisio-ne – dimostrata dalla crescente presenza di operatori tri-ple play, ossia di imprese che forniscono contemporanea-mente servizi vocali, accesso ad Internet e contenuti tele-visivi – che porta all’affermazione di un modello di com-petizione a tutto campo, attuata da operatori globali.

Dal 2005, sono oltre 15 gli operatori Tlc europei cheoffrono questo servizio (IPTV)sulle loro reti, e tra essi ritro-viamo France Telecom, Deutsche Telekom e, da qualchemese, anche Telecom Italia. L’IPTV consente ad un utentedotato di una connessione ad Internet, grazie ad unapposito decoder, di usufruire delle risorse della rete diret-tamente sullo schermo televisivo.

L’operazione è agevolata da un telecomando con cuiselezionare i contenuti prescelti. L’IPTV ha un ulteriorevantaggio, perché consente di passare dalla logica delconsumo immediato di un palinsesto dettato da altri allalogica della Tv fruibile nel tempo, secondo i propri ritmi. Èla televisione on demand, di cui si era parlato molto inpassato, ma che oggi si realizza.

Ovviamente la possibilità di offrire l’IPTV rappresenta nelcontempo una sfida ed una opportunità, ma implica ladisponibilità di ampiezza di banda e la soluzione del pro-blema dell’accesso2.

1 Secondo Giancarlo Capitani e Maurizio Decina, nel giro di una diecina di anni, la quasi totalità delle telefonate sarà realizzata a pacchetto con standard IP.

2 Il servizio di accesso consente di connettere l'utente finale alla centrale di commutazione locale. La rete d'accesso o rete di distribuzione locale sidivide in primaria o secondaria: quella primaria collega le centrali di commutazione ad un certo numero di concentratori (armadi), mentre la retesecondaria collega questi ultimi agli utenti finali. Nel dibattito corrente si usano come sinonimi i termini: accesso, rete di accesso, rete di distribuzio-ne locale, ultimo miglio, local loop.

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Le potenzialità della banda larga

La disponibilità di un’unica infrastruttura a banda larga rap-presenta la condizione necessaria per il successo della con-vergenza ed implica che la rete disponga di certi requisiti.

Il primo e fondamentale è rappresentato dall’ampiezzadella banda, cioè la quantità di informazioni per unità ditempo che possono viaggiare attraverso una connessionetra un mittente e un destinatario. È importante sottolinea-re che, data la rapidità del progresso tecnologico, ciò cheoggi viene considerato banda larga potrebbe non esser-lo domani (cioè nell’arco di alcuni mesi), come si deducechiaramente dallo straordinario incremento nella capacitàdi banda garantito nelle recenti offerte commerciali al

pubblico dei principali operatori italiani.Il secondo requisito essenziale è legato alla permanen-

za (always-on) della connessione e consente di attivare inqualsiasi momento forme di comunicazione sulla rete. Sitratta di una condizione necessaria per rendere possibilimolte applicazioni di comunicazione, tra cui il VoIP e altriservizi a valore aggiunto (monitoraggio a distanza, tele-sorveglianza, etc.).

Il terzo requisito, che differenzia le reti broadband daquelle televisive e radiofoniche tradizionali, è rappresenta-to dal fatto che la capacità di banda sia disponibile sia perla trasmissione che per la ricezione: le reti di broadcasting,infatti, non consentono di trasmettere dall’utente all’emit-tente (vale a dire upstream).

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Belgio 4.303.084 970.668 4.205 2.010 270.588 - 763.113 Repubblica Ceca 3.116.900 275.000 34.000 - - - 341.000 Danimarca 3.276.717 597.035 62.179 79.415 92.068 187.650 319.240 Germania 36.550.000 6.300.000 2.300.000 6.000 1.601.500 47.000 303.600 Estonia 410.925 82.135 1.685 - 60 10.896 84.328 Grecia 5.500.000 110.670 5.018 1.866 40.439 760 1.360 Spagna 15.642.543 2.671.639 155.731 279.029 809.036 5.572 1.105.926 Francia 33.150.028 4.456.535 597.857 2.229.031 2.107.138 - 560.000 Irlanda 1.453.000 151.555 3.494 1.484 45.757 2.340 72.230 Italia 25.877.861 4.901.000 669.706 145.812 840.130 42.301 297.747 Cipro 401.368 44.322 - - - 2.768 - Lettonia 599.901 68.771 99 1 593 292 61.573 Lituania 765.006 102.117 - - 2.681 241 129.007 Lussemburgo 241.449 52.402 3.088 114 7.528 985 6.319 Ungheria 3.356.014 307.325 - 26 105.535 26.026 180.800 Malta 203.000 15.669 - - 14.470 - 21.150 Olanda 6.907.000 1.832.806 121.626 596.620 - - 1.562.521 Austria 2.767.800 467.000 110.000 83 106.000 - 493.100 Polonia 8.741.000 646.738 - - 35.216 6.575 278.908 Portogallo 3.772.821 585.579 68.602 6 53.729 347.323 167.062 Slovenia 600.000 118.191 847 - 10.243 871 66.534 Slovacchia 1.176.673 104.487 - - - 208 33.232 Finlandia 2.205.071 625.257 141.798 58.466 103.747 151.951 90.144 Svezia 5.000.000 717.000 58.561 315.680 159.200 - 615.235 Regno Unito 28.700.000 2.450.578 99.022 92.978 4.622.943 - 2.623.105 EU15 175.347.374 26.889.724 4.400.887 3.808.594 10.859.803 785.882 8.980.702 EU10 19.370.787 1.764.755 36.631 27 168.798 47.877 1.196.532 EU25 194.718.161 28.654.479 4.437.518 3.808.621 11.028.601 833.759 10.177.234

Tabella 1 - L’offerta di connessioni a banda larga nell’UE (dicembre 2005)

Fonte: COCOM 06 - 12, Broadband access in the EU, gennaio 2006.Nota: (a) la voce “Altre linee nuovi entranti” comprende WLL, cable modem, FTTH, satellite, PLC.

Paese Linee a banda stretta

Linee DSLincumbent

Full ULL Accessocondiviso

Bitstream eresale

Altre lineeaccesso

incumbent

Altre lineenuovi

entranti (a)

Linee DSL nuovi entranti

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Attualmente la maggior parte dei servizi di accesso adInternet è fornita all’utente residenziale su base asimmetri-ca; tuttavia alcune applicazioni innovative richiedonoaccessi simmetrici: si pensi alla videotelefonia, alla video-conferenza o allo scambio di file (il cosiddetto peer topeer). Infine, queste reti, oltre a fornire vantaggi economi-ci, possono avere un fortissimo impatto sociale, contri-buendo alla diffusione di numerosi contenuti innovativiriguardanti:

- la salute (e-health);- i servizi pubblici (e-government);- l’istruzione (e-learning);- il commercio (e-commerce);- l’intrattenimento (entertainment).Molte di queste applicazioni possono determinare rile-

vanti effetti per la società, il che spiega l’interesse dellaComunità Europea allo sviluppo di reti broadband, comeemerge dal piano varato nel 2000 dal Consiglio Europeodi Lisbona per promuovere la Società dell’Informazione.Sulla spinta della Commissione, tutti i paesi dell’UnioneEuropea hanno promosso iniziative in quest’area, consi-derata essenziale per favorire la crescita economica.

Ed è proprio con riferimento alla necessità di svilupparela larga banda che emergono alcuni nodi irrisolti dei pro-cessi di liberalizzazione. Se infatti la liberalizzazione è stataefficace sulle tratte interurbane e nella telefonia mobile, siè scontrata con grosse difficoltà nella rete locale d’acces-so, dove permangono alcune caratteristiche del monopo-lio naturale.

I problemi dell’accesso

Come sottolinea un recentissimo documento dell’Auto-rità per le Garanzie nelle Comunicazioni, la realizzazionedi infrastrutture nel settore delle telecomunicazioni, ed inparticolare la creazione di reti d’accesso, richiede da unlato tempi molto lunghi e dall’altro rilevanti investimenti ingran parte non recuperabili (sunk cost) in caso di uscitadal mercato. L’insieme di questi duefattori, i significativi costi fissi per sca-vare e installare una nuova rete diaccesso in rame e l’asimmetria tempo-rale nel mercato tra incumbent e ope-ratori alternativi, attribuisce all’opera-tore storico un vantaggio competitivo tale da scoraggiarel’ingresso degli operatori alternativi nel mercato dell’acces-so. In altre parole, l’operatore incumbent ha usufruito delcosiddetto first mover advantage, avendo potuto effettua-re gli investimenti necessari per costruire l’infrastruttura direte in una situazione di monopolio e con l’obiettivo diservire il 100% dell’utenza potenziale come propria, con-dizioni che, come è evidente, non ricorrono più nel mer-cato in cui si trovano ad investire i nuovi operatori. …[diconseguenza] la duplicazione della rete di accesso inrame potrebbe risultare non solo non remunerativa da un

punto di vista privato, ma anche socialmente non deside-rabile (Agcom. 2005, paragrafo 146 e ss)

Da questa ed altre osservazioni deriva la netta conclu-sione dell’Agcom che “la realizzazione di una rete capilla-re in rame alternativa a quella di Telecom Italia da parte diun nuovo entrante appare perciò altamente improbabi-le….” (ibidem, paragrafo 152).

Il problema diventa molto serio, dato che la digitalizza-zione e soprattutto lo sviluppo di nuove tecniche di com-pressione del segnale hanno smentito le previsioni di unrapido e progressivo declino della coppia elicoidale metal-lica (il cosiddetto doppino telefonico in rame), che resta lostrumento principale per fornire all’utenza la tecnologia diaccesso a larga banda. La più diffusa di esse è infatti rap-presentata dall’x-DSL (Digital Subscriber Line). Tale tecno-logia converte un normale doppino telefonico in unalinea digitale ad alta velocità attraverso l’installazione diun modem a casa dell’utente e di un apparato denomi-nato DSLAM (Digital Subscriber Line Access Multiplexer)nella centrale locale dell’operatore, consentendo così diseparare i segnali voce dal traffico dati ad alta velocità,senza che sia necessaria una linea aggiuntiva. Esistonovarie famiglie di linee DSL, anche se la più nota di esse èl’ADSL, usata soprattutto dagli utenti residenziali e dallepiccole imprese. Si tratta di una linea asimmetrica, inquanto la gran parte della sua ampiezza di banda è utiliz-zata per inviare dati all’utilizzatore mentre solo una picco-la porzione della banda è utilizzata nella direzione oppo-sta. Il grande vantaggio delle tecnologie DSL è che garan-tiscono un servizio “always-on” e lo svolgimento simulta-neo del servizio vocale e di quello Internet con investi-menti relativamente modesti.

La difficile replicabilità della rete in rame pone rilevantis-simi problemi, in quanto ci si è resi conto che la posa difibra ottica, che rappresenta indubbiamente la tecnologiadi accesso di qualità più elevata, non rappresenta un’al-ternativa realistica all’ADSL, a causa degli altissimi costiconnessi sia alla posa della fibra che alla necessità di instal-

lare apparati ad hoc anche presso gliutenti. La conseguenza è che, nelnostro paese, il numero di utenti cheusufruiscono di accessi in fibra otticanon supera i 200.000, un fenomenoche si riscontra anche in molti altri

paesi europei.Perciò molti studiosi (Amstrong, 1997) e le stesse

Autorità di regolamentazione sono giunti alla conclusioneche l’unica vera infrastruttura alternativa di rete fissa eco-nomicamente sostenibile nell’accesso rispetto a quella del-l’incumbent sia rappresentata dalla rete televisiva via cavo(Catv), laddove esiste.

Tali reti si avvalgono di cavi coassiali e cioè fili di rame dicapacità maggiore rispetto al doppino telefonico e chegià raggiungono l’abitazione dell’utente, per cui i costiper adeguarli allo svolgimento del servizio telefonico si

“La Voice over IP apre agli opera-tori di rete fissa interessanti oppor-tunità, ma determina il calo dellaredditività dei servizi vocali”.

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riducono notevolmente. Sfortunatamente nel nostropaese la Catv non esiste ed è impensabile, allo stato attua-le, che possa essere costruita, per cui l’unica possibilitàrealistica di offrire larga banda passa attraverso la rete inrame dell’operatore dominante, con tutti i problemi checiò può comportare.

È proprio a partire da queste difficoltà nel superare ilnodo dell’accesso, ma nello stesso tempo data la neces-sità di una concorrenza che non si limiti alla pura rivendi-ta del servizio offerto dal proprietario della rete, che ilTelecommunications Act, varato negliStati Uniti nel 1996, ha individuato unmeccanismo in grado di superare il bot-tleneck nell’accesso: esso consiste nell’in-centivare i nuovi entranti ad affittare l’ul-timo tratto della rete dell’incumbent, o diutilizzarne singoli elementi, in quantociò comporta costi molto inferiori a quelli (pressochéimpossibili da sostenere) legati alla duplicazione dell’inte-ra rete d’accesso. Questo meccanismo, denominatoaccesso disaggregato alle reti e sottoreti metalliche ounbundling del local loop (ULL), consente ad un entran-te di affittare à la carte elementi della rete locale (cavi ealtri apparati), che l’operatore incumbent avrà la respon-sabilità di manutenere, riparare e sostituire in caso di necessità.

Lo stesso approccio è stato adottato a partire dal 2000anche dalla Commissione Europea, che ha reso vincolan-te l’obbligo di attuare l’ULL nei paesi dell’Unione.

L’ULL si presenta in tre diverse forme:- accesso disaggregato alle reti e sottoreti metalliche

(full unbundling) ai fini della fornitura di servizi a bandalarga e vocali;

- accesso condiviso (shared access);- accesso a flusso numerico (bitstream), che consente la

trasmissione di dati bidirezionalea banda larga ed altri tipi diaccesso all’ingrosso fornitimediante altre infrastrutture, ovequeste comportino elementiequivalenti all’accesso a flussonumerico (bitstream access).

Data l’enfasi iniziale sulla telefo-nia vocale, il full unbundling eranecessario, in quanto fornisceagli entranti un controllo suffi-ciente del doppino di rame perfornire il servizio telefonico voca-le. Con l’accesso condiviso, inve-ce, l’incumbent controlla e puòancora fornire ai consumatori iservizi vocali, in quanto glientranti utilizzano (e quindi affit-tano) solo una parte dello spettrodi frequenze disponibile sullacoppia elicoidale metallica (dop-pino in rame), e cioè la banda ad

alta frequenza dello spettro disponibile, che può essereusata per l’accesso ad Internet a larga banda. Di conse-guenza, i circuiti ad accesso condiviso restano connessialla rete dell’operatore dominante e gli utenti continuanoa ricevere i servizi vocali da quest’ultimo. Il bitstreamaccess è simile all’accesso condiviso, in quanto lo spettrodi frequenze del doppino è condiviso sia dall’incumbentche dal nuovo entrante. La differenza rispetto alle altredue modalità di unbundling, tuttavia, dipende dal fattoche è l’incumbent a fornire la tecnologia ADSL e i

modem. Gli entranti, pertanto, nonhanno il controllo sulla linea fisica e nonpossono aggiungere apparecchiatureproprie. Di conseguenza, i nuovientranti possono fornire solo i serviziprevisti dall’incumbent (De Bijl e Peitz,2005, p. 36).

Con questi strumenti la Commissione Europea intendesviluppare la concorrenza sulla rete d’accesso consideran-dola uno strumento per accrescere la disponibilità di infra-strutture broadband e connessioni ad Internet ad altavelocità.

Lo sviluppo del broadband nell’UE

La tabella 1, basata sui dati più recenti resi disponibilidalla Commissione Europea, fornisce un quadro moltodettagliato del mercato della larga banda nei paesidell’Unione, presentando non solo i dati totali per paese,ma anche la disaggregazione tra accessi forniti dall’opera-tore incumbent e quelli dei nuovi entranti, distinti per tec-nologia. Ciò consente di conoscere sia il grado di svilup-po della banda larga che la dinamica della concorrenza inquesto settore cruciale e, infine, il ruolo delle diverse

“La disponibilità di un’unicainfrastruttura a larga bandarappresenta la condizionenecessaria per il successodella convergenza”.

LA SPINTA TECNOLOGICA VERSO LA CONVERGENZA INDUSTRIALE: UNA SFIDASTRATEGICA PER GLI OPERATORI

Fonte: I quaderni di Telèma, Supplemento al n. 233 di MEDIA DUEMILA, marzo 2006.

Operatori radiomo-

bili- Forniscono servizi

di comunicazionesicuri e fatturabiliper voce e dati

- I nuovi servizirichiedono più banda

- Servizi a pagamento,tariffazione sullabase di eventi o delvalore del servizio

- Costruttori di apparati- Spinta tecnologica

Canali Servizi

Emittenti TV- Cercano di aumentare

l’utenza raggiunta dai loro programmi

- La TV interattiva nondecolla per la mancanza di un canale di ritorno

- Desiderano trovare nuovefonti di guadagno (es. suonerie votazioni)

- Servizi per lopiù gratuiti, finanziaticon la pubblicità

Votazionetelefonate

Votazionetelefonate downloads

modalità d’accesso utilizzate.Per quanto riguarda la diffusione della larga banda, la

percentuale di linee esistenti nell’Europa a 25 in rapportoa quelle a banda stretta è del 30,2% (31,7% se guardia-mo all’Europa a 15). Tuttavia, le differenze tra paesi sonomolto rilevanti, se pensiamo che tale percentuale rag-giunge il 59,5% in Olanda, il 53,1% in Finlandia, il 46,7%in Belgio.

Il dato per l’Italia (26,6%) si colloca nonsolo al di sotto della media europea, il chesignifica uno sviluppo del broadband piùlimitato, ma anche di quella dei maggioripaesi dell’Unione, come il Regno Unito(34,4%), la Francia (30%) e la Germania,che si colloca al 28,8%.

Il secondo importante risultato riguarda la percentualedi linee a banda larga controllate in ogni paese dall’in-cumbent. La media europea è del 50% (49,6% nell’EU15), ma l’Italia si colloca nettamente al di sopra con unaquota dell’incumbent del 71,6%, molto al di sopra dellaGermania (60%) e soprattutto del Regno Unito e dellaSvezia, dove gli incumbent controllano rispettivamente il25% ed il 38,4% del numero totale di linee broadband,ma anche della Francia (44,7%). La performance britanni-ca è attribuibile alla notevole presenza di reti televisive viacavo che, con i loro cable modem, forniscono anchetelefonia vocale e accesso ad Internet ad oltre 2,6 milionidi utenti. La Catv rappresenta una forma di accesso alter-nativo molto significativa in diversi altri paesi comel’Olanda (oltre 1,5 milioni di accessi alternativi rispetto a1,8 milioni di accessi DSL dell’incumbent), il Belgio(763.000 accessi rispetto ai 970.000 accessi dell’operato-re dominante), la Spagna (1,1 milione di accessi rispetto a2,6 milioni di Telefonica), l’Austria (493.000 accessi rispet-to ai 467.000 dell’incumbent) e la Svezia (615.000 rispet-to ai 717.000 del dominante).

Possiamo perciò affermare, senza ombra di dubbio, chein questi paesi le Catv rappresentano la principale formadi concorrenza infrastrutturata agli incumbent: basti pen-sare che ben 8 degli 8,9 milioni di accessi alternativi suinfrastrutture proprie dei nuovi entranti sono forniti dalleCatv, mentre le reti in fibra ottica ed il satellite fornisconoi restanti.

In conseguenza di ciò, in quei paesiche non dispongono di reti televisivevia cavo utilizzare l’ULL diventa unasorta di strategia obbligata per accede-re alla rete locale. Ed infatti, nell’arco dinon più di cinque anni, il numero dellelinee DSL dei nuovi entranti nei paesidell’Europa a 15, basate sull’ULL, ha quasi raggiunto gli8,2 milioni, 4,4 milioni dei quali in full unbundling e 3,8milioni tramite accesso condiviso, mentre 5 milioni di lineeDSL riguardano l’accesso bitstream e altri 5,7 milioni dilinee sono oggetto di pura rivendita.

È interessante notare che la Germania è il paese con ilmaggior numero di linee broadband completamentedisaggregate (2,3 milioni), seguita dall’Italia con 670.000,e dalla Francia con quasi 600.000 linee. La Francia, inve-ce, vede un numero altissimo di linee ad accesso condivi-so (oltre 2,2 milioni su un totale europeo di 3,8 milioni),seguita dai Paesi Bassi con quasi 600.000 e dalla Sveziacon 315.000.

La situazione italiana è abbastanzainteressante: le linee completamen-te disaggregate sono 670.000 circa,con un incremento significativorispetto all’anno precedente, macon un ammontare complessivoancora contenuto, mentre quelle ad

accesso condiviso sono appena 145.000, un valore moltobasso, se pensiamo al basso costo di questo servizio.

Questi dati mostrano i notevoli progressi nel settoredella banda larga in Europa e anche nel nostro paese,anche se il tasso di penetrazione presso le famiglie del30,8% è ancora nettamente inferiore al 35,2% degli StatiUniti, al 51,5% del Canada e soprattutto al 69,8% dellaCorea del Sud. Non c’è alcun dubbio che sia stato propriol’ULL a dare una forte scossa alla crescita del mercato eche dall’ULL dipenda la possibilità di un ulteriore sviluppocompetitivo del broadband in Europa.

La convergenza nella telefonia mobile

La telefonia mobile rappresenta, senza alcun dubbio, ilfenomeno tecnologico e di mercato più clamoroso ed affa-scinante degli ultimi anni: nel 1991, meno del 1% dellapopolazione mondiale possedeva un cellulare e appena unterzo dei paesi disponeva di un’infrastruttura mobile. Oggiil numero di utenti del mobile nel mondo ha raggiunto i2,2 miliardi e i tassi di crescita non accennano a ridursi, gra-zie alla crescente penetrazione anche nei paesi emergenti.Come conseguenza di questo sviluppo, gli utenti mobilihanno ormai nettamente superato quelli della rete fissa. Leragioni di questo successo sono molteplici: non c’è alcundubbio che la “mobilità” rappresenti uno dei connotatidella società contemporanea, e la comunicazione mobilene è una delle espressioni più evidenti.

Dal punto di vista economico, leragioni del successo sono legate all’in-telligente politica di standardizzazioneche ha portato prima alla definizionedel GSM e successivamente dell’UMTS:la disponibilità di standard robusti ecollaudati ha reso possibile l’effettiva

mobilità della comunicazione a livello planetario, contri-buendo a creare un mercato di massa. La presenza diquest’ultimo, a sua volta, ha consentito ai produttori direalizzare consistenti economie di scala che, a causa dellaforte concorrenza sul mercato, hanno determinato una

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“L’unbundling del local loop èil meccanismo individuato dairegolatori per superare il bot-tleneck nell’accesso”.

“La realizzazione di una retecapillare in rame alternativa aquella dell’incumbent apparealtamente improbabile”.

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forte riduzione dei prezzi dei terminali, il che ha ulterior-mente alimentato la domanda. Si è perciò avviato un cir-colo virtuoso tra domanda crescente e offerta di infrastrut-ture e terminali sempre più avanzati in grado di supporta-re nuove funzioni, con l’effetto di alimentare il circolo. Ilcombinarsi di questi elementi ha determinato il clamoro-so successo del GSM ed ha contribuito al raggiungimen-to in tempi rapidissimi della saturazione del mercato deipaesi sviluppati, cioè al raggiungimento del punto nelquale il mercato diventa solo di sostituzione, per cui i prez-zi calano ed i ricavi sia dei produttori di apparati che deigestori del servizio tendono a ridursi.

Di fronte ad una tale situazione, l’unica strada per rilan-ciare la domanda è costituita dall’innovazione continuadei prodotti, che nel nostro caso implica la possibilità perle reti ed i terminali mobili di offrire non solo telefoniavocale ma anche dati. La possibilità di associare mobilità econnettività ha costituito uno sviluppoaffascinante che ha richiesto il passag-gio dai sistemi di seconda generazionecome il GSM, a quelli di terza genera-zione, l’UMTS. La principale differenzatra GSM e UMTS è rappresentata dall’a-dozione di una nuova interfaccia radioche consente di raggiungere velocità di trasmissione ele-vate e molto flessibili, supportando così un’ampia varietàdi servizi di dati.

L’offerta di tali servizi da parte degli operatori mobili si è,infatti, notevolmente arricchita, anche se il settore presen-ta tuttora ampi margini di crescita, in particolare nel seg-mento affari, abbastanza diffidente rispetto all’utilizzo ditali servizi per i problemi legati alla sicurezza nelle applica-zioni aziendali. Più promettente sembra invece la rispostadella clientela residenziale, che ha mostrato molto interes-se al downloading dei servizi audio e video. Ad esempio,TIM nel 2005 ha fatturato 90 milioni di euro, grazie aidownload musicali, che sono stati quasi 10.000 giorno,mentre 3 Italia, l’operatore che ha legato le sue sorti esclu-sivamente all’UMTS, ha realizzato il 40% dei suoi ricavi daiservizi non vocali. L’attività di tutti gli operatori mobili nelcorso dell’ultimo triennio si è concentrata sull’arricchimen-to dei contenuti (in particolare servizi informativi, video,musica, giochi e suonerie) e dei servizi disponibili sui pro-pri portali.

Si nota, tuttavia, che, nonostante la diversificazione el’arricchimento dei servizi, la messaggeria del tipo peer topeer continua a rappresentare la quota preponderantedei ricavi, smentendo peraltro le previsioni di un rigidodeclino degli SMS, che continuano a sopravanzare digran lunga gli MMS in termini di ricavi e di numero.

Secondo dati dell’Assinform relativi al 2005, l’AverageRevenue per User (Arpu) legato ai servizi non vocali inItalia è stato di poco più di 82 euro (con un aumento del26,8% rispetto all’anno precedente). La cifra può sembra-re modesta, ma se pensiamo che nel 2003 un utente

mobile spendeva circa 30 euro per tali servizi, la percezio-ne del dato cambia. Ovviamente la crescita dell’Arpu èlegata alla capacità degli operatori di offrire servizi dati ingrado di convincere i clienti e questo vale soprattutto perla clientela residenziale. Il mercato dei contenuti multime-diali è, infatti, molto complesso: c’è un’intera logistica damettere a punto e una strategia di vendita da inventare.La battaglia per catturare l’attenzione dei consumatori inmobilità va molto più in là della scelta di contenuti di qua-lità, dato che gli utenti mobili sono molto complessi ed ilmodo con il quale il contenuto è distribuito, impacchetta-to e prezzato è di importanza fondamentale.

Nonostante queste difficoltà, va osservato che l’Italia sicolloca all’avanguardia nell’adozione della telefonia diterza generazione in Europa, con una penetrazione tra gliutenti del 15% rispetto ad un dato medio europeo cheraggiunge appena il 6%. Le previsioni tuttavia, sono

molto promettenti e parlano di unapenetrazione nel 2010 del 61% inEuropa e del 72% nel nostro paese, ilche conferma la grande disponibilitàdegli italiani ad usufruire delle nuove“autostrade mobili”. D’altronde, anchese non si è ancora consolidato il consu-

mo di contenuti multimediali sulle reti di terza generazio-ne, gli operatori hanno lanciato una nuova sfida, quelladella tv mobile.

Come abbiamo sottolineato, le reti UMTS sono già ingrado di offrire contenuti video, che possono essere tra-smessi in modalità streaming; tuttavia, su di esse la bandadisponibile per la televisione è limitata, il che comportauna qualità di immagine inferiore a quella cui l’utenza ètradizionalmente abituata. A ciò si aggiunge un problemadi capacità, in quanto si assiste ad una saturazione delnumero di clienti che possono essere serviti contempora-neamente in una data cella. La risposta a questi problemisembra emergere dalla sinergia delle reti mobili con quel-le della televisione digitale, che in Europa si basa sullostandard DVB ed in particolare sulla versione DVB-T (doveT sta per Terrestre). Tale standard, tuttavia, è inadeguatoa fornire servizi ad utenti in movimento, per cui è stata svi-luppata la variante DVB-H (dove H sta per Handheld), chegrazie ad alcuni accorgimenti tecnici consente di garanti-re a questi ultimi una ricezione di buona qualità. I duestandard possono coesistere anche sulla medesima infra-struttura (multiplex), riservando parte della capacità tra-smissiva ai segnali DVB-H.

Ed è questa la strada seguita sia da Telecom che daVodafone che hanno stipulato accordi con Mediaset perl’utilizzo del suo multiplexer. Vodafone ha firmato unaccordo della durata di cinque anni (rinnovabili per altricinque) riguardanti l’uso della rete, ma non i contenuti,mentre l’accordo tra Telecom e Mediaset è più ampio ecomplesso, in quanto l’operatore telefonico utilizza diMediaset sia la rete DVB-H che i contenuti (sia per la Tv

“Il rilancio della telefonia mobi-le è legato alla possibilità dioffrire nuovi servizi multime-diali e televisivi”.

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mobile che per l’IPTV), mentre Mediaset impiega rete eservizi di Telecom nel DVB-H. Il vantaggio per i contraen-ti è evidente: l’operatore telefonico, grazie all’utilizzo del-l’infrastruttura digitale terrestre di tipo diffusivo, garantiràelevata qualità ai suoi servizi, mentre il gestore televisivo,per sviluppare le proprie politiche commerciali, potrà usu-fruire della conoscenza e del contattodiretto che i gestori mobili hanno con iloro abbonati. Anche 3 Italia vuole for-nire ai propri utenti contenuti televisivi,ma ha addirittura acquistato un’emit-tente televisiva (Canale 7), onde evita-re i vincoli che potrebbero derivarledalla dipendenza da un broadcaster televisivo comeMediaset. Si tratta di una strategia indubbiamente corag-giosa, che differenzia ulteriormente 3 Italia dagli altri ope-ratori mobili, in quanto porta il carrier a specializzarsi nonsolo nella distribuzione dei contenuti ma anche nelmestiere del broadcaster.

È difficile dire se la tv mobile otterrà in Italia, che si con-ferma essere all’avanguardia in Europa su tutto ciò che ècellulare, i lusinghieri risultati ottenuti in alcuni paesidell’Estremo Oriente. Come non è sicuro che molti dei ser-vizi che i gestori mobili continuano a sfornare (in partico-lare nel settore della musica) avranno successo. Le offertedi musica e tv sul cellulare dimostrano che il business dellatelefonia mobile, fino a qualche tempofa una gallina dalle uova d’oro, è allaricerca di strade alternative al classicotrasporto della voce e degli SMS. Nonè soltanto il salasso delle licenze UMTS,business rivelatosi nettamente inferiorealle aspettative ed in ritardo rispettoalle previsioni iniziali, ad avere segnato i bilanci dei gesto-ri mobili. Come nel fisso, anche la voce rende sempremeno, di qui la necessità di trovare nuove nicchie che alzi-no l’Arpu.

Verso le reti di quarta generazione

Dalla lunga analisi condotta finora risulta molto chiara-mente che telefonia fissa e mobile, sia pure con tempidiversi ed esiti non ancora certi, hanno sviluppato lo stes-so percorso, giungendo ad integrare in un’unica infra-struttura servizi vocali, dati e video. La domanda chesorge spontanea a questo punto è se non ci stiamoavviando forse verso un’ulteriore possibile convergenza,quella tra reti fisse e reti mobili.

La domanda non è affatto stravagante, dato che di con-vergenza tra fisso e mobile si era già parlato verso la metàdegli anni ‘90, quando furono concesse le prime licenzeper le comunicazioni mobili digitali.

All’epoca, questa possibilità fu abbandonata per diffi-coltà sia tecniche che commerciali e regolamentari, ma daqualche mese, la discussione si è riaperta in seguito alle

iniziative prese da alcuni operatori. La prima offerta di unservizio integrato è stata presentata all’inizio del 2005 daSiminn (Iceland Telecom) utilizzando un apparato checombina tecniche PSTN-ISDN-GSM per offrire un servizioconvergente. La cosa non ha suscitato particolare atten-zione, a differenza dell’offerta BT Fusion, lanciata dall’in-

cumbent britannico nell’autunno2005, che utilizza un terminale dualmode per effettuare indifferentementechiamate sulla rete fissa o su quellamobile a seconda di dove l’utilizzatoresi trova in quel momento, così da utiliz-zare la rete fissa per chiamare i telefoni

fissi, e quella mobile per collegarsi a quelli mobili, rispar-miando risorse.

Qualche settimana fa, Telecom Italia ha annunciatoche intende muoversi quanto prima nella stessa direzio-ne. Si tratta di un fatto molto rilevante che è il fruttodella disponibilità di nuove tecnologie radio innovative,come il Wi-Fi ed il Wi-Max, che sono destinate ad incide-re sullo sviluppo delle nuove generazioni di reti cellulariradiomobili.

Gli esperti prevedono che tali reti dovranno inevitabil-mente integrare nella loro architettura le suddette tecno-logie che, combinandosi con il VoIP, renderanno possibilel’offerta di servizi convergenti fisso-mobile. Non è possibi-

le prevedere in quanto tempo questoprospettiva potrà materializzarsi, ma siagli sviluppi tecnologici che gli orienta-menti di mercato sembrano indicareche ci stiamo muovendo in questadirezione.

Data l’importanza che le infrastruttu-re di comunicazione rivestono per la competitività di ognipaese, è fondamentale che i grandi operatori Tlc che ope-rano in Italia sappiano interpretare correttamente le ten-denze in atto. Essi devono rendersi conto che la conver-genza non è solo l’evoluzione naturale di un ecosistematecnologico sempre più intelligente, ma rappresenta unradicale cambiamento nel modo di pensare che compor-terà, come già nel recente passato, la nascita e la scom-parsa di molte aziende nelle Tlc e nei settori correlati.

Come è stato intelligentemente osservato, “senza que-sto processo di distruzione creatrice, saremmo ancoraprobabilmente senza Internet, non sapremmo cosa sia labanda larga, i telefoni cellulari peserebbero diversi chili epagheremmo prezzi d’affezione per le nostre telefonate”(Prosperetti, 2006, p. 2).

Ma ciò non sarebbe stato possibile in passato e non losarà in futuro senza l’azione dell’Autorità di regolamenta-zione (Agcom) e di quella responsabile della tutela dellaconcorrenza (AGCM), il cui ruolo è indispensabile pergarantire un assetto realmente competitivo in settori dovesi compete utilizzando risorse scarse (frequenze) ed infra-strutture non sempre replicabili.

“Ci stiamo avviando forseverso un’ulteriore possibileconvergenza tra reti fisse e retimobili”.

“In un sistema concorrenzialeben regolato, mercato, con-correnza e regolamentazionesi complementano perfetta-mente”.

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‹ Infrastrutture e reti per crescere in Europa ›

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Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni,Consultazione pubblica sull’identificazione ed analisi delmercato dell’accesso disaggregato all’ingrosso (ivi com-preso l’accesso condiviso) alle reti e sottoreti metalliche, aifini della fornitura di servizi a banda larga e vocali, sullavalutazione e sussistenza del significativo potere di merca-to per le imprese ivi operanti e sugli obblighi regolamen-tari cui vanno soggette le imprese che dispongono di untale potere (mercato n. 11 fra quelli identificati dallaRaccomandazione sui mercati rilevanti dei prodotti e deiservizi della commissione europea. Delibera n. 415/04/CONS, pubblicata sul sito in data18/01/05.

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Bibliografia

Come osserva ancora Prosperetti, con riferimento agli StatiUniti, ma l’osservazione si attaglia perfettamente anche alnostro paese, “l’accorto operare di queste istituzioni ha trac-ciato la cornice entro la quale le forze di mercato si sono libe-ramente dispiegate, mostrando come in un sistema econo-mico concorrenziale ben regolato, mercato, concorrenza e

regolazione si complementino perfettamente” (ibidem, p.1).La nostra speranza è che anche nel nuovo contesto tec-

nologico e di mercato, che presenta sfide regolamentari(relative ad esempio ai contenuti) e competitive (concor-renza tra diverse piattaforme) veramente complesse, sipossa tra qualche anno riconfermare lo stesso giudizio.

L’EUROPAFRA CRISI E RILANCIO

Chi farà ora il primo passo per il rilancio dell’Unione Europea?

All’interrogativo posto da Paolo Gnes aprendo la “Tavola Rotonda”

coordinata da Graham Watson, Presidente del Gruppo Parlamentare Europeo dell'Alleanza dei

Democratici e dei Liberali per l'Europa, rispondono il prof. Alberto Majocchi,

gli Ambasciatori Roberto Nigido e Rocco Cangelosi e gli europarlamentari Elmar Brok,

Jo Leinen e Pierre Jonckheer.

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L’Europa attraversa una fase difficile, di crisi lungo la stra-da che porta al completamento dell’Unione. C’è bisognooggi “di un colpo d’ala”, simile a quello di cui furono capa-ci, nel primo dopoguerra, i padri fondatori dell’Europa.Chi farà il primo passo per il rilancio?

Intorno a questo interrogativo si è sviluppato ed anima-to a Bruxelles, nella sede del Parlamento Europeo, una“Tavola Rotonda” organizzata da Cerved BusinessInformation e dal Gruppo Parlamentare ALDE (Alleanza deiDemocratici e dei Liberali per l'Europa), con la partecipazio-ne di parlamentari europei, di studiosi e di imprenditori.

Tavole rotonde con al centro i temi dell’Europa sonoperiodicamente organizzate da Cerved ed hanno inPaolo Gnes, presidente del Gruppo Centrale dei Bilanci– Cerved, il loro animatore, forte anche del fatto diessere, come ha sottolineato il coordinatore di questa“Tavola Rotonda”, l’on. Graham Watson, un “vecchio e

convinto federalista”.Il dibattito si è svolto in due tempi. Il primo dedicato a

tre “introduzioni”, rispettivamente di Paolo Gnes, del prof.Alberto Majocchi, Presidente dell’Istituto di Studi e AnalisiEconomica (ISAE), e dell’Ambasciatore Roberto Nigido,Consigliere diplomatico del Presidente della Repubblicaitaliana.

Il secondo tempo ha avuto per protagonisti – moderato-re e coordinatore l’on. Graham Watson, Presidente diALDE – quattro “addetti ai lavori”, e cioè l’on. Elmar Brok –Presidente della Commissione per gli Affari Esteri delParlamento Europeo, l’on. Jo Leinen – Presidente dellaCommissione per gli Affari Costituzionali del ParlamentoEuropeo, l’on. Pierre Jonckheer – Vice presidente delGruppo Parlamentare Europeo Verdi/Alleanza libera euro-pea – e l’Amb. Rocco Cangelosi – RappresentantePermanente d'Italia presso l'Unione Europea.

I partecipanti alla Tavola Rotonda: da sinistra Pierre Jonckheer, Rocco Cangelosi, Elmar Brok, Graham Watson, Jo Leinen, Paolo Gnes,Alberto Majocchi

Il processo di integrazione europea è giunto a un puntodi svolta. L’esito negativo dei referendum in Francia e inOlanda e la decisione del governo britannico di sospen-dere il referendum nel Regno Unito hanno messo in crisiil processo di ratifica del trattato costituzionale europeo. Aciò si sono aggiunte una più marcata difficoltà nel rag-giungere il consenso su decisioni fondamentali per il futu-ro dell’Unione e la sostanziale assenza dell’Unione in set-tori nei quali essa potrebbe svolgere un ruolo essenziale,quali la politica estera e la politica energetica.

La Costituzione europea, sottoscritta dai governi di tuttigli Stati membri dell’Unione dopo un lungo e complessonegoziato, recepisce i trattati precedenti introducendoalcune importanti innovazioni intese a rendere più orga-nico ed efficiente l’impianto istituzionale dell’Unione.

Obiettivo raggiunto solo in parte –nonostante l’alta qualità sostanzialee formale del lavoro svolto dallacommissione presieduta da ValeryGiscard d’Estaing – per la necessitàdi trovare faticosi compromessi traconcezioni dell’Unione che restanoprofondamente diverse, sia perquanto riguarda il suo ruolo (merca-to comune o soggetto politico), siaper quanto concerne la natura(intergovernativa o sovranazionale)dei suoi organi.

Nonostante i suoi limiti, laCostituzione continua a rappresen-tare – anche per il suo valore simbo-lico, per i principi enunciati e per gliobiettivi indicati – una tappa impor-tante dalla quale potrebbe riprende-re il cammino dell’integrazione.

Il suo congelamento, pur non pre-giudicando la validità della granparte dei suoi contenuti in quantofondata sui trattati precedenti, rap-presenta quindi un fatto estrema-mente grave, per il significato politi-co che assume e per l’impasse che

ne consegue al processo di rafforzamento delle strutturedi governo dell’Unione, tanto più necessario dopo il suoallargamento.

Il permanere di questa situazione di stallo metterebbe arischio non solo il consolidamento e completamentodell’Unione, ma la stessa sopravvivenza di quanto già realiz-zato, incluso l’euro, che difficilmente potrà sopravvivere alungo senza il completamento dell’Unione con la sua trasfor-mazione in un effettivo soggetto politico in grado di assicu-rare un organico governo dell’economia e della sicurezza.

Chi ha a cuore il futuro dell’Europa e si rende conto chesolo il rafforzamento dell’Unione può garantirlo non puòrestare indifferente a tale prospettiva.

Occorre dunque raccogliere l’invito del ParlamentoEuropeo e utilizzare il “periodo di riflessione” proposto dal

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PAOLO GNES:UN GOVERNO EUROPEOPER L’ECONOMIA E LA SICUREZZA

Paolo Gnes, Presidente di Centrale dei Bilanci - Cerved, fra il Direttore dell'ANSAPierluigi Magnaschi (destra) e l'on. Graham Watson, Presidente del GruppoParlamentare Europeo dell'Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l'Europa.

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Consiglio per una ricognizione a tutto campo del proget-to europeo intesa a promuovere un franco e concretodibattito sull’evoluzione istituzionale dell’Unione, necessa-ria perché essa possa effettivamente rispondere alle atte-se dei cittadini per quanto concerne, in particolare, lo svi-luppo economico e la sicurezza.

È sulla sua coerenza con tale evoluzione istituzionaleche la Costituzione va quindi valutata, fermo restandoche essa è probabilmente il miglior compromesso attual-mente realizzabile e che la sua ratifica sarebbe quindi alta-mente auspicabile.

Una politica economica europea

È l’economia il settore per il quale l’Unione (alloraComunità Economica Europea) è stata creata e nel qualeha conseguito i più importanti risultati: la creazione delmercato unico e della moneta unica, la realizzazione diuna effettiva politica comune agricola, regionale, com-merciale e della concorrenza, il conseguimento di un ele-vato grado di integrazione economica e finanziaria e diun prolungato periodo di crescita in un contesto di cre-scente stabilità e di riduzione degli squilibri regionali.

Nell’ultimo decennio, tuttavia, la crescita economicadell’Unione – e in particolare dell’Eurozona – è rallentata,la disoccupazione è rimasta elevata, la produttività èaumentata meno che negli Stati Uniti.

È diffusa l’opinione che a tale peggiore performanceabbiano contribuito anche i vincoli imposti dalla BCE e dalpatto di stabilità all’adozione di politiche economicheespansive.

In realtà la carenza di una politica della domanda suffi-cientemente flessibile è dovuta non tanto alla presenzadella BCE quanto all’assenza del ministro dell’economia.

L’adesione alla moneta unica da parte di 12 dei 15 Statimembri ante-allargamento è stata il più grande successodell’Unione, in quanto l’euro rappresenta il necessariocompletamento del mercato unico, una moneta di riservain grado di competere con il dollaro, il principale simbolodell’identità europea, la base da cui può partire la faseconclusiva del processo di integrazione.

L’euro ha eliminato le fluttuazioni dei cambi sul mercatointerno, rendendo effettivamente unico il sistema deiprezzi, e ha attribuito all’Unione una vera sovranità mone-taria, che ne riduce la dipendenza dai mercati finanziari edal dollaro.

Il basso livello dei tassi d’interesse dell’euro fin dalla suaadozione dimostra inoltre che la stabilità dei prezzi è statagarantita senza condizionare la domanda, che ha potutogeneralmente beneficiare del credito richiesto senza restri-zioni e a tassi contenuti.

Ciò che manca all’Unione è invece la possibilità di soste-nere e indirizzare la domanda con la politica di bilancio eindustriale. Il Trattato di Maastricht si è limitato a stabilirelimiti massimi ai disavanzi pubblici dei paesi membri: ciò

ha contribuito all’equilibrio della finanza pubblica e alcontenimento dell’inflazione, ma non ha facilitato la ripre-sa economica.

Non è possibile allentare tali vincoli accrescendo corri-spondentemente l’autonomia di bilancio dei singoli Statimembri, perché la stabilità – soprattutto in presenza diuna moneta unica – è un bene comune.

Per superare la rigidità dei criteri di Maastricht occorre-rebbe quindi dotare l’Unione di una effettiva politica dibilancio, da realizzare non solo con l’attribuzione di unaadeguata capacità di coordinamento delle politiche dibilancio degli Stati membri, ma anche con il trasferimen-to delle spese relative alle funzioni che essa potrebbe svol-gere (difesa, reti transeuropee, etc,) e di una corrispon-dente quota di entrate integrabile con l’indebitamento(Union bonds).

Il perseguimento degli ambiziosi obiettivi di Lisbona,soprattutto in termini di qualificazione tecnologica e com-petitività dell’economia europea, richiede peraltro ancheil supporto di una politica industriale comune, in grado ditrasformare – in particolare – i grandi progetti europei inmateria di difesa, reti, infrastrutture, energia, etc. in unpoderoso e organico fattore di impulso allo sviluppo diuna grande industria europea integrata e tecnologica-mente avanzata.

Alla base del formidabile sviluppo negli USA dell’indu-stria aerospaziale, aeronautica, elettronica, e in generedelle industrie collegate alla difesa, non ci sono tanto la“mano invisibile” e gli “animal spirits”, quanto le robustecommesse del governo e delle agenzie federali USA. Delresto anche il progetto Airbus e il progetto Galileo, percitare solo due casi europei di successo, sono stati avviaticon il sostegno statale.

In altri termini, siamo giunti ad un punto in cui l’integra-zione europea non può svolgersi prevalentemente “innegativo”, cioè riducendo e regolamentando le funzionidegli Stati membri senza trasferirle nello stesso tempoall’Unione.

Con l’adozione del mercato unico, della legislazioneantitrust, del patto di stabilità, dell’euro siamo giunti allametà del guado e vi siamo rimasti bloccati. Occorre orasuperare l’impasse trasferendo all’Unione funzioni e stru-menti che le consentano di svolgere anche un attivoruolo di gestione/coordinamento della politica economi-ca, facendo in modo che il complesso equilibrio tra orga-ni sovranazionali e intergovernativi non pregiudichi l’effi-cienza del processo decisionale.

Una politica europea per la sicurezza

Passando alla sicurezza, secondo grande obiettivodell’Unione Europea, dobbiamo constatare che i progres-si realizzati nell’integrazione delle strutture ad essa prepo-ste (affari esteri e difesa) sono ben più modesti.

Eppure, proprio le esigenze della difesa avevano deter-

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minato, nell’immediato dopoguerra, il primo serio tentati-vo di integrazione tra Francia, Germania, Italia e Benelux,culminato nel maggio 1952 con la firma del trattato istitu-tivo della Comunità Europea di Difesa (CED), entità sopra-nazionale che avrebbe potuto costituire – grazie anchealla prevista integrazione con la CECA (Comunità europeaper il carbone e per l’acciaio) – l’embrione di uno Statofederale europeo.

La mancata ratifica del trattato da parte del Parlamentofrancese nell’agosto 1954 faceva tramontare il progetto diun ruolo attivo dell’Europa nella propria difesa, ruolo cheda allora in poi sarebbe stato assunto dalla NATO, soste-nuta e guidata dagli Stati Uniti.

Per tutta la durata della guerra fredda la NATO svolsevalidamente il suo ruolo, facilitata dall’ampia coincidenzadegli interessi vitali e dalla complementarietà dei ruolidelle due sponde dell’Atlantico. Tranne l’istituzione dellaUnione Europea Occidentale, dotata peraltro di scarsaoperatività, non si realizzarono significativi progressi sulpiano dell’integrazione europea.

Il crollo del muro di Berlino e la fine dell’equilibrio bipo-lare hanno modificato profondamente i termini di riferi-mento della difesa europea. Le esigenze di difesa, ridi-mensionate dal dissolvimento dell’URSS, restano peraltropressanti, anche se diverse, per fronteggiare le situazionidi crisi, le possibili ostilità, la minaccia del terrorismo inter-nazionale e della proliferazione nucleare. Per contro lapossibilità di una minore convergenza di interessi con gliStati Uniti rende meno certa la loro copertura militare tra-mite NATO, mentre l’interdipendenza con la NATO dellevarie forze armate europee riduce la loro autonomia diazione.

L’esperienza degli ultimi quindici anni ha evidenziatoampiamente sia quanto frequenti e diffuse siano state lenecessità di intervento militare (guerra del golfo, Bosnia,Somalia, Monzambico, Kossovo, Afganistan, Iraq, etc.), siaquanto ridotta si sia dimostrata la capacità dell’Unione difarsene carico, quando così convenuto, senza il supportodella NATO. Ancora più inadeguata si è dimostrata lacapacità di intervento dell’Unione nella politica estera,introdotta nell’Atto Unico quale “secondo pilastro”dell’Unione, ma tuttora priva di contenuti, di strutture, diprocedure decisionali efficienti.

Nel nuovo equilibrio unipolare la sicurezza di un’Europache intenda preservare la propria autonomia non può esse-re efficacemente garantita né dagli eserciti nazionali, néesclusivamente dalla NATO. Per salvaguardare la propriasicurezza e la propria libertà d’azione l’Unione Europeadovrebbe quindi dotarsi di una difesa comune in grado digarantire un adeguato deterrente e un’autonoma capacitàd’impiego ovunque necessario, sviluppando in modo piùorganico le iniziative a tal fine intraprese (quali la ERRF). Ladifesa comune dovrebbe restare integrabile nella NATO,senza essere peraltro da essa strutturalmente dipendente.

L’integrazione degli eserciti nazionali in una forza arma-

ta europea consentirebbe di accrescerne notevolmentel’efficienza e il potenziale anche a parità di spesa, conside-rando le sinergie realizzabili attraverso una gestione unifi-cata delle risorse, la quale potrebbe inoltre contribuire,come già detto, al rafforzamento dell’industria europea.Unitamente all’unificazione della politica estera, ciò con-sentirebbe inoltre all’Unione di svolgere nelle relazioniinternazionali un ruolo più consono alle sue aspettative,riducendo al contempo in modo costruttivo il pervasivounilateralismo che attualmente le caratterizza.

Il modello di governance a cui tendere

L’attribuzione all’Unione di una funzione digestione/coordinamento della politica di bilancio, indu-striale, estera e della difesa potrebbe contribuire quindi inmodo sostanziale al rilancio dell’economia, all’avvicina-mento agli obiettivi di Lisbona, all’acquisizione di un ruolopiù adeguato nelle relazioni internazionali e alla realizza-zione di un efficiente sistema di difesa. Il tutto senzaaggravi di costo, in quanto si tratterebbe non di crearestrutture nuove, ma di coordinare o fondere – razionaliz-zandole – strutture esistenti, in modo da conseguire asset-ti più efficienti e importanti economie di scala.

Se ciò non è finora avvenuto è per la resistenza oppo-sta dai difensori della sovranità nazionale e degli interessiad essa collegati, assecondata dall’inerzia e dalla pauradel nuovo delle masse. Ma vi ha contribuito anche l’atteg-giamento di quanti, pur convinti della validità del model-lo federale, hanno ritenuto che fosse preferibile nondichiarare apertamente la meta finale, perseguendo inve-ce il rafforzamento delle istituzioni comunitarie nella logi-ca del “domino”, in cui ogni passo comporta un passosuccessivo. Il metodo comunitario ha consentito finora difar lentamente avanzare il progetto europeo, al costoperò di un crescente “deficit democratico” che è probabil-mente tra le cause dell’attuale insoddisfazione.

Per superare l’impasse occorre ora indicare chiaramen-te le mete da perseguire, dimostrarne i vantaggi e la fatti-bilità, proporre soluzioni istituzionali che garantiscano tra-sparenza e democrazia, coinvolgere nel dibattito non solole élites ma tutti i cittadini europei. Il consenso va ricerca-to con l’efficienza delle soluzioni proposte e la dimostra-zione della loro necessità, non con la minimizzazione e lamimetizzazione dei cambiamenti richiesti.

La soluzione più efficiente e democratica per portare acompimento il progetto europeo è certamente quellafederale, da realizzare gradualmente e pragmaticamentesulla base di una rigorosa applicazione del principio disussidiarietà in modo da attribuire al governo federalesolo le funzioni che è essenziale e urgente gestire a quellivello, come quelle sopra indicate.

Tutte le rimanenti funzioni dovrebbero restare preroga-tiva degli Stati nazionali, delle Regioni e degli Enti locali.

Un concreto e aperto dibattito sul futuro dell’Europa

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dovrebbe dunque concretizzarsi nella individuazione edelimitazione delle funzioni da trasferire al governo fede-rale e di quelle da sottoporre al suo coordinamento, suivantaggi che ne deriverebbero, sulla struttura chedovrebbe assumere il governo federale e su comedovrebbe riconfigurarsi l’insieme delle istituzioni europee.

Tale approccio può sembrare velleitario, implicando iltrasferimento all’Unione di alcune componenti dellasovranità degli Stati nazionali. In realtà gli Stati membriscambierebbero componenti di una sovranità esclusivama in larga misura formale con componenti di una sovranitàcongiunta ma effettiva. Non è ovviamente facile modificareassetti e sentimenti che affondano le loro radici in secoli di storia.

Per far ciò dobbiamo essere convinti della necessità delcambiamento e della possibilità di considerare l’Europa –per la forza dei legami, degli interessi e degli ideali che ciuniscono – come la nostra effettiva seconda patria. Tra le isti-tuzioni europee il Parlamento è certamente quella più vicinaai cittadini, quella che con maggiore autorevolezza puòsvolgere un ruolo di catalizzatore delle loro istanze e di pro-pulsore nella formazione di un autentico “demos” europeo.

Tale ruolo dipende in larga misura da quanto i parla-mentari europei – e i rispettivi partiti – riusciranno a fareper attirare l’attenzione dei propri elettori – ancora incen-trata sulle questioni nazionali – sui grandi temi dellagovernance europea. Nel perseguimento di tale obiettivoil Parlamento potrà giovarsi dei think-tanks europeisti, sup-portandone l’attività e promuovendone il coordinamento.

Come procedere?

Sarebbe ovviamente auspicabile che il rilancio del pro-

getto europeo coinvolgesse tutti i 25 paesi membridell’Unione. Ove qualcuno non fosse pronto, gli altridovrebbero comunque procedere, lasciando naturalmen-te la porta aperta.

Correttamente il Parlamento Europeo respinge la pro-posta volta a costituire un “nocciolo duro” di Stati membrimentre è ancora in corso il processo costituzionale o a for-mare coalizioni di Stati al di fuori del sistema UE.

Le cooperazioni rafforzate, aperte in ogni momento atutti gli Stati membri, potrebbero favorire invece la realiz-zazione degli obiettivi dell’Unione, preservarne gli interes-si, rafforzarne il processo di integrazione.

In tale prospettiva va tenuto presente che all’internodell’Unione esiste un nucleo che, avendo adottato lamoneta comune, ha compiuto un passo decisivo versol’integrazione. Per i 12 paesi che hanno adottato l’euro,l’integrazione della politica economica e, di conseguenzadella politica estera e della sicurezza, non è un’opzionema una necessità. Per questa ragione obiettiva l’azione dirilancio del progetto europeo potrebbe partire dall’euro-zona ed estendersi via via a tutti i paesi membri che chie-deranno di farne parte, avendone i requisiti e accettando-ne le regole.

In definitiva, per quanto difficile, il completamentodell’Unione non è impossibile. Per realizzarlo occorre tut-tavia uno scatto di volontà, un colpo d’ala come quelli dicui furono capaci i padri fondatori dell’Europa del dopo-guerra. La Germania ha dato l’esempio, accettando ilPiano Delors e trasferendo all’Unione – unitamente aglialtri paesi aderenti all’euro – il suo bene più prezioso: lasovranità monetaria, nel suo caso effettiva. Chi farà ora ilprimo passo per il rilancio?

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La sala del Parlamento Europeo durante il dibattito. In prima fila da sinistra Massimo De Andreis, Giuseppe Pichetto, Paolo EmilioFerreri, Alessandra Schiavo, Nicola Verola, Carlo Santini.

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Il no francese e il no olandese hanno reso assai difficileil cammino verso la ratifica del Trattato costituzionaleeuropeo. È pur vero che il trattato prevede che in caso dimancata ratifica entro due anni da parte di alcuni Stati,fino a un massimo di cinque su venticinque, "della que-stione sarà investito il Consiglio europeo", e quindi la deci-sione finale è comunque una decisione politica, maognuno si rende conto di due fatti di estremo rilievo e chenon possono essere passati sotto silenzio: in primo luogo,il no ha prevalso in due stati fondatori della Comunità, ein particolare in Francia, e tutti sanno che senza la Francianon ci può essere sviluppo del processo di integrazioneeuropea; in secondo luogo, resta comunque il fatto che ilno segnala con forza (in Olanda quasi due olandesi su tresi sono opposti alla ratifica) una notevole delusione neiconfronti dei risultati raggiunti dall'Unione, soprattuttodopo l'avvio dell'Unione monetaria. Da qui probabilmen-te bisogna ripartire, se si vuole rilanciare la prospettiva diun completamento federale del processo di unificazione,che è ancora oggi indispensabile se si vuole che l'Europapossa giocare un ruolo attivo per promuovere la pace elo sviluppo su scala mondiale. Ma è un fatto che proprio

sul terreno economico i risultati inEuropa, negli anni più recenti, sonostati particolarmente deludenti.

Per dare un'immagine immediatadel declino relativo dell'Europa, inparticolare nei confronti degli StatiUniti, si può fare riferimento a que-sto semplice dato: nel 2004 il piIpro capite dell'Europa a 15, misura-to a parità di potere d'acquisto,risulta pari soltanto al 72,3% diquello americano. A sua volta, que-sto divario rispetto agli Stati Uniti èspiegato per circa due terzi con ledifferenze nel numero delle orelavorate e nel tasso di occupazio-ne, mentre un terzo del divario è

imputabile all'andamento della produttività del lavoro. E,in effetti, dopo essere cresciuta in Europa in misura supe-riore rispetto agli Stati Uniti a partire dalla fine della guer-ra mondiale e aver raggiunto alla metà degli anni '90 unlivello pari al 97% di quello americano, la produttività ora-ria del lavoro nell'Europa a 15 è scesa infatti a circa 1'88%rispetto a quella americana nel 2005. E, se si cerca di spie-gare questa riduzione della produttività del lavoro, risultache per il 50% essa è legata al rallentamento nella cresci-ta della produttività globale dei fattori, mentre il residuo50% può invece essere imputato a una riduzione dell'in-tensità di capitale, ossia a un livello più basso di investi-menti.

La minor crescita del Pil e del reddito pro-capite inEuropa non è quindi più giustificabile soltanto con la ridu-zione delle ore lavorate, come è avvenuto fino al 1995,dato che nell'ultimo decennio le ore lavorate sono cre-sciute a un tasso annuo dello 0,7%; essa è legata anchea una minore produttività, e di conseguenza in Europa iltasso di crescita effettivo risulta inferiore al tasso di cresci-ta potenziale. In definitiva, non sembra possibile spiegarela minor crescita europea soltanto con una diversa funzio-ne di preferenza degli europei che, secondo alcuni eco-nomisti, avrebbero scelto in passato di rinunciare ad una

ALBERTO MAJOCCHI:PRESTITO EUROPEOPER RILANCIARE LA CRESCITA

Il prof. Alberto Majocchi (destra) a colloquio con l'on. Jo Leinen.

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quota di incremento del prodotto per conseguire unariduzione delle ore lavorate.

In questi anni le linee lungo le quali si è cercato inEuropa di spiegare questo relativo declino sono statesostanzialmente due. Da un lato, si fa risalire la fragilitàdell’economia europea a una crisi strutturale della finanzapubblica che ha caratterizzato molti paesi europei primadell’avvento dell’Unione monetaria. Per questa ragione ilTrattato di Maastricht ha imposto limiti severi per quantoriguarda sia il livello dell’indebitamento netto delle ammi-nistrazioni pubbliche, sia lo stock complessivo di debito.

D’altro lato, si sottolineano le rigidità, in particolare delmercato del lavoro, e l’incompleta realizzazione del mer-cato interno, soprattutto per quanto riguarda il settore deiservizi in cui, secondo studi recenti, si concentra il massi-mo vantaggio relativo dell’economia americana. In que-ste aree, le indicazioni di policy sono ormai largamentecondivise: si tratta di rafforzare la concorrenza nel merca-to dei prodotti e in particolare di completare la costruzio-ne del mercato interno per quanto riguarda i servizi finan-ziari; di favorire la mobilità del lavoro nell’area europea; dipromuovere l’istruzione superiore e le attività di ricerca esviluppo. Sono le stesse priorità assunte dai governidell’Unione a fondamento della strategia di Lisbona.

Ma vi è un punto ulteriore su cui il consenso è meno dif-fuso, e riguarda il fatto che anche la diversa impostazionedella politica economica può contribuire a spiegare ildeclino relativo dell’Europa.

E, in effetti, in presenza di una politica monetaria abba-stanza espansiva, negli Stati Uniti il saldo del bilancio fede-rale è passato da un surplus pari al 2,4% nel 2000 a undeficit del 3,6% nel 2004, mentre in Europa l’intonazionedella politica fiscale è stata determinata prevalentementedalla necessità di procedere al consolidamento dellafinanza pubblica per rispettare i vincoli di Maastricht e delPatto di Stabilità.

In realtà, è un fatto che, al fine di favorire la stabilizza-zione delle condizioni della finanza pubblica, il Trattato diMaastricht ha fissato un tetto all'indebitamento netto delleAmministrazioni Pubbliche degli Stati membri, pari al 3%del Pil, per evitare che disavanzi eccessivi producano effet-ti negativi sugli altri paesi membri dell'Unione monetaria.Ma anche questo vincolo non è stato ritenuto sufficientein quanto, nell'Unione monetaria, a fronte di shocks asim-metrici che colpiscano un singolo paese, non funzionanoadeguatamente a fini di stabilizzazione i meccanismi auto-matici di aggiustamento previsti dalla teoria tradizionale:flessibilità dei salari, mobilità del lavoro, esistenza di unbilancio federale di dimensioni consistenti. Di conseguen-za, il Patto di Stabilità sancisce che, per sfruttare adegua-tamente a fini anti-congiunturali la flessibilità del bilancioe, al contempo, evitare che il disavanzo ecceda il tetto del3%, il saldo di bilancio debba, in condizioni normali, tro-

varsi in pareggio o addirittura in surplus. In questo modo,durante una fase di congiuntura negativa un'espansionedel disavanzo in misura non superiore al 3% dovrebbeconsentire al contempo di far fronte alla recessione e dirispettare il vincolo di Maastricht.

Non è qui il caso di analizzare dettagliatamente i limitidel Patto di Stabilità, che sono stati abbondantementemessi in evidenza dalla letteratura. Resta comunque ilfatto che, di fronte a questi limiti, sono state avanzatenumerose proposte di riforma. E la proposta di riformapiù diffusa riguarda l'applicazione della golden rule, ossial'esclusione degli investimenti pubblici dalla definizionedel saldo. Questa proposta ha naturalmente il vantaggiodi consentire agli Stati membri la possibilità di adottaremisure espansive e, in particolare, di poter finanziare indisavanzo gli investimenti destinati alla creazione di infra-strutture. Ma anch'essa appare soggetta a numerosi limitie, in conseguenza, preso atto delle difficoltà di introdurrela golden rule a livello nazionale, il 20 marzo 2005 ilConsiglio Ecofin ha varato una riforma del Patto diStabilità, con l'obiettivo di introdurre nel sistema elementidi maggiore flessibilità, prevedendo che siano possibilisfondamenti rispetto al limite del 3 % dell'indebitamentonetto della P.A. qualora siano "di lieve entità e tempora-nei". Inoltre, il limite potrà essere superato senza incorrerein sanzioni anche in caso di "un periodo prolungato dicrescita del Pil vicina allo zero".

Nell'approvare la relazione di Ecofin, il Consiglio euro-peo di Bruxelles del 22-23 marzo 2005 ha inoltre previstoche possa essere allungato il periodo di due anni per rien-trare entro il limite del 3% in presenza di uno shock eco-nomico imprevisto ovvero qualora si manifestino "circo-stanze attenuanti", che possono consistere in un tratta-mento particolare per le spese destinate a favorire l'inno-vazione, la ricerca e sviluppo, l'istruzione, gli incentiviall'occupazione, gli investimenti pubblici per stimolare lacrescita potenziale e le spese per la solidarietà internazio-nale. Questa riforma, che è stata salutata positivamentedai governi in quanto riduce il grado di rigidità del Patto,presenta tuttavia limiti molto significativi in quanto: a)rischia di favorire una politica monetaria più restrittiva daparte della Bce nel timore di una deriva dei conti pubblicinei paesi a rischio; b) non è comunque in grado di rilan-ciare l'economia europea visti i limiti di efficacia di unapolitica di stabilizzazione a livello nazionale nel quadro diun mercato unico in cui gli effetti espansivi di una spesain disavanzo tendono a manifestarsi in larga misura sulleimportazioni, e non sulla produzione interna.

Per superare questi limiti e garantire al contempo il rilan-cio dell'economia europea e il consolidamento dellafinanza pubblica dei paesi membri dell'Unione monetaria– come previsto dal Patto di Stabilità –, una maggioreresponsabilità di gestione della politica di stabilizzazionedovrebbe essere affidata al livello europeo, con l'elabora-

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zione di un programma consistente di spesa pubblicaaddizionale, capace di rafforzare la struttura del mercatounico e di rendere più competitiva l'offerta in questa faseiniziale di ripresa dell'economia europea. Gli obiettivi prin-cipali di questa politica dovrebbero essere, da un lato, dirilanciare la domanda interna in una situazione congiun-turale in cui in tutti i principali paesi europei la carenza didomanda frena la crescita del prodotto – in assenza disignificativi rischi inflazionistici; e, dall’altro lato, di consen-tire il superamento dei vincoli dal lato dell'offerta che fre-nano la crescita del Pil potenziale, in sostanza di garantirela realizzazione delle riforme previste dall'Agenda diLisbona. Anche se, nella versione riformata del Patto diStabilità, i tempi di rientro da deficit eccessivi sono più lun-ghi in funzione delle riforme messe in atto, in questi anniè apparso del tutto evidente che gli Stati membri nonsono in grado di affrontare questi costi addizionali,dovendo rispettare i vincoli del Patto di Stabilità. In defini-tiva, l'applicazione della golden rule a livello europeo –ossia la possibilità di finanziare in disavanzo la spesa perinvestimenti e per promuovere la competitività e la cresci-ta – appare una scelta ineludibile per superare i limiti di effi-cacia delle politiche nazionali di stabilizzazione e pergarantire un'effettiva realizzazione dell'Agenda di Lisbona.

Nell'attuale fase congiunturale di moderata ripresa del-l'economia si tratta in primo luogo di promuovere a livel-lo europeo un piano coordinato di investimenti – pubbli-ci e privati – capaci di colmare il gap di infrastrutture chein molti paesi dell'Unione è stato indotto dalle politicherestrittive necessarie per adeguarsi prima ai parametri diMaastricht e poi ai vincoli del Patto di Stabilità, e al con-tempo di garantire un piano di spese per rafforzare lacompetitività e favorire l'avvio di un modello di svilupposostenibile nella prospettiva aperta dalle decisioni delConsiglio europeo di Lisbona del marzo 2000. In primaapprossimazione, questo piano potrebbe prevedere:

a) investimenti per il completamento delle reti europeenel settore dei trasporti, dell'energia e delle telecomunica-zioni, tenendo conto anche delle esigenze di connessio-ne emerse a seguito dell'allargamento;

b) un piano di spese di ricerca e sviluppo e di promo-zione dell'istruzione superiore, per rafforzare la competiti-vità della produzione europea;

c) investimenti pubblici e privati nelle tecnologie d'a-vanguardia e per promuovere la formazione di campionieuropei nelle industrie di punta;

d) il finanziamento di una serie di progetti per migliora-re la qualità della vita dei cittadini dell'Unione (mobilitàsostenibile, depurazione delle acque, energie rinnovabili,nuove fonti di energia pulita etc.);

e) investimenti per garantire la conservazione e pro-muovere l'utilizzo dei beni culturali.

La realizzazione di questo Piano consentirebbe unaforte accelerazione verso il conseguimento degli obiettivi

definiti nella strategia di Lisbona che, ad oggi, appaionodi ben difficile realizzazione, come è stato recentementedimostrato nel Rapporto predisposto dall'High LevelGroup presieduto da Wim Kok.

Nella situazione attuale dell'economia europea, etenendo conto altresì dell'accordo di basso profilo rag-giunto per quanto riguarda le prospettive finanziariedell'Unione per il periodo 2007-2013, la scelta strategicada portare avanti per avviare effettivamente a realizzazio-ne l'Agenda di Lisbona appare la previsione di un ricorsoall'emissione di Union bonds, ossia di obbligazionidell'Unione supportate dalla garanzia del bilancio comu-nitario. Data la reputazione dell'Unione sul mercato mon-diale e la forza attuale della moneta europea, questeobbligazioni potrebbero essere emesse a basso tasso diinteresse e contribuirebbero, oltre che a rafforzare il mer-cato finanziario europeo assorbendo una parte dell'ecces-so di liquidità che attualmente lo caratterizza, a favorire ilfinanziamento del piano europeo di sviluppo attraversol'attrazione di una larga fetta del risparmio mondiale cheattualmente, in assenza di valide alternative, trova ancoracollocazione sul mercato americano nonostante la perdi-ta progressiva di valore del dollaro.

L'emissione di Union bonds ha trovato negli ultimi anniopposizione da parte degli Stati membri, per una molte-plicità di ragioni. In primo luogo, è prevalsa l'opinione chel'ortodossia finanziaria prescriva, come d'altronde è previ-sto nell'Articolo 268, terzo comma, del Trattatosull'Unione europea, che "nel bilancio, entrate e spesedevono risultare in pareggio"; e che questa norma di persé precluda il finanziamento di una parte della spesa attra-verso l'emissione di obbligazioni. In secondo luogo, hagiocato contro una politica attiva di intervento nell'econo-mia europea la volontà di evitare un rafforzamento dellivello sopranazionale di governo e di mantenere, comeprevisto dall'articolo 99 del Trattato di Maastricht, il coor-dinamento delle politiche di bilancio come unico stru-mento – accanto alla politica monetaria governata dallaBanca centrale europea in funzione dell'obiettivo dellastabilità dei prezzi – di governo della politica economicadell'Unione. Last, but not least, questa volontà di limitarei poteri del livello europeo di governo è apparsa giustifi-cata dal deficit democratico che caratterizza ancora lastruttura istituzionale dell'Unione, un deficit che contribui-sce a spiegare altresì l'atteggiamento negativo di unaparte consistente dell'opinione pubblica nei confronti delTrattato costituzionale che, su questo terreno, ha fatto sol-tanto molto timidi passi in avanti.

In realtà, è una regola generalmente accettata nellaortodossia finanziaria che l'equilibrio di bilancio riguardi laspesa corrente – che deve essere finanziata con imposte,lasciando altresì margini per un avanzo primario –, men-tre le spese di investimento, che hanno effetti pluriennali,possono essere coperte con l'emissione di titoli sul merca-

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06to. Questa golden rule non ha trovato finora applicazio-

ne a livello europeo per le ragioni che sopra abbiamoricordato. Ma oggi le condizioni sembrano propizie perapplicarla nell'ambito dell'Unione monetaria. In effetti,dopo l'introduzione dell'euro le politiche redistributivegestite a livello nazionale possono essere unicamentefinanziate con imposte e i livelli di indebitamento accetta-bili senza produrre esternalità negative sono fissati inequi-vocabilmente dal Patto di Stabilità e di Crescita. A suavolta, il bilancio europeo si propone di conseguire l'obiet-tivo della coesione attraverso l'utilizzo dei fondi struttura-li, ma non ha – e non si prevede che abbia in futuro – unafunzione di redistribuzione interpersonale del reddito.Non si corre quindi il rischio che i fondi raccolti attraversole emissioni di titoli possano essere utilizzati per finalitàdiverse dal finanziamento delle spese per la realizzazionedell'Agenda di Lisbona, per cui le emissioni sono previste.

Evidentemente, negli anni successivi sul bilancio verran-no a gravare le spese per il servizio del debito, ma si trat-ta di somme limitate e che richiedono in prospettiva sol-tanto una limitata espansione delle dimensione del bilan-cio, che è comunque ineludibile anche per ragioni alloca-tive (basti pensare soltanto alle nuove responsabilitàdell'Unione in tema di sicurezza e di difesa). Da qui discen-de la conseguenza che inevitabilmente nei prossimi anni siriproporrà il problema di garantire effettive risorse proprieall'Unione, ma questo è un tema che dovrà comunqueessere affrontato nel quadro del prossimo round di nego-ziati costituzionali che si presume verrà avviato con l'an-nunciata iniziativa del nuovo governo tedesco.

Dopo i no francese e olandese l'Europa si trova di fron-

te a una scelta imprescindibile: l'arresto del processo diratifica richiede una inversione di tendenza sul piano eco-nomico per restituire ai cittadini fiducia nell'Unione; d'al-tro lato, la forza dell'euro può essere sfruttata per attirarecapitali esterni e contribuire così a finanziare un pianoeuropeo di sviluppo. Hic Rhodus, hic salta: il prestito euro-peo può rappresentare lo strumento indispensabile perrealizzare la strategia di Lisbona e rilanciare la crescita; sequesto avviene, diventa pensabile rilanciare anche il pro-cesso di unificazione politica del continente verso un esitofederale. In definitiva, si tratta di applicare la golden rulenon a livello nazionale, ma a livello europeo, nella misurain cui vengano finanziati gli investimenti necessari per larealizzazione degli obiettivi di Lisbona, imponendo al con-tempo che ciascun Stato membro garantisca il rispetto deivincoli del Patto di Stabilità. In particolare, gli investimentiin infrastrutture potrebbero essere finanziati dalla BancaEuropea degli Investimenti in partnership con investitoriprivati. Per quanto riguarda le spese di R&D e le spese perl'istruzione superiore, nonché gli altri interventi previstidall' Agenda di Lisbona per favorire la competitività dellaproduzione europea, con il contributo degli Stati membridovrebbe essere elaborato un "Piano per Lisbona" che,una volta approvato dal Consiglio, potrebbe essere co-finanziato da una "Agenzia europea per Lisbona" attraver-so l'emissione di Union bonds. Parte del finanziamentorimarrebbe comunque a carico dei singoli paesi, comeavviene nel caso dei Fondi Strutturali, mentre l'onere deldebito sarebbe solo parzialmente a carico dei bilancinazionali in quanto gli interessi sugli Union bonds sareb-bero coperti dal bilancio dell'Unione.

Paolo Gnes, Presidente di Centrale dei Bilanci - Cerved, tra il prof. Alberto Majocchi (destra) e l'on. Jo Leinen.

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Ad un anno dai referendum in Francia e Paesi Bassi – emalgrado le iniziative di dibattito avviate dal Parlamentoeuropeo, dalla Commissione e da vari Stati membri – leprospettive di rilancio della dinamica costituzionale riman-gono incerte.

I paesi che per primi hanno dato il segnale del malesse-re diffuso nell’Unione non hanno indicazioni su comesuperare l’impasse. Nessuno, del resto, dispone di antido-ti o ricette miracolose. Molto animato durante la campa-gna referendaria, il dibattito in Francia si è pressochéspento dopo il 29 maggio 2005, se si eccettuano le presedi posizione di qualche esponente di Governo e le propo-ste presentate da Parigi per migliorare l’efficacia dell’azio-ne dell’Unione a Trattati costanti. Il Governo dei PaesiBassi ha confermato di recente che non intende ripresen-tare il Trattato alla ratifica.

Se paesi, che hanno detto “no” sono sempre stati nell’a-

vanguardia europea, che fare delTrattato?

Quindici, presto 16, Stati, hannogià ratificato e pongono un proble-ma di democrazia: che la voce delfronte del “sì” – oltre metà dellapopolazione dell’Unione – nonvenga ignorata.

In una situazione in cui il nodo isti-tuzionale appare difficile da scioglie-re, e i cittadini chiedono di rafforzarel’efficacia dell’Unione, il “migliora-mento delle politiche europee” èstato percepito come propedeuticoalle decisioni sul destino del Trattato.

La Presidenza tedesca del primosemestre 2007, le elezioni che nel frat-tempo saranno intervenute in alcunipaesi membri, il 50° anniversario deiTrattati di Roma saranno occasioni perfare un bilancio e per passare dallariflessione alla fase di analisi e di attua-zione delle possibili soluzioni.

Fino ad allora occorre operare consaggezza per salvaguardare le possibilità di entrata invigore del nuovo Trattato, che resta – non dimentichiamo-lo – il compromesso più alto raggiungibile tra 25 paesiMembri.

Di certo, sappiamo che un ipotetico nuovo Trattatorichiederebbe l’unanimità delle firme e delle ratifiche equindi tempi lunghi e nuovi margini di incertezza.

Tenendo a mente questi due dati di fatto, dobbiamoagire per non precipitare la situazione; predisporci gli uniall’ascolto degli altri e mantenere viva l’attenzione dell’opi-nione pubblica.

Le dimensioni raggiunte dall’Unione impongono diassicurare la governabilità dell’Unione e di porre le condi-zioni perché, in futuro, possa essere tenuta fede alle spe-ranze di adesione dischiuse in vari paesi. Questo richiede,con urgenza, una organica riforma istituzionale.

Come l’Europa dei primi anni ’80 – che era in difetto di

ROBERTO NIGIDO:DOPO LA RIFLESSIONESOLUZIONI DA PERSEGUIRE

Roberto Nigido, Consigliere diplomatico del Presidente della Repubblica Italiana.

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crescita e di competitività – anche quella di oggi deve rea-lizzare alcuni obiettivi essenziali: completare il grande mer-cato interno; rilanciare sviluppo economico e produttività;creare nuova occupazione; salvaguardare la coesionesociale; prepararsi ad assolvere le proprie responsabilitàinternazionali in un mondo in rapido cambiamento.

L’economia europea mostra segnali di ripresa; ma inalcuni dei maggiori paesi dell’Unione la crescita resta net-tamente al di sotto del potenziale. L’inclusione sociale nonprogredisce.

Finché all’unificazione monetaria non seguirà un incisi-vo coordinamento delle politiche economiche dei paesimembri, gli effetti positivi dell’euro potranno realizzarsisolo parzialmente. Si impone un’azione economica con-certata tra BCE e Governi, per consentire alla monetaunica di essere non solo fattore di stabilità, ma anche dicrescita economica duratura.

Malgrado la revisione della Strategia di Lisbona, il con-seguimento degli obiettivi di quest’ultima appare ancoralontano. Per ovviare a questa lentezza, è necessario unpiù incisivo coordinamento europeo e un maggiore impe-gno a livello nazionale. Quest’ultimo deve essere resoconvincente dall’allocazione delle risorse pubblichenecessarie e dalla realizzazione delle riforme strutturaliche la strategia richiede.

Anche in materia di ricerca, l’Europa dispone delle risor-se umane, delle tradizioni scientifiche e della culturanecessarie a reggere il confronto con qualsiasi area delmondo. A condizione, peraltro, di destinare alla ricerca ealla formazione risorse finanziarie adeguate; di riuscire adottimizzarle; di federare gli sforzi di Istituzioni europee,governi, industrie e ricercatori, per acquisire la massa cri-tica necessaria a promuovere l’innovazione.

L’Unione deve rilanciare l’impegno nei grandi progetticomuni; nelle reti infrastrutturali transeuropee, essenzialiper aumentare la vicinanza tra i nostri popoli ed incenti-vare gli scambi; nell’elaborazione e attuazione di un Pianocoerente per l’energia, che attendiamo dallaCommissione, in vista del Consiglio Europeo della prossi-ma primavera.

Unita, l’Europa è già una potenza ed ha i requisiti percontinuare ad esserlo: 480 milioni di cittadini con l’adesio-ne di Romania e Bulgaria; un Pil che, a prezzi correnti, èsuperiore (1,09 volte) a quello degli Stati Uniti.

La fine della guerra fredda ha mutato gli assetti geopo-litici. Mentre la divisione del mondo in due blocchi riduce-va gli spazi di autonomia politica internazionale dei paesieuropei, ora l’Europa è chiamata ad assumere nuoveresponsabilità nel mantenimento della pace e della stabi-lità mondiali.

L’Unione esercita la propria influenza stabilizzatrice allesue immediate frontiere: nei Balcani; in tutti i nuovi paesiVicini dell’Est europeo; in Medio Oriente; in Africa.

La politica estera – assieme agli strumenti di sicurezzainterna ed esterna che l’Unione saprà predisporre di fron-te alle minacce del terrorismo e alla proliferazione dellearmi di distruzione di massa – sarà uno dei banchi diprova attraverso cui i cittadini giudicheranno la misura delsuccesso europeo.

Dal Consiglio Europeo di Colonia del giugno 1999, lapolitica europea di sicurezza e difesa ha compiuto impor-tanti passi in avanti.

È stata costituita la “forza di intervento rapido”, con60.000 uomini mobilitabili in 60 giorni. Entro il 2007l’Unione potrà avvalersi anche di due “Gruppi tattici”: icosiddetti battlegroups, meno consistenti numerica-mente, ma dispiegabili in 15 giorni, e adatti ad esegui-re compiti complessi.

L’Unione Europea ha sviluppato efficaci strumenti civilidi gestione delle crisi (forze di polizia, amministratori civi-li, operatori giudiziari, etc.) ed affermato la capacitàdell’Unione di condurre operazioni PESD autonomamen-te o facendo ricorso alle risorse della NATO. Lo dimostra-no le numerose missioni PESD che l’Unione svolge in trecontinenti: nei Balcani, in Africa, in Medio Oriente eIndonesia.

Ma siamo ancora lontani da una politica di difesa ade-guata alle nuove minacce e alle tensioni che scuotono ilmondo.

Consapevole della crescente domanda di Europa sullascena internazionale, la Commissione sottoporrà alConsiglio Europeo alcune proposte per migliorare l’effica-cia, la coerenza e la visibilità dell’azione esterna dell’Unione.

Desidero sottolineare che qualsiasi miglioramento aTrattati costanti – pur benvenuto – non dovrà alterare l’e-quilibrio istituzionale previsto dalla Costituzione, né essereinteso come alternativo alla riforma organica delle istitu-zioni ivi contemplata.

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Graham Watson – Presidente del Gruppo Parla-mentare Europeo dell'Alleanza dei Democraticie dei Liberali per l'Europa (ALDE)

Coordinatore del dibattito, l’on. Watson ha aperto il“giro di tavolo” facendo notare che nella preparazione delTrattato costituzionale è stata messa una grande energiaper rendere più efficace il funzionamento del governoeuropeo, per tradurre le 1.800 pagine dei vari trattati inun unico testo di sole 254 pagine, quindi per rendere ilGoverno europeo molto più semplice ed efficace, maanche molto più trasparente.

Tuttavia, in questo momento il Trattato esiste, e nel con-tempo non esiste. È stato 'bocciato' da Francia e Olandae siamo nel mezzo di un dibattito profondo sulla naturastessa dell'Unione e sul suo futuro. Personalmente sonoconvinto che la ragione per la quale assistiamo a questodibattito stia nel fatto che i fini originali dell'Europa sonostati realizzati. Volevamo l'Europa per garantire la pace,volevamo l'Europa per assicurarci il cibo e questi obiettivisono stati raggiunti.

E adesso non sappiamo esattamente perché vogliamo

l'Europa. Un errore. Di fronte a noi, le grandi sfide delnostro tempo: la sfida di una popolazione mondiale cre-scente accompagnata da forti migrazioni; la sfida delcambiamento climatico e dell'effetto serra; la sfida dellacriminalità organizzata a livello internazionale, dove cisono bande di criminali talvolta più potenti di certi gover-ni nazionali.

Sono tutte sfide che nessun paese può affrontare dasolo. Per questo abbiamo bisogno della solidarietà, dellacapacità di lavorare insieme dell'Unione europea. Pensoche l’Unione europea abbia raggunto traguardi impor-tanti e che abbia davanti a sé grandi traguardi potenziali,che sono a portata di mano se riusciremo a far ripartire ilTrattato.

Il Cancelliere dello Scacchiere britannico, Gordon Brown,ha ragione quando spinge per una politica comune e peristituzioni comuni. È peraltro necessario che i cittadini con-statino i risultati che vengono conseguiti. Dovremo guarda-re meno alla teoria dell’Europa e più alla pratica. Ma sevogliamo questa Europa dei progetti concreti, se vogliamocrearla e vogliamo farla partire dobbiamo darle risorse ade-guate. Questo è quello che stiamo facendo noi e tutti i par-titi all’interno del Parlamento europeo.

LE GRANDI SFIDE DELL’EUROPA

Dopo gli interventi introduttivi si è sviluppato un ampio dibattito:

ll tavolo della presidenza durante il dibattito.

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L’Unione europea ha dunque davanti a sé grandi sfide,ma anche grandi traguardi potenziali. Da una parte, lesfide vanno affrontate insieme, dall’altra i traguardi sonoa portata di mano se gli Stati membri riusciranno a farripartire il Trattato costituzionale. In futuro, bisogneràguardare meno alla teoria dell’Europa e più alla pratica,alle scelte concrete. E per realizzare l’Europa dei progetti,è necessario dare all’Unione le risorse adeguate.

Ed ecco una sintesi dei singoli interventi alla TavolaRotonda.

Elmar Brok – Presidente della Commissione pergli Affari Esteri del Parlamento Europeo

Per proseguire sul cammino del Trattato costituzionale ènecessario avere la legittimazione dei cittadini. A loro,l’Europa deve spiegazioni. Bisogna spiegare perché servel’Unione europea. L’argomento della pace non basta più,anche se è importante. Dobbiamo dimostrare comel’Europa può svolgere un ruolo migliore, come può difende-re meglio i suoi cittadini e in questa economia globalizzatadobbiamo anche dimostrare come è possibile fare di più.

Anzitutto, bisogna essere uniti, come ha insegnatoall’Europa la vicenda energetica russa. Solo così si può evi-tare di essere ricattati.

Serve poi trasparenza. Il Consiglio, in quanto legislatore,deve riunirsi pubblicamente.

In questo modo, potrebbe aumentare anche la parteci-pazione dei cittadini alle elezioni europee.

Il finanziamento dell’Unione europea non dovrebbeessere basato sul sistema dei sussidi.

Gli Stati membri devono poter chiedere fondi ai propricittadini attraverso la leva fiscale. Per questo bisogna assu-mersi maggiori responsabilità e competenze chiare.L’Europa può fiorire e svilupparsi soltan-to se i governi nazionali comincerannoad assumersi le loro responsabilità.

Due esempi sono importanti per com-prendere il significato della legittimità daparte dei cittadini: nel 2004 la Germaniaha pagato all’Unione 7 miliardi di euroin contributi netti al bilancio Ue, ma laGermania ha un surplus nei confrontidell’Ue di 123 miliardi di euro. Questesono le cifre. Però nessuno in Germaniaconosce la seconda cifra. Il Governo nonl’ha pubblicizzata perché altrimenti la suaposizione negoziale a Bruxelles sarebbestata indebolita.

L’analisi costi/benefici dal punto divista sociale, economico e politico èsempre positiva. Questa valutazionenon puo’ essere fatta da Bruxelles, deveessere fatta dagli Stati membri. Se i

governi degli Stati membri non dicono in modo chiaroche è positivo per i cittadini essere nell’Ue e se continua-no a dare la colpa a Bruxelles quando le cose vanno male– come si fa a volte in Germania, ma anche in Italia o inFrancia – avremo dei problemi.

Servono maggiori strumenti per arrivare a un governoeuropeo. Non bisogna puntare solo sul bilancio europeo.Con le ultime prospettive finanziarie non è stato possibileavere un bilancio più elevato. Praticamente sono statitagliati settori come la politica estera e l’innovazione, set-tori verso i quali si poteva fare qualcosa per il futuro.

Occorre una strategia comune. Solo così sarà possi-bile fare passi avanti. Penso che il 99,5% delle compe-tenze della Strategia di Lisbona siano di ordine nazionalee se verranno meno, la colpa ricadrà sull’Europa.

Ma questo succederà perché sono i governi nazionaliche non fanno il loro lavoro. E qui abbiamo un’altra anno-tazione. C’è stata una riforma della Strategia di Lisbona ec’è stato un cambiamento radicale. È stata eliminata lapossibilità di attuare il famoso ‘benchmarking’, che sareb-be servito a misurare i progressi. Questo era uno strumen-to di competenza nazionale.

Quindi, si possono tenere dei bellissimi discorsi sullaStrategia di Lisbona, ma neppure tra 100 anni vedremodei risultati se non si fanno correzioni. Per questo ci dob-biamo assumere maggiore responsabilità e competenzechiare. L’Europa può fiorire e svilupparsi soltanto se igoverni nazionali cominceranno ad assumersi le lororesponsabilità.

Jo Leinen – Presidente della Commissione pergli Affari Costituzionali del Parlamento Europeo

I ‘no’ francese e olandese alla Costituzione pongonol’Europa in una situazione delicata. Questa fase di riflessio-

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L'on. Elmar Brok e l'on. Graham Watson.

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ne non può continuare a oltranza. È necessario uscire daquesto vicolo cieco prima delle prossime elezioni delParlamento Ue nel 2009.

In caso contrario, si configurerebbe un attacco alla legit-timità dell’Europa, attacco che rischierebbe di abbassareulteriormente la partecipazione alle elezioni e darebbevoce agli euroscettici nella loro battaglia.

Per il momento, nessuno dei 25 Stati membri ha dettoufficialmente “no” al Trattato. Se anche un solo Stato lofacesse, l’Europa entrerebbe in una vera e propria crisi.Per questo, l’attuale pausa di riflessione è importante:serve a collegare l’Europa ai cittadini, a dare risposte, adaffrontare le molteplici questioni aperte.

Tra queste, c’è l’allargamento. La riunificazione europeaè un processo storico che non va fermato. Del resto, suquesto punto la Costituzione è chiara: afferma che ogniStato Ue che condivide i valori dell’Europa può diventareun candidato. È vero, quest’ultimo ampliamento a 25 èdifficile da far comprendere, poiché ha creato moltepaure e molte ansie. Ma bisogna accoglierlo positivamen-te poiché rappresenta l’unica strategia per salvaguardarela pace, la stabilità, la democrazia e lo sviluppo.

Bisogna poi affrontare la questione della globalizzazio-ne. Faccio l’esempio della Cina, un Paese privo di un’eco-nomia di mercato, come ha detto il Commissario Ue alCommercio, Peter Mandelson, ma comunque membrodell’Organizzazione mondiale del commercio. Di fronte alsuo ‘dumping’ continuo, l’Europa deve proteggersi, nonnel senso tradizionale bensì chiedendo con forza che laCina rispetti le regole dell’Omc.

Allo stesso tempo, su questo fronte oltre allaCommissione europea, deve intervenire anche il

Consiglio dei Capi di Stato e diGoverno imponendo alla Cina ilrispetto delle regole. In quel caso, icittadini vedrebbero il valore e l’uti-lità dell’Europa, mentre oggi hannopaura e confondono l’ampliamentocon la globalizzazione. Dicono chel’Europa è il problema, ma l’Europain molti casi è la soluzione. Il rischio,dunque, non è l’idraulico polacco,ma sono i centinaia di milioni dilavoratori in Cina ed India che lavo-rano per niente e che minacciano leindustrie europee.

La dimensione socio-economicadell’Unione europea si trova sottouna triplice pressione: il cambia-mento tecnologico, la globalizzazio-ne e l’invecchiamento demografico.Oggi in Europa si pensa, comenegli Stati Uniti, al profitto immedia-to, a differenza del passato, quandol’obiettivo era la sostenibilità. È que-

sto l’elemento di instabilità che preoccupa i cittadini.L’Europa deve ritrovare la propria cultura per continuare afare economia e difenderla all’interno e all’esterno dellesue frontiere.

Oggi in Europa ci sono moltissimi lavoratori che non rie-scono a fare quadrare il bilancio alla fine del mese nono-stante lavorino anche 72 ore alla settimana. Sono questesituazioni che mettono in risalto le disparità europee,anche fiscali. Non si possono azzerare le tasse per leaziende in un paese mantenendole alte in un altro paesein un mercato unico. Servono quindi condizioni comunidi lavoro e commerciali. Questa crisi che l’Europa stavivendo è un’ottima opportunità per chiarire i progetti ele idee europee.

Rocco Cangelosi – Ambasciatore italiano presso l'Ue

Non è vero che la Costituzione sia morta o che stia permorire. Quindici Stati membri l’hanno ratificata. È troppo pre-sto per abbandonare questo testo e non si può cominciaread anticipare soluzioni perché si rischia di non trovarne.

Per questo, l’attuale ulteriore pausa di riflessione nondeve essere inerte, ma deve essere attiva, deve mirare adegli obiettivi.

Il 2007 sarà un momento molto importante per rilancia-re la Costituzione europea e l’Italia conta molto sulla presi-denza tedesca, perché crede che la Germania abbia svol-to il suo ruolo di Stato fondatore con grandi costi econo-mici ma con la visione politica che ci vuole in questi casi.

Una soluzione è assolutamente necessaria e il 2009 èun limite temporale ineludibile per 3 motivi principali: 1)perché viene a scadenza il Parlamento europeo; 2) per-

Jo Leinen con Paolo Gnes.

‹ Tavola Rotonda nella sede del Parlamento Europeo a Bruxelles ›

ché contemporaneamente viene ascadenza la Commissione europea;3) perché il Trattato di Nizza ha esauri-to le sue capacità istituzionali.

La situazione è difficile ma ci sonoanche degli elementi di moderatoottimismo di cui bisogna tenerconto. Mi riferisco ai paesi che hannodetto no. Credo sia importante nonmetterli nell’angolo, ma dare loro lachance di aggiornarsi. È importanteche proprio in Francia il dibattito siapiù vivo che mai. La Francia si rendeconto che deve uscire da questasituazione. Ha giocato un ruolo fon-damentale nel contesto dell’Europa.Adesso lo può giocare sempre dimeno non avendo potuto dare le risposte di cui l’Ue habisogno. Non nascondiamoci che la Costituzione non èsoltanto un’architettura istituzionale. La Costituzione sisostanzia in un complesso di accordi che fanno in modoche l’Unione possa gradualmente avanzare. Non sonosoltanto le risposte istituzionali che valgono. Importantisono le risposte sulle competenze, il rapporto con iParlamenti nazionali, le cooperazioni rafforzate nel setto-re della difesa, l’allargamento delle competenze a settoridi grande valenza poltica come l’energia e l’industria.

L’Italia è impegnata sia sugli aspetti istituzionali, sia conriferimento agli obiettivi concreti da raggiungere.

Dobbiamo dare risposte ai nostri cittadini. È un impegnoineludibile al quale non dobbiamo mancare.

La paura dell’allargamento che si è diffusa in molti Statimembri si è rivelata non corrispondente alla realtà perchéquesta sfida dell’allargamento ha dato risultati positivi. Lepaure sul divario economico che ci sarebbe stato, l’immi-grazione selvaggia che si sarebbe verificata, i costi cre-scenti per l’Ue che avrebbero caratterizzato quel passag-gio non si sono verificati. Al contrario, questi Stati hannoavuto un ritmo di crescita notevole, hanno consentitoall’Ue di diventare un soggetto ancora più importante nelsistema internazionale. Bisogna riflettere su questi ele-menti e bisogna trasmetterli ai cittadini. Bisogna che inquesta fase oltre a riflettere sugli aspetti istituzionali si riflet-ta anche su quello che si deve fare. L’Europa deve vera-mente fornire ai cittadini risposte a quelle che sono le loroprincipali preoccupazioni: la sicurezza nella sua accezionepiù vasta – contro il terrorismo, nel posto di lavoro, nelsociale – i problemi energetici, l’innovazione e la compe-tizione. Abbiamo poi bisogno di un nuovo tipo di bilancioper nuovi tipi di risorse, come è stato previsto nelle ultimeconclusioni del Consiglio Ue quando si è raggiunto unaccordo sulle prospettive finanziarie.

Pierre Jonckheer – Vice presidente del GruppoParlamentare Europeo Verdi/Alleanza liberaeuropea

Non è possibile ripresentare il testo della Costituzionecosì com’è. Va rivisto riflettendo su uno scenario diverso,pensando a modifiche in particolare delle clausole di fles-sibilità o di cooperazione rafforzata.

Il Trattato costituzionale dovrebbe essere quindi sotto-posto a una consultazione europea. Ciò avrebbe il grossovantaggio di far capire a ogni singolo cittadino che si trat-ta di una posta in gioco europea e non della somma di25 poste in gioco nazionali. Un elemento importante,questo, poiché recenti sondaggi in Francia e Olanda indi-

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L'on. Pierre Jonckheer e l'Amb. Rocco Cangelosi.

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La sede del Parlamento Europeo

cano che il Partito del ‘no’ si sta rafforzando. Ma attenzio-ne! Un secondo fallimento sarebbe catastrofico.

In questo quadro va sottolineata l’importanza di investi-menti per rendere il modello di vita, di consumo e di pro-duzione sostenibile a fronte degli imperativi ecologici.Dobbiamo capire che la questione dell’economia euro-pea non si limita a questioni di competitività ‘strictosensu‘. Chi riflette seriamente sulla competitività parla dicompetitività globale e ha a riferimento fattori come lacoesione sociale e la qualità delle infrastrutture collettive.Anche il livello di istruzione, il livello culturale e il livello deldialogo sociale di un paese fanno parte del concetto dicompetitività globale.

Ritengo valida la proposta di Majocchi di lanciare sul

mercato Union bonds. La proposta non è nuova ma meri-ta di essere nuovamente avanzata. Vi è un elemento cheostacola la crescita della produttività economica nella Ue:una parte importante del risparmio degli europei è inconti correnti o in libretti di risparmio. Questa quota dirisparmio è remunerata ad un tasso di interesse realeridotto. L’idea che propongo è che si potrebbero offrire almercato obbligazioni Ue simili a dei bond a lungo termi-ne. Le disponibilità permetterebbero di finanziare laStrategia di Lisbona. In Belgio, per esempio, si è finanziatala costruzione delle autostrade negli anni ‘70 emettendotitoli di Stato a 15-20 anni che avevano allora un tasso diinteresse del 5%.

Un modello europeo

Molti gli interventi dei presenti sui problemi sollevatidalla Tavola Rotonda. Segnaliamo, tra gli altri, quello diGiuseppe Pichetto, presidente di Infocamere e imprendi-tore, che ha ricordato che dietro l’angolo sta avanzandovelocemente Cindia, la nuova realtà di Cina e India conuna forza dirompente verso gli equilibri finora estistenti.Prepararsi alle nuove prospettive è una necessità.

Ferdinando Riccardi, fondatore e direttore di AgenceEurope, ha posto quesiti sul tasso d’interesse dei proget-tati bond europei.

Pierluigi Magnaschi, Direttore dell’ANSA, ha sollevatoalcuni interrogativi sul futuro cammino dell’Europa, esor-tando a guardare con più attenzione all’area delMediterraneo nella quale l’Italia (e quindi l’Europa)dovrebbe svolgere un ruolo più attivo.

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La sala durante il dibattito. Da sinistra in prima fila: Carlo Santini, Bruno Bianchi, Silvano Andriani, Cesare Caletti, Corrado Faissola,e in seconda fila Luca Lorenzi, Rosario Corso e Bruno Morelli.

Il Presidente di Infocamere Giuseppe Pichetto e l'Avv. PaoloEmilio Ferreri.

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Silvano Andriani, Presidente di Montepaschi Vita e delCespi (Centro Studi di Politica Internazionale), ha propostotre problemi. Il primo: la necessità di riposizionare l’Europadi fronte al nuovo contesto della globalizzazione. Il secon-do: analizzare e individuare le ragioni in forza delle qualiin Europa (e in paricolare in Germania) non si registra unacrescita sufficiente. Il terzo problema riguarda il “modello”di Europa che si delinea. Esiste un “progetto federalista”ed esiste un “progetto casa comune”. Non potrebberoconvivere nel contesto di un’Europa a più velocità?

Un quesito di fondo, che ha trovato eco nelle risposteconclusive dei relatori. Si è parlato così di Europa a cerchiconcentrici (la vecchia idea di Mitterand); di nucleo euro-peo federale che non può comprendere forse fin dall’ini-zio tutti i paesi europei (basti pensare alla posizione dellaGran Bretagna), e in prospettiva di un modello socialeeuropeo al quale fare riferimento.

Con un’annotazione condivisa: occorre riproporre iltema di una Costituzione europea ricordando che ne eraprevista (progetto Spinelli) l’approvazione a maggioranzaeuropea. Lungo questa strada è necessario proseguire,cercando un percorso per portare a termine la ratifica delTrattato Costituzionale.

Ferdinando Riccardi, Direttore di Agence Europe

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Hanno parlato della Tavola Rotonda

UE: L'EUROPA TRA CRISI E

RILANCIO /ANSA IDEE A CON-

FRONTO A CONVEGNO CERVED

EUROPARLAMENTO

(ANSA) - BRUXELLES, 8 GIU -

COME RILANCIARE LA COSTITUZIONE?

Come raggiungere gli obiettivi

della Strategia di Lisbona?

Come far fronte alla concor-

renza sempre piu' forte di

paesi quali la Cina e l'India?

Sono queste alcune delle

domande alle quali hanno cer-

cato di dare risposte diploma-

tici, europarlamentari, eco-

nomisti ed accademici durante

una tavola rotonda al

Parlamento Ue. L'occasione e'

stata la 'Giornata di studio

2006' del Cerved, la struttu-

ra di informazione elettroni-

che del sistema bancario

detenuta da Banca d'Italia e

dai principali istituti di credi-

to del Paese. Alla tavola

rotonda, dedicata all' ''Europa

tra crisi e rilancio'', hanno

partecipato, tra gli altri,

l'ambasciatore italiano presso

l'Ue Rocco Cangelosi, il presi-

dente del gruppo parlamenta-

re Ue dell'alleanza del demo-

cratici e dei liberali per

l'Europa Graham Watson, il

Paolo Gnes tra il Direttore dell'ANSAPierluigi Magnaschi (destra) e il Diret-tore di Agence Europe, FerdinandoRiccardi.

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‹ Infrastrutture e reti per crescere in Europa ›

SOMMARI

N. 1 - L’ECONOMIA ITALIANA NELLA GLOBALIZZAZIONE

Paolo GnesL’economia italiana nella globalizzazione:uno sguardo d’insieme

Mario DeaglioPrezzo del petrolio e prezzo delle case:i futuri possibili dell’economia globale

Innocenzo CipollettaL’industria italiana:trasformazioni recenti e strategie necessarie

Marco OnadoLe trasformazioni dei mercati finanziarie bancari

Franco VarettoVent’anni di bilanci dell’industria italiana

I numeri pubblicati

N. 2 - EUROPA E ITALIA DI FRONTE AL RISVEGLIO ASIATICO

Maria WeberCina: uno sviluppo incessantema con forti squilibri sociali

Fabrizio GalimbertiIndia: un modello “variabile”che dà forza alla crescita

Patrizio BianchiCon quali azioni rispondereai nuovi assetti economici

Appuntamento...con il dibattito su concorrenza e competitività (gli interventi alla presentazionedel primo numero della Rivista)

Libri in vetrina

N. 3 - LA SFIDA ENERGETICA

Adriano De MaioInvestire in ricerca e sviluppoper superare la carenza di energia

Franco VenturiniCome cambia la geopolitica energetica

Alessandro RoncagliaIl prezzo dell’energia condizionatoda fattori politici e strategici

Pippo RanciBattere l’instabilitàcon una politica europea

Libri in vetrina

N. 4 - DIFFICOLTÀ E PROSPETTIVE DELL’INDUSTRIA

Fabrizio OnidaProduttività, competitività e commercio estero: l’Italia nell’Europa alle soglie del nuovo millennio

Franco VarettoRedditività e finanziamenti delle imprese italiane

Sergio MeacciCaratteristiche ed effetti della delocalizzazione

Nicasio OrtinIl “modello” spagnolo: una crescita senza precedenti

Libri in vetrina

Libri in vetrina a cura di Gianfranco Fabi

“Perchè la globalizzazione funziona” Martin Wolf - Ed. il Mulino - Bologna - 2006 -pagg. 470 - € 22Martin Wolf è uno dei più prestigiosi editoriali-sti del “Financial Times”. Prestigioso anche per-ché, grazie alla sua esperienza prima di senioreconomist “pentito” mondiale e poi di docen-te in varie università europee, riesce ad unirealla profondità di analisi anche una significati-va capacità divulgativa.Ed è proprio la divulgazione la caratteristicaprincipale di questo libro, “Perché la globalizza-zione funziona”, in cui lo scenario economicomondiale viene descritto senza pregiudizimanichei e in cui non si considera il mercatocome un idolo da adorare, ma come un mec-canismo imperfetto che è tuttavia il solo ingrado di garantire ad ogni società i necessaristrumenti di crescita economica e di svilupposociale. Con il coraggio di dire che “il proble-

ma, attualmente, èil difetto di globaliz-zazione e non l’ec-cesso: una giustacombinazione dimercati liberali e dicooperazione a livel-lo internazionalepotrebbe dare gran-di risultati”.La parte più origi-nale e accattivantedell’analisi di Wolf èquella in cui si met-tono in luce e sicontrastano le posi-

zioni critiche degli oppositori. Le motivazionedegli oppositori sono altrettanti titoli dei capito-li: indignati dalla disuguaglianza, traumatizzatidal commercio internazionale spaventati dallemultinazionali, preoccupati per lo Stato,impauriti dalla finanza. Tutte posizioni chehanno più di una giustificazione, ma chesecondo Wolf indicano soprattutto i difetti dacorreggere, e nessuna di queste critiche ècomunque tale da rimettere in discussione inmaniera strutturale la logica dell’apertura deimercati. Con una nota di fondo da sottolinea-re: non siamo di fronte ad un confronto traStato e mercato perché solo Governi forti, effi-

cienti e non corrotti possono garantire la valo-rizzazione di tutte le risorse attraverso un cor-retto rispetto delle regole: “dobbiamo ricono-scere – conclude Wolf – che la povertà persi-stente e la disuguaglianza sono causate dallaframmentazione politica del mondo e non dal-l’integrazione economica, peraltro limitata”.

“Tornare a crescere” Mario Deaglio, Giorgio S. Frankel, Pier GiuseppeMonateri, Anna Caffarena - Ed. Guerini e asso-ciati - Milano - 2006 - pagg. 218 - € 19,50.Un’analisi approfondita, ma nello stesso tempolineare, dei cambiamenti anche profondi che sistanno verificando nell’economia internaziona-le con due particolari punti di riferimento: dauna parte l’evoluzione della politica mondiale,con la ricerca di equilibri difficili e la persisten-za di molte aree di crisi, dall’altra il ruolodell’Italia con il tentativo di agganciare unaripresa che continua ad essere molto fragile eframmentaria. Queste le linee di fondo dell’undicesimo rap-porto sull’economia globale e l’Italia curato daMario Deaglio per il Centro “Luigi Einaudi” conil supporto dellaLazard. Un rappor-to che sembracamminare sul filodi un sottile equili-brio: da una parteil realismo cheporta a mettere inluce l’insicurezza el’instabilità, dall’al-tra un ottimismotemperato checonfida sulla possi-bilità di estendere ibenefici del cam-biamento, dell’al-largamento dei mercati, delle forze della tecno-logia e dell’innovazione.Quello che emerge con chiarezza è la neces-sità di governare il cambiamento, di trovare glianticorpi necessari per contrastare l’emergeredi nuovi rischi. In primo piano non solo glisquilibri sociali o l’invecchiamento della popo-lazione nei paesi occidentali, ma anche i rischiconnessi ai fattori politici e anche climatici per

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i quali Deaglio osserva come si abbia “taloral’impressione che la distruzione creatriceschumpeteriana stia creando ricchezza mate-riale, ma intaccando al tempo stesso le basisociali di tale creazione”.C’è in fondo il richiamo all’esigenza di un’eco-nomia della qualità capace di utilizzare le gran-di risorse disponibili anche per affrontare glisquilibri sociali e le tensioni politiche. E questonon solo per una pur doverosa esigenza etica,ma anche per non far mancare al sistema glo-bale le motivazioni della crescita. Senza dimen-ticare l’opportunità di contrastare le pericolosespinte difensive che di volta in volta assumono lesembianze del patriottismo e del protezionismo.

“Il modello che non c’era” Sergio De Nardis e Fabrizio Traù - Ed.Rubbettino - Soveria Mannelli - 2005 - pagg.256 - € 27.Davanti alle difficoltà dell’economia italiana ditenere il passo della crescita, l’analisi economi-ca molto spesso si ferma di fronte ad un giu-dizio efficace, quanto sommario: le difficoltàdell’industria nascerebbero soprattutto dall’in-capacità strutturale di adeguare il modelloproduttivo alle esigenze che emergono consempre maggior evidenza da quella che vienechiamata la nuova divisione internazionale dellavoro.In pratica l’arrivo tumultuoso, ma dirompente,nel commercio internazionale, delle produzio-ni dei paesi asiatici, con Cina e India in primopiano, caratterizzate da alti volumi e da costiparticolarmente bassi per il livello nettamentemeno elevato del costo del lavoro. L’industria

italiana non sarebbestata capace di spo-stare il baricentrodella propria indu-stria dai settori“maturi”, come il tes-sile, il legno, la mec-canica, ai settoricaratterizzati da unaforte componente diinnovazione.È questa un’analisiche ha certamenteelementi di verità e

di realtà, ma che non spiega come mai l’Italia,pur perdendo quote nel commercio interna-zionale in forte crescita, continui comunque asvolgere un ruolo di primo piano all’internodel sistema occidentale. E proprio guardandopiù da vicino alla dinamica industriale italianaSergio De Nardis, direttore dell’Unità macroe-conomica dell’Isae, e Fabrizio Traù, dirigentedel Centro studi Confindustria, hanno cercatodi svolgere un’analisi al di fuori degli schemitradizionali mettendo in risalto, come dice iltitolo, “Il modello che non c’era”. Di che cosasi tratta? Essenzialmente di mettere in lucecome la globalizzazione stia cambiando nonsolo i rapporti di forza, ma anche gli assettistrategici delle imprese. Per scoprire per esem-pio come fattori come la delocalizzazionesiano difficilmente valutabili secondo i tradi-zionali schemi di analisi e come l’industria ita-liana sia in parte riuscita, con un’innovazionesilenziosa, ma non meno efficace, a spostareverso l’alto l’asticella della competizione.Questo non vuol dire che non manchino irischi: ma vuol dire anche che ci sono risorsedi competitività che possono essere ulterior-mente valorizzate.

“Alleanze alla prova” Carlo Secchi ed Enrico Sassoon - UniversitàBocconi Editore - Milano - 2006 - pagg. 270 -€14.Alla fine degli anni ’60 due libri balzarono inprimo piano nel dibattito politico e sociale. Dauna parte quel libretto rosso di Mao che veni-va sventolato nei cortei dei giovani contesta-tori, dall’altra una lucida analisi del fondatoredel settimanale francese “L'Express”, Jean-Jacques Servan-Schreiber che cercò di sveglia-re l'Europa e le sue classi dirigenti con un rap-porto, La sfida americana, che prevedeva nel-l’arco di trenta anni la definitiva vittoria delmodello Usa rispetto ad una Europa ancoradivisa e litigiosa.Dal ’68 ad oggi molta acqua è passata sotto iponti: Mao è finito, fortunatamente, nel mu-seo della storia, mentre i rapporti tra Europa eAmerica si sono sviluppati, anche qui fortuna-tamente, nell’ottica della competizione e delconfronto. La sfida è continuata e continuacon un Vecchio continente che comunque ha

dimostrato di sapersuperare i limiti delledivisioni e di sapervarare anche pro-getti ambiziosi come difatto è la monetaunica, espressionedi un mercato sem-pre più unito, masoprattutto reale econcreto.Le relazioni con gli

Stati Uniti, pur nella dialettica, nella diver-sità di vedute, nei contrasti politici, resta-no comunque uno dei punti di forza diun sistema che unisce le due spondedell’Atlantico nella comune volontà di sal-vaguardare il mercato e insieme la demo-crazia. Proprio a questo difficile equilibriotra “cooperazione e conflitto” è dedicato illibro curato da Carlo Secchi, professore dipolitica economica all’Università Bocconi(di cui è stato rettore), e da Enrico Sassoondi Harvard Business Rewiew Italia, un libroche raccoglie una serie di saggi sui diversielementi dei rapporti Usa-Europa.Ne esce un’analisi che mette in luceanche aspetti importanti, anche se nonrituali, come la dimensione dell’istruzionee della formazione del capitale umano,come il tema della corporate governan-ce nella gestione delle imprese, comele regole antitrust e le tentazioni prote-zionistiche. Con un rapporto che comun-que, nell’epoca della globalizzazione,appare sempre più importante perché ingrado di rafforzare sia l’una che l’altraarea del mondo.

“Nouveau monde Vieille France” Nicolas Baverez, Vielle France - Ed. Perrin- Parigi - 2006 - pagg. 394 - € 15.Due anni fa aveva suscitato grande inte-resse il libro di Nicolas Baverez “Francia: ildeclino”, che l’editore Rubbettino avevasapientemente pubblicato facendo cono-scere al pubblico italiano un autore fran-cese, storico ed economista, tra i piùattenti all’evoluzione politica e socialedella vicina Repubblica. C’è da augurarsi

che possa venire presto tradotto anchel’ultimo libro uscito nelle scorse settimaneper l’editore Perrin: “Nouveau monde,Vieille France”. Un titolo che costituisceuna sintesi altamente efficace della tesiche si svolge lungo gli articoli che Baverezha scritto negli ultimi anni per “Le monde,Les Echos” e “Le point”, con un’analisiimpietosa, ma anche per questo efficace ,della realtà francese, articoli che, accom-pagnati da una robusta introduzione,costituiscono il corpo centrale del libro.Baverez è quello che potremmo definireun liberale moderato, ma il suo approccioalla realtà francese e mondiale si contrad-distingue soprattutto per un’osservazionedella realtà che non utilizza mai le lentidell’ideologia e che si muove lungo i sen-tieri di un sicuro realismo. “Il metodo –scrive nell’introduzione – è quello di pre-sentare e analizzare i fatti per quelli chesono, compresi quelli spiacevoli e tragici,e non per quello che noi vorremmo chefossero”. E il metro con cui si misurano ifatti è quello della società aperta, dinami-ca, capace di valorizzare le esperienze edi superare i vecchi schemi. È particolar-mente interessante vedere scorrere inqueste pagine un’analisi spesso impietosadi una realtà, come quella francese, chespesso da questa parte delle Alpi siamoabituati un po’ acriticamente a vederecome un modello di efficienza e di razio-nalità. Ma è invece la stessa idea di gran-deur francese che viene consideratacome un limite che non ha consentito allapolitica di muoversi al passo con la storia:è il caso, per esempio, del rapporto congli Stati Uniti vissuto come un antagoni-smo quasi surreale e per nulla costruttivo,così come è il casodelle strutture pubbli-che centralistiche e cor-porative, incapaci dirispondere, come han-no dimostrato le prote-ste dell’inverno scorso,alle vere sfide di unasocietà in profondocambiamento.

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