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Pubblicato sul sito http://web.tiscalinet.it/herbita a cura di Filippo Costa © 2003 88 L I B R O Q U A R T O NICOSIA NOBILE PROEMIO Su la tela di questi candidissimi fogli è stata dipinta da mio inesperto pennello dell'una e l'altra Erbita la vetusta canitie e per le vicendevolezze de' tempi vaga sotto foggie diverse e sotto vari nomi. Ma nel secondo libro per il suo brio naturale la riconobbi armata e sempre vittoriosa, nella tranquillità e pace godere le sue ricchezze e delizie. Santa e divota nel terzo tel'ho fatta vedere, ed ora nel quarto convien che si rimiri tutta favillante chiarori, tramandando ella splendori per li trofei di gloria, valore e dottrina; si sono resi i Nicosiensi immortali nell'imprese d'onore o cose a quelle degl'Avoli tanto famose. Tutto ciò lo palesano in apertissimo campo i titoli e gloriosi encomi, con chè l'hanno a larga mano dato i Monarchi, Regi, ed Imperadori terreni come a suo luogo riferiti già sono, e benchè ella si pregia fra gl'altri del Titolo di Costantissima, come a lei sola dovuto per essere a' suoi Monarchi costante prestandole inviolabile l'ossequio mentr'ha più volte esposta la vita a rischi manifesti di perderla, etiandio(?) con sborzi d'ingentissime somme. E per tornare al mio intento, o lettore, è vero che l'opinioni della Nobiltà appresso gli scrittori son varie (alcuni tre grandi ne assegnano, dal geno, virtù e misto d'entrambi -così Cassaneo-), ma Sant'Ambrogio duoi soli ne mette, sangue l'uno e l'anima l'altro, che vuol dire virtù e prosapia. Altri col Piccolomini n'ammettono quattro, cioè divino, morale, naturale, fortuna o ricchezza. Sono sovra quattro basi molto pregiate questi gradi di Nobiltà, il primo nella Virtù o Santità di vivere sovra gl'altri s'estolle, il secondo nei Carmi e Lettere la statua dell'onore ripone (nonostante al primo inferiore si rende), il terzo nella discendenza degli antenati gloriosi si fa pompa, il quarto (ch'a questi ossequioso si rende) fonda nella fortuna o ricchezza acquistate i suoi men fastosi trofei. Si lasciano indietro i lunghi discorsi, i quali sovra questa materia si potrebbon formare, solo si deve contentare di quello ch'affermano gli scrittori consentanei alla ragion naturale; se io volessi di esse difusamente discorrere come Nobiltà principale e più delle descritte maggiore, la prima è la Santità della vita o perfetione di costumi: "Sanctitas est gradus Divinus -disse Piccolomini - super heroicam virtutem collocatus "; e la ragione è chiarissima, poichè quanto un oggetto s'avvicina alla somma bontà, tanto più acquista di perfetione e nobiltà sublime. L'uomo il quale santamente porta i suoi giorni, santamente s'accosta con Dio, ch'è la perfetione di ogni cosa e la somma Nobiltà increata; adunque colui che vive in santità di costumi è il più nobile al mondo, quella persona che sempre si mira al Re più vicina si stima da tutti esser la più nobile della Corte Reale, poichè non ammette personaggi al suo lato vicini se non coloro che sono di Regio sangue germogli, o di nobiltà se non inferiore almeno uguale. Iddio stesso dice di coloro che santamente lo servono "Vos amici mei estis", ed altrove il Regio Salmista "Ego dixi Dii estis, et filii excelsi omnes ". Adumque senza dubbio può dirsi quello, che santamente vive è il più Nobile al mondo. Demostene dice: "Unus heroicus vir totam gentem illustrat"; alcuni fondano la lor Nobiltà negl'affumicati ritratti degl'avoli incastrati a' Cornici d'oro, e non s'avvedono ch'hanno l'oro del lor sangue annerito col fumo delle loro indegn'attioni; siegue l'istesso a provarlo con più energia di parole: "De nobilitate parum laudis praedicare possum, bonus enim vir mihi nobilis videtur, qui vero non justus est, licet a Patre meliore quam Iupiter sit, genus ducat ignobilis mihi videtur ". Questi discorre da gentile qual'era, sentite ancor quest'altro che è Socrate: "Nobilitas est animi et corporis bona temperies" che vuol dire che se il Nobile vive fra vitii non è Nobile, poichè il Nobile da virtuoso deve passare i suoi giorni; il chè San Girolamo conferma dicendo: "Sola apud Deum libertas est non servire peccatis sola apud Deum nobilitas clarum esse virtutibus ". E San Gregorio il Magno discorre diversamente dal mondo, mentre afferma che il Nobile non virtuoso è al suo casato ignominia; e dell'eloquenza l'aureo fiume chiarisce coloro i quali tengono offuscata la mente dal fiume della propria superbia, con dire: "Ille Clarus, ille Nobilis, ille tunc integram nobilitatem suam putet cum dedignatur servire vitiis et ab eis non superari" e dopo siegue con una invettiva contro i Nobili della terra, i quali hanno il lor fasto atterrato col viver da bruti: "Quid enim prodest, quem sordidant mores, generatio Clara ?" che giova esser nato fra gli splendori del Sole se porta ne' suoi costumi una tetrissima notte, servirolli la luce per maggiormente scoprire della sua prosapia le macchie, e della sua vita gl'inumanati procedimenti. La nascita vile ad un uomo virtuoso non nuoce, anzi fa palese che dalla terra vile nasce il più prezioso metallo, da cui formansi le Regali Corone. Incalza l'invettiva con attestare: "Quid nocet ille generatio vilis, quem mores adornat ". Ed il Re della gloria sapienza increata ed eterna, da cui ogni nobiltà dipende, dichiarasi con parole assai pregne: "Qui autem contemnunt me erunt ignobiles ".

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L I B R O Q U A R T O

NICOSIA NOBILE PROEMIO

Su la tela di questi candidissimi fogli è stata dipinta da mio inesperto pennello dell'una e l'altra Erbita la vetusta

canitie e per le vicendevolezze de' tempi vaga sotto foggie diverse e sotto vari nomi. Ma nel secondo libro per il suo brio naturale la riconobbi armata e sempre vittoriosa, nella tranquillità e pace godere le sue ricchezze e delizie.

Santa e divota nel terzo tel'ho fatta vedere, ed ora nel quarto convien che si rimiri tutta favillante chiarori, tramandando ella splendori per li trofei di gloria, valore e dottrina; si sono resi i Nicosiensi immortali nell'imprese d'onore o cose a quelle degl'Avoli tanto famose.

Tutto ciò lo palesano in apertissimo campo i titoli e gloriosi encomi, con chè l'hanno a larga mano dato i Monarchi, Regi, ed Imperadori terreni come a suo luogo riferiti già sono, e benchè ella si pregia fra gl'altri del Titolo di Costantissima, come a lei sola dovuto per essere a' suoi Monarchi costante prestandole inviolabile l'ossequio mentr'ha più volte esposta la vita a rischi manifesti di perderla, etiandio(?) con sborzi d'ingentissime somme.

E per tornare al mio intento, o lettore, è vero che l'opinioni della Nobiltà appresso gli scrittori son varie (alcuni tre grandi ne assegnano, dal geno, virtù e misto d'entrambi -così Cassaneo-), ma Sant'Ambrogio duoi soli ne mette, sangue l'uno e l'anima l'altro, che vuol dire virtù e prosapia.

Altri col Piccolomini n'ammettono quattro, cioè divino, morale, naturale, fortuna o ricchezza. Sono sovra quattro basi molto pregiate questi gradi di Nobiltà, il primo nella Virtù o Santità di vivere sovra gl'altri

s'estolle, il secondo nei Carmi e Lettere la statua dell'onore ripone (nonostante al primo inferiore si rende), il terzo nella discendenza degli antenati gloriosi si fa pompa, il quarto (ch'a questi ossequioso si rende) fonda nella fortuna o ricchezza acquistate i suoi men fastosi trofei.

Si lasciano indietro i lunghi discorsi, i quali sovra questa materia si potrebbon formare, solo si deve contentare di quello ch'affermano gli scrittori consentanei alla ragion naturale; se io volessi di esse difusamente discorrere come Nobiltà principale e più delle descritte maggiore, la prima è la Santità della vita o perfetione di costumi:

"Sanctitas est gradus Divinus -disse Piccolomini- super heroicam virtutem collocatus"; e la ragione è chiarissima, poichè quanto un oggetto s'avvicina alla somma bontà, tanto più acquista di perfetione e

nobiltà sublime. L'uomo il quale santamente porta i suoi giorni, santamente s'accosta con Dio, ch'è la perfetione di ogni cosa e la

somma Nobiltà increata; adunque colui che vive in santità di costumi è il più nobile al mondo, quella persona che sempre si mira al Re più vicina si stima da tutti esser la più nobile della Corte Reale, poichè non ammette personaggi al suo lato vicini se non coloro che sono di Regio sangue germogli, o di nobiltà se non inferiore almeno uguale.

Iddio stesso dice di coloro che santamente lo servono "Vos amici mei estis", ed altrove il Regio Salmista "Ego dixi Dii estis, et filii excelsi omnes".

Adumque senza dubbio può dirsi quello, che santamente vive è il più Nobile al mondo. Demostene dice: "Unus heroicus vir totam gentem illustrat"; alcuni fondano la lor Nobiltà negl'affumicati ritratti degl'avoli incastrati a' Cornici d'oro, e non s'avvedono ch'hanno

l'oro del lor sangue annerito col fumo delle loro indegn'attioni; siegue l'istesso a provarlo con più energia di parole: "De nobilitate parum laudis praedicare possum, bonus enim vir mihi nobilis videtur, qui vero non justus est,

licet a Patre meliore quam Iupiter sit, genus ducat ignobilis mihi videtur". Questi discorre da gentile qual'era, sentite ancor quest'altro che è Socrate: "Nobilitas est animi et corporis bona

temperies" che vuol dire che se il Nobile vive fra vitii non è Nobile, poichè il Nobile da virtuoso deve passare i suoi giorni; il

chè San Girolamo conferma dicendo: "Sola apud Deum libertas est non servire peccatis sola apud Deum nobilitas clarum esse virtutibus".

E San Gregorio il Magno discorre diversamente dal mondo, mentre afferma che il Nobile non virtuoso è al suo casato ignominia; e dell'eloquenza l'aureo fiume chiarisce coloro i quali tengono offuscata la mente dal fiume della propria superbia, con dire:

"Ille Clarus, ille Nobilis, ille tunc integram nobilitatem suam putet cum dedignatur servire vitiis et ab eis non superari"

e dopo siegue con una invettiva contro i Nobili della terra, i quali hanno il lor fasto atterrato col viver da bruti: "Quid enim prodest, quem sordidant mores, generatio Clara ?" che giova esser nato fra gli splendori del Sole se porta ne' suoi costumi una tetrissima notte, servirolli la luce per

maggiormente scoprire della sua prosapia le macchie, e della sua vita gl'inumanati procedimenti. La nascita vile ad un uomo virtuoso non nuoce, anzi fa palese che dalla terra vile nasce il più prezioso metallo, da

cui formansi le Regali Corone. Incalza l'invettiva con attestare: "Quid nocet ille generatio vilis, quem mores adornat". Ed il Re della gloria sapienza increata ed eterna, da cui ogni nobiltà dipende, dichiarasi con parole assai pregne: "Qui autem contemnunt me erunt ignobiles".

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Onde per haver Nicosia per tutelare il suo Nume il Gran Santo dei Cieli Nicolò il Magno, forz'è sovr'ogn'altra Città mediterranea s'innalzi negl'altri tre gradi, poichè non è andata raminga essendone stata copiosa, come si è chiaramente discorso ne' precedenti tre libri, e nel numero de' letterati (si è detto ed abbastanza dirassi, che senza confederarsi con gli Ateniesi, ha partorito se non maggiori, non ingegni inferiori di quelli del terzo e quarto grado, è palese ad un mondo e sen'addurranno alcuni in tutti i gradi) e nel numero di geni famosi.

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UOMINI INSIGNI NELLA SANTITA', SANTIFICATI DALLA CHIESA CAP.I

Altra penna che la mia si richiede per poter di persone in Santità illustri ombreggiare i loro fiammegianti splendori, e

come potrà già mai questa descrivere le glorie di quelle scintille che lampeggiano negli eterni chiarori del Cielo, mentre in terra fiorirono nel giardino della Chiesa in Santità e virtù segnalati, quali la nostra città partorendo alla luce del Mondo, s'han palesato splendidissima pace, e quanto costoro s'avanzarono in meriti, tanto a me non permettono che col mio ruvido stile spieghi i loro fioriti fulgori, nulla di meno s'all'animo non corrisponde il valore, con gratitudine eccelsa suppliranno eglino al mio ardimentoso coraggio.

Non sono poche quelle persone ch'hanno Nicosia lor Patria illustrato con la Santità della vita, piena di virtù fruttuose. Porterò solamente tutti quelli che mi sono venuti alle mani, risplenderanno bensì altre fiaccole in Cielo, delle quali o Iddio non si è compiaciuto farne a questo suolo tal mostra o a me non portate a notitia.

Spero che penna più diligente ed erudita entrerà dal fecondo suo dire gl'encomi gloriosi al lor fasto dovuti, ed accresceranno il numero a maggior gloria dell'Altissimo.

Insigne si rese frat'ACURSIO da NICOSIA, laico di Casa Contino, Minor Reformato; riuscì questo fratello nel

buio del Mondo fiammegiante lucerna, il quale non solo a se stesso ed alla Religione risplendette, ma anche agl'amatori della terra tutt'ombre, poichè tutto spirito mostrossi, mentre la maggior parte della notte la passava da vigilante sentinella nel campo della militante Chiesa in oratione continova, macerandosi il corpo con asprezze inudite, sfidava gl'abitatori dell'abisso infernale a singolar tenzone, non ostante che eglino li recassero molestie allo spesso, ed egli quanto più dalla rabbia percosso a forza di bastonate, risorgea Antea o glorioso, e con la pacienza invitta si coronava le tempie di allori. Morì assai vecchio in questo Convento in cui contò più vittoriosi trionfi che giornate d'assalti, e però con fama di vita perfetta. Come stà registrato nel catalogo M.S. raccolto dal Padre frà Bernardino da Nicosia di Casa Giangreco dell'istesso Ordine.

Il Padre fra' AGOSTINO da NICOSIA, di Casa Mistretta, dello stesso Ordine, il quale nel secolo fu chiamato

Alessandro, studiò secolare in Catania l'una e l'altra legge e ne conseguì la laurea dottorale, e poscia conferitosi nella città di Palermo a far mostra in quel giardino di fioritissimi ingegni, ben conobbe che ne' verzieri la gratia si perde, e indossossi il candor della veste di Domenico il Santo per ivi fondar una vita dalle macchie lontana; ma non gli riuscì l'attentato, poichè dalli Superiori hebbe della Procura del Convento l'Ufficio, il chè lo distrasse dal suo fine bramato di viver tutto al suo Dio, onde fece passaggio all'Osservanza del Serafino Francesco, e da questa alla Riforma dell'istesso, e s'elesse di stare nella stessa camera in Santa Maria di Gesù dove abitò fra' Innocenzo da Chiusa, e fatto vero imitator della vita di quello, fe' l'acquisto delle più eroiche virtù, onde ne venne stimato per Oracolo della città di Palermo, e ricco di meriti se ne passò da quell'abitazione 10 linga al Convento di Sant'Antonio vicino di Palermo le mura, ove depositando la carne impassita alla terra lo spirito se ne volò all'Empireo, benchè quella per la molta devotione de' popoli stette tre giorna insepolta, e più volte vollero i Padri mutarvi l'abito, perchè glielo tagliarono in pezzi per haverne qualche d'uno memoria, gli fecero da pennello illustre formar il ritratto, che in detto conservasi con questa inscritione cavata dal medesimo simulacro che dice:

Vera effigies servi Dei P.f. Augustini A Nicosia omnium virtutum splendore clari, et praesertim humilitate Charitateq. insignis. Obiit die 6 Novembris anno 1693 aetatis vero 84 Religionis 65. Illustre in Santità di vita fiorì fr. ANTONIO da NICOSIA, di Casa Bruno, dell'istesso Ordine delli Minori

Reformati, il quale adorno di tutte le virtù Christiane, benchè fosse laico, nulla di meno fu il più sapiente, giacchè per esser Umile, l'Onnipotenza Divina comunicando i suoi eccelsi secreti, lo rendeva tale che se ne morì con fama di vita perfetta, come racconta il Padre Tognoletto nel suo "Paradiso Serafico".

Fra' ANTONIO da NICOSIA, della Nobile Famiglia Vivacqua; costui per mantenere vivo questo cognome

sublime, volendo che morisse nella Religione il suo nome, ben considerò che nel mondo non vi sono altro che pozzangoli dissipati, come esperimentò ne' suoi avoli, e la fe' da prudente nocchiero non aventurando il naviglio dell'anima sua alli sirti e tempeste del mare e del mondo, ritirandosi nel porto felice e sicuro (tanto maggiormente, che in questa trovasi il mare in calma della Reina dei Cieli) della Religione Francescana de' Reformati sotto titolo di Santa Maria di Gesù, il quale puote santamente vantarsi "ego sum fons aquae vivae"; elesse in questa consumare i suoi anni e far più che vero il suo cognome Vivacqua, ivi fondando i suoi primi principii, genuflesso giorno e notte avanti l'altare della Madre di questa viva fonte del Convento di Santa Maria di Gesù di Palermo trapiantato dal nostro; a questo Santuario fece progressi da fonte d'acqua viva perenne, poichè lo rese Cittadino di questa maestosa Città dell'Empireo, di cui il Padre Tognoletto (nell'opera sua intitolata "Paradiso Serafico", tomo secondo), descrive un'apparitione occorsa al fratello Angelo di Giuliana di famiglia nel Convento di Santa Maria di Gesù nella città di Naro, il quale esercitando di Portiero l'ufficio, era solito fare oratione inanzi l'altare della Reina de' Cieli: si ritirò una notte fra l'altre per fare il suo giorno con illustrationi divine quando la Madre dell'Ombra celebra i funerali con tanti lumi nel cielo al morto giorno per lo Caso del Sole, allorchè chiuse le luci per starsene con i lumi della mente di Dio, ecco sorpreso da un legerissimo

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sonno, fu portato in Spirito nella Chiesa di Santa Maria di Gesù in Palermo, e ivi inanzi l'altare della Gran Signora Maria fra' Antonio da Nicosia se ne stava in oratione profonda, e spicato col capo del gusto, in sino al seno accostatosi pian piano fra' Angelo al cenato Religioso, che orava, e gli disse: "Venerando Padre io vegio metamorfosi meravigliosa nel vostro corpo"; all'hora egli rispose: "Io sono frate Antonio da Nicosia, che quattro giorni già sono che sul banco di un povero letticiuolo pieno di paglia depositai agli esattori della nostra caducità il commune tributo e ne volai al Cielo, alla cui entrata vidi una porta d'una sol Margarita formata, e le strade tutte d'oro massiccio, incontrai al primo ingresso gl'Angioli che mi facean profondissimi inchini e mi baciavan la veste, e quel che mi facea per lo stupore inarcar le ciglia si era, che con le labbra di risplendenti rubini mi imprimeano nelle mani affettuosissimi baci "; al chè rispondendo dissi: "Non tanto onore, o Spiriti Beati, io non son Sacerdote che mi baciate le mani"; replicarono questi: "Ben lo sappiamo che non fosti dell'altare ministro, ma tutta la notte la consecravi in te stesso ostia ed olocausto"; e passando più oltre mi si fecero incontro gli Arcangioli con maggiori ed affettuosi riverenze, quando mi scordai le prime, ed esclamai che "....se avessi saputo che con tale moneta si pagano in Cielo gl'affanni del Mondo, oh come avrei andato in traccia a più malevoli imprese, per far maggior acquisto di gloria"; e dando più passi inanzi vidi quelle infocate salamandre che stanno nella fornace accesa che si appella Iddio tutto fuoco, e queste sovravanzando con tenerezza di amor li secondi, mi dimenticai affatto e dissi fra me stesso: "Ben ora conosco, che l'anguste stretezze de' Chiostri si mutano con le sterminatissime stanze del Cielo; la ruvidezza delle lane che in terra indossai è mutata in paludamenti tutte tempestate di gioije, le parchissime mense sono cambiate in lautissimi banchetti, dove si gusta in una fonte l'ambrosia divina, i languori, le pene, i dolori e rimbrezzi sono divenuti applausi che sollevano l'anima di più gloriosi trofei; fratello mio caro, se sortisti d'Angelo la denominatione, l'operare corrispondi a' nome così eccelso; sij della Reina degli Angeli affettuoso divoto e procura cambiare le notti tenebrose in giorni lucididissimi d'oratione profonda all'altare di Maria, che ne consecurai più gloriosi gli effetti, e se tu vuoi confermarti nella verità di questa visione, senti che di quà fra poche hore verrà un messo da Palermo che porterà della mia morte certificata la nuova".

E sparsa la visione, venuto in sè frà Angelo, intese sonar il campanello della porterìa del Convento: con frettolosi passi corse all'uscio, e trova che era il Terziario di Palermo, a cui frà Angelo con istanza richiese che cosa si diceva di frà Antonio da Nicosia, subito egli rispose che havea quattro giorni che era già morto e portava le lettere del Guardiano del Convento di Santa Maria di Gesù di Palermo per fargli le dovute esequie, e così restò accertato della visione che poc'anzi havea con suo molto gusto veduta. Tutte le virtù che andavano raminghe e peregrine fugate dagli uomini mundani nel suo amplissimo cuore, trovarono nella sua cella che se ne stavano a fascio a fascio le candele di quelle persone divote di qualche gratia da Dio bisognose, le sue suppliche tutte l'esequatur impetravano, e di ciò fan fede con lor candidezza, e benchè appesi confesseranno di tutto ciò la verissima fede.

Non fu di minor Santità di vita un certo TERZIARIO delli PADRI CAPPUCCINI ASCANIO chiamato; uomo

che sotto il governo di questo fioritissimo Ordine visse così astinente e tal norma di vita si costituì, che cercò di superar nell'astinenza gli stessi Religiosi i più austeri stimati. Sottraeva gli alimenti vitali al suo corpo, per mantenere in vita i povarelli di Christo, col cibarsi una volta al giorno, intento all'oratione con tanto gusto di spirito che la stimava per ambrosia del Cielo, d'onde succhiavano continue dolcezze: erano tali gl'eccessi di mente, ed a questa affettuoso mostravasi, come bevesse quel nettare non favoloso di Giove, già che era della mensa del Tenente supremo; amò con si' perfetta carità questo Re della gloria, mentre le membra di esso refocillava ne' poveri, onde ne meritò che l'istesso umanato Signore l'invitasse alla sua mensa Reale, come narra il Boverio.

Fiorì in Santità di vita in questo Convento di Santa Maria di Gesù de' Minori Reformati il P.f. BENEDETTO da

NICOSIA, di Casa Malvagio, Sacerdote Semplice ma buon Canonista, uomo di vita esemplare, pieno di zelo dell'onore divino, con edificatione de' frati e secolari. Finì i suoi giorni in Petralia carico di anni e di virtù adornato, ove con odor di Santità havea commemorato molt'anni ed edificatione di tutti. Tanto descrive nel suo Catalogo M.S. il detto Padre Giangreco.

Fra' BONAVENTURA BELLAGAMBA da NICOSIA, laico dell'istesso Ordine de' Reformati, fu un gran servo

di Dio, il quale col fr. Arcangelo Brunello della Terra di San Fradello ed il Ven. Padre fra' Michelangelo Camerano di Nicosia, come tanti leoni armati di zelo dell'anima, nell'anno 1626 in cui questa Città era infetta de' corpi degl'apestati, uscirono spontaneamente dal Convento con la licenza però del Superiore, li primi duoi ch'erano laici servivano gl'amorbati, il terzo Sacerdote amministrava i Santi Sagramenti, posponendo alla vita dell'anima ch'è per sempre durevole la temporale, di cui nulla curando purchè quella si ponesse in salvo; questa Città era da quel Drago miseramente possessa e senza pietà divorata. Ed alla fine, dopo alcun tempo haver quest'opera santamente impiegato, tutti tre amorbati perirono e se li svelò un giorno felice e beato, ove godono per tutta l'eternità l'aspetto divino, come costa per una fede di questo Senato fatta ad istanza del Padre fra' Giuseppe da Golesano dell'istessa Reforma, Religioso Predicator Quaresimale in questa Matrice di San Nicolò, portata dal Padre Tognoletto nel suo Paradiso Serafico, ove dice:

"Vener. servus Dei fr. Angelus Brunello de Terra S. Fradelli, servus Dei fr. Bonaventura Bellagamba Nicosiensis Sacerdos, qui sponte cum sui superioris benedictione, tempore pestis novissimae anno 1626. Quando, tota Civitas misere affictabatur e Conventu exeuntes vitam temporalem ob ferventissimam Dei et proximorum charitatem parvi pendentes, animarum zelo excitati ad adiverandos infirmos peste percussos sacerdos in audiendis confessionibus, aliisque sacramentis administrandis, per vicos et plateas Civitatis illi duo videlicet ut laici infirmorum, et infectorum

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necessitatibus humili officio inserviendo tandem contagio percussi in huiusmodi Deo, et hominibus gratissimo aosequio decesserunt".

Fra' CARLO da NICOSIA, laico della detta Reformata, per la buona fama della sua vita illibata è testimonianza

della sua semplicità virtuosa, ed anche con gli splendori del buon esempio illumina gli scorretti mondani; fu dagli Giurati di questa assegnato alla cura delle donne infette in tempo già detto ch'il mal contagioso in questa Città trionfava, e visse non senza opinione di Santità di vita, come per detta fede si legge dal detto Padre Tognoletto portata: " Devotus servus Dei fr. Carolus de Nicosia laicus, cui propter eius testimonium et vitae honestatem fuit a tunc Patribus conscriptis infectarum mulierum cura commissa, qui tandem post aliquot annos in praefacto Conventu in admirabili simplicitate et non sine sanctatis opinione ex hac vita migravit in coelum ".

Fra' DANIELLO da NICOSIA, laico della Reforma già detta, di Casa Bellone, uomo Religiosissimo, da Dio

dotato di varie virtù Christiane, intento all'oratione zelante dell'onor divino, ad ogn'uno d'esempio, nella carità verso Dio ed il prossimo molto provetto; morì in questo Convento e posto in Chiesa, vi concorse quasi tutto il popolo Paesano, per la fama della Santità di vita e per la gran devotione portatagli tagliarono l'abito in pezzi, ed i capelli del capo, ed ogn'uno si stimava felice d'haver qualche memoria di questo fratello defonto. Il Padre Giangreco nel suo M.S. catologo conservato in questo Convento.

Padre fra' DOMENICO da NICOSIA, non so di qual Casa egli fosse. Religioso della nominata Reforma, il quale

prima fu eremita di S. Pietro all'Artesina, e poscia a Santa Maria del Soccorso, e finalmente Religioso a Santa Maria di Gesù Reformato dedito alla Carità verso il prossimo, e precise in cacciar i Demoni da' corpi ossessi con li suoi potenti rimedij che dava.

Se ne morì d'anni 120 com'egli affermava mentr'era in vita in questo luogo, con fama di Santi costumi. Fra' FILIPPO da NICOSIA, della Nobilissima Famiglia La Via, Religioso di San Francesco di Paula, il quale

nella Religione visse da santo, che se non era in età giovanile pervenuto nella Parca crudele havrebbe asceso al colmo della Santità più perfetta, mentre di anni ventitrè in circa gli fu troncato lo stame della sua vita, e lo tolse dal mondo, senza avvedersi che lo facea abitatore del Cielo; ascese egli all'Ordine di Diaconato e se ne morì a Palermo nel Convento della Vittoria chiamato, e con ragione perchè vittorioso delli tre inimici communi, non dava d'altro luogo far passaggio a quella Regia suprema dove ricevette alle mani le palme, e le corone al suo capo, e fu sepellito in disparte degli altri Religiosi, già chè correa non solo la fama della Santità di vita tra li Religiosi, ma per tutto Palermo; era osservante perfetto con ammiratione di tutti, il quale essendo in età giovanile, racchiudea in se stesso un erario di virtù Christiane; al di lui ritratto che si conserva in detto Convento, gli scrissero quest'iscrizione encomiastica i Padri del medesimo Ordine:

Philippus La Via Siculus Nicosiensis Diaconus magnarum, ac multiplicium virtutum Adolescens, ob quem Vulgo Sancti fratris nomen obtinuit. Obijt Panormo in Conventu Sanctae Mariae de Vittoria die 5 Novembris 1611. Fra' LORENZO da NICOSIA, della medesima Prosapia La Via, Religioso de' Minori Reformati di San Francesco

d'Assisi nel Convento di Santa Maria di Gesù; in questo visse così perfetto nella religiosa osservanza, che riuscì nella vita esemplare. Fiorirono in lui quasi tutte le virtù in grado sublime, d'astinenza incredibile, di profonda umiltà, nella carità perfettissimo, inimitabile nella mortificazione, e se ne morì con odor di Santità alla fine.

Il Vener. Padre fr. FRANCESCO da NICOSIA, della Nobilissima Famiglia Calì, Sacerdote dottissimo, fu

Provinciale delli Minori Reformati e custode, e per la fama di Santità si rese grande nell'opinione di tutti, si per la semplicità (che in lui risplendeva) come per la vita illibata, la quale unita allo Spirito lo dichiarava come uomo Celeste e Serafico, che in carne abitasse in maniera tale che molti Nobili, dopo il suo passaggio felice alla gloria immortale, si fecero ogn'uno per devotione il ritratto. Così dicesi per la fede sopra citata:

"Venerabilis P. fr. Franciscus de Nobile familia Calì Nicosiensis Sacerdos, Custos, olim Provincialis Patrum Praefactorum in magna fuit omnes Sanctatis opinione, propter vitae illibatae simplicitatem, alioquin doctissimus, ita ut quam plurimi nobiles post eius mortem, ipsius efigiem apud se habere curaverunt".

Insigni si resero nella Santità della vita duoi Padri de' Carmine, ambi Sacerdoti, la vita de' quali mentre vissero al

mondo occulta si vide, e nella lor morte (che nel medesimo punto successe) fece palese di tali Padri Iddio il premio dovuto alla lor bontà nella vita.

Narra il Padre Tognoletto nel suo "Paradiso Serafico", nella vita ch'egli descrive del Padre Domenico da Monte Leone, Religioso della Francescana Riforma, che "....domentre era di famiglia in questo Convento di S. Maria di Gesù collocato (per servirmi delle sue proprie parole), stava (dic'egli) fra' Domenico di Monteleone laico di questa Provincia una notte in oratione, allorchè morirono nel Convento di Santa Maria del Carmine di Nicosia (mentre il suddetto fra' Domenico era di famiglia nel Convento di Santa Maria di Gesù in detta Città) duoi Padri di detto Convento del Carmine, tutti duoi Sacerdoti di molto spirito ed oratione, uno chiamato PADRE GEREMIA e l'altro PADRE MEL-

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CHIORRE, ambi duoi di Nicosia; e nel medesimo tempo che quei divoti Religiosi morirono, vide fra' Domenico l'anime loro che tutte due se ne volarono in Cielo. La mattina il servo di Dio andò al Convento di detti Padri del Carmine, ed intesa l'ora nella quale morirono, si certificò più esser stata quando appunto egli vidde ch'andavano alla Maggione Celeste".

Così testificò il Venerabile fra Daniello da Nicosia Religioso di detto Convento di Santa Maria di Gesù, il chè successe l'anno di Cristo 1603.

Fra' GIACOMO da NICOSIA, di Casa Calcerano, Terziario il quale servì molti tempi li frati di Santa Maria di

Gesù da quando in questo Convento stavano i Padri Reformati, Religioso di molta semplicità virtuosa, onde negl'ultimi anni di sua vita onesta di meriti e virtù ricolma, riportò esser guarito dall'Imperatrice del Cielo da una grave rottura che lo travagliava al sommo; discorrea allo spesso con detta Signora Maria familiarmente, e li raccontava ch'havea molto pregato San Diego, la cui Statua over immagine era stata di fresco in detta Chiesa portata, acciò l'havesse sanato, e non lo volse guarire per non haverli portato candele di cera: e disse alla Madre d'Amore "...sanatemi Voi, la quale non volete candele !", al cui discorso in Chiesa il cinto spezzosi, che portava assai doppio, e restò di tale infermità liberato.

Se ne morì assai vecchio ed è cogl'altri fratelli seppolto nell'antica seppoltura di detto Convento. Ciò riferisce il Padre Giangreco nel suo M.S. Catalogo.

Il Padre fra' GIOVANNI da NICOSIA, della famiglia Alessio, dell'istessa Reforma, uomo dotto in Teologia e

Predicator famoso, il quale fece comparsa in molti pulpiti con somma sua lode, frutto dell'anime, fu Guardiano in questo Convento, s'esercitò nelle virtù Christiane e se ne morì in Messina con opinione di Religioso perfetto e di vita esemplare.

L'istesso Padre Giangreco nel suo M.S. Catalogo. Fra' GIOVANNI da NICOSIA, laico dell'Ordine de' Padri Cappuccini, da si' Nobil Giardino che quanto più ruvido

si mostra d'abbiglio che indossano, tanto spiccano i lor fior odorosi, i quali nobilmente sbucciano per traspiantarsi nel Cielo dell'Agricoltore Supremo, giacchè l'ha coi nembi delle sue gratie irrigato, de' quali scrisse il Padre Boverio, che ".....con gran ragione di loro può quell'elogio del Profeta Isaia":

Eterit anima eius quasi hortur irriguns. Et quasi hortus volumptatis terra cova meo. Poichè solcan con l'aratro della sferza il lor corpo e con la zappa delle continue fatiche, fan che il terreno si renda

fruttifero, altre tanto operando Giovanni con li cotidiani digiuni, asprezze e cinture di ferro, flagellava il suo corpo con le spesse discipline in sangue, poverissimo oltre più della povertà del Convento, ubidiente a' soli cenni del Superiore, paziente ne' travagli e nel disprezzo umilissimo, amava cordialmente l'annegation di se stesso, che è nella via del Signor l'ammirando portento come scrisse Gregorio il Magno, che questo è il più gran travaglio d'un cuore:

"Sed valde laboriosum est relinquere semetipsum". Era in lui operato con franchezza virile, con le vigilie et orationi continue eccitava il suo spirito a mandar fiamme

d'amore, quali nutriva coll'innaffio delle proprie lagrime, la cui santità la testificò il Supremo Monarca con infiniti miracoli di vita, compasionando una volta d'un ossessa da maligno spirito gl'affanni, considerando bene quel che disse l'esorcista Maggiore del Mondo, alcuni spirito non si posson cacciare se non con digiuni ed orationi, ritirossi dentro una spelonca per due giorni senza cibo terreno, benchè succhiava dalle mammelle della gratia divina cibi lautissimi. Si udì il Demonio che strepitava con urli e sibili orrendi, gridando ad alta voce che assordava i Cieli, mentre diceva ".....fra' Giovanni con le sue orationi infocate m'abbrugia", e non poteale soffrire, e così fuggendo le fiamme più di quelle dell'Inferno roventi, lasciò libera l'energumena afflita, e molt'altre n'operò dopo morte, che sortì nel Convento di Troina, come negli annali del Padre Boverio sta scritto:

"Quorum unus fuit fr. Joannes Herbitanus". *DON GIOVANNI LA VIA E BOLOGNA, Cavalier Nobilissimo e di molta dottrina, il quale dando un calcio al

Mondo s'arrolò nella Compagnia di Gesù, benchè in brevissimo tempo di vita fece una congeria di virtù Christiane ch'altri non havrebbero congragato in molti anni; fiorì in detta Compagnia di Gesù da vero germoglio di un Padre cotanto Santo e perfetto; se ne morì nella città di Polizzi l'anno 1610. Per le virtù le quali in questo soggetto spiccarono, fu eletto per lor Confessore dalla Signora Principessa di Castiglione e Duchessa di Terranova, e dopo molti governi nella Compagnia ministrati, si ritirò in una montagna di Santa Margherita chiamata, ove situò una Chiesa sotto il Governo della detta Compagnia, e per la molta penitenza che fece s'infermò, e passò al Chielo con fama di Santità di vita in detta città di Polizzi.

Fra' IUNIPERO da NICOSIA, di Casa Bellone, della stessa Reforma, persona di molto spirito benchè fosse laico,

il cui officio era di questuare per il mantenimento cotidiano delli Padri, somministrava egli più di quello che riceveva, mentr'arridiva le facoltà di coloro (che) davano il cibo al corpo de' suoi Religiosi, per i quali ne mendicava il pane, fu di grandissimo esempio. Morì in Petralia in età provetta, dove lasciò in Santità un soavissimo odore.

SAN LEONE PAPA di questo nome II°, di Nicosia fu rampollo e spuntò dal Cielo Herbitense quasi lampo di

splendori sublimi. Io so che questo mio detto farà inarcare le ciglia qualunque l'intende, onde è bisogno prima d'ogn'altro la mia

intenzione fondare per quanto umanamente potrò, se questo provare.

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E' vero e negar non posso, esser varie l'opinione degli scrittori da dove questo Santo fosse nativo; il "Breviario Romano" per togliere tante questioni diverse sbrigossi col dire:

"Leo Secundus Pontifex Maximus Siculus". Ma Agostino Aldoino nella sua "Cronologia di tutti i Pontefici nella vita", scrive di detto Gloriosissimo Santo: "Sancti Leonis, Pauli Menei Medici filius, quem aliqui Aydonensem, alii Herbitensem, vel Reginum faciunt". Che San Leone non sia stato nativo di Reggio non v'ha dubbio nessuno, benchè Angelo Marafiotta lo dica, contro

del quale il Padre Cajetano armato di zelo, così gli risponde negl'animadversionis sopra la vita dei Santi siciliani: "Agato Papa si illorum conterranus, item reginus";

e dopo siegua il detto Marafiotta affermando che, oltre San Leone II°, anche Santo Stefano IV° fosse di Reggio oriundo, coll'asserire così che i Santi Pontefici nati in Sicilia fossero della città di Reggio situata in Calabria.

"Mox -dice il Padre Caetano al detto Marafiotta, respondendo con efficaci ragioni- subiicit Marafiottus quemadmodum in Agatonem erratum a Siculis Scriptoribus facile est ut in Leone II° et Stephano IV° erraverint, certe quidem Leo et Stephanus IV Regini extitere: Hac est Archangeli Marafiotti raticinatio".

Argomento in vero che conchiude in Baroco, mentre procede dall'antecedente stravolto e senza verun fondamento, esco dal Padre Caetano la resposta assodata: "Sed contra est. Primum Scriptorum authoritas ex quibus certo constat Agathonem natione Siculum fuisse atque Panormi natum. Ex eo potius deducendum Marafiotto fuerat abundantium et Joannem Episcopum Paternensem, et Reginum si conterraneos appellaret Agatho Siculos fuisse Secundum quae vis est argumentationis Marafiottianae erratum a Scriptoribus Siculis. In Agathone igitur facile est eos in Leone, et Stephano errasse. Pontifex Agatho Reginus est, Leo, et Stephanus Regini sunt. Hoc est agere historicum, implere nugis Chartas ? Tertium sito tenui Rafiotte, ad tribunal historiae. Veritas his te convenio ad eo etc...".

Perchè conchiude d'Agatone, ed anche è bisogno alla conferma di questo addurre quello che disse Uvion Belga della Religion Benedittina nel suo libro intitolato "Signum vitae", dal Pirri riportato nelle "Notitie Ecclesiastiche" della Chiesa Palermitana:

"S. Agatho Panormis filius Panormitanus Siculus ex Monasterio S. Hermetis Panormi Congregationis Siculae S.R.E. praesbiter Cardinalis nonis Iulii anno Incarnationis Domini 679 Ind.7 Tiara Pontificia redimitus est etcc.. Idem etiam asserunt Platina, Pauvinus, Tritrenius, Genebrardus, Martyrologium tum Romanum, tum Monasticum S. Benedicti et novissime Pater Octavius Caetanus".

E l'istesso Pirri altrove chiaramente lo dice: "Siculus ergo fuit et Panormitanus est Agatho, ac in S. Hermetis Monasterio monasticam professus est etcc..". Vengasi dunque a quello che dice il Padre Caetano contro il Marafiotta, che per essere egli nativo della Calabria

pretende tirarare tutti gl'uomini illustri in Santità altrove nati, essere di Calabria oriundi: "Venio ad Archangelum Marafiotum, qui dum patrio effectu viros omnes illustres in Calabria protrahere

studet Agathonem, Leonem II°, Stephanum IV° homines Siculos Rheginos esse contendit, neque proficit hilum". E di Stefano Papa di questo nome quarto scrive Renda Ragusa nella sua Biblioteca, negl'elogi degl'Uomini Illustri,

essere di Siracusa nativo: "Stephanus Syracusanus, Olibij filius Praesbiter Cardinalis S. Ceciliae a Zacharia factus deinde Romanus

Pontifex sub nomine Stephani huius nuncupationis quarti". Si chè vengono esclusi detti Autori che portano S. Agatone e S. Stefano Sommi Pontefici essere di Reggio oriundi,

poichè l'uno in Palermo e l'altro in Siracusa furono nati. Hor vengasi a San Leone II°, che pur lo portan Reggino, quando s'accerta esser Siculo per opinione commune, ma di

qual Città, Terra o Casale egli fosse si va dagli scrittori controvertendo, mentre scrivono molti cose non sode, e se metterassi il lor detto alla truttina (?) si discorrerà altramente da quello che si legge, vedrassi nel progresso del discorso e delle pruove evidenti che s'addurrano, a qual partito si dee prendere il lettore erudito, col restare soddisfatto in qual Città, Terra, Casale o Castello sia nato.

E' d'uopo alla memoria raportar di chi legge la dottrina d'Aldoino sopra citata, ove dice: "S. Leonei, Pauli Menei Medici filius, quem aliqui Aydonensem alij Herbitensem, vel Reginum faciunt"; che San Leone non fosse Reggino già si è pruovato abbastanza, resta da chiarire che nemeno possa essere Aidonese

questo Pontefice Sommo. Il Padre Caetano già addotto evacua con ragioni evidenti detto Santo non poter i suoi natali fondarsi in Aidone

(benchè alcuni lo dicano) poichè Aidone a' tempi che nacque il Santo (ne meno quand'egli all'Empireo ne volò dalla Terra), non era questo Casale fabricato da mano ingegniera, si chè sarebbe ciò dire vanità d'intelletto malsano; in un'estasi di maraviglia sorpreso il Caetano ripiglia:

"Quis vero in animum induxerit suum Divum Leonem in Aydonio natum quod oppidum anno Normanorum profligatis Saracenis conditum a Lombardis, qui cum Rogerio Comite Siciliam trahiecerunt ?

Quod sub Christi anno 1090 forte contigit, sed Leo Papa II° CCCC ante annos vixerat". E come conferma Fazello, che dopo Castrogiovanni verso mezogiorno, cinque miglia distante, vi si trova il

Monastero di S. Benedetto, e da questo tre miglia lontano è stato da' Longobardi fabricato Aidone dopo che superarono i Saraceni nel Regno i quali vennero col Conte Ruggiero, erigendola in un monte superbo, a cui di Catania l'ubertosa pianura è sottoposta, ed ancor tengono il patrio linguaggio:

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"Et inde ad 3 p.m. Aydonem occurrit Lombardorum oppidum, Normandorum tempore superatis Saracenis a Lombardis, qui cum Rogerio Comite in Siciliam trahiecerunt, in edito monte, cui tota Catanensis planities sub est conditum, quibus ad huc patris sermonis est usus".

E così non puote giammai Aidone esser Patria felice del Glorioso Leone il quale fu quattrocent'anni inanzi che fosse stato fabricato detto Casale, e da' Lombardi per lor colonia abitato.

Il Padre Caetano nello stesso luogo sopracitato siegue il discorso: "Caeterum scire te velim mi lector Aydonem procul et quindicim passibus in colle edito diruptae urbis jacere

cadaver ingens ambitu ferme 4 p.m. manent ad huc vetus Teatrum gradusque semirupti. Templorum aliumque, et murorum ruinae spectantur, efforis verum circum sepulcris, ossa Gigante magnitudinis reperiuntur quae monumenta quidem certe sunt Urbis antiquissimae, splendidissimae q. 3; et maximae. Herbitam suspicatur Fazellus quam a Saracinis, post annum Christi 800 dixerim nè D. Leonem domum Herbitensem fuisse, sed Aydonensem fama recentibusque scriptoribus creditum, quod Aydonum ex subiacentibus Herbitae ruinis aedificatum ?

Nihil affirmo". Ed a quanto disse il Caetano senza affermarlo, volle il Pirri discorrere con modo assai lontano dal vero, come qui

appresso con autori di molta fede dirassi; parlando dunque il Pirri di Aidone già scrisse: "Conditum est ex ruinis celebris diruptae Urbis Herbitae hodie Cittadella dictae, quae ad 1500 p. distat, hanc

Urbem splendidissimam et maximam eversam Christi anno 800 tradit Paulus Diaconus hic ortum esse esse S. Leone PP. II° scripsimus Notitia Panorm. Et Cajetanus in idea fol. 61 translatis deinde anno 1090. Lapidibus in Aydonum construxere accolae templum hac inscriptione: D. Leoni PP. II civi et Patrono Populus Aydonensis Basilicam ham (o hani?) erexit prolapso deinde pariete refectoque; inscriptio habet restituit. Dominus Oppidi Laurantius Janius et Cardona 1180 lares accolas vero 6580 habet".

Riferisce lo stesso Pirri che S. Leone II° successe nel Pontificato ad Agatone sudetto ed afferma essere Aidonese o vero Erbitense, mentre altri non portano argomenti più verisimili d'essere nativo altrove benchè attribuiscono ad altre Città cotal gloria, si chè stima la cosa incerta, lasciando al lettore il definirlo:

"Leo II° in Agatonis decedentis locum subrogatus est, vir doctissimus Latinis graecisque literis apprime eruditus. Aydonensem sive Herbitensem praedicant, nec alij verissimi hora afferunt argumenta dum negant alijque. Urbibus tribuunt, rem incertam in medio Siculum fuisse certo constat".

E per togliere di mente ad alcuno (che) stimasse Erbita fosse Cittadella (come sopra si disse), così dal Pirri che dal Fazello lo tolse o dal Caetano, il quale con ragione già scrisse "nihil affirmo". Potea egli assodarsi con Diodoro Siculo prevedendo quasi del Fazello l'errore affermò non esser quelle Reliquie d'Erbita, e Cluverio che dopo entrambe ne scrisse delle parole dette da Diodoro assolutamente niega Cittadella esser fondata dalle rovine d'Erbita, già nel primo libro capo quarto pienamente provato, dove asserisce:

"Ex Diodori igitur verbis clare, ac dilucide perspicitur Herbitam non fuisse Cittadellam". Girolamo Renda Ragusa nella sua Biblioteca della Sicilia Antica porta l'elogio che fece in lode di San Leone nell'età

giovanile, otto Città dicono esser nel lor suolo questo tesoro celeste nascosto. Si pregiano i Messinesi, Catanesi, Miliensi, Buteresi, Auguresi, Erbitensi di questo fiore odoroso di Santità ammirabile haver dato i natali: ma detto Renda Ragusa la materia stringendo, finalmente dice i Parenti di questo Gran Santo, rovinata che fu la lor Patria, passarono in Aidone, o ver Nicosia:

Leonis Siculis Pontificis Maximi Certus Nativitatis locus ignarus Nec enim ob vius cuiq. Et hes aurus est Messanenses, Catanenses, Mylenses, Buterenses Sancti Marci oppidani, Herbitenses qui excisa Patria in Aydonem, Nicosienses immigrarunt Natale solum Leonis tuentur etc.. D'onde n'infierisco se Renda Ragusa dopo haver nominato le Città, Terre e Casali che per lor lo pretendono, si

restringe in Aidone e Nicosia, dove i parenti del Santo passarono, si deve conchiudere che sbucciò in Nicosia questo fiore celeste, quando di sopra si ha a bastanza pruovato Aidone a' tempo di questo Santo non esservi stato, ma fabricata ne venne quattrocent'anni dopo. Certa essere stato di Nicosia nativo e non d'altronde questo Pontefice Santo, ne puossi a questo argomento assolutamente rispondere.

Havendo scorso l'opera del Padre fra' Vincenzo Coronelli intitolata Biblioteca universale Sacro-Profana, antico-moderna, tomo I°, nella tavola sinotica ch'egli fa de' Sommi Pontefici, porta di Sicilia laureate di gloria nell'eterna Città dell'Empireo tre persone, le quali in terra furono col triregno nel capo Agatone, Leone II° e Stefano IV°, ed in quella poc'innanzi, dove li pone quando regnarono, di qual Patria o Religione o dignità pria ottenuta, ch'al fasto Pontificio coronati ne fossero. Pose dunque S. Agatone di Palermo, al numero 81 S. Leone II° Canonico Regolare di Cedella e S. Stefano IV° non dice di qual Città egli sia.

Hor al Nostro veniamo, l'haver questo dottissimo ed eruditissimo Padre pronunciato San Leone esser nato in Cedella, fondato su quanto disse Giacona Alfonso il quale senza fondamento pronuncia il già detto delli riferiti Pontefici essere nati nella Provincia hoggi chiamata Abruzzo nella Calabria, portando un'opinione moderna, da verun autore antico nè moderno seguìta; del chè, il Padre Caetano inarca le ciglia per lo stupore.

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Anche Girolamo Renda Ragusa, nell'opera sua intitolata "Siciliae Bibliotheca vetus", nell'elogio che egli fa del medesimo S. Agatone, dalla maraviglia sorpreso di come un Uomo veramente erudito habbia su le bianchissime carte con negri inchiostri macchiato dell'istoria il candore, portando un'opinione rifiutata da molti, per esser sopra fragili argomenti posata.

Nell'Animadversioni alle vite dei Santi Siciliani , il Caetano riferisce dicendo: "Alphonsus Ciaconus vir doctus, aeque ac pius scribit Agathonem, et Stephanus IV Romanos Pontifices, quos

natione Siculos fuisse, a scriptoribus antiquis recentioribusque traditum est; in Samnitum provincia natus Agathonem Aquilani, Leonem in Cedella, Stephanum Tossinae Castris, et territorio Vallis Sicilia, nec miramur hominem sane eruditum opinionem novam in vulgus invexisse, nullo veterum scriptorum testimonio, nullis vetustis membranis, nullo argumento firmatum, sed multa sunt quae Ciacronum dictum convellant. Primum usus, et ipsa significatio vocis vulgo usurpatae. Et enim is scriptoribus omnibus vocabuli usus, ut dum taxat, in Insula Sicilia natus, Siculus diceretus, quis vero scriptorum veterum, recentiorum re Siculos significat in parum nota valle Siciliana ortus apud Samnites ?".

Puossi più diffusamente nel detto luogo citato vedere, per puotersi scoprire chiaramente l'errore del Ciaccona, e conseguentemente del detto Padre Coronelli, il quale fondossi sopra una dottrina men salda, e d'altri buoni scrittori nuova stimata e con ragione spiantata.

Il chè mostra l'incertezza del luogo dove nacque questo glorioso Pontefice di cui si pruova per cognietture evidenti, ed alcuni Scrittori che dicono essere più securo haver nato in Herbita, hoggi Nicosia da quasi un Mondo chiamata.

Non devo in dietro lasciare quel tanto che il Pirri ne scrisse, parlando del Ciaccone: "Sed satis amirari nequeo rurcum raetera e probatae fidei scriptoribus hansisset praeter vel etiam contra

eorundem auctoritatem Leonem et Agathonem PP. nostrae Siciliae ornamenta nobis eripere tentaverit ac Castro nescio quo vallis Sicilianae in Aprutij Provincia eos dederit oportuisset sane, ut auctorum aut tabularum testimonia proferret ni temere nobis iniurius videri voluisset".

Ma quello che maggiormente importa si è gl'Autori i quali già hanno scritto esser S. Leone Erbitense, vollero dir di Nicosia oriundo, mentre chiaramente ho fatto vedere da scrittori famosi che Erbita non sia stata già mai Cittadella, parlano della nostra sola, poichè ella di questo nome fregiossi, come nel I° Libro al Capo V° pruovato si scorge, e quegl'Autori che d'Erbita parlano intendono dir Nicosia, non essendovene altra in Sicilia, e chi diversamente discorre mostra che sogna.

Il Padre (a) Passaflumine arridendo al sentimento di Paulo Diacono del quale sopra si disse, domentre parla di S. Leone Pontefice, scrisse che fu Erbitense, significar egli volle di Nicosia, e se altri come il Renda Ragusa il quale nel sopra citato "Elogio" nomina Erbita e Nicosia, si giudica valersi di questi sinonimi stante il suddetto (a) Passaflumine di S. Leone scrivendo disse:

"Sed mihi arridet magis quod refert Paulus Diaconus referens Pontificem hunc Nicosiensem fuisse; Nicosia enim a populis Herbitensibus constructa caput esse videtur".

Prendendo per Erbita Nicosia, la qule primieramente chiamossi di tal nome fastoso, e così pare che non vi sia dubbio San Leone esser di Nicosia nativo, tanto maggiormente che gl'Antichi di questa sempre hanno affermato detto Santo esser di Nicosia, assegnando le case dov'abitava le quali erano verso la Chiesa di Santa Caterina V.M. situate, e ne fiorivano della detta famiglia rampolli gl'anni trascorsi in questa Città, la quale s'estinse nel Sacerdote Don Vincenzo Meneo, in cui risplende il Cognome del Padre glorioso Leone, congetture valevoli a provarlo in Nicosia esser nato; e se il Pirri scrisse portando l'inscrizione anche dal Caetano riferita, ove dice:

"D. Leonem vivi Patrono populus Aydonensis Basilicam hanc restituit et caet.cc." mi pare volersi arrogare una gloria non sua, come si vidde Aidone a quei tempi che San Leone fioriva non esser di

Sicilia, mentre fu dopo quattrocent'anni dal suolo eretta al suo parto. A color (che) dicono che detto Santo sia Messinese perchè in detta Città si truova la famiglia Papaleone, si risponde

non esser buona conseguenza ch'una Casata di tal cognome ella gode riputarsi di San Leone Papa indubitata prosapia, quando il Cognome di San Leone è Mineo.

L'esser questo Santo si' antico ha dato materia agli Scrittori diversa dal vero, si' chè resta più verosimile il detto santo esser di Nicosia nativo, la quale prima chiamossi Erbita, giusta le pruove nel primo libro portate.

Questo Santo dunque nato in Nicosia fu da Genitori allevato nel santo timore di Dio, che riuscì di costumi ammirabili, d'ingegno acutissimo, al riferir del Pirri fi ecomo dottissimo, e nelle lettere Greche molto erudito, ed anche nel'Idioma Latino, il che pruova essere stato in Nicosia partorito, domentre in quei tempi fiorivano i Greci.

Bene instruito nella musica, ne riuscì peritissimo, però ridusse a miglior concetto gl'Ecclesiastici inni. Questo Santo Pontefice instituì della pace nel sacrificio incruento della Sacratissima Messa.

Lo stesso Sinodo col confermarla approbò anzi dal Greco Idioma la portò in Latino, come riferisce Renda Ragusa nella precitata sua opera con dire:

"Acta sexta Synodi Constantino politanae comprobavit, atque in Latinum sermonem convertit". In Lui tre ornamenti lampeggiarono (disse Anastasio Bibliotecario), cioè una singolare eloquenza, un'esatta

osservanza circa i misteri divini, e la cura de' poveri, (che) risplendea sopra tutto in questo Santo Pontefice con una pietà ammirabile, ed impareggiabile clemenza.

Del Presule di Ravenna fiaccò e franse l'audacia, vietò ricevere cosa da' Ministri della sua Corte per l'uso del Palio ed altre ordinazioni e decreti.

Tesse quasi un elogio di gloria a San Leone il Pirri che così dice:

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"Pria in eo ornamenta Anastasius Bibliothecarius praedicat singularem eloquentiam exacum in divinis misteris judicium, denique pauperum curam. Musicae peritissimus fuit. Religio mira pietas et clementia illi fuit. Sexam Synodus Constantinopolitanam Apostolica auctoritate approbavit hic Pontifex superbiam Praesulum Ravenatum, quod Agatho decessor in eo haverat: decretumque, ut Romam electi ad eam Ecclesiam Antistites venirent ad consecrationem. Leonis decretum est ne ad Archiepiscopatum evectus quid piam pro usu Palij obtinendo penderent".

Riferisce anche Renda Ragusa che San Leone scrisse molte Epistole, ed altre opere in prosa, ed in vero cantò in Idioma Greco, quanto Latino:

"Scripsit epistolas multas pleraque alia prosa et metro Grece tum Latine". Il "Breviario Gallicano" lo chiama nelle lezioni del medesimo Santo: "Vir eloquentissimus", che compose Omelie e Sermoni "...Greca, Latinaque lingua fecundus, et homelias

composuit et sermones: lingua quoque scolasticus et eloquendi majori elocutione politus". Eresse una Chiesa a dirimpetto di quella di San Bibiana in Roma, la quale arricchì con li corpi delli Santi Martiri

Simplicio, Faustino e Beatrice, e di molti altri Santi, la qual dedicò sotto nome di San Paulo; ed un'altra per suo comando eretta in onor di San Sebastiano, ed ancor di San Giorgio Martire, come riferisce il Caetano:

"Hic Ecclesiam posuit in Urbe juxta S. Bibianam ubi et SS. Simplicis, Faustini, Beatricis atque aliorum Martyrum corpora condidit, quam Pauli Apostoli nomine dedicavit alia quoque eius jussu in honorem S. Sebastiani, nec non Georgij Martyris Ecclesia constructa est ad Vellem aureum".

Il chè viene anche confermato dal Pirri il quale adduce quanto disse Ciaccona, che questo Pontefice visse in tal dignità non più di ondeci mesi in circa, e dopo morto a' Santi ascritto:

"Construxit Romae Basilicam juxta S. Bibianam ac Divo Paulo Apostolo dedicavit. Undecim circiter menses in Pontificatu vixit; nam ad id fastigium honoris erectus die 15 Augusti 4 Kal. Julij ann. 684 decessit; in Sanctorum numerum is relatus est. Haec ferme, ex Ciaconio".

SAN LUCA il CASALE, di questa Città rampollo felice di Giovanni e Tedibia Romani di Cognome Casale, i quali

vennero ad abitare in Nicosia nel Borgo di San Michele chiamato; costoro furono nobili in Roma e viè più in Nicosia per haver procreato un germoglio si' Santo, il quale negli albori della sua innocenza puerile mostrò i lampi precorridrici de' fulmini, che dovea con la Santità portare a Satanno.

Fu sotto la disciplina di un Venerabile Padre Cassinese, ch'in detto borgo abitava dove era una Grangia dell'Ordine la cui Abbazia risiedeva nella Città di San Filippo d'Argirò, conobbe questi di Luca figliuolo l'indole ad una santità di vita inchinata, nel decimo anno di sua età Luca venne dal detto Padre al suo Monastero portato, là molto aggradendoli la disciplina monastica, volle con vive preghiere l'annoverassero benchè indegno fra loro, ed indossatone l'abito si portò con si' rara modestia e fervore in ogni esercitio religioso, che si rese alla Comunità in gran pregio e maggiormente a Dio, per le sue eroiche virtù.

Onde alla dignità sacerdotale promosso ne venne, indi diede saggio della sua Carità a quei Padri, e risplendea a guisa di torcia accesa tra tanti lumi della Chiesa Cattolica, le tenebre della tristezza disgombrando agl'afflitti col suo Santo conforto, a' mal cocenti sollievo, non mai a' prossimi di giovare lasciando; cuore oppresso dalle molestie del mondo non puote partirsi da lui se non alegerito da tali pesi insoffribili, a' necessitosi provedendo del tutto, ed era da tutti per loro Padre stimato.

Dopo si trasferì in Calabria per vivere più tranquillo nel servitio di dio, fu collocato nel Monastero di Monte Mula chiamato, e fu da quei Padri eletto Abbate dopo la morte successa di Cristoforo sotto la cui disciplina havea santamente vissuto, come riferisce il Padre Gabriello Buccellino Monaco dell'istesso Ordine, nel suo "Monologio", parlando dell'istesso San Luca:

"In Calabria postea ad Monasterium Montis Mulae destinatus religiosam admodum vitam sub Abbate Cristopharo vixit, qui mortuo substitui in honorem meruit".

Nella qual dignità assunto così egregiamente diportossi, che non puote la sua santità occultare, onde il suo gran zelo non si rendesse palese, accrescendo il Monasterio col numero di cento Religiosi i quali al suo mirabile esempio mandavano odore di santità così fina, ch'operavano maravigliosi portenti.

Luca un Paralitico di Sassonia sanò, il quale portossi al detto Monasterio per ricuperare la salute, l'unse con l'olio in nome di Cristo e così n'ebbe soddisfatto l'intento.

Ad un altro energumeno prodigiosamente gli cacciò i Demonij. Un certo Cassinense uscito fuor dalla via truovossi sopra certi monti e selve folte, in cui errando s'andava; Luca

benchè assente, lo ridusse alla via, da dove si era così lontanato. In una lite, che dal Monasterio i convicini li mossero, un più degl'altri ribaldo sprezzandolo con parole esecrande,

diedegli nel volto venerando uno schiaffo, di subbito l'ardire di costui dal Ciel vendicato, da fierissimo spirto assalito, al quale stava di dargli la morte se Luca l'offeso non havesse mandato in oblio l'affronto, e prostrato a terra con preci infuocate e dagli occhi un profluvio di lacrime, non havesse il Dio delle vendette placato, e dopo dell'invasato cacciato il Demonio lasciollo in pace.

Tutto ciò che s'è detto, in detto "Monologio" stà registrato: "Paraliticum e Saxonia eo advenientem deo in Christi nomine in untum liberavit. Cassinensem quemdam a

via intra montes et sylvas et erranrem absens ipse ad viam tandem revocavit. Cuius tanti viri auctoritatem cum

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vicinorum non nemo contemnere; eius litem movens inter contendendo etiam alapam infigeret, illicos arreptus a Demone etiam morte hisset (o huisset), nisi immemor in juriae vir Dei fusis precibus Demonem profligasset".

Ritornato in Sicilia venne a riposarsi nella sua primiera abitatione in San Filippo d'Argirò, e quivi per la morte dell'Abbate, fu di comune consenso Luca eletto, la qual dignità recusando, anzi al maggior segno dolendosi non l'ac-cettò, ma costantemente rifiutare la volle.

In tal proponimento resistendo, li Religiosi elettori al Sommo Pontefice ne dieron raguaglio per fargliel'accettare in virtù di Sant'Obedienza, alla fine stante che non dovevasi sovr'altra spalla tal peso onorare se non a quelle di Luca della Santità Simolacro, venne egli dal Sommo Pontefice sotto precetto d'obedienza a ricever l'astretto.

Incontanente pronto alli cenni si rese. Mentre stava all'impiego santamente occupato per giusta dispositione divina, discesegli negli occhi flussione

maligna che li fe' perdere la vista, delli Religiosi il dolore non puossi da penna frale descrivere; ma Luca vecchio nello spirito e nelle virtù assodato, tollerava con pazienza l'evento e quanto dalla vista delle creature lontano, altrettanto a quella di Dio avvicinato miravasi.

E ciò non ostante non lasciava di farsi portare in questa Città, dalla quale una volta il detto Santo ritornando ad Argirò, li Religiosi che l'accompagnavano per burla gli dissero (quando giunsero ad un certo luogo la Perciata chiamato, non molto lungi da questa, dove molte pietre vedeansi disperse) che moltitudine di popolo di Nicosia lo seguiva, era bene che li facesse un sermone: egli pronto all'invito diede principio al suo dire ed infervoratosi per imprimer ne' cuori di coloro che non eran presenti, alla fine (così come solevano conchiudere gli Antichi Padri i loro sermoni) alla frase "Per omnia saecula saeculorum" (a cui li popoli rispondeano "Amen"), risposero "Amen" i monti e i sassi con chiarissima voce ed anche terribile, in tal maniera che quelli che tal burla ordinarono, prostrati a terra supplici implorarono con sua intercessione il perdono, a' quali Luca prontamente rispose:

"Ille ignoscens condonet vobis". Dice il Monologio Benedettino: "Qui cum Nicosiam aliquando ductus pro aliorum consolatione, ut erat verbo non minus potens quam opere

in reditu, res mira contigu. Cum enim qui ipsum duxerant Iocose illudens dicerent plurimos pro verbo salutis confluxissent et etcc......", e siegue aggiungendo il detto Monologio: "Denique more orationum conclusit Per omnia saecula saeculorum, cui vicini quam primum montes voce ad eo clava, quin et terrifica, Amen responderunt".

Lo condussero indi al Monastero in San Filippo d'Argirò, e questo successo lo portò a grandissima stima, in tal maniera e forma che coloro che a lui per parlarvi accostavansi, prima d'ogn'altro diceanli:

"Pater Sanctae ora pronobis". E molti altri portentosi miracoli evidentissimi havea operato i quali per esser innumerabili non li notarono, e fra gli

altri quello che il Padre Caetano riferisce, richiamando alla vita Nicolò Monaco morto, il quale vidde tre terribilissimi uomini a guisa di negri Etiopi che lo precipitavano d'asprissime rupi, il quale Luca in suo aiuto chiamando, in un punto l'apparve e liberollo dal precipitio si' orrendo.

Multiplicò l'annona di due sole settimane a' suoi Religiosi per un intero giro naturale di Febo con farne larghe elemosine a' poverelli di Christo.

Giunto quasi alla fine del peregrinaggio qui in terra d'anni cento e di Religione ottanta, per arrivare alla patria beata del Cielo, chiamossi due Venerandi Padri del suo Monastero, l'uno Teodoro e l'altro Eutimio chiamati, a' quali predisse il giorno felice in cui dovea far passaggio da questa vita mortale a quella dove eternamente si vive, ed elesse nell'Abbazia Teodoro, come dicesi nella sua vita M.S. la quale conservasi nella Chiesa Parocchiale di San Michele:

"Aetatis vero 100 ageret, accersitis Theodoro et Euthimio Monachis, probitate, ac pietate praedictis, suae dissolutionis diem praedixit, atque ipsum Theodorum Abbatem successorem elegit".

E nel detto Monologio Benedittino si descrive come la morte seguì del detto San Luca, con dire: ".....eaque veniente duci in Ecclesiam sacris interesse et celesti viatico refici voluit, reversusque in cellulam

dato omnibus pacis osculo inter lucubres fratrum complarationis ad gaudia aeterna emigravit". Ed il Padre Caetano asserisce che se ne volò al Cielo quest'anima pura l'anno del Signore 1164. In quel luogo della Perciata dove i sassi risposero Amen, li cittadini di questa una Chiesa eressero dedicata al suo

nome, e nella Parocchia di San Michele eressero una bellissima Statua, alla Capella di essa vi scrissero i Nicosiensi quest'Epigramma:

Civibus exultant Urbes magis Erbita Sancto Luca Casali Patria clara suo. Fratribus elusus Populum fore praedicatot orbus Facto fine, Amen res nova saxa tonant. Per fine concludere nel detto "Monologio" il Buccellino, afferma che fu santificato dal Sommo Pontefice Pascale

II°, e siegue il detto "Monologio" con dire: "Claruit tempore Rogerij Comitis". Il cui corpo intiero riposa in San Filippo d'Argirò e li Cittadini di essa hanno fatto partecipe questa con haverli dato

una Costa del Santo, che si conserva in detta Parocchia. Il Padre fra' LUDOVICO da NICOSIA di Casa Agnello delli Minori Reformati di questo Convento di S. Maria di

Gesù, nell'anima l'innocenza del suo proprio cognome portava;uomo dottissimo e predicatore famoso di vita esemplare, a cui molte gratie furono dispensate dal Cielo; allo spesso il Demonio per frastornar le di lui fruttuosissime Prediche e

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far divertir l'udienza, non lasciava inventione alcuna: una volta il detto Padre sermonando nella pubblica piazza mosse un somiero (somaro) a ragliare e così alienò l'udienza, ma non gli riuscì poich'all'impero della voce tremenda del predicatore (cosa invero ammiranda) fece che la bestia con la bocca aperta restasse senza potersi muovere dal luogo dove era finchè si terminò il sermone e detto Padre data a' Popoli la beneditione alla di lui costumanza, allor chiuse la bocca e partissi. L'istesso fece al civitar delle rondini in Chiesa mentre stava dispensando la parola di Dio in questa Matrice di San Nicolò, le quali istigate dal commun Aversario, le fece ammutire; come per un'altra fiata l'inemico del bene agitò le cinque lampade, che tengonsi innanzi la Capella del Sagramentato Signore, domentre stava predicando: astutie artificiose di colui che cerca la perdizione dell'anime ed anche questa gli riuscì senza frutto, poichè allo bisbiglio de' Popoli il Religioso s'avvide che tutto ciò proveniva dal Padre delle dissentioni Satanno, dal pulpito comandò si fermassero le lampade (con stupore in vero terribile), tutte cinque restate con i loro lampieri come si trovavano storte, ed alla fine predicata la benedizione si posero in sesto a' perpendicolo, come dovea essere il suo proprio sito.

Predicò in molti altri pegami conspicui e, carico d'anni, se ne morì nella Terra di Calatavuturo. Non han mancato i prodigi della gratia divina in questa Città nel sesso femminile far le lor pruove. Fa pompa della

sua virtù e vita santa SUOR MARIA GIOVANNA CASTROGIOVANNI figlia di Simone e Marca, monaca terziaria di Casa dell'Ordine de' Capuccini di San Francesco d'Assisi, persona d'altissima contemplatione, d'oratione continua, la sua vita sempre contrastata dagli spirti superbi d'Averno, poich'era d'umiltà sommamente fregiata, quell'inobedienti e rubelli al lor Dio, non erano valevoli tolerar. L'esatta obedienza di questa, il lor livore contro i fedeli di Christo, non potea soffrire la carità, che in lei come in proprio trono imperava, pieni di rabbia hor la pestavano in terra in forma di sboccati destrieri nelle pubbliche strade e ciò lo facevano per impedirla d'andare alla Chiesa, dove era solita consumar le mattinate in orationi di contemplatione suprema, non per questo ella tralasciava l'impresa; vestiva i poveri in tutto quel c'haveano di bisogno, deplorava l'offese fatte dagli mondani contro il suo amabile sposo, osservava puntualmente il silenzio, rispondendo solo all'inchieste, con tale stringimento di parole che non se ne potea contar una più di quelle necessarie che stimava, predicea molti avenimenti a' mortali, ma sol questo al Confessor confidava, ne con persone parlare presumea senza di quello espressa licenza, dal cui impero pendea, in continue preghiere per l'accrescimento della Santa fede strugeasi, per la concordia e pace fra Principi Christiani all'uscio della pietà divina picchiava, i Venerdì della Quaresima per confermarsi col suo Sposo Celeste, che per lei havea tollerato crudelissime piaghe, ella ancora si flaggellava aspramente portando più che duri cilicij e catene di ferro, e senza cibo se la passava quel giorno; la più lauta mensa che gli altri giorni preparava al suo corpo, il più fastoso era uovo di gallina, onde a pena poteasi reggere in piedi, vergine pura, sposa felice dell'Onnipotente Signore, al cui cuore le fece una piaga, ch'allo spesso sgorgava sangue dal petto, abbondantissima di rivelationi mistiche ed illustrationi divine ed apparitioni di Christo, e per lo più paziente. Fu una volta, o più, in spirito al Paradiso Terreste portata, e ne ritornava con odore si' grato, non mai da uomo mortale praticato, e li durava un mese in circa e questo olezzo lo tramandava dal suo corpo più volte; e s'io minutamente volessi descrivere quanto in lei operò il Supremo Fattore non sarebbe un volume bastante, e consumata in tali esercitij, stimata non solo qui ma anche per tutto il Regno in somma veneratione e fama di Santa vita, si riposò in pace alli 21 di Luglio 1693 e fu seppellita in S. Maria di Gesù nel di lei proprio sepolcro.

Non minor della descritta un'altra Sorella consanguinea chiamata MARIA, Religiosa dell'Ordine stesso, pura

Vergine anch'essa, la cui vita fu un perpetuo silenzio ed un continuo martirio, per la continua infermità che le diede il suo sposo divino, facendola partecipe del suo calice amaro, il suo cibo non consisteva in altro che in un poco di latte per l'inapetenza continua; stimo che il Signore per volerla dimostrare al mondo tutta simplicità e purezza, la trattava da vera fanciulla, benchè prudente e grande nelle virtù eroiche e se la condusse all'Empireo nell'anno 1697 dalla natività del Signore, e sepolta nella medesima Chiesa e sepolcro.

SORO MARIA MAGRIGNANO, Religiosa de' Padri Capuccini e delle Terziarie Ministra, questa Nobil Signora la

quale dominava le proprie passioni a tal segno che diede un calcio alla terra per viver tutta al Cielo; svenava le lusinghe del Mondo con le ferite sofferte dal Commun Redentore, cambiò le sale de' balli con gli stretti gabinetti del suo Sposo Celeste, le conversazioni (le quali sono del corpo sollievo) con l'orationi (che sono le conversazioni con Dio), cuopriva sotto ruvido manto di lana il suo Spirito tutto tenerezza d'Amore, era coverta di cenere per conservar il fuoco del Paracleto Supremo, l'inedia del suo corpo saziava gl'affamati mortali, le sue orationi ascendevano onuste di grazie. Fiorivano in quest'anima come in un Paradiso Terrestre le virtù più eroiche che poteasi ben dire dilogiate dal Cielo, per albergare in questa viva casa di Dio; visse in tanta asprezza quanto l'avressi giurata più tosto Eremita, che di Nicosia Cittadina. Finì i giorni del Mondo per dar principio all'altro giorno duraturo in eterno, e lasciò in terra lo strascino odoroso della sua vita felice l'anno 1662, e (venne) seppellita nella sua propria Capella fabbricata a sue spese nella Chiesa de' Padri Capuccini di questa.

Il PADRE fra' NICOLO' da NICOSIA, di Casa San Marco della Riforma Religioso di gran bontà di vita e santità

di costumi, dotato dal Cielo di molte virtù, ed ugual dottrina e di profonda scienza, di cui il Padre (a) Passaflumine nel suo libro intitolato de Origine Ecclesiae Cephaluditanae, dice:

"Floruit huius Conventus Alumnus Religiosissimus fr. Nicolaus Herbitensis, alias de Nicosia qui Scoti difficultates in Salmoticensi Academia publice pro rostris maxima dexteritate enodavit, apernilque; unde maxima sibi laus accesit".

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Il PADRE fr. NICOLO' nipote del già descritto, del medesimo Ordine di cui scrisse il detto Padre (a)

Passaflumine, conforme n'ereditò il nome, anche il zelo della gloria di Dio, egli però fu più volte Ministro Provinciale di questa Provincia:

"Vivit hodie Guardianus in hoc Conventu Nepo ejusdem fr. Nicolai, idem sortitus nomen, zelo et prudentia per ornatus hinc plurias superior Provincialis extitit".

Il fratello PAULO da NICOSIA, laico dell'Ordine Capuccino, Religioso di gran fama e santità di vita, il quale

trovandosi nella terra di Gangi a tempo ch'Atropo col mal contagioso troncava con le sue forbici crude la vita a molti uomini, mostrò fiammegianti splendori con la sua virtù verso gli apestati in servirli di giorno e notte così prontamente, che rese inimitabile la sua carità fervorosa, per amor di quel Dio il quale venne celebrato da Giovanni il diletto con quest'elogio sublime:

"Deus charitas est". Con occhio intrepido miravasi i moribondi e li morti, nulla paventando il ceffo crudele della Parca Omicida, e

quant'altri per l'orror della morte ritornavano indietro, egli più animoso l'andava all'incontro; alla fine armata di sdegno la Parca crudele e così fiera, ch'all'impensata gli diede un colpo mortale e ne restò del medesimo contagio ferito; tanto di costui scrisse il Boverio.

Una Religiosa Vergine della Penitenza dell'Ordine di San Domenico chiamata SUOR ROSARIA SPANO', benchè

di bassissima nascita, nulla di meno fu altissima nelle virtù Christiane, e da Dio esaltata alla contemplazione divina. La sua vita fu un continuo estasi amoroso, che sempre trattava con Dio, a cui comunicava cose stupende; l'illustratione ed apparitione mentali di Gesù e Maria havea quasi allo spesso, le di lei mano erano il Mitradate famoso, poichè dove passavano sopra qualche infermo, col sol pronunciare l'Ave Maria operava portenti; poverissima al Mondo la quale vivea d'elemosina, ma divitiosissima al Cielo, mentre dava spirituali elemosine a' più ricchi di questa Città.

Alla fine con una infermità più che breve di dolore di stomaco avalorato da febbre, se ne volò al Ciel per celebrar le nozze col suo Sposo Divino, alle quali fu più volte invitata, ricusò per partire, e poscia per forza tirata ne venne alli 7 di Luglio l'anno 1701.

Fiorì tempi orsono il SACERDOTE D. TOMASO CAVALERI circa l'anno 1590, di vita tempestata di fiori

odorosi e virtù Christiana, che lo rendeano ammirabile, già che la sua generazione fu predicata dalla Natura un portento, come riferirono gl'Antichi degni di fede; fu questo prodigio della gratia divina, domentre fu dal Padre generato in tempo che stava quasi spirante. Iddio quando vuol far nascere al Mondo uomini o donne che fan pompa di Santità singolare, permette che sian procreati oltre il modo commune, come da sterilità invecchiata, così in quest'uomo servissi, il quale dovea riuscire delle virtù un simulacro perfetto, l'umiltà in lui piantò l'Erculee Colonne, la carità operava stupori, elemosiniero si' largo poichè tutto quello che gl'entrava lo distribuiva a' poverelli di Christo; più volte non havendo che dare, più liberale Martino, dava la sua propria cappa, e quel ch'era d'ammiratione, non tenendone altra e (non potendone) farsela, era forzato dimorarsene in casa per non poter uscire già che il suo tutto era patrimonio delli Cittadini e forastieri mendici, alla fine i penitenti quando non lo vedean comparire stimavan l'occorso mentre ben sapean il suo stile.

Questi all'ora di Vespro la Domenica recitava il Rosario Santissimo in questa Matrice di San Nicolò publicamente con tanta devotione di popolo a tal funzione concorso, fuggiva le conversationi benchè Sante elle fossero, disprezzatore del Mondo e degli onori di questo, fu musico bene istruito e sonatore d'organo sopra il Partimento.

Morì alla fine con fama di Santo, e sopratutto della Gran Signora Maria parziale devoto, e se ne volò alla Patria del Cielo l'anno 1648 in circa.

Fra' VINCENZO da NICOSIA di Casa Ferro, dell'Ordine Reformati di Santa Maria di Gesù, uomo di gran fama

di santità di vita per le virtù che spiccarono in lui nella penitenza inimitabile, nella pazienza invitto, assiduo nell'oratione mentale di singolar devotione, si predisse il giorno della sua morte felice, per li miracoli illustre, si riposò nel Signore l'anno 1601; il suo corpo giace in Palermo dove finì i suoi giorni.

Così scrisse il Passaflumine, il quale riferisce Antonio Randazzo: "Inter alios servos Dei floruit quidum fr. Vincentius Ferro de quo Antonio Randatio in arbore P.G. fr.

Vincentius da Nicosia in Paenitentia et patientia praecipue enituit, assiduus in oratione, devotionem singularem habuit, diem mortis suae praedixit, et miraculis illustratus, ob dormivit in Domino anno 1601 jacet Panormi".

Fra' VITALE DA NICOSIA, laico dell'Ordine Capuccino, fra gl'illustri soggetti che fiorirono in santità di vita nel

delitioso giardino della religiosa perfetione, colla flagranza delle celesti virtù si rese ammirabile nella vita e (con) meravigliosi portenti, i quali sono diffusamente registrati nelli M.S. del suo Ordine così in Palermo come in Messina, e dal Padre Boverio annoverato tra i più illustri soggetti della sua Religione, la quale quanto più rigorosa si mostra altre tanto più santa palesasi:

"Inter illustriores Seraphici Francisci asseclas (mundi fastum et delicias spernent) insignem sibi locum vendicat est fr. Vitalis Herbitensis, cuius virtutis flagrantia Seraphicae militiae hortulus summo pere decoratus fuit".

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Egli pure nel secolo da umor bilioso dominato ne venne, furibondo, altiero, vendicativo, dedito a molti vitij esecrandi. Tocco da visione celeste, ed alle voci di un Predicatore Evangelico compunto elesse dell'Ordine Serafico per asilo di penitenza la Religion Cappuccina, in cui diede principio ad una vita esemplare , e con somma austerità di vestire corresse la morbidezza secolaresca, ed il brio fastoso della sua mente superba, di cui disse il Padre (a) Passaflumine:

"Ac etiam floruit servus Dei fr. Vitalis a Nicosia Laicus, de quo praeclara leguntur apud Zacchariam Boverium".

Il quale fratello regnò l'anno del signore 1583, e con soavissimo odore di santità riempì l'orto fiorito di questa Religione sacrata, nella quale allo spesso sofferendo dell'inimico commune gl'obbrobrij, insidie e fierissimi colpi, che con animo invitto superava, riportandone gloriosi trionfi, lo resero adorno del dono della Profezia, prevedendo il mal contagioso a questa Città, ed anche alla Sicilia tutta anni tre innanzi l'havesse infestato, a' peccatori gli occulti misfatti ripprese; ad un certo Sacerdote predisse che dovea essere ucciso, e l'ingresso alla sua Religione al Padre Girolamo Polizzi, che poscia fu eletto Generale dell'Ordine, diede la vista a' ciechi col panno nella sua saliva intinto, a molti infermi gravissimi restituì la primiera salute, molti energumeni liberò dall'oppressioni Satanniche, rese l'audacia del re Federico intimorita, comprobandolo con uno stupendo miraculo, diede a molti frati dalla fame oppressi soccorso con l'oratione, mentre miravali quasi estinti; allo spesso l'amante Signore per sollevarlo gl'appariva sotto membra infantili e così l'accertava della di lui innocenza, hebbe per gratia speciale l'essergli famigliare l'Eroina de' Cieli.

Cinto d'aspri Cilicij mortificava nelle cose lecite i suoi naturali appetiti. Pervenne a si' profonda umiltà che per il più maligno e più tristo del mondo publicamente accusavasi, tutte le viltà

per sua gloria stimava. L'assaltava nell'Oratione il Demonio, lo flagellava ed in varie guise spaventandolo, lo tentò indarno precipitarlo in

un pozzo, poichè ne venne liberato dall'Eroina degl'Angeli, ristorandolo con colloquij divini. Un'altra fiata infestollo Lucifero, e nel colmo d'afflitioni trovandosi fu illustrato col dono della Profezia, manifestò li

peccati occulti ad un febbricitante c'havea commesso, e poscia sano e libero dalla febbre lo rese, ad altri predisse la vita e l'occaso de' giorni, con le sue orationi infuocate liberò molti dalle mani della Parca crudele, ed altre temporali miserie, godete più volte Gesù Bambino nell'Eucharestia sacrosanta.

Di questo Religioso racconta il Padre Illuminato da Oddi Cappuccino, nel suo libro intitolato La vera parola del cuore, che in Nicosia l'anno del Signore 1583 ad una Signora Maddalena chiamata, essendo stato ucciso un figlio unico dal suo rivale, era inconsolabile, così per la perdita corporale del figlio, come dell'anima (ella stimava e maggiormente doleasi), sicchè dava nelle smanìe, disperata cercava una fune per appicarsi ad una trave della propria casa; stando al suo solito fra' Vitale in oratione la notte, la matina per istinto divino, già c'havea in Spirito il Signore comunicatogli il tutto, si partì dal Convento, e conferitosi alla Casa di detta Signora, ch'era delli Religiosi assai divota, sovenedoli con larghe elemosine, e trovandola turbate le disse:

"Signora io so molto bene gl'affanni che vi tormentano il cuore, conosco pure le risolutioni spropositate che v'ha suggerito il tentator commune, egli essendo Padre delle menzogne, rende il suo favellare bugiardo, ha nel vostro cuore sovraseminato questa zizania, che il suo figlio sia ancora morto nell'anima per far perdere la sua. Il di lei amato pegno benchè morto in quanto al corpo, vive con Dio alla gloria".

A fra' Vitale la Signora rispose: "Queste son consolationi solite darsi ai tribulati". Soggiuse quegli: "No ! Vostro figlio è salvo, e non occorre più dubitarvi". Disse Maddalena: "Lo vorrei vedere se così passa la cosa". Ripigliò fra' Vitale: "Signora è d'uopo che laviate questa coscienza stravolta a' piedi di un confessore, e perdoniate il delinquente

piangendo l'errore commesso di darvi da voi stessa la morte, compiacerassi allora il Signore di consolar l'anima vostra con farvelo godere già salvo, sicchè dimani verrete alla nostra Chiesa e ne ritornerete alla vostra Casa contenta".

Portossi la matina alla Chiesa, e fra' Vitale quella notte la consumò in oratione continua ed impetrò la gratia di Dio; Maddalena si pentì di dovero, perdonò l'uccisore, e il Religioso Vitale disse:

"Signora avvicinatevi all'Altare se volete vedere vostro figlio !" il chè fatto (oh, portenti della gratia Divina) vide alla destra parte di quello il figlio con le medesime ferite colle

quali era stato piagato, con la faccia lieta, che spirava giocondità indicibile di Paradiso, lampegiando splendori, con un sorriso di gioia nella bocca, e (poi) disparve. Per la qual vista sentissi Maddalena disfarsi in dolcezza, che rivoltasi a fra' Vitale sciolse la lingua in questi accenti, già destat da quell'estasi di stupore: " Che mi resta più da bramare, o gran servo di Dio ? Ecco morirò contenta havendo con li miei proprij occhi veduto il mio figlio vivo alla gloria ", e piangendo proruppe: "Il Signore sia quello che vi dia a larga mano le benedizioni Celesti, in mercede di un tanto segnalato favore, già ch'io non posso far'altro che rendervi gratie infinite".

Vidde, mentre in Reffettorio alla presenza del suo Generale si stava delle sue mancanze accusando, che Christo Giudice Eterno sentenziava al Padre Francesco di questa Guardiano del medesimo Convento negl'ultimi della sua età senile per una tentazione di carne, che tanto più secco il legno quanto vi e più s'accende la fiamma, gli stessi ardori

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esperimentava Vitale, ma egli con tenaglie di ferro infuocate la sua carne affligeva, additare volendo che col fuoco elementare si caccia quello appicicato d'Averno.

E fra tante virtù e santità di meriti adorno, lasciò l'anima la fierissima guerra, che col corpo tenea, per coronarsi trionfalmente nel Campidoglio di quella Roma superna, cedendo alla Patria terrena Erbita Nuova il corpo, il quale dopo la sua morte felice stette tre giorni insepolto tramandando un soavissimo odore, e quanti per veneratione toccaronlo, tutti furono da loro languori guariti, altri nel corpo e nello spirito alcuni.

Tanto scrisse e molto più proferì di narrare il Padre Zaccharia Boverio (tom.2 anno 1583). Il PADRE fra' UMILE da NICOSIA, Religioso de' Minori Reformati, in questo Convento di Santa Maria di Gesù

della nobilissima famiglia La Via, uomo di perfetione, non furono i fatti discordanti dal nome, in lui fiorirono tutte le virtù Christiane, ed un zelo tutto fiamme per la salute dell'anime, chiamato per le sue elemosine da coloro che furono ai suoi tempi, il "Padre dei Poveri", con opinione di Santità di vita se ne volò all'Empirea Nazione dal Chiostro di questo Convento. Così dicesi per la fede più volte citata di sopra:

"Venerab. etiam P.f. Humilis ex familia Nobil. della Via Nicosiensis Praedicator paupertatis simplicae amator, vere humilis, et salutis animarum Zelator, patremque pauperum ob pietissimam Charitatem, qui ipsum cognoverunt quam plurimo vocant, et eum sanctitatis et miraculorum opinione decessit".

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UOMINI ILLUSTRI IN DIGNITA' ECCLESIASTICHE

Capo II°

Non sono le pietre pretiose elaborate dall'arte in forma si' vaga dalla Natura, ma rozzamente prodotte, mentre oltre la preziosità che in se stesse contengono quell'ingegniera l'inestimabil vi imprime, si rendono all'occhio umano ammirabili. Le perle per la loro naturale vaghezza, sono chiamate Margarite dall'uomo, queste e quelle non si inestano se non nell'oro, o preziosissimi drappi, per non far trampalare forme si' belle in materia assai vile; cercano dunque gl'industriosi maestri nell'arte di raccamare, quand'hanno di gemme, e di margherite arricchire i lor prati su tele a punta d'ago dipinti sciegliere finissime sete, che s'accordino alla ricchezza de' lavori. E' stata Nicosia una tela finissima, un drappo che non la cede ad ogni altro e però non si è reputata mendica di gemme e di margarite si' pregiate, che non solo nel suolo natìo han tramandato splendori, ma ove Tebi terreni han fatto pompa de' suoi chiari lustrori.

Diede alla luce del mondo un sole luminoso, nato dalla Nobil famiglia CANCELLARIO chiamato D. ANTONIO,

che prese di Pietro la Religione primiera, ascese alla Sacerdotal dignità, indi all'Archipretato, ed al V.F. di questa Città; fu dopo dalla Sacra Maestà delle Spagne Filippo II° per le sue eroiche virtù eletto Arcivescovo della Città di Messina a tempo che reggeva la Chiesa il Sommo Pontefice Pio IV° nell'anno 1564, come costa per le Bolle date in Roma al primo di Maggio riferite dal Padre (a) Passaflumine, che dice:

"Ex hac etiam Urbe ortum duxit Antonius Cancellarius, qui tempore Pij IV° fuit Archiepiscopus Messanensis, ut constat ex diplomate Romae dato K Maij 1564 et ex Philippi Hispaniarum Regis electione obijt hic Praesul ann. Domini 1568".

La prefatta Maestà le solite cedole per gratia in sino a questa le fe' capitare con havere al Sommo Pontefice scritto, che per consecrarsi havesse mandato alla Patria tre Vescovi, cosa in vero a nessun'altro concessa, e così si eseguì: tre giorni avanti la sua morte il Pontefice gli mandò il Capello Cardinalitio, che se la Parca crudele non l'havesse così presto privato di vita, si sarebbe veduto pure il suo capo nel Campidoglio Romano coronato dal triregno supremo.

Arricchì questa Matrice di San Nicolò in un pulpito di finissimo marmo con cinque statue di rilievo a proporzione di fattura ed arte si' celebre, che di detta Matrice si rese ornamento mirabile.

Nell'altra Matrice di Santa Maria, ov'è sepellito, vi lasciò il Capello già detto dove stette appeso più tempo finchè da se stesso cadette, lasciolli anche l'apparato e la sua figura dipinta, o vogliam dire ritratto, dove anche vi è delineato il detto Capello vermiglio.

L'Abbate Pirri del detto D. Antonio Cancellario parlando nel tomo intitolato Notitiae Siciliensium Ecclesiarum, nel trattato che egli fa di tutti gli Arcivescovi di Messina, lo pone nel numero trigesimo quarto e di tal nome il terzo, ove dice:

"Antonius III° Cancellarius Siculus Nicosiensis fuit Messinensis Archiepiscopus sub Pio IV° dato diplomate 1 Kal Maij 1564 ob Philippi Regis electionem, sed conditione, ut solvat mille aureos annos Cardinali Petrosae titulo S. Stephani de Celio Monte, fuerat Antonius olim Archipraesbiter et Vicarius Nicosiensis. Obijt tandem 12 Novembris 12 Ind. 1568".

In un libro che tiene l'illustre Signor Marchese di Madonìa, nella sua vasta e nobile Biblioteca fiorita, intitolato de Archiepiscopatu Messanensi, nel Catalogo degli Arcivescovi di Messina, vi si trova questa nota che dice: "Antonius Cancelalrius Nicosiae in Mense Junij VIII Ind. 1564, vixit annos quinqs moritur XII Novembris XII Ind. 1568".

Dopo detto Catalogo vi sono dipinti a colore tutti gli stemmi delli detti Arcivescovi e quello del già descritto pinze

uno scudo bipartito alla destra bianco alla sinistra nero, in mezo di detto scudo un albero di palma con duoi grappoli del suo dolcissimo frutto, ed al tronco di detta palma vi sono duoi Leoni d'oro, che con le loro zampe stanno a quello afferrati, uno alla parte del Bianco e l'altro al Nero in atto d'ascendere.

D. MARCO ANTONIO della Nobilissima famiglia Gussio, rampollo d'Ansaldo la cui prosapia procede da Tolona

principale Città della Francia, come appare per pubbliche assertioni appresso il Senato di questa, al riferir di Gio. Battista de Grossis nella sua Catana Sacra:

"Senatus Herbitensis ad versaria ad diem 21 Augusti 8 Ind. 1625 fidem sibi vendicant et authoramentum". Questo D. Marco Antonio conspicuo per le virtù e dottrina fu dalla Maestà di Filippo IV° tra li suoi Capellani

annumerato l'anno 1626 per la testimonianza dell'Ecc.mo Duca di Alburquech nella nostra Sicilia Vicerè e Capitan Generale a' 10 Marzo 1628:

"Mehò informado con particolalidad de todo que en quanto a la qualidad, es muy noble, y esto parere per escripturas antiquas, y è persona de muy buena opinione di virtuoso, y muy benemerito".

A questo la Maestà di detto re delle Spagne arrise ammettendolo alla Regia Capellania: "Per quanto tienendo consideracion alla virtud sufficientia, meritos, y otras buonas partes, que concurren en

el Dottor D. Marco Antonio lo Gussio natural de my Reyno de Secilia, y a los serbizios de sus passados, que se occuparon siempre en officios, y cargos de importancia, en el dicto Reyno".

E nell'Aula Regia mostrò preludij di non vulgar virtù, primieramente fu eletto dal re Abbate di Santa Maria di Mandanici alli 12 di Dicembre 1641, ed anche Abbate di San Michele in Troina, come appare per le cedole da Madrid 1642 e sotto l'istesso anno fu eletto Vescovo di Cefalù per la renunzia di D. Pietro Corsetto, prese il possesso del

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Vescovato dopo la morte di questo al 1643; così lo descrive l'Abbate Pirri nella notitia di San Michele di Troina: "Marcus Antonius Gussius V.S. D.r Siculus Nicosiensis nobilis, ab anno 1630 17 Ottobris Regius Sacellanus anno 1642 Abbas S. Maria Mandanicis cum pensione aureorum 400 ex proventibus Abbatiae S. Philippi de Argyro et simul ex praesentatione Philippi IV° et Bullis Urbani VIII° huius Monasterij Abbas. Aeodem anno Petro Corsetto Episcopatum Cephaludensem renunciante, ad illam dignitatem erectus cum harum Abbatiarum proventibus. Petro obeunte 23 Octobris 1643, Gussius 26 Junij anno 1644 Possessionem Praesulatus est assecutus et Abbatia vacavit, mox datur".

Perfettamente governò per anni quattro la detta Cattedrale e la portò a così vaga bellezza con gl'ornamenti della sua liberalità arricchita che già al presente per tale l'occhio la mira; v'eresse duoi Mausolei di candidissimo marmo incastrate di pietre porfiritiche di vari colori, che sono l'ammiratione di chi li scorge. Ristorò il Vescovale Palagio, fabricò con spese ingenti la Capella dell'Eroina Celeste, accrebbe rendite alla Mensa Vescovile, fondò a sue proprie spese il Monastero di Donne in Cefalù chiamato "delle Orfanelle".

Fu a tutti i popoli che reggeva utilissimo. Nel Parlamento Reale a Palermo per il Braccio Ecclesiastico fe' mostra della somma prudenza. Essendo viduata la

Cattedrale di Catania per la morte del suo sposo, domandato da tutti li Signori del Regno il successore con vivissime istanze al re delle Spagne, un solo elesse che fu D. Marco Antonio, trasportato al regimento di quella, e pria che arrivasse ne prese il possesso Per Martino Celestre della detta Cattedrale Canonico, come dall'atto di procura alli 5 di Settembre l'anno del Giubileo 1650, ma esso inaspettatamente e di repente ascese al Trono a' 27 di Ottobre, sollecito della salute dell'amato suo gregge, formò molte leggi e statuti onde i popoli, lo stato Sacerdotale e tutti gli altri uomini, i quali correano a passi veloci alla scostumatezza de' vizij, compose in si' fatta maniera che fu un'ammiratione di tutti.

Riformò delle Donne i Monasteri, instruendole nelle virtù, ch'a passi da Giganti s'inoltravano nella perfetione Claustrale.

Mai lasciò l'ordinationi sacre a' suoi tempi, non ostante fosse travagliato da gravissime cure ed impieghi, assisteva personalmente all'esame, non solo degl'Ordini Maggiori, ma anche de' Minori, con tanto zelo e toleranza indefessa. Nell'anno 1652 andò egli in persona in tutti i Tribunali non perdonando a' travagli, non risparmiando spese per la reintegratione de' Casali pria soggetti al Senato di Catania, e dopo per li Regij Ministri l'anno 1640 furono tolti dal dominio di essa; non ostante che ve ne fossero alcuni distratti, tutti li ricuperò, e li rimesse all'antico dominio della Città e Senato.

Fu un Vescovo dall'interesse assai lontano, e sempre hebbe a cuor il non contaminar le sue mani in tali sozzure. Zelantissimo dell'onor e gloria di Dio, amando ne' suoi sudditi specialmente nelle persone Ecclesiastiche la castità incorrotta, non chè ne' secolari mondani, e li trasgressori di tal purezza aspramente puniva, i quali non tornavano più in tal pestilenza ad infettarsi. Dell'immunità Ecclesiastica difensore indefesso, sollevator de' pupilli, e delle Vedove ancora, e dal Mondo Astrea se ne volò al Cielo nell'anno 1660.

D. GIUSEPPE della Nobil fameglia PLANZONE, fu Canonico di questa Matrice di San Nicolò, uomo Dotto,

Predicatore esimio, Protonotaro Apostolico, Vicario Generale Bellicastrense, e per la sua dottrina e buoni costumi fu da sua Maestà eletto Abbate di San Filippo in S. Lucia della Piana di Milazzo chiamata dal Buonfiglio nella Storia della Sicilia, ove dice:

"Abbate di San Filippo in S. Lucia del Piano di Milazzo". Abbazia insignita di Pastorale e Mitra con l'uso del Pontificale, preeminenza di ogni riguardo, dove mancando i

Monaci di San Basilio alle volte fu chiamato semplice Beneficio (dice l'Abbate Pizzo), alle volte Canonicato, e più allo spesso Abbazia, fondata dal Conte Ruggiero sei miglia in circa lontano da Santa Lucia ove eresse la Chiesa sotto titolo di S. Lucia, quella di San Filippo l'arricchì di molti predij, e la diede alli Padri Basiliani, come appare per Bolle in Monarchia, e chiaramente si vede nelle Notitie Sacre dell'Abbate D. Rocco Pirri:

"Antiquissimus hoc S. Philippi caenobium in agro Milensisitum sex fere m.p. ab oppido S. Luciae a quo nomen accepit, distat, ordinis non S. Benedicti (ut multi ex vicinate alterius Pacteusis falso credunt) sed Divi Basilij Magni, nam Comes Rogerius noster, cum omnem militem inter Tyndaridem, et Mylas sine ostium ostaculo ex posuisset, parta contra Saracenos victoria simul duo templa, Alterum Divae Luciae Syracusanae, Alterum S. Philippo dicavit. Hoc ditavit praediis et caenobitis dedit Basilianibus, ut ex diplomate quod in libro, Regiae Monarchiae habetur. Temporis autem cursu Monarchis his deficientibus, aliquando sub titulo simplicis Beneficij, aliquando Canonicatus sepissime vero Abbatiae collatum esse legimus".

E dopo in appresso: "Abbatia S. Philippi Ordinis Basilianensis juxta S. Luciam quaedam iura Ecclesiae Pacteusis concedit eius

Episcopus Stephanus ut legere est in ea Notitia lib. 3 eodem anno fol. 396 Caeterum Monacorum Abbatum nulla apud me notitia".

Porta una serie di Abbati dall'anno 1355 in sino al 1641, e conclude la notitia col dire: "Conus de Alberto Siculus Nasensis han tantum exoruvit Abbatiam". E se ne morì il detto Planzone l'anno 1648. DON SEBASTIANO CEPOLLA, Dottor in Teologia, Predicatore eccellente, successore del Pirri all'Abbazia di S.

Elia di Troina, dell'Ordine di S. Basilio, dal Conte Ruggiero fondata in segno della vittoria ricevuta da' Barbari Saracini innanzi c'havesse preso Troina, e volle nello stesso luogo ove trionfò fondar detta Abbazia, che eresse con grossa

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entrata di cento quaranta sei onze d'oro, di salme tre e tumoli dieci di formento, come riferisce il Fazello nella descrizione della Sicilia:

"S. Heliae de Eubolo. Huc Rogerius Comes in suo victoriae cursu nondum capta Troyna copiis instructis cum venisset. Christianos Nemus vocatum habitantes de oppugnanda urbe consuluit annuentibus illis Troynam ad oritur, ac superatis Barbaris, Urbem ad ipixitur. Id circo in casilij initi monumentum, hoc loco D. Heliae Templum. Caenobiumque erexit a re ipsa Eubuli cognomine indicto, quod bonum consilium Latinis sonat, ex eius privilegio Grece scriptum obstenditur. Census habet auri uncias 146-1- frumenti salmas tres tumin. 10".

Ne fu eletto dalla Maestà di Filippo IV° re delle Spagne e dell'una e l'altra Sicilia per la morte di D. Rocco Pirri l'anno del Signore 1652 come appare per la cedola originale e per essere detta Abbazia, come si è detto, di Pastorale e Mitra, che al presente son dette insegne in potere degli eredi in questa.

E pure fu eletto Canonico dalla stessa Maestà della Cattedrale di Palermo, la quale vacò per la morte del Canonico D. Andrea Dettana nell'anno 1658 e chiaramente si vede per cedole Originali, date tutte due in Madrid sotto le dette giornate.

DON POMPILIO PANNUSO di questa, il quale fiorì l'anno 1548. Canonico della Matrice di San Nicolò ed al

1576 fu Cantore eletto di quella, e dopo fu Canonico nella Cattedrale della Città di Messina, Abbate che non ho possuto haverne notitia del titolo, e Priore di Santa Maria del Soccorso delli Padri Benedittini, fondato in Nicosia, tre miglia lontano dalla Città, Priorato d'onore e di rendale pinguissimo.

Se ne morì in questa, in cui li suoi consanguinei l'eressero un Mausoleo in detta Matrice di San Nicolò e gli fecero intagliare questa iscritione che dice:

"Jacet Sarcophago Donnus Pompilius Pannosius Patritius Canonicus Massanensis et Abbas. Vivit non obijt caelo meliore sepultus. Incunetos pietas nescit obire Diem 1583.

Il PADRE MICHELE da NICOSIA della nobilissima fameglia Alessi, figlio di Gio. Michele Barone di Sisto, che

per mettersi in salvo l'anima approdò al porto sicuro lontano dalle burrasche tempestose del mondo, cinse sovra si' molli membra un ruvido sacco di lana, un grosso canape di Cappuccino, religiosissime insegne, e nell'anno 1560 per la sua dottrina e bontà di vita fu eletto Generale da' Padri nel Capitolo, che celebrossi in Roma, come costa per la patente in pergamena alli 19 di giugno dell'anno già detto 1560.

Il PADRE MAESTRO MATTEO ORLANDO, Carmelitano, benchè non habbia avuto i natalli in questo suolo fu

da Genitor Nicosiense, che si casò in Carini alla luce mandato. Nulla di meno per haver di questa l'origine, è ben ragione che di me in questo capo si ponga. Fu costui uomo

dottissimo, che diede alle stampe un'opera De Incarnatione, De Conceptione B. Mariae V. De Sacramentis in genere et Eucharestia, stampata in Roma l'anno 1653. Padre di molto esempio nella Religione, mostrò in più scuole dottrinali saggio del suo molto sapere ed acutissimo ingegno, che però fu eletto dalla Cattolica Maestà delle Spagne Vescovo di Cefalù, ove fece fiorire il suo zelo.

IL PADRE MAESTRO GANDOLFO di Casa VALENTIA, pur Religiose del Carmine uomo eruditissimo il

quale fu assistente alla conclusione che tenne in Roma la Regina di Svetia, e per haver fatto palese la sua copiosa dottrina, perspicacia d'intelletto ed acutezza nelle risposte, fu fatto Vescovo nel Regno della Francia, che fin'ora non ho avuto notitia di qual Città fosse stato.

DON ANTONIO SBERT V.I.D.re, di questa fu Decano e Canonico di Messina per le Bolle di Paulo V° Pontefice

Massimo, date in Roma 5 ottobre 1616; ed ancora Priore di Santa Maria del Soccorso di Nicosia patria sua propria, come asserisce il Pirri nella notitia trigesima nella quale scrive:

"Antonius Sbert Nicosiensis, simul Decanus et Canonicus Messanensis per Bulla Pauli V° Rome 5 Ottobris anno 1616, ac Prior Sanctae Mariae de Succursu Nicosiae".

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UOMINI ILLUSTRI ED INSIGNI IN LETTERE IN ERBITA ANTICA

Cap. III°

Non andò la nostra Erbita Antica elemosinando uomini insigni in Lettere, mentre fiorì gli anni del Mondo tre mila novecento e settantatrè la dottrina di Lampridione Erbitense, filosofo, astrologo, architetto famoso e geometra eccellente. Uomo fra gl'altri il più illustre che diede alla vita questo Cielo Erbitense, come di lui scrive Olimpiodoro nelli suoi Geometrici Opuscoli.

Fu questo figlio di Plotino e Lampridia chiari ed illustri di sangue, in questa lor Patria perfetto Geometra si rese, che quasi superò tutti gli altri in tal mestiere famosi.

Non s'alzarono mai in Roma a' suoi tempi Colossi, Piramidi e Teatri superbi che non vi fosse Lampridione presente, ove fe' pompa del suo eccellente sapere. Narran molti che di Pompeo il Teatro fosse dal suo disegno ingegnosamente disposto, anzi vogliono che habbia al detto Pompeo Magno predetto che se egli facea divorzio dall'amicizia di Cesare havrebbe la fortuna perduto, e ciò sarebbe stato della sua rovina cagione e della morte ancora, a cui un Circolo Sferico formato sovr'il Pianeta della Natività presentolli dal quale potea scorgere il bene ed il male del corso de' suoi anni, che viver dovea.

Essendo finalmente mandato dall'istesso Pompeo al Coronato d'Egitto Tolomeo chiamato, per intervenire con la sua presenza alla formazione di un superbo e reale Sepolcro, essendo non lungi d'Egitto, necessitato ne venne imbarcarsi per traggitare il Nilo, fu all'improvviso assalito da un fier Cocodrillo e percosso nel capo, che ne restò estinto: fierissimo mostro che invidiando della fama di Lampridione l'avvanzo, che superava il di lui accrescimento corporeo, lo volle toglier dal Mondo col fracassarli il capo. Uscito quello dall'acqua dove la sua vista s'intorbida, non vide ch'era di Lampridione il Capo di tutte le scienze, arti liberali e Mechaniche un arsenale fecondo.

Tolomeo a cui portarono il venerando cadavere, volle onorar col farlo seppellire in un Regio Mausoleo fatto di marmo, pria da Regiij sospiri incensati per la perdita fatta di un soggetto eminente.

Tanto viene riferito dal Mugnos nel suo "Nuovo Laertio". Fiorì l'anno del Mondo tremila novecento ottanta quattro Fileno o Filino come voglion alcuni. Marco Aretio, nel

"de Situ Insulae Siciliae", dice: "Philenus Herbitensis Nobilis et Orator". Sbuccò dal fertile e smeraldino stelo d'Erbita antica questo fiore della più fine eloquenza, il quale più di Tullio e di

Quintiliano rubbava il primo vivente dagl'uditori con le sue ragioni efficaci, palesavansi vinti dal suo fiorito non men che sodo discorso, egli con la sua eloquenza erudita, si' per la nobiltà de' natali come per l'arte oratoria, la quale in tali soggetti fa più ammirabil forza e pompa, tirava a sè più meglio i cuori impetriti dall'ira, che non facea con la sua lira Anfione, eran così vivi gl'argomenti ch'erigeva all'eloquenza Tetri famosi; l'istesso Tullio ammirando l'eloquenza di Fileno tanto al vivo rappresentata in Roma in una pubblica oratione che fece a favor della sua propria Patria descrivendo della Sicilia i languori e le miserie, e scendendo al particolare d'Erbita sua Patria, descrisse de' popoli degl'Aratori la fuga e la mancanza del tutto per l'avaritia di Verre, il quale le città più popolate ridusse un deserto: il tutto con penne della lingua al natural dipinse, che mosse le pupille romane a deplorarne il successo. Onde Tullio non puote non rinfacciarla a' Giudici con queste parole: "Itaque cum Philinus Herbitensis homo discretus, et prudens et domi Nobilis de calamitate Aratorum de fuga et de reliquorum paucitate publice diceret. Anim advertistis Iudices gemitum populi Romani cuius frequentia huic causae numquam defuit ? ".

Se dal lettore si pondereranno bene queste parole, conoscerà che Oratore famoso sia stato Filino Erbitense, di cui Cicerone già disse:

"Anim advertistis Iudices gemitum populi Romani ? ". Non di minor'eloquenza, nè di minore dottrina fe' mostra in Erbita Eubulide (o Eubolide secondo altri),

contemporaneo di Fileno dal medesimo Cicerone nella settima descritto, che si conferì più volte in Roma per declamare contro Verre l'estorsioni sfacciate, le calunnie esecrande, gli ucciosi degl'uomini, che la lor ragione dimandavano in pubblico. Così dice Cicerone:

"Alter Pater extat Herbitensis Eubulida homo domi suae clarus et nobilis, qui quia Cleomene in defendendo filio Cesarat, nudus pene est destitutus"

che descrive della sua propria Città le rovine dimandando giustizia della morte di un figlio, che non puote vendicar da se stesso per l'età canuta e cadente, s'havea preso laboriosi viaggi da' Sicilia a Roma per mare e per terra, non da riacquistare in parte alcuna cosa de' beni di Verre, o usurparsi qualche somma degl'interessi passati, ma per vedere Verre condannato alla morte, ed esser quegl'occhi stessi che mandarono diluvi di lacrime per la perdita di un figlio, che fossero spettatori della condannazione di un sicario in fame:

"Hic -siegue Cicerone dicendo contro Verre- jam grandis natu Eubulida, hoc tantum est aetate laboris, itenerisque suscepit, non ut aliquid ex huius bonis, usurparet, sed ut quibus oculis rinentas cervices filij sui viderat, iisdem ite condennatum videret".

D'altri uomini in lettere insigni non se n'ha possuto haver notitia per l'antichità immemorabile di Erbita, come si è

detto nel primo libro a suo luogo, ne saranno stati mancanti altri soggetti in scienze eminenti, che per non haver fatto

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comparsa come questi tre, che si conferirono in Roma dove fecero pompa del lor sapere erudito, erano per lo più di natione Greca, però uomini sapientissimi, dovevasi tanto credere che in una Città tanto ampia di sito, copiosa d'uomini, dovitiosa, nobile, ed antichissima, non fosse stata di quei tempi l'Atene.

Che se di questi pochi nominati non n'havesse fatto menzione Cicerone, pure non sen'havrebbe notitia alcuna.

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UOMINI INSIGNI ED ILLUSTRI IN SCIENZE NELLA CITTA' DI NICOSIA

Cap. IV°

Gli ingegni eruditi in ogni scienza, c'han fatto in questo suolo pompa sublime, a descriver fa mestiere altra penna ed altro ingegno purgato; discorrerò bensì di quei che non solo feron mostra del lor eminente sapere nella lor Patria, ma ne' più rinomati Collegi del Mondo; lo seppero taluni che ne' scorsi tempi fiorirono, la di loro memoria in tanti anni trascorsi non è ancor deperduta pur recente verdeggia.

Furon soggetti si' vasti, che in alcuni la gran copia delle dottrine sbucciò specialmente su le carte in eruditissimi fiori mandati dalle stampe del Mondo alla luce del grido; ed in altri la molta abbondanza li rese a nostra sfortuna sopiti in non far pompa de' loro luminosi splendori.

Questa Città, per parlare senza Iperbole, come dissi, fu un'Atene famosa, aprendo più scuole e studi con li quali si rese erudita maestra di molte Terre e Città convicine, onde spacciossi per l'ammirazione d'un Mondo.

Solo porto alla cognizione umana dall'anno di Christo 1376, per essere il primo dottore che m'ha venuto alle mani non havendone inanzi questo anno notitia alcuna, si chè fò solo memoria di quei che sono dal mondo sin'oggi all'altra vita passati, e per ordine d'alfabeto li pongo, i quali dominarono (de' legisti parlando) con carico di Giudici in questi tre Tribunali, cioè Criminale, Civile e d'Appellazione, per non ripeterlo a ciasched'un de' Dottori.

ALBINO ANSALDO, Medico filosofo, fu proto-medico in questa Città mentre visse; fiorì l'anno 1630, più volte

assistente nelle conclusioni filosofiche e medicinali, che in questa Matrice di San Nicolò s'hanno diffeso d'alcuni Dottori in medicina pubblicamente.

D.ALESSANDRO FALCO, legista nell'anno 1620, da prudente e dotto giurista. D.ALESSANDRO TESTA, nell'una e l'altra legge Dottore e Barone di San Basile, fe' mostra del suo sapere l'anno

1590. D.ALESSANDRO TESTA, Giurista, fiorì l'anno 1660, fu anche Poeta celebre, ha-vea composto per darla alla luce

delle Stampe un'opera sotto titolo La Susanna, dramma musicale; eruditissimo che per essere prevenuto in età giovanile dalla Parca crudele, privò il Mondo curioso d'un parto così sublime, virtuoso in Musica, sonator di Violino eccellente. Accoppiò in se stesso Astrea, le Ninfe, ed anche d'Anfione la lira.

ALFONZO LA FONTANA, medico e filosofo di fama eminente. AMBROGIO BALELI, in medicina Dottore nell'anno 1590, costui eccellentissimo medico discepolo in questa di

Marcello Capra, filosofo insigne e medico sovra ogni altro famoso ed in Padova celebrato cotanto da Girolamo Mercuriale, fece grandissim'avvanzi nella medicina, che senza traslato puote dirsi un portentoso Ipocrate et un Galeno, una sol visita che facea all'infermo bastava darli la vita, ogn'ordinatione era un prodigio stuporoso dell'arte, le sue risoluzioni prudenti nel medicare servivano per Elisir, vita all'infermo parea che giovasse quando componea le ricette, e dava insieme lo scacco matto alla Morte.

ANDREA BARTOLI, Giurista, fiorì l'anno 1484, legista eccellentissimo, nel giudicare prudente e ne' maneggi

della giustizia accortissimo. ANDREA SPECIALE, nell'una e l'altra legge famoso, fe' pompa del suo eminente sapere nell'anno 1563, non de'

suoi antenati minore. ANTONIO GAMBACURTA, legista, fece la sua parte nella scena del Mondo nell'una e l'altra legge versato,

nell'anno 1560. ANTONIO LUPO, medico nell'anno 1650. D.ANTONINO MARIA ACETO, nell'una e l'altra legge Dottore, fiorì l'anno 1684 e fu Canonico di questa insigne

Colleggiata Matrice di San Nicolò. D.ANTONINO NICOSIA, Dottore leggista nell'anno 1650, fu primo Canonico di que-sta insigne Colleggiata

Matrice di San Nicolò, e poscia Archiprete di questa Città. D.ANTONINO PEROGINO, teologo l'anno 1650 lesse il corso speculativo nelle scienze alcuni anni con aprire

studio pubblico, e si trasferì poscia in Palermo, ove se ne morì.

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D.ANTONINO PIRO, giurista l'anno 1552, fu Canonico di questa Colleggiata Matrice di San Nicolò ed anche Archiprete.

D.ANTONINO PIRO, Dottore in legge, congiunto del descritto, fece comparsa dall'anno 1564 con esser anch'egli

Canonico di questa Matrice di San Nicolò. ANTONIO RAFFAELE, giurista, non ho possuto haver notitia di costui in che anno abbia fiorito. ANTONIO TESTA, nella legge perito l'anno 1552, e comprò il feudo di San Basile chiamato, con l'investitura di

tal baronìa. D.ANTONIO TESTA, teologo, pompeggiò l'anno 1630, fu Canonico di questa Matrice insignita e Colleggiata di

San Nicolò V.F. di questa. D.ANTONIO VENTIMIGLIA, leggista l'anno 1572, con nome d'eccellente Dottore. D.ANTONINO DONGUIDA, giurista, fe' comparsa della sua dottrina l'anno 1524. ANTONINO BARONE, nell'una e l'altra legge Dottore, mostrando il suo sottilissimo ingegno l'anno 1591. ANTONIO DI BARTULO, giurista famoso, fiorì l'anno 1409; fu costui Nobile figlio del già detto di sopra Andrea,

uomo di vita esemplare, di molta scienza, onestà di costumi, pieno di meriti, di virtù onusto, e di buon nome, il quale ricevè la laurea dottorale per aver elegantemente recitati i punti assegnati con tanta lode, egregiamente ripigliando gli argomenti de' contrari, e sottilmente con abbondanza di dottrina, e con ragioni tanto dall'intrinseco, quanto dall'estrinseco li risolvette, e dopo lungo esame dal Promotore e dagli altri Dottori del Collegio Sienese, da cui ricevette detto onore, come vien riferito con lunghissimo elogio per il privilegio di detto Dottorando in pergamena, che dice:

Cum igitur vir Dominus Antonius filius Andrea de Bartulo de Nicosia Siculus, quem tunc praecipue vitae, ac scientiae et morum honestate, aliisque plurimis probitatis et virtutum meritis speciali praerogativa sublimant honoris etcc...

e poco dopo siegue: et ita in suo rigoroso esamine, post quam puncta sibi per nos more solito specialiter assignata elegantissime

recitaverit, se laudabiliter, et dignissime habuit, ita egregia argumenta resmpsit, et subtiliter et copiose resoluit, ut post longum deco in ipso iure rigorosum examen tam a nobis quam ab omnibus Doctoribus dicti Collegii etcc......

Datum et actum Seniis in Palatio Archiepiscopatus, et aula eiusdem, Anno Dominicae Incarnationis Millesimo nono Ind.prima die vero vigesima quinta Mensis Aprilis.

ANTONIO CAPRA, medico eccellentissimo, padre del gran Marcello di cui appresso dirassi. ANTONIO CAPRINI, Dottor in medicina, purgatissimo l'anno 1590. Costui fu anche agli studi pubblici del non a

bastanza lodato Marcello Capra in questa Città condiscepolo del già detto Ambrogio Baldi, e dopo in Padova con l'istesso agli studi del prenominato Mercuriale, e riuscì così perfetto, ch'uguagliava i suoi Maestri mentre stampava pedate di vita nella Reggia tremenda di Morte, era insomma un Esculapio prodigioso, che quasi ne tremava la Parca.

PADRE MAESTRO ANTONIO COTTONE, della Religione del Terzo Ordine di San Francesco d'Assisi, uomo

dottissimo in tutte le Scienze, fe' pompa questo ingegno sublime l'anno 1649; uscì egli da questa Città in età giovanile e divenne così nelle Scienze famoso studiando in Roma, che il grido della fama con le sue cento trombe non ha a sufficienza possuto lodarlo, ma le di lui opere ch'alla luce delle stampe ha mandato, l'hanno reso celebre per tutto il Mondo; lesse al pubblico studio di Padova per anni diecidotto, ed in altre parti e finalmente in Roma. Dal Padre Diana fu questo sublime soggetto cotanto lodato nella Somma che egli fece sopra le sue opere a cui mandolla per rivederla, come poscia li stampò nell'anno 1644, gli rispose tessendogli un elogio, che va in detta Somma descritto con dire: "Remito M.S. Summa Diana, quam non sine multa delectatione percurri. Inveni namque fidelem, et integram, non mutilam, non redundantem concina methodo, brevi ac dilucidae stylo compositam et omnino qualem desiderabam. Qua propter meorum operum studiosis non mediocrem auguror placituram. Ego vero me tibi multum debere confiteor qui multigerae eruditionis refertum ingenium et maioribus aptum studiis meis illustrandis operibus impendere non recusaveris etcc..

D. Antonius Diana. Mandò anche alla luce quell'altro Enchiridion molto piccolo intitolato anagraticamente Ausoniis Nocti Noct summa

Diana summarium; in oltre partorì da se stesso quel libro in foglio intitolato Contraversiae Patriis Antoniis Cotinis Siculi Nicosiensis, stampato in Venezia nel 1661, in cui Giacomo Grandio, con la sua cetera in mano, cantò in un epigramma un elogio a questo uomo nelle lettere insigne, dove chiuse la sterminata grandezza di questo ingegno più che sublime:

Aere micat parvo, toto Cotonus in Orbe

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Qui micat Euganei gloria rara Bovis Est similis Scoto vutu, probitate, quid ultra ?

Deficiat Pallas Palladiis in starerit Fu questo Padre Procuratore e Regente Generale perpetuo. Lasciò un M.S. che volea dare alle stampe intitolato

Pansophiae deinde structuram novam piè philosophandi. Passò da questa all'altra vita l'anno 1682, della sua età 69 e di Religione 53, alli 14 di Maggio, come più chiaramente

per questa iscritione fatta da' suoi Religiosi al suo ritratto che si conserva in questo Convento di S. Anna, copia di quello di Roma:

"Vera effigies P.M. Antonis Siculi Nicosiensis, Ordinis Sancti Francisci ex procuratoris et Regentis Generalis perpetui Patavii olim per XIIX annos publici Metaphisici singulari hamilitate, ferventissimo divini honoris zelo invic-tavamini moderatione, omniumque scientiarum encyclopedia conspicui. Qui XX annum agens Dianae summam, maturior vero ab Alexandro VII Procurator Generalis effectus controversiarum libros ingegniosissime edidit. Pansophiae deinde structuram novam pie Philosophandi methodum exponentem reliquit. Denique aetatis suae LXIX Religionis vero LIIIXIV Maij MDCLXXXII in caelum conscendit in Colegio Siculo Paulide Arenula Urbis ".

ANTONIO FONTANA, giurista l'anno 1609, governò questi Tribunali con applausi do tutti. ANTONIO GAMBACURTA, leggista, eccellente nella professione e d'ingegno elevato. ANTONIO LA GRECA, non volse l'aurea di Dottore benchè havesse stato nella legge un Bartolo e Baldo, ma

esercitava l'officio di Procuratore a tal segno che quello ingegno Aquilino dell'Ill.mo Don Blasio Proto (nell'una e l'altra legge dottissimo) Arcivescovo di Messina, leggendo certa scrittura fatta dall'eruditissimo stile di Antonio a lui presentata mentre era per la visita in questa, lo volle conoscerlo, e portarlo dicendo in fine: " Signor Antonio V.S. ha fatto molto torto alla Patria sua propria non trasferirsi in Palermo ove havrebbe spiccato la sua dettrina eccellente ".

ANTONIO GUSSIO, la cui dottrina fe' pompa l'anno 1431, fu Dottore fra gli altri dottissimo. ANTONIO MIRITELLO, leggista, fiorì l'anno 1544. ANTONIO NICOLOSI, Dottor di legge, fe' mostra del suo eminente sapere e profonda dottrina l'anno 1580. PADRE MAESTRO ANTONIO LA PORTA, dell'Ordine de' Minori Conventuali di San Francesco d'Assisi, di

sapere così nell'altezza profondo, essendo nella Teologia Scolastica un mostro ammirando, fu in quei tempi stimato da tutti un Uomo carico di Lettere.

ANTONIO ROMANO, nell'una e l'altra legge Dottore, sbucciò dall'erario, o giardin del suo capo il suo molto

sapere l'anno 1509. D.ANTONIO IBERT, giurista l'anno 1609, fu secreto di cui trovasi in questo Convento di S. Maria di Gesù il

frontispizio del suo Mausoleo, con questa inscritione che dice: Antonio Iberto reperunt stamina Parcae

Non nocuere viro summa requiescit in arce Antonium genuit, praeclarum Hispania Ibertum Herbita corpus habet; sed meliore polus 1574

ARDUINO BARONE, leggista, nella quale fiorì versatissimo l'anno 1572; la dottrina della quale fu così eccellente,

che mai stette ozioso, ma in questi Tribunali sempre facea gloriosa pompa. ASCANIO BARONE, nell'una e l'altra legge Dottore, diede saggio del suo eminente sapere e del suo sottilissimo

ingegno l'anno 1568, maneggiando allo spesso la bilamia d'Astre. ASCENZIO MANCUSO, giurista l'anno 1596, da Dottore famoso. PADRE MAESTRO BALDASSARE LA PORTA, fratello del già suddetto P.M. Antonio, Teologo Predicatore di

grido, il quale in Malta fondò il Convento delli Padri Minori Conventuali di San Francesco d'Assissi, dove egli visse religioso di molto esempio alli posteri.

D.BARTOLOMEO AGNELLO, teologo al 1632, fu lettore ottimo con haver aperto stu-dio pubblico. BARTOLOMEO BALDI, Dottore leggista l'anno 1532, peritissimo.

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D.BARTOLOMEO BALDI, Teologo, fiorì l'anno 1650, benchè cieco fu Maestro di Gramatica, che tenne scuole pubbliche in questa con somma lode di tutti, ed in Palermo fu lettore in filosofia in Sant'Agostino.

BARTOLOMEO CONTINO, leggista al 1672 da perito Dottore, e più volte tenne la bilamia della giustizia. D.BARTOLOMEO LA VIA, giurista l'anno 1626, Dottore nell'una e l'altra legge l'anno 1630. Canonico di questa

insigne Collegiata Matrice di San Nicolò. BERNARDO LA PORTA, Dottor in legge al 1654. BERNARDINO LA FONTANA, insigne leggista, fe' pompa del suo erudito sapere al 1512. PADRE fra' BERNARDINO da NICOSIA, di Casa Giangreco, Teologo e Predicatore famoso, che studiò in

Fiorenza e riuscì di molto grido; egli esercitò quest'ufficio per anni 22 nelli migliori pulpiti. Fu Guardiano delli Conventi più conspicui della Reforma unita, come dopo divisa.

Riformatore e Custode dell'Osservanza, quattro volte Definitore nella Reforma, Ministro Provinciale prima nell'erezione delle reforme in provincie; Vicario Provinciale per la morte del Padre La Giusa, due volte Commissario Visitatore prima nella Reforma de' Sette Martiri, secondo nella Provincia di Milano: quell'uffici sempre esercitò assai bene alla gloria di Dio, con tutta quella osservanza richiesta per la salute dell'Anime e sommo gusto delli Religiosi e secolari ancora, lui fu quello che fece la raccolta (o Catalogo M.S. più volte citata) delli soggetti della sua Religione da questa Città Costantissima partoriti a maggior gloria di Dio.

BLANDANO FALCO, medico filosofo, debellava la Parca con la sua dottrina eminente l'anno 1610. BLANDANO FALCO, nell'una e nell'altra legge Dottore, tenea la bilancia della figlia di Teme alle mani l'anno

1589. DON CARLO BASILOTTA BARONE DI S. ANDREA, e sette feudi, benchè non habbia voluto la laurea

dottorale, fu nell'una e l'altra legge versato; ingegno vastissimo, in cui tutte le scienze adunate fecero pompa superba e precise la Grammatica fondamenta di quelle; nella Poesia Italiana si fe' vedere un Tasso, nella Latina un Omero, nella Siciliana un Venetiano, tenea una raccolta di libri ch'ascese alimeno più di tremila Autori in tutte le materie delli più scelti, famosi, eruditi, che sono stampati nel Mondo.

Havea sopra le canzoni d'Antonio Veneziano quel famoso Poeta (che si crede essere stato di questa, non ostante ch'altri dicano Palermitano) formato un commento eruditissimo per mandarlo alle stampe in tre tomi diviso, in cui si ravvisava il molto che quest'uomo havea letto: havrebbe stato alli curiosi nelle belle lettere di molto sollievo; (scrisse) anche una raccolta d'Epigramme divisa in due tomi, le più ingegnose ed acute, quasi da tutti i libri stampati sopra questa materia. Di più il confronto d'alcuni luoghi delli Poeti Latini, da dove gl'Italiani havean preso i più sublimi concetti.

Sudava sopra un Dizionario trilingue, cioè Siciliana, Italiana e Latina. Opere tutte degne di grido se s'havessero in luce mandato, le quali son'oggi in poter degli Eredi. Fiorì al 1645. DON CARLO FALCO, giurista l'anno 1609. Uomo nell'una e l'altra legge dottissimo. CESARE LA FONTANA, medico, non ho possuto haver la notitia a ,che tempo avesse stato quest'insigne sublime. DON CESARE GAMBACURTA, Teologo l'anno 1606. DON CHERUBINO LOMBARDO, in Teologia Dottore, fece pompa il suo sapere nell'anno 1657, fu lettore

pubblico in questa Città: PADRE fra' CHERUBINO da NICOSIA, di Casa Giangreco, del già descritto fra' Bernardino fratello giovane,

Religioso de' Minori Reformati, di molti talenti così nella dottrina come ne' costumi, Predicatore famoso e Teologo insigne, il quale in molti pergami di Città riguardevoli con molta sua lode (recitò) per quaresimali intieri, e pieno d'encomi morì in Messina d'anni 39.

CLAUDIO BALDO, leggista, spiccò l'anno 1628 da sapientissimo nell'una e l'altra legge, con molti applausi di

tutti. CLAUDIO BALDO, giurista, fiorì l'anno 1650 ed occupò le sedi Giudiciali e li porti più degni di questa Città. DIEGO CAPRINI, nell'una e l'altra legge Dottore, fe' comparsa il suo sapere l'anno del Signore 1636.

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DON DIEGO GIUNTA, in Teologia Dottore l'anno 1620, fu Archiprete di questa e buon Predicatore. DIEGO TESTA, giurista, fiorì l'anno 1621 e fece la sua parte in questa scena del mondo da ottimo Dottore. DON DIEGO LA VIA, leggista nell'anno 1650, diede saggio del suo sapere con l'amministrazione di tutti li posti

più onorati della Patria. DOMENICO SALOMONE, medico filosofo l'anno 1675, fu ottimo e ricercato da tutti. PADRE fra' EGIDIO da NICOSIA, dell'Ordine di San Francesco d'Assisi della Reforma in Santa Maria di Gesù,

della fameglia onorevole Baudesi; fu Procuratore Generale di detto Ordine nella Corte Romana, due volte Ministro Provinciale nella Provincia di questo Regno, di cui il Padre (a) Passaflumine dell'istessa Religione, scrivendo disse:

Floruit item f. Aegidius de Nicosia zelo et prudentia eximius, qui fuit Procurator Generalis Reform apud Romanam Curiam et bis Minister in Provincia Siciliae.

DON EPIFANIO GATTO, nell'una e l'altra legge Dottore l'anno 1633. EPIFANIO lOMBARDO, giurista l'anno 1665. ERASMO FALCO, medico, fe' comparsa contro l'infermità umane per debellarle l'anno 1580. ERCULANO FALCO, leggista l'anno 1632 in tutti li Tribunali di questa fece pompa. PADRE ERCULANO da NICOSIA, Capuccino, Teologo e Predicatore esimio. FERDINANDO PARDO, medico filosofo Galenista fedele, fiorì per dissipare la morte nell'anno 1680, e dopo

vintola più volte con haverla discacciata dalli corpi infermi, stizzata da tante perdite, gli diede alla fine un colpo vera-mente mortale, che l'estinse per poter trionfare.

FILIPPO LO BATTIATO, medico eccellente di cui non ho possuto haver notitia in che tempo regnò il suo saper

ammirabile. FILIPPO CAVALERI, giurista, nemeno ho possuto fin'ora investigare quando fiorì il suo ingegno sublime. DON FILIPPO CAVALERI, medico filosofo l'anno 1576, costui eccellentissimo nel suo mestiere, ma sopra tutto

fece la sua eminente dottrina spiccar in dar la vita a coloro ch'erano dalle Pleuriti oppressi, ed in particolare contro questo morbo si rese più che famoso.

DON FILIPPO COMPARATO, Teologo e Giurista soggetto di molto grido, aprì studi publici in questa, a cui

concorreano da tutte le Città e Terre convicine gl'ingegni per essere adottrinati da questo scintifico mostro in tutte le scienze versato, e partorì più allievi con il suo sapere elevati, i quali innumerabili furono e di tale perfetione, che se li resero uguali per non dire migliori. Uomo dottissimo che in una publica conclusione in Roma fe' pompa del suo suttilissimo ingegno.

Fiorì Canonico nell'insigne Collegiata Matrice di Santa Maria di questa Città, decorato dagli Arcivescovi col Vicariato Faraneo. Lesse publicamente più d'anni quaranta.

Fe' scomparsa l'anno 1610 in circa, al cui Mausoleo, come sopra si disse, eretto in detta Matrice li fu posta quest'iscritione, che dice: "Hoc monumentum monet, et vocat viventem et morientem D. Philippum Comparato S.I. et U.I.D.rem nuncusque docentem".

FILIPPO SPANO', nell'una e l'altra legge Dottore l'anno 1566. DON FORTE ROMANO, giurista, regnò l'anno 1625; fu Canonico e Liantro dell'insigne Collegiata Capitolare

Matrice di San Nicolò, Protonotaro Apostolico e V.I. di questa, Cavaliero di parti tali, che si reputò l'anima di Monsignor Ill.mo Don Biagio Proto Arcivescovo di Messina.

FRANCESCO ALBERTO, leggista, comparve in scena di questa l'anno 1548, Dottore eccellente. FRANCESCO DONGUIDA, nell'una e l'altra legge Dottore, fiorì l'anno 1570. Uomo molto dotto e versato. FRANCESCO CATANISI, giurista, fece comparsa del suo ottimo sapere l'anno 1495. FRANCESCO CAVALERI, medico filosofo, uomo dottissimo e nella Città di gran nome.

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FRANCESCO FONTANA, leggista l'anno 1543, eruditissimo, di gran governo in questi Tribunali, e di politica

esperimentata. DON FRANCESCO GANGUZZA, Dottore in Sacri Canoni, aprì studio pubblico e lesse molti anni, fu Canonico

in questa insigne Collegiata Matrice di San Nicolò. FRANCESCO GARIGLIANO, medico filosofo l'anno 1588, uomo dottissimo ed esperimentato. DON FRANCESCO LO GUZZO, Dottore in Sacri Canoni l'anno 1660. FRANCESCO IAMBLUNDO, giurista nell'anno 1420 da soggetto eccellente peritissimo. DON FRANCESCO MARIA LA VIA, leggista, fiorì l'anno 1640. FRANCESCO MILITELLO, Dottor nell'una e l'altra legge, fece pompa del suo molto sapere ed erudito ingegno

l'anno 1548. FRANCESCO NASELLI, leggista, fece nota la sua dottrina nell'anno 1611 con molto applauso delli Cittadini. PADRE FRANCESCO da NICOSIA, degno di ogni venerazione, dell'Ordine delli Minori Osservanti di Santa

Maria di Gesù di questo Convento della Nobilissima famiglia Calì. Uomo dottissimo, eletto Custode nel Capitolo, che si celebrò da' Padri della Reforma in Nicosia l'anno 1592, dalli soli Reformati con la presenza del Reverendo Padre fra' Bonaventura da Caltagirone, Generale nel Convento di Santa Maria di Monte Salvo di Castrogiovanni l'anno 1595. Fu anche di nuovo confirmato Custode e governò un anno e otto mesi, e la terza volta sedici mesi, stante esser fatto Guardiano del Convento di Santa Chiara in Napoli, così scrive il Padre Tognoletto nel suo Paradiso Serafico.

FRANCESCO de PORTIS, nell'una e l'altra legge Dottore, il cui molto sapere rese più volte felice la bilancia

d'Ostrea. FRANCESCO RAGUSA, giurista dottissimo. FRANCESCO SPECIALE, leggista, fiorì l'anno 1553, da uomo dottissimo e in detta legge versatissimo. DON FRANCESCO VENTIMIGLIA, medico filosofo l'anno 1630, per abbattere con le sole sue ricette la morte,

dato alli moribondi in quello straccio di carta il passaporto alla vita. FRANCESCO XAXIA, leggista, diede nell'anno 1479 saggio della sua eminente dottrina. GABRIELE SALOMONE, Dottore in legge, fiorì l'anno 1460 e fece spiccare la sua abbondante dottrina in questi

Magistrati. DON GABRIELE IBERT, nell'una e l'altra legge Dottore, fiorì l'anno 1604; fu anche Secreto di questa Città. DON GABRIELE SCARPELLO, giurista l'anno 1641; uomo dottissimo e di purgato intelletto. DON GAETANO LA VIA, leggista l'anno 1680. PADRE MAESTRO GANDOLFO VALENTIA, l'anno 1640 Religioso dell'Ordine Carmelitano, Teologo

sublime, che fu assistente alla publica conclusione che tenne in Roma la Regina di Svetia, con sommo sapere e ragioni la difese, ne fu fatto poi Vescovo di una Città nella Francia.

GASPARE CAMPIONE, leggista, uomo nel giudicare le cause guardingo e sospetto. GASPARE CAPRINI, nell'una e l'altra legge Dottore l'anno 1612. DON GASPARE CAPRINI, Dottor di legge, fu Canonico e Decano dell'insignita Collegiata Matrice di Santa

Maria di questa, e Commissario della Santissima Inquisizione. GIACINTO BIRCIO, giurista, fiorì l'anno 1645. Uomo dottissimo nella legge, e si delettava far composizioni

Poetiche.

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GIACOMO CONSILIA, nell'una e l'altra legge Dottore, fiorì l'anno 1350; uomo di gran sapere e versatissimo nel suo mestiere.

GIACOMO FALCO, giurista, fece comparsa il suo molto intendimento l'anno 1550. GIACOMO GARIGLIANO, medico filosofo, che gli strali di morte con le sue dottissime ricette spuntava. DON GIACOMO LEGNOVERDE, Teologo, uomo d'acutissimo ingegno, Canonico e Decano della Collegiata di

Santa Maria e Commissario del Santo Officio, fiorì l'anno 1620. DON GILBERTO LA VIA, giurista nell'anno 1617, uomo dotto. GIOVANNI ANDREA CAVALERI, leggista, fece pompa del suo ingegno sublime l'anno 1505. GIOVANNI ANDREA GALLO, medico filosofo l'anno 1542; uomo nel sapere elevato, che trovava all'infermità il

medicamento contrario per esiliarle da' corpi. GIOVANNI ANTONIO CALABRO', Dottore nell'una e l'altra legge l'anno 1556, che puote dar leggi alla legge

col suo eminente sapere. DON GIOVANNI BATTISTA BARBERI, Teologo, lesse alcu'anni publicamente, fu Predicatore erudito. GIOVANNI BATTISTA CEPOLLA, Dottore in legge, fiorì l'anno 1600; fu uomo dotto e in quella versato. DON GIOVANNI BATTISTA GUSSIO, Teologo l'anno 1585 da quell'uomo dotto qual'era si mostrò al mondo. GIOVANNI BATTISTA LOMBARDO, medico nell'anno 1690. GIOVANNI BATTISTA SABIA, giurista, non ho possuto haver notitia in qual tempo fiorì questo ingegno

sublime. GIOVANNI CARBONE, leggista l'anno 1506, uomo dotto e in quella versato. GIOVANNI CASTROGIOVANNI, medico filosofo nell'anno 1582 per rintuzzar gli strali di morte. GIOVANNI COSIMO BARONE, Dottor di legge, uomo di senno e di molto sapere nell'anno 1569. GIOVANNI CRISOSTOMO CALI', nell'una e l'altra legge Dottore di molto grido, fiorì l'anno 1621. DON GIOVANNI GALLO, Dottor Teologo, fu Predicator'esimio, e da tale fece pompa l'anno 1608. GIOVANNI FILIPPO ALESSI, giurista nell'anno 1532, fu ottimo Dottore. GIOVANNI FILIPPO CEPOLLA, medico filosofo, fiorì l'anno 1636 per cacciar le febbri dagli infermi. GIOVANNI FILIPPO CIANCIARDO, medico per dar salute. GIOVANNI FILIPPO CIRINO, leggista famoso nell'anno 1612, uomo dottissimo. GIOVANNI FILIPPO NICOLOSI, nell'una e l'altra legge Dottore l'anno 1599, e fu sapientissimo. GIOVANNI GUSSIO, Dottor di legge, fece pompa della sua facoltà e squisito sapere l'anno 1525. GIOVANNI LEONARDO AGNELLO, giurista, l'anno 1607 fece mostra del suo continuo studio. GIOVANNI LOMBARDO, leggista, mostrò pompa del suo fioritissimo ingegno l'anno 1481. PADRE GIOVANNI MARIA da NICOSIA, Capuccino della Nobilissima famiglia Speciale, fiorì l'anno 1640.

Predicatore famoso e Secretario eruditissimo, egli fù di perspicace intelletto, uomo dottissimo dimostrossi ne' Teatri di Pallade.

GIOVANNI MARIA ROSSO, giurista, fiorì l'anno 1660.

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GIOVANNI MATTEO GUSSIO, leggista, diede saggio del suo ingegno sublime, e molta dottrina, l'anno 1544. GIOVANNI PAULO LA FONTANA, Dottore in legge l'anno 1517 da uomo dottissimo si palesò in questi

Tribunali. GIOVANNI PELLEGRINO, nell'una e l'altra legge Dottore, fece la sua scena da perito tra gli altri. GIOVANNI RICCIO, giurista, fiorì l'anno 1660. GIOVANNI ROMANO, leggista, comparve nel teatro del mondo a far la sua parte egregiamente l'anno 1570. GIOVANNI RUSSO, Dottor in legge l'anno 1420, fu dottissimo e ministrò la giustizia con tutte quelle parti che si

richiedono. DON GIOVANNI VENTIMIGLIA, medico, fece degli infermi le parti contro la morte l'anno 1625, e più volte la

vinse. DON GIOVANNI LA VIA, giurista, non mi è venuta cognizione dell'anno habbia regnato. GIOVANNI LA VIA, leggista l'anno 1606, da perito Dottore mostrossi. GIROLAMO BALDI, medico e filosofo nell'anno 1650, dottissimo ed ingegno elevato. GIROLAMO CIANCIARDO, Dottore in medicina, che più volte chiamò a singolar duello la morte con li suoi

stracci di carta, ov'era descritta la ricetta di vita agl'infermi. GIROLAMO COFITELLA, giurista, fiorì l'anno 1516 da leggista eccellente in queste tre Corti. DON GIROLAMO LA VIA E BOLOGNA, leggista l'anno 1610. Fu Canonico della Matrice di Santa Maria; andò

a Roma da dove fe' capitare a detta Matrice duoi Corpi intieri delli Santi Saturnino e Severina, e dopo entrò nella Compagnia di Gesù e si vestì Religioso. In detta alma Città fu decorato con il carico di Penitenziere Maggiore, Confessor del Sommo Pontefice Paulo V° e del suo Nipote il Cardinal Borghese, e dopo ritornato in Palermo volle riposarsi in quella Conca d'Oro per poi trasferirsi alle piazze e strade luminose dle Cielo, come seguì l'anno 1630.

GIROLAMO URSO, Dottor in medicina, l'anno 1575 per isbandire dalli corpi umani le febbri nacque egli dal

mondo. GIULIANO MARANTA, nell'una e l'altra legge Dottore, resse la bilancia d'Astrea l'anno 1590 e negli anni

seguenti, e fu in quelle dottissimo. GIUSEPPE BALDI, medico nell'anno 1618, fece più volte ritirar la Parca che stava in atto di troncare le fila a'

miseri mortali. DON GIUSEPPE BONOMO, Dottore in legge, fiorì l'anno 1648; fu Canonico della Collegiata Matrice di Santa

Maria. GIUSEPPE FALCO, giurista l'anno 1615, fece pompa in questa Corti da perito Dottore. DON GIUSEPPE FONTANA, Teologo e leggista, pompeggiò l'anno 1626; fu lettore di questo publico studio in

tutte le scienze, d'ingegno sottilissimo, lesse più d'anni quaranta, e fu in alcune arti liberali professore eccellente. Canonico di questa Matrice di San Nicolò.

GIUSEPPE MARIA FONTANA, fratello del già descritto Canonico Barone di Melia, fiorì l'anno 1590. Medico

eccellentissimo di Sua Altezza e delle Galee della Sua fioritissima Armata ed in questa, in cui fece ritorno alla fine per riposarsi; oprò prodigi ammirandi, che col suo ingegno eminente dava agli infermi quasi estinti la vita.

DON GIUSEPPE GALISI, Dottor in Teologia, uomo nel sapere eminente, Canonico nella Matrice di Santa Maria,

fiorì l'anno 1620. GIUSEPPE LA GIGLIA, medico e giurista, fiorì l'anno 1652. Uomo d'ingegno vastissimo che se non lo preveniva

la morte, che lo tolse immaturo, haveria riuscito nelle Scienze tutto perfetto.

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GIUSEPPE LA GRECA, Dottor in legge nell'anno 1627, fu versatissimo in quella. GIUSEPPE MARIA PANNUSO, Dottor nell'una e l'altra legge, fiorì l'anno 1643. Uomo dottissimo, lesse

molt'anni e dimostrossi nell'arti mechaniche e liberali assai curioso. DON GIUSEPPE PANNUSO, Dottor in Scuri Canoni nell'anno 1598. Fu Canonico e Liantro della detta Collegiata

di San Nicolò e V.F. di questa Città e Visitator Generale di Monsignor Arcivescovo di Messina come appare per una lettera del Prelato scritta al detto, che dice: "Al D.r D. Iuseppe Pannuso Liantro de Nicosia e nostro Visitator Generale. De Medicina a.q. Lettori: de ibis Pedro Arcobisbo de Mesina".

DON GIUSEPPE PLANZONE, Dottor Teologo, fe' pompa del suo ingegno sublime l'anno 1638. Fu Canonico di

detta Collegiata di San Nicolò, Predicatore di Corso Quaresimale in molti pulpiti conspicui del Regno. Abbate di San Filippo in Santa Lucia del Piano di Melazzo di Pastorale e Mitra.

Mandò alla luce delle stampe un Libro della famiglia Aceto, stampato in Roma al 1645. DON GIUSEPPE PICCONE, in Teologia Dottore l'anno 1628. Lesse qui molt'anni a' studi publici tutto il corso

speculativo, cioè filosofia e teologia, al di cui sapere vennero molti forastieri di Terre e Città di questi contorni. Fu Canonico di detta Collegiata di San Nicolò.

GIUSEPPE SALOMONE, in medicina Dottore l'anno 1630. Galenista eccellente di molta esperienza e Poeta

Latino famoso. DON GIUSEPPE LA VIA, nell'una e l'altra legge sublime Dottore, fu Assessore di Monsignor Carafa Arcivescovo

di Messina, e d'altre preeminenze ornato. GIUSEPPE URSO, giurista l'anno 1618 da prudente e dotto nell'una e l'altra legge. DON GREGORIO AGNELLO, Teologo, fiorì l'anno 1660, fu Canonico di detta Matrice di San Nicolò. GREGORIO BARTOLI, leggista; costui per ricercar la corona d'eccellente Dottore, oltre la Nobiltà de' natali, non

recusò travagli, allontanamento dal patrio suolo, d'amici e parenti, e nella celebratissima Accademia di Napoli (con tanta cura, diligenza ed affetto, con indefesso studio per molti anni in cui vi abitò) non diede mai al suo corpo riposo, ma nello studiare le leggi più sudori fe' cadere dal cielo della sua fronte sui libri, che non fausci la terra con le piogge le nubi: per la dottrina che in lui facea pompa, venne stimato ch'havesse alla lucerna di Cleante ed Aristofane passato le notti, poichè imbevute tutte l'arti liberali da questo ingegno sublime, quali tenea per ornamento del suo non a bastanza personale lodato mai per queste ch'alettano di virtù l'animo le leggi, le quali erano il bianco dove sempre mai il suo occhio mirava, onde per impossessarsi di queste, fece divortio con Cerere e Bacco (che) solo alla sua mente parcamente si faceano vedere, perchè il cuore gravido dell'ansia d'acquistarle nauseava ogn'altra bevanda e cibo, benchè havesse dalla mensa di Giove disceso, quest'intorbidando la mente ingrossa l'ingegno; sudò, irrigidì ed arse di sete per far in lui fiammeggiar la dottrina. Alla fine, sentendo de' Dottori di Pisa la fama, ivi se ne passò senza farvi dimora. Fu questi glorioso nipote d'Antonio e figlio d'Andrea, anche nella legge Dottori, mostrando esser quasi trasfusa col seme quella, la quale tutta risiede nell'anima; non possono gli eccellentissimi Dottori del Collegio di Pisa non tramandare in sino al Cielo di Gregorio le lodi, com'appare per il privilegio in pergamena vergato, il quale incomincia:

In Dei nomine, amen. Simon Petrus Picta Canonicus et V.I. D.r Pisanus etcc.. che dopo alcune righe siegue: ....eius igitur praestantia motus Mag.cus = Eccellentissimus ac praestantissimus vir Dominus Gregorius de

Bartholis Siculus Nicosiensis, Nepos Excellentis Domini Antonii de Bartholis V.S. D.ris = Magnifici Andreae de Bartholis V.I. D.ris = et Dominae Norellae della Via filius: quem virtus eius eximia suique approbationis, ac laudationis mores omnibus exhibent ad mirandum, colendum, et venerandum. Cum omnibus artibus superioribus proxime e lapsis temporibus operam prius diligentissime novasset, quae huius velut praesidium semper extimaverit. In hanc sanctissimam V.I. scientiam oculos tandem, mentem animumque, direxit, quam ut toto pectore amplecteretur, abstinuit Cerere et Bacco, sudavit, et arsis, natale solum, amicos, parentesque reliquit, et in celeberrima Neapolitana Academia tanta cura, studio diligenti, atque solertia per plures annos legibus insudavit, ut ad Cleantis, Aristophanisque lecernam vigilasse ab omnibus crederetur. Postremo doctissimorum virorum excellentissimo V.I.D. qui in hoc almo Pisano eadem profitentur Iure Gymnasio fama excitus in suorum laborum optata, condignaque praemia consegneretur Pisas se contulit etcc....

e siegue poco dopo: Per has nostras ipsum Magnificum Dominum Gregorium de Barthulis pronunciantes, affirmantes I.V.

Excellentissimum esse Doctorem. Datum Pisis in Palatio Archiepiscopali in aula superiori. Dominicae Incarnationis anno 1557.

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GREGORIO CALI', giurista l'anno 1594, il quale fu uomo dottissimo e versatissimo nelle leggi. GREGORIO SALOMONE, leggista nell'anno 1665, da buon Dottore mostrossi. GUIDO DE BURSA, nell'una e l'altra legge Dottore l'anno 1346, da eccellente si palesò ed ingegno sublime. GUGLIELMO PIDONE, Dottore in legge l'anno 1615, uomo prudente e di molto sapere. DON IPOLITO FIGUEROA, giurista, fe' mostra l'anno 1596 da peritissimo leggista in questi tre Magistrati (?). DON ISIDORO BERITELLA, medico l'anno 1676. LAURENZIO SALOMONE, leggista, fece comparsa col suo sapere l'anno 1531 con somma lode del publico. LEONARDO BARTOLI, nell'una e l'altra legge Dottore nell'anno 1484, come appare per il suo privilegio del

Dottorando il quale incomincia: In aeterni Dei nomine, amen. Robertus Stroxis de Florentia V.I.Dr etcc... e dopo poche linee siegue: Cum istaque vir nobilis, et praestantissimus Dominus Leonardus filius Andrea de Barthulis Siculus Nicosiensis,

quem eius ingenii, et praeclara virtus, scientia et laudatissimi mores omnibus exibent admirandum, superioribus tempo-ribus studens in Clarissimo Pisano Gymnasio et in aliis Italiae Universitatibus in quibus niget et floret studium generale ad eo liberalibus artibus logicae, et philosophiae divina sibi favent et assistente elementia profecit assiduo studendo acutissime conferendo, disputando e aeterosque actus scolasticos solemniter exercendo, tandem dominus Leonardus externa die per clarissimos, et Excellentissimos Doctore tamquam idoneus et benemeritus recipere puncta, subire examen, qui quidem Domino Leonardo eadem die in artibus, et scientiis praedictis de more puncta assignata fuerunt. Unde nos Robertus Vicarius ante dictus de Concordia, consilio et consensu omnium Magistrorum et doctorum dicti Collegii ipsorum nemine disepante veluti sufficientissimus, et mirum in modum doctum in dictis artibus, et scientiis. Super Cathedra constitum diligenter examinatur et approbatum praefactum Dominum Leonardum etcc...

Datum et actum Pisis in Palatio Archiepiscopali, et in aula superiori, ubi similes actus celebrare consueverunt. Dominicae Incarnationis anno Millesimo quatuorentesimo octuagesimo quarto Inditione prima die vero decima

Mensis Septembris stilo Pisano. DON LEANDRO GUSSIO, giurista, Barone di Belvedere, fiorì l'anno 1644, nella legge dottissimo, d'ingegno

sottile, fu eletto Giudice della Città di Palermo da S.M. l'anno 1646, e per aversi prudentemente e da vero Ministro portato, obbligò l'Ill.mo Senato di quella far lettere di rendimento di gratie alla prefata Maestà d'havergli eletto soggetto tale eminente nella dottrina, al giudicar prudente e nel governo sollecito, uomo infine qualificato per Giudice, e dette lettere sono nell'Officio di detto Ill.mo Senato registrate, date a 5 di Gennaio 1647; l'istesso appare per lettere dell'Eccellentissimo Signor Vicerè di questo Regno scritte a molti Signori Cavalieri di questa famiglia Gussio per le quali si scorgono molto graditi li servitii fatti alla Corona Reale. Ed ultimamente in quella delli 15 di Giugno 1647, diretta al Signor Barone Dr Don Pietro fratello del detto Don Leonardo, per la quale si legge:

Demas delas noticias, que continuamente me ha yolo dando (lettera) et Dr D. Leandro Gussio hermano de V. Mercè, visto de lo que V. Mercè, ma escrive y per los avisos que è tenido là fineca con que ha acudido a sus obligaciones anna diente este alos demas meritos de ni Casa.

E di quel che siegue soggiunse: .....nò desirta de obrar come asta à qui ha echo paraque, etcc....Y sirba de conseguencia alos demas nobles, que en

otras partes pudan imitarel zelo y atecion di nustra Mercè. Ed altre si vedon in Secreteria di ringraziamento mandate al detto Don Leandro Gussio in Palermo el 14 di

Settembre 1647. DON LEOTA SPECIALE, Teologo e leggista, pompeggiò l'anno 1610, fu Canonico di questa Matrice di San

Nicolò. LUCA CRISPALDO, medico filosofo, non ho possuto havere in che anno egli visse per poterlo dichiarare quanto

fosse contrario alla morte. DON LUCA PARDO, Teologo nell'anno 1670. LUCA PIDONE, giurista, fiorì l'anno 1640 da buon soggetto nell'una e l'altra legge. LUDOVICO FONTANA, leggista, di questi neanche ho possuto saperne la notitia quando scorreva torrenti di

dottrina in questa Città.

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LUDOVICO ROMANO, Dottore in legge, fece mostra del suo elevatissimo ingegno in questa valle di lacrime l'anno 1520.

DON LUCIO LOMBARDO, Dottore in Teologia, uomo dottissimo ed ingegno si' applicato alle scienze ed alle arti

liberali, che se ne morì in età immatura. DON MARCO ANTONIO GUSSIO, Teologo e nell'una e l'altra legge Dottore, fe' pompa del suo eminente sapere

in Madrid alla Corte Reale, le sue eroiche virtù, così morali come Christiane, lo resero nell'anno 1640 ammirabile al medesimo Cattolico Signore, dal quale prima fu eletto Vescovo di Cefalù l'anno 1644, e dopo nell'anno 1650 occupò per li suoi pregiati meriti la sedia Vescovile della Città di Catania e sua Diocesi, amministrò egli nell'una e l'altra parte le parti d'un zelante e perfetto Pastore, quanto sin'ora ne rimbomba il grido.

MARCELLO CAPRA, medico filosofo, fiorì il suo sterminato sapere l'anno 1569. Fu eccellentissimo nell'arte,

onde se lo prese l'Altezza Serenissima Don Giovanni d'Austria, e per il suo Spedale famoso molti anni lesse publicamente in questa, al cui studio si conferivano molti da diverse Città e Terre, e uscirono tra gli altri quei due ingegni sublimi sopra cennati Ambrogio Baldi ed Antonio Caprini, che per rendersi più perfetti si conferirono in Padova per sentir la dottrina di Girolamo Mercuriale dalla fama decantato cotanto, il quale allor che seppe che nella propria Patria haveano allo studio di Marcello Capra la lor filosofia e medicina appresa, tessette un elogio di gloria al personaggio descritto, e finalmente li disse che un gran torto havean fatto a lasciar un Democrate di questi tempi così eminente e nella professione dottissimo, per udire il sapere d'uno che gli poteva servir per discepolo. Tanto riferirono al ritorno in Patria.

L'opere che compose furono in numero grande; solo quattro ne diede alle stampe; una in due parti, intitolata la prima "De Sede Animae et Mentis ad Aristotelis principia ad versus Galenum quaesitum", mentre la seconda (che va annessa con questa) è intitolata "De immortalitate Rationalis Animae iuxta principia Aristotelis ad versus Epicurum, Lucretium, et Phitagoricos", stampate in Palermo 1589, in cui si leggono molti Epigrammi fatti in lode dell'Autore dalli suoi studenti, cioè da Erasmo Natali e da Natale Pace Brontese: quella sola fatta da Pascale Manti Gangitano filosofo e Medico, alludendo alla Città d'Erbita Nuova, riportò che può gloriarsi d'avere un tale soggetto col dire:

Patria praeclaro, quotata Trinacria claret Herbita nunc gesti, clarior ipsa viro.

Forte Magistratus (ab sit vulgare) parandi Hic fuerit cupidus, quae si eritque tuos ? Cum non servili natus, non ipse gigantem

Germanus fuerit noluit ista sequi. Caseus aut theca librorum candidus exit ? Haec doctos plures parturistque (?) domus.

His addas parvam forsan(?) laudemque decusque. Hos Peperit magnuum corpore si minimum ?

Diserte loquitur, sublimis, nil peregrinum, Frugi verba movens, irrita verba tacet.

Vetus Amaltheae Capra hic si capra petivit Altius, o felix patria, civis erat !

Nella seconda fatica che mandò alla luce, riferisce egli stesso nella seguente opera essere stata sopra le virtù e lodi della Scorzonera, ove "de Morbo Pandemico" dice:

Cuius laudes, et virtutes extant in quodam meo tractatu noviter in lucem edito Ed ultimo: De Morbi Pandemici causis, symptomatibus, et curatione liber unus. Marcello Capra Siculo Messanensi Philosofo, et Medico Autore. Messanae MDXCII. E li Messinesi vanamente pregiansi d'haver la sua Patria partorito un cervello così celebre ed illustre nelle scienze,

con fargli il ritratto ove scrissero "Marcellus Capra Messanensis"; e se costoro dicono, che pur vivente nell'ultimo suo libro si dichiarò anche Messinese, fu per lusingarli nel genio, e sferzare gl'emoli del prorpio paese.

Si stima, come per traditione rapporto, haver'egli andato a Roma con gl'altri uomini illustri del Mondo Christiano, dove concorsero chiamati per la correzione dell'anno 1582 dal Sommo Pontefice Gregorio XIII.

MARCO BALDI, giurista, fiorì l'anno 1544 nell'una e l'altra legge dottissimo. MARCO LA GRECA, medico filosofo, non mi è pervenuto in qual'anno habbia vissuto per dar salute agl'infermi. DON MARCO PROVINZALE, Teologo nell'anno 1669, fu Predicatore e Canonico della Matrice di Santa Maria. DON MARIO CALAMARO, Dr. in Teologia l'anno 1640, fu Canonico di detta Matrice di Santa Maria.

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MARTINO MASSAMUTO, leggista, fiorì l'anno 1461 da ottimo ingegno ed in quelle dottissimo. MASSIMO ROVELLO, filosofo e medico, nella professione fu massimo l'anno 1590 e dimostrossi da tale. MATTEO BARONE, nell'una e l'altra legge eccellentissimo, fu questi Conte Palatino come appare per un

amplissimo Privilegio fatto nell'anno 1534, che dice: Ioannes Dominicus Cuppis Miseratione. Divina Episcopus Portuensis Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalis

Traveri nuncupatus dilecto filio Mathaeo de Barone de Civitate Nicosiae Messanensis Diaecesis Comiti et Militi Palatino salutem in Domino sempiternam etcc...

Per il quale gli dona potestà di Dottorare così in Teologia, nell'una e l'altra legge, Medicina, come in tutte altre lecite facoltà precedendo però un diligente esame di tre Magnifici Dottori, i quali trovando di costumi ed in scienza idonei e sufficienti soggetti da laurearsi possa col parere di detti Magnifici fregiarli liberamente con le solite insegne Dottorali, ed anche quelli che riconoscerà degni d'esser annoverati tra la Nobiltà e Grado di Cavalieri voglia a tale dignità esaltarli con potestà di poter creare Notari idonei e letterati ed anche di legitimare i Naturali o Bastardi, o d'altro illecito concubito in forma larghissima, e tali siano tenuti per legitimi e naturali come fossero nati da lecito e vero Matrimonio con legitima successione nell'eredità Paterna. Tutto questo l'ho cavato da detto Privilegio in pergamena:

Dati extra muros Urbis Romae prope portam Portuensem sub anno a Nativitate Domini Millesimo quingentesimo trigesimo quarto Inditione Septima, die vero tertia Mensis Decembris Pontificatus Sanctissimi in Christo et Domini nostri Pauli divina providentia ipse tertij, anno primo etcc..

presentato ed esecuto e registrato in questa Città per ordine di Gregorio Calì, Giudice letterato, e restituito alle parti, che già attualmente lo tengono. Al cui Mausoleo eretto, come sopra al terzo libro Capo IX si disse, in questa Collegiata Matrice di San Nicolò in una delle due tabelle di esso vi è inciso questo distico:

Mattheus Baro Doctor, lex viva sepultus Hoc cubat in saxo, spiritus astra tollit 1573

e nell'altra a lato: Inclita Baronum sacratur possidet arcum legibus, e qui parat trina propago patrem. Della sua propria Capella sotto la protettione delli gloriosi Martiri Cosmo e Damiano. DON MATTEO de BLANDO, giurista, da ottimo e sapientissimo Dottore fiorì l'anno 1572. DON MATTEO BOSCO, leggista nell'anno 1620; fu Canonico di questa insignita Capitolare Collegiata Matrice di

San Nicolò. MATTEO CAMERANO, l'anno 1420 dottissimo nell'una e l'altra legge. MATTEO LA FORBITA, l'anno 1424 da leggista eccellente fe' scena. MATTEO GUSSIO, l'anno 1494 fiorì da Dottore sapiente nell'una e l'altra legge. MATTEO MARANTO, Dottore in legge l'anno 1614, da uomo dotto e versato campeggiò. MATTEO MAIGERIO, giurista, non mi è portata notitia in che anno habbia vissuto da sapiente ed in vero da

uomo dottissimo. MATTEO NIGRELLI, filosofo e medico, fiorì l'anno 1560 per portare allo spesso alla morte terrore. PADRE MAESTRO MATTEO ORLANDO, dell'Ordine del Carmine nell'anno 1642, Padre dottissimo eminente

Teologo, benchè non prodotto in questa, fu però generato da Padre Nicosiense. Mandò egli alla luce delle stampe in Roma un'opera, che tratta de Incarnatione, de Concetione Beatissimae V.M. de Sacramentis in genere, de Eucarestia l'anno 1653. Fu Vescovo di Cefalù nel tempo come sopra si disse nel Cap.2.

MATTIOTA CUCUGINO, leggista, fe' pompa del suo sapere erudito l'anno 1515. PADRE fra' MELCHIORE da NICOSIA, Capuccino Teologo e Predicatore insigne. MERCURIO ALESSI, nell'anno 1578 fu nella legge Dottore eruditissimo e di ingegno elevato. MICHELE BONOMO, filosofo e medico, fiorì l'anno 1660 che se non era dalla morte tolto nell'immaturità della

vita havrebbe fatto eccellente progresso. DON MICHELE LA VIA, nell'una e l'altra legge Dottore, l'anno 1630 fe' mostra del suo talento in tutte queste tre

Corti.

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MIOTTA BALDI, giurista, fece la sua parte nella terrea mole del Mondo da egregio Dottore l'anno 1542. DON NICOLO' ANTONIO AGNELLO, Teologo, l'anno 1614 mostrò pompa del suo ingegno, e fu Canonico di

detta Matrice di San Nicolò. NICOLO' ANTONIO FONTANA, leggista l'anno 1515 da uomo dottissimo. NICOLO' ANTONIO GARIGLIANO, filosofo medico l'anno 1595 per introdurre con i suoi farmaci la salute

esiliata da' corpi dalla malignità degl'umori abbracciata. NICOLO' ANTONIO PROVINZALE, Dottore nell'una e l'altra legge, diede saggio del suo erudito ingegno e

molto sapere l'anno 1513 in questi tre Tribunali. NICOLO' CAPRINI, filosofo e medico l'anno 1570 da eruditissimo nel suo mestiere, che con i suoi cartocci

salutiferi portava molti obbrobrii alla morte. NICOLO' FALCO, Dottor di legge nell'anno 1578 mostrossi da perspicace leggista. DON NICOLO' LA GIGLIA, Teologo e giurista, fe' mostra del suo profondo sapere l'anno 1654. Lesse molt'anni

a' publico studio. Fu Canonico della detta Matrice di San Nicolò e poscia Archiprete di questa Città. DON NICOLO' GIOENI, Dottor in Teologia fiorì l'anno 1625, fu Predicator famoso di Corso Quaresimale in

molti pulpiti d'onore in questo Regno, ed anche Canonico della già detta Matrice di Santa Maria. NICOLO' GUSSIO, leggista l'anno 1507 da Dottore eccellentissimo fu reputato. NICOLO' SABIA, nell'una e l'altra legge Dottore l'anno 1423 in circa, di cui discorrendo il Padre Pietro Ansalone

de' Chierici Regolari Minimi Messinese nella sua Famiglia Genologica, dice: E Nicosia processere Nobiles de Sabia cuius Patrus praedives fuit, Pheudi Malpertusis in Valle Demone, qui enim

Uxoris iure Ioannellae de Marinis alias de Ferrerio Calamonaci et Belripari in Valle Mazarae sed Nicolaus legum Doctor fisci Patronus celebris illud verbum caudi acquisivit in eadem Valle pecunia. Mado ex tunc Panormi familia constituta.

Ma la famiglia di Pietro rimase in Nicosia da dove ella procede. PADRE fra' NICOLO' da NICOSIA, di Casa San Marco, de' Minori Reformati di cui sopra in questo libro al

Cap.1 si disse, fu Teologo, uomo dottissimo, di cui il Padre (a) Passaflumine scrisse sopra anche citato: Frater Nicolaus Herbitanis alias de Nicosia, qui Scoti difficultates in Salmaticensi Academia publice pro rostris

mascima dexteritate enodavit, apernitque; unde maxima sibi quoque laus accessit. NICOLO' TRAPANI, giurista, fece pompa il suo ammirando sapere l'anno 1470. DON NUNZIO ROSIGNOLO, Dottore in Sacri Canoni l'anno 1630. Fu Canonico della detta Matrice di Santa

Maria e Commissario della Santissima Inquisizione in questa. ONOFRIO CARDELLA, leggista l'anno 1476 da prudente e dotto palesossi nel suo mestiere. OTTAVIO CAPRINI, Dottore in Medicina, diede molti assalti alla morte e la superò più volte con li medicamenti

opportuni; fiorì l'anno 1590. DON OTTAVIO CAPRINI, nell'una e l'altra legge Dottore l'anno 1677; fu Canonico e Liantro (o Ciantro ?) in

detta Matrice di San Nicolò, Protonatoro Apostolico V.F. di Monsignor Arcivescovo di Messina e Commissario della Santissima Crociata.

DON OTTAVIO ROSSO, Dottore in Teologia l'anno 1595; fu Archiprete di questa Città. OTTAVIO TESTA, giurista, fiorì l'anno 1656 da ottimo Dottore nell'una e l'altra legge. PATRIZIO SCARPELLO, leggista l'anno 1375, fu eccellente Dottore e d'ingegno acuto e perspicace. DON PAULO BARBUZZA, Teologo l'anno 1578, fu Archiprete di questa Città.

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DON PAULO SAN MARRO, in Teologia Dottore fiorì l'anno 1644, Canonico di detta Matrice di Santa Maria, Commissario in questa della Santissima Inquisizione, e dopo fu Canonico di San Pietro del Palagio in Palermo.

PERRONE d'ANTONIO, giurista, fece comparsa in questi Tribunali il suo eccellente ingegno nel 1390. PERRONE di NOTARPAULO, leggista, amministrò in questi tre Tribunali la Giustizia col suo sottilissimo e

prudente sapere l'anno 1397. PIETRO ABRUZZO, Dottore nell'una e l'altra legge, fiorì l'anno 1478 da ottimo leggista cresse la bilancia d'Astrea

in questi Magistrati con somma prudenza. PIETRO ALESSI, giurista l'anno 1631, sacente d'ingegno elevato governò questi Magistrati con tatto politico e

dispotico sapere. PIETRO DON GUIDA, giurista nell'anno 1477 fece mostra del suo cervello sublime. PIETRO ANTONIO MIGNIA, leggista mostrò la sua eccellente dottrina l'anno 1573. PIETRO BRANCATO, medico l'anno 1675. DON PIETRO CIANCIARDO, Dottore in legge l'anno 1644, da buon virtuoso in questi Magistrati mostrossi. PIETRO COLTILETTI, filosofo e medico l'anno 1685 fiorì da ingegno sollevato, e se Astrope non l'havesse

troncato il filo della vita quasi nel principio, che Lachesi la filava, haveria riuscito medico eccellente non minor del suo lettore La Scala.

DON PIETRO GUSSIO, giurista famoso, fiorì l'anno 1636 da uomo dottissimo e nella legge versato, soggetto di

gran consegli, stimato dalli Vicerè di Sicilia come sopra si scrisse in questo capo a suo fratello Don Lorenzo per il suo sapere e nascita.

PIETRO LA GIOSA, filosofo e medico, fiorì l'anno 1521. Fece pompa per debellar l'infermità che i corpi umani

opprimevano. PIETRO LO GUZZO, Dottore e in filosofia e in medicina, di cui non mi è pervenuta notitia dell'anno in cui habbia

fiorito. PIETRO DI PIETRO ROSSO, giurista l'anno 1390, da uomo dottissimo e prudente nel giudicare portossi. PIETRO ROSSO, Dottore in legge l'anno 1622, da vero intelligente ed ingegno elevato fe' mostra. PIETRO SABIA, leggista, Barone di Malpertuso e San Basile, fiorì l'anno 1477 e la bilancia di Astrea mantenne

nella sua nobilissima destra più volte a beneficio di questo publico. PIETRO SPANO', nell'una e l'altra legge Dottore eccellente e dottissimo, di cui non s'ha possuto haver certezza di

quando habbia fiorito. DON PETRO LA VIA, Dottore in legge l'anno 1642, da intelletto perspicuo in questi Magistrati amministrò la

Giustizia. POMPILIO BARONE, giurista non minore degli altri della sua propria fameglia, pompeggiò la sua dottrina l'anno

1566. DON RAFFAELE CAMPIONE, Teologo, fu Parocho della Chiesa di San Michele Arcangelo di questa, e si

diportò da Zelante Piovano delle anime a lui commesse. RAINALDO ALESSI, nell'una e l'altra legge Dottore, fiorì l'anno 1425 nella dottrina legale eccellente. RAINALDO de LITIS, giurista, non mi è pervenuto a notitia l'anno che puote governare questi Magistrati. RAINALDO SALOMONE, leggista, comparve la sua dottrina in questi Tribunali l'anno 1368. RUGGIERO ALESSIO, giurista dottissimo l'anno 1360.

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RUGGIERO di GIORGIO, nell'una e l'altra legge Dottore l'anno 1376, cresse più volte la bilancia d'Astrea in

queste Corti. DON SATURNINO LA VIA, Dottore in Teologia, fiorì l'anno 1660; lesse a studio publico più anni e fu

Predicatore. DON SEBASTIANO CEPOLLA, Teologo l'anno 1620; fu Predicatore esimio, che in molte Chiese annunciò la

parola di Dio, anche nelle Chiese Moniali della Città di Palermo, ed in essa fu Canonico della Cattedrale. Abbate di S. Elia di Troina come si è detto in questo libro Cap. 2.

DON SIDERIO MUZZICATO, Dottore Teologo, fece pompa del suo sapere l'anno 1542. DON SIGISMUNDO BRAZZAVENTI, Teologo, fiorì l'anno 1660; fu Predicatore Canonico della Matrice di

Santa Maria. PADRE SILVESTRO da NICOSIA, dell'Ordine di San Francesco detto li Capuccini, Predicator Generale esimio,

molto dotto l'anno 1640; predicò il Quaresimale nella Chiesa Nuova di Roma. SILVESTRO GAMBACURTA, giurista famoso l'anno 1604, soggetto molto eminente nell'una e l'altra legge, più

volte governò questi Magistrati ed anche allo spesso Sindicatore del Regno. SILVESTRO SPANO', leggista l'anno 1604 fece pompa del suo gran sapere in questi Tribunali. SIMONE ALBERTI, Dottore in legge l'anno 1558, virtuosissimo ed eccellente, governò più volte in tutti questi

Tribunali. SIMONE BOSCO, filosofo medico l'anno 1634 e poscia nell'una e l'altra legge Dottore l'anno 1666. STEFANO NIGRELLI, Dottor in medicina l'anno 1615, da medico ottimo fe' comparsa. TOMASO BEVILACQUA, nell'una e l'altra legge Dottore, fece mostra ne' Tribunale nel Teatro di questa Città

l'anno 1616. TOMASO MIGNIA, giurista l'anno 1536, fiorì da leggista eccellente in questi Magistrati. VINCENZO BALDI, filosofo medico, nacque per esiliare l'infermità dalli corpi mal'affetti l'anno 1558. VINCENZO BONOMO, medico, fiorì l'anno 1665 in circa, che se non havesse stato percorso dalla morte, haveria

riuscito medico di gran nome. VINCENZO CALI', leggista l'anno 1582 diede saggio del suo profondo sapere. DON VINCENZO CASTROGIOVANNI, Dottore in legge, fu Canonico della già detta Matrice di San Nicolò

l'anno 1605 et anche V.F. di questa Città. DON VINCENZO CIANCIARDO, nell'una e l'altra legge Dottore, fiorì l'anno 1652 da ottimo sacente. DON VINCENZO COMPARATO, Dottore Teologo l'anno 1546 da uomo dottissimo stimato. DON VINCENZO FISAULI, Teologo l'anno 1637, fece comparsa del suo sapere versatissimo nella Sacra

Scrittura; fu Canonico di questa Matrice di San Nicolò. DON VINCENZO LA GIGLIA, in Teologia Dottore l'anno 1646. Fu lettore di studio publico in questa. VINCENZO LA GRECA, giurista, non ci è pervenuto a notitia in che anno fiorì. DON VINCENZO MIRITELLO, Teologo l'anno 1583; fu Canonico di detta Matrice di San Nicolò. DON VINCENZO PROVINZALE, Dottor in Teologia, uomo d'ingegno sublime, lettore di publico studio soggetto

nella dottrina scolastica, problematico in tutte le scienze ed in qualunque questione se gli poneva, così sottilmente e gagliarda mente l'una e l'altra sosteneva, che si faceva concedere tutto quello (che) voleva. Fu Canonico di questa

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Matrice di San Nicolò, e per la sua dottrina eletto da Monsignor Vescovo di Messina Proto-esaminator Sinodale, che questo sol basterebbe a dichiararlo tale quale non si può celebrare a sufficienza.

DON VINCENZO PROVINZALE, Dottore in Sacri Canoni, fiorì l'anno 1664; fu Canonico di questa Matrice di

San Nicolò. DON VINCENZO RIZZO, Teologo, fu Canonico di detta Collegiata di Santa Maria. DON VINCENZO VENTIMIGLIA, Dottor in legge l'anno 1510 da vero prudente in questi Magistrati si dimostrò. DON VINCENZO LA VIA e BOLOGNA, nell'una e l'altra legge Dottore, l'anno 1572 spiccò in quelle dottissimo,

più volte Giudice in tutti questi Tribunali; fu posto da S.E. alla nomina di Giudice della Regia G.L.; Atropo, invidiosa delle glorie a tal soggetto meritate, gli troncò il fil della vita.

VINCENZO FALCO, giurista l'anno 1648 fu ottimo Dottore in questi Magistrati governando la Città. VIRGINIO FISAULI, leggista l'anno 1658, fu più volte Giudice in tutti questi tre Tribunali. DON VITTORIO BOSCO, Dottore in Teologia, lesse publicamente il corso delle scienze scolastiche; non s'ha

possuto havere notitia certa quando fiorì, che potrìa essere per congettura l'anno 1628. PADRE URBANO da NICOSIA, Capuccino della famiglia Nobilissima Gussio e Pannuso, fu per la sua dottrina e

prudenza Provinciale del suo Ordine, come riferisce il Padre (a) Passaflumine nella sua opera allo spesso citata, parlando di questo Convento delli Padri Capuccini:

In quo floruit f. Urbanus Gussius et Pannusius Provincialis. Questi mi sono portati sin'ora a cognizione; se altri se ne troveranno havverrà la bontà, chi ne tiene la notitia,

annoverarli a' suoi luoghi in questo Catalogo Alfabetico per renderlo più numeroso ed arrichito.

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DELLE FAMEGLIE NOBILI

CAP. V

Non si creda il Mondo che così Erbita Antica come la Nuova, ambe mediterranee, habbiano andate povere e mendiche d'uomini illustri nel sangue ultimo ed infimo grado della nobiltà, che fin'ora copiosamente s'è detto.

Dell'Antica, c'hebbe le fondamenta dopo l'Universale Diluvio, non si scorge vestigio d'Eroe alcuno, ma passati poscia molti secoli, quattro sol uomini di quella detti nel Cap.3 di quest'ultimo libro fiorirono: uno fu Arconide Principe d'Erbita eletto, che poscia coronò la sua testa ammiranda col Diadema Reale, e da tale finì i suoi giorni; Lampridione l'altro Nobil di sangue e di lettere; Fileno poi, ed Eubolide Nobili letterati, fecero tutti pompa in Sicilia e nell'alma Città di Roma, e gli altri che vi furono si tacciano dagl'antichi Scrittori.

E della Nuova ch'oggi si fregia col nome di Nicosia, che pure della fondazione non habbiam memoria d'uomini insigni nel sangue se non da quattro cento anni a questa parte in circa, dove si scorge qualche dimezzata notitia, e per non pregiudicare a nessuno nella precedenza del luogo ad Alfabeto si portano le sole fameglie senza formare il dovuto elogio, oltre che temo incontrar qualche livore in materia tanto gelosa, si chè s'astiene lo stile etiando di celebrare alcune glorie riportate da scritture evidenti, per isfuggire di parti ale la nota, ed interessato il vento che falsamente lo va alle volte sognando, non sono qui i Giovi che piovono in seno alle Danee l'oro a diluvi, ne ho preso la penna per addossarmi la propria leggerezza co' doni che ne è stata sempre aliena, ne quei sono in cuore agl'abitanti e nativi di questa, la quale sa le pietre d'Arena fondate, par che trasfondesse ne' figli aridezza di mano.

Solo si portano quelle schiatte che fiorirono di Mastra, o vogliam dire c'han governato la Città con gl'uffici di Capitano, Giurati o Senatori per non porre gl'inchiostri in un laberinto d'errori o in pelago pieno di sirti; vi sono state altre prosapie nobilissime e più chiare del Sole, ma perchè ripudiarono e non han voluto entrare in quest'arringo d'ufficii, si tralasciano, e solo di quelle che furono e sono di Mastra si parla, con l'avvertenza d'estinte, questo ben si sappian dire, che la nobiltà delle stirpi di Nicosia è stata tale che s'ha fatto sospirare per gl'invecchiati lustrori degl'anni dalle più cospicue fameglie di Palermo, Messina, Catania e delle più Nobili di questo fertilissimo Regno, quanti s'hanno congiunto in Sacri Imenei tra loro, ne occorre nominar lignaggi essendo a tutti ben noti, anzi tal'uni, come dissi la cozzano con le schiatte primarie del Regno ne' loro affumicati e polverosi trofei della grandezza leggendosi ad incavature di secoli le prodezze gloriose degli Avoli; di tutto ciò ne sono pieni gli Archivii e lo potrà verificare ogn'uno per la sua parte, già che non riesce a me lecito in quest'opera tessere elogi alle fameglie con porre la falce nella messe del Teatro Genologico riserbato per altro a distinti Scrittori, oltre restar fuori della nostra intenzione che mira lo scopo di una breve e compendiosa notitia, e se volessimo rapportar encomi a ciasc'un, sarìa da formare un altro intiero volume, e restar cieco ne' bagliori del sangue; sicchè sortisce assai meglio allontanarmi da Mercurio ed accostarmi ad Apocrate, che con l'indice alle labbra m'insegna il tacere.

Sono dunque le prosapie nobilissime, delle quali n'habbiamo havuto sin'ora notitie, l'infrascritte: Abruzzo estinta = Aceto = Agnello estinta = Albamonte estinta = Alberto estinta = Alessi Barone di Sisto = Ansaldo

= Baldi = Barbuzza estinta = Barone estinta = Barone della Città di Naro = Barresi estinta = Bartoli = Basilotta Barone di Sant'Andrea e sette feudi = Beritella = Bonanno estinta = Bosco = Bruno = Calabrò estinta = Calì estinta = Camastra estinta = Campione estinta = Cancellario = Capra = Caprini Barone di San Bartolomeo e Cavallaria estinta = Cardella estinta = Castrogiovanni estinta = Castillo estinta = Catanese estinta = Cavaleri estinta = Cipolla = Chiovetta estinta = Cianciardo = Coffitella estinta = Crione estinta = Donguida Barone di Montegrosso estinta = Ebano e Cardona estinta = Evola estinta = Falco = Farfaglia estinta = Farina estinta = Figueroa estinta = Fontana Barone di Melia estinta = La Fontana = Furnari estinta = Fulco estinta = Furno estinta = Gallo estinta = Gambacurta estinta = Garigliano =

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DEGLI UOMINI ILLUSTRI NELL'ARTI LIBERALI E MECHANICHE

Cap. VI°

Non sono solo gl'uomini nobili a mio credere la perfetione d'una Città, poichè (come dissi nel Lib. I° Cap. III°) nella seconda condizione che ricerca Aristotile per potersi chiamare tale, anche vi devono essere Professori ed Artefici con le loro Arti Liberali e Mechaniche che la rendono famosa e d'ogni cosa abbondante; sì come dell'un e l'altra n'è stata Nicosia fecondissima potendolo testificare tutta la Sicilia, che l'ha veduto sempre fiorire.

Non solo sono vaghi i Giardini dell'universo, in cui ad arte tralampan le Rose, i Tulipani, gl'Anemoni ed altri tanti fiori, quali schierati da flora in una vaga tenzone, si decantan per pompa dell'occhio, ma anche li rendon famosi quelli che la natura da se stessi produce ammantandoli d'oro e di porpora: le Viole e Boragini mandano da se stesse all'odorato assai grati gli odori.

E benchè quest'arti liberali e mechaniche si trovan per lo più in uomini di generazion Ordinaria, non per ciò dagli Scrittori Eccellenti quando sono perfetti vengono dalla lor memoria banditi, ma nelle descritioni delle Città più famose quelli annoverati, già che come dissi rendono le Città riguardevoli e di pregio maggiore.

La Pittura, che sa finger col pennello le lontananze, bensì all'occhio vicine, monti e selve fa comparire nelle pianure d'una tela dipinta e con i colori i volti nostri e i nostri affetti esprime; architetta machine si' levate a forza d'ombre oscure, forma Oceani con l'azzurro senza acque, frutta ma senz'odoree sostanze, i più vaghi fiori c'hanno sol su seta esistenza, inalza insuperabili rocche ma senza munizioni, pennelleggia sanguinose battaglie, estinti a terra coloro che mai hebbero vita; in somma è un'arte ingannatrice dell'occhio di colui che con diletto la mira.

La Scultura poi rappresenta al contrario di quella, già che da un tronco ruvido e silvestre, un simulacro gentile o santo che vive eternamente nel Cielo a rilievo ne forma.

La Musica che da tante canne disgiunte e nella proporzione ineguali, fa un misto armonioso, o da tante voci diverse compone un Concerto, che rapisce con diletto lo udito.

Questa Città non è andata mendica di tali soggetti nell'eminenza perfetti, come hora dirossi. Fiorì in questa l'eccellente PIETRO VINCI, il quale ogn'altro vinse negl'armoniosi suoi canti; l'opere che diede alla

luce delle stampe furono un voluminoso fanale a coloro che in questo mestiere eran saccenti. Fu egli stiamto di tutta Italia l'Apollo, intraprese lunghi e faticosi viaggi per questa, e per dove drizzò i passi,

stampava orme d'armonia ammirabile; condiva il cromatico stile degl'altri col suo, artificioso, mellifluo e giulivo; e stanco dal più passegiare le contrade straniere, alla Patria che li diede i natali fe' ritorno, e delle note i giorni felici, volle ch'una notte gl'ultimi dì della sua vita chiudesse, e con esso lui tramontò il nostro Anfione.

Questo successe nell'anno 1580. Il di lui corpo fu sepellito in questa Matrice di San Nicolò e lo spirito all'empirea Magione donde ricevè il suo essere

eterno fu trasportato, e con ragione poichè l'armonia del suo canto palesava l'armonia del suo cuore. Fuvvi qui in terra, alla pietra che chiuse l'Avello, inciso questo distico, portato dal Padre (a) Passaflumine, che

scrisse: Anno 1580 non obscuri nominis per totam fuit Europam Petrus Vinci Herbitensis Musicus eximius, cuius tumulus in

Aede S. Nicolai cernitur versibus inscriptis sequentibus: Non opus est metro, cum toto notus in Orbe

Inclita iam Vinci musica morte caret ed altri quattro versi Italiani che dicono:

Di fama ornato, e non di gemme ed astro giace qui il Divin Pietro Vinci (che) il vanto e'l pregio tolse a' musici, ch'intanto (eran)

luce, lume, splendor del secol nostro Porta, per le glorie di quest'ingegno eccellente, il Padre Paulo Chiarandà della Compagnia di Gesù, nella

descrizzione (che) compose della Città di Piazza, un soggetto illustre in Musica e per innalzarlo alle stelle disse che fu discepolo del detto Vinci.

Riccardo La Monaca Carmelitano, eccellente compositore di Musica, discepolo di Pietro Vinci, diede alle stampe molte opere in tal mestiere.

DON ANTONIO GUSSIO, Mastro di Cappella di questa Matrice di San Nicolò, fu ammirabile e compose

molt'opere belle in tal mestiere di Musica, ma non le diede alle stampe; sonatore di Organo e Cembalo, così veloce di mano che inimitabil si rese; si ritrovò in Catania e pur nella Città di Palermo in occorrenze di Musicate, ove la fama con le sue cento trombe non lo puote a bastanza lodare; sonava di contrapunto così perfettamente ch'attoniti gli uditori rendeva, non che di Cappella i Maestri; sovra l'instavolatura havendo fatto esattissimo studio, trasportava tutte quelle opere quanto si voglia difficili, che s'eran poste dinanzi, con franchezza tale ch'era l'ammiratione di ogni uno.

DON GAETANO LO GUZZO, non fu tanto minore in detto mestiere di Maestro di Cappella, che non gli potesse

andare d'appresso; pure fu egli Maestro in detta Matrice, che si comprò in ogni parte a contanti della virtù grandissima lode ed onore, e perciò era dalle Terre e Città convicine di gran soggetto stimato, e per la sua rara ed eccellente virtù

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nell'occorrenze di feste sempre chiamato; se Lachesi filasse ancor di sua vita lo stame che Atrope immaturo recise, haveria molto che fare la fama formare più trombe per poter in parte trombettar le sue glorie; troppo presto arruotò le sue forbici quella spietata Arpìa della vita, questa Parca crudele, che lo tolse dalla terra per farlo vivere forse alla Cappella del Cielo.

Compose molte Opere, che sono manuscritte restate. Nella Pittura fiorì GIACOMO CAMPIONE, famosissimo ed eccellente Pittore, che dipinse la discesa dello Spirito

Santo sovra gli Apostoli in un grandissimo quadro al viso rappresentante Caenaculum magnum, ch'è posto all'altare della Chiesa del Monasterio di Santa Domenica, e lo pennellegiò così artificiosamente che paion quelle lingue di fuoco ch'allora scendettero vive dal Cielo; gl'Apostoli ebri di quest'ambrosia celeste rappresentano tutti spirito in atto di voler uscire dal Cenaculo, per voler infondere nel seno degli uomini il lor giubilo estremo, e se non sai perchè non favellano, io te'l dirò, perchè in estasi di stupore sospesi gli è tolta la facoltà di parlare.

L'Opere di quest'insigne dipintore non han bisogno di penne che le celebri, quando il pennello da se stesso le rende ammirabili.

Fu il "Campione" de' Pittori, che gl'altri celebri da soldati lo sieguono. Dipinse anch'egli il quadro di San Lorenzo Martire, che si vagheggia in questa Matrice di Santa Maria, ove il

glorioso Martire stà in la graticola sempre abbrugiando, benchè in un fuoco dipinto, che l'ha reso anche Salamandra delle fiamme l'immortalità del pennello, e non havendo il fuoco più ch'abbrugiare, rende del Pittore più chiarissimo il nome; fiammeggia il fuoco, perchè da' Ministri sempre si sta in atto di somministrargli materia, e par che goda Laurenzo tra le fiamme roventi, mentre da se stesso non arrossendosi dice "versa et manduca". Stizzati i tormentori crudeli d'una costanza si' fina, sono restati porgendo alimento al fuoco verace, che più non offende Lorenzo, ch'è tutta fiamma d'Amore Divino, ed avvalora coloro i quali non han petto a patire.

Molte altre pitture famose a' particolari dipinse, che ne goderebbero alcuni Signori haverne a quest'oggi qualche capriccio per render più preziose le lor Gallerie.

Fe' pompa in Nicosia NICOLO' MIRABELLA, Pittore di grido, il quale la Natura col pennello imitando, palesava

le figure che dipingea in le tele così al naturale delineate, che si vedeano da quelle spicate. Il suo colorire era in vago e di meraviglia ripieno, ch'accopiava il dilettevole all'artificioso: sono gl'estasi dell'occhio le sue dipinture.

Dicanlo da se stessi senza tante parole i quadri ch'egli animò co' colori; quel che fa pompa nella Chiesa di Sant'Eligio d'un Verbo fatto Uomo nato di fresco ed intirizzito da geli, che mostra divinamente stagionata ne' rigori del verno la perizia, e se in esso vi sono dipinti uomini al vivo senza favella, pur si scorgerebbero questi tra di lor parlare non men del Mistero che dal pennello non li fermasse artificiosamente la lingua; della Circuncisione è l'altro nella Chiesa di Sant'Antonio Abbate, tanto elaborato al vivo che tutto par di rilievo, articolerebbero voce i personaggi ch'assistono a tale Mistero ammirando con decantare gl'encomii del Pittore, ma per trovarsi presenti ad un Dio che langue ferito, ne restano anche loro oppressi dal duolo, e dalla meraviglia sorpresi si danno ad un silenzio profondo.

Pur sieguono i Prodigi a mano di costui nella Morte del Padre putativo di Christo nella propria sua Chiesa, già acclamerebbe se Christo, Maria e lo stuolo Apostolico non fussero intenti al funerale doglioso, ov'altro non fa pompa che il pianto a corruccio; quello della Madonna dell'Alti, Chiesa in Campagna che per essere il luogo solingo, e non disturbar quella quiete, volle l'Artefice accostarsi al naturale, animando le figure con rigoroso silenzio; altro delli Santi Ausiliatori, nella Chiesa dei Padri di San Francesco d'Assisi de' Minori Conventuali, e quel dell'Ascensione di Christo in Cielo nella Matrice di San Nicolò (tutti quadri assai grandi), della Cena di Christo nel refettorio de' Padri Capuccini, e mille altri per brevità tralascio, che non la loro ammirabil vaghezza nobilitano queste Chiese, e la Città decorata la rendono.

PADRE ASCANIO DONGUIDA, di nobile schiatta, della Compagnia di Gesù, Pittore eccellente, che nella Conca

d'oro molti aurei quadri dipinse. Fu anche perfettissimo nello scolpire figure in lamine di rame ch'uguagliavano quelle decantate di Francia.

ANTONIO FILINGELLI, dipintore famoso; le sue Opere mostrano da se stesse la perfetione dell'autore, già che

sovra la tela a vivi colori esprimeva l'idea della sua mente capricciosa; diranlo duoi quadri dell'Eroina del Cielo sotto titolo del Rosario Santissimo, uno nella Matrice di San Nicolò e l'altro nell'Oratorio delli fratelli della Compagnia del Rosario; e li molti ritratti di molte persone nobilissime, che li scorticò vivi per farle eternare ingegnosamente in la tela de' quadri (in questo fu inavanzabile). Ed altre opere dipinse a' particolari di grandissimo pregio, ed il titolo del Coro di detta Matrice dipinto dall'industre pennello di costui, ch'è fatto a Mosaico, e ne' tabelloni i suoi quadri da parte dipinti ad oglio e parte in fresco, che rapiscon le pupille in stuporosi godimenti; come anche delineò la Chiesa del Monastero di Santa Domenica con molti quadri nelle tabelle, e pur anche fece statue di rilievo famose.

DON ANTONIO CARDELLA, Pittore non tanto meno di questi, e vi sono molti quadri nelli Tempii di questa,

come nella Chiesa delli Padri dell'Ordine di Santa Maria del Carmine, di San Calogero, di Sant'Antonio Abbate, di Santo Stefano fuor la Città, e ne' Palagi di taluni curiosi particolari; pure scolpiva in osso ed avorio molte figure.

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Fiorì in Nicosia GIOVAN BATTISTA LI VOLSI, Scultore assai celebre non solo in Sicilia ma per tutta l'Europa. Le statue rendon color che li mirano, per lo stupore, tante statue immobili al contemplarle: se son verità o Iperboli da se stessi i Simulacri (ch'eresse sugli altari) lo mostrano, ma con lingua non intesa se non da periti nell'arte, i quali conoscono l'artificio che lo scultore vi pose.

Un Christo (nella Chiesa di San Francesco d'Assisi) alla colonna legato con duoi tormentatori che lo stanno in atto di flagellare, che muove a pietà lo stesso finto sasso a cui è legato: le fierezza ne' manigoldi è così vivamente espressa, che fa atterrire un cuore che non ha della stessa morte timore.

Nella Matrice di Santa Maria (si trova) una statua dell'Angelo Custode sovra legno scolpita e benchè la materia sia povera si rende impreziosita dall'arte, ne sò se l'istesso Angelo potrebbe la sua effigie migliorare ancora che havesse a trasudare con scarpelli di luce per comparire in sembianza corporea agli occhi mortali.

Quella del glorioso San Nicolò rappresentate maestà ed artificio sublime, statua di tutto rilievo alla grandezza di 18 palmi, deorata, posta in tanta altezza nel mezzo del soffitto del Coro, che dal suolo della Matrice, dove ella (è) eretta, pare all'occhio che curioso la mira alla misura di un uomo.

(Ad un) Altro Simulacro di San Giovanni Battista, di cui egli ne portava il nome, vi pose grandissimo studio e fu collocato nella sua Chiesa fuor dalla Città in Campagna, per imitare della figura l'originale che volle da bambolo abitare ne' boschi: statua di ligno formata, già palesa esser dall'arte avvisata, e non discorre con gl'uomini, perchè tiene sempre i suoi colloquii con Dio, un asprissimo e pungente cilicio indossa per dinotare che la vita dell'uomo non dee esser altro che una penitenza perpetua.

E tanti altri Simulacri fatti da quest'eccellente scultore, che sono in altre Città e Terre, pur lo confessa il Coro elaborato sovra legno di noce esistente in questa nostra Matrice di San Nicolò il Magno dall'intutto eretto e finito l'anno del Signore 1623, ove l'arte depose la sua destra fattrice per non scolpirne un'altro migliore.

VINCENZO CALAMARO, fiorì anche egli Scultore di stucco ed anche Pittore; era costui quanto di statura

piccolo, altre tanto grande d'ingengno e nell'arte gigante. Le sue opere fan pompa nella Reggia del Mondo e nelle Città più perspicue del Regno, ed in questa fra le altre la

Cappella de' Santi Crispino e Crispiniano nella Matrice di San Nicolò, elaborata con esattissimo studio d'un'arte stupenda, e fatta di si' magistero che chiamereste l'intrigo un laberinto di Dedalo, già che l'occhio si confonde in rintracciar l'ordine de' puttini così distintamente confusi con arabeschi avvilupato, onde il solo splendor dell'oro ch'altrove serve per abbracciar la vita, qui l'officio fa l'Arianna che il tutto distingue; la Cappella di Santa Maria della Vittoria, ove dell'arte il più ingegnoso depose su gl'archi delle àglia, lo stupore introniza (?).

Un'altra Cappella formò della Gloriosa Eroina de' Cieli nella Matrice di Santa Maria Maggiore di tutto rilievo, ove egli vi pose il non più oltre del suo capriccio fecondo, con due Capeluzze della natività ed Epifanìa del Signore, or qui la manufattura non ha ch'emendare, essendo tutta perfetta.

Più statue del Redentor Crocefisso compose in questa Città e fuor di essa, fra l'altre miracolosissima quella che si adora in detta Matrice di Santa Maria e un'altra nella Chiesa di San Giovanni Evangelista.

Fu egli Architetto famoso, d'ingegno così elevato domentre appena intese della Grammatica i primi erudimenti, ch'arrivava a discorrere sanamente da perfetto Teologo ed assenato Filosofo ed Astrologo, ancora Ingegniere in tutte l'Arti Mechaniche e Liberali, era per dirla in una parola un Mostro della Natura Umana.

PADRE FELICE CARDELLA, del vetustissimo Ordine del Carmine Sacerdote, Scultore in osso ed avorio molto

perfetto, onde sovra questi scolpiva personaggi così al vivo nella positura e nella sottigliezza d'intaglio, che superava le figure di qualsiasi finissima stampa.

Al tempo del Duca di Ossuna Vicerè in Sicilia, finì un Aspatoio d'Avorio, opera si' fina e di tal pregio, che la fe' quel Signore capitare alla Reina in Madrid.

Formava infine figure di rilievo sovr'osso e avorio, ch'erano elefanti dell'Arte. STEFANO LI VOLSI, figlio del detto Giovan Battista, poco inferiore a suo padre, di cui la Bara del glorioso San

Lorenzo nella Matrice di Santa Maria celebra con mutola favella le glorie dell'artefice, come anche di San Michele la Statua scolpita in atto di ferire a Lucifero che sotto i piedi oppresso lo tiene ed imperioso lo calca e perciò freme d'orrore, e quanto più bruto si rende altre tanto più artificioso si mostra; (e) quest'altra di San Benedetto nella Chiesa di Santa Domenica e San Calogero nel suo proprio Tempio che la sua destra intagliò, le quali sono alla veneratione commune su gl'altri esposte; e tralasciò finalmente la scoltura insigne dell'Organo nella Matrice di San Nicolò.

GIOVANNI CALOGERO CALAMARO, anche figlio del suddetto Vincenzo, non minore del padre; in molte

parti del Regno le sue opere fan veridica pompa. A stucco di mezo rilievo la nave di San Nicolò ed il Cappellone di Santa Maria, Matrici di questa, con artificiosi

arabeschi si mirano. FRA' MACARIO da NICOSIA, laico Cappuccino, Architetto famoso e Scultore, uomo di vastissimo ingegno e di

molto conseglio; fu per Architetto alla formazione della Città di Messina ed in altri luoghi del Regno.

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Faccio gl'orefici eccellenti come Giulio Gazzara, scopeterei come Matteo Bavuso uomini periti, e si lasciano gl'altri per non esser stimati iperbolici i miei detti: lo sa però la Sicilia e quasi tutta l'Italia; che per far fine all'Opera, benchè scorcentata, dò fine agli Operai famosi.