L’ ANCORA CAPOVOLTA - coscienza.org · Cultura ed espressione artistica di un centro medievale...

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1 L’ ANCORA CAPOVOLTA Simbologia cristiana delle origini nelle basiliche di S. Pietro e S. Maria Maggiore La croce sul sole Entrare nella basilica di S. Pietro a Tuscania, posta sulla sommità del colle omonimo,(1) non è semplicemente entrare in un particolare edificio cristiano. Entrare nella chiesa è attraversare tanti secoli di cristianesimo e portarsi alle origini, per la vastità dei segni che contiene, la densità semantica dei simboli 1 e lo stratificarsi delle costruzioni rintracciabili nei residui delle varie epoche che vi sono rimasti imprigionati. Il compito di ricavare informazioni, isolare dettagli, connettere elementi separati, estrarre significati, condurre ad unità, non è dei più semplici e finora non era stato affrontato. Ma quando è in gioco l’amore per la propria terra e quello per la verità, come pure l’intento di rendere giustizia alla cultura e alla storia, l’impresa diventa meno ardua e il compito si fa più accessibile. E’ questa la sfida affidata alle pagine che seguono e se ne siamo 2 stati all’altezza e quanto, potrà dirlo solo chi avrà la pazienza di scorrerle tutte. L’inizio del nostro viaggio è una cripta,quella posta sotto il presbiterio che ha un ingresso nella navata destra,un percorso in una selva di colonne propria dello schema planimetrico ad “oratorio” 3 ed una uscita nella navata sinistra. Questa organizzazione fu introdotta nel mondo cristiano quando si diffuse il culto delle reliquie e si doveva regolamentare l’afflusso dei fedeli. Il modello, addirittura può farsi risalire alla chiesa del Santo Sepolcro, fatta costruire da Costantino nei luoghi in cui si era svolta l’estrema vicenda del Salvatore. 4 Nella foresta di simboli e di segni presente nella cripta e nella chiesa, se ne può identificare uno che possa dare la spiegazione di tutto? Noi, senza per questo pensare di sostituirci agli esperti della storia dell’arte, crediamo di averlo trovato: è il capitello di semicolonna collocato nella parete di fondo della cripta, dalla parte che presenta le scale dell’uscita.(2) Prima di accingerci al suo esame, però, è necessario spendere due parole sul significato che è possibile attribuire al percorso rappresentato dal sistema discesa-cripta-risalita. Gli elementi che lo compongono fanno convergere la nostra interpretazione verso un percorso iniziatico 5 che riecheggia quello pagano della Grotta della Regina, dove si svolgevano iniziazioni durante il periodo etrusco. 6 Anche nella cripta tuscaniese abbiamo una discesa, un transito nel “labirinto” strutturato dalle 28 colonne ed una risalita. Naturalmente il fedele nel cammino riceveva assistenza e soccorso dai simboli cristiani che lo caratterizzavano: la Madonna in trono con il Bambino e le gloriose spoglie dei martiri che vi venivano conservati. Che ci troviamo in presenza di un percorso straordinario ce lo rivelano anche due emergenze: i segni incisi sul pavimento delle navate laterali della chiesa. In prossimità delle scale che scendono abbiamo una scala cosmica dove un ovale sostituisce il cerchio e nel pavimento della navata che accoglie il fedele in uscita, una doppia circonferenza. Ad aumentare lo spessore simbolico di questa “rappresentazione” dobbiamo aggiungere le porte presenti anche nel lato nord e nel lato sud della basilica.(3) E’ difficile dire la loro esatta funzione e, 1 Uno studioso così si esprime: “Il romanico italiano è un serbatoio di simboli ancora da svelare”. C. Demetrescu, Solstizio eterno, Rimini 1997, p. 102; M.-M. Davy, Il simbolismo medioevale, Roma 1999, a p. 35 scrive: “Il simbolo accoglie il fedele sui portali, si avvinghia ai capitelli, si nasconde nelle absidi. L’uomo che entra nella chiesa romanica non ha che da lasciar errare il proprio sguardo ed è subito condotto e mosso verso la realtà suprema”. 2 Con l’uso del “noi” si vuole segnalare il fatto che le idee sono discusse e condivise da numerosi soci e amici dell’associazione Archeotuscia, all’interno della quale ha preso corpo e sostegno la ricerca. 3 J. Raspi Serra, Tuscania. Cultura ed espressione artistica di un centro medievale, Venezia 1971, p. 70. 4 M. Loconsole, Il segno della croce. Storia e liturgia, Cassano delle Murge 2009, p. 81. 5 Tutta la vita del cristiano può intendersi come un percorso iniziatico per giungere a Dio. Nella liturgia momenti forti di questo percorso sono il battesimo, la cresima e l’eucarestia. 6 M. Tizi, La Grotta della Regina a Tuscania. Un mistero risolto?, in “Archeotuscia news”, 1 (2010).

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1

L’ ANCORA CAPOVOLTA

Simbologia cristiana delle origini nelle basiliche di S. Pietro e S. Maria Maggiore

La croce sul sole

Entrare nella basilica di S. Pietro a Tuscania, posta sulla sommità del colle omonimo,(1) non

è semplicemente entrare in un particolare edificio cristiano. Entrare nella chiesa è attraversare tanti

secoli di cristianesimo e portarsi alle origini, per la vastità dei segni che contiene, la densità

semantica dei simboli1 e lo stratificarsi delle costruzioni rintracciabili nei residui delle varie epoche

che vi sono rimasti imprigionati.

Il compito di ricavare informazioni, isolare dettagli, connettere elementi separati, estrarre

significati, condurre ad unità, non è dei più semplici e finora non era stato affrontato. Ma quando è

in gioco l’amore per la propria terra e quello per la verità, come pure l’intento di rendere giustizia

alla cultura e alla storia, l’impresa diventa meno ardua e il compito si fa più accessibile. E’ questa la

sfida affidata alle pagine che seguono e se ne siamo2 stati all’altezza e quanto, potrà dirlo solo chi

avrà la pazienza di scorrerle tutte.

L’inizio del nostro viaggio è una cripta,quella posta sotto il presbiterio che ha un ingresso

nella navata destra,un percorso in una selva di colonne propria dello schema planimetrico ad

“oratorio”3 ed una uscita nella navata sinistra. Questa organizzazione fu introdotta nel mondo

cristiano quando si diffuse il culto delle reliquie e si doveva regolamentare l’afflusso dei fedeli. Il

modello, addirittura può farsi risalire alla chiesa del Santo Sepolcro, fatta costruire da Costantino

nei luoghi in cui si era svolta l’estrema vicenda del Salvatore.4

Nella foresta di simboli e di segni presente nella cripta e nella chiesa, se ne può identificare

uno che possa dare la spiegazione di tutto? Noi, senza per questo pensare di sostituirci agli esperti

della storia dell’arte, crediamo di averlo trovato: è il capitello di semicolonna collocato nella parete

di fondo della cripta, dalla parte che presenta le scale dell’uscita.(2) Prima di accingerci al suo

esame, però, è necessario spendere due parole sul significato che è possibile attribuire al percorso

rappresentato dal sistema discesa-cripta-risalita.

Gli elementi che lo compongono fanno convergere la nostra interpretazione verso un

percorso iniziatico5 che riecheggia quello pagano della Grotta della Regina, dove si svolgevano

iniziazioni durante il periodo etrusco.6 Anche nella cripta tuscaniese abbiamo una discesa, un

transito nel “labirinto” strutturato dalle 28 colonne ed una risalita. Naturalmente il fedele nel

cammino riceveva assistenza e soccorso dai simboli cristiani che lo caratterizzavano: la Madonna in

trono con il Bambino e le gloriose spoglie dei martiri che vi venivano conservati. Che ci troviamo in

presenza di un percorso straordinario ce lo rivelano anche due emergenze: i segni incisi sul

pavimento delle navate laterali della chiesa.

In prossimità delle scale che scendono abbiamo una scala cosmica dove un ovale sostituisce

il cerchio e nel pavimento della navata che accoglie il fedele in uscita, una doppia circonferenza. Ad

aumentare lo spessore simbolico di questa “rappresentazione” dobbiamo aggiungere le porte

presenti anche nel lato nord e nel lato sud della basilica.(3) E’ difficile dire la loro esatta funzione e,

1 Uno studioso così si esprime: “Il romanico italiano è un serbatoio di simboli ancora da svelare”. C. Demetrescu,

Solstizio eterno, Rimini 1997, p. 102; M.-M. Davy, Il simbolismo medioevale, Roma 1999, a p. 35 scrive: “Il simbolo

accoglie il fedele sui portali, si avvinghia ai capitelli, si nasconde nelle absidi. L’uomo che entra nella chiesa romanica

non ha che da lasciar errare il proprio sguardo ed è subito condotto e mosso verso la realtà suprema”. 2 Con l’uso del “noi” si vuole segnalare il fatto che le idee sono discusse e condivise da numerosi soci e amici

dell’associazione Archeotuscia, all’interno della quale ha preso corpo e sostegno la ricerca. 3 J. Raspi Serra, Tuscania. Cultura ed espressione artistica di un centro medievale, Venezia 1971, p. 70.

4 M. Loconsole, Il segno della croce. Storia e liturgia, Cassano delle Murge 2009, p. 81.

5 Tutta la vita del cristiano può intendersi come un percorso iniziatico per giungere a Dio. Nella liturgia momenti forti di

questo percorso sono il battesimo, la cresima e l’eucarestia. 6 M. Tizi, La Grotta della Regina a Tuscania. Un mistero risolto?, in “Archeotuscia news”, 1 (2010).

2

finché non avremo accesso alle fonti, non sapremo mai i particolari dei riti che avvenivano nella

cripta.

Tutto però ci induce a credere che con essi si ripetevano pratiche religiose nate nei primi secoli

della chiesa, quando la liturgia era ancora in via di definizione.

Il capitello di cui ci aggiungiamo a dare l’interpretazione, è chiaramente una riutilizzazione

di materiale molto antico e precedente i restanti capitelli, per i quali viene proposta una alta

cronologia.7 Agli spigoli presenta due foglie che occupano l’altezza e nella faccia offerta

all’osservatore la figura incisa assume la forma di un’asta verticale che termina con due braccia

aperte che finiscono con una spirale. Sotto l’asta e alla base sono incise a destra e a sinistra diverse

linee che fanno venire in mente i raggi di un sole reso rozzamente. Che cosa voleva rappresentare la

figura? Quale messaggio doveva comunicare? Aveva un significato la sua collocazione al termine

del transito nella cripta?

Sia i raggi che le spirali sono perfettamente compatibili con i numerosi segni presenti nella

basilica riferibili a Cristo come il vero Sole destinato a sostituire i culti solari praticati nella tarda

antichità e a cancellarne il ricordo. Ci troveremmo quindi in presenza di simboli del paganesimo su

cui si innesta una figura della nuova fede. E quale potrebbe essere? L’ipotesi più ragionevole, dato

il contesto ideologico riferibile ai primi secoli del cristianesimo di cui è intrisa la basilica, è che alla

figura sia stata attribuito il valore della lettera TAU. Questa è presente sia nell’alfabeto greco che in

quello ebraico, dove però occupa l’ultimo posto. Il suo morfema richiama facilmente la figura della

croce e fu usata nei primi secoli quando le persecuzioni consigliavano prudenza e l’uso di simboli

allusivi.

“ Il TAW, scrive uno studioso, l’ultima lettera dell’odierno alfabeto ebraico, corrisponde

all’omega, l’ultima di quello greco, da cui le associazioni come lettere escatologiche che

simboleggiano la signoria di Cristo sul tempo e sulla storia. Per l’ebraismo tale segno ebbe un

importante valore, perché fu considerato come “segno di YHWH”, uno dei nomi del Signore,

definito già dal profeta Isaia come l’Ultimo.”8 Al termine del percorso nella cripta abbiamo così un

simbolo che alludeva al Compimento, alla Conclusione e alla Consapevolezza, per il fedele che

aveva realizzato la propria purificazione spirituale, passando dal mondo delle tenebre a quello della

luce.

La figura nel nostro capitello, secondo la nostra interpretazione, sarebbe quindi una croce

sul sole e risalirebbe al periodo in cui la comunità cristiana era abbastanza forte da opporsi al

paganesimo, ma non tanto da poterlo fare liberamente. Quando questo fu possibile, sul colle sorsero

due edifici cristiani e la piccola chiesa di S. Pietro fu poi ampliata dai longobardi per accogliere le

spoglie dei Patroni. A quel punto la croce sul sole fu esibita a tutti nel pluteo marmoreo che delimita

il presbiterio rialzato. Il Cristianesimo poteva finalmente affermare la propria vittoria sul mondo,

esprimendola con un simbolo inequivocabile: la croce che riempie tutto il disco solare di una

figurazione ripetuta due volte.

Osservando attentamente il capitello, ci si rende conto che è stato ricavato modificando un

blocco di nenfro di forma parralelepipeda, a cui l’incisione delle foglie di spigolo assicura la

svasatura presente negli altri capitelli. E se lo capovolgiamo ci restituisce la figura originaria:

un’ancora incisa sopra i raggi solari e le spirali aggiunte ai bracci inferiori. Osservato così, la lettura

della figura risulta di immediata comprensione e il sole inciso sotto la parte superiore dell’asta

collocato nella posizione appropriata. Abbiamo sempre la croce simboleggiata dall’ancora, i raggi

del sole che evocano la luce e il calore e le due spirali che ne indicano il movimento. Le tre

posizioni principali del sole, cioè, alle quali allude anche il Vultus Trifrons presente nella facciata

di S. Pietro e alcuni specchi etruschi rinvenuti a Tuscania.(4)

7 V. A. Schiappelli, Il materiale romano di reimpiego nella chiesa di S. Pietro a Tuscania, in “Informazioni” n. 14

(1997) 8 M. Loconsole, cit., p.13.

3

Nel cristianesimo dei primi tempi la croce assunse una centralità e uno spessore teologico

che spingeva al ricorso ad un vasto repertorio simbolico.9 Dalla lettera TAW, usata dalla primitiva

comunità cristiana di Gerusalemme per rappresentare la croce, si ricavò l’ancora.10

“I cristiani,

scrive Baudry, ne fanno precocemente uno di propri simboli di salvezza, tanto negli scritti che

nell’iconografia”.11

Nella “lettera agli Ebrei”, Paolo riferendosi alla speranza della croce afferma:

“In essa infatti noi abbiamo come un’ancora nella nostra vita, sicura e salda, la quale penetra fin

nell’interno del velo del santuario”. (6, 19)

Quale potrebbe essere la datazione di questa rappresentazione simbolica nel capitello

tuscaniese? E’ corretta una cronologia alta? Ed esisteva a Tuscania una precoce comunità cristiana?

Allo stato attuale della ricerca non disponiamo di fonti specifiche che ci consentano di affermare un

datazione sicura. Ma crediamo di non andare lontano dalla verità storica se proponiamo il III/IV

secolo per l’incisione della figura e la presenza a Tuscania di una cospicua comunità cristiana. A

consigliarcelo abbiamo due significative circostanze. La prima è l’antica tradizione tuscaniese12

con

la quale Tuscania si è sentita da sempre legata ad un’origine apostolica della propria fede.

La seconda è la ricerca13

relativa al significato simbolico della presenza dei Patroni

Secondiano, Veriano e Marcelliano che ha permesso di recuperare un documento importante: la

Passio di S. Mustiola, Patrona di Chiusi. Vale la pena di riportarne l’incipit e la sua traduzione:

“Temporibus Aureliani Augusti saeva persecutio orta est christianis, cumque intellexisset, quod

CIVITAS TUSCANA christiana religione floreret, tanta cupiditas invasit Aurelianum Augustum, ut

quemdam vicarium nomine Turcium, praefectoria data dignitate, ad discussionem christianorum

dirigeret” .14

La traduzione suona così: “Al tempo dell’imperatore Aureliano si scatenò una dura

persecuzione contro i cristiani, e avendo sentito che nella TERRA DI TOSCANA fioriva la

religione cristiana, Aureliano fu preso da un grandissimo desiderio di inviare un vicario di nome

Turcio, dandogli la carica di prefetto, per sterminare i cristiani”.15

Quali importanti informazioni trarre da questi passi? La prima è che invariabilmente, oggi

come nel passato, la dizione CIVITAS TUSCANA viene tradotta TERRA DI TOSCANA.16

Ma

la parola CIVITAS ha un significato preciso e la parola TERRA un altro completamente diverso.Un

equivoco che ha fatto perdere notizie preziose per la ricostruzione della storia di Tuscania, originato

dal fatto che i traduttori ignorano l’esistenza di un centro che nell’antichità ebbe più

9 Ivi, p. 35. Vale la pena di ricordare che per la crocifissione, oltre al singolo palo diritto (crux simplex), c’erano altri tre

tipi di croce: la crux commissa, che aveva la forma di una T maiuscola; la crux decussata, che aveva la forma della

lettera X; la crux immissa, quella a noi familiare, con le due travi incrociate. Il condannato trasportava il palo

orizzontale della croce (patibulum) fino al luogo del supplizio, sempre fuori della città, mentre un banditore portava

davanti a lui il “titolo”, cioè l’accusa scritta. 10

Ivi, p. 11. 11

G.-H. Baudry, Simboli cristiani delle origini. I-VII secolo, Milano 2009, p. 134. 12

A. Barbacci, Relazione dello stato antico e moderno della Città e Chiesa di Toscanella raccolta per ordine

dell’Eminentissimo e Reverendissimo signor Cardinale Santa Croce suo vescovo da Antonio Barbacci Patrizio

Toscanese, Protonotario Apostolico, Dottore della Sacra Teologia e dell’una e l’altra Legge et Arciprete della

Cattedrale di detta Città nell’Anno del Signore MDCCIV, pp. 206 e 207. Il manoscritto è conservato nell’Archivio

Capitolare di Tuscania. 13

M. Tizi, Secondiano, Veriano e Marcelliano: la rifondazione cristiana, in “Da Salumbrona a Tuscania”, Atti del II

Convegno sulla Storia di Tuscania, Tuscania 2011, pp. 63-88. 14

A.A.S.S., Julii, III, Antverpiae 1735, p. 638. 15

P. Licciardello, La Passio e il culto di S. Mustiola in età longobarda, in “Goti e Longobardi a Chiusi”, Chiusi 2004,

p. 120. 16

Questo equivoco è duro a morire: K. Ogata, Il concetto di “Terra” e la sua rappresentazione: un tentativo di studio

comparato tra Italia e Giappone, in “Atti del XXXIII Convegno di Studi sul Giappone”, Milano 2009, p. 42;

riferendoci ad un’opera del VI secolo, lo stesso errore potrebbe essere presente in Zosimo, Storia Nuova, Milano 2007,

p. 595: durante l’assedio che Alarico pose a Roma (408/409 d.C.), si dice che “Intanto i barbari si allontanavano da

Roma e ponevano le tende in vicinanza dell’Etruria”. Appare più logico accamparsi vicino alla civitas Etruria che alla

regione Etruria!

4

nomi:TUSCANA, TUSCIA, ETRURIA.17

Né lascia dubbi l’inizio del testo: al tempo

dell’imperatore Aureliano il cristianesimo FIORIVA nella città di Tuscania. III secolo, dunque, la

possibile data dell’incisione dell’ancora sul sole!18

E non poteva essere altrimenti, dato il surplus di

testimonianze cristiane presenti a Tuscania, che non teme confronti.

In sintesi possiamo affermare che il Cristianesimo ebbe a Tuscania una precoce diffusione e

uno sviluppo che manifesta un consistente sforzo di radicamento e sostituzione dell’ordine pagano.

Questo radicamento ebbe l’espressione più vistosa e duratura nell’edificazione di numerose chiese e

ora ci accingiamo ad esaminare le due più conosciute.

Due basiliche uniche

Un attento esame delle chiese di S. Pietro e S. Maria Maggiore a Tuscania ci consente di

affermare che siamo in presenza di un complesso unico nel mondo cristiano occidentale ed

orientale. Le caratteristiche più evidenti sono date dal fatto che le due basiliche si trovano sul Colle

di S. Pietro e sono dislocate una ai piedi del colle e l’altra alla sommità.(5) Per aumentare la

comprensione del complesso che ci accingiamo ad analizzare, dobbiamo ricordare che il colle fu

l’arx etrusca e fu abitato ininterrottamente fino a quando i cannoni di Carlo VIII, che nel 1495 mise

a ferro e fuoco Tuscania, costrinsero la popolazione a raccogliersi entro le mura dell’attuale centro

storico, lasciando fuori una vasta area che per secoli aveva costituito il polo religioso e politico.19

Le due chiese hanno beneficiato di numerosi studi che,20

tuttavia, hanno colto solo segmenti

separati della vasta portata semantica del complesso. Tali studi, infatti, hanno sempre analizzato un

edificio alla volta e lasciato in posizione periferica la storia di Tuscania da cui hanno origine e

giustificazione. Finora, inoltre, non è stata presa in considerazione la densa trama simbolica

stratificata nelle pietre e nel complesso programma iconografico esibito dalle nostre basiliche.

Prendendo in considerazione il Colle di S. Pietro nella sua globalità, si comprende chiaramente che

la comunità cristiana tra tarda antichità e alto medioevo mise in scena una sofisticata

rappresentazione della propria fede che esibiva i suoi segni e decretava il superamento di un

paganesimo in cui era ancora profondamente immersa la società romana.(6)

17

Per la questione dei nomi con cui Tuscania fu chiamata nell’antichità si può consultare: G.B. Sposetti Corteselli:Luci

ed ombre del nomen di Tuscania, in “Atti del II Convegno di Studi sulla Storia di Tuscania”, Tuscania 2011, pp. 9-33;

id., in “Omnia@Tuscania”, 3 (2006), p. 5; F. Giannotti, Storia di Tuscania scritta nel XVI secolo, Viterbo 2007, pp. 60

e 82; pp. 11 e 12 dell’ Introduzione; A. Barbacci, cit., pp.2 e 3; G. Gotelli, Esposizione del materiale rinvenuto e delle

discussioni intorno a Tuscania, Tesi di Laurea A.A. 1960, Università degli Studi di Pisa, p. 6 sg.; A. Morandi, Tuscania

etrusca: cultura urbana e potere in una città-stato, Tuscania 2006, p. 8 sg.; F. Giannotti, cit., a p. 84 riporta il distico

che ai suoi tempi compariva nella porta di Monte Oscini (oggi Porta S. Marco): Salumbrona olim Tyrrhenia Etruria

dicta/Tuscia,Tuscana et vix Tuscanella vocor nunc. 18

La conferma ci viene anche da una fonte autorevole e prestigiosa: nell’agosto del 1994, il cardinale Andrea di

Montezemolo presenta al Presidente dello Stato di Israele le Lettere Credenziali con le quali il Papa Giovanni Paolo II

lo accredita come Primo Nunzio Apostolico della Santa Sede. Con l’occasione, oltre a portare a Gerusalemme il nome

di Tuscania in quanto Arcivescovo titolare, compone un’ Ode a Tuscania che invia alle autorità tuscaniesi. In una

quartina leggiamo: “Diocesi per la fede della gente/fu fin dal terzo secolo istituita, ma dopo dieci secoli di vita/ al

Vescovo in Viterbo residente / la pastorale cura fu affidata”. Il testo integrale dell’ode è riportato in Appendice. 19

Tra gli autori che si sono occupati della storia di Tuscania si segnalano: F. Giannotti, Storia di Tuscania scritta nel

XVI secolo, Viterbo 2007; A. Barbacci, cit.,; F. Turriozzi, Memorie istoriche della Città di Tuscania, Roma 1778; S.

Campanari, Tuscania e i suoi monumenti, Montefiascone 1856; G. Giontella, Tuscania attraverso i secoli, Viterbo

1980; G. Cerasa, Tuscania. Storia e arte, Viterbo 1993. ( Opera postuma ). Il primo tentativo è però l’opera del

domenicano viterbese Pacifico Pellegrini che nel ‘500 scrive un Breve lume della città Toscana nel Patrimonio al

presente detta Toscanella (F. Turriozzi, cit., p. 2). Il testo era conosciuto anche da F. Giannotti (cit., a p. 81 scrive:

“fra’ Pacifico Pellegrini de Viterbo del’ordine di S. Domenico, il quale, in un suo trattato del martirio de’ Santi

Secundiano, Veriano, Marcelliano, che io mi trovo tutto di sua propria mano”), da A. Barbacci (cit., p. 6 e passim) e dai

Bollandisti. Poi il manoscritto è misteriosamente scomparso sia dall’Archivio di Viterbo che da quello di Tuscania.

20

Per la sterminata bibliografia si può consultare J. Raspi Serra, cit., pp. 187 sg.

5

Viste in questa ottica le due basiliche si collocano nella tipologia delle chiese doppie

ampiamente attestata in tutta l’area mediterranea tra IV e V secolo,21

alle quali era assegnata la

funzione di realizzare anche sul piano visibile e liturgico la teologia pasquale. Il passaggio da una

chiesa all’altra durante una celebrazione liturgica, cioè, inseriva il fedele nella dimensione del

“passaggio” che costituiva il momento culminante della religiosità ebraica prima e cristiana poi. Nel

caso tuscaniese il trasferimento dalla chiesa di S. Maria Maggiore ai piedi del colle, alla chiesa di S.

Pietro, posta alla sommità, assicurava anche un movimento ascensionale con evidenti implicazioni

simboliche. I fedeli che in processione salivano il colle terminavano il loro “viaggio” al cospetto del

Cristo Pantocrate Ascendente raffigurato nell’abside.(7)

“Facciamo ingresso nel divino tempio come in paradiso o in cielo”, scrive Symeonis

Thessalonicensis”…in occursum Domini qui, in coelum ascendendo nos ipsos quoque elevavit”.22

Il complesso tuscaniese con la presenza delle due chiese assicurava così una evidente ed

elaborata via per il Cielo. Un autore che ha studiato a fondo il fenomeno delle chiese doppie,

sintetizza le sue conclusioni in questi termini: “la chiesa doppia era una “summa theologiae”

simbolica, germinata dall’esegesi di due tòpoi fondamentali dell’Antico Testamento, che sono la

descrizione del Tempio ed il transito del Mar Rosso; era simbolo costruttivo della Trinità e della

creazione, ed era involucro appropriato di una liturgia che raffigurava la Redenzione e i suoi effetti

(anche) mediante il passaggio processionale da una chiesa all’altra. Dunque la chiesa doppia è

nata dai fondamenti della teologia cristiana, ed era strumento di una liturgia che li traduceva in

azione, rendendo il simbolo comprensibile ed evidente”.23

L’unicità delle chiese tuscanesi non deriva solo dal fatto di aver utilizzato il trasferimento in

salita come momento significativo della liturgia. Altre due solide circostanze caratterizzano questa

unicità: la costellazione di chiese minori che sorgevano nelle immediate vicinanze24

(8)e

l’orientamento delle due basiliche. Sul colle e attorno ad esso la comunità cristiana edificò una

dozzina di chiese e questo in Europa trova scarsi termini di confronto.25

Di queste chiese rimangono

oggi sul terreno labili tracce, dal momento che i materiali sono entrati nel vasto processo di

riutilizzazione che ha caratterizzato un centro dove la vita si è svolta ininterrottamente su un arco di

trenta secoli. Le notizie che le riguardano si trovano però nei manoscritti degli scrittori che dal XVI

secolo si sono occupati della storia di Tuscania e nei documenti di archivio che attestano la loro

presenza a cominciare dal VII secolo e per tutto l’alto medioevo.

Dobbiamo ora parlare dell’aspetto che marca inequivocabilmente l’unicità delle basiliche

tuscanesi: l’orientamento. Le due chiese hanno la facciata ad est e l’abside ad ovest, caratteristica

che le accomuna alle prime chiese sorte dopo la svolta costantiniana. La successiva inversione

dell’orientamento avvenne quando ci si rese conto che i fedeli si giravano a salutare il sole prima di

entrare. Una pratica che lasciava il fedele a contatto del paganesimo da cui si voleva prendere le

distanze, per evitare nostalgie e commistioni che avrebbero inquinato la purezza della nuova fede.

Naturalmente sono molte le prime chiese con la facciata ad est e quelle tuscanesi non sono le

uniche. Ma c’è una particolarità che in base alle nostre conoscenze si registra solo a Tuscania.

La chiesa di S. Maria Maggiore, in basso, è perfettamente orientata al solstizio d’inverno e

quella di S. Pietro, alla sommità del colle, al solstizio d’estate.(9) Che cosa volevano rappresentare i

cristiani che dopo Costantino misero le prime pietre, con questa scelta? Questa circostanza, che non

è dovuta al caso, obbliga ad un chiarimento che chiama in causa la cultura pagana, la teologia

cristiana che veniva elaborata nei primi secoli, la conseguente liturgia e l’identità religiosa che si

andava costruendo. Un compito estremamente difficile, che può essere utilmente affrontato

21

A. Grabar, L’età d’oro di Giustiniano, Milano 1991, p. 5, scrive. “Ma solo dalla fine del IV secolo può dirsi che si

costruiscono in massa in tutte le città di tutte le province e, in forma corrente, a gruppi di due o anche più, là dove c’era

un vescovado, un luogo di pellegrinaggio, un convento o una città importante”. 22

A. Pracchi, La cattedrale antica di Milano, Bari 1996, pp. 126 e 127. 23

A. Pracchi, cit., p. 184. 24

M. Tizi, cit., p. 79 e 80. 25

A. Pracchi, cit., p. 360.

6

cominciando dal versante più accessibile: quali segni rimangono nelle due chiese dettati dalla scelta

costruttiva di privilegiare le “porte” solstiziali nell’orientamento?

Prima di provare a rintracciarli, dobbiamo impegnarci in una considerazione: il solstizio

d’inverno poneva fine all’ansia degli uomini nel vedere progressivamente avanzare il buio e

diminuire la durata e la forza della luce. Al solstizio la tendenza si invertiva: il buio arrestava la sua

offensiva e la luce riprendeva a crescere. Il sole aveva vinto! Con l’avvento del Cristianesimo un

altro sole si apprestava a sostituire tutte le divinità solari del paganesimo e ad assumere la signoria

del mondo: Cristo! E Cristo bambino, con la madre, accoglie il fedele nella 1^ Porta del complesso

tuscaniese, quella di S. Maria Maggiore, quella che immette nello spazio sacro del Colle. Un “sole

bambino”, presentato da una Madonna “alba”,26

perfettamente in linea con il significato della “porta

solstiziale”.(10)

Altri segni importanti accompagnano la circostanza: i cicli pittorici della chiesa che

riguardano l’infanzia di Gesù, mentre a Giovanni evangelista viene dato uno spazio privilegiato. I

simboli che lo riguardano sono in primo piano nel pulpito e la sua rappresentazione pittorica occupa

la parte della cuspide sopra l’altare che si rivolge al sacerdote e ai fedeli. Ma il segno inequivocabile

che precede tutti è la posizione del sole al solstizio d’inverno: al suo salire nel cielo i raggi cadono

sull’altare e sul trono episcopale, a suggellare la portata cosmica del mistero che vi si compie e

l’investitura del vescovo a rappresentante terreno del Cristo e detentore di poteri che gradualmente,

con la dissoluzione dell’apparato statale dell’impero, si concentrano nelle sue mani.

La salita alla sommità del Colle evoca con incisiva evidenza la salita del sole nel cielo e la

vittoria della luce che troverà il suo compimento al solstizio d’estate. Dentro la chiesa di S. Pietro il

fedele è messo al cospetto di un Cristo Pantocrate, circondato dagli angeli e con in mano il mondo,

che ascende al cielo. Il sacro cammino del colle era cominciato in basso, con il sole “bambino” in

braccio alla madre che consentiva l’ingresso, e aveva termine nel punto più alto, la cupola

dell’abside della basilica, con la manifestazione del Solstizio Eterno.

Per immedesimarsi appieno nella dimensione mentale che si veniva a creare, seguiamo la

descrizione che ne fa lo studioso tedesco Isermeyer: “L’ornamento principale del coro è formato

dalla grande rappresentazione dell’Ascensione nell’abside della navata centrale. Essa si estende,

caso insolito nella pittura medievale, dalla calotta fino in basso, sulle pareti…La figura di Cristo

domina il quadro. Gigantesca e con maestosa calma sta in piedi su una nuvola, nella mano destra

alzata il globo terrestre, nella sinistra tesa in avanti il libro aperto. L’espressione e la dimensione

della sua figura raggiungono un’intensità impressionante grazie ad un gioco di forti contrasti.

Immedesimatosi nella figura del Cristo l’osservatore vive l’Ascensione e non la vede soltanto come

spettatore dall’esterno. Una rappresentazione dell’Ascensione come questa non ha altri esempi

nella pittura medievale. Questo Cristo non sale al cielo come è solito nell’immaginazione

occidentale, né viene sollevato dagli angeli, seduto o in piedi nella mandorla, come era l’idea

dell’oriente”. 27

E che scritta recava il libro ostentato dal Pantocrate? “ EGO SUM LUX MUNDI”.28

(11)

Una rappresentazione complessiva, quindi, quella del Colle di S. Pietro e una dichiarazione finale

che ci autorizza a chiamarlo come vollero e come fu nelle intenzioni dei cristiani dell’alto

medioevo: IL COLLE DELLA LUCE.29

La sottolineatura dello studioso tedesco di

26

J. Danielou, Il segno del Tempio, Siena 2011, p. 36: “ [ Maria] …è l’albeggiare che precede il giorno”. 27

C. A. Isermeyer, Die Mittelalterlichen Malereien des Kirche S. Pietro in Tuscania, in Kunstgeschichtliches Jahrbuch

der Biblioteca Hertziana, II, 1938, p. 291-292.

28

E. Tagliaferri, I rapporti tra la pittura laziale romanica e la committenza nell’età della riforma gregoriana: S. Pietro

a Tuscania e i cicli pittorici minori dell’A. Lazio, Tesi di Laurea, Univ. degli Studi di Firenze, A.A. 2004-2005, p. 56. 29

M. Tizi, La porta del Sole. La “mistica della luce” nel Colle di S. Pietro a Tuscania, in “Biblioteca e Società” , 2-3

(2009); id, Il Colle della Luce, in “Omnia@Tuscania”, 3 (2009), pp. 2-3; non dobbiamo dimenticare che la figura

dell’Agnello mistico, presente nelle facciate delle due basiliche, rappresentava non solo il Redentore, ma anche il divino

illuminatore degli uomini: cfr. Ap, XXXI, 22, 24; L. Charbonneau-Lassay, Il bestiario di Cristo, Roma 1994, vol. 2°, p.

256.

7

rappresentazione unica nel mondo cristiano assegnata all’Ascensione tuscaniese ci consente di

allargare il discorso ai numerosi dettagli che confermano una solida UNICITA’ di tutto il

complesso che stiamo indagando. Ma prima di occuparci di essi dobbiamo evidenziare i segni che

connettono la chiesa di S. Pietro al solstizio d’estate.

Il più immediato è l’arco nel sagrato correntemente considerato una porta residua.

L’allineamento solstizio, arco e corpo centrale della facciata è illuminante, come pure la sua

funzione simbolica. Nei cicli pittorici interni alla chiesa, inoltre, è assente la nascita di Gesù, mentre

viene dato spazio all’infanzia di Giovanni Battista.30

A proposito è opportuno ricordare che la sua

festa è posta dalla chiesa in prossimità del solstizio, mentre quella dell’Evangelista è collocata nel

periodo delle feste natalizie connesse alla vittoria della luce. Giovanni, al quale è stata tagliata la

testa, rappresenta il termine del corso del sole che è, sì,alla sua massima espressione, ma

contemporaneamente inizia il suo declino. La situazione che si crea nei due solstizi è richiamata dai

modi di dire popolari con cui si designano i due Giovanni: il Battista è chiamato il “Giovanni che

piange”, mentre l’Evangelista è chiamato il “Giovanni che ride”.

Altri importanti segni ci vengono infine dalla decorazione della facciata e dell’abside. Lo

stupendo ed emblematico rosone cosmatesco è la più chiara espressione del Sole Trinitario31

che

oscura definitivamente il sole pagano simboleggiato da Vultus Trifrons alla sua sinistra e lo stesso si

può dire del Pantocrate ascendente dell’abside, la vera luce che illumina ogni uomo, la luce che

nella seconda venuta del Cristo, apparirà ad Oriente.32

Sia con il solstizio che con l’Ascensione ci

troviamo di fronte alla massima manifestazione della luce: quella visibile del sole e di Cristo-uomo

e quella invisibile di Cristo-Dio che con l’evento finale della sua vita terrena introduce nella vita

dell’uomo l’azione dello Spirito e ne inaugura l’era.33

Con la presenza dello Spirito Santo nel

mondo la dimensione terrena è saldata con quella celeste, l’umano con il divino e l’Ascensione fissa

definitivamente la VIA PER IL CIELO, rappresentata a Tuscania con tutto il Colle di S. Pietro e

con l’utilizzazione dei numerosi segni che la evocano.34

Quanto sopra esposto testimonia l’aspetto irripetibile del complesso tuscaniese e numerosi

sono i dettagli che punteggiano le due basiliche e ne manifestano una unicità riferibile a tutto

l’ecumene cristiano. Partendo dalla facciata della chiesa di S. Pietro è di immediata comprensione il

fatto che con la decorazione della parte superiore ci troviamo di fronte ad un manifesto di pietra

completamente assente nelle chiese romaniche, che affidano invece i messaggi alle decorazioni

della porta principale. Quello che può sfuggire è il significato complessivo della decorazione, che

affonda le sue radici nella cultura del periodo paleocristiano,35

sensibilmente diversa dalle angosce e

dalla sensibilità che ispirano le espressioni del romanico.

30

Episodi dell’ Annuncio a Zaccaria, della Nascita del Battista e dell’Imposizione del Nome. Cfr. E. Tagliaferri, cit., p.

50. 31

J. Raspi Serra, cit., p. 116: “In rapporto alla teoria affermata da Innocenzo III del dominio universale della Chiesa e

della supremazia del Vicario di Cristo e del papato, per la prima volta rappresentato con il simbolo del sole, si potrebbe

leggere, la decorazione della facciata di S. Pietro dove la “rosa”, secondo l’iconografia proposta da Noehles,

rappresenterebbe appunto il sole”; K. Noheles, Die Fassade von S. Pietro in Tuscania, in Römisches Jahrbuch für

Kunstgeschichte, 1961-1962. Nel Paradiso di Dante troviamo continui accostamenti della Trinità con la Luce: “La

gloria di colui che tutto move/ per l’universo penetra e risplende” (I, 1-2); “O trina luce, che ‘n unica stella/ scintillando

a lor vista sì li appaga” (XXXI, 28-29).

32

Cfr. U.M. Lang, Rivolti al Signore. L’orientamento nella preghiera liturgica, Roma 2010, p. 31. S. Giovanni

Damasceno aveva scritto: “Nella sua ascensione al cielo, Egli si levò verso oriente. Così Lo adorano gli Apostoli, e

ritornerà come essi Lo videro andare verso il cielo” (De fide orthod. IV, 2); M. Loconsole, cit., p. 80. 33

Gv 14, 26; Mt 28, 20. 34

Solari risultano le parole di Gesù: “Io sono la Via, la Verità, la Vita”, (Gv 14, 6 ); cfr. inoltre l’affermazione di A.

Pracchi, cit., p. 87: “la chiesa nasce innanzitutto come simbolo edificato e come luogo di una liturgia intimamente

connessa al significato di tale simbolo”. 35

Ibidem, “La chiesa [edificio] riflette il pensiero e la teologia dell’epoca alla quale appartiene”; anche A. Quacquarelli,

L’Ogdoade patristica e i suoi riflessi nella liturgia e nei monumenti, Bari 1973, p. 11.

8

L’interlocutore del programma iconografico tuscaniese è il mondo pagano che ancora

circonda i cristiani della tarda antichità. Ad esso si vuole opporre l’affermazione della nuova fede e

di esso si vuole mostrare il volto oscuro e la posizione subalterna: Cristo-Sole rappresentato dal

rosone è la vera luce che illumina il mondo e delle divinità solari si sottolinea la natura diabolica

nella reiterazione del Vultus Trifrons. E l’atlante che alla destra del rosone sorregge il mondo dei

beati evoca la funzione preparatoria della cultura classica nei confronti del Cristianesimo.36

(12)

Un altro elemento che non trova riscontro nel mondo cristiano è il trono episcopale posto nel

coro. Un semplice seggio di pietra al quale si accede da tre gradini, con lo schienale sagomato a

disco. L’assenza di decorazione, mentre ci riporta agli antichi modelli che imitano i seggi del potere

laico,37

concentra l’attenzione sullo schienale, che si configura come una chiara allusione al sole e

alle sue implicazioni simboliche. In uno studio di A. Grabar si sostiene che questi mobili d’apparato

“ont rempli une fonction qui les exposait a être utilisés comme symboles du pouvoir”.38

E se il

simbolo del potere è dato dal trono in posizione elevata e dal Sole, è pienamente legittima la

connessione al periodo di transizione dal paganesimo al cristianesimo, quando la nuova fede cerca i

suoi segni ed elabora la sua presenza nella società.39

In uno studio dedicato ai cicli pittorici di S. Pietro viene rilevato che “il dorsale del trono di

Tuscania, una semplice lastra semicircolare, non trova alcun termine di confronto nella produzione

coeva italiana”.40

Ma se spostiamo la nostra attenzione al suo modello, e cioè al trono episcopale

della vicina S. Maria Maggiore, con il dorsale costituito da un disco completo e distinto dalla sedia,

vediamo che il confronto non può essere istituito con i seggi di nessun secolo.41

Il trono di S. Maria

Maggiore risulta dall’assemblaggio e riutilizzazione di elementi pagani, dato che il disco precedente

alla copia attuale, recava una scritta etrusca. La chiesa, infine, precedette come cattedrale quella di

S. Pietro e il primo vescovo di cui si ha notizia è presente in un sinodo del 595 d.C.42

Un altro dettaglio in grado di rivelare l’unicità della chiesa ci viene offerto dal mosaico

cosmatesco che impreziosisce il pavimento della navata centrale. La committenza ha voluto in

questo spazio tre aree conformate a quinconce,43

due nella zona riservata ai fedeli e una nel

presbiterio. Per afferrarne la portata simbolica, dobbiamo prendere in esame gli elementi più vistosi:

il 3 delle aree musive, il 5 delle “rote porfiretiche” che caratterizzano il quinconce, la reiterazione

del quinconce all’interno del disco centrale e l’assenza del corridoio su cui, durante l’ingresso, si

snodava la processione dei celebranti e presente in tutti gli esempi coevi. Se è facile trovare i primi

due aspetti negli edifici cristiani che si affidavano volentieri ai messaggi della numerologia, gli

ultimi due appaiono esclusivamente nel monumento tuscaniese.

Scendendo sul piano dei significati, mentre il 3 introduce all’idea di Trinità e ai passi

necessari che ci consentono la comunicazione,44

il 5 è il numero dell’uomo e del suo bisogno di

elevazione alla dimensione divina da cui proviene. La ripetizione in forma miniaturistica del

36

E’ il pensiero dei Padri della Chiesa. Cfr. L. Zappella [a cura di],Le due città. Paganesimo e Cristianesimo in

Agostino, Milano 2005, p. 74 sg. La rappresentazione ci da indicazioni anche per retrodatare la costruzione della

basilica. Cfr. A. Grabar, cit., p. 183. 37

A. Grabar, Trônes épiscopaux du XI et XII siècle en Italie Méridionale, in Wallraf-Richarts – Jahrbuch vol. 16 (1954)

p. 18: “ a l’époque paléochrétienne et au très haut moyen âge, les trônes episcopaux…étaient des sièges très simplex”;

id, Trônes d’évêques en Espagne du Moyen Age, in “L’Art de la Fin de l’Antiquité et du Moyen Age”, Parigi 1968, p.

401: “c’est du Palais qu’ils sont venus à l’ Ėglise”. 38

Ivi, p. 393. 39

R. Krautheimer, Architettura paleocristiana e bizantina, Torino 1986, p. 34. 40

E. Tagliaferri, cit., p. 35. 41

A. Barbacci, cit., pp. 260-261. 42

J.D. Mansi Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, Graz 1960, IX, col. 1228. 43

M. Cigola, Mosaici pavimentali cosmateschi, in Palladio Gennaio-Giugno 1993, p. 103. A p. 107 l’autrice parla di “

immissione di nuovi contenuti che aumenteranno con il tempo la loro importanza rispetto alle componenti estetiche,

amplificando sempre più in senso simbolico e quasi spirituale il valore e la funzione stessa della rota porfiretica”.

44

G.H. Baudry, cit., p. 140. A p. 93 lo studioso parla di “ ingresso effettivo nel Regno di Dio attraverso il dono dello

Spirito”.

9

quinconce all’interno del disco centrale si serve di un modulo espressivo usato nell’antichità per

segnalare l’intensità di una presenza.45

Nel caso tuscaniese significa che nella basilica di S. Pietro

l’elevazione dell’uomo a Dio si realizza al massimo livello. Un livello maggiore non sarebbe

possibile. Nei mosaici pavimentali delle chiese, il corridoio centrale sostituiva il tappeto su cui

procedeva l’imperatore e la sua corte durante l’adventus.46

La liturgia cristiana si appropriò di

questo cerimoniale per dotare vescovo e celebranti di un apparato e di una scenografia che

sottolineava la solennità e la sacralità di quanto sarebbe avvenuto durante la funzione religiosa.47

L’assenza nella basilica tuscaniese, collega la chiesa di S. Pietro a quella posta in basso da cui

aveva origine l’azione. Il “corridoio” era sostituito dal percorso attraverso il quale i fedeli in

processione raggiungevano la sommità e l’ingresso nella chiesa immetteva direttamente nella “città

celeste”48

Continuando con l’esame degli elementi che rafforzano l’unicità delle basiliche tuscanesi,

troviamo il fonte battesimale di S. Maria Maggiore. Collocato nella parte centrale della navata

destra, è formato da una vasca ottagonale con un’apertura di m 1,30 ed una profondità di soli 50

cm.49

Al rito per immersione si procedeva salendo i due gradini dell’ampia base, anch’essa

ottagonale. La particolarità del fonte deriva dalle decorazioni presenti all’esterno delle otto lastre

che delimitano la vasca e dal fatto che questa è il risultato di ampie ed evidenti modifiche.50

Tutti

gli ornati scolpiti all’esterno di ogni faccia presentano elementi riconducibili al sole e questo fatto ci

parla dei preesistenti culti solari praticati a Tuscania durante il paganesimo, dell’accentuazione della

caratteristica “solare” di Cristo nella tarda antichità e dell’ingresso nella luce del neofita con il rito

battesimale.

La decorazione di ogni faccia, inoltre, appare rappresentativa di un numero: sono

immediatamente riconoscibili il numero 3, il 4, il 5, il 6, l’8, il 9 e l’1, una spirale di chiaro

significato solare.51

Questo uso intenso della numerologia nel fonte ci riporta al clima culturale in

cui operava il cristianesimo dei primi secoli, quando nella comunità cristiana si era ingenerato “un

complesso sistema del Mistero, documentato dalla produzione di “ carmina figurata”, di alfabeti e

numeri mistici, di riti e sigilli arcani, di “nomina sacra” e di dottrine esoteriche. Si configurò

l’imponente “disciplina arcani”, che serviva da una parte a celare ai persecutori i “ misteri” della

neonata comunità cristiana, dall’altra a suscitare nel neofita, la ricerca e l’amore verso il

“Mysterium absconditum”, che dava la vera pace e faceva entrare in possesso della verità

divina”.52

Le modifiche che hanno interessato il fonte battesimale sono segnalate dai diversi tagli ed

adattamenti delle lastre che fanno pensare ad un primitivo fonte con più facce. Gli scavi condotti

dalla Soprintendenza nel 2011 53

nel pavimento della navata destra hanno consentito di appurare un

fonte battesimale originario costruito sotto il livello attuale e con una base molto più ampia. Siamo

così indotti ad ipotizzare un fonte unico nel suo genere, che affida il suo messaggio al numero 12 e

alla mistica dei numeri dall’1 al 12, come a sottolineare una TOTALITA’ che nel complesso

tuscaniese è simboleggiata in vari modi. La faccia che presenta il numero 6 contiene la ripetizione

segnalata nel mosaico pavimentale della chiesa di S. Pietro. Il numero 6 è affidato alla presenza di

45

W. Deonna, Trois, superlatif absolu, in “L’Antiquité classique”, XXIII, 1954, p. 409.

46

L’adventus (= arrivo) era la cerimonia connessa alla visita dell’imperatore nelle città o nelle zone del vasto Impero. 47

R. Krautheimer, cit., p. 34 48

Ivi, p. 66. 49

L. Paschetto, Antichi fonti battesimali nell’Alto Lazio, in “Bilychnis”, 1923, Agosto-Settembre, p. 151. 50

Ibidem 51

M. Tizi, Dal Tempio del Sole al Sole Eterno .La simbologia solare nel Colle di S. Pietro, in “Atti del I Convegno

sulla Storia di Tuscania”, p. 93. 52

M. Loconsole, cit., p. 10; id., p. 9, nota 34; G.H. Baudry, cit., p. 60. 53

Abbiamo notizia di un fonte battesimale polilobato con “12 lobes incurvés a Tébessa (Algérie)” in “Les baptisères

paléochretiens: plans, notices et bibliographie”, Paris 1962, p.9. Alla simbologia del numero 12 possiamo associare

anche i 12 “fiori della vita” presenti nel rosone e le 12 campane che dovevano essere presenti nel campanile

dell’Abbazia di S. Giusto. Il ripiano che divide l’ambiente interno attualmente presenta 8 fori per le corde.

10

un fiore a sei petali che ha al suo interno lo stesso fiore miniaturizzato. Un modo per dire che

l’iniziazione nella basilica raggiunge un’intensità al massimo livello.

Che a Tuscania ci troviamo di fronte, infine, ad un centro unico ed enigmatico in tutto il

panorama dell’antichità e dell’alto medioevo, ce lo segnala prepotentemente il rosone della chiesa

di S. Maria Maggiore e la Passio dei SS. Martiri Patroni: Secondiano, Veriano e Marcelliano. Il

rosone presenta una particolarità che non trova riscontro negli edifici cristiani: il tetramorfo54

che lo

circonda non è disposto ai quattro vertici del quadrato, come comunemente avviene, ma è disposto a

croce. Per indagarne il campo semantico dobbiamo porre attenzione anche alla disposizione degli

evangelisti: l’aquila di Giovanni in alto, il bue di Luca in basso, l’angelo di Matteo a destra e il

leone di Marco a sinistra. Una sequenza che facendo seguire all’angelo di Matteo il bue di Luca, si

allontana intenzionalmente dalla disposizione canonica.

E’ casuale tutto questo? E quale messaggio volle esprimere la committenza che ne ordinò la

realizzazione? Ancora una volta per trovare la risposta dobbiamo calarci nel clima culturale del

tempo che produsse il messaggio e questo tempo non è assolutamente quello in cui fiorì il

romanico. Ci troviamo piuttosto a dover cercare tra i caratteri del periodo in cui la fede cristiana si

era diffusa in tutti gli strati della società romana, ma il paganesimo era ancora vigoroso. Era un

tempo di cui i fedeli comprendevano i simboli, il linguaggio e i modi di vedere. Un autore che si è

occupato dei simboli cristiani delle origini, così sintetizza la situazione: “I primi cristiani, con

l’eccezione di qualche gruppo marginale di stampo settario, hanno fatto propri i valori della

cultura greco-romana, nella misura in cui li giudicavano compatibili con la propria fede…E’

necessario comprendere a fondo che i cristiani dei primi secoli, che siano di origine ebraica o

pagana, sono immersi in una doppia cultura: quella biblica e quella greco-romana. Essi trarranno

i propri simboli dall’una e dall’altra cultura, facilitati dal fatto che certi simboli sono comuni”.55

Nel rosone di S. Maria Maggiore abbiamo un cerchio e la croce formata dalla disposizione

dei quattro evangelisti con l’aquila di Giovanni in alto e il bue di Luca in basso.(13) Non è una

collocazione causale di elementi tanto per fare una cosa insolita, ma comunica un messaggio

preciso e pienamente comprensibile nel tempo in cui fu formulato. Croce e cerchio evocano la croce

cosmica e l’opposizione di aquila e bue quella di cielo (in alto) e terra (in basso). Il cerchio viene ad

assolvere una duplice funzione: quella di sintetizzare lo spazio cosmico56

che reca l’impronta della

croce salvifica, impressa fin dal primo istante della creazione. E la funzione di rappresentare il

Cristo-Sole,57

mediatore e ponte fra la dimensione terrestre e quella celeste.

A fornirci una connessione fra la croce e la creazione 58

c’è la riflessione dei Padri della

Chiesa. “Per Ireneo la croce ricapitola la creazione ed è quindi simbolo cosmico…Gregorio di

Nissa, inoltre, interpreta la croce di Cristo come il simbolo della Signoria di Dio sull’universo;

essa, infatti, se prolungata idealmente nel cosmo, segna longitudine e latitudine infinite: è la

concezione della croce come impronta cosmica”.59

Giustino,60

addirittura, rintraccia una

anticipazione di questa interpretazione nel Timeo di Platone, mentre le parole di Lattanzio

sembrano scritte per i segni che stiamo analizzando: “ Dio, nella sua sofferenza aprì le braccia e

abbracciò il cerchio della Terra”.61

Altre due interpretazioni elaborate nel tempo dai Padri della

54

Nella tradizione cristiana e nella storia dell’arte è la figura composta dai quattro simboli degli evangelisti, disposti ai

vertici di un quadrato: uomo alato (Matteo), leone (Marco), toro (Luca) e aquila (Giovanni). L’immagine è ripresa dalla

visione di Ezechiele e dall’Apocalisse. Secondo S. Girolamo il tetramorfo sintetizza la totalità del mistero cristiano:

Incarnazione (uomo alato), Passione (bue), Resurrezione (leone) e Ascensione (aquila). Per la sua autorità, alla fine del

IV secolo viene assegnato in modo definitivo ad ogni evangelista il suo animale simbolico. Con Gregorio Magno (VI

sec.) l’attribuzione e la sequenza può dirsi stabilizzata. 55

G.-H. Baudry, cit., p. 117. 56

N. D’Anna, Il gioco cosmico, Roma 2006, p. 76. 57

G.-H. Baudry, cit., p.86. 58

Ivi, p. 39. 59

M. Loconsole, cit., pp. 28 e 29. 60

Ivi, p. 53. 61

Ivi, p. 29.

11

Chiesa ci soccorrono nella corretta comprensione della nostra raffigurazione, dove al cerchio sono

aggiunti gli elementi croce, cielo e terra: quella dell’Albero della Vita e quella della Scala Cosmica.

“L’Albero della Vita è il primo simbolo della croce che troviamo fin dalle origini del genere

umano, ed è anche l’ultimo, in quanto descritto nel libro che conclude la Sacra Scrittura”.62

Simbolo universale della croce di Cristo, Origene di Alessandria scriverà: “Il Cristo, che è la virtù

di Dio, la Sapienza di Dio, è anche l’albero della vita su cui noi dobbiamo essere innestati”.63

A

Tuscania la portata simbolica di questa iconografia giunge fino al Trecento, quando se ne fece una

esemplare rappresentazione nella pittura alla destra della porta d’ingresso della chiesa di S.

Silvestro.64

Dalla chiesa antica e subapostolica ci viene la concezione teologica della croce come

unione di cielo e terra e via per salire al Cielo. Negli Atti di Andrea si legge “una parte [della croce]

è piantata nella terra, per riunire le cose che sono sulla terra e quelle che sono negli inferi assieme

a quelle che sono nei cieli”.65

Un motivo largamente rappresentato nel Colle tuscaniese, che già abbiamo trovato nella

chiesa di S. Pietro e che introduce quello della Scala Cosmica. E’ Ireneo che elabora

compiutamente la dottrina di quest’ultimo motivo: “La scala, immagine della Croce, è il mezzo per

salire dalla terra al cielo…E’ per mezzo della croce che i credenti in Lui salgono nel Cielo”.66

A

Tuscania, così, nella facciata di S. Maria Maggiore ci troviamo di fronte ad una potente e compiuta

simbolica presente nel mondo pagano e reinterpretata alla luce della nuova fede: la Croce di Cristo

che abbraccia il cosmo e unisce la Terra al Cielo, costituendo l’unico accesso per l’uomo che non

vuole rimanere prigioniero dei lacci del mondo.

L’ultimo atto per affermare l’unicità di Tuscania e marcare il suo primato in campo religioso

avvenne nel 648 d.C.. In tale anno, secondo la tradizione, vennero portate nella civitas Tuscana da

Centumcellae dove erano stati martirizzati durante la persecuzione di Decio, le spoglie mortali di

Secondiano, Veriano e Marcelliano. Ne divennero Patroni e tali sono venerati fino ai nostri giorni.

L’esame della Passio, che secondo Lanzoni risalirebbe al V/VI secolo,67

rivela una mano dotta e

l’intenzione della committenza di elevare il centro che accoglieva i tre martiri ai più alti livelli

politici e religiosi. L’operazione, in pratica, doveva sostituire con segni cristiani appropriati, quelli

che Tuscania esibiva durante il paganesimo. Un’operazione ampiamente riuscita, come testimonia

la saturazione cristiana dell’antico centro etrusco e il fatto che divenne una importante diocesi con

la giurisdizione di un vasto territorio della Tuscia.

I tre martiri erano romani e appartenevano all’entourage della corte imperiale. Secondiano

era un aiutante del Prefetto e amico dell’imperatore. Erano “viri doctissimi”68

e prima della

conversione Secondiano perseguitava i cristiani. La Passio ne tratteggia il profilo sul modello di

Paolo di Tarso i cui simboli sono costituiti da libro e spada. La divinità pagana che vengono invitati

ad adorare è Saturno, il dio dell’età dell’oro e delle origini, le quali vengono richiamate anche dagli

eventi che precedono la traslazione: diversi centri accorrono per appropriarsi delle spoglie dei

martiri. Qualcosa del genere è contenuto nel mito etrusco di Tagete. Se mettiamo a confronto la

Passio dei Patroni tuscanesi con quella dei patroni di prestigiosi centri come Milano, Ravenna,

Aquileia vediamo che l’esito è tutto a favore di Tuscania. La Passio dei Patroni di Viterbo, l’attuale

capoluogo della Tuscia, appare addirittura come un tentativo di copiare quella dei martiri romani, di

cui cerca di echeggiare alcuni motivi.69

62

Ivi, p. 30. 63

Ivi, p. 31. 64

F. Ricci, Aspetti di pittura medievale e rinascimentale a Tuscania, in “Da Salumbrona a Tuscania”, Atti del II

Convegno sulla Storia di Tuscania, Tuscania 2011, p. 131, 65

M. Loconsole, cit., p. 7. 66

Ivi, p. 35. 67

F. Lanzoni, Le diocesi d’Italia dalle origini all’anno 604, Faenza 1927, vol. I, p. 438. 68

AA. SS. Iunii, I, Antverpiae 1695, pp. 35-37; AA. SS. Augusti, II, Antverpiae 1735, pp. 401-407 69

P. La Fontaine, Gli Atti dei Santi Martiri Valentino e Ilario, Comprotettori di Viterbo, Viterbo 1906, p. 6; S. del

Ciuco, I santi Valentino e Ilario, Compatroni della Città di Viterbo, Viterbo 1993, p. 26. Per l’esame approfondito della

12

Quali conclusioni possiamo ricavare da questo lavoro esegetico, se Tuscania nell’antichità

poteva contare solo sulle sue risorse agricole? Le deduzioni sembrano andare sempre in un’unica

direzione: l’antico centro godeva di un ruolo di primo piano sul piano religioso e simbolico. Per

radicarsi nell’antico centro etrusco, il Cristianesimo dovette procedere ad un’ampia e capillare

epurazione dei segni e degli oggetti pagani da sostituire con i propri e l’ordine cristiano instaurato a

Tuscania è il riflesso dell’ordine pagano sostituito. Per farsi un’idea di quello che accadde è utile

leggere Rufino,70

testimone oculare di quanto avvenne in Egitto nel IV secolo. Dappertutto

immagini e iscrizioni pagane furono cancellate e strappate “ma al loro posto ciascuno dipinse il

segno della croce del Signore, sui montanti delle porte, sugli ingressi, sulle finestre, sui muri e sulle

colonne”.71

Sul Colle di S. Pietro, a Tuscania, Etruschi prima e Romani poi, avevano edificato i loro

templi e lasciato una significativa rappresentazione dell’ordine pagano. Le basiliche costruite dalla

comunità cristiana e la stratificazione dei simboli che contengono dovevano comunicare una solida

presa di possesso ed una eloquente affermazione di vittoria. Per procedere ad una decifrazione di

essi ci serviremo ora di tre chiavi di lettura: il riflesso dei culti solari praticati a Tuscania, la

Caverna Cosmica e l’unione del Cielo con la Terra. L’ esame di questi territori simbolici ci

consentirà, infine, di capire perché il Cristo presente nell’iconografia delle facciate di S. Pietro e S.

Maria Maggiore venga raffigurato con una veste pagana.

Sole nelle basiliche

Nelle basiliche tuscanesi e nel colle su cui sorgono, tutto parla del sole sia come elemento

materiale, sia come espressione del divino utilizzata nel tempo in una evidente continuità che trova

la sua saldatura nei secoli di coesistenza tra paganesimo e cristianesimo. Prima di rendere conto dei

numerosi segni e simboli che rimandano al sole rintracciato nelle nostre ricerche, appare necessario

prendere confidenza con le riflessioni del gesuita Jean Danielou sulla ricerca di Dio da parte

dell’uomo. “La prima espressione dell’incontro tra l’uomo e Dio sul piano storico si trova nelle

religioni antiche, anteriori alla rivelazione di Dio nell’Antico Testamento” “Per un pagano,

continua lo studioso, l’elemento materiale costituisce il segno, il simbolo… la ierofania, ossia la

manifestazione visibile del sacro, di una realtà trascendente e misteriosa…Il sole costituisce una

delle ierofanie essenziali in tutte le religioni…Il sole, nel mondo pagano, è come un sacramento, in

quanto segno visibile di una realtà invisibile”.72

Piena assoluzione della religiosità pagana, dunque? Non condanna, ma precisazione: “L’

Antico Testamento prima, il Nuovo Testamento poi,non respingono questi segni, o più esattamente

non li condannano sin tanto che non siano divenuti oggetti di idolatria”.73

Il sole, così, occupa un

posto centrale nella religiosità dell’uomo come segno che manifesta una realtà invisibile, di ordine

diverso e superiore a quella materiale in cui ci troviamo immersi. Lo ritroviamo presente nelle

religioni storiche,74

da quelle nate in Mesopotamia agli Egizi, dalle religioni che si sono sviluppate

in Oriente a quelle proprie dell’America. Il Cristianesimo, nato a Gerusalemme e proiettato nel

mondo greco-romano, si trovò in costante presenza delle divinità solari venerate nelle varie

province dell’Impero. Quando la nuova fede iniziò la sua inarrestabile fase ascendente, il

Passio cfr. M. Tizi, Secondiano, Veriano e Marcelliano: la rifondazione cristiana, in Atti del II Convegno sulla storia

di Tuscania, cit., pp. 63-88.

70

Rufino d’Aquileia (345-410) fu monaco, storico e teologo cristiano. Nel 373 si recò in Egitto dove rimase fino al 377.

Il contatto con monaci famosi per scienza e santità fu importante per la sua formazione spirituale e intellettuale. 71

F. Thelamon, Distruzione del paganesimo e costruzione del Regno di Dio secondo Rufino e Agostino, sta in

“L’intolleranza dei cristiani nei confronti dei pagani” , a cura di P.F. Beatrice, Bologna 1990, pp. 101-124; M.

Loconsole, cit., p. 59; cfr. anche H. A. Schlögl, L’antico Egitto, Bologna 2005, pp. 82-83. 72

J. Danielou, Miti pagani, mistero cristiano, Roma 1995, p. 16. 73

J. Danielou, ibidem. 74

G.-H. Baudry, cit., p. 85.

13

paganesimo aveva compiuto un notevole sforzo unificatore con il culto del Sol Invictus al quale era

affidato il compito della coesione religiosa e politica della società.

L’evangelizzazione si trovò a contrastare il terreno ai culti solari e a parlare a uomini

immersi nella cultura pagana di cui utilizzò i simboli adatti a diffondere il nuovo credo. Al centro di

questo credo c’era Cristo, il Verbo Incarnato venuto ad inaugurare una nuova creazione. “In modo

palese o occulto, direttamente o indirettamente, il simbolo cristiano primitivo si riferisce sempre

alla persona di Gesù Cristo”.75

E come il sole è il principio vitale della biosfera, così Cristo veniva

presentato come il sole mistico capace di vivificare l’ordine universale. “Cristo, dirà lo studioso

cattolico, ci appare così non solo l’erede dell’ordine giudaico e del Tempio mosaico, ma anche

dell’ordine pagano e del Tempio cosmico”.76

A Tuscania, sul Colle di S. Pietro, l’ordine pagano

strutturato dagli Etruschi prima e dai Romani che ne avevano accettato e valorizzato l’eredità, aveva

nel sole la sua massima espressione religiosa, alla quale erano dedicati riti e templi.

I riscontri archeologici che lo testimoniano li stiamo raccogliendo, le fonti tacciono, ma le

basiliche edificate sul Colle e la loro organizzazione lo rivelano abbondantemente. Le espressioni

religiose che vediamo sul Colle e quelle che non ci sono più, le due basiliche, la loro presenza, la

loro dislocazione, i segni e i simboli che contengono, obbediscono ad un progetto unitario che trova

il suo centro unificatore nel sole sul piano materiale e in Cristo su quello spirituale. Prendiamo atto

dell’accostamento di Cristo al sole con le parole del gesuita francese: “Sul Calvario, quando

scompare il mondo antico e si inaugura il mondo nuovo, nel tempo stesso che si lacera il velo del

Tempio annunciando l’abolizione dell’ordine mosaico e l’entrata dell’umanità nel vero Tempio, il

sole si oscurò perché si sta operando una nuova creazione del mondo e sorge un nuovo sole il cui

splendore supera infinitamente quello del primo”.77

I cristiani dei primi secoli non si lasciarono sfuggire l’occasione di presentare il Verbo

Incarnato con alcuni tratti propri delle divinità solari e numerose espressioni iconografiche ce lo

testimoniano.78

Ma a Tuscania andarono oltre. Il Colle di S. Pietro e l’eredità pagana che vi era

sedimentata si prestavano ad una rappresentazione cosmica del mistero e dell’iniziazione cristiana e

questo fecero. Di chiese, quando i tempi lo permisero, ne costruirono due, una in basso e una alla

sommità per dare evidenza ad un’ascesa. Gli edifici furono disposti non verso un oriente generico,

ma verso i solstizi: quello d’inverno per la basilica di S. Maria Maggiore in basso e quello d’estate

per l’altra. Due edifici ad alta densità simbolica a presidio delle Porte Solstiziali che delimitavano il

corso del sole e marcavano gli ingressi della Caverna Cosmica79

con cui nell’antichità veniva

rappresentato il mondo della manifestazione.

Questa rappresentazione del mistero cristiano assumeva la forma di un percorso che aveva

un inizio e una fine: il Bambino sulle ginocchia della Madonna nell’ingresso di S. Maria Maggiore

e il Cristo ascendente nell’abside di S. Pietro. Come a dire l’albeggiare costituito dalla Madonna, la

vittoria della luce che comincia a crescere simboleggiata dal Cristo Bambino e il trionfo della luce

manifestato dall’Ascensione. Tutto materialmente e rigorosamente riferito all’ Oriente.80

“Visitavit

nos oriens ex alto”, diranno Zaccaria e Simeone, salutando la nascita di Cristo.81

Ad Oriente e su

un’altura si è innalzato e dall’Oriente deve ritornare come un lampo all’orizzonte. Il riferimento al

sole non poteva mancare di lasciare cospicue tracce nell’apparato simbolico conservato dalle

basiliche tuscanesi.

Il più evidente è il Vultus Trifrons scolpito sotto la bifora sinistra della facciata di S. Pietro.

Di immediata comprensione è la corona formata da raggi solari, mentre le tre facce esprimono

75

M. Loconsole, cit., p. 8. 76

J. Danielou, op. cit., p. 50. 77

Ibidem, p. 48; Ap 22, 5. 78

T. F. Mathews, Scontro di Dei, p. 96; cfr. L. Albanese, I culti solari dall’Impero Romano al Rinascimento, Roma

2007, pp.153-183; M. Tizi, cit., pp. 99-100. 79

Per il simbolismo della Caverna Cosmica e delle Porte Solstiziali v. R. Guenon, Simboli della Scienza sacra, Milano

2005, pp.177-221; Porfirio, L’antro delle Ninfe, Milano 2006; R. Heinberg,I riti del solstizio, Roma 2001. 80

A. Quacquarelli, cit., p. 39. 81

Lc, 1, 78.

14

l’onniveggenza come pure i tre momenti principali del corso del sole: l’alba, il mezzogiorno e il

tramonto. A proposito della forma, così si esprime uno dei massimi studiosi di religione: “Che il

sole che vede tutto sia stato concepito in forma tricefala è chiaro da diversi monumenti dell’arte

persiana medioevale”.82

Ma non dobbiamo scomodare solo la Persia. “ Io sono Chepra al mattino,

Ra a mezzogiorno e Tum la sera”, dice un testo egiziano. E tre è il numero del sole, ci chiarisce uno

studioso di iconologia.83

Un altro decisivo segno che riconduce al sole è l’arco nel sagrato della chiesa di S. Pietro,

fuori contesto se viene considerato come semplice porta.E’ sì una porta, ma simbolica. In asse con

la parte aggettante della chiesa, segnala il termine della corsa del sole al solstizio d’estate e la porta

che apre e chiude il suo corso quotidiano. Connesso alla manifestazione della luce è anche il

mirabile rosone cosmatesco che a Tuscania rivela un Cristo inserito nel mistero trinitario reso

anche attraverso la numerologia: 12 per Cristo, 19 per lo Spirito Santo e 26 per il nome di Dio.(14)

Nella facciata sono presenti altri simboli solari: i due leoni ai lati della porta centrale, l’aquila

tricipite nella lunetta della porta laterale, le quattro aquile alla sommità dell’archivolto cosmatesco

che insieme ai cervi e ad un quadrupede che si morde la coda si discostano dalle coeve

rappresentazioni incentrate sui segni zodiacali e i lavori dell’uomo. All’interno della chiesa i

simboli solari sono costituiti dalla insolita dentatura che orna le arcate che separano le navate, dallo

schienale rotondo del trono episcopale e dalle improbabili dentature dell’arcone situato nella parte

mediana della navata di destra.

Per spiegarne la presenza sono state proposte influenze arabe,84

ma se invece delle parti

piene si pone attenzione ai vuoti appare chiaramente una corona solare. Qual era il suo significato e

la sua funzione? L’ipotesi più ragionevole appare quella di segnalare la presenza del sole nella

cripta, rappresentato ancora dalla Madonna in trono con il Bambino e dai resti mortali dei tre martiri

che vi venivano conservati. Negli inni medievali che li riguardano vengono identificati con aggettivi

riferibili al sole e anche come Nova Trinitas. Nella cripta è presente anche la prova più antica della

connessione Cristo-Sole costituita dal capitello del nostro incipit con la sua ancora capovolta e nel

presbiterio della chiesa sono presenti le testimonianze più solari: la croce nel sole del pluteo

marmoreo e il Pantocrate Ascendente.

“ L’Ascensione, scrive J. Danielou, è la consumazione del mistero della Salvezza…con lui [

Cristo] tutta la natura umana è definitivamente introdotta nel Tempio celeste”85

dove non c’è

“bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada

è l’Agnello”.86

Vale a pena di ricordare che la raffigurazione del Pantocrate, che non trova riscontro

nel mondo cristiano, trae la sua lontana origine nella statua che Costantino si era fatta costruire nella

nuova capitale: con il capo adornato di raggi solari, il globo nella mano e alla base della colonna la

dizione “A Costantino, splendente come il sole”.87

Spostandoci nella basilica di S. Maria Maggiore

la prova più immediata della connessione con il sole è data dalla torre campanaria edificata davanti

alla facciata. Nessuna chiesa romanica esibisce questa collocazione: i campanili sono situati di lato

o dietro. La spiegazione dell’anomalia tuscaniese è attribuibile alla necessità di nascondere i riflessi

di un evento astronomico. All’alba del solstizio d’inverno il sole illuminava altare e trono

episcopale e con lo scorrere dei secoli questa contaminazione con il mondo pagano non poteva

venir tollerata.

82

R. Pettazzoni, The Pagan Origins of the Three-Headed Representation of the Christian Trinità, Journal of the

Warburg and Courtauld Institutes, vol. 9, 1946, p. 149. 83

W. Deonna, Il triangolo sacro, Milano 2008, p. 74; simboli che possono sfuggire sono il sole e la luna che vengono

ripetuti nella raffigurazione dell’atlante che sorregge l’Agnello Mistico (facciata di S. Pietro) assimilabili a Cristo e al

la Chiesa, v. Baudry, cit., p. 88. 84

J. Raspi Serra, cit., p. 56. 85

J. Danielou, op. cit., p. 74. 86

Ap 21, 23. 87

I. Tantillo, L’Impero della luce. Riflessioni su Costantino e il Sole, in Melanges del l’Ecole Française de Rome, tome

115, Roma 2003, p. 1041.

15

A ricordare il sole c’è poi il rosone, che non solo presenta la particolarità del tetramorfo

disposto a croce, ma è decorato con una corona circolare su cui si aprono dodici fiori a sei petali,

diretta espressione della simbolica del Fiore della Vita. Nella lunetta del portale campeggia il

bassorilievo marmoreo della Madonna con il Bambino di cui già abbiamo parlato. Dentro la chiesa

una diretta allusione al sole è data dal dorsale del seggio del vescovo, mentre nel pluteo

dell’ambone appare una palma inscritta in un sole sorretto da due colonne. Apparteneva

verosimilmente ad un tempio pagano e i simboli scolpiti segnalano un culto solare.

Il fonte battesimale, infine, appare edificato per rendere pienamente manifesta tutta la

portata della simbologia solare che esisteva fin dalle origini associata a quella della luce. Per i

cristiani, scrive Baudry, “ Cristo è il sole che illumina la nuova creazione. Attraverso il battesimo

egli fa del catecumeno una “nuova creatura”, illuminata dalla luce della vita eterna. “Illuminato”

diventa sinonimo di battezzato”.88

Originariamente il fonte tuscaniese aveva dodici lati a significare

Cristo che illumina della sua luce il collegio dei dodici apostoli, come il sole è al centro dei dodici

segni della ruota zodiacale. Portando la vasca alla forma ottagonale si volle uniformare la liturgia

alla riflessione patristica sull’ogdoade, il giorno della Risurrezione di Cristo nel quale entra il

battezzato passando dall’uomo vecchio a quello nuovo, dalle tenebre alla luce. E della luce ci

parlano con insistenza le decorazioni scolpite nelle otto facce, rese attraverso evidenti rimandi alla

simbolica solare.

La caverna cosmica

La collocazione delle basiliche tuscanesi ai punti estremi del Colle e il loro preciso

orientamento ai solstizi ci offrono l’indizio più solido per ricostruire la rappresentazione che la

comunità cristiana volle dare con la loro edificazione. E poiché tutto concorre a considerare la loro

presenza come una risposta e un superamento dell’ordine pagano, occorre indagare il significato

delle porte solstiziali e il loro rapporto con il tema e il mito con cui erano connesse. Questo percorso

ci porta all’immagine dell’Antro delle Ninfe presente in Omero e all’esegesi che ne fece il

neoplatonico Porfirio. Nel canto XIII dell’Odissea Omero descrive l’antro dove Ulisse nascose i

ricchi doni ricevuti dai Feaci. Ma anche ad una rapida lettura ci rendiamo conto che non siamo in

presenza di dati reali, né di pura finzione poetica.

Nell’antro infatti le Naiadi tessono manti purpurei con alti telai di pietra, le api ripongono il

miele in crateri e anfore di pietra e due porte hanno precise funzioni: quella volta a Borea89

è per la

discesa degli uomini nell’esistenza e quella a Noto è riservata solo agli dei. “L’antro di Itaca

descritto dai versi di Omero è un enigma, scrive Porfirio, …il poeta parla in questi versi con enigmi

e allegorie costringendo ad indagare quale sia la porta degli uomini e quale quella per gli dei, e

che cosa voglia significare questo antro a due porte definito sacro alle Ninfe, amabile in sé e

insieme oscuro”.90

Poiché gli antichi non costruivano templi senza simboli mistici e Omero non

espose a caso il suo racconto, Porfirio, avvalendosi delle sue competenze filosofiche, religiose e

storiche si impegna in una attenta ricerca per interpretare il passo omerico e rivelarne il significato

recondito.

L’antro, così, rappresenterebbe il cosmo, Ninfe e api le anime, i manti purpurei tessuti dalle

Ninfe significherebbero il formarsi del corpo intorno alle ossa e le due porte sarebbero le vie di

discesa e di risalita nel percorso cosmico dell’anima. Questa complessa simbologia dell’antro è

88

G.-H. Baudry, cit., p. 86. 89

Nella mitologia greca Borea è la personificazione del vento del nord, un Titano figlio di Eos, dea dell’aurora e fratello

di Noto (vento del sud) e di Zefiro (vento di ponente). I Titani erano esseri divini associati agli elementi della natura. 90

Porfirio, cit., pp. 37 e 39.

16

largamente presente nell’antichità e con essa si volle rappresentare il cosmo come luogo dove si

svolge la vita delle creature, intesa come iniziazione a stati superiori dell’essere. L’antro era per gli

antichi imago mundi, immagine del centro spirituale e punto di unione fra cielo e terra. Un autore

che ha studiato a fondo il simbolismo della caverna cosmica è René Guenon, per il quale questa ha

un’ entrata e una uscita che corrispondono ai due solstizi e che certe tradizioni chiamano “porta

degli uomini” e “porta degli dei”.

Dobbiamo ora precisare che la prima corrisponde al solstizio d’estate, cioè al segno del

Cancro, e la seconda al solstizio d’inverno, cioè al segno del Capricorno. Per comprenderne la

ragione, occorre riferirsi alla divisione del ciclo annuale in due metà, una ascendente e l’altra

discendente: la prima è il periodo del cammino del sole verso nord, che va dal solstizio d’inverno a

quello d’estate; la seconda è quella del cammino del sole verso sud, che va dal solstizio d’estate al

solstizio d’inverno. Che cosa c’entrano i solstizi con al caverna intesa come immagine del mondo?

Sull’onda di credenze caldeo-iraniane diffuse dall’ambiente pitagorico, in cui il misticismo aveva

un peso rilevante, e dalle idee neoplatoniche, si immaginò una discesa e una ascesa delle anime

attraverso un percorso astrale segnato dai punti critici della corsa del sole marcati dalla

costellazione del Cancro (estate) e da quella del Capricorno (inverno) e considerate “porte” in

quanto punti estremi del cielo e vie per entrare nella manifestazione, dove il sole svolge un ruolo

fondamentale.91

“Sia per discendere nella generazione, sia per risalire a Dio, le anime dovevano

necessariamente varcare una di esse”, scrive Guenon.92

Alla luce di quanto detto è possibile

stabilire una connessione tra la “teologia” elaborata dagli antichi intorno all’ “esistenza” e il

significato che la comunità cristiana volle imprimere alla sua presenza nel Colle di S. Pietro a

Tuscania? Vale a dire, le espressioni presenti sul colle tuscaniese, configurano una “Caverna

Cosmica” cristiana? Esaminiamo gli elementi che ci offre il colle: le porte solstiziali presidiate dalle

due basiliche, la continua sottolineatura del sole presente con numerosi e diversificati simboli, una

stretta connessione con il paganesimo che non appartiene al periodo romanico, le chiese edificate

per segnare un percorso ed evidenti manifestazioni dell’iniziazione cristiana. Tutti aspetti

facilmente riconducibili alla “Caverna Cosmica”.

Gli autori che si sono interessati a Tuscania non hanno potuto evitare di rilevare la forte

continuità dei messaggi affidati alle pietre delle due cattedrali con la cultura del mondo antico. J.

Raspi Serra, riferendosi alla tipicità della plastica decorativa esaminata nella cripta, parla di

“rielaborazione degli esempi di epoca classica e tardo-antica”,93

di legami con la cultura dei secoli

anteriori e di scalpellini che “sfruttano il repertorio precedente di cui doveva essere ancora vivo il

ricordo. Un’altra prova della continuità senza fratture con la tradizione preromanica”. Lo stretto

legame con l’antichità a Tuscania non è affidato solo al linguaggio artistico e architettonico, ma

compare anche nell’intento di imprimere un significato cristiano a temi e simboli propri della

cultura pagana. Una operazione segnalata da numerosi autori.94

Baudry ci ricorda che i cristiani dei primi secoli vivevano immersi in una doppia cultura,

quella ebraica e quella greco-romana. Era naturale che attingessero ai valori della cultura del loro

tempo, “nella misura in cui li giudicavano compatibili con la loro fede. Per accostarsi al mistero

della persona di Cristo, scrive lo studioso, i cristiani lo designeranno anche con un certo numero di

immagini e di simboli, alcuni dei quali saranno tratti dalla cultura collettiva, allo scopo di rendere

accessibile ai loro contemporanei il significato della sua persona e della sua opera di salvezza”. La

figura del Buon Pastore era infatti largamente presente nel mondo romano, il quale forniva anche

91

Porfirio, cit., p. 226: “Sole e Luna nei misteri caldei sono i “Padroni dell’iniziazione” e assistono all’ascesa

dell’anima”; Firmico Materno, In difesa dell’astrologia, Milano 1996, p. 47. 92

R. Guenon, cit., p. 208. 93

J. Raspi Serra, cit., pp. 74, 76 e 82; cfr. anche pp. 92 e 96. 94

M. Loconsole, cit., p. 8; G.-H. Baudry, cit., pp. 37 e 117.

17

l’immagine di Orfeo, dell’agnello, del pesce e del sole che si prestavano a veicolare aspetti della

persona del Salvatore.95

Tra i padri della chiesa chi seppe rivestire di valori cristiani elementi e termini della cultura

ellenistica fu certamente Clemente Alessandrino. “La sua formazione biblica, scrive uno studioso,

lo induce ad approfondire gli studi del mondo classico pagano, per enunciare principi e delineare

concetti che abbiano un senso assoluto in un linguaggio accessibile”.96

Agostino, in un famoso

passo del De Doctrina Christiana ( II, 40-60) scrive: “Riguardo ai cosiddetti filosofi, massimamente

ai platonici, nell’ipotesi che abbiano detto cose vere e consone alla nostra fede, non soltanto non le

si deve temere, ma le si deve loro sottrarre come da possessori abusivi e adibirle all’uso

nostro…Lo stesso si deve dire di tutte le scienze dei pagani”. Assodato dunque che il Cristianesimo

dei primi secoli vive dentro la cultura classica e pagana, di cui assorbe i contenuti compatibili,

realizzando lentamente un solido distanziamento ed un inarrestabile superamento, dobbiamo

ritornare alla “caverna cosmica” che fu realizzata a Tuscania nell’antichità e nell’alto medioevo.

Quali sono le caratteristiche di questa rappresentazione? Fu operante anche nel mondo

etrusco-romano? Quali gli aspetti ampiamente presenti della “caverna cosmica” cristiana? Quali riti

vi si svolgevano? Che cosa è rimasto di questo simbolismo metafisico e religioso? In piena

sincerità, dobbiamo riconoscere che siamo in grado di rispondere con sufficiente certezza solo

all’ultima domanda. Mancano fonti, l’epurazione religiosa fu radicale, il tempo che divora ogni cosa

ha portato avanti un lavoro impietoso, l’avidità e la furia cieca e devastatrice dell’uomo ha fatto il

resto e non sembra giunta al suo termine. Anche ad un’altra domanda possiamo tentare di

rispondere: come è possibile ridurre l’immensità del cosmo ad un luogo? Come è possibile, cioè,

portare il Cielo in Terra e asserire che un luogo fisico, un’area naturale lo rappresenta?

Appare opportuno, per delineare una risposta, riflettere sulle parole di J Danielou: “ L’uomo

pagano è colui al quale il mondo visibile, la natura, parla di Dio; colui per il quale il sole e il suo

splendore, il temporale e il terrore che suscita, la rugiada quale simbolo di benedizione sono tutti

portatori di una certa presenza di Dio…Per un pagano l’elemento materiale costituisce il segno, il

simbolo di una realtà trascendente e misteriosa”.97

Il gesuita francese sottopone alla nostra

attenzione una situazione di cui abbiamo poco consapevolezza: “L’uomo del passato percepiva il

mondo intriso di sacro e tutta la natura come un tempio dove alture, alberi, sorgenti acquisivano

un significato speciale, davano la possibilità di avvicinarsi alla divinità”.98

A Tuscania abbiamo un

posto speciale che riflette questa ottica: è la zona immediatamente vicina al centro abitato dove la

conca naturale attraversata dal fiume Marta è punteggiata dai vertici di un triangolo: il Colle di S.

Pietro, la Grotta della Regina sul versante di destra della vallata e l’area di S. Potente nel versante

opposto.99

Come a dire il Cielo, gli Inferi e la mediazione fra i due mondi. Presumibilmente in questo

lembo di natura gli antichi avvertirono la manifestazione del divino e organizzarono la loro

rappresentazione del sacro.100

I cristiani si sostituirono ad essi e a noi ci è dato di cercare di

leggerne una porzione. C’è una pratica etrusca che può aiutarci a capire come si svolgeva la

delimitazione di uno spazio sacro: il rito dell’auspicium. 101

La figura preposta all’interpretazione

95

A. Grabar, L’arte paleocristiana (200-305), Milano 1991, pp. 105, 110, 198 e 225. 96

A. Quacquarelli, cit., p. 38. 97

J. Danielou, Miti pagani e Mistero cristiano, op. cit., p. 13. Nella stessa pagina l’autore ricorda che magia e idolatria

sono perversioni del paganesimo. 98

Cfr. anche R. Heinberg, cit., p. 133: i popoli antichi “ sceglievano così intuitivamente i loro luoghi sacri come posti

dove le energie del cosmo, della Terra e dell’organismo umano potessero armonizzarsi tra loro”.; M. Eliade, La nascita

mistica, Brescia 2002, p.89: “…per i primitivi “vivere” è partecipare alla sacralità cosmica”. 99

M. Tizi, Il triangolo sacro, in “Archeotuscia news”, Maggio 2011; cfr. B. Merz, I luoghi alti, Milano 1986, p. 71. 100

R. Lane Fox, Pagani e Cristiani, Bari 2006, p. 734: “…sotto Costantino i luoghi della “presenza” degli dei

acquistarono una inattesa rilevanza cristiana”. 101

“La pratica dell’auspicium, connessa a quella dell’augurio, risulta fondamentale per lo svolgimento della vita

comunitaria dai primordi fino alla piena epoca storica, motivata dalla centralità del sacro che contraddistingue la realtà

quotidiana dei due popoli [ mondo latino e mondo etrusco]”: S. Fortunelli, La preistoria. Potere e cerimonialità:

iniziazioni, investiture, insegne, trionfo, in “Etruschi. Le antiche metropoli del Lazio”, a cura di M. Torelli, A.M.

18

dei segni divini era l’augure che agiva in uno spazio connotato da una posizione elevata e secondo

rigidi precetti che gli permettevano di proiettare una porzione di cielo sulla terra. Con il lituo, un

bastone dall’estremità superiore ricurva e senza nodi che ne dimostrava la capacità divinatoria,

“traccia il “ templum” celeste disegnando entro i limiti ideali una porzione rettangolare di volta

celeste che viene poi “magicamente” trasferita in terra proiettando sul terreno lo spazio

corrispondente, il “templum” in terra…Questo recinto, astronomicamente orientato e delimitato da

punti di riferimento fissi, viene inaugurato (effatus et liberatus) e da qui si può procedere alla

“spectio”.102

Alla luce di questo rito e della mantica augurale praticata nel mondo antico, appare lecito

affermare che sul Colle di S. Pietro la comunità cristiana tra tarda antichità e alto medioevo

cominciò ad elaborare la sua rappresentazione della Caverna Cosmica. Di questa rappresentazione

dettero enfasi alle porte di entrata e di uscita, al percorso che assorbiva il dramma dell’iniziazione e

all’immagine simbolica che ne costituiva l’origine, quella dell’ Uovo Cosmico. L’orientamento

delle due basiliche rispettivamente al solstizio d’inverno e a quello d’estate non lascia alcun dubbio

sul loro significato: è l’entrata e l’uscita nello spazio deputato a rappresentare il gioco e il dramma

dell’esistenza. Solo che a Tuscania è Cristo ad assorbire e ricapitolare tutto. Il fedele che vuole

salire ad uno stato superiore, che vuole essere “salvato”, deve passare attraverso la salvezza

realizzata e offerta dal Redentore.

E’ lui che costituisce la porta d’ingresso nel mondo della manifestazione e quello di uscita

per accedere alla sfera del divino. J. Danielou non poteva trovare parole migliori: “L’Incarnazione

è lo stupefacente evento di Dio che discende verso l’uomo e la Resurrezione è lo stupefacente

evento dell’uomo che sale verso Dio”.103

Questa è la strada, questo è il compimento della ricerca di

Dio in cui fu impegnata l’intellighenzia pagana e con le basiliche tuscanesi abbiamo una

interpretazione cristiana dove tutto si connette. Il portale di S. Maria Maggiore ha nel punto focale

la Madonna con il Bambino benedicente. E’ l’uomo-Dio che è sceso nel mondo degli uomini. Ed è

anche la luce del solstizio che comincia a crescere. Ed è anche il Figlio donato dalla Madre che

sostituisce l’albeggiare di Thesan, la dea etrusca dell’aurora. I cicli pittorici della chiesa riflettono il

simbolismo che andiamo esplicitando: parlano degli eventi connessi alla nascita di Gesù, che

peraltro sono assenti nell’altra basilica.

C’è un’altra circostanza che ci aiuta a ricostruire queste connessioni: nel luogo dove fu

edificata la basilica c’era una porta e c’era il tempio di Giano. Così riportano i manoscritti degli

storici locali. Occorre rammentare a questo punto che Giano, in quanto dio che presiede agli inizi e

dio iniziatico (initiator per eccellenza) è custode delle porte, presiede alla porta del Capricorno e

alla via dell’apogenesi.104

Al termine dell’iniziazione cristiana che trova il suo svolgimento nelle

due chiese, c’è l’Ascensione dipinta nell’abside di S. Pietro, che è anche il punto più alto del Colle.

Il fedele che si è impegnato nell’impresa della vita cristiana, ha con l’Ascensione, che avvenne su

una altura, una direzione ed una uscita verso la dimensione del divino.

Un’altra immagine che si colloca all’origine della Caverna Cosmica è quella dell’ Uovo

Cosmico, simbolo del mito cosmogonico con cui veniva spiegata la creazione dell’universo.(15) L’

Uovo del mondo lo ritroviamo nei miti di molti popoli dell’antichità. Nell’antico Egitto è associato

anche all’immagine della collina primordiale che era stato il primo atto della creazione da parte di

Atum. Nel Libro dei Morti (Cap. XVII, 50-51) Atum-Ra è così descritto: “Io sono l’Anima

Creatrice dell’Abisso Celeste. Nessuno vede il mio nido, nessuno può spezzare il mio uovo. Io sono

il Signore”. Tra le molte concezioni della creazione del mondo che vi erano in Egitto, adatta al caso

Sgubini Moretti, Roma 2008, p.181; v. anche L. Malnati, Gli Etruschi e le stelle, pp. 51-70, in “Occhi del cielo. Celti,

Etruschi, Italici e la volta celeste”, Viterbo 2008. 102

S. Fortunelli, cit., p.183. 103

J. Danielou, op. cit., p. 125. 104

Porfirio, cit., p. 199.

19

nostro è quella di Knepf,105

che produce dalla bocca un uovo in cui erano contenuti tutti gli elementi

necessari alla creazione: ne uscì Thot, dalla testa di Ibis, il dio saggio e sapiente che divenne

l’Hermes dei greci.

Nelle basiliche tuscanesi c’è un’eco dell’Uovo Cosmico? Se Tuscania fu un importante

centro religioso come ci suggerisce la rappresentazione delle Porte solstiziali e numerosi altri indizi,

è impossibile che non siano rimaste tracce di quest’ultima immagine cosmogonica. Noi crediamo di

poterla individuare nella lunetta del portale di destra di S. Pietro, dove un uccello in posizione

verticale è attorniato da due serpenti che si alzano al suo fianco, dando alla figura una particolare

forma ovale. A destra e a sinistra un leone e una leonessa fanno la guardia, seguiti da due animali di

difficile identificazione. Nessuno si è cimentato in una esauriente spiegazione della scena.

Nell’unica interpretazione di cui siamo a conoscenza,106

l’uccello tra i due serpenti è identificato

come Cristo-Ibis e la scena è collegata al dio Thot che gli Egizi rappresentavano con la testa di Ibis.

“L’Ibis era onorato in Egitto perché sterminava i serpenti velenosi”, scrive Plutarco.107

Ma

se nella raffigurazione tuscaniese vediamo solo l’ibis che morde un serpente, andiamo fuori strada e

non cogliamo il significato complessivo della scena. Una interpretazione aderente al ruolo svolto

dalla civitas Tuscana nella religione ci porta a vedere l’Ibis dentro un uovo protetto dai due

serpenti, che attrae un leone e una leonessa come simboli della divinità solare e lunare venerate nel

centro etrusco. Occorre rammentare che presso gli Egizi il dio Thot aveva creato ogni cosa dal

suono e che sulla sua testa veniva raffigurato un disco solare combinato con la mezzaluna.

Nell’iconografia paleocristiana l’Ibis venne associato a Cristo, Verbo e Sapienza di Dio e nella

lunetta tuscaniese abbiamo la reinterpretazione cristiana dell’Uovo Cosmico da cui esce la

creazione.108

Scendendo dunque dal mito alla realtà storica, l’Uovo Cosmico rappresenta Cristo da cui

hanno avuto origine tutte le cose. Giovanni, nel suo Prologo, esprimerà la cosmogonia cristiana con

queste parole: “In principio era il Verbo, il Verbo era con Dio, il Verbo era Dio. Per mezzo di Lui

Dio ha creato ogni cosa. Di tutto quello che esiste, niente è stato fatto senza di Lui”.109

Se

l’identificazione della scena come Uovo Cosmico che crea e attrae tutto è corretta, ci troviamo di

fronte ad una potente allusione ad un primato religioso di Tuscania, perché l’Uovo Cosmico

identifica anche un Ombelico del mondo. Nell’antica Grecia così erano chiamati i centri sacri

principali che venivano marcati con una pietra ovale su cui era incisa una croce inscritta in un

cerchio: l’omphalos.110

Oltre alla pietra-ombelico, altri simboli identificavano nell’antichità un importante centro

sacro: due piccioni affrontati, un codice arboreo e un serpente attorcigliato attorno alla pietra.

“L’immagine del serpente, scrive uno studioso, o le leggende ad esso correlate, aveva lo scopo di

impaurire ladri solitari che volessero tentare di derubare il tesoro del tempio”.111

Nella lunetta

tuscaniese i serpenti sono due e delimitano, proteggendolo, la sagoma ondulata dell’Uovo Cosmico.

Una debole traccia di questo è riconoscibile anche nelle lunette delle porte laterali di S. Maria

Maggiore, dove le figure centrali hanno due linee che scendono dal capo, non riconducibili alla

capigliatura. L’eco dell’Uovo Cosmico a Tuscania è rimasto anche in diverse incisioni presenti nel

centro storico e in un bassorilievo pagano riutilizzato come base di una colonna d’altare nella

cappella di sinistra della chiesa di S. Giovanni.

Verosimilmente realizzato da mano etrusca, presenta due grifoni di schiena, le cui code sono

sagomate in modo da formare una figura ovale. Nel centro storico non è difficile trovare poi incisi

su stipiti o architravi di nenfro il cerchio sormontato dalla croce, il Fiore della Vita a sei petali e

105

Porfirio, Sui simulacri, Milano 2012, p. 99; L. Charbonneau-Lassay, cit., p. 639 sg. ; id. “Sono particolarità, queste,

che riguardano il grande dogma egizio del “Verbo Creatore”, e ci riportano al Cristo eterno”, p. 640. 106

C. Demetrescu, cit., p. 88. 107

Plutarco, Isis e Osiris, L. XXV. 108

Sul simbolismo dell’Ibis e sul dio Thot cfr. L. Charbonneau-Lassay, cit., vol. 2°, pp. 141-150. 109

Gv, 1, 1-3. 110

G. Baccolini, La Montagna etrusca. Simboli e misteri, Bologna 2008, p. 55. 111

Ibidem, p. 18.

20

quello duplice rappresentato nella forma completa, che identifica senza ombra di dubbio un centro

religioso di primaria importanza.112

Crediamo di poter affermare, infine, che la pietra conica vicino

alla porta centrale di S. Maria Maggiore, è la trasformazione in acquasantiera di una residua pietra-

ombelico (omphalos).

Il vestito pagano di Cristo

La rappresentazione della Caverna Cosmica elaborata nel Colle di S. Pietro e le tracce

superstiti dell’Uovo Cosmico ci riportano ad un periodo storico in cui queste concezioni e i relativi

simboli erano diffusi e il Cristianesimo si trovò nella necessità di adattarli, sostituirli e diffonderli

secondo la propria visione. Operazione estesa anche alla figura di Cristo, che fu il punto centrale da

cui si irradiava tutta la produzione dottrinale, liturgica e artistica della nuova fede. Nelle basiliche

tuscanesi troviamo eclatanti espressioni di Cristo in vesti pagane nelle lunette delle porte laterali.

Naturalmente questo non deve meravigliare perché, come scrive André Grabar, “la giovane arte

cristiana si alimentava normalmente alle fonti dell’arte romana che la circondava”.113

Nella stessa

opera lo studioso riporta diversi esempi in cui in uno stesso ambiente venivano accostate immagini

a soggetto cristiano ed altre pagane. Nelle lunette tuscanesi , che non hanno beneficiato di studi

esplicativi, occupano il fuoco della scena un Cristo-Ibis, una Cristo-Sirena e un Cristo-Horus.

Prima di tentare una interpretazione complessiva delle tre rappresentazioni, occorre

soffermarci sulla posizione che assume questa figura nelle lunette di S. Maria Maggiore. In

ambedue le scene occupa una posizione centrale, ha una altezza superiore alle altre che vi sono

scolpite ed ha le braccia allargate che afferrano: tutti elementi che comunicano un intento di

signoria e di dominio. La cultura dalla quale ha origine lo schema è quella della civiltà del mondo

antico in cui era largamente diffusa. E’ il motivo della potnia o del despotes theron (Signore degli

animali) caratterizzato da una figura femminile o maschile fra due bestie in schema antitetico ed è

antichissimo.114

Il motivo fu accolto anche dagli Etruschi attraverso i quali giunse fino ai costruttori

delle cattedrali tuscanesi.

Un etruscologo sottolinea una oggettivazione del motivo “chiara e unitaria nell’intento di

presentare un essere superiore alle forze della natura, oggettivazione estesa nello spazio (dal

Vicino Oriente al bacino occidentale del Mediterraneo) e nel tempo (dal III al I millennio a.C.)”

che arriva nel mondo etrusco con una propria semantica.115

Non c’è dubbio che nelle due scene a

colpire subito è l’atteggiamento riferibile a quello del despotes theron . Tale semantica si addice

perfettamente alla signoria universale con cui Cristo comincia ad essere considerato, recuperando

un filone sotterraneo giunto alle civiltà dei tempi storici dal neolitico. Detto questo, ci rimane da

illustrare le due scene identificando le figure pagane alle quali Cristo è rapportato ed i componenti

che lo contornano.

La lunetta del portale di sinistra presenta una figura metà uomo e metà pesce che con le

braccia aperte stringe rami che formano tre archi e dal principale pendono due gigli. Un altro

elemento su cui è concentrato l’intento semantico è rappresentato da due uccelli ai lati dell’uomo-

pesce, sulla testa umana dei quali è posato un giglio come copricapo, mentre un giglio esce dalla

bocca. Un altro importante elemento, comune all’altro portale, è la presenza di numerosi grappoli

d’uva. Il lavoro interpretativo va esercitato così sulla figura centrale: tempio, gigli, uccelli e uva. I

grappoli d’uva sono di facile comprensione. “La rappresentazione di foglie di vite o di tralci con

uva, scrive Baudry, sono innumerevoli. Come quello del càntaro da cui esce un ceppo di vite. Il

112

Ibidem, p. 63. 113

A. Grabar, op. cit., p. 110; v. anche pp. 105, 124, 192, 193, 225. 114

G. Camporeale, Sul motivo del cosiddetto Despotes Theron in Etruria, in “ Archeologia Classica”, XVII, 1965, pp.

36-53; id. Eroi e signori nelle prime scene narrative etrusche, in “Melange de l’Ėcole Française de Rome”, n. 103,

1991, p. 67. 115

G. Camporeale, cit., p. 38.

21

vino prodotto dall’uva diventerà dunque uno dei simboli principali della chiesa nascente”. 116

Ai

grappoli d’uva scolpiti nelle lunette tuscanesi possiamo attribuire il significato di banchetto

eucaristico apprestato per tutti gli uomini117

per mezzo del sacrificio del Messia, simboleggiato

dalla figura centrale. Anche i tralci da cui pendono i grappoli d’uva sono un richiamo alle parole di

Gesù quando paragona sé stesso alla vite: “Io sono la vite, voi i tralci”. (Gv. 15, 5)(16)

Ma quale personaggio della cultura pagana presta le vesti a Cristo? Una risposta immediata

è quella che associa il Salvatore al pesce (ichtys in greco) che divenne uno dei primi simboli di

Cristo. Non si sa chi trasformò la parola greca in un acrostico che suonava come “Gesù Cristo,

figlio di Dio, Salvatore”. Fatto sta che “l’Ichtys ebbe un successo considerevole. Il pesce divenne il

simbolo di Cristo e dei Cristiani. In una cultura in cui il greco era la lingua internazionale e in un

clima di persecuzione latente, questo simbolo consentiva di esprimere segretamente la fede

cristiana, essendo un segno di riconoscimento tra i fedeli”.118

Ma per Tuscania occorre trovare

un’altra spiegazione, perché il simbolo di Cristo-pesce è fuori contesto. L’atteggiamento di signoria

tipica del despotes theron che connota la figura centrale non è collegabile all’immagine del pesce, è

lontana da quella dei due uccelli con i segni dei gigli ed è fuori luogo con l’idea di tempio

triabsidato comunicato dalla disposizione dei rami. L’altra immagine pagana che ci viene

immediatamente in soccorso è quella della Sirena. Ma ha un senso vedere Cristo come una Sirena?

Se ci fermiamo al significato che le viene accordato comunemente, no di certo. Ma se

iniziamo a scavare in profondità alla ricerca dell’originario spessore semantico veicolato da questa

figura mitica, si scorgono facilmente i motivi che hanno indotto i cristiani a questo inconsueto

accostamento. Nell’indagine possono venirci in aiuto Platone e Plutarco, che sviluppa il pensiero

platonico sull’argomento scrivendo “quanto alle sirene di Omero, lo spavento che ci incute il loro

mito non ha fondamento; al contrario anche questo poeta ci ha fatto intendere simbolicamente una

verità, precisamente che il potere della loro musica non è disumano e funesto; nelle anime che

hanno lasciato questo mondo per il cielo e vagano, come sembra, dopo la morte, questa musica

suscita l’amore per le cose celesti e divine e l’oblio delle cose mortali”.119

Platone nel Cratilo

riporta le osservazioni di Socrate intorno al dio degli Inferi, Ade, che raccoglieva nel suo regno le

anime dei morti, prive del corpo che nel mondo le predisponeva all’agitazione e al disordine. Le

Sirene hanno un forte desiderio di stare con Ade, grande benefattore di quelli che gli stanno vicino,

che corrisponde al desiderio della virtù.

Il Cristo-Sirena tuscaniese, quindi, assorbe la funzione autentica delle Sirene di liberare

l’uomo dai vincoli che lo legano al mondo, in modo che l’amore per il Cielo al quale è destinato

possa avere il suo corso. Per la piena comprensione della scena dobbiamo ricordare che le sirene

venivano in origine rappresentate anche con il corpo di uccello e il volto di donna e questo ci mette

nella necessità di dare un significato ai due uccelli con il volto umano, un giglio sul capo e uno che

esce dalla bocca. Nella pittura egizia un uccello dalla testa di uomo rappresenta l’anima del defunto

che dopo la morte si leva in volo. Ma questo non ci mette nella condizione di capire la funzione

della presenza dei gigli. Per noi tutta la rappresentazione si riferisce al motivo dell’Ogdoade, ossia

il mondo invisibile al quale la Resurrezione ha aperto le porte,120

dove Cristo-sirena si costituisce

come punto attrattore verso cui converge tutto il mondo celeste a cui alludono i due uccelli. La

presenza dei gigli è il dono della vera dottrina e l’azione divina mediata dagli angeli, che fanno

riferimento a Colui che con la sua azione congiunge la Terra con il Cielo.

Ci rimane da accennare al giglio, che nell’antichità aveva un significato e una funzione

sacrale. Dotato di un vasto spettro semantico come la rosa, era il “fiore dei fiori”.121

Con il

116

G.-H. Baudry, cit., p. 95. 117

Ivi, p. 145. 118

Ivi, p. 42. 119

Plutarco, Quaestiones conviviales, IX, 14, 6. 120

A. Quacquarelli, cit., p. 59: “La resurrezione di Cristo che ha luogo nell’ottavo giorno dopo il settimo, il 7+1 della

numerologia cristiana, è il parametro dell’antica liturgia”. 121

A. Cattabiani, Florario, Milano 1996, p. 138.

22

cristianesimo assume un composito simbolismo e nel medioevo allude alla purezza, alla fecondità,

all’abbandono all’azione divina, alla Chiesa e all’anima fedele nonostante le spine del mondo.

Nell’Antico Testamento rappresentava la bellezza, la fertilità e la fioritura spirituale. Ma noi

crediamo che debba porsi l’accento sul suo candore straordinario. Presente anche nel rosone della

basilica di S. Pietro, il giglio è la luce di Dio che si irradia su tutta la creazione e si riflette con

differente intensità nei suoi componenti.122

E a proposito della luce, non appare fuori luogo

ricordare che la radice sanscrita della parola sirena contiene l’idea di splendore.

Questa sottolineatura ci consente di passare alla scena dell’altra lunetta, dove la luce è nascosta

nella figura principale. Scolpita nella posizione del Signore degli animali, ha le braccia allargate e le

mani che afferrano tralci da cui pendono grappoli d’uva. I grappoli costituiscono il cibo di varie

figure, non tutte identificabili. Si riconosce facilmente un uccello, un uomo barbuto e un

quadrupede. Sopra il capo del “Signore” sono scolpiti un serpente con una testa alle due estremità e

un volatile che potrebbe essere una fenice. Tutto l’andamento del bassorilievo ha la forma di mezzo

uovo, delimitato dai due serpenti in posizione eretta che già abbiamo trovato nella lunetta di S.

Pietro. Che cosa significa la scena? Che cosa dicono i singoli elementi? E soprattutto da chi prende

le vesti pagane il personaggio centrale con cui si allude alla signoria di Cristo?

Esaminiamola con attenzione.(17) La parte del corpo che attira la nostra attenzione è il capo

che non ha niente di umano. La forma è rotonda, ha le guance paffute, la bocca è un tondo

prominente e rotondi sono anche gli occhi. La bocca a punta fa venire in mente un becco, che

insieme agli altri elementi ci conduce ad una testa di uccello. Presso gli Egizi ad essere

rappresentato con la testa di uccello era Horus, importante divinità che insieme ad Iside ed Osiride,

formava la triade più nota e venerata. Osservando il corpo si nota il tipico gonnellino usato dagli

Egizi. Siamo in presenza di Cristo-Horus. Chi era Horus? Quali erano le sue caratteristiche? Quali

funzioni assimila il Cristo-Horus? Nella teologia egizia Horus era il figlio di Iside ed Osiride,

un’antica dottrina diceva che il sole e la luna erano i suoi occhi ed era una divinità dinastica. Il

faraone infatti era considerato l’incarnazione di Horus e ciò legittimava il suo regno. Rappresentava

l’equilibrio del mondo naturale, dal momento che nell’evoluzione di questa divinità i quattro

elementi di terra, vento, fuoco ed acqua finirono per trovarsi sotto il suo comando. Veniva

raffigurato con una testa di falco con il disco solare sovrapposto123

e la sua immagine come falco

alato serviva come simbolo di protezione delle porte e dei corridoi dei templi. Sdoppiato in Horus il

Grande ed Horus Bambino, occupava il pantheon egizio come dio-falco, ossia dio del cielo, della

luce e della bontà.

Dagli elementi elencati non è difficile capire i motivi che hanno indotto i cristiani a inserirlo

nella lunetta di destra della basilica.124

Insieme a quella di Cristo-Sirena e al Cristo Bambino della

porta centrale concorre a definire i tratti dell’Ogdoade cristiana, vale a dire la Resurrezione che

inaugura una nuova creazione illuminata da una luce senza tramonto. Il Cristo-Horus si rapporta al

Cristo Bambino, alla luce del solstizio che vince le tenebre e comincia a crescere e che con il suo

fulgore piove sul disco del trono episcopale legittimando chi vi sta seduto. Mentre nella lunetta

delle Sirene abbiamo una allusione al mondo spirituale alimentato dalla luce divina, qui l’accento è

posto sul mondo materiale a cui riconducono le figure dell’uccello, dell’omino e del quadrupede

scolpiti nella parte inferiore e ambedue i mondi si trovano sotto l’azione del gesto del Bambino

122

Dante, comincerà il Canto I del Paradiso con : “La gloria di Colui che tutto move / per l’universo penetra e

risplende/ in una parte più e meno altrove”. E non è da escludere che Dante abbia visitato la basilica, considerato che S.

Campanari, cit., p. 181, parla di una sua lettera scritta ad Arrigo VII da Toscanella.

123

Plutarco, cit., 52, scrive di Horus: “Colui che sta nascosto nelle braccia del sole”. 124

Il Cristo-Horus tuscaniese esibisce un significato evidente, dato dall’atteggiamento di dominio e signoria comunicato

dalla figura, e un significato nascosto dato dalla connessione ad Horus Bambino, che simboleggia il sole che nasce e

gradatamente aumenta la sua luce. E’ la consapevolezza che con il viaggio iniziatico comincia ad allargare i suoi

confini. Nei geroglifici è disegnato come un bambino che porta il dito in bocca in segno di silenzio, a rappresentare lo

stadio di consapevolezza ancora in evoluzione.

23

sulle ginocchia della Madonna, che non riguarda il numero 3 della Trinità, ma il numero 8 della

Risurrezione con cui è iniziata la rigenerazione del mondo.

A completare il quadro, due importanti simboli stanno sopra il capo del personaggio

centrale: il serpente con teste alle due estremità e un volatile da identificare verosimilmente con la

fenice. Mentre è pienamente adatta al contesto e comprensibile l’allusione della fenice alla

resurrezione,125

è necessario spendere qualche parola per l’interpretazione del serpente, presente

nella letteratura con il nome di amfisbena e molto popolare nei bestiari medioevali. Il nome esprime

la possibilità di andare in entrambe le direzioni rappresentate dalle teste alle estremità del corpo. E’

il simbolo che introduce alla metafora delle due vie. “La simbologia della via appartiene agli

archetipi fondamentali della vita umana”, scrive Baudry e “dalla metafora della via si passa

facilmente a quella delle due vie” che caratterizzano profondamente l’esperienza umana. Nella vita

“vi è una scelta da compiere fra due comportamenti, o a un livello più profondo, tra due modi di

vivere, secondo il bene o secondo il male”.126

Abbiamo testimonianze che risalgono al I secolo dell’utilizzo di questa immagine da parte

delle comunità cristiane. Con essa intendevano illustrare la libertà portata da Cristo venuto a

liberare l’uomo da tutte le sue alienazioni. E perché ciò si realizzi, l’uomo deve aderire liberamente

alla via tracciata da Colui che ha dichiarato: “Io sono la via”. Questa adesione al viaggio che

conduce all’unione con Dio trova la sua piena attuazione nella liturgia battesimale, riguardo alla

quale Cirillo di Gerusalemme, rivolgendosi ai candidati al battesimo, dice chiaramente “avete

intrapreso un giusto e nobile viaggio”.127

Cristo Horus, quindi, che ha la signoria sul mondo

terrestre, attraverso la Resurrezione rende accessibile agli uomini la via che conduce al Cielo,

indicato dal gesto del Bambino benedicente e completato dalla scena dell’altra lunetta, dove la

dimensione del mondo celeste concorre a dare il quadro universale che il Cristianesimo volle esibire

nella facciata della basilica di S. Maria Maggiore al fine di sostituire l’immagine di quello pagano.

Un’anima paleocristiana in un vestito romanico

Per giungere alla conclusione abbiamo la necessità di guardare con più attenzione la lunetta

del Cristo-Horus. Le aggiunte laterali a forma di spicchio ci dicono che è la riutilizzazione di un

bassorilievo appartenuto alla prima edificazione della chiesa a navata unica. Anche il tufo su cui è

scolpita la scena appare più consunto rispetto all’altra lunetta, verosimilmente lavorata quando si

decise di costruire un edificio a tre navate. Il fatto che in un edificio romanico viene conservato un

programma iconografico adatto ad un contesto impregnato di concezioni pagane e cultura greco-

romana, parla della sua estrema importanza. La comunità cristiana, cioè, volle manifestarlo al

mondo anche molti secoli dopo che era scomparso il clima ideologico che lo aveva prodotto. Lo

stesso discorso vale anche per la basilica di S. Pietro. Le facciate delle due chiese ci rivelano

un’anima paleocristiana alla quale è stato adattato un vestito romanico. Troppi elementi ci

conducono a questo, per pensare ad un gusto arcaicizzante o ad una nostalgia del passato. Le due

basiliche nascono da un humus proprio della tarda antichità e si proiettano nei secoli successivi,

piuttosto che nascere da un movimento contrario.

Prima di accingerci a ricostruire questa anima dobbiamo liberarci da un’insidia fuorviante:

quella di considerare la presenza cristiana sul Colle di S. Pietro come affidata ad un insieme di

elementi separati ed eterogenei. Infatti uno dei risultati di questa ricerca è quello di aver ricostruito

gradatamente il progetto unitario che ispirò l’edificazione delle chiese e la loro intima connessione

125

G.-H. Baudry, cit., p. 114; per capire la portata simbolica della fenice, cfr. l’ esauriente spiegazione che ne dà

Charbonneau-Lassay, cit., vol. 1. pp. 575-599. Qui basti ricordare che la leggenda della fenice era conosciuta in tutto

l’Impero e che fin dai primi secoli i cristiani la usarono per farne uno dei principali emblemi della Resurrezione e della

Vita Eterna. Questo uccello favoloso, intimamente collegato all’idea del sole e della luce e presso gli Egizi collegato ai

culti congiunti di Osiride e Ra, trae la propria rinascita da se stesso. “Sarà soprattutto per questo che il simbolismo

cristiano lo sceglierà come uno dei più perfetti simboli di Cristo risuscitato” (p. 581). 126

Ivi, p. 137. 127

Ivi, p. 139.

24

al Colle. Le due basiliche sono, cioè, complementari come pure i simboli contenuti nelle facciate.

Se li cogliamo come simboli singoli, il loro significato d’insieme è destinato a sfuggirci. Qual è

allora il significato complessivo dei simboli che abbiamo esplicitato e che costituiscono la sinfonia

cristiana affidata al Colle? Alla luce di quanto siamo andati ad illustrare, crediamo di essere nel

vero affermando che il Colle di S. Pietro a Tuscania è la Caverna Cosmica cristiana e le due porte

che ne consentono l’accesso sono Cristo.

Le sue parole non si prestano ad equivoci: “ Io sono la porta: chi entra attraverso me sarà

salvo” (Gv. 10, 9) e “ Io sono la Via, la Verità, la Vita”. (Gv. 14, 6). Un altro residuo del

paganesimo è rimasto imprigionato nelle immagini: quello dell’Uovo Cosmico. Nelle concezioni

della creazione prodotte nell’antichità, il simbolo dell’uovo da cui nasce tutto è costantemente

presente, anche se con sfumature e narrazioni diverse. Con l’avvento del Cristianesimo l’Uovo

Cosmico è sostituito da Cristo.128

Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, dirà Giovanni nel Prologo del

suo Vangelo e niente di quello che esiste è stato fatto senza di Lui. Questa visione cosmica è

affidata anche al rosone di S. Maria Maggiore, dove i simboli degli evangelisti sono disposti a croce

e dove la disposizione dell’aquila di Giovanni in alto e del bue di Luca in basso alludono alla

realizzazione del congiungimento del Cielo con la Terra.

Ma di visione cosmica è impregnata anche la triangolazione Cristo-Sirena, Cristo-Horus e

Bambino benedicente. La sua mano sinistra sul petto è quella che i padri della chiesa attribuivano

alla vita terrena e quella destra alla vita eterna. E proprio la vita eterna indica il gesto del Bambino

con le tre dita alzate. Queste dita ricordano il gesto dell’oratore e si ritrovano nei ritratti dei defunti

dentro i clipei dei sarcofagi cristiani dove l’allusione alla Trinità sarebbe fuori contesto. Esse

rappresentano il simbolo della Resurrezione, perché nell’antichità le dita che indicavano i numeri

erano quelle ripiegate.129

Il Bambino presente nel portale di S. Maria Maggiore è portatore, così di

una densa simbologia e instaura plurime connessioni con gli altri simboli della chiesa. Annuncia

l’ingresso nella nuova creazione realizzata da Cristo e introduce nel regno celeste. Ha stretta

connessione con le scene delle lunette laterali, con la Pasqua cristiana, con il Battesimo e con

l’Equinozio di primavera.

Per capire pienamente i motivi alla base di questi legami, occorre ricordare che nei primi

secoli il battesimo veniva impartito nel giorno di Pasqua, dopo una iniziazione di durata triennale e

questo giorno veniva visto come caratterizzato da una luce senza tramonto. La Pasqua raccoglieva

anche il simbolismo della rinascita del mondo a primavera e veniva rafforzato dalla situazione

astronomica dell’equinozio che dava la sensazione di una luce ininterrotta. La luna piena, infatti,

subentra di continuo alla luce del sole dando l’impressione di un giorno che non ha termine. La

situazione del Bambino in grembo a Maria veniva a riflettere anche la situazione del battezzato nel

grembo della Chiesa, simboleggiato dalla vasca battesimale. Il neofita che aveva ricevuto il

battesimo veniva chiamato “illuminato” e a Tuscania l’azione spirituale veniva manifestata anche

materialmente: il 21 marzo, con l’ingresso della primavera, il sole inondava di luce il fonte

battesimale ottagonale. La saldatura tra mondo terrestre e mondo celeste era completa, l’unione

Cielo-Terra realizzata.

La presenza della comunità cristiana sul Colle di S. Pietro esprimeva questa unione: lì il

Cielo era congiunto alla Terra e questo cancellava la rappresentazione che ne aveva dato il mondo

pagano. I segni lasciati sono troppo eloquenti per pensare ad una operazione casuale. Innanzitutto le

due cattedrali con la loro collocazione: il basso è la nostra dimensione, l’alto quella celeste. Il

culmine è l’Ascensione dipinta nell’abside della basilica di S. Pietro. Anche nella vita terrena di

Gesù l’Ascensione avvenne su un’altura e realizzava il collegamento con il Cielo. Non è fuori

luogo ricordare la scena complessiva costituita da Cristo nella parte superiore, gli apostoli nella

parte inferiore e nel mezzo quattro angeli. I loro cartigli recavano parole che, anche se quasi

128

L. Charbonneau-Lassay, cit., p. 649. 129

A. Quacquarelli, cit., nelle pp. 89-91 scrive: “Il numero 8 nell’actio era indicato dal pollice, dall’indice e dal medio

sollevati, rimanendo volontariamente l’anulare e il mignolo ripiegati all’ingiù…Il gesto dell’8 per i cristiani richiamava

l’ogdoade, ma per i pagani lo stesso gesto era quello dell’adlocutio dell’oratore”.

25

completamente scomparse, avevano la funzione di ricordare il passaggio dalla Terra al Cielo.130

La

Madonna con il Bambino del portale di S. Maria Maggiore, poi, rappresentando il Verbo Incarnato

sulle ginocchia della Madre, è la prova più eclatante dell’unione Cielo-Terra annunciata proprio

all’ingresso dello spazio sacro.

Idea rafforzata dalla Croce Cosmica del rosone, dove la sottolineatura veniva anche dalla

collocazione dell’aquila di Giovanni in alto e dal bue di Luca in basso. Questa simbologia non restò

limitata all’alto medioevo. Ancora nel 1200 ne troviamo tracce nell’ingresso della chiesa di S.

Paolo, all’interno del centro storico, dove il simbolo posto sopra l’ingresso non si riferisce alla

Stella di Davide, ma al Sigillo di Salomone. Tutti i simboli e i segni di cui abbiamo parlato non si

trovano in un contesto caratterizzato dallo sfarzo e dalla magnificenza che possiamo trovare negli

edifici cristiani dei grossi cenrti e nei monumenti che punteggiano il territorio europeo. Ma a livello

simbolico non sono inferiori a nessuno e parlano di un tempo in cui Tuscania aveva un profondo

significato per tutti. Oggi, saccheggiata dagli uomini, sfigurata dal tempo, occultata dai

mistificatori, quello che è rimasto di questo naufragio è in grado di narrarci ancora del ruolo che

Tuscania giocò nell’antichità e del posto straordinario che occupò nella religione.

Fig. 1 – Colle di S. Pietro dalla necropoli della Madonna dell’Olivo

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E. Pallottini, La produzione epigrafica di Tuscania in età medioevale, in “Da Salumbrona a Tuscania”, cit., p. 111.

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Fig. 2 - Capitello di semicolonna nella cripta della basilica di S. Pietro.

Fig. 3 - S. Pietro. Porta del lato nord.

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Fig. 4 - S. Pietro. Vultus Trifrons nella facciata.

Fig. 5 - Colle di S. Pietro con S. Maria Maggiore in basso e S. Pietro sulla sommità

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Fig. 6 - S. Pietro. Grifone di destra nella facciata

Fig. 7 -S. Pietro. Cristo Pantocrate nell’abside, prima del terremoto del 1971.

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Fig. 8 -Ruderi della chiesa di S. Donato sul colle di S. Pietro.

Fig. 9 -Colle di S. Pietro. Veduta aerea delle basiliche.

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Fig. 10 -S. Maria Maggiore, porta centrale. Madonna con Bambino Benedicente.

Fig. 11 -Il Colle della “Luce”.

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Fig. 12 -S. Pietro. Decorazione della facciata.

Fig. 13 -S. Maria Maggiore. Rosone e tetramorfo.

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Fig- 14 -S. Pietro. Rosone cosmatesco.

Fig. 15 - S. Pietro, porta di destra. Lunetta con Cristo-Ibis.

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Fig. 16 -S. Maria Maggiore, porta di sinistra. Lunetta con Cristo-Sirena

Fig. 17 -S. Maria Maggiore, porta di destra. Lunetta con Cristo-Horus.

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