Klemencic Neo 500
-
Upload
matej-klemencic -
Category
Documents
-
view
31 -
download
1
Transcript of Klemencic Neo 500
Pubblicazione realizzata con fondi MIUR Progetti di ricerca d'interesse nazionale, coordinatore prof. Giuseppe Pavanello, Università di Trieste
--
© Forum
Editrice Universitaria Udinese Srl Via Palladio, 8 33100 Udine - Te!. 0432.26001 www.forumeditrice.it
Udine, 2001
ISBN 88-8420-063 -6
Alessandro Vittoria e l'arte veneta della maniera
Atti del Convegno Internazionale di Studi
Università di Udine, 26-27 ottobre 2000
a cura di Lorenzo Finocchi Ghersi
H FORUM
-·
INDICE
Introduzione .. ............ ......... .. .......... ........ .............. .... ...... ....... ....... ... ...... .. ................ .... ... .
Lionello Puppi, Alessandro Vittoria, il Greco, i Greci: con alcune brevi stravaganze... .... ... .. .. ...... ..
Giuseppe Barbieri, Tra responsabilità e imitazione: la decorazione nella nflessione architettonica da A/berti a Scamozzi ............. ..... ............................ ..
Luisa Attardi, Alessandro Vittoria e l'origine dei "cimieri ornati" ~w~o~~ ........................................ . ............................................................................ ..
Carmelo Occhipinti, Alessandro Vittoria e la cultura francese: considerazioni sui problemi vitruviani della percezione visiva
Manuela Morresi, Trz/on Gabriele, Danese Cataneo e il Monumento Bembo al Santo di Padova.
Massimiliano Rossi, "Ad irnitazione de gli antichi e secondo la strada ch'insegna Aristati/e": Danese Cataneo e la scultura colossale alla metà del Cinquecento ..
Anne Markham Schulz, Un'opera sconosciuta vicina a Vittoria
Caterina Furlan, Andrea Fosco da Faenza e il perduto Croci/isso della Cappella Sansovina nella chiesa veneziana di San Geminiano ..
Paolo Goi, Scultura veneta del secolo XVI nel Friuli patriarcale.
Paola Rossi, I.: eredità del Vittoria nell'opera di Giulio Dal Moro
Irene Favaretto, Problemi di "teste" e di altre cose. Alessandro Vittoria e gli artisti veneti del suo tempo a confronto con l'arte classica ..
Victoria J. Avery, Nuove fonti archivistiche per il rinnovo cinquecentesco della Cappella del Rosario ai Santi Giovanni e Paolo a Venezia ..
Lorenzo Finocchi Ghersi, Sui rapporti tra Vittoria e Girolamo Campagna ..
Donata Battilotti, Il villino Forni Cerato a Montecchio Precalcino e il suo committente .. .. ....... ......... .
pag. 7
» 11
» 31
» 41
» 57
» 71
» 97
» 119
» 129
» 137
» 153
» 163
» 175
» 199
» 213
Matej Klemencic, Appunti sul neocinquecentismo nella scultura veneziana del Settecento
Illustrazioni ..
Re/er·enze fotografiche ..
Indice dei nomi e dei luoghi (a cura di Antonio Forni) .. .
--
pag. 229
» 243
» 323
» 325
INTRODUZIONE
Presentare i testi di molte delle relazioni tenute al convegno udinese sull'ambiente artistico di Alessandro Vittoria nell'ottobre 2000, è cosa a me particolarmente cara. I motivi sono più d'uno, ma il primo che sento di addurre è certo la felice congiunzione di questi ultimi anni, nel corso dei quali il nostro Vittoria è stato indagato con amore e pazienza da molti studiosi che, anche contagli di ricerca diversi tra loro, hanno tentato con rigore e serietà di comprendere a fondo la reale portata dell'artista nell'ambito del Cinquecento lagunare. È motivo di mia particolare soddisfazione, inoltre, che gli atti di quello che è stato il primo convegno di studi incentrato su Vittoria appaiano nella collana che Stefania Mason ormai da anni dirige con grande cura e dedizione, facendo seguito al volume che io stesso dedicai all'artista nel 1998. Le mostre di Trento (1999) e di Vicenza (1999-2000), i volumi di Thomas Martin e di Luisa Attardi, la tesi monografica di P h. D. di Victoria J an e Avery e i saggi recenti di Charles Davis, Bruce Boucher e Vittoria Romani, sono tutti elementi che inducono a proficue riflessioni sull'opera tanto complessa e varia di Vittoria, riflessioni che, sebbene debitrici in partenza del percorso delineato a suo tempo da Leithe Jasper, oggi svelano un'immagine del tutto nuova e aggiornata del suo fare scultoreo. Vittoria, come sanno bene coloro che hanno voluto accostarsi allo studio della sua produzione, è uno scultore di cui, grazie agli appunti autografi della sua contabilità che ci sono pervenuti, abbiamo molti dati da spendere in datazioni e attribuzioni delle sculture e delle decorazioni in cui fu coinvolto. Le sue note tuttavia, paradossalmente, a volte si sono rivelate fuorvianti se lette con poca attenzione, come ho avuto modo di dimostrare nel caso del piccolo San Zaccaria posto sull'acquasantiera nell'omonima chiesa veneziana. Proprio perché la grande bottega vittoriesca era in grado di risolvere i compiti più vari, dai progetti di architettura ai modelli in cera, alle fusioni in bronzo, agli stucchi, finanche, naturalmente, alla statuaria in pietra d'Istria e marmo, nonostante i dati documentari siamo costretti spesso a interrogarci sull'autografia o meno di un'opera, per il cui giudizio, alla fine, risulta fondamentale la valutazione della sua qualità artistica. Quando si riconosce la mano di Alessandro, infatti, questa non solo è molto alta ma anche intimamente connotata dal suo virtuosismo classicista, sia nell'uso dello scalpello che nella modellazione dello stucco. È con tali presupposti di ricerca, quindi, volendo pormi lucidamente di fronte a
--
APPUNTI SUL NEOCINQUECENTISMO NELLA SCULTURA VENEZIANA DEL SETTECENTO'''
Matej KlemenCic
Già agli occhi di alcuni contemporanei e in seguito anche a quelli di gran parte degli storiografi, il Settecento a Venezia si presentava come un secolo di decadenza, conclusosi solo con la caduta della repubblica nel 1797. La ragione principale alla base di questa diffusa convinzione è da ricercare nella condizione d'impotenza della Serenissima rispetto agli stati confinanti e soprattutto all'impero austriaco; i veneziani furono quindi costretti a ritirarsi dalla politica internazionale attiva, accontentandosi di una posizione neutrale sia dal punto di vista politico che militare, un fatto questo che si scontrava con il loro glorioso passato. D'altro canto, proprio la scelta di conservare la neutralità sullo scacchiere politico europeo garantiva una pace sicura alla città e si può considerare una delle componenti che contribuirono alla sua grande fioritura artistica nel Settecento'. A Venezia il XVIII secolo fu naturalmente caratterizzato anche da rievocazioni nostalgiche dei periodi più eroici della repubblica e dunque non devono sorprendere le varie occasioni di "ritorno" al passato, e in particolare al Cinquecento, "epoca d 'oro" dell'arte veneziana. Questi revivals, classificati dalla critica sotto l'etichetta di neocinquecentismo, si manifestarono in architettura con ricuperi dal Sansovino e Palladio, mentre in pittura determinarono principalmente una rinnovata attenzione per le opere di Paolo Veronese. Citazioni dai capolavori dei più grandi maestri del Cinquecento non mancano anche in opere seicentesche, ma un più netto cambiamento di gusto, e di conseguenza una più decisa predilezione per gli artisti del classicismo tardorinascimentale, si può notare soprattutto dopo l'inizio del Settecento, quando -per citare almeno due illustri esempi - fu edificata la facciata neopalladiana di San Sta e, disegnata da Domenico Rossi nel1709, e quando fu dipinta nel1708 da Sebastiano Ricci la neoveronesiana Madonna col bambino e santi, a San Giorgio Maggiore2
•
,., Desidero ringraziare Francesca Pasut per l'impegnativa revisione del mio testo italiano. 1 Cfr. F.C. Lane, Venice. A Maritime Republic, Baltimore - London 1973, pp. 416 sgg.; F. Haskell, Patrons and Painters, London 1980' , pp. 245 sgg. 'Per il Palladio e l'architettura veneziana barocca cfr. R. Wittkower, I.:in/luenza del Palladio sullo sviluppo dell'architettura religiosa veneziana del Sei e Settecento, "Bollettino del Centro Internazionale di Studi di Architettura 'Andrea Palladio"', V, 1963, pp. 61-72 (in inglese: id., Palladio and English Palladianism, London 1974, pp. 9-22), per la facciata di San
Alessandro Vittol'ia e l'al'te veneta della maniera, Forum, Udine 2001
230 Matej Klemenè'iè'
Tuttavia, mentre la questione del neocinquecentismo in pittura e anche in architettura è già stata ampiamente approfondita, meno puntuali sono gli studi finora dedicati ai riflessi che questo fenomeno ebbe nel campo della scultura3 . Peraltro, limiti di spazio non consentono anche in questa sede che di accennare solo ad alcune delle problematiche più rilevanti e di concentrare l'attenzione su vari casi emblematici dell'emulazione dell'arte cinquecentesca nella scultura veneziana del Settecento. Negli ultimi due decenni, grazie alle ricerche condotte sulla scultura veneta del Sei e Settecento, sono venute alla luce molte nuove informazioni, che hanno in parte contribuito a chiarire le vicende storiche relative alla commissione di note imprese, nonché il percorso artistico dei singoli scultori. Ripercorrendo la sequenza cronologica delle opere più im-
--Stae, inoltre D. Lewis, The Late Baroque Churches o/Venice [1967], New York- London 1979, pp. 125-131; P. Morachiello, Il Settecento. I:architettura, in Storia di Venezia. Temi. I: arte, a cura di R. Pallucchini, II, Roma 1995, pp. 172-173 . Per la fortuna settecentesca di Paolo Veronese, cfr. P h. So hm, The Criticai Reception o/ Paolo Veronese in Eighteenth-Century Italy: the Example o/ Giambattista Tiepolo as Veronese "Redivivus", in Paolo Veronese. Fortuna Critica und kiinstlerisches Nachleben, a cura di J. Meyer zur Capellen e B. Roeck, Sigmaringen 1990 (Studi, 8), pp. 87-107; per il quadro del Ricci, inoltre cfr. M. Goering, Paolo Veronese und das Settecento, "J ahrbuch der Preussischen Kunstsammlungen", LXI, 1940, pp. 101-104; A. Rizzi, Sebastiano Ricci, catalogo della mostra, Milano 1989, pp. 108-109, cat. 28 (con bibliografia) . 3 C. Semenzato, uno dei più autorevoli studiosi della scultura veneta barocca, infatti non entra nel merito delle differenze tra vari esponenti della "corrente classicista" della prima metà del Settecento, da lui ritenuti indistintamente predecessori del Canova. Cfr. e.g. C. Semenzato, Le premesse al neoclassicismo del Canova nella scultura veneta del Settecento, in Arte neoclassica, Atti del convegno, Venezia - Roma 1964 (Civiltà veneziana, Studi, 17), pp. 241-244. In generale, sui cambiamenti stilistici di inizio Settecento e sul neocinquecentismo, un lavoro fondamentale, in rapporto anche allo stato degli studi all'epoca in cui fu pubblicato, resta quello di R. Wittkower, Art and Architecture in Italy 1600-1750, London 1958 (l'ultima edizione a cura di]. Connors eJ. Montagu, London 1999 (The Pelican History of Art), III, pp. 67-68, oppure nella versione italiana, Arte e architettura in Italia 1600-17 50, Torino 1993, pp. 393-394). In seguito, hanno dedicato attenzione al problema soprattutto R. Cioffi, Sulla scultura veneta del Settecento a Napoli: Antonio Corradini e la sua "Mestizia" della cappella Sansevero, in Studi di storia dell'arte in memoria di Mario Roti/i, Napoli 1984, pp. 560-561 (integrato anche in ead., La cappella Sansevero. Arte barocca e ideologia massonica, Salerno 1987, pp. 17-18); G. Pavanello, Il Settecento. La scultura, in Storia di Venezia ... cit., pp. 456-458; M. De Vincenti, Antonio Tarsia (1662-1739), "Venezia Arti" , X, 1996, pp. 52-53; B. Cago, Antonio Corradini. Scultore veneziano. 1688-1752, Este 1996, pp. 172-174; ~· Bacchi in La scultura a Venezia dal Sansovino a Canova, a cura di A. Bacchi e S. Zanuso, Milano 2Ò00 (Repertori fotografici, 11), pp. 18-22; M. KlemenCic, Francesco Robba in barocno kiparstvo med Rimom in Benetkami [Francesco Robba e la scultura barocca tra Roma e Venezia], Ljubljana 2000 (tesi di dottorato), pp. 102-116.
Appunti sul neocinquecentismo nella scultura veneziana del Settecento 231
portanti, è così possibile indicare uno schema di riferimento che delinei le fasi più rappresentative dello sviluppo della scultura veneziana nella prima metà del Settecento, distinguendo almeno tre momenti: (l) i primi mutamenti stilistici si collocano già all'esordio del secolo, con Pietro Baratta e Antonio Tarsia, le cui opere rivelano una forte dipendenza dalla tradizione del classicismo romano di metà Seicento, in particolare con il filone di derivazione algardiana, al quale in genere la critica si riferisce adottando le definizioni di "classicismo barocco", "classicismo emiliano" oppure "tasca-emiliano"; (2) verso la metà del secondo decennio inizia a farsi strada la tendenza del neocinquecentismo, che raggiungerà il culmine negli anni venti, con l'esperienza di Giuseppe Torretti, Antonio Tarsia e Antonio Corradini; (3) intorno al1730, una nuova generazione di scultori, rappresentati da Giovanni Maria Morlaiter, Gaetano Susali, Antonio Gai e Giovanni Marchiori, fa la sua comparsa sulla scena veneziana: questi artisti, in principio fedeli continuatori dello stile degli immediati predecessori, sul finire degli anni trenta, iniziano ad intraprendere nuovi e divergenti percorsi, dietro la sollecitazione delle esperienze della pittura contemporanea oppure degli esempi di statuaria antica, che all'epoca erano facilmente reperibili a Venezia nello Statuario Pubblico4
•
Il presente contributo, soprattutto incentrato sul secondo punto, è un tentativo di riconsiderare vari aspetti dell'attività di tre scultori appartenenti alla prima generazione dei neocinquecentisti, Antonio Tarsia, Giuseppe Torretti e Antonio Corradini. È però doveroso avviare il discorso illustrando almeno quei cambiamenti di stile che anticipano l'avvento del movimento neocinquecentesco e segnano la scultura veneziana dei primi anni del Settecento, caratterizzata da un linguaggio di chiara impronta classica, e da uno stile sereno e pacato. Al primo decennio del secolo risale la collaborazione di Pietro Baratta e Antonio Tarsia alla decorazione plastica del monumento Valier, nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia (1702-1708). I lavori dei due artisti appaiono per stile chiaramente distinti dalle opere tardoseicentesche della cerchia e dei seguaci di Giusto Le Court. Nel monumento Valier, spettano alla mano di Barat-ta, tra l'altro, due rilievi firmati, raffiguranti l'Umiltà e la Carità, nonché la sta- [l]
4 Un quadro della scultura veneta della prima metà del Settecento, per citare solo gli studi più recenti, è in G. Pavanello, Il Settecento. La scultura ... cit., pp. 443-470; P. Rossi, La scultura a Venezia nel Settecento, in Venezia. L'arte nei secolz; a cura di G. Romanelli, Udine 1997, II, pp. 718-739; A. Bacchi, in La scultura ... cit., pp. 18-22; M. KlemenCic, Francesco Robba .. . cit., pp. 18-40, 102-116. Sugli scultori menzionati nel testo, oltre alla bibliografia citata nelle note seguenti, cfr. anche le biografie, scritte da A. Bacchi, M. Klemencic, S. Zanuso e T. Sharman, in La scultura ... cit., ad vocem.
232 Matej KlemenCiè'
tua della Sapienza, anch'essa firmata, mentre il Tarsia scolpì e sottoscrisse il ri[3] li evo della Pace e la statua della Liberalità5
•
Pietro Baratta, giunto un decennio prima dalla Toscana a Venezia, importò in laguna un linguaggio fondamentalmente algardiano, che ben si affiancava a quello del bolognese Giuseppe Maria Mazza, molto stimato dai committenti e del quale erano presenti a Venezia diverse opere ragguardevoli6
. Le parti del monumento Valier eseguite da Antonio Tarsia, che diverrà poi uno degli esponenti di maggior rilievo nell'ambito del neocinquecentismo, rivelano legami così stretti con le opere appartenenti alla nuova "corrente classicista" da indicare proprio in Baratta e nel Mazza le figure chiave per l'elaborazione del suo stile personale7
• Infatti, che ·. linguaggio classico del Baratta, a sua volta fortemente debitore di Alessandro Algardi, non sia rimasto senza riflessi sul Tarsia,
[3] lo rivelano proprio il rilievo della Pace e la statua della Liberalità del monumento Valier, sulle quali è evidente l'impronta dello stesso prototipo a cui si
[l] ispirò il toscano Baratta per scolpire la raffigurazione dell'Umiltà, vale a dire la [2] famosa Liberalità eseguita da Algardi dopo il1634 per il monumento a Leone
XI nella basilica di San Pietrd. Purtroppo, non conoscendo le opere che appartengono alla prima attività di Tarsia e che precedono la sua partecipazione alla decorazione del monumento Valier, non è ancora possibile ricostruire con precisione il percorso formativo dello scultore e valutare quale fu la reale influenza del Baratta sullo stile del veneziano. L'intervento del Tarsia sul monu-
[3] mento Valier mostra comunque uno scultore ormai maturo e la Liberalità è anzi da elencare tra i suoi più alti capolavori9
• Non è quindi da escludere che il Tarsia, anche prima dell'attività di Baratta a Venezia, avesse già avuto l'occasione di entrare in contatto con l'arte di tradizione algardiana, forse indirettamente e - eventualità che si mostra tra le più verosimili - con il tramite dell'ambiente emiliano e, in particolare, di Giuseppe Maria Mazza. Un indizio in
' Per la datazione del monumento cfr. M. De Vincenti, Antonio Tarsia ... cit., pp. 49, 54 nota 17; M. Klemencic, Nuovi contributi all'opera dei fratelli Paolo e Giuseppe Groppe/li, in Francesco Robba and the Venetian Sculpture o/ the Eighteenth Century. Papers /rom an International Symposium, a cura di J. Hofler e al., Ljubljana 2000, p. 122 nota 6. 6 Per la formazione del Baratta cfr. M. KlemenCiè', Francesco Robba ... cit. , pp. 24-40. 7 Al possibile influsso del Baratta sul Tarsia fa cenno C. Semenzato (La scultura veneta del Seicento e del Settecento, Venezia 1966, p. 42), mentre M. De Vincenti (Antonio Tarsia ... cit., p . 50) richiama giustamente anche le opere del Mazza, quali possibili punti di riferimento per l'artista (cfr. anche G . Pavanello, Il Settecento. La scultum ... cit. , p. 450) . 8]. Montagu, Alessandro Algardi, New Haven- London 1985, II, pp. 434-43 6, cat. 161.
9 Simile orientamento stilistico si coglie anche nei due rilievi della Carità e della Penitenza, del 1706, montati sull'altare maggiore della chiesa di San Stae (cfr. P. Rossi, Su alcune sculture settecentesche della chiesa di San Stae, "Arte Veneta", LXI, 1987, pp. 204, 206-207, figg. 4-5).
Appunti sul neocinquecentismo nella scultura veneziana del Settecento 233
questo senso è offerto proprio dalla Liberalità del Tarsia, che ad un esame più attento sembra accostabile ancor più che all' Algardi o al Baratta, ad un lavoro autografo di Mazza, una figura in terracotta, reggente una cornucopia, ora nel [4]
Museo Davia Bargellini di Bologna'0• I rapporti con la cultura emiliana avreb
bero così potuto offrire allo scultore veneziano i primi stimoli per orientare il proprio stile in senso decisamente classicistico, mentre solo in un secondo tem-po la visione delle opere di Pietro Baratta e la diretta collaborazione con l'arti-sta toscano avrebbero rappresentato un'ulteriore spinta agli occhi del Tarsia per approfondire in tal senso le sue ricerche.
Se già questi legami del Tarsia con il classicismo barocco di ascendenza romana o emiliana facilitarono l'adozione da parte dello scultore di soluzioni fi gurative già sperimentate nel Cinquecento veneziano", è però a distanza di circa un decennio dalla conclusione del monumento Valier, che l'artista decise di abbandonare il linguaggio centroitaliano per ricuperare in modo più esplicito l'antico idioma lagunare. L'evento decisivo, che indusse Tarsia a tale ulteriore rinnovamento del proprio stile non è per ora noto, ma come ha giustamente rilevato Monica De Vincenti, nelle statue marmoree, scolpite per i giardini dello zar russo Pietro il Grande -le prime iniziate nel1716, altre ancora in opera negli anni venti - emerge un interesse sempre più crescente dello scultore per le opere del Cinquecento veneziano, da Jacopo Sansovino e la sua cerchia ad Alessandro Vittoria'2
• Tra gli esempi delle statue improntate a modelli cinquecenteschi, si può menzionare almeno il Nettuno della cascata della Montagna d'Oro a Peterhof, probabilmente scolpito intorno al 1718-1719, in cui non è difficile riconoscere una variazione del Nettuno realizzato dal Sansovino nel Palazzo Ducale di Venezia (1554-1567)'\ mentre l'Ercole nel parco della residen-
10 Per la statuetta, classificata nell'inventario del museo con il numero 142 e siglata G(iuseppe) M(azza) F(ecit), cfr. A. Mampieri , in Presepi e terrecotte nei musei civici di Bologna, catalogo della mostra, Bologna 1991 , pp. 104-105 , cat. 8. 11 Si vedano, ad esempio , l'Eloquenza di Alessandro Vittoria nella Sala delle Quattro Porte in Palazzo Ducale, oppure qualche figura del Veronese, quale la personificazione della Saggezza, nel famoso dipinto La Saggezza e la Forza della Frick Collection a New York (per le illustrazioni di queste opere cfr. M. Leithe-J asper, Alessandm Vittoria e la scultum del suo tempo a Venezia , in "La bellissima maniera". Alessandro Vittoria e la scultura veneta del Cinquecento, catalogo della mostra, a cura di A. Bacchi, L. Camerlengo e M. Leithe-Jasper, Trento 1999, p. 37, fig. 23; T. Pignatti, F. Pedrocco, Veronese, Milano 1995, II, p. 376, cat. 263). 12 M. De Vincenti, Antonio Tarsia ... cit., p. 52. ' 3 Cfr. M. De Vincenti, Antonio Tarsia .. . cit ., p . 53, fig . 7, e S. Androsov, Pietro il Grande collezionista d'arte veneta, Venezia 1999, p. 250, ca t. 102; B. Boucher, The Sculpture o/ ]acapo Sansovino, New Haven- London 1991, pp. 341-342, cat. 35, figg . 310-311; La scultura ... cit., fig. 130.
234 Matej Klemencic
za di PuSkin, eseguito forse negli anni venti, rimanda alla statua del Gigante, scolpita intorno al1590 da Girolamo Campagna per la Libreria Marciana14 •
In questo piuttosto elementare procedimento di copia e riproposizione di motivi tratti da fortunate opere cinquecentesche, sembra manifestarsi il primo accostamento del Tarsia ai dettami del neocinquecentismo. Negli anni seguenti alla semplice imitazione si sostituirà invece il tentativo di rielaborare e integrare secondo il proprio stile personale gli spunti offerti dalle opere cinquecentesche. Le vere fonti d'ispirazione diventano così sempre meno evidenti, benché ancora riconoscibili sotto un velo settecentesco. Qualche anno dopo le prime statue destinate allo Zar di Russia, Antonio Tarsia scolpì la figura di San Girolamo, posta nel 1720 in una nicchia della navata della chiesa veneziana di San Stae, per la quale Monica De Vincenti ha segnalato la dipendenza dal san-
. to omonimo, eseguito nel b566 da Alessandro Vittoria per l'altare della famiglia Zane in Santa Maria Gloriosa dei Frari15
• Alla fine dello stesso decennio, intor-[5] no al 1729, sono databili le statue di Santa Rosa e di San Domenico sull'altare
della famiglia Pisani in San Vidal, che si possono considerare le opere in cui il neocinquecentismo del Tarsia raggiunge la piena maturità. Nuovamente, i confronti più immediati e pertinenti sono con due opere di Alessandro Vittoria, scolpite probabilmente alla fine degli anni settanta del XVI secolo, il San Zac-
[6] caria sul portale di San Zaccaria e il San Giacomo, attualmente conservato presso l'ambasciata portoghese a Roma, ma destinato in origine alla Scuola veneziana della Misericordia16
•
Il secondo esponente della prima generazione dei neocinquecentisti è Giuseppe Torretti17
• Il lavoro inseribile nel filone neocinquecentesco più famoso
" Cfr. M. De Vincenti, Antonio Tarsia ... cit., p. 54, fig. 8; S. Androsov, Pietro il Grande ... cit., p. 252, cat. 105; La scultura ... cit., fig. 36. "M. De Vincenti, Antonio Tarsia . . . cit., p. 53 . Cfr. P. Rossi, Su alcune sculture ... cit., pp. 206, 209, fig . 9; La scultura ... cit., fig . 160. 16 Cfr. La scultura . . . cit., fig. 624; M. Leithe-Jasper, Alessandro Vittoria ... cit., pp. 30-31, fig. 16; A Bacchi, s. v. Alessandro Vittoria, in La scultura ... cit., pp. 801-802, fig. 175. 17 Riguardo al linguaggio del Torretti, C. Semenzato (La scultura veneta . .. cit., pp. 28, 30, 38-40) riconosce soprattutto l'influsso di Enrico Merengo (citando come opera del Torretti la Sacra Famiglia nella chiesa degli Scalzi, lavoro documentato del Merengo; cfr. D. Lewis, Notes on XVIII Century Venetian Architecture: a Drawing, Some Dates, and an Architect Rediscovered, "Bollettino dei Musei Civici Veneziani", XII/1-2, 1967, pp. 8-9, 15-16 nota 21; id., ivi, XII/3, 1967, p . 47; id., The Late Baroque Churches ... cit., pp. 387-388 nota 85; R. Breuing, Enrico Meyring 1628-1723. Ein Bildhauer aus West/alen in Venedig, Rheine 1997, pp. 173-183; inspiegabilmente la documentazione pubblicata dal Lewis non è accolta da A Stahl, Die Bildhauerwerkstatt der Familie Torretta. Ein Weg zu Canova, Berlin 1999, pp. 184-185 nota 212) e di Filippo Parodi; lo studioso aggiunge inoltre, che nello stile del Torretti "non mancano infatti riferimenti diretti alla stessa statuaria antica [ . .. ] e alla scultura ma-
Appunti sul neocinquecentismo nella scultura veneziana del Settecento 235
dello scultore appartiene alla sua attività inoltrata e consiste nei rilievi, scolpiti tra il1729 e il1732, per la Cappella Manin a Udine, illustranti La Natività della Madonna, La Presentazione di Maria al tempio, La visitazione e La Presentazione di Gesù al tempio 18
• Già Camillo Semenzato e Paolo Goi hanno dimostrato che lo scultore desunse soluzioni compositive e tecniche da opere di Tullio Lombardo ed altri maestri del Cinquecento, anche toscani19
, ma al contempo non si può tralasciare di osservare come sia la monumentale scenografia architettonica che inquadra le scene, sia i gruppi figurati, rimandino senza dubbio al repertorio di Paolo Veronese. I più antichi lavori del Torretti in cui si possono cogliere caratteri neocinquecenteschi risalgono però al 1717 e sono pressoché contemporanei a quelli del Tarsia: si tratta del gruppo con Generosità e Sostan-za, per uno dei monumenti della famiglia Manin nel Duomo di Udine. Per la [9]
figura della Generosità, Giuseppe Torretti ha chiaramente guardato ad un'ope-ra del tardo Cinquecento: la posa dinamica del corpo nonché lo schema dei panneggi ricordano precisamente la Fede modellata nel1593-1594 per la basi- [8]
lica del Santo di Padova da Tiziano Aspetti2°. Il confronto tra le opere di Antonio Tarsia e quelle di Giuseppe Torretti
permette inoltre di mettere in luce il diverso atteggiamento con cui i due scultori aderirono alle istanze del neocinquecentismo: Tarsia procede in primo luogo studiando a fondo le opere dei maestri del Cinquecento e replicando nelle proprie sculture solo la costruzione del corpo, per poi tentare di avvicinarsi al risultato dei suoi modelli attraverso una resa quasi semplificata del modellato dei panneggi. Torretti invece, come si può facilmente verificare nel caso della Generosità del monumento Manin, riproponendo una soluzione figurativa dell' Aspetti, ne offre già una rielaborazione del tutto personale, nel desiderio di ottenere una superficie variata e dall'effetto quasi pittorico. Il prezioso, raffinato modellato delle vesti, lascia intendere che su Torretti ebbero un influsso
nieristica rinascimentale che egli poté vedere specialmente nell'Italia centrale e che fu importante soprattutto per i bassorilievi" . (C. Semenzato, La scultura veneta ... cit., p. 39). Al neocinquecentismo del Torretti, qualche cenno è dato da M. De Grassi, I; antico nella scultura veneziana del Settecento, in Antonio Canova e il suo ambiente artistico /ra Venezia, Roma e Parigi, a cura di G. Pavanello, Venezia 2000, pp. 49, 50 nota 71. Molto discutibile è invece, a mio parere, lo studio di A Stahl (Die Bildhauetwerkstatt . .. cit.; per il neocinquecentismo del Torretti cfr. soprattutto pp. 12 sgg.). 18 Cfr. P. Goi, Giuseppe Torretti nella Cappella Manin di Udine, in "Restauro nel Friuli-Venezia Giulia", 2, 1990, pp. 9-63; La scultura .. . cit., figg . 642-646. 19 Cfr. C. Semenzato, Giuseppe Torretta, "Arte Veneta", XVIII, 1964, p . 131; P. Goi, Giuseppe Torretti ... cit., pp. 40-49. 2° Cfr. M. De Vincenti, Sui monumenti M an in del Duomo di Udine, "Venezia Arti", XI, 1997, pp. 63-64, fig . 6; A Bacchi, s. v. Tiziano Aspetti, in La scultura .. . cit., p . 686, fig. 16.
236 Matej Klemencic
determinante le sculture di Filippo Parodi e si può includere tra i tipici elementi che contraddistinguono lo stile dell'artista, ricorrendo anche nelle opere che precedono cronologicamente il gruppo udinese. Si può quindi concludere che Torretti, già nelle prime opere neocinquecentesche, si dimostrò in grado di reinterpretare liberamente le soluzioni figurative cinquecentesche, con una sensibilità decorativa di gusto prettamente settecentesco21
•
Analogo era il giudizio espresso da Rudolf Wittkower sullo stile di Antonio Corradini, il più illustre scultore veneziano tra Alessandro Vittoria e Antonio Canova, rappresentante anch'egli della prima generazione dei neocinquecentisti al fianco di Antonio Tarsia e Giuseppe Torretti: infatti, secondo il Wittkower, nelle statue dell'Angelo Raffaele e di Sara sull'altare delle Anime Purganti nella chiesa di San Giacomo a Udine, il Corradini si ispirò chiaramente a J acopo Sansovin: ; rivelando però l'abilità di unire la composizione dall'impostazione piuttosto arcaica e desunta dal Sansovino con il tipico virtuosismo postberniniano nella trattazione del marmo22
•
Secondo le fonti settecentesche, Antonio Corradini si formò nella bottega di Antonio Tarsia e svolse il suo apprendistato durante il primo decennio del ~ettecento, proprio negli stessi anni della costruzione del Monumento Valier23 •
E quindi probabile che le primissime opere dello scultore, di cui non si conoscono lavori certi prima della metà del secondo decennio del Settecento, riflet-
21 In alcune opere di Torretti, si individuano riprese anche più dirette di opere cinquecentesche. Mi riferisco ad esempio al gruppo dei quattro Evangelisti che sorreggono la sfera con Dio Padre, sull'altare maggiore della chiesa francescana sull'isola Badia presso Cm·zola (Korcula), che- forse su progetto dell'architetto Andrea Tira li- il Torretti scolpì verso la metà degli anni venti (secondo il contratto di allogazione dell'opera, l'altare dovrebbe essere stato eretto tra il1722 e il1724). Come già accennato da R. Tomié (Barokni altari i skulptura u Dalmacijz; Zagreb 1995, pp. 94-99), il modello per l'altare di Curzola è l'altare maggiore della chiesa veneziana di San Giorgio Maggiore, opera di Girolamo Campagna del1592-1593 (cfr. A. Bacchi, s. v. Girolamo Campagna, in La scultura ... cit., p. 716, figg. 37-42). "R. Wittkower, Art an d Architecture ... ci t., p. 67. Mentre Camillo Semenzato (La scultura veneta ... ci t., p. 44) menziona tra gli artisti che segnarono la formazione del Corradini solo Enrico Merengo, Pietro Baratta e Filippo Parodi, fu invece Wittkower, seguito poi da altri critici, a sottolineare la matrice neocinquecentesca del suo stile: cfr. R. Cioffi, Sulla scultura veneta ... cit., pp. 560-561; G. Pavanello, Il Settecento. La scultura . .. cit., p. 458 (dove si legge che lo stile del Corradini è "una sorta di barocchetto neomanieristico"); A. Stahl, Die Bildhauerwerkstatt ... cit., pp. 256-258. Per le due statue udinesi e la loro problematica datazione cfr. S. Zanuso, s. v. Antonio Corradini, in La scultura a Venezia ... cit., p. 729, figg. 339-340. 23 T. Temanza, Zibaldon, ed. a cura di N. Ivanoff, Venezia- Roma 1963 (Civiltà Veneziana, Fonti e testi, VI, Seria Prima, 3), p. 33; B. Cogo, Antonio Corradini ... cit., pp. 36-37.
Appunti sul neocinquecentismo nella scultura veneziana del Settecento 237
tano in modo più marcato, rispetto ai lavori documentati, l'influenza del classicismo di derivazione centroitaliana appreso dal Tarsia, distinguendosi così da quelle realizzate successivamente dall'artista. La più antica scultura attribuibile con sicurezza al Corradini, che la dovette eseguire poco dopo il1713, la Santa Anastasia, firmata dell'artista, ora nel Museo d'Arte Sacra di Zara, non mostra infatti alcun evidente rapporto con la statuaria di Antonio Tarsia e Pietro Baratta o, risalendo a ritroso, con prototipi di Algardi e del Mazza'4
• Agli esordi dello scultore, forse ancora al primo decennio del secolo, dovrebbe invece appartenere una statuina dei Musei Civici di Padova (inv. no 102), raffigurante la Religione, priva di datazione certa ma tradizionalmente attribuita ad Anto- [7]
nio Corradini e recentemente riproposta come opera giovanile dello scultore da Paola Rossi, sulla base di puntuali confronti stilistici'5• Per quanto non sia agevole dimostrare con sicurezza il riferimento al Corradini di una simile opera, di piccolo formato e di livello qualitativo non eccelso, si potrebbe però osservare come la costruzione del corpo di tipo dichiaratamente "algardiano"- la si confronti ad esempio con la più volte menzionata Liberalità, capolavoro dello scul- [2]
tore bolognese-, sarebbe un elemento a sostegno dell'attribuzione della Religione all'avvio del Corradini che si svolse in felice consonanza di intenti con il maestro Antonio Tarsia.
Dopo la metà del secondo decennio, almeno entro il 1717, Antonio Cor-radini acquisì una certa fama per le sue eleganti raffigurazioni di "donne velate "26 , dalle quali si arguisce il lungo esercizio dedicato dall'artista a perfezionare la tecnica nella resa virtuosistica dei panneggi e delle superfici. Probabilmente soltanto in un momento successivo, verso la fine del secondo decennio, seguendo l'esempio del maestro Antonio Tarsia e di Giuseppe Torretti, Corradini iniziò a rivolgere la propria attenzione alla scultura del Cinquecento. Oltre alle statue udinesi di Raffaele e Sara, tra le opere neocinquecentesche dello scultore è stata inclusa anche la Madonna della chiesa delle Eremite a Venezia, visibilmente memore della Speranza realizzata dal Sansovino per il Monumento di Francesco Venier nella chiesa di San Salvador a Venezia27
• Anche la Pietà
" Cfr. R. Tomié, Barokni altari ... ci t., p. 113, fig. p. 116. 25 P. Rossi in Dal Medioevo a Canova. Sculture dei Musei Civici di Padova dal Trecento all'Ottocent~, catalogo della mostra a cura di D. Banzato, M. De Vincenti e F. Pellegrini, Ve
nezia 2000, pp. 201-202, cat. 184. . . . . , 26 Secondo una lettera di Antonio Balestra del22 dicembre 1717, An tomo Corra dm! n usci a "stupire tutta la città" di Venezia con "una statua d'una Fede col capo e facci~ velata" (G. Bottari, S. Ticozzi, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed archztettura [Milano 1822],
[Bologna] 1979, II, p . 125). . . . . . " R. Cioffi, Sulla scultura veneta ... cit., pp. 560-561. La C10ff1 tra gh sculton presi a mod~l-lo dal Corradini, menziona oltre al Sansovino anche Danese Cattaneo, J acopo Fantom e
238 Matej KlemenCic
in San Moisè sembrerebbe frutto di una rielaborazione, magari indiretta, di modelli sansovineschF8
. Assai interessante è inoltre la constatazione di Rudolf [12] Wittkower, il quale considerava lo stile prezioso che distingue la Verginità del
Corradini, sull'altare della Scuola del Carmine in Santa Maria dei Carmini, dipendente non tanto da esempi di plastica antica quanto dal lascito di Alessandro Vittoria, in una sorta di revival sentimentale del tardo manierismo veneto29 La Verginità è infatti uno degli esempi di maggior fascino e bellezza dell'espe~ rienza neocinquecentesca del Corradini. A mio avviso, comunque, più che al Vittoria- si pensi al San Pietro dell'altare Zane ai Frari - Antonio Corradini sembra riferirsi alla scultura di Tiziano Aspetti, e a tale proposito vorrei qui ri-
[8] chiamare nuovamente in causa la Fede della basilica del Santo di Padova, già ri[9] cordata in rapporto alla Generosità del Torretti30. Con il Torretti, Corradini ri
sulta condividere non solo -gli stessi illustri prototipi, ma anche lo spirito che conduce lo scultore a tentare di riattualizzare i modelli cinquecenteschi, e tali consonanze tra i due scultori inducono a ritenere che sull'educazione artistica del Corradini, condotta come si è detto sotto la guida di Antonio Tarsia, abbia anche avuto una ascendenza non trascurabile lo stesso Torretti.
Dal quadro fin qui esposto, emerge che le prime opere in linea con il nuovo stile neocinquecentesco apparvero poco dopo la metà del secondo decennio, tanto in forma di riproduzioni dei capolavori della statuaria "classica" del Cinquecento - che negli spazi aperti dei giardini nobiliari non sfiguravano al fianco delle più consuete copie all'antica-, quanto nelle più sofisticate traduzioni moderne dei prototipi cinquecenteschi. I nuovi orientamenti vennero però accolti principalmente da artisti a quelle date già pienamente affermati e maturi, come Antonio Tarsia e Giuseppe Torretti, ai quali dopo qualche anno si accostò il più giovane Antonio Corradini. All'esperienza di questi inizia tori
Giulio Dal Moro. Cfr. anche G. Pavanello, Il Settecento. La scultura .. . cit., p. 458, che tra i "modelli ideali" per le opere del Corradini cita anche la Pace e l'Apollo del Sansovino della Loggetta di San Marco (cfr. La scultura ... cit., figg. 113-114) . 28 La Pietà in San Moisè, eseguita dal Corradini nel1723 (cfr. B. Cogo, Antonio Corradini ... cit. , pp. 202 -204; La scultura ... cit., fig. 350) potrebbe seguire il modello di Filippo Parodi nella chiesa di Santa Giustina a Padova (La scultura .. . ci t., fig . 551). Quest'ultima, a sua volta, come testimonia Tommaso Temanza, dovrebbe derivare da un prototipo del Sansovino, un modello della Vergine addolorata, oggi disperso, ma presente nel Settecento nella collezione Caotorta a Padova (cfr. T. Temanza, Vite dei più celebri architetti e scultori veneziani che fiorirono nel secolo decimosesto [Venezia 1778], a cura di L. Grassi, Milano 1966, p. 265, e B. Boucher, TheSculpture ... cit., I, p. 175, per il collegamento con la Pietà del Corradini). 29 R. Wittkower, Art an d Architecture . . . ci t., p. 67 . 10 Per il Vittoria cfr. La scultura ... cit., fig. 162.
Appunti sul neocinquecentismo nella scultura veneziana del Settecento 239
del "movimento" neocinquecentesco, a partire dalla fine degli anni Venti, seguì una seconda generazione di artisti, quali Gaetano Susali, Antonio Gai e Giovanni Marchiori. A giudicare dalla qualità dei primi esperimenti neocinquecenteschi, individuati sembrerebbe inoltre che proprio a Giuseppe Torretti vada il merito di aver svolto un ruolo trainante per il cambiamento di stile che coinvolge la scultura veneziana della metà del secondo decennio e per il recupero della tradizione veneta del Cinquecento.
In conclusione, qualche riflessione interessante offre l'impresa forse più rilevante del primo neocinquecentismo, l'altare della Scuola del Carmine nella chiesa di Santa Maria dei Carmini a Venezia, al quale lavorarono Antonio Corradini e Giuseppe Torretti. Per le ragioni che si cercheranno di illustrare, forse, almeno in questa occasione, il recupero e l'emulazione da parte dei due scultori di modelli del passato non è giustificabile solo come una scelta di stile, ma riveste valore programmatico. Dalla documentazione conservata si evince che la Scuola decise di rinnovare il proprio altare entro il marzo del1720, approvando verso la fine di quell'anno il progetto architettonico disegnato da Domenico Rossi. Per la decorazione plastica, consistente in quattro angeli, un putto al centro del frontone e le due statue raffiguranti la Verginità e la Umiltà, i due scultori furono contattati soltanto nel marzo del1722. L'incarico fu adempiuto almeno entro marzo del 1723, quando le sculture furono condotte nella chiesa dei CarminP 1
•
Sull'altare della Scuola dei Carmini la Verginità del Corradini, collocata a [12] sinistra, ha come pendant l'Umiltà di Giuseppe Torretti, a destra; le due statue, [10]
l'unica parte della decorazione dell'altare che ci è pervenuta, furono progetta-te dai due artisti in piena concordanza di stile e nella scelta di presentare le due immagini in contrapposto. Per la Verginità, rivolta al cielo, Corradini seguì co-me fonte d'ispirazione il tipo figurativo "aperto" della Fede dell'Aspetti, dalla posa dinamica e slanciata; Torretti invece concepì l'Umiltà in atteggiamento [10] calmo, pensoso, e adottando per la costruzione del corpo una figura "chiusa", la cui fonte più immediata sarebbe la Pace, di nuovo dell'Aspetti, gettata in [11]
bronzo e posta nella cappella Grimani in San Francesco della Vigna tra 1592 e 159332. Infatti, non solo il corpo dell'Umiltà corrisponde del tutto al prototipo
1' Per la vicenda della costruzione dell'altare, cfr. S. Guerriero, Paolo Calla/o: un protagoni
sta della scultura barocca a Venezia, "Saggi e memorie di storia dell'arte", 21 , 1997, pp. 62-63; P. Rossi, Giambattista Tiepolo e la scultura del suo tempo, in Giambattista Tiepolo nel terzo centenario della nascita, Atti del convegno a cura di L. Puppi, Padova 1998 (Quaderni di Venezia arti, 4) , l, pp. 171, 174-175 nota l. 12 Cfr. C. Kryza-Gersch, in "La bellissima maniera" . . cit., pp. 422-425, cat. 95 (con bibliografia) .
l
240 Matej Klemenè'iè'
dell'Aspetti, ma le analogie si spingono fino a dettagli quali la forma dei volti, dal semplice modellato, oppure gli occhi socchiusi e l'identica acconciatura dei cappelli.
L'attenzione di Corradini e Torretti nel procedere con tale armonia in questa impresa, fin nella scelta dei modelli figurativi ai quali fare riferimento, sembra piuttosto in usuale e forse non fu casuale33
• Tra le varie possibili motivazioni, non va trascurata l'eventualità di un collegamento tra queste opere e un avvenimento che in quegli anni ebbe importanti conseguenze sulla storia della scultura veneziana. Nell'agosto del 1723, pochi mesi dopo la conclusione dei lavori all'altare ai Carmini, gli scultori veneziani finalmente ottennero dal Senato il permesso di separarsi dall'Arte dei taglia pietra. Seguendo l'esempio dei pittori, che si erano staccati dall'Arte dei depentori già nel1682, e anzi facendo esplicito riferimento per i lero caso a questo illustre precedente, gli scultori riuscirono così a migliorare la loro posizione sociale, grazie alla costituzione del Collegio degli scultori, approvata dal Senato nell'agosto del1723 e sancita con la prima riunione dei confratelli nel maggio del 172434
• Anche se questo evento non sembra poter essere direttamente correlabile all'altare dei Carmini, va preso in debita considerazione che tra i personaggi determinanti per la costituzione del Collegio, proprio Antonio Corradini e Giuseppe Torretti furono tra i più attivi. Infatti, Tommaso Temanza riferisce che il Corradini fu personalmente meritorio e che il suo ruolo dovette essere anzi decisivo per la costituzione dell'organo collegiale3
\ mentre da altre fonti apprendiamo che in qualità di primo priore del Collegio fu eletto proprio Giuseppe Torretti36
• All'epoca della commissione dei Carmini Torretti e Corradini erano inoltre tra i più importanti scultori attivi a Venezia: il primo, già anziano, era scultore preferito, quasi artista "di corte", della famiglia Manin, per la quale realizzò la parte più rilevante della decorazione plastica della chiesa dei Gesuiti; il secondo, di una generazione più giovane, deteneva invece una posizione quasi senza confronti e per i numerosi incarichi pubblici figurava come scultore ufficiale della Sere-
JJ A. Stahl (Die Bildhauerwerkstatt ... cit., p . 257) pensa infatti all'adattamento stilistico al quadro, già esistente sopra l'altare, dipinto dopo il1595 da Pace Pace. "Per il Collegio cfr. G. Caniato, M. Dal Borgo, Arte di Tagiapiera, in Le arti edili a Venezia, a cura di G. Caniato e M. Dal Borgo, Roma 1990, p. 162. Per la costituzione del Collegio dei pittori cfr. E. Favaro, ~arte dei pittori in Venezia e i suoi statuti, Firenze 1975, pp. 119-123. 35 Secondo il Temanza, Antonio Corradini fu infatti "l'autore di questa separazione [degli scultori dagli scalpellini]" (T. Temanza, Vite ... cit., p. 80 nota a). JG Al ruolo di priore al Torretti successe nel 1726 Gaetano Susali e nell'autunno del 1727 Antonio Corradini (cfr. B. Cogo, Antonio Corradini ... cit., pp. 62-66).
Appunti sulneocinquecentismo nella scultura veneziana del Settecento 241
nissima; a ciò si aggiunga che anche la sua gloria internazionale era in continua crescita37
• Pertanto, tra tutti gli scultori veneziani, vista la loro grande autorevolezza, Corradini e Torretti sicuramente potevano agire nel ruolo di rappresentanti della categoria e difendere così con maggior consapevolezza le esigenze e i diritti dei "compagni di lavoro". Alla luce di queste considerazioni, la decisione da parte di Torretti e Corradini di emulare nelle due statue dell'altare dei Carmini due note figure cinquecentesche può anche essere spiegata con il tentativo di affermare pubblicamente che anche gli scultori - come i pittori -avevano alle spalle una tradizione artistica importante e fondata nelle opere degli artisti più grandi del Cinquecento.
Purtroppo, a conferma di questa ipotesi non è possibile citare alcuna fonte; qualche altro dubbio relativo alla vicenda - se cioè esistesse qualche collegamento tra il Collegio degli scultori e la Scuola dei Carmini, o se vi sia qualche testimonianza che la valenza simbolica delle statue dell'altare fosse già riconosciuta dai contemporanei-, può tuttavia essere chiarito. Riguardo alla prima questione, ci si può avvalere di una fonte d'archivio, nella quale viene registrato che la prima riunione del neoformato Collegio degli scultori, i quali abbandonarono la sede dell'Arte dei taglia pietra in Campo Sant' Aponal, si tenne proprio nella Scuola del Carmine. Si tratta di un passo dalla Mariegola dei tagliapietra, dove in data 28 maggio 1724 sono menzionati i 25 confratelli del "Collegio de' Sig. scultori ridotti nella Scola della B. V. del Carmine"38
• Relativamente invece al secondo punto, sappiamo che almeno la Verginità del Corradini destò sicuro apprezzamento e attenzione agli occhi dei contemporanei, poiché la statua fu incisa in rame- fatto piuttosto raro per la scultura veneziana - da Andrea Zucchi. Non solo, anche se forse per mera casualità, proprio questa incisione è collegata a due personaggi di grande rilievo per gli sviluppi dell'arte veneziana del Settecento: il disegno preparatorio per l'incisione dello Zucchi fu infatti realizzato da Giambattista Tiepolo e l'incisione stessa, databile non oltre il 1724, reca la dedica a Zaccaria Sagredo, noto per la vasta collezione dei disegni e per essere uno dei più importanti mecenati della nuova generazione dei pittori, quali Tiepolo, Giambattista Piazzetta, Canaletto e Pietro Longhi. Al Sagredo, che finora non è noto come patrono di scultori o collezionista delle loro opere, fu quindi dedicata l'incisione di una statua. Resta anco-
)7 Per i Manin cfr. M. Frank, Giuseppe Ton·etti al servizio dei Manin tra Friuli e Venezia, "Memorie Storiche Forogiuliesi", LXVI, 1986, pp. 165-200; per gli incarichi pubblici del Corradini cfr. B. Cogo, Antonio Corradini ... cit., pp. 76-96. Js Cfr. B. Cogo, Antonio Corradini ... cit., p. 63 . Per la sede dell'Arte dei tagliapietra cfr. G. Caniato, M. Dal Borgo, Le scuole delle arti edili veneziani, in Le arti edili ... cit., pp. 222-224.
242 Matej KlemenCic
rada chiarire se la dedica sull'incisione, che loda il Sagredo per aver favorito e promosso le belle arti "con la nobiltà, autorità, beneficenza", sia anche un indizio, sul quale approfondire le ricerche in futuro, dei rapporti tra questa colta figura, la formazione del Collegio degli scultori e i primi tentativi di costituire a Venezia un'accademia di pittura, scultura ed architettura39
•
39 Per l'incisione della Verginità, cfr. G. Mariacher, Lo scultore Antonio Corradini, "Arte Veneta", I, 1947, p. 206; G. Pavanello, Tiepolo e la scultura: dalla copia all'invenzione, in Giambattista Tiepolo ... cit., pp. 165-166, p. 169 nota 10. Per il Sagredo cfr. F. Haskell, Patrons ... cit., pp. 263 -267; per i primi tentativi di formare un'accademia a Venezia nel1724 cfr. E. Bassi, La R. Accademia di belle arti di Venezia, Firenze 1941, pp. 7-9, 131-139, docc. III-IV.
2. Alessandro Algardi, La Liberalità, Roma, San Pietro, Tomba di Leone XI.
3. Antonio Tarsia, La Liberalità, Venezia, Santi Giovanni e Paolo, Monumento Valier.
4 . Giuseppe Maria Mazza, Figura con la cornucopia, Bologna, Museo Davia Bargellini.
5. Antonio Tarsia, Santa Rosa, Venezia, San Vidal, altare della famiglia Pisani.
1/
. ..,...,. l
6. Alessandro Vittoria, San Zaccaria, Venezia, San Zaccaria, portale. 7. Antonio Corradini (?) , La Religione, Padova, Museo Civico.
8. Tiziano Aspetti, La Fede, Padova, Basilica di Sant'Antonio.
9. Giuseppe Torretti, Generosità e Sostanza, Udine, Duomo, Monumenti Manin.
10. Giuseppe Torretti, L'Umiltà, Venezia, Santa Maria dei Carmini, altare della Scuola del Carmine.
11. Tiziano Aspetti, La Pace, Venezia , San Francesco della Vigna, Cappella Grimani.
12 . Antonio Corradini, La Verginità , Venezia, Santa Maria dei Carmini, altare della Scuola del Carmine.