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karman (कमन् )

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karman (कर्मन्)

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karman

▪ Il termine sanscrito karman (kamma in pali; las in tib.; 業, ye in cin.; go, in giapp.) deriva dallaradice kr che indica ‘agire’, ‘fare’: esso significa dunque “azione efficace”.

▪ In generale, nell’Induismo esso indica:

1. Azione fisica o mentale

2. Conseguenza di un’azione fisica o mentale

3. Somma di tutte le conseguenze dell’agire in questa o in una precedente vita

4. Rapporto causa-effetto nell’agire etico:

4.1.: Āgāmi karma: karma futuro attivato da azioni e desideri attuali

4.2.: Prārabdha karma: karma attivato da azioni compiute nelle esistenze precedenti che ha conseguenze nella vita attuale

4.3.: Sanchita karma: karma accumulato nelle vite precedenti che attende di dare frutti in una vita futura

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karman nei Veda e nelle Upaniśad

Nei Veda il termine karman indica un atto rituale correttamente eseguito, in base all’idea cheun sacrificio (yajña) sia l’occasione propizia per lo scambio fruttifero tra gli dei (deva) e gliuomini: l’azione rituale effettuata dal brahmano ottiene un esito positivo solo se viene eseguitain modo corretto.

Nelle Upaniśad invece l’interesse per i rituali sacrificali viene meno e il karman acquista unsignificato etico:

«E ciò di cui parlarono fu l’azione, e ciò che lodarono fu l’azione: buoni si diventa infatti con le buoneazioni, cattivi con le cattive»

Brhadaranyaka Upaniśad, III, 2, 13

«E quando si dice che qualcuno è in un certo modo, qualche altro è in un altro modo, si deve intendereche si diventa tali a seconda delle proprie azioni, del proprio comportamento»

Brhadaranyaka Upaniśad, IV,4, 5

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karman (o kamma) nel Buddhismo

Con karman il Buddhismo intende, come l’Induismo, 1: l‘ azione mentale o fisica; 2: la conseguenza di un’azione mentale ofisica; 3: la somma di tutte le conseguenze dell’agire; 4: il rapporto causa-effetto nelle relazioni etiche.

Ma il Buddhismo dedica particolare attenzione al karman come azione dotata di intenzione (cetanā): l’intenzione èsempre presente in ogni atto fisico o mentale. L’intenzione è momentanea, ma lascia una traccia o un residuo (vāsanā)che, assieme a tutte le altre ’impronte’, formano delle ‘tendenze’ (samkhāra; sanscr.: samskāra).

Decisiva, per ogni azione messa in atto (prayoga; pali: payoga), è la qualità dell’intenzione (āśaya) che determina diversemodalità del karma:

1. Accumulato e compiuto: es.: si intende uccidere, e lo si fa;

2. Accumulato ma non compiuto: es.: si intende uccidere, ma non lo si fa;

3. Non accumulato ma compiuto: es.: non si intende uccidere, ma lo si fa inavvertitamente;

4. Non accumulato e non compiuto: es.: non si intende uccidere, non lo si fa.

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Radici positive di un karman

Astensioni del corpo (kāya) A zioni virtuose del corpo

dal togliere la vita salvare delle vite

dal rubare donare

da scorretta condotta sessuale condotta sessuale corretta

Astensioni della parola A zioni virtuose della parola

dal mentire dire la verità

dal denigrare pacificare le discordie

dall’ingiuriare parlare con gentilezza

dalle chiacchiere recitare sūtra o mantra

Astensioni della mente A zioni virtuose della mente

dall’invidia rallegrarsi del bene altrui (muditā)

dall’essere malevolo essere benevolo

dall’accettare concezioni errate seguire concezioni giuste

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‘Tinte’ di un kamma

Le ‘tinte’ di un kamma dipendono dalle qualità delle azioni prodotte:

1. azioni ‘BIANCHE’, virtuose, utili (kuśalakarma) dai risultati piacevoli;

2. azioni ‘NERE’, negative, dannose (akuśalakarma) dai risultati spiacevoli;

3. azioni ‘GRIGIE’, indifferenti (avyākrtakarma) dai risultati neutri.

Per poter determinare le modalità e le ‘tinte’ di un kamma è necessario distinguere la qualità dell’ intenzione (āśaya) e l’azione vera e propria (payoga)

1. intenzione bianca/azione bianca (es.: azione compassionevole)

2. intenzione bianca/azione nera: intenzione buona, strumento cattivo (es: terapia)

3. intenzione nera/azione bianca (es.: mostrarsi gentili per ottenere uno scopo egoistico)

4. intenzione nera/ azione nera (es.: offendere o colpire qualcuno con premeditazione)

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Saṃsāra nell’hinduismo (1)

Il termine sanscrito saṃsāra (संसार), lett.:«scorrere insieme», indica il ciclo delle esistenze determinate dalleazioni compiute, ossia dal karman.

Si trova usato per la prima volta nelle Upaniśad senza alcun riferimento all’ipotesi di una sopravvivenzadell’anima individuale in altri corpi:

«Yajnavalkya – disse allora quello – quando d’un uomo morto la parola è andata nel fuoco, il respiro nel vento,

l’occhio nel sole, la mente nella luna, l’udito nelle regioni celesti, il corpo nella terra, l’anima nello spazio etereo, i

peli nelle erbe, i capelli negli alberi, il sangue e lo sperma si sono depositati nelle acque, dove si trova in realtà

questo uomo? […] E ciò di cui parlarono fu l’azione, e ciò che lodarono fu l’azione: buoni si diventa infatti con le

buone azioni, cattivi con le cattive»

Brhadaranyaka Upaniśad, III, 2, 13

«Colui che è dotato di ragione e di criterio ed è sempre puro, giunge a quella sede donde non più si ritorna allavita. Colui che è privo di ragione, senza criterio, sempre impuro, costui non giunge alla sede [suprema], ma ricadenel ciclo delle esistenze. »

(Kātha Upaniśad, III, 6)

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Saṃsāra nell’hinduismo (2)

▪ In Chandogya Upaniśad V, 10, 7 vi sono i primi cenni al fatto che nel saṃsāra sopravviveuna stessa anima individuale in corpi diversi:

«Coloro poi che quaggiù tengono buona condotta, c’è speranza che ottengano una matricefavorevole, di donna di casta brahmanica, o ksatriya o vaiśya. Ma quelli che tengono condottaspregevole, devono temere di avere una matrice spregevole, di cagna, di scrofa o di candālā».

▪ Nel Trattato di Manu sulla norma” (II° sec. a. C.) vi sono riferimenti più puntuali alle condizioni in cui andràincontro in una vita futura chi si è macchiato di varie colpe nella vita presente.

Cfr. Il trattato di Manu sulla norma, tr. di F. Squarcini, Torino, Einaudi 2010, Cap. I.50, p.8; I, 117, p. 15; 2.249,p. 44; Cap. XII, 16-23; 54-82, pp. 291 e 295-297.

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Saṃsāra nel Buddhismo

1. Buddha sostiene che è inspiegabile dimostrare sia la mortalità che l’immortalità dell’anima:

“Perciò, Mālunkyāputta, ciò che da me non è stato spiegato, tenetelo come non spiegato; e ciò che da me è stato spiegato

tenetelo come spiegato. Ma che cosa, o Mālunkyāputta, non ho spiegato? Che il mondo è eterno, ciò, Mālunkyāputta, non

ho spiegato; che il mondo non è eterno, ciò non ho spiegato; che il mondo ha fine, ciò non ho spiegato; che il mondo non

ha fine, ciò non ho spiegato; che la vita e il corpo sono la stessa cosa, ciò non ho spiegato; che la vita e il corpo sono

due cose diverse, ciò non ho spiegato; che il Tathāgata esiste dopo la morte, ciò non ho spiegato; che il Tathāgata non

esiste dopo la morte, ciò non ho spiegato; che il Tathāgata esiste e non esiste dopo la morte, ciò non ho spiegato; che il

Tathāgata né esiste né non esiste dopo la morte, ciò non ho spiegato”.(Majjhima Nikāya, 63 (Culāmalunkya Sutta), tr. di F. Sferra, in La Rivelazione del Buddha, Milano, Mondadori 2001, pp. 228-229.)

2. Buddha sostiene che ogni realtà è “priva di sé” (anattā in pāli; in sanscrito: anātmanअनात्मन्):sabbe dhamma anattā: “Tutti i dhamma sono privi di sé”

(Dhammapada, 279, tr. di F. Sferra, Milano, Mondadori 2001, p. 556)

3. Buddha sostiene che ogni esistenza è costituita e determinata da un insieme di condizioni mutevoli denominato

paṭiccasamuppāda (पटिच्चसमुप्पाद in pali, pratītyasamutpāda in sanscrito) traducibile con “CO-PRODUZIONE CONDIZIONATA” (paticca:

"dipendente, condizionata"+ samuppada: "coproduzione”)

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“Le domande di Milinda” (Milindapañha ) testo in lingua pali che riporta un dialogo fra il monaco buddhista Nagasena e il re indo-greco

Milinda (Menandro: regnò tra il 155 e il 130 a.C. a Euthydemia, Sagala, oggi in Pakistan)

Il re disse: “Venerabile Nagasena, esiste qualcuno che, una volta morto, non prenda

forma in una nuova nascita?” / L’anziano rispose: “Qualcuno prende forma in una

nuova nascita, qualcun altro no.” / “Chi prende forma in una nuova nascita, e chi

no?” / “Colui che è oppresso dalle afflizioni, sire, prende forma in una nuova

nascita; colui che ne è libero non prende forma in una nuova nascita.” / “E voi

prenderete forma in una nuova nascita, venerabile?” / “Se dovessi avere

attaccamento, sire, prenderei forma in una nuova nascita, ma se sarò privo di

attaccamento non la prenderò”.

Trad. di F. Sferra, in La rivelazione del Buddha. I testi antichi, Milano Mondadori, 2001, p. 114; cfr. anche p.125 e sgg.

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Paṭiccasamuppāda (Co-produzione condizionata)

"Condizionate dall'ignoranza (avijjā) sorgono le tendenze (samskhāra); condizionata dalle

tendenze sorge la coscienza (vinnana); condizionati dalla coscienza sorgono nome-e-forma

sensibile (nama rupa), condizionate da nome-e-forma sensibile sorgono le sei basi sensoriali

(salayatana); condizionato dalle sei basi sensoriali, sorge il contatto (phassa); condizionata dal

contatto, sorge la sensazione (vedana); condizionata dalla sensazione, nasce la brama (tanhā);

condizionato dalla brama, sorge l'attaccamento (upādāna); condizionata dall'attaccamento,

sorge la tendenza ad esistere (bhava); condizionata dalla tendenza ad esistere, sorge la nascita

(jāti); condizionati dalla nascita, sorgono l'invecchiamento e la morte (jarā marana), la

tristezza, il lamento, il dolore, la sofferenza, l'angoscia".

(Samyutta Nikāya, II, 1, tr. ingl. Pali Text Society, Oxford 1992-1994, p. 2; cfr. tr. it. di V. Talamo, Roma, Ubaldini, Roma 1998, pp. 211-212).

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I dodici anelli (Nidana) del IV livello rappresentano:

1) avidyā: ignoranza (vecchia cieca);

2) samskara: coefficienti (vasaio che modella);

3) vijnana: coscienza (scimmia che salta di ramo in ramo);

4) nāmarūpa: nome e forma sensibile (due uomini in una barca);

5) saḍāyatana: sei sensi (5 + la mente: una casa con sei finestre);

6) sparsa: contatto (due amanti congiunti);

7) vedana: sensazione (freccia in un occhio);

8) trsna: brama (una bevanda in coppa tenuta in mano);

9) upadana: attaccamento (una scimmia che afferra un frutto);

10) bhava: esistenza (donna che invita al contatto);

11) Jati: nascita (donna che partorisce);

12) Jarāmaraṇa: vecchiaia e morte (cadavere portato allosmembramento).

Bhavacakra: ruota dell’esistenza

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Conclusioni

«La credenza nella reincarnazione […] è contraria al punto di vista buddista. Il “sé” individuale,

infatti, esiste solo dipendentemente dai cinque aggregati della persona, i quali sono a loro volta

fenomeni composti e impermanenti, dunque soggetti a distruzione. Gli aggregati di una data

vita […] si disgregano alla morte […] non vi è alcun supporto tangibile per l’esistenza di un

“sé” permanente che passi da una vita all’altra. Non è quindi la stessa persona a fare ritorno».

Philippe Cornu, Dizionario del Buddhismo, tr., Milano, B. Mondadori, 2003, p. 685

«Dottrinalmente il Buddhismo non insegna né l’esistenza dell’anima né la sua trasmigrazione

[in successive incarnazioni], ma insiste sulla trasformazione dinamica, o “flusso” (samsāra), di

esistenze. Tuttavia, nella sua influenza sul pensiero popolare questa dottrina è assimilata a ogni

altra dottrina sulla trasmigrazione».

Mahasaku Anesaki, alla voce “Trasmigration (Buddhist)” in: The Buddhists. Encyclopaedia of Buddhism, a cura di

Subodh Kapoor, Cosmo Publications, New Delhi 2001, vol. V, p. 1451

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Bibliografia

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Gombrich, Richard F. (1997). How Buddhism Began: The Conditioned Genesis of the Early Teachings. Routledge

Harvey Peter (2012), An Introduction to Buddhism: Teachings, History and Practices. Cambridge U. P.

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McClelland Norman C.(2010), Encyclopedia of Reincarnation and Karma. McFarland.

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Pasqualotto G., Il buddhismo, Milano, B. Mondadori 2003

Pasqualotto G., Dieci lezioni sul Buddhismo, Venezia, Marsilio 2008