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    Julius Evola e la tradizione del Sanatana-dharma

    di Giuseppe Gorlani

    Julius Evola fu un attento studioso delle dottrine cosmogoniche e metafisichedellIndia, poich ne comprese il carattere normativo e universale. Egli focalizzla sua attenzione in particolare sul Sankhya, sullo Yoga, sul Vedanta, sulTantrismo e sul Buddhismo, in India considerato un darshana eterodosso.Grande fu anche il suo interesse per il Taoismo filosofico dellantica Cina, delquale Lao Tzu e Chuang Tzu furono i principali esponenti. importantesottolineare come il suo approccio alle discipline sovramenzionate non siriducesse ad un esercizio di carattere eruditivo, bens sollecitasse in lui istanze dinatura realizzativa. Egli cio cercava nello studio delle tradizioni orientalielementi illuminativi e pratiche ascetiche capaci di risvegliare nelluomooccidentale, purch dotato di particolari qualificazioni, la consapevole presenzadi un Principio extra-samsarico. Le sue opere quindi, pur contenendo valutazionitalvolta errate oppure semplicemente opinabili e pur attingendo ad informazioniormai superate alla luce delle pi recenti acquisizioni nellambito dellindologia,sono tuttora in buona parte valide per chi ambisca trovarvi spunti orientativi.Loggetto del presente studio verte essenzialmente sulla relazione tra Evola e ilSanatana-dharma, tentando di individuarne gli aspetti convergenti e quellidivergenti. Con la locuzione Sanatana-dharma non ci si riferisce ad unareligione particolare, ma ad un insieme di prospettive sulla Realt accomunateda una conoscenza cosmogonico-metafisica basata sullesperienza diretta e dauna particolare sensibilit che Max Mller tent di riassumere nel termineenoteismo.Jos Pereira, nel suo Manuale delle Teologie Induiste,1 indica tre formeteologiche fondamentali: della Differenza, della Differenza-nella-Identit,dellIdentit, sostenendo, con ragione, che la teologia del Sanatana-dharma tricotomica, poich le include tutte.Il termine hinduismo, impiegato comunemente, venne coniato dagli invasoriislamici e in seguito, nellOttocento, i colonialisti inglesi ne fissaronodefinitivamente luso. Trattasi di unespressione di natura geografica (indicantegenericamente gli abitanti della Valle dellIndo), nella quale, almeno sino a pocotempo fa, quei popoli non si riconoscevano. A dire il vero, neppure la locuzioneSanatana-dharma sarebbe del tutto appropriata per definire la tradizioneindiana. Scrive il Jagadguru Sri Chandrasekharendra Sarasvati in un articolointitolato Dharma Hindu: Ultimamente stato molto usato il termineSanatana-dharma, ma neanche questo si pu dire che sia esattamente il nometradizionale della nostra religione, poich in tal caso dovrebbe essere conosciuto

    1 Jos Pereira, Manuale delle Teologie Induiste, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1979, p. 30.

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    anche dal povero contadino e dallumile vedova, come avviene per le altrereligioni create dalluomo. [...] La vera grandezza della nostra fede consiste nelfatto di non avere un nome.2 Il Buddhismo ebbe inizio con Buddha, ilCristianesimo con Cristo, lIslam con Maometto, Il Zoroastrismo con Zoroastro,ecc., ma in questa tradizione, che percepisce se stessa quale religio eterna, nonvi alcun fondatore, umano o divino, e quindi essa non ha nome e le sue originisi perdono nella notte dei tempi.Dato lo spazio esiguo a disposizione, ci vediamo costretti a sintetizzare in alcunipunti cardine un argomento vasto e complesso.Innazitutto ci avviamo ad esaminare la questione delle origini del Sanatana-dharma, tradizione che non lecito designare tout court come vedica, poichessa include popoli che hanno punti di riferimento diversi; Shiva, per esempio, una divinit pre-ariana, pre-vedica, della quale si hanno i primi segni in India gidal VI millennio prima della nostra era.3 Secondo Evola, il Dharma eternovenne portato in India dai popoli ariani di razza bianca, originari del nord, latoridi una visione spirituale virile, olimpica, secca, i quali incontrarono nella ValledellIndo e nelle vaste pianure gangetiche i popoli dravidici autoctoni che iVeda chiamano dasa o dasyu , di razza scura, di natura mistica, dalla forteimmaginazione, propugnatori di dottrine panteistiche e universalistiche eorganizzati secondo strutture sociali matriarcali.Orbene, la questione non cos semplice. Secondo Alain Danilou, che visse inIndia tre lustri, gli ariani erano poco pi che orde illetterate di pastori e dinomadi barbari calati dal nord e dunque: [...] era inevitabile che lo sviluppodella cultura ariana si fondasse quasi esclusivamente sulla letteratura storica,religiosa e scientifica dei loro predecessori.4 LIndia a tuttoggi sconosciuta quella dei Purana fonti spesso sottovalutate dagli occidentali perchconsiderate di matrice popolare che vennero tradotti in sanscrito, non si sa daquali lingue, in epoca piuttosto tarda. Essi afferma ancora Danilou rappresentano lantica tradizione, comune a tutta la popolazione indiana, chenon solo riuscita a sopravvivere allinvasione ariana, ma che successivamentelha anche assimilata. [...] Tutto lo svolgimento del pensiero sanscrito poggia sufonti pre-sanscrite.5 Si noti come gli ariani avessero una tradizione orale, manon conoscessero la scrittura, che appresero dai dravidi. Il sanscrito in realtuna lingua artificiale che venne elaborata su basi linguistiche pre-esistenti(vedico e pracriti) per prendere il posto delle lingue pre-ariane pi antiche,creando cos un punto di coesione tra il mondo pre-ario e quello ario.6

    2 Periodico Vidya, Ediz. Asram Vidya, Roma, Novembre 1996.3 Cfr. Alain Danilou, Siva e Dioniso, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1980, p. 28.4 Alain Danilou, Storia dellIndia, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1984, p. 33.5 Ibidem, p. 35.6 Ibidem, pp. 63, 66, 67.

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    Danilou, nella sua Storia dellIndia, nota come lapporto dato al cosiddettoHinduismo dai popoli autoctoni sia senzaltro superiore a quello dato dalle tribariane: Sul piano della religione e della filosofia, gli Arii adottarono gli di esoprattutto le idee, la cosmologia, la metafisica degli antichi Indiani. da questainfluenza che nacquero i testi filosofici denominati Upanishad e i ritidellHinduismo. Molti dei saggi menzionati nei testi pi tardi dei Veda e nelleUpanishad sono antichi profeti o filosofi degli Asura, uomini dalla pelle nera,rappresentati in un primo tempo come demoni, ai quali successivamente siriconobbe una dignit pari a quella dei profeti arii.7 E ancora: La religionevedica assorb, incorpor e preserv le forme e i riti degli altri culti. Invece didistruggerli, essa li adatt ai propri bisogni. Prese in prestito talmente tanto daiDravidi e dalle altre popolazioni indigene dellIndia che molto difficileseparare dagli altri elementi gli antichi elementi ariani.8

    Secondo questa prospettiva, Evola, se da un lato ha ragione a contrapporre leconcezioni di tipo moderno alla visione tradizionale, erra nellopporredrasticamente tra loro: le creazioni schiette di uno spirito e di un sangue ario equelle che invece, in Oriente come in Occidente, hanno risentito di influenzenon arie.9 Ogni razza sicuramente portatrice di particolari caratteristichespirituali, non lo si pu negare, e in India questo si sempre saputo; il destino odharma del Bharatavarsha stato, infatti, quello di tentare di preservare il pipossibile le varie identit etniche e razziali, permettendo per loro diriconoscersi ed armonizzarsi in una sorta di ortoprassi fondata sulla veritmetafisca enunciata nelle Upanishad. Nel caso invece degli ariani daqualunque parte essi provenissero e dei dravidi c stata nel corso dei millenniuna tale integrazione a tutti i livelli che ormai inattuabile la pretesa didistinguerli in modo categorico.Lo scontro-incontro tra la religiosit ariana e quella dravidica e limporsi, percerti versi, di questultima sulla prima si riflette nel mito del sacrificio diDaksha, epifania di Brahma. Daksha non amava Shiva, pur avendogli dato insposa la figlia Sati, poich lo considerava un dio lubrico, impuro, non osservantedei riti e selvaggio. Perci, quando Shiva non si alz al suo arrivo al sacrificiodel Prayaga, lo maledisse e lo escluse dal Sacrificio. A causa di ci, Sati, che inShiva vedeva la natura di Parmeshvara, fu presa da vergogna e si arse nel fuocoyogico da se stessa suscitato. Shiva allora distrusse il sacrificio, decapitDaksha, uccise tutti gli altri partecipanti e mutil gli di. Dopo che Virabhadra[personificazione dellira di Shiva] ebbe distrutto il sacrificio, Shiva stesso silev dalla fossa sacrificale, e Daksha lo vener con un inno che celebrava i

    7 Ibidem, p. 57.8 Ibidem, p. 57.9 Julius Evola, La Dottrina del Risveglio, Mediterranee, Roma 1995, p. 30.

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    milleotto nomi del Signore.10 In questo mito Shiva rappresenterebbe laspiritualit dei dravidi e Daksha quella degli arii.Scrive ancora Danilou, in unaltra sua importante opera: Lo Shivaismo erastato per secoli una religione perseguitata, presentata come la religione deglianti-di e dei demoni. [...] Dopo secoli di dominazione ariana, tuttavia, il ritualevedico e la connessa filosofia erano stati talmente pervasi dalla saggezza degliantichi asura, che erano stati profondamente trasformati. La differenza trapensiero ariano e non ariano era diventata cos esigua che fu facile far postoapertamente ad aspetti del culto di Shiva per i quali i primi ariani avevanoostentato orrore e disprezzo.11

    Chiunque sia penetrato in profondit nella conoscenza della cultura e dellareligiosit indiane sa che le iniziazioni shivaite sono le pi elevate.12 Evola loammette nel suo notevole studio Lo Yoga della Potenza, ma, considerando Shivagi contenuto in nuce nel dio vedico Rudra, non ne trae le debite conseguenze.13

    Tra laltro, Rudra potrebbe essere stato, in origine, una divinit prevedica,come indica un inno a lui rivolto nellAtharva-veda (XI.2, 1-17).14 Per unoshaiva, comunque, Rudra e Shiva sono i due volti, irato e pacifico, delmedesimo dio.Shiva il dio imprescindibile, poich dona agli uomini del Kali-yuga il cuidharma e la cui intelligenza si sono ridotti dei tre quarti lo Yoga, la prospettivatantrica, la cosmogonia Sankhya e la metafisica realizzativa non dualista. Egli, inquanto Dakshinamurti, presiede al nivritti-marga, ovvero alla via diriassorbimento dellente nella sua pi intima verit non-duale e, in quantoParamashiva, assimilabile al Brahman nirguna che contiene e trascendeIshvara (nei suoi tre aspetti, Trimurti), e la sua Shakti.Inoltre, non soltanto Shiva apparteneva alla spiritualit pre-aria, bens pureKrishna, Rama e la Devi dalle molteplici manifestazioni (Durga, Kali, Parvati,ecc.), tutte divinit al cui culto dedita la maggioranza della popolazioneindiana attuale.15 Osserva Giuseppe Tucci: [...] mentre gli dei vedici sono quasi

    10 Stella Kramrisch, La Presenza di Siva, Adelphi, Mi 1999, p. 344.11 Alain Danilou, Miti e Di dellIndia, red ediz., Co 1996, p. 220.12 Ai nostri giorni la filosofia shivaita rappresenta laspetto pi astratto del pensiero religioso indiano. Essa ciporta gli strani e profondi insegnamenti della pi antica cosmologia, come pure i metodi dello yoga che sono labase di ogni concezione di progresso interiore e di realizzazione spirituale, nellinduismo attuale come lo eranellIndia pre-ariana, in ibidem, p. 221.13 Julius Evola, Lo Yoga della Potenza, Mediterranee, Roma 1968, p. 16.14 M. Stutley e J. Stutley, Dizionario dellInduismo, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1980, p. 369.15 Linduismo, cos come noi lo conosciamo, e la filosofia dellIndia sono per gran parte adattamenti econtinuazioni dello Shivaismo pre-ariano, che fu la principale religione dei popoli che crearono la civiltdellIndo, Storia dellIndia, op. cit., p. 40. Riguardo a Krishna (letteralmente attraente, scuro) e a Rama (lecui gesta sono narrate nel Mahabharata, nel Ramayana e in alcuni Purana), sebbene i loro culti sianorelativamente recenti, le loro radici affondano nellantichit pi remota. Danilou, a proposito di testi qualilAtharva Veda e i Purana, scrive: Ritroviamo qui un fenomeno caratteristico della storia dellIndia. I testi lacui versione attuale sembrerebbe la pi recente, sono spesso in realt, per il loro contenuto, i pi antichi,ibidem, p. 59. Inoltre: [...] non in alcun modo certo , come si ritiene solitamente, che Krishna, i Pandava, i

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    del tutto scomparsi, al loro posto sono subentrati altri, i cui prototipi si ritrovanoappunto nei remoti albeggiamenti della religione autoctona.16 importantealtres notare come la Bhagavad-gita che Evola pregiava assai sia ilresoconto di una battaglia tra dravidi (i Pandava) e ariani (i Kaurava); ed significativa la vittoria dei primi sui secondi.Alcuni studiosi eminenti, in primis Colin Renfrew, mettono addirittura indiscussione lorigine extra-indiana degli ariani; egli, nella sua opera Archeologiae linguaggio, scrive: Quando Wheeler parla dellinvasione ariana della Terradei Sette Fiumi, il Punjab egli, per quanto ci dato vedere, non ne ha alcunaprova. Se si controlla la dozzina di riferimenti del Rigveda ai Sette Fiumi, non vi nulla, a mio avviso, che implichi un'invasione: la Terra dei Sette Fiumi laterra del Rigveda, la scena dell'azione. Nulla implica che in essa gli Arii fosserostranieri, n che gli abitanti delle citt fortificate (compresi i Dasyu) fossero piindigeni degli Arii stessi.17 Poco pi avanti si legge ancora: Vi sonocertamente elementi di continuit tra la civilt dellIndo e quelle ad essasuccessive. [...] Gli Allchin non suggeriscono che la stessa civilt dellIndo fosseprobabilmente di lingua indoeuropea, ma semplicemente che potrebbero giessere riconosciuti elementi, al suo interno, che saranno caratteristichesuccessive della cultura indoariana come appare nel Rigveda.18

    In India la teoria che attribuisce unorigine nordica, in senso geografico, allapropria tradizione non viene in genere accettata. Il Monte Meru, laxis mundi,viene identificato simbolicamente nellEverest. I pandit hindu sostengono che ilSanatana-dharma non sia stato portato in India da popoli provenienti dal nord,ma che fosse gi l. Scrive ancora il Jagadguru Sri Chandrasekharendra Sarasvatiappartenente al lignaggio shankariano: [...] per lungo tempo la nostra stata lasola religione esistente sulla faccia della terra. Tutte le altre religioni del mondohanno ripreso e sviluppato alcuni aspetti della fede maggiore degli Hindu che licontiene tutti.19

    vero che Bal Gangadahar Tilak i cui studi vennero pregiati sia da Evola cheda Gunon e che i suoi contemporanei chiamarono Lokamanya maestroonorato nel mondo intero non fu un Hindu occidentalizzato, tuttavia si devesapere che le sue ipotesi su La Dimora Artica nei Veda (titolo di una sua celebreopera) vengono rifiutate da eminenti rappresentanti della tradizione indiana. Inproposito ho avuto loccasione di visionare personalmente una lettera di unoSwami dellordine Sarasvati in cui si afferma che Tilak, pochi anni prima di

    Kaurava e Jarasandha fossero ariani, poich va delineandosi sempre pi chiaramente lesistenza in quella partedellIndia di una cultura altamente sviluppata e di potenti regni non ariani ben prima della comparsa degli arianistessi, Margareth e James Stutley, Dizionario dellInduismo, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1980, p. 220.16 Giuseppe Tucci, Asia Religiosa, vol. II, Partenia, Roma 1946, p. 27.17 Colin Renfrew, Archeologia e linguaggio, Laterza, Ba 1989, p. 212.18 Ibidem, pp. 214, 215.19 Periodico Vidya, op. cit.

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    morire, abbia sconfessato le proprie teorie in un breve scritto che poi andsmarrito.A conferma di come sia opportuno procedere con cautela nellambito dellaquestione delle origini, Jan Gonda, in Veda e antico Induismo, scrive: [...] ildisseppellimento delle citt di Mohenjodaro e Harappa aveva dimostrato comeerrata l'opinione sino ad allora in vigore, secondo la quale gli ariani sarebberostati i fondatori della cultura superiore dell'India antica. L'origine, i portatori e lastruttura politica di questa cultura sono questioni aperte.20 Come se nonbastasse, nel libro Antica India. La Culla della Civilt, Georg Feuerstein,Subhash Kak e David Frawley riassumono in diciassette punti le ragioni per lequali linvasione ariana non si sarebbe mai verificata.21La mole delle citazioni riportabili sarebbe enorme; qui ci si limitati ad alcunicenni, i quali per dovrebbero quantomeno suscitare una certa prudenzanellattribuire alla tradizione del Sanatana-dharma origini prevalentementeariane.Alla luce di quanto sovraesposto, si deve ammettere come la critica mossa adEvola di eccessiva schematizzazione nellambito della morfologia delle civiltnon appaia del tutto errata. Nuccio DAnna, nel suo ottimo lavoro Julius Evola elOriente, osserva: Il rischio delle analisi di tipo rigidamente dualistico qualeEvola visibilmente riprende dallorientalismo accademico del suo tempo, quello di separare ci che in se stesso uno, di considerare artificialmentecontrapposte dottrine che invece appaiono come aspetti diversi di ununica realtspirituale.22

    Unaltra questione essenziale da esaminare la concezione dellio. Ad essasono connessi per derivazione altri temi controversi: il significato e il valoredellazione, la gerarchia, i poteri o siddhi, la contrapposizione libert-liberazione, la rinuncia, linterpretazione evoliana del Buddhismo, latrasmigrazione e le vie post-mortem.Nelle opere di Evola viene pi volte riproposta la distinzione fondamentale tra ioempirico e Io assoluto o S; cionostante in molti punti il lettore attento,trovandosi di fronte ad ambiguit e incongruenze circa la natura del soggetto,non pu non domandarsi: chi agisce?, chi aspira alla liberazione?, chiacquisisce il potere?, chi libero?. A complicare le cose intervienelinteriore adesione di Evola al cosiddetto Buddhismo ario delle origini,caratterizzato, come si sa, dalla dottrina dellanatman, ovvero del non io e delnon s. Il Buddhismo nega qualsiasi io o s, ma non spiega chi sia colui chenega e nemmeno come possa darsi laspirazione allincondizionato in un enteinesistente, effetto e causa ad un tempo di automatismi karmici senza soluzione

    20 Jan Gonda, Veda e Antico Induismo, Jaca Book, Mi 1980, pp. 31, 32.21 Georg Feuerstein, Subash Kak e David Frawley, Antica India. La culla della civilt, Sperling & Kupfer Edit.,Mi 1999, cap. 9.22 Nuccio DAnna, Julius Evola e lOriente, Ediz. Settimo Sigillo, Roma 2006, p. 95.

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    di continuit. Inoltre, il negatore, affermando linesistenza di qualsiasi io e diqualsiasi forma di conoscenza dato che ogni ente o verit sono prodottiprovvisori di un numero indefinito di relazioni , destituirebbe il suo stessopunto di vista di ogni credibilit: se non c alcun io, chi sta proclamandonelinesistenza? La questione talmente spinosa che nel Mahayana alcune scuolesi sono viste costrette a riammettere lio, magari sotto mentite spoglie.23 D.T.Suzuki, il noto studioso appartenente alla tradizione Zen, affermaesplicitamente: La negazione dellAtman riaffermata dagli antichi buddhisti siriferisce all'Atman come io relativo, non come io assoluto.24

    Un esponente buddhista contemporaneo, Giangiorgio Pasqualotto, vede per lecose in modo radicalmente diverso; innanzitutto egli sostiene che per il Buddhanon vi nulla di incondizionato25 e poi interpreta la dottrina dellanatmancome negazione e dellAtman-Brahman, e del jivatman, e del s come pronomeriflessivo.26 Superfluo dire che in Occidente questa oggi linterpretazione pidiffusa.Evola nei suoi due scritti Lo Yoga della Potenza e La Dottrina del Risveglioprende in considerazione, dunque, due prospettive inconciliabili sul pianodottrinale, anche se poi sotto il profilo concreto della sadhana possono esservinumerosi punti in comune e, secondo lottica dellesperienza illuminativa, puesservi coincidenza.Le ambiguit ed incongruenze delle quali si diceva pocanzi sono ravvisabili,per esempio, nella seguente frase: Nellascesi di tipo religioso e mistico lamortificazione, la rinuncia allIo [...] sono i mezzi preferiti con i quali si cercadi provocare la crisi ora accennata e di sorpassarla. Ma noi sappiamo chesecondo laltra via il mezzo per venire a tanto lesaltazione attiva, il risvegliodellelemento azione allo stato puro.27 Innanzitutto non si capisce come mailIo al quale il mistico dovrebbe rinunciare sia scritto con la maiuscola lioal quale si pu rinunciare non sar mai di certo lIo ultimo e poi non affattochiaro chi si debba risvegliare allazione pura. Riguardo a questultima, eglimanifestatamente si ispira allinsegnamento di Krishna nella Bhagavad-gita; inquesto testo, tuttavia, lazione pura, distaccata dai suoi frutti, viene sconsiderata un mezzo di purificazione particolarmente adatto ad uno kshatriya,purch si fondi sulla Conoscenza-Jnana. Limprescindibilit della Conoscenzadi S, ovvero la soluzione del soggetto agente nellAtman, la si desume dalseguente sutra: Colui che crede di essere ucciso e colui che pensa di uccideresono entrambi in errore: Quello [il S] non pu uccidere n essere ucciso.28

    23 Cfr. Giuseppe Gorlani, Prospettive sulla reincarnazione, Atrium, Anno II, n. 4, Tn.24 D. T. Suzuki, Misticismo Cristiano e Buddhista, Astrolabio-Ubaldini Edit., Roma 1971, pp. 40, 41.25 Giangiorgio Pasqualotto, Illuminismo e illuminazione, Donzelli Edit., Roma 1998, p. 23.26 Ibidem, p. 34.27 Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Ediz. Mediterranee, Roma 1993, p. 172.28 Bhagavad-Gita, II.19, a c. di Raphael, Ediz. Asram Vidya, Roma 1981.

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    Dunque, non vi alcun io separato che agisce, bens il dharma in quantoespressione del nmos e della volont del Purusha: la Persona indistruttibile(akshara purusha), Vishnu, che sul piano individuato si manifesta come buddhi,lintelletto sovrarazionale.29 Purusha un termine con una vasta gamma disignificati; letteralmente traducibile con uomo, persona, essere,maschio, genere umano, ma, a seconda dei contesti in cui viene usato, pusignificare Spirito, S, Brahman. Qui lo si usa soprattutto nel significato diUomo cosmico, epifania divina, dal cui sacrificio scaturito lintero universo.Utilizzando una differente terminologia, il gi citato Suzuki nota:Lilluminazione consiste nella visione interna del significato della vita comeintergioco tra lio relativo e lio assoluto. In altre parole, lilluminazionesignifica vedere lio assoluto riflesso nellio relativo ed agente attraverso lui.30E Fung Yu-lan scrive nella sua Storia della filosofia cinese: Che cosa significaesattamente lo stato di Nirvana? Si pu dire che sia lidentificazionedellindividuo con lo Spirito universale o con ci che chiamata la natura delBuddha; oppure pu essere considerato la comprensione o intimaconsapevolezza delloriginaria identit dellindividuo con lo Spirito universale.Tale individuo lo Spirito universale [...].31

    Si noti come da queste citazioni venga alla luce un Buddhismo pi vicino alVedanta,32 ma in netta divergenza con quello del sovramenzionato Pasqualotto epure con quello propostoci da Evola, il quale, riguardo allindividualit ealluniversalit, scrive: Ci che vi di universale in un essere sarconsiderato come il meno, come quel che in esso vi di meno reale, di piastratto, di incompiuto; nellindividuale si intender invece ci che ha valore,ci che va voluto, ci che pi reale, la perfezione, o fine (tlos), di un essere.Ma, com' noto, esattamente questa la veduta di uno dei massimi esponentidell'antica nostra cultura, di Aristotele, il quale contro Platone afferm che igeneri e le idee in tanto hanno realt, in quanto si incarnino e si attuino negliindividui. Questa veduta generale antimistica e antiuniversalistica, nelcaratterizzare esattamente lo spazio del mondo occidentale in opposto a quelloorientale, non esprime, anch'essa, che l'opposizione che in questo piano determinata dal duplice riferimento a verit guerriere e veritcontemplative.33

    29 Cfr. Alain Danilou, Miti e Di dellIndia, red ediz., Co 1996, pp. 76-80. LAutore parla dei tre volti dellaPersona suprema: Persona immutabile, Shiva, Persona indistruttibile, Vishnu, Persona distruttibile, Brahma.30 D. T. Suzuki, op. cit., p. 41.31 Fung Yu-lan, Storia della filosofia cinese, Mondadori, Mi 1990, p. 194.32 Sulla comparazione tra Buddhismo e Vedanta, cfr. Alberto Pelissero, Strumenti per lo studiodellAgamasastravivarana, Leo S. Olschki, Fi 2002; nel cap. I, Rapporto tra vedanta e buddhismo, siriassumono le prospettive di diversi studiosi e pandit sul tema in oggetto. Si veda pure il saggio di Ren GunonLa costituzione dellessere umano secondo i Buddhisti in La Tradizione e le Tradizioni, Mediterranee, Roma2003.33 Julius Evola, Per una difesa romana dell'Occidente, in "Vita Nova", ottobre 1931, ora in Vita Nova (1925-1933), Roma 1999, cit. in www.fondazionejuliusevola.it.

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    Il discorso di Evola per certi versi condivisibile: egli paventa lomologazioneegualitarista. Si deve tener conto, tuttavia, di come la tradizione sapienzialeindiana non appiattisca lindividuo allinterno delluguaglianza orizzontale, ntantomeno lo annichilisca in una indistinta universalit, bens tenda apurificarne la personalit da ogni scoria karmica, offrendogli la possibilit diesprimere pienamente il proprio svadharma, che potremmo anche identificarenella per-sona34 attraverso la quale lAtman si manifesta. Lo svadharmainerisce la natura propria dellente, ma deve essere in ogni caso ricondotto aldharma metafisico o universale. Il fine ultimo dellesistenza umana (purusharta), infatti, la trascendenza dello stato umano (purusha) nellintegraleliberazione35 e non certo laffermazione dellindividualit effimera e nemmenodella personalit; da tale punto di vista una personalit olimpica (espressionecara ad Evola) potrebbe valere soltanto se intesa quale involucro sottilissimo permezzo del quale i mahavira, i mahayogin o i liberati in vita si palesano agli altriuomini, mentre esauriscono il prarabdha-karma, ovvero il karma equiparabilealla freccia che gi stata lanciata, dal quale tuttavia nellintimo non vengonominimamente toccati.Scrive ladvaitin Raphael: Un altro approccio sbagliato quello di credere cheperdendo lindividualit lente si ritrovi sciolto nella materia privo dicoscienza, confondendo cos lEssere e lente con la sostanza primordiale, con lamateria prima, che rappresenta invece il polo complementare (e non opposto)dellessenza, mentre lessere e lente si trovano di l dallessenza-sostanza: i duepoli da cui procede la manifestazione formale. In termini vedanta la sostanzauniversale prakriti, e lente non si scioglie in questa; sono i suoi corpi-veicoliche si sciolgono nella prakriti .36 Nella realizzazione prospettata dal Vedantanon si ha quindi alcuna dissoluzione nellindistinto e nellinforme, ma unrisveglio a Quello che si realmente.In India si ritiene che la vita umana abbia quattro scopi: dharma (virt, dovere),kama (piacere, passione), artha (ricchezza, potere) e moksha (liberazione). Perrealizzare questultimo, che lo scopo supremo, si devono preliminarmenterealizzare gli altri tre. Vi dunque un momento in cui le qualit individualivanno coltivate e migliorate (pravritti-marga) e un momento in cui tutti gliaspetti della vita umana vanno risolti nella Liberazione (nivritti-marga). Se nededuce che allinterno del Sanatana-dharma non vi opposizione tra veritguerriere e verit contemplative, n esclusione delle une o delle altre; essepiuttosto ineriscono a particolari svadharma e rappresentano stati coscienziali in

    34 Il termine risale probabilmente al greco prspon, maschera, attraverso letrusco phersu; rimanda allidea dirappresentare, di rendere visibile linvisibile, udibile linudibile. In italiano per-sona conserva foneticamente ilsignificato di maschera, veicolo, involucro (kosha o sharira, per dirla in sanscrito) attraverso il qualepassa o si manifesta il suono, il soffio, il Brahman. A ragione, dunque, Gunon gli attribuisce un valoreprincipiale.35 Glossario Sanscrito, Ediz. Asram Vidya, Roma 1988, p. 160.36 Gaudapada, Mandukyakarika, a c. di Raphael, p. 112, Ediz. Asram Vidya, Roma 1981.

    www.fondazionejuliusevola.it

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    rapporto gerarchico tra loro. Si deve tuttavia sottolineare come lazione,qualsiasi azione, non potr mai condurre alla Conoscenza per identit. Ilkarman, sia esso pertinente ai vari stadi di vita (ashrama-karman), oconcernente i diversi ordini sociali (varna-karman), pu tuttal pi, se eseguitocon sereno distacco, creare delle condizioni proficue allinsorgere dellaConoscenza. Scrive N. Veezhinathan: Si dovrebbe notare che tutti i karman siaobbligatori sia facoltativi contribuiscono solo in maniera remota e mai inmaniera diretta e finale al sorgere della conoscenza dellatman.37 NellaBhagavad-gita si sottolinea ripetutamente come il distacco dai frutti dellazionee il distacco dallazione stessa implichi la soluzione dellio individuato:Colui [...] il cui atma si espanso in tutti gli esseri, anche se produce azione, daquesta non contaminato. Colui che si unificato e che conosce lessenza deifenomeni deve dire: io non faccio in verit alcuna cosa.38 E Ren Gunon, inun suo saggio giovanile, nota in modo estremamente chiaro: [...] lazionepresuppone il cambiamento, che possibile soltanto nel formale o nelmanifestato; il Mondo senza forma immutabile, superiore al cambiamento,dunque anche allazione, ed per questo che lessere non pi appartenenteallImpero del Demiurgo senza azione.39 Sicuramente, come Evola afferma, lascesi mira a mettere tutte le forzedellessere umano in soggezione a un principio centrale,40 producendo unaforza interiore, ma bisogna puntualmente chiedersi chi si dedichi allsksise chi sia il principio centrale; e in questo modo ci si apre alla Conoscenza.Se lazione non si assoggetta o, meglio, non si offre alla Conoscenza, diventacieca e invece di preparare condizioni favorevoli allo svelamento del Vero s,incatena viepi.Il Nostro, in alcune riflessioni sullopera di Gunon, scrive: Si che il terminedi intellettualit pura usato dal Gunon per lorgano della conoscenzametafisica cela un equivoco, anzi un paralogismo, perch effettivamente essovuol dire realizzazione e ogni realizzazione comprende due aspetti, duepossibilit che sono: azione e contemplazione. Il Gunon surrettiziamenteidentifica il punto di vista metafisico con quello in cui la contemplazionedomina sullazione, laddove di uguale dignit laltro, in cui lazione invecedomina sulla contemplazione e viene a fornire essa stessa una via e unatestimonianza della trascendenza, cos come nelle tradizioni di sapienza eroicadegli kshatriya (guerrieri) conosciute dallo stesso Oriente, se pure in frequentecontrasto con quelle pi predominanti dei brahmana, alle quali si rif lattitudine

    37 Dr. N. Veezhinathan, I karman quale strumento preordinato al sorgere della Conoscenza dellAtma,Periodico Vidya, Roma, febbraio 2010.38 Bhagavad-Gita, V.7-8, op. cit.39 Ren Gunon, Il Demiurgo e altri saggi, Adelphi, Mi 2007, p. 39.40 La Dottrina del Risveglio, op. cit., p. 21.

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    del Gunon.41 Abbiamo gi sottolineato come la principale tradizione disapienza eroica orientale alla quale si riferisce Evola, quella della Bhagavad-gita, ponga a fondamento dellazione pura la Conoscenza di S; troviamopertanto ingiustificata la pretesa di Evola di mettere sullo stesso piano azione eConoscenza. Gunon, nellaffrontare la questione in oggetto, si avvale di unlinguaggio tradizionale, estremamente analitico e sintetico ad un tempo, chelascia pochissimo spazio ad ermeneutiche personali, mentre Evola, esaltandonella via attiva delleroe la capacit di condurre dun balzo alla realizzazionemetafisica, saltando lo stadio contemplativo, non attinge ad alcun linguaggiotradizionale in grado di spiegare la natura del soggetto agente. Laffermareunindividualit solare incapace di risolversi nella coscienza universale lo ponein contrasto con la Scienza sacra proclamata dalla Smriti e dalla Shruti.Nello stesso scritto test citato, egli osserva ancora: Ma dal punto di vistabrahmano, lantitesi con lOccidente si fa aspra ed irriducibile, perch lo spiritodellOccidente ha appunto una tradizione essenzialmente guerriera, epperrivela possibilit di latenti vie di reintegrazione solamente quando gli si vadaincontro partendo dai princpi e dalla comprensione del metafisico che sonopropri ad una sapienza guerriera: e quei valori occidentali, come quellidellaffermazione individuale, della pluralit, della libera iniziativa edellimmanenza, pi che negazione, apparirebbero come elementi allo statomateriale da elevare ad un piano spirituale, secondo lanima di una tradizioneveramente occidentale, cio guerriera.42

    Ci pare opinabile che la tradizione occidentale sia essenzialmente guerriera eche i suoi valori, elevabili ad un piano spirituale, siano laffermazioneindividuale, la pluralit, la libera iniziativa, ecc. Le grandi civilt guerriere danoi conosciute attingevano tutte, in modo pi o meno palese, ad un verticesapienziale immanente e trascendente ad un tempo, senza il quale non puesservi unazione politica ordinata e spiritualmente orientata. Esattamente comein India o altrove. Si dovrebbe piuttosto rilevare come in Occidente il processodi allontanamento dal Rita cosmico, imperniato sulla Conoscenza per identit,sia avvenuto assai prima che in Oriente, portando al culto delleffimero,allomologazione, allidolatria della scienza empirica e al servaggio alla tecnicacibernetico-informatica che riduce lente a risorsa, inscrivendolonellorizzonte della pianificazione del tutto43 e privandolo dellessere.In una sua opera giovanile, Giorgio Colli accosta Eraclito a Nietzsche e rilevacome essi: partiti da ununica individualit, non arrivano mai al riposo e la loroaspirazione una fiamma che non ha pace, perch non riescono a superarelestrema antitesi, quella tra lindividualit separata da tutti e da tutto e la realt41 J. Evola, Lesoterismo di Ren Gunon, fonte: Centro Studi La Runa.42 Ibidem.43 Gino Zaccaria, Linizio greco del pensiero. Heidegger e lessenza futura della filosofia, Christian MarinottiEdiz., Mi 1999, p. 74.

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    che comune a tutte le cose, xunn, universale.44 Si direbbe che ancheEvola per certi versi non abbia risolto tale antitesi. Nello stesso studio Colliparla di filosofi-mistici, ridando al secondo termine il suo significato orginario;egli altres sostiene come la razionalit filosofica valga quale tentativo perportare agli uomini linflusso ordinatore scaturente dallesperienza mistica,diretta ed inesprimibile, della Verit. Il rapporto gerarchico che se ne evince :sapienza, logos, azione.Cito unulteriore riflessione di Evola inaccettabile dal punto di vista dellatradizione indiana: Il brahman, allora, non pi come nel primo periodoatharvavedico e, ancora, in quello dei Brahmana, il soffio, la sostanza spiritualeinforme che lArio domina col suo rito: invece lUno-tutto, lelementoprimordiale omogeneo dal quale procede ogni vita e nel quale essa si ridissolve.Interpretata in tal senso panteistico, la dottrina dellidentit dellatma colbrahman equivale alla negazione della personalit spirituale e si tramuta dunquein un fermento di degenerescenza e di promiscuit: uno dei suoi corollari sarlidentit di tutte le creature.45 In riferimento al termine brahman (dalla radiceverbale brh, crescere, far crescere, gonfiarsi), nelle Upanishad classiche,ritenute essenza o fine dei Veda, si riscontra effettivamente unevoluzionedel suo significato: da potenza impersonale, potenza del rito o formulamagica a principio metafisico, assoluto essere.46 In tale mutazionesemantica che non nega i significati precedenti e che, secondo Danilou,avviene presumibilmente per influsso dei dravidi sugli ariani , non riusciamotuttavia a scorgere una degenerescenza o una involuzione in senso panteistico,bens unapprofondimento, uninnalzamento.Evola molto preoccupato dalleventualit che nella cosiddetta realizzazioneultima sparisca la personalit spirituale (stranamente in ci sembramanifestare una sorta di retaggio devozionale),47 per non spiega che cosa talelocuzione significhi in chiave metafisica. O il Nostro si attiene ad unarealizzazione di carattere inferiore, inerente lambito da lui definito mistico,oppure, se si riferisce alla realizzazione ultima, parlare di personalit spiritualenon ha alcun senso. Come pu sopravvivere, infatti, alcunch di separatodallAssoluto, onnipervadente e trascendente ad un tempo, quando questi sirisveglia consapevolmente a se stesso? Insistere ad affermare un concetto di tal

    44 Giorgio Colli, Filosofi sovrumani, Adelphi, Mi 2009, p. 47.45 Rivolta contro il mondo moderno, op. cit., p. 302.46 Da intima natura del sacrificio il Brahman, che gi in Rig Veda I.152.5 detto a-citta, inconcepibile, si farnozione sempre pi astratta (Brihad-aranyaka Upanishad 2.I.I; Chandogya Upanishad 1.7.5) sino a essereinterpretato quale Essenza metafisica, Principio cosmico, Assoluto trascendente, Antonio Rigopoulos, Guru,Carocci, Roma 2009, p. 45.47 Nella teologia di Ramanuja si d un non-dualismo qualificato (vishista-advaita): ununione nella qualepermangono delle differenze ontologiche. [] La liberazione coincide con lesperienza di una circolaritdamore tra il devoto e il suo Signore. In questo mistero damore il bhakta attinge lunione con Lui nonsmarrendo per mai la propria individualit, Antonio Rigopoulos, Hinduismo, Edit. Queriniana, Bs 2005, p.208.

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    genere equivale a postulare lesistenza di due assoluti; il che ovviamente impossibile. Inoltre, dalla citazione sovrariportata sembra emergere una speciedi confusione tra il piano orizzontale e quello verticale; orizzontalmente vige lalegge della diversit, verticalmente vi identit.In Rivolta contro il mondo moderno egli traduce altres nirguna, epiteto delBrahman assoluto, con informe. Sarebbe semmai opportuno dire sovraformaleo, meglio, non duale. A causa di tali incomprensioni, Evola taccia il Vedantashankariano di panteismo, e lo ritiene espressione apicale di una spiritualitdemetrica. Sembra che egli non comprenda come maya sia un riflesso dellaRealt fondamentale, ma mai la Realt stessa.Scrive Ren Gunon: Gli pseudo-metafisici dellOccidente hanno labitudinedi confondere con lUniversale cose che, in realt, appartengono allordineindividuale; o meglio, dato che essi non concepiscono affatto lUniversale, ci acui indebitamente attribuiscono questo nome di solito il generale, chepropriamente soltanto una semplice estensione dellindividuale. Certunispingono ancora oltre la confusione: i filosofi empiristi, che non riescononeanche a concepire il generale, lassimilano al collettivo, che, in verit, proprio soltanto del particolare.48

    Non si pu certo dire che Evola sia stato uno pseudo-metafisico, ma parrebbeche in questo caso egli abbia usato il termine universale, contrapponendolo adindividuale in modo equivoco, senza distinguere, oltretutto, tra la via dandata,affermatrice dellindividuazione, e quella di ritorno, che la trascende.Un altro barone nero, Roman Fdorovic von Ungern-Sternberg, ebbepreoccupazioni simili a quelle di Evola e lott sino alla morte per difendere ilprincipium individuationis, opponendo: alla Rivoluzione rossa, che vuoletrasformare il genere umano in una massa indistinta il vecchio sogno cristiano, la volont di restituire a ciascuno la propria personalit. Un buriato non sarmai un calmucco, n un bianco un giallo. Per possono combattere insieme peraffermare nel mondo la differenza tra i popoli e gli uomini. Questo il sensodella mia lotta: la rivincita dell'individuo. Odio l'uguaglianza. la menzogna deiprofeti. Non vi un solo popolo che assomigli ad un altro popolo. Un solo uomoche assomigli ad un altro uomo.49

    Nello scritto, La dottrina aria di lotta e vittoria, Evola sostiene la possibilit di:trasformare lio individuale della normale coscienza umana, che circoscritta eindividuata, in una forza profonda, super individuale.50 Sembrerebbe quasi cheegli, nella sua aspirazione indubitabile allIncondizionato, di l da ogni dualit,salti un passaggio fondamentale nel processo del Risveglio, ovvero quello in cuiil Jivatman, si distacca dallidentificazione nellindividuazione potremmo48 Ren Gunon, Luomo e il suo divenire secondo il Vedanta, Adelphi, Mi 1992, p. 31.49 Cit. in Lultimo Khan di Pietrangelo Buttafuoco, fonte: Rassegna Stampa dell8.02.2010 diwww.ariannaeditrice.it.50 Cit. in Nuccio DAnna, op. cit., p. 140.

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    anche dire muore o rinuncia , per risvegliarsi alla sua natura essenziale,assoluta di Atman. Come abbiamo visto, la Bhagavad-gita insegna che lazioneeroica, risolutrice dellignoranza, non scaturisce dallaspetto individuatodelluomo, bens dallEssenza sovraindividuale immanente in lui. In altre parole,non si pu trasformare lignoranza-apparenza in conoscenza-realt, bens ilJivatman, il S incarnato, pu, appellandosi alla seconda, di cui essenziato,risolvere il velo obnubilante e soltanto apparentemente reale della prima. Siparte dalloro per arrivare alloro: il dio nelluomo che si risveglia al dio oltreluomo. O, per dirla con Gaudapada: Limmortale non diviene mortale, eneppure il mortale immortale. Non si verificher mai in alcun modo il divenirealtrimenti di un principio primo.51 In mezzo sta, dal punto di vista relativo, lamorte iniziatica. Non c una realt mia o tua, c la Realt assoluta della qualegiustamente si dice che nirguna, cio priva di qualificazioni e non duale,poich tutto comprende, anima e trascende. Non pu esservi pertanto alcunasussistenza di un Io solare o di una personalit spirituale come sostieneEvola nello svelamento della Verit in s, a meno che con tali espressioni ci siriferisca alla Persona intesa in senso gunoniano, ossia al Principio causale sulpiano individuato, lAtman riflesso nel jiva, appartenente allordine manifesto.Anche in questo caso, si tratter comunque di una sopravvivenza relativa e noncerto della suprema Identit.Si legge ancora nella Bhagavad-gita (che in India viene considerata Smriti,tradizione rammentata, a differenza delle Upanishad che sono considerateShruti, tradizione direttamente udita): Solo luomo che si liberato da ognidesiderio, che agisce senza attaccamento, senza pi il sentimento dellio e delmio, raggiunge la pace.52

    Forse non sar superfluo sottolineare come gli uomini identificati nel proprio ioeffimero siano facilmente omologabili, mentre quelli che hanno trovato (o cheaspirano a trovare) il proprio fondo nellidentit con lEssere non sonocondizionabili da nulla, pur accogliendo in s tutto. un errore prospetticoconsiderare la rinuncia allio che nasce e che muore, per quanto regale oelevato esso appaia, come una privazione o un appiattimento; piuttosto la sidovrebbe considerare quale conditio sine qua non allaffermazione assoluta: lastessa che Evola intu e alla quale aspir.Il poeta Bhartrihari da distinguersi, pare, dallomonimo grammatico del VIIsec. coglie linanit dellio desiderante in alcuni versi: Ottenni graziestillanti ogni piacere / e allora? / Ho messo il piede in testa ai miei nemici / e allora? / Chi mi caro, provvidi di ricchezze / e allora? / Vivono per un

    51 Alberto Pelissero, op. cit., GK 4,7. Commenta Shankara: [...] se persino nel caso delle cose mondane chesono falsamente immaginate il principio primo non diviene altrimenti, quanto pi non diverr altrimenti ilprincipio primo che ha come sua caratteristica limmortalit con riguardo alle cose che pertengono alla realtassoluta e che sono non soggette a nascita secondo il loro modo proprio di essere?, p. 216.52 Op. cit., II.71.

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    evo i corpi umani / e allora?.53 Si noti come questi versi siano impregnati dispirito tantrico: lAutore non ha rigettato a priori la condizione umana, ma lhapenetrata, compresa e, avendo pienamente sperimentato la relativit di kama eartha, ora avverte i primi morsi della fame dAssoluto.In Occidente spesso si tende a considerare metafisica ci che invece ancorafisica, sia pur rarefatta. Il dominio, se cos si pu dire, della metafisicaupanishadica trascende invece ogni stadio, ogni corpo, ogni separativit epersino Ishvara, il Principio ontologico. Bench tale Ineffabile sia inintelligibilee possa essere svelato solo per identit, immanente nellessere umano sottoforma di buddhi, ovvero di nos, lintelligenza capace di distaccarsi dal sensodellio (ahamkara) diveniente e di intuire il Non-esistere in quanto puro eassoluto Essere senza dualit. Vi quindi, anche secondo la prospettivametafisica vedantica, una continuit tra lumano e il divino e non uno iatoincomprensibile, come sostiene Evola ne Lo Yoga della Potenza: Di rigore, ladottrina della maya del Vedanta estremistico andrebbe dunque a negare alsingolo la stessa possibilit di innalzarsi verso il Principio, perch una talepossibilit presuppone che fra luno e laltro non vi sia uno iato, un rapporto danon-essere ad essere, bens una certa continuit.54 La continuit nellAdvaitanon per data dal trasformarsi dellumano nel divino giacch come Evolaben sa: impossibile che qualcosa possa trasformarsi in unaltra che ne lacontraddizione ,55 bens dallonnipervadenza e non dualit dellIneffabile, noncondizionato da qualsivoglia azione. Per usare la classica metafora della corda edel serpente: la prima tale anche quando su di essa viene proiettata perignoranza limmagine del secondo. Il serpente che si crede di vedere non sitrasforma nella corda-realt, bens sparisce non appena si guardi attentamente.Guardare attentamente va interpretato come una presa di coscienza immediata.Nota Mario Piantelli in una sua bella opera su Shankara: Quando AravindaGhosh avverte un difetto nella prospettiva dellAdvaita, perch essa fa delmondo agli occhi della coscienza divina unillusione senza significato [...]mostra chiaramente come, accettando la realt del mondo, si viene a tagliar fuorilindividuo nella sua condizione immediata dallattingimento di una esperienzadefinitiva, quale agli esponenti del pensiero indiano dogni scuola nellantichitappare ovvio debba essere il moksha.56 In una simile visione, la proiezione diuno iato insormontabile viene attribuita alla prospettiva secondo la quale ilmondo e la condizione umana diveniente sarebbero reali. Del resto si deveammettere che lunica verit o certezza che possediamo, o della quale siamopersuasi, per dirla con Michelstaedter, lessere qui; tutto il resto dxa,opinione. Non sappiamo che cosa significhi essere qui, ma ne siamo affatto

    53 Bhartrihari, Sulla saggezza mondana, sullamore e sulla rinuncia, a c. di A. Passi, Adelphi, Mi 1989, p. 205.54 Op. cit., pp. 31, 32.55 Jnanenralal Majumdar, cit. in J. Evola, Lo Yoga della Potenza, op. cit., p. 31.56 Mario Piantelli, Sankara e il Kevaladvaitavada, Ediz. Asram Vidya, Roma 1998, p. 252.

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    consapevoli. da tale qui, coincidente con lassoluta evidenza, noncollocabile n nel tempo n nello spazio, che si deve pertanto partire per laricerca dellImmutabile, del Sostrato, del Summum Bonum, del S supremo, oche dir si voglia.Accusare il Vedanta di non saper spiegare il perch dellignoranza (avidya) irrilevante; la Realt non oggetto di dimostrazione concettuale, ma direalizzazione coscienziale, nota incisivamente Raphael.57 La funzione di unadottrina iniziatica non consiste nello spiegare il perch a livello mentale, manelladditare in modo efficace la mta ultima: solo il risveglio immediato, hic etnunc, sa illuminare, al di l di ogni parola, quello che per la coscienza empirica,puntualmente immedesimata nel divenire, resta e rester sempre un Mistero.Secondo questa prospettiva, aveva perfettamente ragione il Buddha ad invitareal silenzio, stigmatizzando il demone della dialettica. In tale veste per risultaimpossibile vedere in lui il fondatore dei pi disparati buddhismi, i quali ridannovigore allo stesso demone che egli condannava:58 non a caso, in chiave Hindu, ilBuddha considerato un sovvertitore del dharma, oppure un traghettatore, unmistagogo, un maestro mauna, silenzioso, le cui parole sono inseparabili dalpotere-shakti emanato dalla sua presenza, o un avatara.Forse da quanto sopra esposto si possono comprendere meglio le ragioni per lequali Evola non riusc a riconoscere pienamente la vertiginosa grandezza delVedanta shankariano: dottrina che sintetizza magistralmente le correnti spiritualiariane e pre-ariane e le istanze buddhiste. Shankara nel quale il popolo indianoriconobbe un avatara di Shiva , bench avesse codificato la dottrina dellamaya-vada, ripristin il panchayatana-puja (ladorazione delle cinque grandidivinit Hindu), cant inni alla Dea, ed elogi il supporto della devozioneallIshta-devata. Con tali iniziative, allapparenza contraddittorie, egli diedeprova di una grande e illuminata saggezza, poich, a ben vedere, esoterismo edexoterismo non sono nettamente separabili: anche la verit pi sublime siesprime o si radica in qualche modo nella verit exoterica, potremmo direpopolare.59 Un re che non sia espressione apicale di un popolo non un re.Intendiamoci, i popoli orientati tradizionalmente non sono masse, ma entitspirituali. Se intesi cos, bisogna purtroppo ammettere che oggi essi si stannoestinguendo. Mutatis mutandis, anche le vie che pongono laccento sulla praticanon potrebbero nemmeno manifestarsi se non poggiassero su di una solidadottrina e questa, a sua volta, sullidentit con lEssere.

    57 Gaudapada, Mandukyakarika, op. cit., p. 83.58 In proposito sembra calzare a pennello il seguente sutra del buddhista Nagarjuna: Tu che fai ricadere su dinoi i controsensi della tua stessa tesi, somigli a chi dimentica lo stesso cavallo che monta, Madhyamaka karika,XXIV.15, Boringhieri, To 1968.59 I maestri dellest e dellovest sono daccordo sullesigenza che Dio scompaia. Ma sono anche daccordonellessere fedeli teisti nel loro ambiente: la loro mistica si innalza su un fondamento teistico, e la lorospeculazione mistica, per quanta altezza raggiunga, non lo rinnega mai, Rudolf Otto, Mistica Orientale, MisticaOccidentale, Marietti, Casale Monferrato 1985, p. 130.

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    Evola spesso contrappone la libert, attribuendola al fine che si prefigge iltantrico, alla liberazione, alla quale aspira la spiritualit vedantica. Crediamotuttavia che lIndia tradizionale veda le cose in modo diverso: non pu esservilibert senza liberazione dallidentificazione illusoria in un io agente, separatodellIo-Tutto. Una volta risolto il velo obnubilante della separativit si ha liberte non certo nel senso umano, corrente. Perci non vi opposizione tra lo spiritotantrico, sia shaiva che shakta, e quello vedantico, ma solo sfumature diapproccio alla mta comune. pur vero che nel Triadismo (Trika) shivaita del Kashmir tantrico e nondualista ad un tempo (teologia della Differenza-nella-Identit)60 si pone pilaccento sulla libert che sulla liberazione, bisogna per considerare come laprima sia la luce, o natura propria, dellIo-Shiva, fomite di ogni diversit ounificazione, ma non appartenga giammai ad un io ottenebrato invischiatonella diversit o separativit, per quanto questi sia espressionedellautosvuotamento della sostanza divina nel polo della Differenza.NellIntroduzione di Raniero Gnoli al Tantrasara di Abhinavagupta si legge:Lio libert. [...] La libert dellio [...] consiste tanto nel differenziare ci chenon differenziato, quanto in un unificare, con una sintesi interiore, ci che differenziato. [...] La molteplicit non , in altre parole, che unespressione dellapotenza infinita e, dunque, della libert della luce, che, senza decadere da quelloche , si manifesta come tutto, e proprio in questa sua manifestazione nellamolteplicit si realizza come non-dualit [...] Io e tutto sono sinonimi [...] Laluce unica, essa non in nessun modo divisa, e non c dunque nessunadiversit che possa incrinare la non-dualit [...] La diversit non dunque altroche una parola, sprovvista di ogni realt.61 Abbiamo qui, come si puconstatare, un diverso approccio, rispetto al Vedanta, alla questione comune adentrambe le scuole: la soluzione della dualit.Evola sostiene altres che nella via tantrica viene rifiutato il concetto vedanticodi rinuncia, poich si ritiene possibile conciliare bhoga (il godimento, lafruizione della realt oggettiva) e moksha (liberazione, emancipazione daldivenire). A ben riflettere, per, anche nel tantra-marga abbiamo rinuncia,poich un godimento privato di identificazione inseparabile dal distacco(vairagya). Nella Via della Mano Sinistra (Vamachara) non forse espressionedi rinuncia al coinvolgimento o al cedimento avere rapporti carnali con unashakti senza emettere il seme? Del resto, se il mahavira non si distaccassedallidentificazione verrebbe inevitabilmente travolto dalla tigre che intendestanare, invece di cavalcarla. Il suo modello o maestro Shiva, lasceta pereccellenza (mahatapasvin), il quale, anche mentre sta congiunto a Parvati,continua a praticare il tapas. Tale considerazione pu essere estesa allazione

    60 Cfr. Jos Pereira, op. cit., p. 354.61 Abhinavagupta, Essenza dei Tantra (Tantrasara), vol. 1, a c. di R. Gnoli, Boringhieri, To 1979, pp. 39-41.

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    dharmica: mentre la persona agisce, resta consapevolmente distaccata e dai fruttidellazione e dallidentificazione nel soggetto agente. Lao Tzu chiamava questotipo di azione wei-wu-wei, agire senza agire.La parola rinuncia esprime un concetto eminentemente positivo: ci si distogliedalla parvenza del bene per abbracciare il Bene, si abbandona lattaccamento atutto ci che non permanente per risvegliarsi allEterno. Si pu addiritturasostenere che per il vedantin non dualista non vi alcuna rinuncia o distacco ofuga da esperire, dato che la molteplicit e il fenomenico sono il serpentesovrapposto alla corda. laspirazione al Bene o ad Ananda che ispira gliuomini e non certo lo sterile obbligo alla virt.Il cosiddetto Tantrismo, prima di essere un corpus di insegnamenti finalizzatialla Liberazione, uno spirito che pervade in toto la religiosit indica. Lo siritrova espresso, vanificando la contrapposizione Tantra-Vedanta, anche nelCanto di Gioia del Liberato in Vita (Jivanmuktanandalahari) di Shankara,propugnatore dellAdvaita-vada; ne cito un sutra emblematico: Quando egliversa delle sorsate [di vino sottile] nelle bocche di loto sbocciate delle shakti[interne], o quando le assorbe con la sua bocca di carne, mostrando cos che ilmio e il suo non intaccano la natura non duale, il saggio, la cui ignoranza stataabolita dalliniziazione del suo guru non pi il giocattolo dellillusione.62Evidentemente abbiamo qui una testimonianza di inscindibile unit tra il Tantrae il Vedanta.Sempre ne Lo Yoga della Potenza, Evola prende in considerazione le siddhi.Questo termine significa sia i poteri che si ottengono con la sadhana Yoga, siacompimento, perfezione. Quantunque egli chiarisca: Qui non si tratta dipotenziare fino allestremo la natura umana bens di bruciarla, dunque dibruciare anche lIo individualistico e ogni sua hybris, per andare oltre,63poche pagine prima scrive: Per il kaula e per chi ha raggiunto lo stato del verosiddha-vira, per costui, che e che sa, che signore delle sue passioni, che siindentifica in modo completo con la Shakti, non esiste proibizione alcuna [...]cos egli viene chiamato svecchacari colui che pu fare tutto quello che vuole[...] Lo stato di Shiva (shivatva) essendo stato realizzato, cade ogni senso didifferenza e ogni rapporto di subordinazione.64

    Vien da chiedersi: Chi dunque il kaula, il siddha-vira, il mahayogin? E qualipoteri egli avr o potr esercitare se ogni illusoria differenziazione caduta?.Avendo egli realizzato lo stato di Shiva, lindicibile, lincommensurabile, non visar pi nessuno in grado di dirsi libero o non libero. Perci lenfasi da Evolaposta sul vira, sul kaula e sulle siddhi decade e la seguente riflessione diventaincomprensibile: Ci che importa ai Tantra invece compiere fatti sovrumani e

    62 Jean Klein, Essere, Edit. Psiche, To 1983, p. 5.63 Op. cit., p. 84.64 Ibidem, pp. 77, 78.

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    divini con la forza delle proprie parole di potenza (mantra).65 Le principaliscuole indiane tendono a due fini: liberazione (moksha) o unione (yoga). Inentrambi i casi, assurdo pensare che sussista un io, separato dal Brahman odal Supremo, in grado di compiere alcunch. Il sadhaka che persegue la libertdi esercitare le siddhi viene considerato di rango inferiore o addirittura uno cheha fallito lo scopo di moksha. Nella Hatha-Yoga-Pradipika tali perplessitvengono chiarite laddove si elencano le siddhi; a proposito del potere sommo,yatrakamavasayitva (la capacit di determinare le cose secondo il propriovolere), nel Commento ai sutra si precisa: Il siddha potrebbe dare corso a ununiverso diverso da quello esistente, governato da altre leggi. Se ci non accade perch il natha diventa limmagine dello stesso Shiva e quindi il suo pensierocoincide, e non potrebbe essere altrimenti, con quello del Signore.66

    Nessuna forma, per quanto elevata, di identit separata, o di scelta, o di libert, odi azione possono pertanto sussistere una volta che il Vero si sia svelatonelladepto. Lacuto Ananda K. Coomaraswamy esprime bene ci nel seguenteaforisma: Benedetto luomo sulla cui tomba si potr scolpire Hic jacetnemo.67 Daltro canto, se il nemo a cui si riferisce Coomaraswamy nega ogniforma di identit dualistica, non coincide neppure di certo con il vuoto o il nulladelle interpretazioni nichiliste del Buddhismo, bens con la pienezza (purna)della Presenza non duale, assoluta, di cui il Buddha non dice nulla, ma che laShruti chiama Sat-Cit-Ananda, Essere, Consapevolezza e Beatitudine assoluti.Si accennato ad interpretazioni del Buddhismo, poich esso ha assunto moltivolti ed ormai difficile, se non impossibile, discernerne il volto originario. Selo si esamina in quanto religione priva di ontologia e di metafisica, basatasostanzialmente su precetti etici: bont, carit, non violenza, ideale monastico,ecc., interessante quanto ne rileva A. Danilou in relazione al dharma deglikshatriya: Le idee rivoluzionarie diffuse dal Buddhismo sul piano religiosoresero possibile una rivoluzione nellordine politico. Gli ultimi Shishunagafurono dei Buddhisti e dei Jaina. Assai devoti e tesi a ricercare le virt comuni enon quelle principesche, essi avevano dimenticato il grande principio degliHindu, secondo il quale le virt che non sono quelle della vostra casta non sonovirt. I re dovevano essere giusti, coraggiosi e virili e niente affattocompassionevoli e devoti. Fu proprio la dimenticanza di questo grande principio che Krishna ricord ad Arjuna nella Bhagavad-gita che provoc la rovinadei Shishunaga e permise la salita al trono a quellintrigante di vili natali che eraMahapadma, e port alla rovina tutti gli alti valori della cultura di cui i nobilierano i protettori.68

    65 Ibidem, p. 11.66 Svatmarama, Hatha-Yoga-Pradipika, a c. di G. Spera, Promolibri, To 1990, p. 62.67 Aforismi di Ananda Kentish Coomarawamy, a c. di G. Marchian, Stile Regina Edit., Roma 1988, p. 85.68 Alain Danilou, Storia dellIndia, op. cit., p. 77.

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    Emerge qui una lettura del Buddhismo antico (gli eventi ai quali si riferisceDanilou si collocano nel V sec. a. C.) in antitesi con quella di Evola, il quale lopropone come una via aria sia in senso razziale che di nobilt spirituale particolarmente adatta agli kshatriya.Secondo Danilou, il Buddha fu semplicemente un riformatore religioso,tuttavia la sua dottrina divenne un pretesto che i prncipi si affrettarono acogliere per sottrarsi al potere dei brahmana; la rapida diffusione delBuddhismo fu, dunque, innanzitutto causata da ragioni politiche. In chiavesimbolica possiamo scorgere in tali sommovimenti un abbassamento dello statodi coscienza delluomo, il quale sostituisce alla centralit del sacro, fondato sullaConoscenza, la centralit dellinteresse politico, imperniato sullazione.Comunque, lemancipazione degli kshatriya dalla supremazia dei brahmanasegn pure linizio della loro decadenza, poich un potere che non si radichinella Conoscenza sovrasensibile destinato ad esaurirsi e a corrompersi, comeun fiume che sia stato isolato dalla sua sorgente.Evola invece vede nel Buddhismo delle origini la trasposizione sul pianoascetico delle virt guerriere; inoltre ne apprezza il distacco da ogni servaggioad autorit umane o divine e il suo attribuire esclusivamente alluomo laresponsabilit del proprio destino.69 Egli accenna ripetutatamente ad unprincipio extra-samsarico presente nelluomo, ma, stando alle dottrinebuddhiste, questi non sarebbe pi di un insieme di aggregati presieduti dallarigorosa legge del karma. Viene spontaneo chiedersi: Se lente un sempliceautomatismo, privo di ogni valore ontologico o metafisico, chi dunque dovrebbeessere responsabile del proprio risveglio?.Sta di fatto che il Buddhismo non venne mai assimilato profondamente dalpopolo indiano, che per natura teista e conservatore e, non appena sorseropensatori e maestri capaci di contrastarlo sul piano dottrinale, esso spar dalJambudvipa. In India e lo si gi accennato il Buddha viene considerato oun avatara (una discesa del divino svincolata dal karma), la cui funzione fu diriproporre il dharma delle Upanishad, reinterpretandolo sub specie interioritatiso, se lo si intende quale semplice uomo, come il propugnatore di una dottrinaincomprensibile. Nel Brahmasutra di Badharayana o Vyasa, si legge che ilBuddhismo deve essere rigettato poich risulta razionalmente insostenibile70 eShankara, nel suo celebre Commento al Brahmasutra(Brahmasutrasankarabhasyam), lo paragona ad un pozzo scavato nellasabbia71 o, secondo unaltra versione, lo ritiene: destinato a estinguersiincenerendosi come erba nella sabbia.72 Poco pi avanti, Shankara osa persino

    69 La Dottrina del Risveglio, op. cit., cap. II.70 Brahmasutra con il Commento di Sankara, 2.2.32, Ediz. Asram Vidya, Roma 2000.71 Brahma-sutra-bhasya of Sri Shankaracarya, Commento a II.ii.32, translated by Swami Gambhirananda,Advaita Ashrama, Calcutta 1972.72 Brahmasutra con il Commento di Sankara, Commento a 2.2.32, op. cit.

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    sostenere che, se si ammettesse la fondatezza delle tre principali teorie buddhiste(realista, idealista, nichilista), si dovrebbe ravvisare nel Buddha: una forma diestrema intolleranza nei confronti degli altri esseri, dato che questi esserisarebbero rimasti certamente confusi dallapprendimento di insegnamenti coscontraddittori.73

    Ananda Coomaraswamy, nel suo celebre studio Induismo e Buddismo, abbracciala prima prospettiva e, in netto contrasto con la lettura evoliana, vede nelBuddha: una deit solare scesa dal Cielo per salvare gli uomini e gli di datutto il male che comporta il concetto di mortalit; e, in questa prospettiva, lasua nascita e il suo risveglio sono di sempre.74

    Esamineremo ora in sintesi la questione della trasmigrazione, comunementedetta reincarnazione. noto come Evola usi ripetutamente la locuzionespregiativa fisime reincarnazionistiche. Anche qui la chiave per affrontarla statutta nel modo in cui si concepisce lio. Se la si osserva dal punto di vista delMonismo assoluto (lAdvaita shankariano), non essendovi alcun jiva separatodallAtman-Brahman, non vi nessuno che nasce o che muore e dunque anche ilconcetto di reincarnazione appartiene al dominio dellapparenza: [...] dal puntodi vista della realt assoluta non ragionevole postulare nascita o distruzionequanto ai fenomeni.75 Shankara, per, adottava, come del resto la stragrandemaggioranza dei saggi orientali, la dottrina delle due verit: assoluta(paramarthika) e relativa (vyavaharika). Perci chiaro che, da un punto divista relativo, se attribuiamo allio, allanima, alla persona, come pureallemergere e allo scomparire del manifesto, il valore di espressioni del gioco(lila) di Dio-Ishvara o, in ogni caso, di differenti gradi di emanazione dellaRealt, la dottrina della trasmigrazione o metempiscosi o reincarnazioneacquista una certa credibilit razionale.Evola abbraccia la dottrina tradizionale degli stati molteplici dellEssere, ma, alpari di Gunon, ritiene che il principio trasmigrante nelluomo non possa piritornare allo stato umano, poich: un essere, qualunque esso sia, non pupassare due volte per un medesimo stato, come abbiamo spiegato altrovemostrando lassurdit delle teorie reincarnazionistiche inventate da certioccidentali moderni.76 Eppure, in molti casi la Shruti e la Smriti parlanochiaramente di ritorno al manava-loka, al mondo umano. Gunon, tuttavia,interpreta lespressione manava-loka nel modo che segue: vale a dire unacondizione individuale, cos designata per analogia con la condizione umana,quantunque ne sia necessariamente differente, poich lessere non pu ritornaread uno stato per il quale gi passato.77

    73 Ibidem, Commento a 2.2.32.74 Ananda K. Coomarswamy, Induismo e Buddismo, Rusconi, Mi 1973, p. 108.75 Alberto Pelissero, op. cit., Commento di Shankara a GK 4,59, p. 248.76 Op. cit., p. 136.77 Ibidem, p. 144.

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    Nella Bhagavad-gita, Arjuna chiede quale via post-mortem prenda luomo che,quantunque dotato di fede, si sia distolto dallo yoga. Krishna risponde: Avendoraggiunto la sfera dei ben pensanti e ivi dimorando per una serie ininterrotta dianni, colui che ha sospeso lo yoga rinasce in una casa di puri e ricchi di qualit.Oppure rinasce in una famiglia di yogi savi; una simile nascita [per i pi] molto difficile da ottenere nel mondo.78 La chiarezza palmare dei sutra citati cisembra difficilmente contestabile. Le Scritture indiane accennano spesso allapossibilit di ritornare alle forme di vita pi disparate (piante, insetti, animali,ecc.), sottolinenando per sempre come il ritorno allo stato umano debba essereinterpretato non alla stregua di unespressione analogica designante lacondizione individuale, bens come una nascita egregia ed unopportunitconsentita ai jiva che abbiano seguito il pitriyana. senzaltro inammissibile ilpensiero del ritorno allidentico, poich contraddirebbe levidenza assolutadelluno senza secondo, riflessa in ogni forma di vita non c sasso identico aqualsiasi altro sasso , tuttavia i giorni, le stagioni, gli anni ritornano e cos puregli universi scompaiono e riappaiono con linspirare e lespirare dellIneffabile.Perci non si comprende perch mai tale verit non debba valere anche per lanascita umana.Nella sua bella Prefazione allultima edizione de Lo Yoga della Potenza, PioFilippani Ronconi nota: Cagiona, invece, una certa meraviglia il fatto che inquestopera, come in altre, Evola refuti accanitamente le cosiddette fisimereincarnazionistiche, senza rendersi conto, apparentemente, che, sia in ambitohindu, che in quello buddhista, la teoria delle ripetute nascite sulla Terracostituisca il fondamento strutturale di tutto il sistema filosofico-religioso.Altrimenti da quale samsara dovremmo cercare la liberazione, ove la legge delkarman non ci costringesse a rinascere in altra vita per espiare il frutto, il phala,delle azioni compiute in quella precedente? Tutta lascesi, il tapas, fondatosulla necessit di svincolarsi da questa servit [...] Dalla Bhagavad-gita aiDiscorsi del Buddha, dai Purana alle Samhita, in tutta la letteratura filosofica,religiosa, mistica, drammatica e favolistica dellIndia, la teoria delle ripetutenascite, in seguito al merito o al demerito acquistato, dottrinaincontrovertibile.79

    Resta da chiarire, tuttavia, chi si reincarni o trasmigri. Di certo non si potrdire che si perpetui lio dello stato di veglia; esso infatti sparisce nel sonnoprofondo senza sogni. Piuttosto si dovr pensare a delle monadi emanate dalPrincipio primo, Ishvara, le quali, attraverso innumeri esperienze nei vari statidellEssere, perverranno ad un punto in cui la forza centrifuga si capovolger incentripeta ed esse cominceranno a ri-cordare chi sono in essenza. Il percorso ditali monadi o jivatman potrebbe coincidere, nella fase di andata (pravritti-

    78 Bhagavad-Gita, VI.41, 42, op. cit .79 Op. cit., p. 15.

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    marga), col lignaggio ereditario, e, nella fase di ritorno (nivritti-marga), con unsuperiore lignaggio spirituale. Nella prima fase si avranno le iniziazioni ritualiche in India vengono impartite, nellambito delle prime tre caste, al fine dimantenere lente orientato in senso dharmico; nella seconda fase si avrliniziazione al sannyasa,80 ovvero alla rinuncia, in cui lente, consapevole ormaidella propria reale identit, si pone al di l degli stadi di vita e degli ordinisociali. In questultima iniziazione lapparato rituale sar assente o ridotto alminimo, poich essa consiste nel contatto diretto con un Maestro realizzato, ilquale trasmette il proprio influsso o shakti, indelebile, in modi disparati eimprevedibili: un semplice sguardo, un tocco, un sorriso, una parola, una sberla,il silenzio.81 Inoltre, il sannyasin, ma anche chi percorre la via degli Dei (deva-yana) e abbia superato il Chandra-loka non torneranno pi al manava-loka.NellAppendice I a Lo Yoga della potenza, Evola prende in considerazione glistati dellessere seguenti il trapasso. Proseguendo il discorso che aveva giavviato nel capitolo V sul significato del termine pashu (vincolo, legame,animale da sacrificio) tocca il tema del pitri-yana e del deva-yana. Egligiustamente sostiene che, gi in vita, occorre aver spostato il centro di s fuordalla pura esistenza samsarica, ma poi, parlando del pitri-yana, la via dei Padri,afferma: Seguendo questa, che la via calcata coattivamente dai pi, la morteha appunto un effetto dissolutivo per la personalit, la quale si scioglierebbe dinuovo nelle forze ancestrali del suo ceppo come un animale sacrificato aglidi, ad alimentare nuove vite; per cui a sussistere sarebbe soltanto laccennatomeccanismo karmico.82

    Ci non ci sembra corrispondente a quanto insegna la tradizione indiana.Semmai, se a persona si attribuisce un valore principiale sul piano soggettivo,si dovr parlare di un effetto dissolutivo sullindividualit. Infatti, la via deiPadri riservata a quelli che, durante la loro esistenza terrena, hannoottemperato allo svadharma, fissando in tal modo un centro fuori dallandarecieco. Essi dunque non si perdono nel meccanismo karmico, nella nescienza,ma, dopo aver sostato nel Chandra-loka, beneficiando dei frutti delle azioni,ritornano sulla Terra, prima come piante, poi come uomini. Piuttosto lecitopresumere che si dissolveranno nella nescienza quelli che in vita non abbianofissato alcuna salda consapevolezza oltre lio empirico.Anche in questo caso emerge in Evola una certa mancanza di chiarezza nellusodel linguaggio sapienziale indiano; probabilmente ci deriva, tra laltro, dalla

    80 Credo sia opportuno precisare come non si debba confondere il sannyasa tradizionale con la parodia che nediede Rajneesh-Osho.81 Il guru colui che ha sommo peso nella vita, che la fonda, che impartisce la sacra iniziazione (diksha)attraverso un mantra o un insegnamento salvifico (upadesha). Linsegnamento pu ricapitolarsi tanto in unaistruzione verbale quanto nel silenzio ovvero in un semplice sguardo, in un gesto, anche in un tocco della mano odel piede, A. Rigopoulos, op. cit., p. 213.82 Lo Yoga della Potenza, op. cit., p. 254.

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    mancanza di un contatto diretto con la tradizione del Sanatana-dharma, la quale,nel suo intimo, assai riservata e totalmente priva di istanze missionarie.Per concludere il discorso sulla trasmigrazione e sulle vie post-mortem, trovoche la prospettiva indiana sia ben riassunta e spiegata nella seguente riflessionedel filosofo T.M.P. Mahadevan: Dopo la morte fisica, lanima pu dirigersilungo il sentiero degli Dei o il sentiero dei Padri, portando con s le parti pisottili degli elementi e gli organi dei sensi, etc., che formavano gli ingredientidella sua costituzione. Vi anche un terzo luogo menzionato nelle Scritture: leanime che non sono adatte a seguire n luno n laltro sentiero ottengono lostato di creature infime che continuamente nascono e muoiono. Anche le animeche percorrono gli altri due sentieri, salvo il caso di coloro che hanno realizzatoil Brahman Saguna (qualificato), devono ritornare al mondo dei mortali, nonappena il loro merito sia esaurito. I testi descrivono il processo attraverso ilquale tutto ci accade. Essi offrono dettagli che riguardano il ri-entro dellanimanel grembo materno e la sua reincarnazione. La migrazione dellanima continuafinch essa non si libera tramite la realizzazione del Brahman non duale.83

    Riguardo alla questione dellamore e della devozione, in uninteressanterelazione presentata in occasione del Convegno Evola e la Cultura, nel 2006,Stefano Arcella nota: Orbene, questo aspetto dellAmore non viene focalizzatoin Evola, che sembra soffermarsi solo sullaspetto potenza, ebbrezzafluidica, senza per spiegarci come sia possibile pervenire a questa condizionesenza un senso del donarsi con gioia, del consacrarsi ad una Via, del nutrire leimmagini con un Amore sottile, con un fuoco dolce e costante.84 Si tratta diuna considerazione importante giacch sottolinea un argomento spessotrascurato. Nel prosieguo dellarticolo si legge ancora: Si discusso molto, direcente, sul limite dualistico che caratterizza Evola in Rivolta contro il mondomoderno quando contrappone, in vari punti del testo, il Principio maschile aquello femminile come, ad esempio, quando contrappone la virile civiltromana al mondo etrusco ed italico visto come espressione di un principiotellurico-materno-pelasgico [...] senza tener conto della presenza e del rilievo deiculti femminili complementari a quelli maschili quale costante in tutte lecivilt tradizionali.85

    senzaltro vero che nellopera di Evola si riscontra una spiccata tendenza allacontrapposizione e alla schematizzazione, oltre che al rifiuto di tutto ci che alui pare connesso col mistico, ovvero, stando al senso che egli attribuisce aquesto lemma, passivo, dipendente, mobile, fuori di s. Ci, tuttavia, se da unlato pu manifestarsi quale chiusura nei confronti di approcci realizzativi purvalidi, dallaltro rivela una sua costante attenzione alla gerarchia fondata sulla83 Brahma-sutra-bhashya of Sri Shankaracarya, Advaita Ashrama, Calcutta, 93, Foreword by T.M.P.Mahadevan, p. ix.84 Stefano Arcella, Il contributo di J. Evola alla conoscenza del Buddhismo Vajrayana, in FilosofiaPolitica.net.85 Ibidem.

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    maggiore o minore autocompiutezza e indipendenza degli enti e pone in risaltola sua dignit di kshatriya-filosofo che gli vieta di indulgere troppo in emozionie sentimenti impliciti in espressioni quali: donarsi con gioia o fuoco dolce ecostante.86Tutto nelluniverso si esprime in modo gerarchico: le qualit e i princpi (tattva)si reintegrano gli uni negli altri secondo modalit e gradi sottoposti a leggiimmutabili, sino al Principio causale, la porta di congiunzione tra lEsistere elEssere. Se si desse per equivalente la dualit maschio-femmina, che in fondocoincide con quella io-laltro, soggetto-oggetto, essa diverrebbe irrisolvibile e lastrada della trascendenza resterebbe sbarrata. Anche nel Sankhya, considerato unsistema cosmogonico dualistico, inevitabile notare una sorta di preminenza delPurusha su Prakriti; secondo questo darshana infatti si ha Liberazione quandoil Purusha, con lapprovazione della Prakriti, distoglie la propria attenzionedallattivit manifestativa e torna ad immergersi in se stesso. Per contro, neldarshana Yoga il processo finale di soluzione della dualit viene spiegatoperfettamente: lo yogi, con la propria immobilit, costringe la shakti-kundalini asvegliarsi e a reintegrarsi in Parmashiva nel sahasrara-chakra. Nota Evola:[...] tutto ci che azione, dinamismo, sviluppo, divenire sta invece sotto segnofemminile, cade nel dominio di prakriti, della natura, non in quello dello spirito,dellatma o del purusha, non ha in s il proprio principio.87Nella Prashna-upanishad, Sole e Luna non sono considerati due princpicontrapposti e complementari, bens il primo contiene il secondo, e cio ha ins il proprio principio. Pertanto il Sole viene anche identificato conVaishvanara, totalit del mondo formale, con Vishvarupa, Colui che simanifesta in ogni forma, e con Agni, il principio Fuoco che tutto consuma,trasforma e riassorbe. In altre parole sono loggetto e il Soggetto che simanifestano ad ogni livello, dallindividuale alluniversale.88 In tale gerarchiasono implicite tra laltro le tappe del percorso emanativo e di quelloreintegrativo. Pure gli Shakta, i quali identificano lAssoluto, il Brahman, con lasuprema Shakti, Parameshvari, sottolineano un rapporto gerarchico, in questocaso capovolto, dei due princpi. La gerarchia non avvalla di certo unatteggiamento di disprezzo nei confronti dellinferiore, ma semplicemente

    86 Si noti incidentalmente come un filosofo sia tale proprio in quanto si lascia guidare dalla ragione e non dalsentimento. Infine, nellEnciclopedia delle scienze filosofiche (par. 447), Hegel in modo metafisicamente pideciso scrive: La forma del sentimento (Gefhl) consiste nel fatto che esso una determinata intonazioneaffettiva (Affektion), ma questa determinatezza semplice. Pertanto un sentimento, anche se il suo contenuto ilpi integro e il pi vero, presenta sempre la forma di una particolarit accidentale, al di l del fatto che ilcontenuto possa poi essere il pi povero e il pi privo di verit [...] Quando un uomo, in merito ad alcunch, siappella non alla natura o al concetto della cosa in causa (Sache), o, quanto meno, ai motivi, alle ragioni, allacomunit dellintelletto, bens al sentimento (Gefhl) della cosa stessa, allora non bisogna fare altro che lasciarlostare, perch egli si rifiuta in tal modo di appartenere alla comunanza della razionalit (Gemeinschaft derVernnftigkeit) e si rinchiude nella propria soggettivit isolata, la particolarit. Gino Zaccaria, op. cit., p. 346.87 Lo Yoga della Potenza, op. cit. p. 38.88 Prasna-upanisad, a c. del Gruppo Kevala, Ediz. Asram Vidya, Roma 2004, Introduzione, p. 22.

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    indica una strada percorribile. Significativamente nellantica Grecia la donnapoteva accedere ai Piccoli Misteri, ma non ai Grandi Misteri. Concettualmente ilrapporto tra i due tattva principiali chiaro, ma il significato della Presenzaimmutabile dellEssere nel divenire o del Soggetto che sembra duplicarsinellaltro da s, sfuma nellinesprimibile. Il fatto che presso i popoli pre-vedici,gi dediti allo shivaismo, vigesse il matriarcato non ne confina necessariamentela spiritualit entro dimensioni telluriche, per dirla con Evola, e neppure inficialipotesi di rapporto gerarchico sovraesposta: il femminile si occupava dimanifestazione densa e sottile, il maschile, reintegrata in s la shakti, aspirava avarcare la soglia del Sole.Presso quasi tutte le scuole, possedere, conoscere o riassorbire in s la Shaktivale quale tappa imprescindibile sulla via della Reintegrazione nel Purusha. Eci significa amare la shakti-natura di un amore speciale, di un amore cio chenon la imprigioni nel ruolo di oggetto, ma che la sublimi nellinesprimibile Non-dualit. Daltro canto, se si insiste ad oggettivare e a violentare la Natura, invecedi comprenderla e interiorizzarla, i risultati non potranno che essere alienanti edisastrosi. Nel Vedanta non dualistico questa tematica sembra assente, poich lasi considera preliminarmente acquisita e risolta. Nella Prashna-upanishad, i seisaggi che si recano dal rishi Pippalada per interrogarlo sulla Conoscenza ultimahanno gi realizzato il Brahman saguna.In sintesi, laspetto amore in Evola si nota pochissimo e per via della suaaspirazione al superamento della dicotomia caratterizzante la Manifestazione, eper la sua tendenza spiccata alla differenziazione gerarchica: due moti dellospirito contrapposti che solo nella dimensione metafisica trovano soluzione. Dalpunto di vista del Monismo shankariano, egli era fornito quantomeno dellaquarta qualificazione fondamentale per la realizzazione: mumukshuta, lanelitofermo ed ardente alla liberazione dal condizionato; in questa qualit si ravvisauna forma elevata di bhakti, quasi impalpabile, poich priva di oggetto. Nellostesso tempo, per, osiamo azzardare come egli non sia riuscito a distaccarsidalla sua identificazione e dal suo orgoglio di casta. Da ci, forse, scaturisconoalcuni suoi irrigidimenti, contraddizioni e incomprensioni; pensiamo allasupposta superiorit dellario sul dravida, alla supremazia del Buddhismo delleorigini o del Tantrismo Vajrayana sul Vedanta, allinterpretazione riduttiva dimistico,89 allequivalenza attribuita alle verit guerriere e a quelle

    89 La sua distinzione tra ci che propriamente iniziatico e ci che mistico senzaltro valida, purch siaccetti il significato di via umida, passiva, prevalentemente emotiva e proiettata a ricevere quel che sta fuori di sche egli attribuisce al secondo lemma. In realt, per, se si indaga a fondo emerge un significato diverso. ScriveMarco Vannini in Filosofia e mistica. Un problema terminologico (fonte: In Quiete): La parola ha una chiaraorigine greca, nella radice del verbo myein, che indica latto di chiudere, anzi di socchiudere, gli organi dei sensi[...], ed in connessione con il concetto religioso arcaico di mistero, che indicava una dimensione non tantomisteriosa quanto iniziatica, riservata a coloro che erano stati adeguatamente istruiti, anche attraverso unprocesso di purificazione. In questo senso myste era liniziato al mysterion, mystagogo colui che introduceva almistero stesso, e cos via. [...] Bisogna dunque notare che la prima fortuna del termine mistica non affatto

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    contemplative, allo scarso valore attribuito a certe vie bkakta,90 o, in sintoniacon le dottrine atomiste e pluraliste, allassolutizzazione dellindividualit che limitazione nel tempo e nello spazio.91

    Nota opportunamente Nuccio DAnna nel suo studio su Evola e lOriente: Ilsuo punto di vista, ricordiamolo, essenzialmente quello di uno kshatriya, di unguerriero che [...] non intende affatto subordinare il proprio ruolo rispetto aquello dei brahmana, e mostra un orgoglio di casta che arriva fino al punto ditentare di invertire i normali rapporti gerarchici fra autorit spirituale e poteretemporale.92

    Osiamo altres supporre che, quantunque egli resti un apritore di strade, unriscopritore, insieme a Gunon, del significato autentico di tradizione e unesploratore coraggioso di dimensioni liminali, non pot percorrere sino in fondola via dellidentit suprema, adombrata nel suo individuo assoluto (locuzionetipicamente occidentale, ma incongrua per un Hindu), poich gli venne amancare la guida del maestro.Si legge nello Siva-samhita: La scienza impartita dalle labbra di un maestro efficace, diversamente priva di frutto, debole e addirittura pericolosa.[Commento] Lo Yoga non un disciplina per autodidatti, la presenza delmaestro indispensabile; tale concetto viene ribadito in pi punti. Bench, inultima analisi, la vera guida sia Shiva, non tuttavia possibile raggiungere laconoscenza senza una guida incarnata in un essere umano e collegata ai veggentidellantichit in una catena iniziatica.93La riflessione citata non ovviamente valida solo per lo Yoga, ma anche perqualsiasi altra via realizzativa. Possono esservi delle apparenti eccezioni, maqueste resteranno appunto tali. Il maestro imprescindibile innanzitutto perchnon si avr mai la certezza che la mta possa essere svelata, se non si incontraun uomo in carne ed ossa in cui lAtman sia divenuto consapevole di S in modoindubitabile. Il maestro non laltro da s, il S, lIo assoluto che trapassa nelQuarto (Turiya). Non vi pertanto dualit nella apparente relazione guru-

    legata allemotivo o al cosiddetto irrazionale, ma il contrario. Lo sconosciuto autore che ha scritto la Teologiamistica sicuramente un seguace della filosofia neoplatonica, di Plotino e di Proclo, filosofi, appunto, nei qualigiunge per cos dire a compimento la migliore eredit del razionalismo greco, ovvero della grande filosofiaclassica.90 Rudolf Otto, in op. cit., p. 152, nota come vi sia una forma di bhakti, che sta a fondamento del Vishnu-puranao del Bhakti-sutra, che sfocia nelladvaita. Essa caratterizzata dal passaggio dallupasana (la preghiera,ladorazione) allidentit. A mo di esempio, cita lepisodio del giovane Prahlada, il quale recita: Sottomissione,adorazione, onore a lui sempre e sempre, a Vishnu il Signore [upasana]. Il suo essere abbraccia tempi e luoghi.Anche io sono lui, e tutto mio [transizione]. Io sono tutto, il tutto in me. Eterno, senza fine io sono [identit].91 A proposito della distizione tra individuo e persona: Quando cadde luso della maschera, indic ilpersonaggio stesso, e cos pass nelluso per indicare luomo, in quanto non soltanto individuo, cio unitorganica di parti solidali, ma un essere cosciente e intelligente, ununit fondamentale di pensiero, disentimento e di azione. Perci persona si oppone a cosa, C. Ranzoli, Dizionario di scienze filosofiche, Hoepli,Mi 1943.92 Op. cit., p. 159.93 Lo Yoga rivelato da Siva (Siva-samhita), III.11, a c. di M.P. Repetto, Promolibri, To 1990.

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    shishya. Scrive Shankara, commentando Gaudapada: [...] cos la costruzionementale erronea relativa alle differenze tra colui che deve essere istruito e glialtri elementi determinata da unistanza rivolta unicamente allinsegnamentoprima che sia sorta la comprensione: colui che deve essere istruito, listruttore elistruzione riguardano un discorso rivolto unicamente allinsegnamento. Mauna volta portato a termine linsegnamento, ossia una volta conseguita laconoscenza [...] non vi [pi] dualit.94 E infine, il riconoscersi nel maestro,oltre a risvegliare la certezza totale, libera il discente da ogni forma di arbitrariosolipsimo.Spesso Evola accenna al Buddhismo come ad una via in cui luomo si libera dasolo ed questo uno degli aspetti che lo affascina maggiormente in talereligione. In realt, per, checch se ne dica, in qualsiasi forma di Buddhismo presente la figura della guida, del maestro; inoltre, laspirante si avvaledellaiuto di un Ordine nel quale entra a far parte e di regole, discipline edottrine alle quali deve aderire. Dove sta dunque il tanto decantato liberarsi da ssenza appoggiarsi a nulla? E che cosa significa liberarsi da s? Chidovrebbe liberarsi da chi? Lindividuo unentit di relazione appartenentealla sfera dellimpermanenza e non certo lui che deve o pu liberarsi in sensometafisico; semmai dalle apparenti costrizioni della sua separativit che ilriflesso della Verit immanente nel jiva si deve liberare; soltanto lAtman kevala, assoluto, isolato, intoccato dalla trasmigrazione ed dunque lui ilmaestro che libera il proprio riflesso dallobnubilamento della dualit,risvegliandosi allo stato incondizionato (kaivalya). Non lindividuo, malAtman in Shankara che afferma: [...] non ho padre n madre n, ancora,nascita; non ho parenti, amici, n maestro n discepolo. Sono Coscienza edessenza di Beatitudine. Sono Siva, sono Siva.95

    Certo, in questEra Oscura tutto sovvertito, il toro del Dharma poggia su unazampa sola ed pertanto inevitabile che emergano opportunit di orientamento edi illuminazione eccezionali. Ci accaduto, tra laltro, anche con il recentemovimento hippie che ha visto molti giovani andare in India spinti da variemotivazioni: moda, curiosit, fame di vento, droghe, ecc. Con ragione,dunque, Evola scrive: [...] lOccidente negli ultimi decenni stato preso da unmpito confuso verso qualcosa di altro, non sapendo per giungere che aforme equivoche, superstiziose e inconsistenti le quali, contraffacendo la veraspiritualit, hanno costituito, alla fine, un pericolo altrettanto reale quantoquello del materialismo contro cui erano partite.96 Tuttavia, sebbene moltisiano stati spinti da un confuso anelito al sacro, soltanto pochissimi hannorealmente incontrato il Sanatana-dharma, dimostrando cos come la

    94 Alberto Pelissero, op. cit., pp. 127, 128.95 Sri Samkaracarya, Opere Minori, vol. II, SivoHam, 5, Ediz. Asram Vidya, Roma 1991.96 J. Evola, Lesoterismo di Ren Gunon, fonte: Centro Studi La Runa.

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    trasmissione iniziatica non possa mai interrompersi. Costoro non sono dacercarsi tra quelli che hanno dato il via a nuove scuole, sette, dottrine, ecc.,poich la tradizione, alla quale Evola contribu a ridare preminenza, non sioccupa di cose vecchie o nuove, bens del permanente.