7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

19
Quaderni del Gruppo di Ur VII LA POLEMICA EVOLA-GUENON SUL VEDANTA Il Sole e il Loto Ogni quaderno del Gruppo di Ur raccoglie, in forma organica e sintetica, quanto emerso nell'omonimo Forum, in relazione ad un determinato argomento. In esso si trovano, perciò, sia citazioni degli autori studiati, sia commenti. I quaderni si devono considerare in continuo aggiornamento, dal momento che l'emergere di nuovo materiale sull' argomento trattato può rendere opportuna una nuova edizione.

Transcript of 7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

Page 1: 7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

Quaderni del Gruppo di Ur

VII

LA POLEMICA EVOLA-GUENON SUL VEDANTA

Il Sole e il Loto

Ogni quaderno del Gruppo di Ur raccoglie, in forma organica e sintetica, quanto emersonell'omonimo Forum, in relazione ad un determinato argomento. In esso si trovano, perciò,

sia citazioni degli autori studiati, sia commenti. I quaderni si devono considerare in continuoaggiornamento, dal momento che l'emergere di nuovo materiale sull' argomento trattato può

rendere opportuna una nuova edizione.

Page 2: 7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

La polemica Evola-Guenon sul Vedanta ebbe come teatro la rivista "Idealismo Realistico", fondata nel 1924da Vittore Marchi (Potenza 1892-Roma 1981), che condivideva con Evola e gli altri collaboratori l'interesse perl'idealismo e, nello stesso tempo, un atteggiamento indipendente nei confronti dell'attualismo gentiliano e dellostoricismo crociano. Il tutto nacque, nel 1925, con una recensione di Evola dell'opera guenoniana"L'Uomo e il suo Divenire secondo il Vedanta". La risposta di Guenon, assieme ad una replica di Evola,venne pubblicata in un numero dell'anno successivo. Nella rivista in questione la cosa finì lì, ma echi dellemedesime divergenze comparvero in diverse opere successive dei due autori. Cominceremo conl'esaminare la recensione di Evola, la risposta di Guenon e la controrisposta di Evola. Dal dibattito susseguente,avvenuto, tra i membri del forum emergeranno anche le fasi successive della polemica. Come nei precedentiquaderni, alcune osservazioni pertinenti, fatte in messaggi privati, sono state riportate sotto il nome collettivo di"Turba Philosophorum".

I) La recensione di Evola

L'UOMO E IL SUO DIVENIRE SECONDO IL VEDANTA L'Idealismo Realistico, Anno II, n°. 21-24 (1 novembre - 15 dicembre 1925).

L'interesse crescente mostrato oggi dalla nostra cultura per tutto ciò che è orientale, è un fatto incontestabile, enon può essere spiegato come una semplice ventata di moda esotistica, ma deve riconnettersi a qualcosa diassai più profondo. Però, circa il significato di questo fatto, esso resta ancora un problema e, a dir vero, unproblema che meriterebbe di venire studiato assai più di quel che non lo si sia fatto sinora.In un primo momento era abitudine sbarazzarsi dell'Oriente con una semplice scrollata di spalle, dall' alto di una«suffisance» basata essenzialmente sulle conquiste della civiltà nostra nel campo della materia e dell'astrattadiscorsività. Ma, destatisi da questa presunzione spensierata, a qualcuno cominciò a balenare il sospetto chetali campi non fossero poi l'ultima istanza, e con un rinnovato sguardo considerando l'Oriente, cominciò acomprenderne la realtà spirituale; e accorgendosi nel contempo verso che punti critici graviti in fondo l'insiemedella vantata civiltà europea quando sia portata sino alle sue ultime conseguenze, oltre a riconoscere l'Orientecominciò a domandarsi se, per avventura, esso potesse offrire qualcosa per integrare la civiltà europea stessa,per portarla, di là dalla crisi, verso una più alta positività.Tuttavia vi fu chi cadde nell'eccesso opposto, cioè nell'idea, che l'Oriente sia come l'ancora di salvezzao la manna del cielo, che tutto ciò che da noi è stato fatto, dai Greci sino ad oggi, sia un non-valore, untraviamento, una degenerazione da cui importa soltanto salvarsi riconoscendolo come tale e tornandoalla concezione orientale e tradizionale della vita - ad un dipresso, come figliuoli prodighi.Curioso è però notare che la gran parte di questa gente ad una tale incomprensione dell'Occidente neaccompagnano una analoga nei riguardi dell'Oriente stesso. Cioè: dell'Oriente essa non vede che il lato piùesterno e deteriore quando non addirittura falsificato - quel lato che permette soltanto di venir meno a tutto ciòche è serietà scientifica, disciplina, volontà, consapevolezza, per darsi in braccio ad uno sfrenato divagare e perdisciogliersi in sentimenti, sogni e vuoti suoni.Ora come è da stigmatizzarsi la «suffisance» materialistica rispetto all'Oriente, crediamo che altrettanto - senon più - è da stigmatizzarsi un tale atteggiamento che, soltanto esso, rispecchia il disfacimento di alcunielementi della nostra civiltà. Noi affermiamo che se l'Oriente rappresenta una realtà spirituale, del pari lorappresenti l'Occidente; che dunque si tratta di termini distinti ed entrambi positivi, suscettibili, se mai, di sintesi,non di piatta riduzione dell'uno all'altro. In questa sintesi non è detto poi che solo noi, e non anche l'Oriente,abbia a guadagnare - se non più; giacché pensiamo che una tale sintesi, se deve essere feconda, deveprendere il suo tono appunto dallo spirito della cultura occidentale, che è: potenza, conato a celebrare e attuarelo spirito non negando il «mondo» - il sistema delle determinazioni e delle individuazioni - e venendo meno adesso, bensì volendolo, affermandolo e dominandolo e, in ciò, realizzandolo.Questa è la semplice dichiarazione di una tesi; circa la sua dimostrazione, rimandiamo all'insieme dei nostriscritti, che si può dire l'abbia per centro di gravità, e specificamente ai «Saggi sull' Idealismo Magico» (Roma,1925) e alla prima sezione del «L'Uomo come potenza» di imminente pubblicazione, uscita del resto già nei nn.2,-3-4 della rivista «Ultra». Qui vogliamo soltanto prendere in considerazione l'opera di un autore francese,René Guénon, e vedere, per una analisi critica delle sue tesi, che cosa possa davvero rappresentare per noiuno dei massimi sistemi indiani: il Vedanta.Il Guénon ha pubblicato una serie di libri, che si possono dividere in due gruppi. L'uno comprende «LeThéosophisme», «Introduction générale aux doctrines hindoues», «Orient et Occident»; il secondo, lo studio, direcentissima pubblicazione, «L' homme et son devenir selon le Vedanta» (éd. Bossard, Paris, 1925, pp. 271,

Page 3: 7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

frs. 18), il quale ne preludia un gruppo di altri. Il primo gruppo si può dire negativo, il secondo positivo, nelsenso che dalle prime opere lo scopo è:a) Sgombrare il campo da tutte le deformazioni, incomprensioni.e parodie a cui è andata soggetta la sapienzaorientale per opera di certe correnti occidentali;b) Criticare a fondo l'intera civiltà d'Occidente e mostrare la crisi e la rovina che le incombe quando non volga atutto un altro ordine di valori.Nella seconda serie il Guénon si fa invece ad esporre sistematicamente la sapienza tradizionale orientale, cheegli in massima identifica precisamente ad un tale ordine di valori.

***

In riferimento al primo punto, noi non possiamo non aderire all'opera purificatoria e smascheratrice del Guénon.Compromessi, incomprensioni e divagazioni come quelle di un certo «spiritualismo» inglese e dell'antroposofiasteineriana, insieme a tutti i toni minori neo-mistici, rabindranath-tagoreggianti, gandheggianti et similia, nonpossono venire trattati con abbastanza severità, e sono davvero i peggiori ostacoli per una intesa ed unaintegrazione reale di Oriente e Occidente. Abbiamo però delle riserve sui mezzi prescelti dal G. a questofine, mezzi più ad hominem che dimostrativi (intendiamo riferirci al «Théosophisme») giacché invece diassumere le dottrine e farne vedere le assurdità intrinseche, egli più che altro si limita a svelare iretroscena delle persone e delle associazioni, la cui eventuale scarsa trasparenza rispetto a ciò cheimporta significa però assai poco.Di là da ciò, siamo ancora d'accordo con il G. in ordine all'esigenza verso una conoscenza meta-fisica e, quindi,verso il livello proprio alle tradizioni iniziatiche. Questo è un punto su cui non si saprebbe mai sufficientementeinsistere. Fra noi, ci si è abituati a chiamare «spirituale» ciò che è un semplice contorno o accessorio ad unostato fisico di esistenza.Bisogna capire che ciò che importa, è soltanto il rapporto reale, concreto con le cose e gli esseri, rapporto cheper gli uomini è quello estrinseco e contingente proprio alla percezione fisica e alle categorie spazio-temporaliche la reggono.Quanto a tutto ciò che è conoscenza discorsiva, mondo cardiaco, mentale, morale, devozionale, ecc. - tutto ciòè qualcosa di relativo a questo stato fisico stesso, e con tutti i suoi «superiore» ed «inferiore», «alto» e«basso», «divino» e «umano», «bene» e «male», ecc. non porta di un passo di là da esso, non trasfonna innulla ciò che metafisicamente, nell'ordine di una assoluta concretezza, l'uomo è (meglio: l'Io è, come uomo). Lospirituale non debba essere un vuoto suono - allora occorre che l'uomo abbia la forza di comprendere ciò, diprender dunque in blocco tutto ciò che egli è, sente e pensa, metterlo da parte, ed andare avanti: andare avantiin una trasformazione radicale del rapporto secondo cui egli sta con le cose e con sé stesso. Tale larealizzazione metafisica, che è stata l'interesse costante di tutta una tradizione esoterica, le cui radici siconfondono con quelle stesse della storia. II G. riaffenna tali esigenze, e di ciò gli facciamo grande merito. Pertanto, finché egli resta sulle negative, cioè:più in ordine alla sua idea di ciò che il metafisico non è che in ordine alla sua idea di ciò che il metafisico è.Certamente, qui ci si trova su un terreno assai malfermo, poiché la lingua, coniata per la vita materiale ediscorsiva, offre scarse possibilità per esprimere adeguatamente ciò che è proprio ad una tale metafisicità.Crediamo pertanto di poter dare una indicazione approssimata dicendo che l'attitudine del G. verso ilmetafisico risente di una mentalità che potremmo chiamare razionalistica - e ci spieghiamo così: ilpresupposto del razionalismo (del razionalismo come sistema filosofico, si intende, e non nel suosenso volgare, che in nessun modo si può riferire al G.) è l' «oggettività ideale», cioè la credenza inleggi esistenti in e da sé stesse, in principi che sono quelli che sono, senza alcuna possibilità diconvertibilità, fatalmente e universalmente; è il mondo come qualcosa in cui tutto ciò che ècontingenza, tensione, oscurità, arbitrio, indeterminabilità, non ha alcun posto, in cui tutto è già fatto eun ordine superiore riprende tutti gli elementi. Di questo cosmos il principio è non la volontà e la potenza,ma la conoscenza e la contemplazione, non il dominio ma l'identità. L'individuo vi è come una ombra illusoria econtradittoria, che scompare nel tutto. Da quella radice profonda onde le cose e le leggi - siano esse sensibiliche non-sensibili - sono rette e sono quelle e non altre, radice che è fatta di pura contingenza, qui si faastrazione o, per meglio dire, la si estingue in qualcosa di puramente ideale: si realizza dunque l'interioresecondo il suo modo «apollineo» o intellettuale, da cui il principio dell'Io, anziché riaffermato in un «ente dipotenza», viene abolito. Certamente, queste sono espressioni filosofiche, che debbono valere soltanto comesuggestioni; suggestioni da cui pertanto è adombrato un particolare modo di mettersi in rapporto con le coseanche in un ordine, che ormai sta di là da tutto ciò che è filosofico e mentale.Ciò posto, l'errore del Guénon è questo: di credere che un tale atteggiamento debba rappresentare l'ultimaistanza, che «metafisico» e «intellettuale» (questo tennine è usato dal G. non nella sua accezione moderna,ma, in un certo modo, in quella scolastica e neoplatonica) siano termini convertibili - il che è discutibile. Il G. sa- e noi con lui - che la sua concezione si riconnette a tutta una tradizione di sapienza iniziatica; ma ciò che eglimostra di non sapere o di fare come non sapesse, è che una tale tradizione non è la sola, che - parimentidi là da tutto ciò che è esperienza mondana e sapere «profano» - di contro alla tradizione della conoscenza,della contemplazione e dell' unione vi è la grande tradizione delle scienze magiche ed ermetiche, che èinvece di potenziamento, di individuazione e di dominazione. Onde prima di attribuirsi il monopolio della

Page 4: 7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

sapienza iniziatica, così come ci sembra abbia fatto, sarebbe stato bene che il G. avesse riflettuto un po' di più;giacché di là dai profani e dagli ingenui, vi è chi potrebbe chiedere i mandati e invitarlo ad una revisione di contiche potrebbe anche non andare interamente liscia. Questo è un punto importante, per il fatto che dal particolare atteggiamento del Guénon rispetto allospirituale non può non seguire un completo disconoscimento di tutto ciò che l'Occidente rispetto allospirituale stesso - sia pure soltanto come esigenze e tendenze - ha realizzato, e, quindi, l'accennataremissione all'Oriente quasi come all'ancora di salvezza di uno che nulla ha e tutto chiede. Infatti lospirito occidentale è specificatamente caratterizzato dalla libera iniziativa, dall'affermazione, dal valoredell'individualità, da una concezione tragica della vita, da una volontà di potenza e di azione - elementi, questi,che se potrebbero essere il riflesso sul piano umano, esteriore, del superiore valore magico, pertanto stridonodi contro a chi voglia invece il mondo universalistico, impersonale e immobile dell' «intellettualismo» metafisico.Notiamo ancor questo: che nel suo riferimento allo stesso Oriente il Guénon, consapevolmente o no, è, peri bisogni della causa, unilaterale. Egli infatti si restringe alla tradizione vedica, quale è stata sviluppatasino alle Upanishad e al Vedanta, trascurando varie altre scuole che, se sono poco riducibili ad essa,non per questo sono meno «metafisiche». Accenneremo soltanto al sistema dei Tantra e a correnti magichee alchemiche del Mahayana e del Taoismo, ove l'accento è spostato appunto sul lato potenza onde, anzichécontradirlo, potrebbero offrire all'Occidente materia per una più alta riaffermazione. Il G., di fatto, non ignora taliscuole, ma le considera «eterodosse», il che, per lui, è esplicito verdetto di condanna; per noi in vece - cipermetta il G. di dirlo - queste sono semplici parole: staremo a vedere se si dirà vera ed alta una dottrinaperché tradizionale, ovvero se la si dirà tradizionale perché vera ed alta. Anche qui il G. presuppone fatti esaldati dei conti, i quali invece restano perfettamente aperti - tendenza dogmatica e autoritaria, questa, che siriflette un po' dappertutto nei suoi scritti, d'altra parte, per chiarezza ed erudizione, assai pregevoli.Passiamo dunque a vedere fino a che punto il Vedanta - che per il G. sarebbe quasi il sistema «metafisico» tipo- possa rappresentare qualcosa per un Occidentale che non sia un degenerato - cioè che non sia venuto menoa quanto in consapevolezza critica e spirito di affermazione la civiltà a cui appartiene gli ha realizzato, che nonabbandoni le posizioni per tornare indietro, ma voglia invece portarle avanti. Però, prima, si impone unaavvertenza. Abbiamo accennato al carattere trascendente della realizzazione metafisica e alla difficoltà dipoterne dare un senso in funzione alle categorie abituali. Ma questo punto - da noi esplicitamente concesso -non deve divenire rifugio per uno sfrenato, dogmatico quanto arbitrario, divagare soggettivo. Poichéprecisamente così fanno alcuni begli spiriti dilettanti in «occultismo»: non stanno zitti nel puro ineffabile, maparlano; tuttavia quando si chiede loro che determinino bene il senso delle espressioni e rendano conto delledifficoltà che suscitano, si traggono indietro vaporizzandosi di nuovo nel riferimento ad un puro intuire interiore,il quale così resta un fatto bruto che non rende conto di sé, che si impone così poco quanto il gusto di uno a cuipiace il formaggio di contro a quello di un altro, che preferisce le fragole. Quindi delle due, l'una: o si restachiusi nell'ambito iniziatico, i cui sistemi autoverificativi e comunicativi non possono però, salvo casieccezionali, entrare in linea di conto per un «profano»; ovvero si parla. Ma se si parla, si è tenuti aparlare correttamente, ossia: a render conto di ciò che si dice, a rispettare le esigenze logiche che quisono così inoffensive come quelle grammaticali, a far vedere che l'oggetto della realizzazionemetafisica sia pure per accidente (nella sua «forma propria» cadendo nella pura interiorità dell'lo) dàreale soddisfazione a tutte quelle esigenze e quei problemi che nell'ambito puramente umano ediscorsivo sono destinati a rimanere puramente tali. È troppo facile, infatti, risolvere i problemi nonponendoli, imitando quasi lo struzzo che annulla il pericolo nascondendo la testa sotto l'ala. Bisogna invecetener fenno, affrontare il nemico fissandolo bene in viso, e abbatterlo usando le sue stesse armi.Diciamo ciò per prevenire chi accusi la nostra critica - se non addirittura la nostra opera in generale - di avereuna portata puramente filosofica. Ciò, anzitutto, non è esatto, perché in noi quel che sta prima è una certa«realizzazione» e, soltanto dopo, come veste, un certo sistema logicamente intelligibile. Ma quand'anche fosse,ogni espressione in quanto tale è tenuta alla prova del fuoco del logos; e se parte dal soprarazionale tantomeglio, essa vincerà certamente questa prova poiché ciò che è superiore implica e contiene in modo eminenteciò che è inferiore. E che il volume del G. sul Vedanta non sia che una esposizione filosofica, speriamo chel'autore ne sia consapevole. Egli parla sì di qualcosa che non è precisamente filosofico, tuttavia egli ne parla (enon è colpa sua, poiché non vi è altra scelta, a meno di ricorrere a simboli) filosoficamente, ossia si sforza dipresentare qualcosa di intelligibile e di giustificato. Se dunque, prendendo questo aspetto, mostreremo larelatività di una tale intelligibilità e giustificazione, egli non può trarsi indietro e cambiare giuoco col riferirsi allasuperiore validità tradizionale e metafisica; alla quale del resto, sullo stesso livello, sapremmo riaffermare ilnostro atteggiamento di cui le nostre critiche filosofiche non sono che serve obbedienti.Dunque: che cosa dice il Vedanta sul mondo, sull'uomo e sul suo divenire?Anzitutto si ha il presupposto ottimistico 'che esista un Dio' cioè che l'insieme contingente e fenomenico dellecose non sia ciò che sta prima, ma soltanto l'aspetto accidentale di un tutto che, attualmente, è già perfetto ecompreso in un superiore principio. Che questo sia un mero presupposto, e che qui il Guénon faccia assai pocaattenzione alla teoria della conoscenza propria agli Indiani, ognuno lo può vedere da sé non appena sappia cheper l'Indiano qualcosa non è vero, che quando venga sperimentato attualmente. Nel nostro caso: nessunacertezza di Dio, fuori da quella esperienza dell'Io che lo abbia per contenuto. Ora poiché una tale esperienzanon è immediata e generale ma per giungere ad essa occorre un certo processo, non vi sono argomentidimostrativi per affermare che Dio esista già (e quindi che il processo sia semplicemente riconoscitivo)

Page 5: 7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

anziché venir dopo, come un risultato di questo processo che ha fatto divino qualcosa che non era tale.Passiamo avanti. Di questo presupposto - Dio o Brahman - il mondo sarebbe la manifestazione. Ora il concettodi manifestazione secondo il Vedanta è qualcosa di furiosamente ambiguo. È detto infatti che Brahman nellamanifestazione rimane ciò che è - immutabile, immobile - non solo, ma che la manifestazione stessa (e, quindi,tutto ciò che è particolarità, individualità e divenire) è, rispetto a lui, qualcosa di «rigorosamente nullo». Essa neè una «modificazione», che in nessun modo lo altera. In lui, in eterna, attuale presenza, sono tutte le possibilità:la manifestazione è soltanto un modo accidentale che investe alcune di esse. - Come tali proposizioni possanoessere rese intelligibili, difficilmente lo si saprebbe mostrare. Si badi: qui non vi è la scappatoia dell'ex nihilocattolico, ove il nihil si fa un principio distinto e a suo modo positivo, da cui le creature sarebbero materiateonde sarebbero e, nel contempo (in quanto fatte di «nulla», di «privazione»), non sarebbero. Brahman non hainvece nulla fuori di sé: nemmeno il «nulla». Le cose sono sue modificazioni: come si può dunque dire che nonsono?In connessione: se Brahman è la sintesi assoluta di tutto, che posto vi è per un modo contingente diconsiderarla? Come è possibile che sorga un tale modo, una tale oscurazione in Brahman? Come nonaccorgersi che la frase ha senso solo nel presupposto dell'esistenza di un principio distinto da Brahman,capace appunto di comprenderlo in modo relativo ed accidentale - il che è contro la premessa? Dice il G. (pp.30-31): «Metafisicamente la manifestazione non può essere considerata che nella sua dipendenza dal principiosupremo e a titolo di semplice supporto per elevarsi alla conoscenza trascendente». Ora domandiamo: chi èche si eleva ad una tale conoscenza? O è Brahman stesso, ed allora bisogna intendere, con Eckhart, ScotoEriugena, Hegel, Schelling e tanti altri, che il mondo è lo stesso processo autoconoscitivo dell' assoluto - maallora esso ha un valore e una realtà, anziché essere un fantasma di contro alla sintesi eterna preesistente, èl'atto stesso con cui questa sintesi si dà a sé stessa. Ovvero vi è un «altro» di contro a Brahman, il che significafar di Brahman un relativo, «uno fra due», contro l'ipotesi.Ancora: «Immutabile nella sua natura propria, Brahman sviluppa solamente le possibilità indefinite che eglicomporta in sé stesso, mediante il passaggio dalla potenza all'atto... e ciò senza che la sua permanenzaessenziale ne sia affetta, precisamente perché questo passaggio non è che relativo e questo sviluppo non èsviluppo che in quanto lo si consideri dal lato della manifestazione, fuori dal quale non può esservi quistione diuna qualunque successione, ma soltanto di una perfetta simultaneità» (p. 36). La difficoltà è la stessa: ciòandrebbe benissimo dato che si avesse modo di fare intendere come possa esistere un punto di vista diversoda quello dell'assoluto e coesistente con esso. Ma se ciò non è possibile, la successione, lo sviluppo e il restonon sono da dirsi accidentali e illusori, ma assolutamente reali. L'unico rifugio sarebbe il creazionismo come'projectio per jatum' dei teologi cattolici, ossia la possibilità divina di staccare da sé centri distinti di coscienza,che possano dunque vedere dall'esterno ciò che Egli internamente comprende in modo eterno. Ma ancheprescindendo dall'inconsistenza logica di una tale veduta, sta di fatto che essa è interamente sconosciuta allasapienza indiana.Il G. moltiplica i punti di vista per spiegare le antinomie, e non si accorge che questa è una pseudosoluzione,anzi un circolo vizioso, salvo partire da un originario dualismo, cioè proprio dall'opposto di ciò a cui si vuolegiungere. Trasposte a quelle dei punti di vista, le opposizioni non solo restano, ma risultano esasperate.Quando il G. dice (p. 44) che non si può separare la manifestazione dal suo principio senza che essa si annulli -donde il profondo senso della dottrina vedanta e mahayana, che le cose sono ad un tempo reali (in riferimentoal loro principio) e illusorie (se prese in sé stesse) - egli dice giusto. Non una tale separazione noi glirimproveriamo, ma quella del principio dalla manifestazione. Dal dire che se il mondo non può distinguersi daBrahman, Brahman invece può distinguersi dal mondo (come sua causa libera), al dire che «l'interamanifestazione mondiale è rigorosamente nulla rispetto alla sua infniità», vi è un bel salto, e cioè l'introduzionesurrettizia di un concetto contestabilissimo dell'infinità stessa.Cioè: l'infinità intesa come indeterminazione, come ciò che in ogni determinato non può che soffrire la morte disé. Tale per noi non è l'infinità vera, sibbene l'astratta sua ipostasi, quasi il carattere proprio dell'essere ignavoed impotente. Infinità vera è potestas, ossia: energia di essere incondizionatamente ciò che vuole. L'assolutonon può avere - come un sasso e una pianta - una sua natura (e tale sarebbe la stessa infinità se intesa comequalcosa di fatale, di immutabile, dunque di passivo rispetto a sé stesso). Egli è quello che vuole essere; e ciòche egli vuole essere senz'altro, l'assoluto, l'infinito. Il manifestarsi e, in conseguenza, il finito, l'individuale, ecc.allora non sarebbero più la morte e la contradizione dell'infinito (quindi un non-essere), un nulla che oscura ilpieno (omnis determinatio negatio est), ma invece il suo atto, la sua gloria, ciò in cui testimonia e afferma a séstesso la sua libertà potente. Il bello è che un tale punto di vista lo si ritrova in una scuola orientale (che,naturalmente, il G. chiamerà «eterodossa») - quella dei çakti-tantra, i quali muovono al Vedànta una critica, lacui portata è indiscutibile.Solamente a patto di mettere al posto delle nebulose, intellettualistiche nozioni di spirito (atma) e infinito(brahman) quella attivistica e concreta di potenza (çakti) - essi dicono - si ha modo di venire a capo, da unpunto di vista non-dualistico, delle varie difficoltà inerenti al concetto di manifestazione. L'assoluto è potenza dimanifestazione, il mondo è il suo atto: quindi è reale, di una suprema realtà.Se invece l'assoluto lo si comprende come una infinità attuale esistente ab aeterno, che posto vi è più per unamanifestazione? Non si accorge il G. dell'assurdità del concetto che questa sia lo «sviluppo» di alcune«possibilità» presenti al principio supremo? Infatti o si dà un senso al tennine «sviluppo», o non glielo si dà. Sesì, si avrebbe una cosa che è, ad un tempo e nello stesso rapporto, in potenza e in atto, il che è, contradizione

Page 6: 7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

in termini. Tale la «possibilità» di cui parla, giacché questa in quanto riferita all'eventuale manifestazionedovrebbe essere in potenza, ma in quanto d'altra parte è possibilità del principio supremo, non è più possibilitàma attualità, cosa già «sviluppata», nulla essendovi in Brahman che non sia attuale (1). Si può notare come ilG., nel suo entusiasmo (stavamo per dire: fanatismo) per l'Oriente, vede la pagliuzza nell'occhio delvicino, ma non la trave nel suo proprio: infatti precisamente questa critica egli fa alla concezione delLeibniz (che, naturalmente, per lui è mera «filosofia profana») e non si accorge che essa va ad investirele radici stesse del Vedanta.La contradizione dunque cessa solamente dato che Brahman non sia più l'eterna luce intellettuale, sibbenepura potenzialità che nelle cose manifestate ha non la sua negazione, ma la sua affermazione. E la necessità diuna tale concezione trapela spesso nello stesso G. - là dove egli si riferisce ad una «volontà creativa divina»,ad un «supremo principio causante». Così egli si avvicina alla coerenza - ma, nel contempo, si allontana dalVedànta quale è veramente. Infatti il Vedanta affenna esplicitamente che l'assoluto non è causa né attività, checausa ed attività non cadono in lui, sibbene nell'inconscia «maya», onde quando se le attribuisse dicendo: «Iocauso, io agisco, io creo», egli cadrebbe vittima di illusione e di ignoranza. Causalità, creazione insieme a tuttociò che è divenire e determinazione, per il Vedanta non cadono nell'assoluto che, per esso, è pura,indeterminata esistenza nuda di qualsiasi attributo (nirguna-Brahman), sibbene nell'assoluto oscurato da maya(saguna-Brahman), la quale maya resta un principio inesplicabile e indefinibile, un «dato» di contro a cui siarresta. E fra saguna-Brahman e nirguna-Brahman vi è un abisso incolmabile(2): l'uno è, l'altro non è. Concettoquesto, a cui infatti il G. dall'altro canto si tiene rigorosamente stretto, riaffermando così l'originaria concezioneastratta dell'assoluto e dell'universale.L'originalità e, ad un tempo, il difetto d'origine del Vedanta, sta precisamente nella separazione del principio diuna sintesi da ciò che è sintetizzato, separazione che fa dei due termini qualcosa di contradittorio l'uno rispettoall'altro. Mentre in un non-dualismo conseguente l'universale è l'«atto» che comprende il particolare come la«potenza» di cui è l'atto e attraverso cui si realizza, nel Vedanta l'universale non comprende, ma esclude ilparticolare, giacché esso non può comprender questo che negandolo nell'indeterminata «identità», nel mero«etere di consapevolezza» (cid-akaça), notte - per dirla con lo Hegel- in cui tutte le vacche sono nere.

(1) Si noti: la critica già fatta previene l'eliminare la difficoltà di questi aspetti contraddittori presenti in unastessa cosa con il riferirli a due diversi punti di vista.(2) I tentativi di conciliazione, inerenti p. e. al concepire l'immobilità dell'assoluto come quella dell'aristotelico«motore immobile», se trovano fondamento in altre scuole orientali, non saprebbero però correttamentetrovarne nel Vedanta.

***

Ora che presso ad una tale veduta ogni significato dell'uomo e del suo divenire vada dissolto, lo si può sin d'oraprevedere. L'individuo, in quanto tale, appartiene alla manifestazione e così è un nulla, una parvenza - questa èl'unica conseguenza rigorosa della premessa. Inutile contestare la legittimità di assumere a sé l'individuo e direquindi che la distinzione fra Io e Brahman è una illusione propria all'Io (p. 210) - perché appunto qui sta ilproblema: questa illusione è reale, e bisognerebbe spiegare come nasca e sia possibile presso la mostrataimpossibilità di duplicare i punti di vista. Inutile anche raddoppiare l'unità di coscienza in quella di un «me»(personalità, Io metafisico) e di un «Io» (individualità, Io empirico), giacché qui tornano le stesse contradizionisopra rilevate procedenti dal presupposto dell'assoluta eterogeneità fra universale e particolare, fra metafisico eempirico. Fra questo «me» e questo «Io» non vi può essere una unione reale (come in una dottrina dellapotenza, ove il «me» sarebbe la potenza, di cui l'«Io» è l'atto ovvero, da un altro punto di vista, viceversa), mauna estrinseca, incomprensibile composizione (confermata del resto dalla dottrina dei «corpi sottili» quale laespone il G.), analoga a quella fra «essenza» ed «esistenza» escogitata dalla Scolastica; ed altra conferma siha dal G. quando dice che il passaggio dello stato manifestato a quello di Brahman (corrispondenti ai dueprincipi dell'uomo) implica un salto radicale (p. 200).L'inconsistenza di una tale veduta (che, fra l'altro, nei riguardi della «salvazione» o «liberazione» dovrebbecoerentemente sboccare nel mistero cristiano della «grazia») al Vedanta l'hanno mostrata con mano appunto iTantra. I Tantra fanno ai vedantini questo ragionamento: voi dite che davvero reale è solamente l'immobileBrahman senza attributi e il resto - l'insieme degli esseri condizionati - illusione e falsità. Ora rispondete: chi siete voi, che affermate ciò, Brahman o un essere condizionato?Ma se voi siete un essere condizionato (e altro lealmente non potete dire di essere), siete illusione efalsità e quindi, a maggior ragione, illusorio e falso sarà tutto ciò che voi dite e così la stessa vostraaffermazione, che soltanto Brahman è, e il resto è illusione.Del resto lo stesso concetto di «essere condizionato», con cui il G. definisce l'uomo e le altre «manifestazioni»a lui simili, conduce ancora una volta al noto dilemma. Infatti o si ammette un principio distinto, suscettibile disubire delle condizioni, contro una potenza condizionante ma ciò è radicalmente contrario a tutto lo spirito delVedanta. Ovvero si nega la distinzione, ed allora il condizionato e il condizionante divengono una sola emedesima cosa: è Brahman stesso che nei vari esseri si vuole così e così determinato, senza condizioni. Onde

Page 7: 7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

nulla vi è di relativo e di dipendente, tutto è invece assoluto, tutto è libertà. E qui, ancora una volta nessun postoper l'espediente dei «punti di vista». Non ha senso di parlare di un punto di vista della creatura, che vive comecondizioni e dipendenza ciò che per Brahman non è tale: il punto di vista non può che essere unico: quello diBrahman. È Brahman stesso che nei vari esseri gioisce e dolora e che nello yoghin volge a dare a sé stesso lapropria «liberazione». Tale il punto di vista dei Tantra (e, con esso, di tutto l'immanentismo occidentale), il qualeperò non può essere quello del Vedànta appunto perché per il Vedanta l'assoluto come causa immanente èillusione e fra lui e il relativo e il «manifestato» vi è discontinuità, salto radicale.Perciò: il mondo è un nulla. L'uomo, un nulla. Il divenire dell'uomo quello di un nulla che si risolve in nulla.Quale è infatti il senso di un tale sviluppo secondo il Vedanta? Un riassorbimento dello stato di esistenzaconcreta in quello di esistenza «sottile» e poi di un tale stato in quello non-manifestato, dove le condizioni(leggi: le determinazioni) individuali sono infine del tutto cancellate. Non si tratta dunque - come lo dice lostesso G. (p. 175) - di una «evoluzione» dell' individuo, giacché il fine essendo «il riassorbimento dell'individualenello stato non-manifestato, dal punto di vista dell'individuo sarebbe piuttosto da dirsi una involuzione». Noiandiamo anzi più avanti: concependo la manifestazione come l'«atto» dell'assoluto, diremmo (si ricordi sempre:è impossibile duplicare i punti di vista) che un tale divenire in verità è il venir meno dello stesso assoluto al suoatto, il suo pentirsi - regressione, degenerazione, non progressione.Che le idee del G. e del Vedanta su questo punto siano chiare, del resto è dubitabile. Infatti, presso al«riassorbimento», si parla altresì di una identificazione dell'Io con Brahman in cui pertanto esso non si perde inalcun modo (p. 233) e di una «risoluzione» che più che annichilatrice è trans-formativa, apportatrice di unaespansione di là da ogni limite, realizzatrice della pienezza delle possibilità (pp. 196-7). Ambiguità, questa, incui si rispecchia il dissidio di un dato di esperienza interna, spirituale in sé valido che pertanto non ha trovato,per esprimersi, un corpo logico adeguato, che è deformato da una concezione limitata e statica, quale è quellapropria all'astratto universalismo del Vedanta.In ogni caso, resta la difficoltà principale: qualunque ne sia la direzione, ha o no il divenire dell'uomo un valore,un valore cosmico? Insomma: perché debbo io divenire, trasformarmi? Di nuovo, non c'è che la scappatoia deipunti di vista. Rispetto all'infinito presupposto come esistente 'actualiter' e 'tota simul ab aeterno', come identicorigorosamente a sé in qualsiasi stato o forma, tutto ciò che è divenire di «esseri condizionati» non può averealcun reale significato, esso non può realizzare a Brahman nulla in più nello stesso modo che il suo nonavvenire non potrebbe realizzargli nulla in meno. Brahman, è e non può che essere, indifferente: tanto lo statodi un bruto (paça) che quello di un eroe (vira) o di un dio (deva), per lui debbono essere perfettamente la stessacosa, quindi il progresso da uno di questi stati ad un altro, dal suo punto di vista non può avere alcun senso egiustificazione. Anzi, di rigore, non si può parlare di progresso e regresso, ma soltanto di passaggio; manemmeno: giacché lo stesso divenire è una illusione, riferentesi ad un punto di vista diverso da quello diBrahman.Ognuno vede quali conseguenze pratiche derivino da ciò. Due casi: o una contemplazione passiva e stupefattadel succedersi incomprensibile degli stati; ovvero una morale utilitaria. Utilitaria perché il motivo animatoredell'eventuale svilupparsi e trasformarsi dell'uomo non potrebbe connettersi ad un valore cosmico, al sensocioè che il mondo, il Dio stesso chiede a me qualcosa che non è se io non la faccio, ma potrebbe giustificarsisoltanto in funzione di un utile personale, della maggiore convenienza che all'individuo possono offrireparticolari stati di esistenza.Ma non basta. Dal punto di vista di un vedantismo coerente procede un disfattismo morale tale, che non ècapace di giustificare nemmeno una etica utilitaria. Ciò, perché il passaggio attraverso una gerarchia di statisino al non-manifestato Brahman, che un essere particolare può realizzare mediante il lungo, aspro, austeroprocesso di autosuperamento proprio allo yoga, non è che una specie di accelerazione di qualcosa che accadràin via naturale a tutti gli esseri - è la «liberazione attuale» al luogo della «liberazione differita», onde tutto siriduce ad una quistione di... pazienza. Infatti la veduta del Vedanta è che il mondo, procedente da statinon-manifestati, in essi torni a sommergersi alla fine di un certo periodo, e ciò ricorrentemente. Alla fine di untale periodo tutti gli esseri, bon gré mal gré, saranno dunque liberati, «restituiti». Donde una nuova negazione:non solo manca ogni reale, soprapersonale giustificazione allo sviluppo, ma la stessa libertà è, in ordine adesso, negata: gli esseri in ultima istanza sono fatalmente destinati alla «perfezione» (crediamo sia pennessodare questo attributo, questa «relatività» al non-manifestato rispetto al manifestato, dal momento che non si ècosì non-dualisti da non distinguere quello da questo); veduta, questa, che contrasta con molte altre dellastessa sapienza indiana - specie del buddhismo - in cui invece è vivissimo un senso tragico dell'esistenza, ilconvincimento che se l'uomo non si fa il salvatore di sé stesso, nulla mai potrà salvarlo, che soltanto la suavolontà può trarlo via dal destino della generazione e della corruzione (samsara) in cui altrimenti permarrebbeper l'eternità.

***

Crediamo che non vi sia bisogno di aggiungere altro per rendersi conto del senso di ciò che il Vedantavuole. Ciò che è certo, è che esso non è assolutamente ciò che noi vogliamo. E quando un «profano» cidicesse che se questa - questo nihilismo della realtà, dei valori e dell'individualità - è la «metafisica», egli di talemetafisica non sa proprio che farsene, non bastandogli né servendogli, noi, davvero, non sapremmo comedargli torto. Certamente, qui abbiamo trascurati diversi elementi positivi contenuti nel Vedanta (per i quali

Page 8: 7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

pertanto non è che quelli negativi già riscontrati cessino di essere tali); ciò sia perché tali elementi noncostituiscono quantò vi è di specifico nel Vedanta, ma sono comuni ad altre tradizioni esoteriche e specialmentea quelle che abbiamo chiamate magiche; sia perché si deve insistere su ciò che l'Oriente ha di negativo dicontro a chi, come il Guénon, nell'Occidente non vuole vedere nulla di positivo.E si badi: chi scrive ha per l'Oriente la massima considerazione e ad esso è stretto da vincoli molto più profondidi quanto non possa a tutta prima apparire. Solo che egli non può e non vuole procedere dogmaticamente:tanto l'Oriente che l'Occidente vanno sottoposti ad una critica che sia nell'uno che nell'altro separi il positivo dalnegativo. Soltanto dopo una tale separazione - a dir vero da operarsi con lo spirito più scevro di pregiudizi e dismanie polemiche più o meno femminili - si può pensare alla sintesi: a quella sintesi che, forse, è problema divita e di morte, sia per l'una che per l'altra cultura. In relazione ad essa, due ci sembrano i punti fondamentali:la coscienza razionale, il puro livello logico e discorsivo - in cui è il culmine della civiltà occidentale - vasuperato. Ma ciò che sta davvero di là dal concetto non è il «sentimento» come non è né la moralità, né ladevozione, né la contemplazione e l'immedesimazione «intellettuale». Ciò che sta di là dal concetto è invece lapotenza. Di là dal filosofo e dallo scienziato non vi è il santo, l'artista, il contemplatore-ma il mago: ildominatore, il Signore. In secondo luogo: la coscienza extravertita, perduta nel mondo materiale e facente di questo l'ultima istanza, vatrascesa. Ma questo superamento non deve essere ascesi, distacco, fuga dalla realtà, fede sognante nei cieli esommersione intellettuale nell'«Identità suprema»: deve essere invece immanente risoluzione del mondo nelvalore, spirito che va a fare della realtà la espressione stessa della perfezione della sua attualità. La realtà delmondo va riconosciuta e, a dir vero, come quella del luogo stesso ove da un uomo si trae un Dio, dalla «terra»un «Sole». Queste due esigenze trovano la loro migliore espressione in due massime, che, di proposito, nontraiamo, come potremmo, da «profana filosofia occidentale», sibbene da un sistema metafisico orientale -quello dei Tantra:«Senza çakti (= potenza) la liberazione è mera burla».«O signora del Kula! In Kuladharma (via tantrica della potenza) il fruimento diviene realizzazione (yoga)perfetta, il male si fa bene e il mondo stesso diviene il luogo della liberazione».

Maya Shakti

Page 9: 7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

II) La replica di Guenon

Ed ecco la replica di Guenon. A nostro parere insoddisfacente, perchè, nonostante le apparenze, non rispondead alcuna delle obiezioni rivoltegli da Evola. Ad es. pretende di respingere l'accusa di "razionalismo" (nel sensoche Evola aveva precisato), semplicemente...definendo il termine razionalismo in modo diverso! E' del tuttoovvio che Guenon non fosse razionalista nel senso che lui intende, ma ciò a cui avrebbe dovutorispondere era, invece, se per caso lui (e il Vedanta) potevano dirsi o meno razionalisti nel senso diEvola. Guenon continua poi con analoghi argomenti elusivi, che potranno valutarsi meglio dopo la replica diEvola; eppure aveva avuto diversi mesi per preparare una risposta adeguata. Poco raffinato poil'atteggiamento reiterato a difendersi dalle critiche altrui, dicendo semplicemente che sono gli altri anon capire. Atteggiamento che diversi seguaci dell'autore francese hanno poi pedestremente (e nonmeno sgradevolmente) copiato.

RENÉ GUÉNONA PROPOSITO DELLA METAFISICA INDIANA: UNA RETTIFICA NECESSARIAL'Idealismo Realistico, Anno III. n° 9-10 (1-15 maggio 1926)

Nell'articolo comparso in queste stesse pagine (n. 21-24 del 1925) a proposito del nostro libro sopra il Vèdanta,(1) J. Evola ha commesso un certo numero di errori assai singolari; non li avremmo rilevati se si trattasse solodi noi, ma, e questo è assai più grave, essi vertono sopra la interpretazione della dottrina stessa che abbiamoesposto, e perciò non ci è possibile lasciarli passare senza apportarvi una rettifica.Già precedentemente, in un articolo pubblicato dalla rivista Ultra (settembre 1925), Evola aveva creduto didovere incidentalmente prendere contro di noi la difesa della scienza occidentale attuale, di cui pertantoriconosce sotto certi rispetti l'insufficienza, e ci aveva, nel medesimo tempo, trattato di «razionalista». Questoabbaglio, verificandosi a proposito di un libro (Orient et Occident) in cui avevamo denunciato precisamente ilrazionalismo come uno dei principali errori moderni, è veramente stupefacente. Ora, vediamo che il rimproverodi «razionalismo» vien rivolto allo stesso Vedanta; è vero che questa parola è forse distolta dal suo vero senso,e che in ogni caso la definizione che ne vien data, in termini visibilmente presi a prestito dalla filosofia tedesca,è lungi dall'esser chiara. Eppure la cosa è ben semplice: il razionalismo è una teoria che pone la ragione al disopra di tutto, che pretende identificarla, sia alla intiera intelligenza, sia almeno alla parte superioredell'intelligenza, e che, per conseguenza, nega od ignora tutto quello che oltrepassa la ragione. È questo ungenere di concezioni proprio della filosofia profana, e d'altronde specificatamente moderno; Descartes è ilprimo autentico rappresentante del razionalismo. Non vediamo che possa trattarsi di altra cosa che non questa,tanto più che Evola ha cura di precisare che intende parlare «del razionalismo come sistema filosofico»; ora, ilVedanta non ha nulla in comune con un «sistema filosofico» qualunque, e noi abbiamo molto spesso fattoosservare che le etichette occidentali non potrebbero in nessun modo venire applicate alle dottrine metafisichedell'Oriente.In verità, Evola è molto più vicino di noi ad ammettere le pretese del razionalismo, perché si rifiuta di vedereuna differenza tra la ragione, e quel che abbiam chiamato l'«intellettualità pura»; egli mostra così moltosemplicemente di ignorare affatto che cosa è quest'ultima, sebbene affermi il contrario in maniera assaiimprudente. Se l'espressione di «intellettualità pura» gli dispiace ne proponga un'altra in sostituzione; ma conquale diritto accampa la pretesa che essa, nell'uso che ne facciamo, significhi tutt'altro di quello che noiabbiamo così voluto designare? Noi continuiamo a sostenere che la conoscenza metafisica è essenzialmente«sopra-razionale», essa è tale o non è, ed il solo sbocco logico del razionalismo è la negazione dellametafisica.Ecco d'altronde, sul carattere di questa conoscenza metafisica, un altro e non meno deplorevole errore: per ilfatto che, conformemente alla dottrina hindu, parliamo di conoscenza pura e di «contemplazione», J Evolas'immagina che si tratti di un'attitudine puramente «passiva», mentre è esattamente il contrario. Una delledifferenze fondamentali tra la via metafisica e la via mistica sta anzi in questo che la prima èessenzialmente attiva, mentre la seconda è essenzialmente passiva; e questa differenza è analoga,nell'ordine psicologico, alla differenza che passa tra la volontà ed il desiderio. Si noti bene che diciamoanaloga e non identica, prima di tutto perché qui si tratta di conoscenza e non di azione (non bisognaconfondere «azione» ed «attività»), eppoi perchè quello di cui parliamo è affatto fuori del dominio dellapsicologia; ma non è meno vero che si può considerare la volontà come il motore iniziale della realizzazionemetafisica, ed il desiderio come quello della realizzazione mistica.Questo, del resto, è tutto quello che possiamo concedere al «volontarismo» di Evola, la cui attitudine a questoriguardo non ha sicuramente nulla di metafisico nè, comunque ne pensi, di iniziatico. L'influenza esercitatasopra di lui da filosofi tedeschi quali Schopenhauer o Nietzsche è assai appariscente, molto più di quella delTantra di cui si fa forte, ma che non pare comprenda meglio del Vedanta e che vede presso a poco comeSchopenhauer vedeva il Buddismo, vale a dire attraverso a delle concezioni affatto occidentali. La volontà,come tutto quello che è umano, non è che un mezzo; la sola conoscenza è fine a se stessa; e, beninteso, qui

Page 10: 7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

parliamo della conoscenza per eccellenza, nel senso vero e completo di questa parola, conoscenza«sopra-individuale», quindi «non umana», secondo l'espressione hindu, e che implica l'identificazione conquello che è conosciuto. Su questo, il Vedanta ed il Tantra, per chi ben li comprenda, vanno perfettamented'accordo; certamente vi sono tra essi delle differenze, ma che vertono in somma solo sui mezzi dellarealizzazione; perché mai Evola si sforza di trovare una incompatibilità che non esiste tra questi diversi punti divista? Voglia ben riportarsi a quello che abbiam detto dei «darshanas» e dei loro rapporti nella nostraIntroduction générale à l'étude des doctrines hindoues. Ognuno può seguire la via che meglio gli conviene,quella ch'è più adatta alla sua natura, perché tutte conducono al medesimo fine; e, quando si sia sorpassato ildominio delle contingenze individuali, le differenze scompaiono.Noi sappiamo almeno, così come Evola, che vi sono parecchie tradizioni iniziatiche, che sono precisamentequeste varie vie cui abbiamo or alluso; ma esse non differiscono che nelle forme esteriori, ed il loro fondo èidenticamente lo stesso, perchè la Verità è una. Naturalmente, così dicendo, supponiamo che si tratti di vere eproprie tradizioni o tradizioni «ortodosse», le sole che ci interessino; questa nozione dell'«ortodossia» non èstata compresa dal nostro contradittore, quantunque avessimo avuto la precauzione di precisare a parecchieriprese in quale senso bisognava intenderla, e di spiegare perché, in questo campo, ortodossia e verità nonsono che una sola e medesima cosa. Siamo rimasti stupefatti nel vedere affermare che per noi sono«eterodossi» il Tantra, il Mahàyàna... ed il Taoismo! Eppure abbiam dichiarato il più nettamente possibile chequest'ultimo rappresenta, in Estremo-Oriente, la metafisica pura ed integrale! Ed in L'Homme et son devenirselon le Vedanta, abbiamo anche citato un numero abbastanza grande di testi taoisti, per mostrarne la perfettaconcordanza con la dottrina hindu; Evola non se ne sarebbe dunque accorto? È vero che il Taoismo non è né«magico», né «alchimico», contrariamente a quello che egli suppone; noi ci chiediamo dov'è che ha potutofarsene un'idea così fantasiosa. Quanto al Mahàyana è una trasformazione del Buddismo per reincorporazionedi elementi presi in prestito alle dottrine ortodosse; e quello che abbiamo scritto è contro il Buddismopropriamente detto, eminentemente eterodosso ed antimetafisico. Infine, quanto al Tantra, bisognerebbedistinguere: esiste una moltitudine di scuole tantriche, di cui alcune sono di fatto eterodosse, almenoparzialmente, mentre altre sono strettamente ortodosse. Fino ad, oggi non abbiamo mai avuto l'occasione dispiegarci su questa questione del Tantra; ma Evola, il quale, per dirlo en passant, non afferra che moltoimperfettamente il significato della «Shakti», non ha senza dubbio osservato che noi affermiamo assai spessola superiorità del punto di vista shivaita sul punto di vista vishnuita; ciò avrebbe potuto aprirgli altri orizzonti.Naturalmente, non ci attarderemo qui nelle critiche di dettaglio, che procedono tutte dalla medesimaincomprensione; d'altronde ben poco convinti dell'utilità di certe discussioni, per mezzo di procedimenti trattidalla filosofia profana, e che non sono veramente al loro posto che in questa. Ci è stato insegnato, oramai giàda un pezzo, che vi sono delle cose che non si discutono; bisogna limitarsi ad esporre la dottrina come è, percoloro che son capaci di comprenderla, ed è quello che cerchiamo di fare nella misura dei nostri mezzi. A chicerca veramente la conoscenza, non si devono mai rifiutare gli schiarimenti ch'egli domanda, se è possibilefornirglieli, se non si tratta vogliamo dire di qualche cosa che sia assolutamente inesprimibile; ma sequalcheduno si presenta con un'attitudine di critica e di discussione, «le porte della conoscenza devonochiudersi dinanzi a lui»; d'altra parte a che servirebbe lo spiegare qualche cosa a chi non vuole comprendere?Noi ci permettiamo di invitare Evola a meditare su questi pochi principi: di condotta, che sono d'altronde comunia tutte le scuole veramente iniziatiche di Oriente e di Occidente. Ci limiteremo a rilevare alcuni esempii dimanifesta incomprensione: Evola parla dell'identificazione del «me» con Brahma, mentre si tratta del «Sé» enon del «me», e mentre che, se questa distinzione fondamentale non viene afferrata sin dall'inizio, nulla di quelche viene in seguito potrebbe essere non più afferrato. Egli crede che il Vedanta considera il mondo come un«nulla», seguendo l'interpretazione erronea degli Occidentali, che si pensano tradurre in questo modo la teoriadella «Illusione», mentre che questa significa solamente «realtà minore», vale a dire realtà relativa epartecipata, in opposizione alla realtà che non appartiene che al Principio supremo. Egli rende «stato sottile»con «corpi sottili», mentre che abbiamo fatto osservare che in nessuna maniera potrebbe trattarsi di «corpi»,contrariamente alle concezioni fantasiose degli occultisti e dei teosofisti, e che d'altronde, nell'assieme dellamanifestazione formale o individuale, lo «stato sottile» s'oppone precisamente allo «stato corporeo». Egliconfonde anche «salvezza» e «liberazione», quantunque noi abbiamo spiegato che queste sono due coseessenzialmente differenti e che non si riferiscono affatto al medesimo stato dell'essere (pp. 187 e 218 dellanostra opera); e, cosa che è anche meglio, egli scrive che, per il Vedanta «alla fine di un certo periodo, tutti gliesseri, bon gré mal gré, saranno liberati», mentre noi abbiamo citato (p.191) questo testo che dice il contrario inun modo sufficientemente esplicito: «Alla dissoluzione (pralaya) dei mondi manifestati, l'essere è immerso nelseno del Supremo Brahma; ma, anche allora, può essere unito a Brahma nel medesimo modo solamente chenel sonno profondo (vale a dire senza la realizzazione piena ed effettiva della Identità Suprema)». Ed, a scansodi equivoci, aggiungemmo una spiegazione sopra la comparazione qui fatta col sonno profondo, e che indicache in simile caso vi è ritorno ad un altro ciclo di manifestazione, di dove risulta che lo stato dell'essere di cui sitratta non è affatto la «liberazione». Decisamente, bisogna dire che Evola, malgrado la sua intenzione di parlaredel nostro libro, non lo ha letto che molto distrattamente!Per parlare francamente, diremo che quello che sopratutto manca ad Evola, è una coscienza netta delladistinzione tra il punto di vista iniziatico ed il punto di vista profano; s'egli avesse questa coscienza, non limescolerebbe costantemente come fa, e nessuna filosofia avrebbe influenza sopra di lui. Ben sappiamo chepotrà rispondere, come l'ha già fatto capire, che egli non prende il linguaggio filosofico che come un semplice

Page 11: 7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

mezzo di espressione; probabilmente è anche con tutta sincerità persuaso che così è, ma ciononostante, perconto nostro, non ci crediamo per niente. Del resto, il solo fatto di scegliere, fra tutti i possibili modi diespressione, quello che è meno appropriato, il più inadeguato, il meno capace di rendere le cose di cui si tratta,perché queste cose appartengono a tutt'altro ordine di quello pel quale esso è specialmente fatto, questo solofatto, diciamo, prova una mancanza di discernimento delle più deplorabili. Il più straordinario, è che Evolaafferma che il nostro libro sul Vèdanta «non è che una esposizione filosofica», ed aggiunge che «spera che noine siamo coscienti» (ci chiediamo che cosa possa importargliene); tutto al contrario, noi lo neghiamoformalmente, perché nulla potrebbe essere più opposto alle nostre intenzioni, che dopo tutto dobbiam beneconoscere meglio degli altri, che il parlare «filosoficamente» delle cose che non hanno alcun rapporto con lafilosofia; e ripeteremo una volta di più, in questa occasione, che ogni espressione, verbale od altra, non ha pernoi che un valore esclusivamente simbolico. Noi intendiamo sempre metterci sul terreno puramente metafisicoed iniziatico, e nulla potrà farcene escire, neppure le critiche formulate sopra un altro terreno, e che, per ciòstesso, battono necessariamente in falso; Evola non si dubita che le questioni non si pongono affatto nelmedesimo modo per lui e per noi, e che certe difficoltà «filosofiche» che egli solleva non hannometafisicamente alcun senso, perché i termini stessi in cui vengono espresse non corrispondono più a nullaquando si vuole farne la transposizione in un ordine superiore.Non aggiungeremo che un'ultima osservazione: non spetta ad Evola il dire che «noi avremmo fatto meglio ariflettere un poco di più» a certe cose, perché egli non ha, come noi, lavorato e riflettuto sopra queste questionidurante più di quindici anni prima di decidersi a pubblicare il suo primo libro. Egli è molto giovane, e questo èsenza dubbio quel che lo scusa; ha ancora molte cose da imparare, ma ha il tempo dinanzi a sé e potrà forseapprenderle... a condizione, tuttavia, che cambi un pocolino d'attitudine e che non si immagini di sapere di giàogni cosa!

(1) L' homme et son devenir selon le Vedanta. Ed. Bossard. Paris. 1925.

III) La controreplica di Evola

Nello stesso numero de L'Idealismo Realistico, nel quale venne pubblicata la replica di Guenon, comparveanche la seguente controreplica di Evola.

Al Guénon facciamo, a nostra volta, rilevare quanto segue:1) Che prima di usare una parola, siamo abituati a definirla. Ora come razionalistico abbiamo definito ogniatteggiamento che «crede a leggi esistenti in e da se stesse, in principi che sono quelli che sono,inconvertibilmente; che intende il mondo come qualcosa in cui tutto ciò che è contingenza, tensione, oscurità,arbitrio, indeterminabiIità non ha alcun posto». Ci dica il G. se pensa il contrario e se, pensandolo, si restinell'ambito del Vedanta - altrimenti la sua protesta resta puro suono.E che la «realizzazione meta-fisica» sia essenzialmente soprarazionale (nel senso tutto empirico di «ragione»usato dal Guénon), non ci sembra poter essere più recisamente affermato di chi, come noi, ha scritto pervenirvisoltanto «colui il quale ha la forza di prendere in blocco tutto ciò che è, sente e pensa, metterlo da parte, edandare innanzi».2) Se il G. intende la «realizzazione intellettuale» (con cui mutua quella meta-fisica) come qualcosa di«essenzialmente attivo», riflettente, in un certo senso, il modo della volontà, noi di certo ritiriamo lariserva fatta in proposito (consigliandogli pertanto il termine «attualità pura»); per riaffermarla, però, quandoci parla di una volontà che non ha scopo in sé, sibbene in una conoscenza. E qui «conoscenza»significhi pure «identificazione con l'oggetto conosciuto» - noi, di là da ciò, affermiamo un valoresuperiore: il dominio sull'oggetto conosciuto. E se al G. piace di credere che il nostro «volontarismo» nonha «nulla di iniziatico e di meta-fisico» (quasi che la potenza, di cui parliamo, fosse la volontà muscolare degliuomini!!), lo creda pure, noi non gli possiamo fare nulla che - lo dice esattamente lui stesso - non vi è modo difar capire a chi non vuole capire; e come lui minaccia, «chiudere le porte della conoscenza», noi chiudiamo leporte di qualcosa che stimiamo per assai più che non la sua conoscenza e qualsiasi altra.3) Non è il caso, su queste colonne, venire ad una rettifica circa le varie scuole orientali e la loro «ortodossia» omeno; p. e. di accennare che il giudizio di eterodossia del G. l'abbiamo riferito non al mahayana e al taoismo insé, sibbene a correnti magiche e alchemiche di queste scuole che se il G. (come sembra) non conosce,potremo quando vuole fargliele conoscere noi, conducendolo per mano. Rileviamo soltanto che il G. non harisposto alla nostra quistione fondamentale, se una dottrina la si accetterà per vera per il semplice fatto che ètradizionale, ovvero se lasceremo giudicare il valore della tradizionalità dall'immanente verità della dottrina; cheil G. resta invece fermo ad un puro autoritarismo che fa credito a se stesso e per salvare l'unità delletradizioni iniziatiche ci fa un circolo vizioso: definisce a priori come non iniziatiche, profane, filosofiche,ecc. tutte quelle direzioni che non coincidono con il suo gusto o preconcetto.Quanto poi alla nostra pretesa incomprensione in fatto di sapienza indiana, e, in ispecie, tantrica, abbiamosufficienti assicurazioni da parte di persone che con essa hanno avuto diretti ed interiori rapporti, perché le

Page 12: 7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

insinuazioni che in proposito, con molta spensieratezza e senza l'ombra di una prova, avanza il G., ci lascino,anche rispetto agli altri, perfettamente calmi.4) Quanto a ciò che riguarda il rapporto o miscuglio fra filosofia ed esoterismo, si dovrebbe pregare il G. (e, conlui, chi ci legge) a rivedere ciò che, prevenendolo, abbiamo scritto in proposito nel saggio in quistione. Ma,anche qui, nessun peggior sordo di chi non vuoi sentire. Abbiamo p. e. detto che il «carattere trascendentedella realizzazione metafisica non deve divenire rifugio per uno sfrenato, dogmatico quanto arbitrario divagaresoggettivo»; abbiamo parlato di «alcuni begli spiriti dilettanti in occultismo (attenti a chi tocca!)» i quali «nonstanno zitti nel puro ineffabile, ma parlano; tuttavia quando si chiede loro che determinino bene il senso delleloro espressioni e rendano conto delle difficoltà che suscitano si traggono indietro vaporizzandosi di nuovo nelriferimento ad un puro intuire interiore, il quale resta così un fatto bruto che non rende conto di sé, che siimpone così poco quanto il gusto di uno a cui piace il formaggio di contro a quello di un altro, che preferisce lefragole»; abbiamo quindi posto il dilemma: «o si resta chiusi nell'ambito iniziatico, ovvero si parla. Ma se siparla, si è tenuti a parlare correttamente, ossia: a rispettare le esigenze logiche, a far vedere che l'oggetto dellarealizzazione metafisica sia pure per accidente dà reale soddisfazione a tutte quelle esigenze e quei problemi,che nell'ambito puramente umano e discorsivo sono destinati a rimanere puramente tali». Ora il G. non soloparla, ma scrive, ma si rivolge a tutto un pubblico, a tutta una cultura di cui fa la critica. Egli dunque non puòtrarsi indietro, non può cambiare giuoco, sottrarsi a quelle che sono le condizioni di un tale ambito. Ciò, conpiena astrazione di quel che noi possiamo rappresentare in un ambito che non si riduce precisamente a questo,e per cui non sentiamo affatto il bisogno di chiedere un qualunque riconoscimento al Guénon. Ora noidichiariamo che alle fondamentali difficoltà da noi oggettivamente rilevate nel Vedanta e alla sua esegesi daparte del G. -la pseudo-soluzione delle antinomie con i punti di vista, l'assurdo della pura attualità trascendente,della teoria della «realtà minore» e dell'«essere condizionato», il nihilismo di ogni valore, di ogni senso nellamanifestazione e nel divenire - il G. stesso non ha risposto nemmeno una parola, ma ha creduto concluderequalcosa con pseudo-rettifiche esteriori e quasi grammaticali, in nulla ledenti il nocciolo dell'argomentazione;oltre poi a prendere per «manifeste incomprensioni» di elementi della dottrina ciò che ne è semplicementel'approfondimento critico che, di certo, non può rispettare la forma ingenua e provvisoria in cui sono dati (e ciòsia detto per la distinzione fra «me» e «sé», per l'illusione come «realtà minore», per il sussistere di esseri nonidentificati nel pralaya e via dicendo).Potremmo, del resto, prendere atto della dichiarazione che egli fa dopo che gli abbiamo esplicitamente dettoche per noi filosofico significa qualcosa «che si presenti in modo intelligibile e giustificato». Dunque si tratta diun'opera inintelligibile e ingiustificata - per esplicita dichiarazione del suo autore. Il che ci lascia assai perplessiin quanto da una parte l'autore dichiara che «dopo tutto, le proprie intenzioni le conosce meglio di qualunquealtro», dall'altra noi di certo non ci sentiremmo (forse perché, a credere al G., non abbiamo letto attentamente ilvolume) di pronunciare proprio un tale apprezzamento su quel che scrive il G., per il quale nutriamo assai piùstima di quel che, forse, egli non supponga e non creda ricambiarci.Conveniamo di certo sulla scarsa utilità di polemiche su certe quistioni, specie quando esse, più che arimuovere, valgono ad aggiungere alle eventuali incomprensioni dell'una parte almeno altrettante dell'altra.Noi, naturalmente, abbiamo varie cose da sapere ancora - ma allo stesso modo che altre ne abbiamo dainsegnarne. Onde, quando credessimo che certi argomenti valessero uno jota, a chi ci rinfaccia la nostra età(senza saperne nulla di preciso, pertanto), potremmo rispondere che deve invidiarci pel fatto di avere noi, perimparare, un tempo che la canuta età di altri, che almeno altrettanto ne ha bisogno, non ha. E, quanto adattitudine, spetta forse più a cambiarne a chi sente il bisogno di parlare ex tripode, dall'alto di unautoritarismo intollerante e dogmatico - in verità più da pastore protestante che da quel serio studiosodi cose iniziatiche che, con le dovute riserve, continuiamo a riconoscere nel G.

IL DIBATTITO

Page 13: 7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

Atma Gita

Tarquinio Prisco: Praticamente Evola volge in una forma filosofica occidentale la stessa critica che inIndia lo Çakti-Tantra rivolgeva da secoli al Vedanta. Sono perciò fuori strada quegli autori che hannopreteso che la critica rivolta, in tale saggio, a Guenon e al Vedanta fosse unicamente espressione di una fase"filosofica" di Evola poi "superata".Ea: Guenon ha scritto:"... il Vedanta ed il Tantra, per chi ben li comprenda, vanno perfettamente d'accordo;certamente vi sono tra essi delle differenze, ma che vertono in somma solo sui mezzi della realizzazione;perché mai Evola si sforza di trovare una incompatibilità che non esiste tra questi diversi punti di vista? Vogliaben riportarsi a quello che abbiam detto dei «darshanas» e dei loro rapporti nella nostra Introduction générale àl'étude des doctrines hindoues. Ognuno può seguire la via che meglio gli conviene, quella ch'è più adatta allasua natura, perché tutte conducono al medesimo fine; e, quando si sia sorpassato il dominio delle contingenzeindividuali, le differenze scompaiono. Noi sappiamo almeno, così come Evola, che vi sono parecchie tradizioniiniziatiche, che sono precisamente queste varie vie cui abbiamo or alluso; ma esse non differiscono che nelleforme esteriori, ed il loro fondo è identicamente lo stesso, perchè la Verità è una. Naturalmente, così dicendo,supponiamo che si tratti di vere e proprie tradizioni o tradizioni «ortodosse», le sole che ci interessino".I darshana sono, nell'ambito della tradizione indù, i punti di vista ortodossi, cioè quelli che non contraddicono iVeda. Su questa "non-contraddizione" bisogna però intendersi. Assai spesso i testi sacri non scendono neidettagli riguardo a questioni dottrinarie: non solo i Veda sono così, ma anche ad es. i due Testamenti e ilCorano. Una dottrina è perciò un punto di vista "ortodosso", quando non contraddice i passi del testo sacrostesso. Nell'ambito della teologia cristiana, ad es., ci si riferì inizialmente ai filosofi neoplatonici, poi a Platone,poi ad Aristotele, adeguando, in tutti i casi, l'esposizione in modo che non contraddicesse le scritture. In India èavvenuto qualcosa di analogo. Il fatto che i vari darshana non contraddicano i Veda (per la genericaesposizione dottrinaria dei Veda stessi) non implica che essi non giungano invece a contraddizione traloro, proprio perchè, a differenza dei Veda, essi sviluppano analiticamente la dottrina fino ai dettagli. Guenon fa proprio il punto di vista del Vedanta monistico di Shankara, assumendo che gli altri darshana nonsiano altro che punti di vista parziali, rispetto al Vedanta monistico medesimo. Inutile dire che in India i seguacidegli altri darshana non sono affatto d'accordo nè con Shankara, nè con Guenon e, in particolare, la polemicadello Shakti-Tantra con il Vedanta di Shankara è ben nota. Che tutte le vie conducano al medesimo fine èdiscutibile. Come Evola mise in evidenza nella sua replica, non la contemplazione o la susseguente"identità" è la finalità della via magica, ma il dominio. Guenon non comprese mai pienamente la viamagica, perchè tendeva ad identificarla prevalentemente con la "bassa magia", avendo dell' "alta magia"scarsa cognizione, soprattutto per il fatto di non esservi versato.

Page 14: 7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

Tarquinio Prisco: Evola dice nella sua recensione dell'opera di Guenon: "Dunque: che cosa dice il Vedanta sulmondo, sull'uomo e sul suo divenire? Anzitutto si ha il presupposto ottimistico 'che esista un Dio' cioè chel'insieme contingente e fenomenico delle cose non sia ciò che staprima, ma soltanto l'aspetto accidentale di un tutto che, attualmente, è già perfetto e compreso in un superioreprincipio. Che questo sia un mero presupposto, e che qui il Guénon faccia assai poca attenzione alla teoriadella conoscenza propria agli Indiani, ognuno lo può vedere da sé non appena sappia che per l'Indianoqualcosa non è vero, che quando venga sperimentato attualmente. Nel nostro caso: nessuna certezza di Dio,fuori da quella esperienza dell'Io che lo abbia per contenuto. Ora poiché una tale esperienza non è immediata egenerale ma per giungere ad essa occorre un certo processo, non vi sono argomenti dimostrativi per affermareche Dio esista già (e quindi che il processo sia semplicemente riconoscitivo) anziché venir dopo, come unrisultato di questo processo che ha fatto divino qualcosa che non era tale".Sempre Evola, nel saggio "Cosa vuole l'antroposofia di R. Steiner" (Ignis 6-7 1925), dice analogamente:"...Steiner dà dei metodi, seguendo i quali, ognuno può anche lui riuscire a vedere quel che l'altro vede. Con ilche la quistione è semplicemente spostata: poichè una tale visione non è immediata e universale ma pergiungere ad essa occorre un certo processo, non vi sono argomenti dimostrativi per affermare che quanto adessa corrisponde non sia creato da questo processo stesso". L'accusa che muove a Guenon (e al Vedanta) ea Steiner è praticamentela stessa: essi porrebbero come dato qualcosa che, dal punto di vista magico, è invece semmai ilrisultato di un processo. C'è da chiedersi come mai, in genere, egli si mostri più severo con Steiner anzichècon Guenon, visto che l'accusa è pressochè la medesima.Sadescan: Come ho accennato in un precedente messaggio, Evola rimproverava a Steiner di aver ostentato irisultati della sua personale veggenza. Ho anche evidenziato, in quella sede, i motivi che avevano indottoSteiner a comportarsi così (il suo agire in un ambiente influenzatodal teosofismo anglo-indiano). Che si sia trattato di motivi del tutto contingenti è dimostrato dal fatto che, ingenerale, i seguaci di Steiner, a cominciare da quelli italiani, non sussistendo più quei motivi, hanno al contrarioassunto, per quanto riguarda le loro esperienze interiori, un atteggiamento di riserbo. D'altro canto ad Evola nonpiaceva neppure un esasperato "mutismo" alla Guenon, esteso agli stessi metodi della disciplina interiore.Scrive ad es. in "Sui limiti della regolarità iniziatica" (Introduzione alla Magia, vol III): "Nei libri del Guenon,purtroppo, non si trova nulla circa quel che può essere una disciplina attiva di preparazione, la quale, in certicasi, può condurre perfino, senza soluzione di continuità, alla stessa illuminazione: allo stesso modo che ilGuenon nulla indica, come discipline concrete, quanto all'opera di attualizzazione che dell'iniziato virtuale fa uniniziato vero e, alla fine, un adepto. Come si è detto, il dominio del Guenon è quello della semplice dottrina,laddove a noi interessa essenzialmente quello della pratica." E della pratica steineriana, insegnata daColazza, Evola si interessò approfonditamente, come dimostrano molte monografie di Ur, anche perchèSteiner non fu certo il creatore di quella pratica, ma piuttosto il trasmettitore e forse l'adattatore di essaall'uomo dei tempi ultimi. Quella pratica provenendo da ambienti rosacrociani, taluni dei quali (e non imeno importanti) connessi all'Italica Schola.Tarquinio Prisco: A chiunque sia stanco di visioni limitate, "ad usum delphini", della tradizione indù, così comela presentano svariati orientalisti sia accademici, sia non accademici (come Guenon) e voglia farsi un ideaeffettiva della complessità dottrinaria di tale tradizione, consigliamo la lettura del "Manuale delle TeologieInduiste" di Josè Pereira, Roma 1979. Purtroppo sono rimasti vittime delle suddette visioni limitate ancheautori di notevole valore. Un esempio è costituito dal volume dello studioso di storia delle religioni WalterHeinrich "Verklärung und Erlösung in Vedanta, Meister Eckhart und Schelling". Tale volume venne recensito intermini abbastanza favorevoli da Evola, nella rivista "East and West" del Giugno-Ottobre 1960. Si tratta di un testo audace, che mette in evidenza le concordanze tra le dottrine del Vedanta, di Eckhart e diSchelling: una comparazione che certamente avrebbe fatto inorridire Guenon. Il testo, perciò, ha il merito didimostrare indirettamente ai guenoniani tutta la limitatezza di vedute del loro maestro. Ha però un difetto,evidenziabile già dal titolo: riguardo alla tradizione indù, accoglie, in pratica, la visione ristretta di Guenon.Certo, se avesse considerato le dottrine Indù in tutta la loro effettiva complessità come fa Pereira, Heinrichavrebbe probabilmente scritto un opera ben più ponderosa, ma , nello stesso tempo, di ben più alto valore.Questo dimostra tutta la difficoltà di applicare in maniera non arbitraria quello che Heinrich definisce "metodotradizionale", dal momento che esso, come lo presenta l'autore, si fonda su due principi a volte contrastanti:1) l'intuizione essenziale di un contenuto che idealmente precede le parti, contenuto che la ricerca comparativadeve servire ad illustrare.2) il metodo "fenomenologico", in base al quale l'evidenza deve parlare da sé stessa e non si deve aggiungerenulla di estraneo e di personale.In molti casi, come quello della tradizione Indù, occorrerebbe, invece, prima adoperare il metodo fenomenologico a tutto campo, in modo da farsene un'idea veramente complessiva e solo dopo tentarequell'intuizione essenziale di cui parla Heinrich.Rexlukos: ho letto con attenzione la diatriba tra Evola e Guènon sul Vedanta e le altre considerazioniconnesse, e permettetemi di formularvi delle domande. Tali divergenze sono manifeste di un diversoorientamento personale, che se per Guènon è puramente contemplativo, da brahmana, per Evola è attivo,operativo, da guerriero: non pensate che ci sia stata una giusta complementarietà (Dottrina e Metodo?), Tarquinio Prisco: No, perchè non vi è alcuna complementarità tra la dottrina di Guenon e il metodo di Evola.

Page 15: 7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

La dottrina di Guenon, dopo aver invano cercato sbocchi Martinisti, Gnostici, Cattolici, Massonici (tutte vie per lequali Guenon non era portato e verso le quali si comportò come quella volpe che, non riuscendo a raggiungerel'uva, la disprezzò dicendo che era acerba,) trovò come rifugio l'islamismo. Evola non ha alcun bisogno diessere supportato dottrinariamente da Guenon, essendo superiore a lui almeno di una spanna. E poi ce lo vedete Evola che ripete giaculatorie islamiche ed inneggia ad Allah?Rexlukos: E della definizione evoliana riferita a Guènon ("Maestro senza pari")? Non pensate che col tempo econ una maggiore conoscenza certe divergenze si siano placate, si siano chiarite? Tarquinio Prisco: Non si è chiarito un bel niente (visto anche che Guenon morì ben prima di Evola). Se siprova a leggere ciò che dice Evola sul Vedanta in opere mature, come "Rivolta contro il mondo moderno"o "l'Arco e la clava", si trovano affermazioni perfino più nette di quelle dette durante la prima polemicasul Vedanta. Inutile dire che anche le divergenze fondamentali sul concetto di iniziazione, già presenti in"Introduzione alla Magia", si fanno più nette ad es. in "Cavalcare la Tigre".Rexlukos: Qualcuno ha giustamente fatto riferimento alla Schola Italica: ma ci ricordiamo dei rapporti di Reghini e Armentano con Guènon? Ci ricordiamo dei rapporti tra De Giorgio (definito il miglior discepolo diGuènon in Italia) ed Evola (in Ur, La Torre, ...)? Ritengo che tutta la faccenda sia da inquadrare in un'otticaunitaria, di giusta complementarietà, ove ogni cosa deve ricoprire il suo giusto dominio, nella differenza che siannulla nell'Unità. Tarquinio Prisco: Li conosciamo benissimo. Se Guenon fosse stato un po' meno superbo avrebbe scelto Armentano come maestro. Reghini ebbe la modestia di farlo, nonostante fosse più anziano di Armentano enonostante il suo fiero carattere. Altro che passare dalla Massoneria all'Islam, adducendo che la prima gliaveva dato solo una iniziazione virtuale! Lungi da appianare le divergenze, Evola prese infine le distanze daDe Giorgio e da quello che Evola definì "cristianesimo vedantizzante"[vedi ne "Il Cammino del Cinabro" il cap. "Le esplarazioni delle Origini e la Tradizione"], sia per la dottrina (ad Evola il Vedanta non andava giù innessuna salsa) sia per certi atteggiamenti poco equilibrati ("da iniziato allo stato selvaggio") di De Giorgio(motivo non ultimo del suo fallito tentativo di influenzare Mussolini). Noi la pensiamo come Evola e nonvogliamo che nessuna differenza si annulli in una unità indifferenziata, nella quale "tutte le vacche sono nere".Rexlukos: Un'ultima cosa: nell'ultimo testo di Guènon, edito da Atanor, sulla tradizione occidentale,nell'epistolario con Reghini, vi è un giudizio su Evola alquanto sprezzante...non credete che nel tempo le cosesiano cambiate? Tarquinio Prisco: Sicuro! Guenon è morto ed Evola è vissuto abbastanza a lungo da perdonare l'offesaricevuta.Rexlukos: Anche sullo scottante tema cristianesimo-paganesimo-tradizione, non sempre i personaggi hannomanifestato le medesime riflessioni (si guardi Evola in Imperialismo Pagano e in Maschera e Volto, e Guènon inIntroduzione generale alle dottrine indù e dal Re del Mondo in poi): che ne pensate? Io ho sempre creduto in unprocesso di maturazione e di unità, cioè il riaccendersi della vero Fuoco di Vesta, della Sophia Perennis.Tarquinio Prisco: La Sophia Perennis non è mai morta, nonostante gli atteggiamenti da "ultimo deimohicani" di Guenon. Evola è stato di vedute senz'altro più larghe, ma era ben conscio della presunzione delcattolicesimo exoterico di poter far a meno dell'esoterismo. Purtroppo i cattolici esoterici del Gruppo di Ur (acominciare da De Giorgio) non erano che degli outsider, senza alcun peso nei confronti delle gerarchiecattoliche ufficiali. E oggi la situazione è forse migliore?Ea: Porgo il mio saluto al neo-iscritto Rexlukos, che è voluto entrare subito nella zona "calda" delleargomentazioni. Dietro ogni sua domanda si avverte l'eco di dibattiti durati mezzo secolo e che ci auguriamonon si trascinino per un altro...millennio. Questo forum si intitola "Gruppo di Ur", perchè l'epoca del gruppo di Ur fu un momento "magico", durante il quale tutte le componenti dell'Italica Schola si imposero diandare d'accordo. Tutta la loro produzione di quegli anni è superiore a quella degli altri periodi, perchèil confronto con gli altri induce a limare quei dettagli del proprio pensiero che non hanno realmente ache fare con l'esoterismo, ma che dipendono dagli aspetti semplicemente umani della propriaequazione personale. Tutto questo senza rinunciare al "proprium" della linea iniziatica di appartenenza.L'aver litigato prima con Reghini e poi l'esser entrato "in freddo" con molti altri membri del gruppo di Ur credeteche abbia giovato al pensiero di Evola? Si ritrovò solo, chiuso in uno sterile confronto con Guenon. Sterile comepuò esserlo quello tra due amici, uno contemplativo e uno mago, che hanno perciò diverse dottrine di partenzae diversi metodi. A chi pensa che tutte le vie "conducano a Roma", facciamo notare che la viacontemplativa può condurre solo al culmine dell'opera al bianco. A questo punto o il contemplativo siferma lì, oppure (come dice lo stesso esoterismo islamico e perciò Guenon avrebbe dovuto saperlo) occorre un cambio di "sessualità" interiore. L'anima, prima "femmina" nei confronti del contemplato, deve farsi"maschio", affinchè possa pervenire a quel dominio che è proprio dell'opera al rosso. Purtroppo è moltodifficile che un contemplativo, soprattutto agli inizi, si renda conto che la sua via può permettere solo un tratto distrada, donde quella sua presunzione che lo rende poco sopportabile da parte di chi abbia scelto di seguire dasubito la via magica. Si deve anche valutare quanto Guenon, islamico già nel 1912 e in rapportoepistolare con molti membri del gruppo di Ur, abbia influito con certe sue insinuazioni al "raffreddarsi"dei rapporti tra i membri del gruppo.Rexlukos: Rivolgendomi per primo a Tarquinio, mi permetto alcune osservazioni su quanto da lui scritto, sualcuni punti circostanziati. La critica a Guènon mi pare un po' troppo accesa e il debito che Evola ha semprericonosciuto verso l'esoterista francese (anche negli ultimi giorni della sua vita) non è da lui accettato: entrambi

Page 16: 7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

hanno sempre consigliato di vedere oltre le loro, le proprie equazioni personali. Ida La Regina: Come ha indicato Ea, fu proprio nel Gruppo di Ur, che si andò, sia pure per un breveperiodo, al di là dei limiti della propria equazione personale. Peccato che Guenon non ne fece parte. Anzi...brigò perchè non si costituisse. In una lettera datata Parigi 21 Aprile 1925, così scrisse Guenon a Reghini: "IlSig. de Giorgio mi chiede che valore può avere la traduzione del Tao fatta da Evola; non l'ho letta, però, in basea quanto Egli mi ha detto, non mi fido dato che l'autore non conosce la lingua. A proposito di Evola, a che puntosta il suo lavoro sul Tantra? Sarà senza dubbio una riproduzione più o meno arrangiata delle opere di Sir JohnWoodroffe; malauguratamente anchequest'ultimo sa ben poco di sanscrito e ciò che è ancora più singolare è che commette errori inverosimili anchequando scrive in inglese che,se non vado errato, è la sua lingua madre. Sembra che esista un'altra traduzione italiana del Tao fatta daEvans; la conoscete?". Rexlukos: Questa è la lettera sprezzante di Guènon su Evola, inviata a Reghini, che avevo indicato in un precedente messaggio, ma nel 1925 Ur non era sorto e tale riferimento non comprendo cosa c'entri conl'argomento trattato!??Ida La Regina: Quando si vuole che una cosa non sorga, si comincia ad agire prima (1925) che sorga (1927).Rexlukos: Io ti ripeto che il riferimento è alquanto fuori luogo, ma è solo un mio parere, figurati.Ida La Regina: Nella medesima lettera, qualche paragrafo prima, Guenon aveva cercato di sobillare Reghinicontro Steiner (appena morto e perciò non più in grado di difendersi), dicendo: "Non sapevo che Steiner fossemorto; credo che sarebbe bene cercare di stendere un articolo su di lui, dicendo chiaramente cosa ne pensate,senza preoccuparvi troppo dell'opinione della gente". Si dice che Guenon fosse islamico già dal 1912, ma agiudicare dalla sua "mala lingua" si direbbe invece che fosse uno degli...yezidi (ma non vorrei offenderli conquesto paragone).Rexlukos: Anche questo riferimento non comprendo cosa c'entri con Ur!??? Poi perchè sobbillare Reghinicontro Steiner? E' solo un invito a discrimanare il marcio (Maschera e Volto, Evola su Steiner). La critica e la "mala lingua" non sono assimilabili!Ida La Regina: Ti rammento (ma lo sai benissimo) che una forte componente di Ur era steineriana. E se Reghini si fosse pronunciato ufficialmente e pesantemente contro Steiner...addio gruppo! Rexlukos: Credo che un gruppo, specie magico come Ur, stia insieme per intima condivisione di unamedesima visione del mondo e della vita...e non per sopportazione! La critica ad espressioni neospiritualisteprecede tutti le argomentazioni sul gruppo.Rexlukos: Sul rifugio islamico di Guènon, come enunciato da Tarquinio, mi ritorna in mente lo studio del prof.Claudio Mutti sui rapporti tra Evola e l'Islam, che credo, uscirà nei prossimi di Camelot, il periodico di approfondimento tradizionale del Centro Studi Tradizionali Cuib Mikis Mantakas, in cui le varie "divergenze"evidenziate siano risolte e superate, specialmente sul concetto di iniziazione, ove Guènon espone la Dottrinaed Evola l'applicazione nel mondo occidentale (Metodo), cioè l'applicazione dei casi particolari in momentoparticolare come è il Kali-yuga.Turba Philosophorum: Nella Logica Tradizionale esiste una proprietà che viene detta "proprietà diidempotenza". Essa afferma che affermare una volta sola un enunciato è la stessa cosa che ripeterlo per nvolte (dove n è un numero intero grande a piacere) e che la ripetizione non cambia il valore di verità (Vero oFalso) dell'enunciato. Rexlukos continua a ripetere, senza portare argomenti probanti a sostegno, che quella diGuenon sarebbe "dottrina" è quella di Evola "metodo". Per quanto egli lo ripeta come uno slogan, il valore diverità dell'enunciato resta lo stesso: Falso. Infatti ridurre (come cercano di fare taluni appartenenti ad un certoambiente di Taranto) tutto l'imponente corpus di pensiero di Evola a semplice metodo applicativo delladottrina di Guenon è sminuire il pensiero stesso di Evola. Questi ha enunciato una dottrina perfino piùvasta di quella guenoniana ed è con questa in conflitto in più punti. E' merito poi di Evola, a differenzadi Guenon, di aver indicato, oltre che una dottrina, anche dei metodi. Evola ne "Il Cammino del Cinabro"(ediz. 1972 p. 13) parla di una "formulazione precipua da me data, nell'ultimo periodo della mia attività, al'tradizionalismo' in opposto a quella intellettualistica e orientaleggiante, della corrente facente capo a RenèGuenon". Evola dunque dice "in opposto" e non come pretenderebbero le suddette persone dell'ambiente diTaranto "come metodo a dottrina". Inoltre Evola dice "nell'ultimo periodo della mia attività" e non come essipretendono nel solo periodo giovanile, al quale sarebbe seguito uno di riavvicinamento a Guenon. Si fapresente (forse qualcuno non lo sa) che Evola nell'introduzione de "il Cammino del cinabro" per indicare lafinalità del libro dice. "L'intento è di fornire una guida a chi, interessandosi retrospettivamente all'insieme deimiei scritti e della mia attività, volesse orientarsi e stabilire quel che in essa può avere un significato nonsoltanto personale ed episodico". Dunque l'autore esprime esplicita volontà che quando certi suoiatteggiamenti, assunti in diverse circostanze, sembrassero in conflitto, siano le pagine de "Il Camminodel Cinabro" a decidere quale atteggiamento sia l'autentico e quale il "personale ed episodico".Ida La Regina: Raccomando a Rexlukos, se è uno studioso dell'Islam, la lettura della monumentale operasull'argomento di Leone Caetani.Rexlukos: L'Islam mi interessa come tutte le vie tradizionali, in uno studio comparativo, ma non è la mia via. Iltesto di Caetani l'ho letto, ma anche le controindicazioni del prof. Mutti, che mette in luce non pochi punti oscuri di tale personaggio. Su Armentano e Reghini, so, dai vari carteggi, che essi ebero in grande stima Guènon, e che lo stesso

Page 17: 7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

Armentano riconosceva un grande debito nei confronti sempre del Guènon, come Evola; ritengoun'esagerazione amplificare differenze che, se poste come sono state poste, non credo avrebbe prodotto rapporti così cordiali, di debito iniziatico, come è facile riscontrare dai documenti.Ida La Regina: Dovresti abituarti a citare per esteso i documenti di cui parli, come fanno tutti gli studiosi delnostro gruppo: è un modo di essere realmente di aiuto agli altri e soprattutto impedisce a chiunque diraccontare le cose...a modo suo.Rexlukos: Accolgo l'invito: su certe questioni è utile la lettera de "Il figlio del Sole", un testo dedicato ad ArtutoReghini, Ignis Edizioni.Ida La Regina: Un testo valido, ma parla soprattutto di Reghini. Per farsi un idea autentica su Armentano e suisuoi rapporti con Guenon, suggerirei piuttosto "Massime di Scienza Iniziatica", sempre delle edizioni Ignis. Rexlukos: Anche!Turba Philosophorum: Riguardo al debito iniziatico (addirittura!) che Reghini ed Armentano avrebberocontratto con Guenon, Rexlukos viene contraddetto dai testi che lui stesso cita. Infatti ne "Il Figlio del Sole"(Ediz. Ignis Ancona, 2003) viene esplicitamente detto. "L'amicizia tra Guénon ed Armentano risale al tempo incui l'iniziato calabrese frequentava i circoli esoterici di Parigi (anni '10) e ne abbiamo notizia anche da GiulioGuerrieri, un esoterista molto intimo di Arnentano e di cui Guénon era amico fratemo già da tempo. Alcunelettere di Guénon ad Arnentano evidenziano altresì una viva ammirazione del francese per l'amico calabrese eper le sue riconosciute doti spirituali. Altrettanto disinteressata e sincera fu l'amicizia di Guénon verso Reghini,nata e sviluppatasi al tempo del Rito Filosofico Italiano, anche se non andò mai oltre i termini di un reciprocoapprezzamento per il comune lavoro filosofico e letterario; entrambi, inoltre, erano fortemente attratti dallascienza dei numeri e dalla geometria. E' perciò da escludere un' influenza, anche indiretta, di Guénon suReghini (a non essere lo scambio di informazioni tra studiosi delle stesse discipline), il quale ultimoanzi guardingo e sospettoso come sempre sulle cose "esoteriche" provenienti d'oltr'alpe, nel 1922annotava con stupore che l'esoterista ftancese si era dimenticato di inserire nell' elenco delle tradizioniiniziatiche d'Occidente degne di essere ricordate proprio quella italica, mentre non gli era sfuggitaquella druidica!".Rexlukos: Un'ultima cosa su De Giorgio (che era consapevole quanto Evola e Guènon dell'involuzioneecclesiastica...ma lo spirito di una via permane al di là delle forme contingenti...assurgendo con Dante ad un'espressione eccelsa di UniversalitàRomana...altra cosa dalla "indifferenzazzione delle vacche"): i commenti di Evola riportati sono i segni di unanormale diversità, come è giusto che vi sia in un due persone che seguono vie tradizionali diverse, ma segno di grande rispetto, di grandissimo rispetto: non dimentichiamoci come Evola volle fortemente lapartecipazione di De Giorgio a La Torre e in seguito spesso si dolse della sua poca prolificità editoriale,invitandolo più volte a varie collaborazioni. Ida La Regina: Anche qui si dovrebbe...citare. Scrive Guenon a De Giorgio, in una lettera datata Parigi, 18Dicembre 1928: "Ho ricevuto una lettera di Evola, in cui c'è un passaggio che vi riguarda; ve la trascrivotestualmente: - Avrà visto che Ur 3-4 comincia con un articolo cheè una riduzione di quello che, a suo tempo, De Giorgio mi mandò. Avendo presa tale riduzione direttamentesotto nostra responsabilità.Lei potrà vedere che nei punti principali non si era certamente in contrasto con De Giorgio, ma solamente sualcune sfumature, su alcunimodi di presentazione che avrebbero nuociuto all'unità della rivista e che ora sono stati eliminati. Questapubblicazione può dunque servirle come un punto di orientamento maggiore nei nostri riguardi e nei nostrirapporti -. Evola censurava gli scritti di De Giorgio, altro che...scarsa prolificità.Rexlukos: Anche qui non comprendo il riferimento: censura e prolificità non sono sinonimi; la correzione deitesti di Ur da parte di Evola è tutt'altro discorso! E' sufficiente leggere, su quanto ho scritto, le introduzioni a La Torre e all'ultima edizione deLa Tradizione Romana di De Giorgio , o ancora Prospettive sulla Tradizione, Il Cinabro Edizioni.Ida La Regina: La censura di Evola non stimolava certo De Giorgio ad essere prolifico. Se hai letto bene il mioprecedente messaggio, sai benissimo che non si trattava di semplici "correzioni" di bozze, ma di "tagli"cospicui, tanto da ritenere importante farlo sapere a Guenon e, per il di lui tramite, a...De Giorgio. Lo soche è faticoso, ma citare vuol dire riportare anche brani e non solo titoli. Infatti siamo in un forum ed è un po'troppo pretendere che gli altri capiscano il tuo messaggio solo dopo essersi procurati e letti quei libri.Rexlukos: Evola definisce De Giorgio come il direttore invisibile de La Torre, a testimonianza che i tagli nonavevano creato astio: De Giorgio accetto ciò che Reghini respinse, una visione totalizzante e tradizionalmente universale, ai quali eranosolamente indirizzati i tagli evoliani. Sui brani citati, sono l'abc di chi si occupa di Tradizione e poi io nonpretendo nulla, ognuno è libero di approfondire o meno...i testi sono fatti anche per questo! Questo è un belforum, appunto, non una libreria!Turba Philosophorum: L'adesione di De Giorgio al Gruppo di Ur non appare mai come cosa realmente"sentita". In modo perfino più diretto di Guenon, si adoperò per far cessare la rivista. Se ne trova traccia ne le Glosse Varie (La magia, il maestro, il canto) del IV cap. del II vol. di Introduzione alla Magia, dove Evolarispondendo all'invito da parte di De Giorgio (Havismat) di smettere le pubblicazioni, così rispose: "Infine,quanto all'assurdo relativo al parlare di magia (o iniziazione) in scritti 'alla portata di tutti', esso, in fondo è

Page 18: 7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

relativo, perchè anche con la miglior volontà, scritti del genere non saranno mai alla portata di tutti. Se mai,quando è della divulgazione dei metodi di una magia applicata che si tratta, la questione, posta da alcuni,concerne l'opportunità e la pericolosità in ordine ai pochi (anche in questo campo si tratta sempre di pochi) chepossono metterli davvero in azione, non avendone saputo prima. Ma ciò rientra in un campo di sempliceresponsabilità personale, nè più nè meno come nel caso dell'uso che ognuno può fare già di un'arma da fuocoo di un tossico". Che De Giorgio non stimasse realmente nè la rivista, nè il Gruppo che la scriveva è confermatoda quanto egli dice in "L'istante e L'eternità" (ed. Archè 1987), in relazione all'articolo di Ekatlos, La GrandeOrma: "Il carattere oscuro e nettamente occultista di questo testo non fa che confermare il tono generale dellarivista. Tuttavia, non si potrebbe escludere che delle forze di questo tipo abbiano agito dietro il fascismo, delleforze di natura 'residua' che risalgono all'epoca della decadenza di Roma imperiale, allorchè si divulgarono deiculti orientali deviati (come quello di Iside, segnalato nell'articolo in questione). Delle forze che furonoprovvidenzialmente interrate, in tutti i sensi del termine, con i templi dove esse erano venerate, per l'azionetradizionale cristiana". Un discorso più che da esoterista...da parroco e che evidenzia come l'adesionesuperficiale di De Giorgio al Gruppo di Ur, fosse più che altro un "curiosare", forse per riferire...Oltralpe.Rexlukos: Ringrazio Ea per il cortese benvenuto in questo forum! Su quanto da lui scritto in merito al temaaffrontato, vorrei solo dire alcune cose. Evola non mi sembra esser rimasto isolato (La Torre ne è un esempio), nè mi sembra sia rimasto sotto le influenze nefaste di Guènon: vogliamo dire che tutta laproduzione evoliana dopo Ur non ha valore? Non credo. Ea: In questo forum ci occupiamo di magia e non di "cultura" in generale, fosse anche una culturatradizionalmente orientata. Ora, che da unpunto di vista magico (sia operativo, sia dottrinario) già La Torre rappresenti una "caduta di livello" è innegabile.Evola fu praticamente costretto a rinunciare al livello magico, perchè chi mai avrebbe potuto sostituire unReghini, un Colazza o un Quadrelli? Gli vennero a mancare proprio i massimi calibri di Ur e certo non li potevasostituire De Giorgio. La produzione di Evola copre, è ovvio, moltissimi altri campi (dagli studi sull'Oriente allapolitica) ed in quelli ha certamente valore.Rexlukos: Ho fatto riferimento alla cultura tradizionale generalmente intesa, per inquadrare meglio lasituazione e per comprendere al meglio il reale rapporto tra le personalità in questione. Su la Torre consentimidi pensarla diversamente: fu il passaggio da un particolarismo al Tradizionalismo Integrale (con Guènon e De Giorgio) che dalla loggia di un Reghini apre le porte all'Universalità Romana.Turba Philosophorum: Passi per De Giorgio, che (sia pur in maniera tutta sua) aveva certamente rispettodella Tradizione Romana, ma Guenon diceva di essa: "Ai Romani la loro incomprensione dei simboli presi inprestito dagli Etruschi e da diversi altri popoli derivò da una assoluta inettitudine a tutto quello che èpropriamente intellettuale" (Introduzione Generale allo Studio delle Dottrine Indù, Torino 1965, p.78). Altro che"Universalità Romana"! In tutta sincerità, non credo che un sincero appartenente all'Italica Schola possamai essere guenoniano.Rexlukos: Condivido che Ur sia stata un'esperienza magica ed unificante, ma credo che essa sia implosaproprio nel momento in cui ci si doveva davvero trasmutare verso l'universale, abbandonando i propri egoismi,i propri vincoli. Quante volte Evola si è rammaricato di aver messo in contatto Scaligero con ambienti antroposofici e steineriani (solo per fare un esempio)???Ea: Scaligero fu ben felice di seguire Colazza, verso il quale lo stesso Evola aveva il massimo rispetto. Seguendo Guenon avrebbe solo potuto farsi islamico, perchè Guenon (inutile pigliarci in giro) di concreto nonproponeva altro e i suoi seguaci, oggi, di fatto non propongono altro. E' una strada che noi non intendiamoseguire. E ciò per il semplice fatto che già ne seguiamo un'altra. Neppure la consigliamo come soluzionegenerale per l'Occidente, perchè come altri ha già evidenziato in questo forum, dopo aver sopportato per secolila pedanteria dell'exoterismo cattolico, non intendiamo sopportare certo il fanatismo dell'exoterismo islamico. Eanche da un punto di vista esoterico, non è certo la sostituzione della invocazione di Gesù nel cuore conqualche versetto coranico che cambierebbe la sostanza delle cose.Rexlukos: Scaligero era ben felice di seguire Colazza, ma certamente Evola si è sempre pentito di averglielopresentato (la cosa è incontestabile, come il giudizio su Steiner espresso in Maschera e Volto!). Guènon, poi,non ha mai fatto proselitismo islamico, anzi, ha sempre precisato la sua personalissima via, che ben si inquadranel suo bel passo "Le conversioni" in Iniziazione e Realizzazione Spirituale. Guènon non ha mai voluto consigliare una via: ritorno la complementarietà con Evola, Dottrina e Metodo. Credoche ognuno debba seguire la via che il proprio cuore gli suggerisce, senza disprezzare vie altrui, perchèmolteplici sono le vie che conducono alla Vetta, come ci ricorda Coomaraswamy.Turba Philosophorum: E perchè Evola si rammaricava? Solo perchè Scaligero non seguiva più la sua via?Non erano affari di Scaligero?Rexlukos: Un'ultima cosa. Riproporre l'antitesi contemplazione-azione (Guènon-Evola) credo ci porti verso unfalso obiettivo d'analisi: credo sia inutile ricordare quante volte entrambi abbiano chiarito quanto ci sia di attivonella contemplazione e di passivo nell'azione e quante volte abbiano espresso la necessità di una lorocomplementarietà. Ritenere Guènon un contemplativo è errato come ritenere Evola votato all'azione: l'opera alrosso, la rubedo, si realizzano solo quando Contemplazione e Azione si manifestano nella loro trascendenteunità, quando bramhani (Guènon) e guerrieri (Evola), tornino alla costituzione di Hamsa, della castaprimordiale, ove l'Azione Sacra viene ritualizzata dal Rex et Pontifex.Ea: Non proponiamo affatto l'antitesi contemplazione-azione. Ma semmai l'antitesi magia-contemplazione. Noi

Page 19: 7 - La Polemica Evola-Guenon Sul Vedanta

seguiamo una via magica e non una via semplicemente "guerriera": Le due cose non sono affattoassimilabili. Perchè la via magica non necessita di azione esteriore(la magia più elevata non è quella "cerimoniale"), mentre la via guerriera sarebbe inconcepibile senza l'azioneesteriore. E' proprio il "Re Mago" a dominare sacerdoti e guerrieri. Naturalmente non abbiamo nulla in contrarioche tu o altri seguiate altre strade. Resta fermo che, in questo forum, si parlerà di magia.Rexlukos: So bene che la via magica non è assimilabile a quella guerriera, perchè la via magica è larisoluzione della via guerriera e di quella contemplativa; sul Re Mago concordo in pieno! Su Guènon abbiamoopinioni diverse, ma può normalmente accadere in un sereno confronto. Quadreracles: Esiste una recensione di Evola al libro di Guénon apparsa nel 1938 su "Bibliografia Fascista"che completa, in certo qual modo, gli scritti polemici sull'Advaita-Vedanta postati, su mia richiesta, da Ea , che ringrazio, anche se in ritardo. La posizione di Evola sulla questione fu poi approfondita ne "L'arco e laClava" nell'articolo: "Il mito di Oriente ed Occidente e l'incontro delle religioni". Ea: Ed è infatti tenendo conto della posizione "ufficiale" assunta da Evola nelle sue opere principali che talerecensione va letta. Essa è un po' celebrativa, perchè ad Evola, a quell'epoca, premeva dimostrareall'intellighentia fascista, che lui non era la sola mosca bianca a parlare in un certo modo della Tradizione. Altriesempi possibili, come Reghini, erano improponibili, dopo la famosa lite e Kremmerz era troppo "magico" eperciò non appetibile per semplici intellettuali. In quella che è certamente la sua opera di più ampio respiroe cioè "Rivolta contro il mondo moderno", Evola così si esprime riguardo al Vedanta: "La dottrina diShankara , sotto vari aspetti, appare improntata dallo spirito di una severa ascesi intellettuale.Purtuttavia , essa nell'intimo resta orientata verso il tema demetrico-lunare del Brahman senza forma-nirguna-brahman- rispetto al quale ogni determinazione non è che una negazione, un puro parto d'ignoranza.Perciò può dirsi che in Shankara appare la più alta delle possibilità di una civiltà dell'età dell'argento." Ne L'Arco e La Clava, approfondisce nei dettagli tale critica, rifacendosi, come nei suoi primi scritti che giàabbiamo esaminato, ai testi Tantrici, in particolare al Tantratattva di Shiva Chandra.