Josè Idalmiro De Brum Marco Scotto Socio ANMI e Baleniere ...

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Signor Josè a quale età ha iniziato ad andare per mare e a pe- scare balene? A mare ho iniziato da sempre essendo nato su un'isola il cui so- stentamento dell'epoca era dato dalla pesca, dall'agricoltura e dalla pastorizia. Mio padre era un baleniere, così come i miei zii e molti dei miei avi, per cui a 11 anni cominciai a uscire in mare sulle baleniere azzorriane facendo la gavetta al remo fino a di- ventare timoniere. A 14 anni, terminati gli studi obbligatori, co- minciai il servizio sulle motobarche baleniere come motorista. Ma la sua famiglia non era interamente di pescatori, voi posse- dete anche terre coltivate e adibite a pascolo. Personalmente provengo da una delle più antiche famiglie del- le Azzorre il cui capostipite, Wilhelm van der Bruyn (Guilherme De Brum), un nobile olandese giunto sulle isole poco dopo la loro scoperta nella seconda metà del 1400, fu proprietario di molte terre che sono state passate di generazione fino a mio padre Domingos De Brum che era arpoador, cioè il vogatore prodiero che, una volta affiancata la balena, lasciava il remo per arpionarla. In generale i balenieri azzorriani si differiscono da quelli del resto del mondo per la loro bivalenza di lavoratori terrieri e di pescatori. Mentre quelli nord-americani, per esem- pio, si imbarcavano per mesi sulle baleniere madri che calava- no in mare le lance quando avvistavano la balena, noi abbiamo sempre vissuto sulla terra. La nostra nave madre era l'isola stessa e le lance venivano calate in mare quando veniva avvi- stata la balena da terra. 37 Marinai d’Italia Gennaio/Febbraio 2016 36 Marinai d’Italia Gennaio/Febbraio 2016 J osè Idalmiro De Brum è un portoghese stabilizzatosi ormai in Italia, è socio del Gruppo di Porto S. Stefano dove la figlia Catia è Consigliere AG e il genero Presidente. All'apparenza è una persona semplice, come tanti, di facile compagnia e aman- te della buona cucina ma allo stesso tempo riservato come i suoi conterranei. Originario delle isole Azzorre, nacque a Lajes do Pi- co sull'isola di Pico nel 1946. Durante la dittatura di Salazar fu mandato a sedare la guerra civile in Angola e con la divisa del- l'esercito portoghese rimase tre anni in terra d'Africa come ra- diotelegrafista. Dopo essersi sposato a Benguela con una porto- ghese e diventato proprietario dei pescherecci “Cristo Rei” e “Cruzeiro do Atlantico”, dopo l'abbandono dell'Angola da parte delle truppe portoghesi, Josè, tornò da civile in Portogallo con la neonata famiglia. Rimase a Madeira qualche anno per poi prose- guire la sua vita in Brasile lavorando come Direttore di Macchi- na sui pescherecci d'altura impegnati nella pesca del tonno atlantico. Raccontata così la vita di quest'uomo sembra comune a tante vissute dai nostri soci o dai nostri parenti o concittadini anche se a latitudini diverse dalle nostre, ma noi lo abbiamo in- tervistato per quello che ha vissuto nella sua adolescenza. Josè, figlio d'arte, è stato in giovane età un baleniere. Prima che il Por- togallo aderisse al programma di salvaguardia e protezione dei cetacei negli anni '80 dello scorso secolo, nell'arcipelago delle Azzorre e in quello di Madeira era attiva un'industria legata alla pesca delle balene con predilezione per i capodogli. A Madeira la tradizione baleniera durò meno di mezzo secolo, sviluppatasi tra gli anni '40 e gli anni '80, mentre alle Azzorre questa tradizio- ne era più antica ed ebbe le sue origini grazie ai portoghesi emi- grati negli Stati Uniti d'America nell'800 che trovarono lavoro sul- le baleniere nord-americane. Ma sentiamo dalle parole dello stesso Josè come si sviluppava questa industria e quali storie ha da raccontarci su questo mestiere che oggi ci appare orribile ma che ha sfamato migliaia di famiglie negli anni fornendo materie utili per diversi tipi di necessità dell'epoca. Intervista a... Marco Scotto N ato il 23 dicembre 1976. Ha intrapreso tutti gli studi a Porto S. Stefano, paese di origine e dove vive. Diplomato Perito per i Trasporti Marittimi (ex sezione Capitani) presso l'Istituto Tecnico Nautico “Giovanni da Verrazzano”, dopo il fallito tenta- tivo di partecipazione ai corsi A.U.C. presso l’Accademia Navale di Livorno, svolge il servizio di leva nel Corpo delle Capitanerie di Porto dopo la frequentazione del corso Np/pn presso Mari- scuola La Maddalena. Subito dopo il congedo intraprende la vi- ta marinaresca seguendo quella vocazione che ha già folgorato molti dei suoi avi e compaesani. La gavetta da Allievo Ufficiale a Secondo Ufficiale di coperta lo vede attivo su navi portarinfu- sa e chimichiere, solcando tutti i mari del mondo. Conseguito il titolo di Capitano di Lungo Corso presso Direziomare Venezia, nel 2002, lascia il mondo della navigazione tradizionale per quello dell’off-shore (fuori costa). Si specializza come Operato- re al Posizionamento Dinamico manovrando su navi perforatrici nella ricerca di petrolio in acque ultra-profonde (750-3000 me- tri)e su navi montaggio piattaforme e strutture sottomarine. La- vora prima per l’italiana Saipem e poi per l’americana Transo- cean come responsabile alle manovre e alla tenuta del ponte di comando. È stato propretario di una cartoleria-edicola. Negli an- ni ha rivestito anche posizioni nel volontariato locale. È stato Delegato Provinciale presso il CONI per la Federazione Naziona- le Canottaggio; ha fatto parte del C.D. del Rione Fortezza e del corteo storico di Argentario Vivo nel Palio Marinaro dell’Argen- tario; è stato ideatore de “Il Careggiaparole”, un opuscolo men- sile che trattava curiosità storiche dell’Argentario; ha fondato e condotto una sezione di attività marinaresche presso il Centro Sportivo Italiano locale; ha calcato il palco con due compagnie teatrali locali una in vernacolo santostefanese e l’altra di musi- cal per bambini. Iscritto all’ANMI dal 1997, è Presidente del Gruppo dal 28 febbraio 2010. Sposato dal 2011 con la Socia Ca- tia Carina Vieira De Brum, originaria di Madeira, hanno due figli: Leonora (4 anni) e Lorenzo (2 anni). Josè Idalmiro De Brum Socio ANMI e Baleniere Marco Scotto - Presidente del Gruppo di Porto Santo Stefano Josè Idalmiro De Brumm sulla banchina di Lajes di fronte al monumento dedicato ai balenieri

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Signor Josè a quale età ha iniziato ad andare per mare e a pe-scare balene?A mare ho iniziato da sempre essendo nato su un'isola il cui so-stentamento dell'epoca era dato dalla pesca, dall'agricoltura edalla pastorizia. Mio padre era un baleniere, così come i miei ziie molti dei miei avi, per cui a 11 anni cominciai a uscire in maresulle baleniere azzorriane facendo la gavetta al remo fino a di-ventare timoniere. A 14 anni, terminati gli studi obbligatori, co-minciai il servizio sulle motobarche baleniere come motorista.

Ma la sua famiglia non era interamente di pescatori, voi posse-dete anche terre coltivate e adibite a pascolo.Personalmente provengo da una delle più antiche famiglie del-le Azzorre il cui capostipite, Wilhelm van der Bruyn (GuilhermeDe Brum), un nobile olandese giunto sulle isole poco dopo laloro scoperta nella seconda metà del 1400, fu proprietario dimolte terre che sono state passate di generazione fino a miopadre Domingos De Brum che era arpoador, cioè il vogatoreprodiero che, una volta affiancata la balena, lasciava il remoper arpionarla. In generale i balenieri azzorriani si differisconoda quelli del resto del mondo per la loro bivalenza di lavoratoriterrieri e di pescatori. Mentre quelli nord-americani, per esem-pio, si imbarcavano per mesi sulle baleniere madri che calava-no in mare le lance quando avvistavano la balena, noi abbiamosempre vissuto sulla terra. La nostra nave madre era l'isolastessa e le lance venivano calate in mare quando veniva avvi-stata la balena da terra.

37Marinai d’Italia Gennaio/Febbraio 201636 Marinai d’Italia Gennaio/Febbraio 2016

J osè Idalmiro De Brum è un portoghese stabilizzatosi ormai inItalia, è socio del Gruppo di Porto S. Stefano dove la figliaCatia è Consigliere AG e il genero Presidente. All'apparenza

è una persona semplice, come tanti, di facile compagnia e aman-te della buona cucina ma allo stesso tempo riservato come i suoiconterranei. Originario delle isole Azzorre, nacque a Lajes do Pi-co sull'isola di Pico nel 1946. Durante la dittatura di Salazar fumandato a sedare la guerra civile in Angola e con la divisa del-l'esercito portoghese rimase tre anni in terra d'Africa come ra-diotelegrafista. Dopo essersi sposato a Benguela con una porto-ghese e diventato proprietario dei pescherecci “Cristo Rei” e“Cruzeiro do Atlantico”, dopo l'abbandono dell'Angola da partedelle truppe portoghesi, Josè, tornò da civile in Portogallo con laneonata famiglia. Rimase a Madeira qualche anno per poi prose-guire la sua vita in Brasile lavorando come Direttore di Macchi-na sui pescherecci d'altura impegnati nella pesca del tonnoatlantico. Raccontata così la vita di quest'uomo sembra comune

a tante vissute dai nostri soci o dai nostri parenti o concittadinianche se a latitudini diverse dalle nostre, ma noi lo abbiamo in-tervistato per quello che ha vissuto nella sua adolescenza. Josè,figlio d'arte, è stato in giovane età un baleniere. Prima che il Por-togallo aderisse al programma di salvaguardia e protezione deicetacei negli anni '80 dello scorso secolo, nell'arcipelago delleAzzorre e in quello di Madeira era attiva un'industria legata allapesca delle balene con predilezione per i capodogli. A Madeirala tradizione baleniera durò meno di mezzo secolo, sviluppatasitra gli anni '40 e gli anni '80, mentre alle Azzorre questa tradizio-ne era più antica ed ebbe le sue origini grazie ai portoghesi emi-grati negli Stati Uniti d'America nell'800 che trovarono lavoro sul-le baleniere nord-americane. Ma sentiamo dalle parole dellostesso Josè come si sviluppava questa industria e quali storie hada raccontarci su questo mestiere che oggi ci appare orribile mache ha sfamato migliaia di famiglie negli anni fornendo materieutili per diversi tipi di necessità dell'epoca.

Intervista a...

Marco Scotto

N ato il 23 dicembre 1976. Ha intrapreso tutti gli studi a PortoS. Stefano, paese di origine e dove vive. Diplomato Perito

per i Trasporti Marittimi (ex sezione Capitani) presso l'IstitutoTecnico Nautico “Giovanni da Verrazzano”, dopo il fallito tenta-tivo di partecipazione ai corsi A.U.C. presso l’Accademia Navaledi Livorno, svolge il servizio di leva nel Corpo delle Capitaneriedi Porto dopo la frequentazione del corso Np/pn presso Mari-scuola La Maddalena. Subito dopo il congedo intraprende la vi-ta marinaresca seguendo quella vocazione che ha già folgoratomolti dei suoi avi e compaesani. La gavetta da Allievo Ufficialea Secondo Ufficiale di coperta lo vede attivo su navi portarinfu-sa e chimichiere, solcando tutti i mari del mondo. Conseguito iltitolo di Capitano di Lungo Corso presso Direziomare Venezia,nel 2002, lascia il mondo della navigazione tradizionale perquello dell’off-shore (fuori costa). Si specializza come Operato-re al Posizionamento Dinamico manovrando su navi perforatricinella ricerca di petrolio in acque ultra-profonde (750-3000 me-tri)e su navi montaggio piattaforme e strutture sottomarine. La-vora prima per l’italiana Saipem e poi per l’americana Transo-cean come responsabile alle manovre e alla tenuta del ponte dicomando. È stato propretario di una cartoleria-edicola. Negli an-ni ha rivestito anche posizioni nel volontariato locale. È statoDelegato Provinciale presso il CONI per la Federazione Naziona-le Canottaggio; ha fatto parte del C.D. del Rione Fortezza e delcorteo storico di Argentario Vivo nel Palio Marinaro dell’Argen-tario; è stato ideatore de “Il Careggiaparole”, un opuscolo men-sile che trattava curiosità storiche dell’Argentario; ha fondato econdotto una sezione di attività marinaresche presso il CentroSportivo Italiano locale; ha calcato il palco con due compagnieteatrali locali una in vernacolo santostefanese e l’altra di musi-cal per bambini. Iscritto all’ANMI dal 1997, è Presidente delGruppo dal 28 febbraio 2010. Sposato dal 2011 con la Socia Ca-tia Carina Vieira De Brum, originaria di Madeira, hanno due figli:Leonora (4 anni) e Lorenzo (2 anni).

Josè Idalmiro De BrumSocio ANMI e Baleniere

Marco Scotto - Presidente del Gruppo di Porto Santo Stefano

Josè Idalmiro De Brummsulla banchina di Lajes di fronte

al monumento dedicato ai balenieri

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Quindi tutto questo dava lavoro a centinaia di persone?Certo, tutti gli abitanti dell'arcipelago erano più o meno coinvol-ti in questa attività. Anche oggi che la pesca è vietata molte fa-miglie vivono grazie alle balene. Artisti vendono ai turisti ogget-ti fatti in osso di balena proveniente dai magazzini della ex fab-brica e varie agenzie organizzano uscite in mare con barche cheportano i visitatori ad avvistare balene e delfini.

Ricordando quei tempi ha più nostalgia o disapprovazione perquesta attività ora che la pesca è proibita?La nostalgia è tanta sia perché ho vissuto questa esperienzaquando ero molto giovane e sia perché la praticavo con amici eparenti che non non ci sono più. Per quanto riguarda il punto divista etico, all'epoca non si stavano a guardare tante sottigliez-ze, avevamo bisogno delle balene e le pescavamo, così come inseguito ho pescato milioni di tonni perché il mercato lo richiedema nessuno mi ha mai colpevolizzato per questo. Ad oggi, ve-dendo il pericolo di estinzione e le alternative esistenti, sonocontento che non si peschino più cetacei in Portogallo, ma èsempre un'emozione entrare nei musei della balena azzorriani evedere le regate estive corse dai ragazzi sulle baleniere su cuitanto sudore e sofferenza sono stati consumati per poter porta-re il pane a casa.

Un'ultima domanda... vorremmo sapere qualche aneddoto, ciracconti un'avventura vissuta cacciando in mare...Ogni volta che uscivamo in mare era un'avventura. L'OceanoAtlantico è un mare che può far male. Molte volte ci siamo tro-vati a qualche miglia dalla costa tra le alte onde in pieno ocea-no aspettando che la balena riemergesse e quando piove e il

buio ti circonda, a volte, la paura ti scuote le ossa. Una volta,però, successe un fatto che è ancora vivo nella mente degliabitanti del mio paese. Rientrando con la carcassa di un capo-doglio, la scia di sangue lasciata dall'animale aveva attirato ungrosso squalo fino sotto costa. Nelle operazioni finali, cioèquando la balena viene sganciata dalla lancia per essere trai-nata a terra, un po' per il mare mosso, un po' per la concitazio-ne del momento, o probabilmente anche perché la presenza diquello squalo aveva innervosito gli uomini, successe che unadelle imbarcazioni si capovolse. Immaginate che confusioneche si era subito andata a creare. Uomini in acqua che cerca-

vano di trarsi in salvo, gli altri dalle altre barche che cercava-no di accelerare i tempi di recupero dei naufraghi e quel be-stione che girava tra i flutti non sapendo se addentare la bale-na o i poveretti caduti in mare. Alla fine ci fu solo qualche feri-to lieve, la balena fu recuperata con qualche morso inferto delgrosso pesce e lo squalo, dopo diversi avvistamenti nei giornia seguire e una lunga caccia infruttuosa da parte dei pescato-ri, lasciò le acque di Lajes. Da questo fatto nacque una tradi-zione legata alla Madonna di Lourdes. In quei frangenti spa-ventosi, molte persone, tra cui tutte le donne del paese, si tro-vavano sulla scogliera come si era soliti fare per assistere alrientro dalla caccia in mare. Alla vista della scena descrittavenne naturale a quanti assistevano da terra di levare una pre-ghiera alla Madonna di Lourdes, patrona dei balenieri, per sal-vare le anime dei poveretti coinvolti nell'incidente. Da quelgiorno, ogni anno a Lajes, si svolge una processione in onoredella Madonna di Lourdes prima a mare e poi tra le vie del pae-se dove partecipano i balenieri con le loro barche, i loro fami-liari e le filarmoniche provenienti da tutti i porti dell'arcipelagodelle Azzorre.

Ringraziamo Josè per la sua testimonianza che ci ha fatto co-noscere un lato della marineria ormai andato perso ma tenutoin vita dalle molte iniziative come i vari musei che si trovano siaalle Azzorre che a Madeira.

nnn

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Quindi la pesca della balena era saltuaria, occasionale, solo sequalcuno avvistava una balena dall'alto?No, intorno alle isole dell'arcipelago sorgevano dei punti di av-vistamento da dove gli uomini di guardia (vigìa) vigilavano a tur-no sul mare. Quando venivano avvistati i soffi delle balene, ilvigìa lanciava un fuoco d'artificio che esplodendo riecheggiavanelle campagna e faceva accorrere gli uomini che lavoravano laterra, o che erano al pascolo con le bestie, verso le imbarcazio-ni al porto. Allo stesso tempo le donne preparavano dei cestinicon pane e formaggio e una brocca di caffè per essere portati abordo visto che non si sapeva quanto tempo le barche sarebbe-ro rimaste in mare. Le baleniere venivano alate (messe in secca)all'interno di magazzini costruiti in una posizione di sicurezza ri-spetto alle alte onde oceaniche che si potevano abbattere su diesse e raggiungibili tramite lunghi scivoli. Giunti ai magazzini, ibalenieri, facevano scivolare le imbarcazioni in mare e a colpi diremo o a vela, se il vento era propizio, si dirigevano verso le ba-lene sotto le indicazioni del vigìa che dava direzione e distanzasegnalando con bandiere o lampi di luce.

Sembra essere un lavoro relativamente facile, senza il sacrifi-cio di stare per mare e con l'uscita effettuata solo quando si erasicuri di avere una preda, giusto?Detta così sembra semplice, è vero, ma non lo era per niente.Molto spesso le balene venivano avvistate verso il tramonto, do-po una lunga giornata passata a lavorare i campi e si dovevacorrere giù per i pendii dell'isola, varare la baleniera e mettersia remare, affiancare la balena e “lavorarla” per ore.

Cosa significa “lavorarla”?Una volta arpionato, il capodoglio, si immerge nelle profonditàdell'abisso per tentare la fuga. Un adulto si immerge anche 2ore, 2 ore e mezzo, mentre un giovane 30 o 40 minuti. In questoperiodo va seguito sia filando il cavo collegato all'arpione siacon la barca perché la balena, oltre ad immergersi, continua adallontanarsi dal punto in cui è stata colpita. Una volta riemersa,se si aveva la fortuna che soffiava e lo spruzzo era misto a san-gue, la battaglia aveva poca durata, al contrario, andava arpio-nata di nuovo e ricominciava la stessa procedura. Una volta vin-ta la battaglia andava riportata a terra, questo veniva fatto daglistessi balenieri in tempi antichi e da piccole motobarche conmotori di 850 cavalli nell'epoca in cui ho lavorato io.

E una volta arrivati a terra?Arrivati a terra bisognava alare nuovamente le imbarcazioni eportare le balene in secca tramite argani manuali prima, e trami-te verricelli motorizzati in epoca moderna. Dopodiché il lavoropassava in mano agli operai della fabbrica della balena i quali co-minciavano a sezionare il corpo per destinare le varie parti ai di-versi settori della fabbrica. Il grasso per farne olio e sapone, l'o-lio della testa per oli e lubrificanti, le carni per essere inscatola-te e mangiate, le ossa per essere triturate in fine farina che, mi-sturata ad alimenti, andava a foraggiare i pascoli locali. Gli equi-paggi, una volta sistemate le barche tornavano ai loro lavori o acasa se l'ora era tarda, sempre se, nel frattempo, il vigìa non spa-rava un altro mortaletto che dava inizio ad una nuova avventura.

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