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Rapporto di Ricerca Luglio 2010 La creatività giovanile per il territorio Una nuova sfida per l’impresa sociale di Paolo Cottino con Marco Lanza

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La creatività giovanile per il territorio. Una nuova sfida per l'impresa sociale. Di Paolo Cottino con Marco Lanza

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Rapporto di RicercaLuglio 2010

La creatività giovanile per il territorioUna nuova sfida per l’impresa sociale

di Paolo Cottino con Marco Lanza

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IndicePrefazione di Emil Abirascid ................................................................................................7

Prefazione di Flaviano Zandonai ........................................................................................11

Protagonismo e utilità sociale dei giovani: l’impresa della contaminazione ............................................. 13

1. Giovani e politiche giovanili nell’epoca della precarietà ................................................15

2. Protagonismo dei giovani e uso degli spazi ....................................................................16

3. Utilità sociale della creatività giovanile ..........................................................................18

4. L’impresa sociale dalla ragione sociale alle ragioni sociali..............................................19

5. Incubatori territoriali: spazi di contaminazione .............................................................21

Due “incubatori” per l’utilità sociale dei giovani a Milano: spazio alla contaminazione! ..................................................23

Cosa manca a questi incubatori? .......................................... 47

1. Incubatori tecnologici e incubatori territoriali ...............................................................49

2. Thinking outside the boxes: il punto di vista dei protagonisti ......................................51

3. Verso il territorio: il punto di vista dei promotori .........................................................56

4. I commenti di alcuni osservatori privilegiati ..................................................................59

Prime riflessioni per orientare la valutazione .....................................................................60

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1. Il promotore e le ragioni dell’incubatore

2. Il contesto in cui si inserisce l’incubatore

3. prospettive di contaminazione associate all’incubatore

4. Obiettivi e azioni messe in campo attraverso Open Space

5. Prove di contaminazione: i primi impatti

6. Prospettive di contaminazione: gli sviluppi futuri

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Questo rapporto di ricerca è stato realizzato nei mesi di aprile, maggio e giugno 2010 nell’ambito del Progetto Open Space, cofinanziato da Regione Lombardia “Nuova generazione di idee. Le politiche e le linee di intervento per i giovani di Regione Lombardia” e Comune di Milano con le risorse POGAS.

Gli autori hanno lavorato su incarico de la Cooperativa sociale La Cordata e a partire dai materiali e dalle informazioni messe a disposizione dai suoi operatori. Il coordinamento scientifico e operativo del lavoro di ricerca svolto è stato di Paolo Cottino. I contenuti del rapporto sono stati discussi e condivisi dai due autori e dai committenti, tuttavia la responsabilità dei testi è così ripartita: a Paolo Cottino quella relativa alla prima, terza e quarta parte, a Marco Lanza quella relativa alla seconda parte.

Paolo Cottino (1976), urbanista, dottore di ricerca in Pianificazione e Politiche Pubbliche del territorio presso lo IUAV di Venezia, insegna Analisi delle politiche urbane e Urban Management presso la Facoltà di Architettura e Società del Politecnico di Milano, ed è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Architettura e Pianificazione. Si occupa di disegno delle politiche urbane con particolare attenzione ai contesti periferici, agli obiettivi di rigenerazione urbana e alla costruzione delle condizioni di fattibilità di nuovi modi di abitare la città e impiegare gli spazi urbani in modo da valorizzare i potenziali inespressi e aumentare la qualità sociale del territorio. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Competenze possibili. Sfera pubblica e potenziali sociali nella città, Jaca Book, Milano, 2009; Attivare risorse nelle periferie. Guida alla promozione di interventi nei quartieri difficili di alcune città italiane, Franco Angeli, Milano, 2009; (con Paolo Zeppetella) Creatività, sfera pubblica e riuso sociale degli spazi, Fondazione Cittalia, ANCI Ricerche, Roma, 2010; “Reinventare il paesaggio urbano. Approccio di politiche e place-making”, Ri-Vista, n.12, Firenze University Press, 2010.

Marco Lanza (1977), vive e lavora a Milano come giornalista freelance. Si occupa in prevalenza di temi legati alle scienze e alle loro applicazioni sotto forma di nuove tecnologie. Dedica particolare attenzione all’innovazione di processo e prodotto nei contesti industriali di piccole e medie dimensioni, ai brevetti e ai processi creativi capaci di dar vita a nuove attività imprenditoriali. L’impatto della tecnologia sulla vita quotidiana è la prospettiva da cui osserva i cambiamenti che l’innovazione implica: in proposito ha scritto per Nova24 - il Sole24Ore, inserto settimanale di ricerca, innovazione e creatività de Il Sole 24 ore (http://innovhub.nova100.ilsole24ore.com)e per il suo spazio blog (http://lastanzadellemeraviglie.nova100.ilsole24ore.com), per Innov’azione e per il Manifesto. Si occupa più in generale della produzione di contenuti scritti in ambito ICT e di comunicazione sui nuovi media attraverso strumenti di social networking.

Contaminazioni possibili: altre esperienze di “contaminazione” ....................................65

1. Contaminazioni tra mercato culturale di altro profilo e intervento sociale sul territorio ....................................................................................67

1.1. CHOCOLATE FACTORY - L’industria artistico-creativa come volano per la rigenerazione sociale del quartiere Haringey di Londra ...................................67

1.2. CHAPITÔ - La professionalizzazione delle arti circensi come opportunità per i giovani in difficoltà del quartiere Alfama di Lisbona.........................................69

1.3 WUK - Uno spazio per promuovere l’incontro tra cultura internazionale e progetti socio-culturali locali a Vienna .....................................................................72

2. Contaminazioni tra sviluppo del settore dei servizi alla comunità e partecipazione degli abitanti ........................................................................................75

2.1. CERC - Un incubatore di imprese autogestite per riorganizzare i servizi locali in un quartiere periferico di Luton .............................................................................75

2.2 ATENEU POPULAR - Il progetto di un centro artistico-culturale per coinvolgere e attivare direttamente la comunità di un barrio a Barcellona .........77

2.3 YPPENPLATZ - Rivitalizzazione delle strutture legate ad un mercato rionale attraverso l’introduzione di servizi sociali gestiti dalla comunità a Vienna ................79

CONCLUSIONI di Andrea Pellegata .................................83

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di Emil Abirascid1

Fare impresa significa guadagnare, creare valore, posti di lavoro, fatturati. Per ottenere i risultati sperati bisogna farlo consapevoli del contesto, del momento storico, delle opportunità che oggi sono sostanzialmente legate alla capacità di proporre idee, progetti, prodotti, servizi innovativi. Quindi qualcosa che possa rispondere a un bisogno in modo nuovo e, possibilmente, diffuso. Un’idea da sola non basta, un buon team da solo non è sufficiente, anche se entrambi questi elementi sono fondamentali; servono capacità di azione, flessibilità necessaria per cogliere le opportunità in un contesto di continui e repentini cambiamenti, e, naturalmente servono soldi per partire, serve un minimo di infrastruttura e la sensibilità giusta per andare sul mercato.

Questa è la teoria. La pratica, come sempre accade, ha mille variabili, mille imprevisti, mille decisioni che devono essere prese ogni giorno, mille opportunità che si possono cogliere e, soprattutto, propone contesti sempre nuovi. Se il cosiddetto ecosistema dell’innovazione italiana che si fa impresa, animato dai giovani imprenditori, dal mondo industriale, da quello accademico e da quello finanziario, almeno da coloro che hanno intuito il potenziale di questo fenomeno, negli ultimi cinque anni ha fatto passi avanti enormi fino a essere quello che vediamo oggi con imprese che hanno successo, nel frattempo nuovi scenari si sono aperti.

Quello che Paolo Cottino e Marco Lanza descrivono e raccontano è uno dei più promettenti tra i nuovi scenari perché mette in luce come non necessariamente la missione dell’imprenditore è in contrasto con la capacità di creare anche valore sociale, legato alle specificità del territorio, capace di sostenere fenomeni artistici e culturali. Certo imprenditori maggiormente illuminati hanno mostrato già in passato la loro volontà di ‘restituire’ al territorio che li ha resi facoltosi una parte della loro fortuna, pratica questa più nota nel mondo anglosassone che da noi, ma anche in Italia non mancano alcuni casi significativi. Ma è solo un primo passo, una sorta di punta dell’iceberg che invece riserva grandi opportunità che sono quelle, benché ancora in fase embrionale, descritte in questo rapporto di ricerca che analizza sia il contesto più generale, sia casi concreti di progetti avviati e in fase di avvio.

L’impresa innovativa e sociale è una bella alchimia, assai promettente, capace di sposare valori e cogliere opportunità trasversali, di dare concretezza alla “contaminazione” tra diverse competenze e passioni, ma è anche e soprattutto una sfida. Serve pensare in modo innovativo non solo il prodotto o il servizio

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Il richiamo della ricerca al concetto di “incubatori” è significativo perché sottolinea come queste strutture, nate sia in ambito pubblico e accademico sia privato, si dimostrano, con gli opportuni aggiustamenti, adatte anche a sostenere l’avvio di imprese innovative sociali e, senza l’evoluzione dell’ecosistema dell’innovazione che si fa impresa anche nel nostro Paese, questi incubatori sarebbero oggi ancora ‘oggetti’ oscuri. L’incubatore per imprese innovative sociali è quindi una sorta di evoluzione dell’incubatore tradizionale dove i concetti di collaborazione, di trasversalità, di sinergia, di capacità di fare sistema acquisiscono significato ancor più ampio. E sarebbe un errore, a questo punto, pensare che tali imprese hanno meno slancio sul fronte del ‘fare business’ rispetto a quelle più tradizionali; quasi accade il contrario: le realtà socialmente consapevoli che entrano negli incubatori sono assai dinamiche e molte di loro quando arrivano sono già pienamente operative, fatturano, creano valore e sfruttano il contesto dell’incubatore per accrescere esponenzialmente le opportunità attraverso la realizzazione di progetti congiunti.

Innovazione nel contenuto e nell’approccio quindi, ma anche innovazione della cultura imprenditoriale che tende ad abbandonare polverosi assiomi come la indelebile macchia del fallimento che invece deve diventare esperienza costruttiva, come la ritrosia verso i soci di capitale che invece vanno salutati con favore, come la concorrenza vista esclusivamente come attrito invece che come capacità di fare sistema e dare maggiore slancio alla nuova generazione di imprese. Se poi a questi elementi si aggiungono quelli di sensibilità sociale nel senso più ampio e completo del termine allora il profilo della nuova impresa innovativa-creativa-consapevole appare completo e delineato nella sua potenzialità di tradursi in successo.

che si vuole sviluppare ma anche la relazione con il contesto, serve dare valore a quegli asset intangibili che vanno oltre i più ‘tradizionali’ come sono per esempio le competenze e la proprietà intellettuale, ma che devono includere gli effetti in termini di ricaduta sociale, di capacità di creare opportunità professionali per le giovani generazioni, di dare vita a luoghi di aggregazione e di produzione non solo di iniziative imprenditoriali ma anche di cultura e arte.

Affinché l’insieme di questi elementi possa essere visto come capacità concreta di creare valore, e quindi capace di attirare investimenti, persone con le competenze che servono, opportunità di mercato e, non ultima, attenzione mediatica, è fondamentale definire parametri capaci di misurarne l’efficacia e l’efficienza e soprattutto servono esempi, servono uno o due campioni capaci di dimostrare che il modello è vincente e diventare esempi di riferimento. È questa la parte più difficile in questa fase per due ragioni: la prima è che l’impresa sociale innovativa muove oggi i primi passi e quindi non ha ancora acquisito quell’abbrivio necessario per iniziare a dimostrare compiutamente la sua bontà, la seconda è legata allo specifico carattere innovativo che hanno questo tipo di imprese che si concretizza nella capacità di sposare il business con gli aspetti sociali, matrimonio non facile da comprendere per molti degli attori del sistema economico ancora legati a modelli più tradizionali.

Così questa ricerca si pone come sorta di finestra su un mondo nuovo, dinamico, in piena evoluzione e ricco di promesse, ma anche di fatti e di esperienze che deve essere conosciuto a fondo anche da chi nelle sfere dell’industria e della finanza ha la capacità di portare risorse, competenze, sostegno economico e di esperienza. Le storie che la ricerca racconta - e partire dalle storie è sempre la scelta vincente per descrivere un nuovo fenomeno - fanno scuola, sono animate da spirito pionieristico e mostrano come è proprio grazie alla progressiva maturazione dell’ecosistema dell’innovazione che si fa impresa che oggi i tempi sono maturi per ampliare questo fenomeno coinvolgendo la società e investendo in luoghi e persone che solo apparentemente sono lontani dal concetto di impresa nel suo senso più ampio.

Le esperienze descritte nella ricerca offrono spunti e l’embrione di un modello, sociale e di business, che non è lontano dall’essere economicamente sostenibile ma che, al medesimo tempo, è capace di sfruttare al meglio risorse altrimenti inutilizzate e di creare opportunità per coloro che non trovano nel concetto tradizionale di impresa il modo efficace per dare corpo alle loro idee, progetti, ambizioni.

1 Emil Luca Abirascid (1966) è giornalista professionista e si occupa da molti anni dei temi legati all’innovazione in Italia, con attenzione focalizzata in particolar modo sulle start-up imprenditoriali e il crescente fenomeno dell’incubazione di impresa e dei poli tecnologici. Collabora dal 2001 con ilSole24Ore e l’inserto “Nova24”, dal 2005 per conto di Smau organizza l’area “Percorsi dell’innovazione” dedicata alle start-up, nel 2008 fonda il business network Startupbusiness (www.startupbusiness.it) e la rivista bimestrale Innov’azione (www.lobbyinnovazione.it) di cui è direttore responsabile. Infine dal 2009 per l’edizione italiana di Wired cura la rubrica “Italian Valley” e il sito omonimo, vetrina di progetti innovativi italiani.

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di Flaviano Zandonai2

Ci sono molti aspetti dell’esperienza di Jobox che possono essere presi in considerazione per valutarne le attività e, mutuando il linguaggio dei progettisti, per favorirne la disseminazione e la trasferibilità: le sue finalità, l’organizzazione interna e, naturalmente, il numero di imprese create, il loro livello di innovazione e così via. Ma l’aspetto che personalmente più mi colpisce di questa iniziativa è la sua collocazione. Si potrebbe iniziare dalla classica collocazione geospaziale: Jobox si trova all’interno di una delle più avanzate esperienze di imprenditoria sociale: un centro di servizi ad accessibilità plurima, dove persone diverse possono usufruire di attività altrettanto differenziate ma non per questo estranee l’una dalle altre. Anzi, l’obiettivo è di favorire processi di ibridazione, grazie anche alla prossimità “fisica”, di bisogni e risorse, favorendo, per quanto possibile l’apprendimento reciproco di competenze e, in senso lato, di sensibilità. Nello stesso spazio fisico si trovano infatti servizi di welfare, ospitalità turistica, housing sociale, produzione culturale e, last but not least, il nostro incubatore di imprese creative. Non male per organizzazioni spesso dipinte come succursali della pubblica amministrazione, ormai molto distanti da quelle finalità di “interesse generale della comunità” che ne avevano fondato la nascita ormai più di trent’anni fa. In un mercato delle parole chiave monopolizzato da nuovi termini alla moda come innovazione sociale, social business, ecc., Jobox contribuisce a rinverdire i fasti dell’impresa sociale all’italiana. In altri termini, non si limita ad agire sulla sola innovazione di prodotto come qualsiasi altro incubatore, ma più in generale si pone l’obiettivo di “re ingegnerizzare” il processo sociale ed economico all’origine del suo particolare modello d’impresa. Come? In primo luogo allargando agli estremi la platea di stakeholder coinvolti, per esempio sperimentando sinergie tra il lavoro sociale degli operatori del welfare e i professionisti che, letteralmente, disegnano il contesto: architetti, urbanisti, ecc. Professionalità queste ultime che, come recitava una canzone dell’underground milanese di qualche anno fa, “hanno in mano la città”. E che, guarda caso, pongono sempre più al centro del loro operato la produzione di uno dei più tipici beni di interesse collettivo: la coesione sociale. Per averne ulteriore conferma basta raggiungere Venezia e visitare la Biennale di architettura attualmente in corso. Il padiglione Italia è infatti monopolizzato da micro progettualità che rispondono ai quesiti fondanti un qualsiasi progetto di imprenditorialità sociale: “quali spazi per le comunità?”; “quali le nuove forme dello spazio pubblico”; “è possibile costruire in modo solidale?”, ecc. In secondo luogo, Jobox, da buon progetto di impresa sociale,

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Protagonismo e utilità sociale dei giovani: l’impresa della contaminazionePREMESSA

DAll’ESPERiEnzA Di DuE cooPERAtivE, RiflESSioni Sull’innovAzionE DEll’iMPREnDitoRiA SociAlE RivoltA Ai giovAni

non si è fatto ingabbiare in una politica e nel relativo filone di interventi. Ha accettato la sfida di mettersi all’incrocio tra politiche giovanili, del lavoro, sociali ecc. “Stare nel mezzo” non tanto per soddisfare una qualche vena narcisistica, ma piuttosto per salvaguardare il proprio margine di libertà nel rapportarsi in maniera non mediata con le questioni e i temi che intende affrontare. Infine dalla documentazione prodotta a margine delle progettualità si nota il tentativo costante, anch’esso figlio della migliore tradizione dell’imprenditoria sociale, di delineare la prospettiva di senso dell’iniziativa, intesa come significati associati all’azione e come direzione strategica. Il miglior viatico per rispondere al più classico dei problemi di queste strutture: la sostenibilità nel medio lungo periodo. Da questo punto di vista un adeguato sistema di rendiconto sociale dell’operazione Jobox potrebbe completare il quadro conoscitivo e soddisfare le più che legittime aspettative degli interlocutori che, a diverso titolo, hanno contribuito al suo funzionamento e al suo successo.

Il tema dell’impresa sociale è ormai da parecchio tempo al centro dell’attenzione tanto nell’ambito delle generali riflessioni sulle possibili evoluzioni dei sistemi di welfare quanto nel dibattito specifico interno a variegati campi di politiche, specialmente di quelle applicate al contesto urbano. Se ne parla tuttavia in modo non omogeneo: varie interpretazioni dell’impresa sociale e di come introdurre all’interno del campo “del sociale” alcuni elementi della cultura imprenditoriale distinguono le diverse posizioni, sia nel dibattito scientifico sia a ridosso delle sperimentazioni messe in campo dagli operatori.

Per molte cooperative sociali il campo delle politiche giovanili ha rappresentato nel corso degli anni uno dei più fertili terreni di sperimentazione, riflessione e apprendimento circa le strategie d’innovazione nel campo dell’imprenditoria sociale. Nel contesto delle città contemporanee le necessità e le opportunità di cambiamento del modo di fare impresa sociale “con e per” i giovani si prestano particolarmente bene a un ragionamento strategico circa le evoluzioni possibili del senso e della mission di una impresa sociale.

In questa sezione della rivista sono presentate alcune riflessioni e alcuni spunti in proposito raccolti nel corso di una conversazione con Davide Branca e Andrea Pellegata, due operatori di cooperative del Consorzio SiS da tempo impegnati sul versante di progetti e iniziative per il miglioramento della condizione dei giovani negli ambienti urbani.

2 Flaviano Zandonai, sociologo, si occupa di organizzazioni di impresa sociale. È segretario di Iris Network, la rete degli istituti di ricerca sull’impresa sociale.innovativi italiani.

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1. Giovani e politiche giovanili nell’epoca della precarietàIl campo delle politiche giovanili esprime da tempo domande di cambiamento che in larga parte dipendono dalle sostanziali trasformazioni del contesto in cui i giovani si trovano a vivere. Oggi è significativamente diverso il modo di “essere giovani” all’interno della società, perché sono diverse le prospettive e soprattutto le possibilità che la società offre ai giovani. Riguardata dal punto di vista degli operatori, si può descrivere il mutamento della condizione giovanile riconoscendo come non più valido l’immaginario della crescita delle persone come un percorso “a tappe”. Per molto tempo, infatti, gli operatori delle politiche giovanili sono stati chiamati a lavorare con gli adolescenti, intesi come persone impegnate in una fase spazio-temporale del percorso di crescita prevalentemente associata al “tempo libero”: si trattava allora di garantire ai giovani delle occasioni per sperimentare lo sviluppo di competenze diverse, per imparare a conoscere se stessi e le proprie abilità senza urgenza e necessità, indipendentemente dai percorsi di formazione lavorativa. Oggi non è più così: non è più possibile costruire una relazione costruttiva e densa con la popolazione giovane al di fuori di un ragionamento prospettico, esplicitamente inteso come investimento sul futuro occupazionale. I ragazzi non si possono permettere di coltivare sperimentazione e apprendimento al di fuori di un percorso di professionalizzazione: l’adolescenza è un tempo da sfruttare fino in fondo per sviluppare quelle competenze necessarie alla futura collocazione sul mercato lavorativo. Si è sostanzialmente ridotta in modo radicale la distanza e la separazione tra tempo da dedicare al lavoro e tempo da dedicare all’intrattenimento.

All’origine di questa situazione sono soprattutto i cambiamenti indotti dalle trasformazioni del mercato del lavoro che caratterizzano l’epoca contemporanea. Viviamo un periodo di transizione, di superamento del modello economico moderno-industriale e di costruzione di un modello differente, che richiede adattamenti e progettazione di nuovi assetti organizzativi. Si tratta di una fase che, per tutti ma soprattutto per i giovani, ha delle evidenti implicazioni negative che sono sotto gli occhi di tutti: precarietà e incertezza aumentano le insicurezze, inducono a impostare le relazioni interpersonali più sul piano della competizione che su quello della cooperazione, riducono la possibilità per le persone di dedicarsi a contribuire in modo disinteressato allo sviluppo della comunità e mettono a repentaglio la qualità della vita dei singoli. È

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sull’insieme delle relazioni sociali “a partire dai giovani”. Anziché concepire l’intervento nei termini di azioni verticali “sui” giovani, si è passati a progettare azioni orizzontali “con” i giovani.

Questo diverso orientamento, che implica metodi e approcci di intervento diversi da quelli tradizionali, ha inciso in modo significativo sulla collocazione delle politiche giovanili all’interno delle politiche pubbliche. Da politiche settoriali (sottoinsieme delle politiche sociali), le politiche giovanili sono state sempre più inquadrate come campo d’azione per politiche trasversali, per la cui programmazione è possibile far ricorso a fondi di diversa natura all’interno delle Pubbliche Amministrazioni, e per la cui attuazione risulta necessario ricorrere ad altre competenze rispetto a quelle “educative” intese in senso stretto, più prossime a quelle dell’animazione sociale e dell’attivazione di comunità. Si tratta di un orientamento che, dopo aver rappresentato il filo rosso capace di tenere assieme un arcipelago di esperienze nel campo della cooperazione sociale, alle soglie del millennio ha trovato conferma anche all’interno di documenti istituzionali di rilievo, funzionali a orientare la programmazione delle politiche e l’azione strategica. In particolare, riprendendo le iniziative assunte in maniera autonoma dalle diverse istituzioni locali e nazionali e in assenza di una legislazione unitaria europea in materia di gioventù, è il Libro Bianco della Commissione Europea “Un nuovo impulso per la gioventù europea” che nel 2001 ha accolto il paradigma comunitario e riconosciuto la valenza strategica degli interventi di valorizzazione della risorsa costituita dai giovani (e delle risorse di cui i giovani sono portatori) in un’epoca di stagnazione e crisi che mette seriamente a rischio la coesione sociale.

La riflessione circa le modalità con cui mettere concretamente in pratica questa strategia è tuttavia in larga parte demandata alla capacità degli operatori di apprendere dall’esperienza e dalle sperimentazioni. Nel contesto italiano, sia a nord che a sud, la riflessione e il dibattito sulle modalità più efficaci per “mobilitare” i giovani, soprattutto nei contesti più difficili e meno stimolanti, è da tempo in corso. Soltanto alcuni anni fa un famoso numero dei quaderni del gruppo Abele dedicato a “giovani e periferie” raccoglieva una serie di riflessioni che volendo fare il punto sulla questione del protagonismo si orientavano a sottolineare il ruolo decisivo degli spazi fisici: per “far spazio” ai giovani in senso lato e metaforico si riteneva indispensabile cominciare col ragionare sul modo in cui “dar spazio” ai giovani in senso stretto. Posta in questo modo, la questione internalizzava una delle principali istanze attorno a cui i giovani impegnati politicamente nei movimenti sociali urbani avevano per anni

vero però che, nella medesima situazione, sembra possibile riconoscere anche alcune implicazioni positive, soprattutto per quanto riguarda il lavoro che gli operatori svolgono “per e con” i giovani. Lo spazio dell’interazione tra loro risulta infatti più autentico, maggiormente ancorato alla concretezza dei problemi della vita quotidiana: i giovani sono chiamati a giocarsi desideri e competenze fino in fondo, prendendo sul serio i percorsi proposti. Nella costrizione a tenere assieme tempo libero e tempo lavorativo i giovani sviluppano maggiormente quella capacità di controllare contestualmente diversi aspetti della vita quotidiana che, in passato, maturavano soltanto nell’età adulta. I giovani hanno l’opportunità di diventare maggiormente consapevoli delle diverse esigenze che li muovono, di riconoscere le molteplici responsabilità e imparare a gestirle costruendo condizioni di equilibrio compatibili con le loro individualità. In queste mutate circostanze il lavoro con i giovani si configura come particolarmente delicato e al contempo importante, in quanto da esso sembra in buona parte dipendere la tenuta e la sostenibilità dei nuovi assetti sociali in un contesto instabile e mutevole: pertanto le politiche giovanili sono necessariamente chiamate a tener conto dei suddetti cambiamenti e della loro velocità e a riorientare la loro azione in relazione a essi.

2. Protagonismo dei giovani e uso degli spaziLa parola chiave attorno a cui si è progressivamente andato costruendo questo riorientamento del discorso sui giovani è quella del “protagonismo”. Nei discorsi tra operatori, nei progetti giovani, nei centri di aggregazione giovanile è andata affermandosi in modo sempre più condiviso la necessità di un ribaltamento di prospettiva rispetto alla “questione giovanile”: quantomeno tra gli addetti ai lavori è ormai opinione diffusa la necessità di guardare ai giovani non più come a una categoria sociale con problemi specifici da trattare in maniera settoriale, passando invece a considerare i giovani stessi come un nuovo possibile punto di attacco all’intervento sulla società nel suo complesso e al contempo come una risorsa strategica per ridefinire certi equilibri e puntare al miglioramento della qualità della vita delle comunità urbane. Dal punto di vista della teoria delle politiche giovanili si è trattato di un sostanziale cambiamento di paradigma associato a un cambiamento culturale: si è passati dall’approccio cosiddetto “riparativo o adattivo”, rivolto a garantire alla popolazione giovane le condizioni per “star dentro” le dinamiche della società, a un approccio “sistemico” o “comunitario”, ossia rivolto a lavorare

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luoghi, accesso al credito ecc.) per accompagnare efficacemente la messa in pratica di idee e proposte spesso belle, innovative e apprezzabili in relazione all’impatto sociale che potrebbero generare.

Da questo punto di vista la creatività, da più parti ritenuta condizione indispensabile per lo sviluppo in fasi di crisi, verrebbe a essere intesa non come una risorsa scarsa (di cui approvvigionarsi attingendo all’esterno della comunità), ma come processo generativo di innovazione sociale da realizzare valorizzando le risorse interne alla comunità e connettendo in modo originale domanda e offerta a cominciare dai contesti locali. In particolare valorizzare la creatività giovanile per l’innovazione significa procedere per iniezioni successive di “giovanilismo” nell’economia locale nell’ottica di allargare le potenzialità di sviluppo e modificare le visioni al futuro “attraverso i giovani”. Assecondare le intuizioni di questi ultimi nei limiti di quanto è fattibile potrebbe portare a orientare verso la crescita della comunità quei conflitti che normalmente risultano paralizzanti e, in quanto tali, sono solitamente trattati riducendo lo spazio di azione per le componenti ritenute più problematiche. In questo senso la sfida sarebbe quella di supportare la nascita e lo sviluppo di distretti “creativi”, all’interno dei quali sviluppo economico e crescita sociale si combinino all’insegna dell’innovazione e investendo di responsabilità proprio le categorie sociali più fragili e solitamente escluse dai processi di trasformazione, quali i giovani. Tuttavia, trattandosi di processi spesso lenti e difficilmente in grado di generare impatti misurabili nel breve periodo, è indispensabile porsi delle domande circa la natura del soggetto che potrebbe assumere l’onere di portare avanti questa sfida nella quale sfera “economica” e sfera “sociale” risultano strettamente intrecciate.

4. L’impresa sociale dalla ragione sociale alle ragioni socialiIl concetto stesso d’impresa sociale allude a una commistione di logiche tradizionalmente considerate distinte e separate: quella più propriamente imprenditoriale e quella del lavoro orientato a finalità sociali. Tuttavia, storicamente, le circostanze in cui si è data l’affermazione e l’evoluzione di questo dispositivo non hanno realmente favorito la sua piena e compiuta realizzazione. In una primissima fase, infatti, l’impresa sociale è nata in relazione alla mancanza di competenze specifiche interne al settore pubblico per gestire certi problemi e determinati profili di disagio: in questo senso, l’innovazione

incentrato le loro rivendicazioni per una maggiore democrazia urbana. Non a caso proprio a partire dalla “questione degli spazi”, per esempio, negli ultimi anni ha provato a costruire un percorso innovativo l’assessorato alle Politiche Giovanili della Provincia di Milano. Tuttavia si tratta di una posizione che, per non rischiare di risultare ideologica, chiede di essere completata attraverso un ragionamento rivolto a chiarire le modalità di impiego di tali spazi: si chiede alle politiche pubbliche di garantire spazi ai giovani, ma per fare che cosa?

3. Utilità sociale della creatività giovanileIn generale un intervento si configura come politica pubblica nella misura in cui è rivolto (direttamente o indirettamente) a generare una qualche utilità collettiva. Possiamo dire che la creazione di uno spazio dedicato a una o più categorie sociali entra a pieno titolo a far parte di una politica pubblica se e quando assolve una funzione sociale all’interno della comunità. I tipici spazi dedicati alle politiche giovanili (per esempio i CAG - centri di aggregazione giovanile), in quanto ambiti di erogazione di servizi per il tempo libero degli adolescenti, hanno storicamente funzionato come interventi utili, oltre che ai giovani stessi, anche alla comunità nella misura in cui riducevano le probabilità per le sue componenti più fragili di ricadere in comportamenti devianti che potevano essere di ostacolo allo sviluppo della comunità stessa. Detto altrimenti, l’utilità sociale di questi spazi consisteva nel sottrarre i giovani ai processi di sviluppo della comunità.

Diversamente, l’ottica del “protagonismo” spinge a concepire gli spazi delle politiche giovanili come “palestre” in cui i giovani possano impegnarsi nell’avanzamento dei loro percorsi di crescita professionale all’interno della comunità. Da questo punto di vista l’utilità sociale di questi luoghi è associata alla relazione che questi posti aiutano a stabilire tra le risorse e le competenze di cui i giovani sono portatori e lo sviluppo della comunità. Si configurano come ambiti deputati a stabilire una relazione vera e autentica dei giovani con il mondo “esterno” e funzionali ad accompagnare la trasformazione del mondo esterno accogliendo e supportando le ambizioni e le intuizioni dei giovani. Le opportunità e le domande in questo senso non mancano: gli utenti-tipo dei servizi territoriali per gli adolescenti sono sempre meno gruppi di amici che chiedono lo spazio per fare una festa e sempre di più giovani laureati che hanno in mente un progetto e chiedono di essere aiutati a realizzarlo. La frustrazione degli operatori dipende in genere dalla mancanza di strumenti concreti (spazi,

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sollecitazioni e spunti per operazioni creative, che chiedono di essere sostenute e accompagnate dalla sperimentazione sul campo, anziché ricondotte a percorsi formativi standard e “in vitro”. Quest’ultima è un’intrapresa a sfondo sociale, verso la quale sarebbe opportuno indirizzare il lavoro delle imprese sociali. In assenza di certezze metodologiche e modelli di riferimento certi, si tratta di progettare strumenti e metterli alla prova dei fatti.

5. Incubatori territoriali: spazi di contaminazionePer poter favorire e orientare verso le ragioni sociali (o del sociale) i processi di innovazione è indispensabile intercettare tali processi, i quali si sviluppano in relazione a circostanze mai del tutto prevedibili e anticipabili. Ecco perché è cruciale per l’impresa sociale essere presente sul territorio, nei luoghi investiti da processi di trasformazione, in tutti quegli ambiti di organizzazione sociale sottoposti a tensioni e cambiamenti.

È importante essere presenti in questi contesti avendo qualcosa da offrire a quella parte della popolazione che risulta portatrice di competenze e opportunità, nella prospettiva di catalizzare interessi, risorse e progettualità. Si tratta in definitiva di offrire occasioni per fare massa critica, per sviluppare sinergie ed economie di scala. È proprio per rispondere a questa esigenza che nell’economia di mercato, soprattutto per favorire l’innovazione tecnologica, in anni recenti ha preso a funzionare la logica dell’incubazione: la disponibilità di spazi a costi contenuti e la prossimità tra imprese potenzialmente “complementari” nel costruire un’offerta di mercato competitiva, ha interessato percorsi imprenditoriali di diverso tipo specialmente nella fase di avvio (start-up).

L’esperienza ha messo in luce che la convenienza degli incubatori dipende non soltanto dalle economie di scala che questi modelli insediativi sono in grado di generare, ma anche dall’utilità degli scambi tra settori, competenze e approcci differenti che questi spazi, in quanto ambiti di condivisione, rendono possibili. Da questo punto di vista, un incubatore si configura come uno spazio fisico che funziona da dispositivo di contaminazione.

Applicato ai processi che connettono domanda e offerta rispetto all’organizzazione delle comunità sul territorio, si offre come uno strumento a cui ricorrere ogni qual volta si ambisce a incidere su tali processi, generando occasioni di scambio tra sfere e campi d’azione che fino a oggi hanno funzionato come compartimenti stagni.

sul piano dei contenuti degli interventi non ha dovuto necessariamente procedere di pari passo con la contaminazione in senso imprenditoriale del campo sociale, sostanzialmente perché quest’ultimo continuava comunque a configurarsi come un “mercato protetto”. Una seconda fase si è invece aperta in corrispondenza della progressiva crisi del settore pubblico che ha comportato una rapida riduzione delle risorse pubbliche disponibili per l’intervento nel campo sociale: per la spartizione delle poche risorse disponibili sono stati quindi attivati meccanismi competitivi tra imprese sociali fondati su criteri tipicamente di mercato (soprattutto la riduzione dei costi di gestione dei servizi) che hanno in realtà finito per precludere lo spazio per l’innovazione sul piano dei contenuti (e anzi tendevano a premiare la standardizzazione).

Oggi, in una situazione che vede l’intervento sociale chiamato ad affrontare nuove domande e problemi differenti da quelli del passato (in un rapporto stretto con le trasformazioni del mercato del lavoro descritte nel primo paragrafo) e sostanzialmente immutata la condizione di scarsità delle risorse pubbliche, la sfida sembra essere proprio quella di perseguire congiuntamente efficacia ed efficienza dell’intervento sociale. A tal fine non sembra sufficiente (e nemmeno necessario) continuare a concentrare l’attenzione sull’impresa sociale intesa come forma giuridica atta a garantire che il lavoro sociale si svolga in un contesto separato e diverso tanto dal settore pubblico quanto da quello privato: perde cioè d’importanza la ragione sociale del soggetto che affronta in modo efficace ed efficiente alcuni problemi della comunità locale, mentre risulta cruciale sostenere le ragioni sociali all’interno di percorsi di innovazione che hanno luoghi e attori molteplici. Quello che conta è in definitiva l’intrapresa sociale che consiste proprio nella costruzione delle condizioni utili a produrre contaminazioni tra campi d’azione fino a oggi rimasti separati. La mission dell’impresa sociale non deve essere quella di clonare se stessa e generare altre imprese esterne all’economia locale, ma al contrario quella di provare a orientare socialmente tali imprese e/o facilitare la nascita di quelle che incontrano difficoltà. In questo senso è possibile riguardare all’impresa sociale come a un dispositivo di contaminazione tra campi d’azione distinti, utile a intercettare la creatività che emerge tanto da processi avanzati quanto da situazioni ancora immature.

Come sostengono da tempo nei Paesi anglosassoni, l’impresa sociale è di fronte a una nuova sfida: Unleashing the potentials!, ossia evitare che potenziali e opportunità di innovazione e sviluppo per le comunità locali vadano dispersi. I giovani da questo punto di vista garantiscono più di altre categorie sociali

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In generale possiamo dire che l’utilità sociale di un siffatto dispositivo è riconducibile ad almeno tre ragioni:

✚ rende possibile e accompagna lo sviluppo di risorse creative che rischierebbero di rimanere sottoutilizzate o sprecate

✚ promuove contaminazioni tra logiche e approcci differenti e in questo senso sostiene l’innovazione

✚ si offre come potenziale ambito di ricomposizione delle competenze disponibili per interventi locali/territoriali.

Tenendo conto dell’orizzonte strategico descritto nei paragrafi precedenti, inoltre, l’incubatore può essere concettualizzato come un’occasione per riconsiderare il “sociale”: da termine che connota un campo d’azione diverso e separato dal mercato, a elemento che qualifica una specifica prospettiva verso la quale orientare iniziative imprenditoriali nascenti.

Cimentarsi con la costruzione di un incubatore di questo tipo, per una impresa sociale, significa affrontare una sfida del tutto nuova: non più quella di occuparsi esclusivamente dello sviluppo di altre “imprese sociali”, ma piuttosto quella di accompagnare soggetti imprenditoriali “normali” verso obiettivi di utilità sociale.

In particolare, applicata al campo delle politiche giovanili, la prospettiva di lavoro rivolta alla creazione di questo genere di incubatori sembra garantire un approccio innovativo almeno sui tre seguenti piani:

✚ sostiene l’emancipazione dell’intervento sui/con i giovani dall’ambito del mero intrattenimento all’interno del quale è stato per lungo tempo confinato

✚ confuta l’idea che la creatività giovane possa offrirsi alla collettività soltanto attraverso il coinvolgimento dei giovani stessi all’interno di un’impresa sociale

✚ garantisce occasioni per articolare e moltiplicare gli spazi di contatto e relazione con la popolazione giovane della città.

Due “incubatori” per l’utilità sociale dei giovani a Milano: spazio alla contaminazione!PREMESSA

il PRogEtto oPEn SPAcE PER i giovAni A MilAno (MAcRo-AzionE 3)

L’orizzonte strategico descritto nel capitolo precedente ha trovato una prima occasione di concretizzazione attraverso alcuni progetti recentemente promossi da due cooperative consorziate al SiS, La Cordata e Grado16. Si tratta di due iniziative rivolte a sostenere lo sviluppo dell’imprenditorialità creativa giovanile, orientandola verso obiettivi di utilità sociale. I due progetti operano attraverso l’impiego di un medesimo strumento operativo, la creazione di spazi di incubazione di nuove attività all’interno del quale si possano generare forme di contaminazione tra mondo dell’impresa e mondo del sociale.

La concretizzazione di questi progetti, denominati Jobox e ConnAction, è stata resa possibile dalle risorse destinate dal Comune di Milano alle politiche giovanili (POGAS) a cavallo del 2009. In particolare, il Comune ha proposto e strutturato un partenariato con la Regione Lombardia per un progetto facente parte del programma “Nuova generazione di idee. Le politiche e le linee di intervento per i giovani di Regione Lombardia” e denominato “Officina dei Giovani”, e successivamente rinominato “Open Space”.

Il progetto Open Space prevede 9 macro-azioni sul territorio, che vanno dall’assistenza sociale verso categorie svantaggiate al rilancio delle attività economiche private sul territorio locale. La terza macro-azione fa riferimento a forme di intervento rivolte alla promozione dell’imprenditoria giovanile e ha previsto un bando pubblico attraverso il quale si chiedeva ai soggetti partecipanti di proporre strumenti innovativi con cui agire per tradurre sul piano operativo gli obiettivi. Il Consorzio SIS, con le cooperative La Cordata e Grado16, ha partecipato e vinto il bando con una proposta centrata sulla realizzazione di due incubatori “socio-imprenditoriali”, aggiudicandosi il diritto a un finanziamento di 18 mesi utile allo start-up dei progetti, Jobox e ConnAction.

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Spazio per le attività sociali dentro un progetto di riuso temporaneo di un’area privata

Un incubatore per l’imprenditoria giovanile dentro a un progetto di housing sociale

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La Cordata, impresa e valore socialeLa Cooperativa La Cordata è il soggetto promotore dell’attività rivolta al sostegno dell’imprenditoria giovanile denominata Jobox, che dal 2009 rappresenta un nuovo capitolo della sua attività.

La Cordata si occupa da sempre di fornire accoglienza a soggetti portatori di differenti bisogni e, fin dalla sua fondazione nel 1989, si è caratterizzata per l’imprenditorialità del suo approccio al settore sociale, agendo secondo criteri di efficacia e di efficienza, per la sostenibilità dell’azione in modo da renderla ripetibile nel tempo e per la flessibilità nel dare risposte adeguate ai bisogni dei soggetti individuati come referenti.

Più recentemente l’attività della cooperativa si è concentrata nella realizzazione e nella gestione di strutture di housing sociale, tematica

che porta a intercettare soprattutto le difficoltà della popolazione giovane e gli ostacoli che i giovani incontrano nel proiettare lo sguardo verso il futuro.

Nel tentativo di articolare gli strumenti attraverso i quali provare a incidere sulla condizione giovane è stato deciso di accogliere e sviluppare il progetto di Jobox, rivolto a sostenere le ambizioni e le aspettative di giovani aspiranti imprenditori.

Non è soltanto il focus sui giovani ma anche e soprattutto l’attenzione verso una interpretazione diversa dal consueto dell’idea stessa del “fare impresa” che sta particolarmente a cuore a La Cordata: non si tratta solo di attività economica, ma di un processo attraverso cui si acquisiscono conoscenza e consapevolezza del mondo e delle modalità attraverso cui ciascuno può intervenire al suo interno portando il proprio contributo.

disagio o della devianza sono evidenti – per le loro potenzialità di essere risorsa per se stessi e per la comunità. Tutti i progetti della cooperativa sono infatti configurati come laboratori territoriali o servizi che mirano a coinvolgere i giovani e i ragazzi rendendoli protagonisti, a valorizzare le loro idee e le loro competenze, a stimolarne la creatività e la capacità progettuale, compiendo così sia un percorso di crescita individuale sia un cammino che nella dimensione collettiva del “fare insieme” e nella “imprenditività” sociale, culturale, imprenditoriale fonda le sue possibilità di trasformazione, cambiamento, sviluppo e sostenibilità. I progetti realizzati in questo ambito, tutti improntati a questa filosofia, vanno dunque dagli interventi di prevenzione della dispersione e dell’abbandono scolastico rivolti ai pre–adolescenti agli interventi di educativa di prevenzione dell’abuso di sostanze; dai progetti di educativa di strada – finalizzati a ingaggiare i gruppi, le compagnie, le crew di ragazzi e ragazze nei loro luoghi abituali di ritrovo (la strada, la piazza) in percorsi di crescita, sviluppo di relazioni positive con il territorio e gli spazi, utilizzo creativo e generativo del tempo libero – alla

Cooperativa Grado16, officine dell’autopromozioneLa cooperativa sociale Grado 16 – Officine dell’autopromozione, nasce nel 1994 col nome di Nuova Pratica Sociale, per volontà di un gruppo di operatori sociali con diverse professionalità: animatori sociali, psicologi, formatori e consulenti di comunità. Lavora per favorire lo sviluppo delle comunità territoriali, promuovendo e sostenendo l’interazione con e fra i diversi soggetti sociali che in esse risiedono, vivono, operano e lavorano, attraverso la progettazione e la gestione di servizi, ricerche, interventi, progetti di promozione sociale, economica e culturale e sviluppo di comunità. Le sue iniziative sono orientate alla crescita e al consolidamento di una cultura e di una pratica dell’autopromozione, intesa come supporto e sviluppo della cittadinanza attiva all’integrazione sociale, alla cooperazione fra i cittadini, le loro organizzazioni, le istituzioni, i soggetti economici e sociali.

Grado 16 fin dalla sua nascita si è caratterizzata per l’innovazione delle sue proposte rivolte al mondo dei giovani, mai guardati innanzitutto come portatori di problemi, ma sempre visti – anche laddove i sintomi del

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Come sostiene Claudio Bossi, presidente di Cordata, “quello che conta per noi è il processo attraverso cui si crea valore”: anzi il processo che vede giovani impegnati “nel fare impresa” è di per sé un valore, che può crescere in relazione alle caratterizzazioni “sociale”, “responsabile”, “etico” … che tale processo assume.

Da questo punto di vista per La Cordata gestire un incubatore per l’imprenditoria giovanile significa creare le condizioni per un intervento socialmente orientato, ossia per darsi la possibilità di incentivare il miglioramento della qualità della vita delle comunità attraverso la promozione di attività economiche che consentano alle persone di mettersi in gioco.

Zumbini 6: housing sociale e comunità innovative

È nel quartiere Barona, alla periferia di Milano, che La Cordata è da alcuni anni impegnata in una iniziativa che considera la migliore espressione del suo approccio e al contempo una occasione di sviluppo di progettualità innovative. In questa zona La Cordata gestisce il pensionato sociale integrato di via Zumbini 6, una struttura che offre accoglienza e ospitalità temporanea a un’utenza “mista”, fatta di studenti universitari, lavoratori, disabili, madri sole con bambini ecc., e che a sua volta è collocato all’interno del Villaggio Barona.

Il Villaggio Barona è stato voluto dalla Fondazione privata e benefica Cassoni nel 2001 e realizzato in accordo con la Pubblica Amministrazione. Si tratta di un intervento di riqualificazione del territorio cittadino, per creare una nuova “centralità” nel quartiere. Si tratta di un intervento di riqualificazione urbana che ha interessato un’area dismessa di 40.000 mq per sperimentare modalità di sviluppo aperte, fornendo contemporaneamente risposta alle nuove povertà

tim tribù Village: aggregazione underground e riuso temporaneoNel contesto del quartiere Bovisa, storico quartiere operaio della prima periferia milanese, da alcuni anni investito da un processo di rigenerazione trainato dalla localizzazione al suo interno di una delle sedi cittadine del Politecnico, che nel 2008 la Cooperativa Grado 16 individua un’opportunità per affrontare in modo creativo il problema del reperimento di spazi per il protagonismo e l’imprenditorialità giovanile. In via Cevedale 5 si colloca un’area dismessa di proprietà dell’immobiliare Ceccarelli, nota come “Tara Bianca”. Si tratta di un’area collocata ai margini del quartiere e a ridosso del tracciato ferroviario, al momento vincolata a usi industriali: dunque un bene immobile che, per diverse ragioni, richiedeva un investimento progettuale funzionale a costruire le condizioni per una futura valorizzazione stabile.

Con il contributo della Groovy Production, l’immobiliare mette a punto un

gestione di Centri di Aggregazione Giovanile; dalla gestione di Centri per l’informazione giovanile alla promozione di eventi socio-culturali; dalla promozione degli scambi internazionali ai servizi di promozione e supporto dell’associazionismo giovanile.

In particolare, negli ultimi quattro anni Grado 16 ha sviluppato una propria metodologia di lavoro nell’ambito del supporto all’imprenditoria giovanile, attraverso due esperienze concrete: Spazio Aurora di Rozzano e lo Spazio Polifunzionale del Comune di Opera. Per la promozione e il consolidamento di gruppi e associazioni nel 2007 è stato creato il percorso denominato Grow Up in collaborazione con la Provincia di Milano, tutt’ora attivo. L’esperienza di Grow Up ha messo nettamente in evidenza il problema principale per un’associazione o un’impresa in via di consolidamento: la disponibilità di spazi, che a sua volta dipende dai prezzi di locazione, particolarmente alti in città.

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verso il Naviglio Grande, si trova la Domus Academy. Infine va considerata l’esistenza di un micro-distretto imprenditoriale in via Malaga, via Pestalozzi e nell’area dell’ex Richard-Ginori. Il mutamento è grande se si considera che Barona è un quartiere prevalentemente residenziale (monofunzionale) e poco sviluppato dal lato dei servizi. Inoltre nell’area è presente anche il collettivo creativo Art Kitchen e la Web Radio della comunità parrocchiale.

Al fine di perseguire questa integrazione tra attività sociali e contesto territoriale, la Cordata si orienta a usare gli spazi del pensionato per creare occasioni di contatto tra comunità e pratiche differenti. Un esempio è proprio la scelta di adibire la sala di lettura a un’iniziativa quale quella dell’attivazione di un incubatore di imprese creative giovanili, assunta con l’obiettivo di intercettare e introdurre all’interno del Villaggio persone, organizzazioni e processi capaci di dinamizzare la situazione attuale e sollecitarla da diversi punti di vista. L’obiettivo è quello di arrivare a sentir parlare delle Comunità Innovative di via Zumbini 6, relativamente a diversi temi e questioni di interesse “sociale”, quali l’abitazione, il lavoro, la cultura, il benessere…

e costruendo opportunità di sviluppo per la comunità locale. Il Villaggio include numerosi servizi che riguardano fasce diverse di popolazione: servizi abitativi (case in affitto a canone agevolato, comunità protette, un pensionato studentesco, un ostello e case per ragazze madri), servizi commerciali e per la ristorazione, servizi sociali (per disabili e altre figure svantaggiate), spazi per attività culturali e sportive (teatro, palestra ecc.) e d’impresa (un incubatore di imprese creative giovanili e spazi per micro imprese).

Si tratta di una delle prime e più note esperienze di housing sociale a livello nazionale, e rappresenta indubbiamente una buona pratica nel settore delle politiche abitative. Una volta consolidata la sua struttura e la sua organizzativa interna, gli sviluppi del Villaggio sono associati alle relazioni che saprà stabilire con il suo intorno. Nonostante il Villaggio sia collocato nell’angolo a nord-est del quartiere Barona, vicino alla circonvallazione esterna, il luogo è denso di opportunità di relazione con soggetti giovani e dinamiche di trasformazione. Oggi sorge l’Università privata IULM e il Collegio di Milano, residence universitario del Politecnico; mentre poco più distante, a ovest

e servizi. È nell’intenzione di orientare la presenza dei giovani all’interno dello spazio in questione non solo alla fruizione dell’offerta del Village, ma anche a forme di protagonismo socialmente orientato, che interviene la Cooperativa Grado 16. L’accordo prevede che, limitatamente ai temi in cui l’area rimarrà destinata a funzioni temporanee per l’aggregazione giovanile, la palazzina possa ospitare attività e progetti a valenza sociale promossi da enti del terzo settore, associazioni e realtà di volontariato della zona 9 e coordinati da Grado 16. L’intenzione è quella di ricavare dallo spazio in questione non solo una risorsa da mettere a disposizione dell’associazionismo giovane per fronteggiare la cronica carenza di spazi, ma anche un meccanismo capace da fungere da volano per lo sviluppo di progettualità innovative. La situazione offriva alcuni stimoli interessanti da questo punto di vista, soprattutto se si tiene presente che il contesto è quello di un’area privata al momento destinata a funzioni aggregative (commerciali) rivolte ai giovani, ma senza alcuna garanzia rispetto al futuro.

progetto di uso temporaneo degli spazi, prevedendo all’interno dell’area l’allestimento di strutture provvisorie dedicate all’aggregazione giovanile. Viene realizzato il primo centro indoor per la street culture e per lo sport underground: 3000 mq di strutture per skateboard, bmx, roller, parkour, break dancing, slamball e così via, sotto la forma del comodato gratuito. La sponsorizzazione da parte dell’operatore di telefonia mobile TIM, ha portato a coniare il marchio “TimTribùVillage”: all’interno del Village, il Trinity Skatepark è rapidamente diventato un punto di riferimento per molti giovani della città e non solo. L’elevata frequentazione degli spazi ha portato all’apertura all’interno della struttura di un bar, di un negozio di abbigliamento legato alla cultura underground, di alcuni spazi per l’arte tra cui la sede del collettivo The Bag, da tempo attivo nel quartiere.

All’interno dell’area dismessa, concessa in comodato d’uso dall’immobiliare alla Groovy Production, rimanevano tuttavia alcuni spazi non destinati: in particolare una palazzina di circa 300 mq che un tempo ospitava uffici

SI InSerISCe L’InCUbatore2. IL ConteSto In CUI

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Per questo la mission sociale di Jobox presenta degli aspetti pionieristici nell’ambito dei processi di incubazione.

La funzione che il progetto attribuisce allo spazio dell’incubatore è per certi versi è simile a quello degli incubatori tecnologici: nei fatti si tratta inizialmente di fornire supporto alla creazione d’impresa, dalla ragione sociale fino ai primi servizi fiscali.

Quello che differenzia profondamente la realtà che stiamo prendendo in considerazione è l’orientamento strategico a lavorare sulla creatività per generare micro-economie di scala, capaci a loro volta di arrivare sul territorio locale sia in termini di valore monetario che di coinvolgimento di soggetti terzi. I soggetti incubati, vale la pena sottolinearlo, sono a tutti gli effetti delle imprese profit, mentre l’incubatore è non-profit, con lo scopo principale di creare occasioni di relazione tra le imprese incubate e l’esterno, massimizzando i potenziali impatti sociali della loro azione.

Scambiare tra progetti sociali e il mercato della creativitàJobox è lo strumento operativo messo in campo dalla cooperativa La Cordata per introdurre all’interno del Villaggio, che ospita (e si caratterizza per il fatto di includere ad affrontare) situazioni di disagio ed emarginazione sociale, anche dinamiche economiche capaci di generare relazioni con l’esterno. La funzione di promozione e di sostegno al protagonismo della popolazione giovane viene dunque assunta in chiave strategica.

Il clima economico europeo in cui si attiva l’azione di Jobox delinea un contesto dove si moltiplicano le politiche pubbliche a sostegno della nascente imprenditoria (il termine Start-Up è ormai diffuso e la pratica dell’incubazione è una realtà anche in Italia), tuttavia solitamente si osserva un’attenzione rivolta esclusivamente verso i settori legati all’alta tecnologia, capaci di ritorni economici elevati.

esperienze e usi collettivi dall’altra. Si tratta di creare le condizioni per coniugare diversi interessi in gioco, ognuno preservando, perseguendo e mantenendo la propria specificità, i propri obiettivi e i propri ruoli.

Milano è una metropoli ricca di creatività artistica, sociale e culturale in attesa di opportunità e risposte alle proprie domande. Un luogo come lo spazio di Via Cevedale, in cui convivono diverse esperienze (Tim Tribù Village, lo spazio musica, il laboratorio teatrale ecc) anche autonome tra loro, è esattamente il luogo in cui poter indirizzare in modo concreto e non irreale le proposte (tantissime) di festival musicali, teatrali, mostre d’arte, installazioni, reading, manifestazioni sportive non tradizionali, cinematografiche che non hanno avuto sino a ora possibilità di espressione. L’obiettivo, e la scommessa, è dunque fare in modo che lo spazio di via Cevedale possa divenire una risorsa “pubblica”, dall’alto valore sociale, culturale e imprenditoriale, ospitando e integrando diverse attività che lo rendano parte attiva e pulsante della Zona in cui è collocato, ma anche un

Fare spazio al pubblico dentro un investimento privatoDa anni il dibattito su cosa sia definibile come “pubblico” investe vari ambiti, da quelli più accademici a quelli più politici passando attraverso il non profit e l’area dell’impresa sociale in vari modi strutturata. Spesso accade in realtà che molte esperienze non riconducibili al “servizio pubblico” classicamente inteso (ovvero non emanazione diretta di un ente pubblico) si diano nei territori come dato di fatto oltre e al di là dei dibattiti formali. La finalità dell’incubazione, intesa nei termini proposti dal progetto ConnAction proposto dalla Cooperativa Grado 16 all’interno del Tim Tribù Village, è dunque quella di approfittare di un’opportunità “privata” per supportare la capacità e propensione di attori dell’impresa sociale di farsi realizzatori di servizi e progetti destinati alla pubblica utilità da una parte, e la possibilità delle comunità locali di avere un ruolo protagonista nel contribuire a determinare il definirsi di luoghi di

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certe categorie più in difficoltà. Non esistono tuttavia formule magiche in questo senso: da una parte si tratta di processi nei quali giocano un ruolo fondamentale l’improvvisazione e la capacità di cogliere opportunità e sapersi muovere sul filo della contingenza, dall’altra la stima di come e quanto le azioni economiche e creative delle imprese siano utili alla collettività e al territorio rinvia a un processo continuo di monitoraggio e aggiustamento “in corso d’opera”.

Jobox sostiene e accompagna la nascita e il consolidamento sul mercato di idee imprenditoriali creative e di imprese giovani, occupandosi al contempo di orientare la loro azione (anche) verso obiettivi di utilità sociale.

Nel caso di Jobox si tratta di valorizzare, innanzitutto, la vicinanza fisica e le occasioni di contatto tra i progetti sociali del Villaggio e le imprese interne all’incubatore per sviluppare sinergie, per influenzarsi reciprocamente e per aprire percorsi di possibile collaborazione che sappiano incrementare l’efficacia degli interventi già in atto e migliorare la qualità della vita nel territorio in questione.

Attivare reti e elaborare idee a partire dal confronto e dallo scambio tra punti di vista e preoccupazioni differenti, quelle rivolte al mercato e quelle attente alle ragioni sociali: la creatività, è questa l’ipotesi, può rappresentare un punto di convergenza interessante, nella misura in cui significa mettere a valore le competenze e la capacità imprenditoriale dei giovani trasformandola in un valore aggiunto per la collettività e per

attivi funzioni di supporto logistico/tecnico e di consulenza, finalizzate allo sviluppo di percorsi di impresa caratterizzati da creatività, innovazione e produzione culturale. Il termine Open Source, mutuato dalle nuove pratiche informatiche, è usato informalmente per qualificare alcuni spazi di ConnAction, proprio a voler sottolineare la scelta di far partecipare il pubblico, la cittadinanza. In generale, come se fosse un manifesto, il progetto di ConnAction è rivolto ad associazioni, gruppi e imprese creative per sviluppare eventi, laboratori, produzione artistica o multimediale da offrire alla cittadinanza, a sua volta invitata a partecipare attivamente. Questo tipo di indirizzo spiega allo spazio di via Cevedale di contaminarsi con soggetti diversi integrando la funzione sociale insieme a quella creativa, artistica ed espressiva già presente e sviluppabile nel progetto.

progetto/laboratorio per la città di Milano, dove le numerose operazioni di riqualificazione spesso sono sconnesse con il tessuto comunitario locale. Aver creato questo progetto all’interno di uno spazio inizialmente pensato solo come investimento edile privato potrebbe apparire in contrasto, ma al contrario mette in evidenza il ruolo di ConnAction nell’operazione. Si potrebbe parlare della creazione di uno spazio pubblico non istituzionale in cui collaborano imprenditoria privata, impresa sociale, impresa creativa e cittadinanza. Visto in quest’ottica il progetto ConnAction è una risorsa pubblica, collocata la dove era previsto solamente un progetto privato per privati.

ConnAction interviene proprio in questa direzione, “aprendo le porte” alle associazioni e gruppi giovanili di Milano e Provincia, promovendo al contempo la connessione di queste esperienze con il territorio e attivando processi di sviluppo locale. La visione al futuro è quella di sperimentare in Via Cevedale la fattibilità di un polo che, nell’ottica dell’open source,

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sono stati chiamati alcuni artisti che hanno “colorato” gli spazi, rompendo in parte la sobrietà di un luogo anzitutto dedicato alla produttività.

Le retiIl primo screening di aspiranti imprese è stato effettuato su circa 80 realtà coinvolte attingendo a una rete di contatti pregressa, derivante in buona parte dall’attività di sportello effettuata negli anni precedenti dalla Cooperativa. Ad oggi solo cinque realtà hanno iniziato il percorso di incubazione: la rinuncia degli altri è dipesa in parte dalla non congruità degli obiettivi dei giovani aspiranti imprenditori con la filosofia, e in parte dall’esigenza manifestata da alcuni di disporre di locali con una vetrina su strada (condizione non presente nell’offerta di Jobox e in generale in quella di un incubatore). La situazione dimostra che il progetto Jobox deve ancora calibrare bene la sua strategia per attrezzarsi a intercettare le risorse e i processi più utili a perseguire i suoi obiettivi. Per far questo è stata pensata

Costruire una rete per nuove forme di economiaNel corso del 2009 il progetto Jobox prende avvio con un bando rivolto a giovani sotto i 35 anni, in cerca di spazi all’interno dei quali avviare attività imprenditoriali in qualche modo orientate ad affrontare in modo creativo temi e questioni di interesse sociale.

Gli spaziI lavori di adeguamento della sala di lettura vengono affidati a una società di architetti ponendo pochi vincoli operativi: la sala dovrà risultare divisa in 7/8 spazi indipendenti, non totalmente chiusi. La scelta è motivata dalla volontà esplicita di alimentare i rapporti di socialità, favorendo uno scambio di opinioni tra i soggetti attivi nei box. Le scelte sono state operate anche secondo il criterio dell’economicità, che ha portato comunque a delle soluzioni funzionali: armadi, scaffalature di ferro e divisori conferiscono al luogo un tocco minimale, ma al tempo stesso moderno e dinamico. Infine

oscuramento e così via). Alcuni spazi sono stati poi destinati a un uso condiviso e alternato, e per questo sono stati attrezzati alla stregua di sala riunioni, conference room e sala multimediale (dove è stata creata una web-radio) attraverso il reperimento di strumentazione tecnica come telecamere, videoproiettori o microfoni.

Le retiQuando gli spazi di ConnAction erano ormai pronti e il progetto formalizzato, è iniziata la comunicazione attraverso i canali consolidati di Grado16 e a uno spettro di 600 associazioni è stato proposto di visitare gli spazi. Hanno risposto all’appello circa 80 organizzazioni. A cavallo del nuovo anno due realtà si sono insediate in maniera stabile: una scuola di italiano per stranieri e la redazione del settimanale gratuito di cultura underground MilanoX; mentre una terza realtà, al momento della stesura del testo, è in fase di contrattazione, si tratta di un gruppo di videomaker

offrire alcuni servizi rivolti alle associazioniLa realizzazione di ConnAction inizia a prendere forma nel febbraio 2008, addirittura precedendo il bando Open Space: l’accordo di comodato gratuito raggiunto con l’immobiliare (soltanto in un secondo momento divenuto un vero e proprio contratto d’affitto) e il buono stato di conservazione della struttura permettevano infatti fin da subito l’accessibilità degli spazi.

Gli spaziI primi soggetti associativi contattati hanno dimostrato il loro interesse per il progetto partecipando in prima persona all’adattamento dello spazio a “luogo di lavoro”. L’arredamento delle sale è avvenuto inizialmente in forma autorganizzata (imbiancatura in stile fai-da-te; tavoli e attrezzature di base reperiti facendo ricorso alle reti della Cooperativa ecc.), mentre in un secondo tempo è stato fatto un investimento specifico per attrezzare gli uffici andando incontro alle esigenze dei fruitori (connessione, apparecchi,

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in attività di pubbliche relazioni e proposte di progetti di collaborazione. A fronte di quanto descritto qua sopra, il contratto d’incubazione è stato modulato sulla reale capacità delle idee imprenditoriali di creare reddito nel brevissimo periodo. Come ricordato in precedenza, l’incubatore è a sua volta in fase di start-up, non essendo ancora “a regime” con sette imprese insediate. Allo stato attuale i canoni percepiti da Jobox non coprono i costi della struttura: indicativamente la soglia di sostenibilità del progetto si colloca intorno ai 100.000 euro annui.

la creazione di una rete di soggetti: gli Amici di Jobox. Si tratta di esperti in settori attinenti alle attività imprenditoriali (finanza, comunicazione, economia d’impresa, terzo settore), che aiutano a fare brainstorming e offrono la loro competenza in circostanze specifiche, valorizzando l’attività delle neo-imprese in relazione alla mission dell’incubatore stesso.

La sostenibilitàLa gestione economica di Jobox si è dimostrata poco onerosa, anche se attualmente rimane dipendente da forme di cofinanziamento esterno. I contratti firmati dalle imprese insediate comprendono l’uso degli spazi, le infrastrutture di telecomunicazione (oltre alla connettività è disponibile una linea telefonica in ogni box) e servizi vari come la definizione del business plan, l’analisi del fabbisogno economico o la fornitura di competenze per l’accesso al credito. Fa parte dell’offerta anche la creazione del network di relazioni, che evidentemente ha un costo in termini di tempo investito

privilegiato per individuare realtà da coinvolgere. Tuttavia nel 2010 diverse organizzazioni che pur avevano già definito il loro business plan, si dichiaravano impossibilitate a insediarsi perché non in grado di sostenere il contributo richiesto. Quest’ultimo è stato di conseguenza rimodulato al ribasso: questo significa però che alla scadenza del finanziamento Open Space l’attività di ConnAction verrà parzialmente interrotta e parzialmente gestita con risorse umane ridotte e su base di volontariato (per coprire il lavoro di cinque persone e le collaborazioni saltuarie di professionisti per i corsi e alle attività di sportello).

indipendenti. Sono soggetti che per loro stessa natura lavorano su una grossa mole di persone, potenzialmente aumentando le connessioni verso ConnAction. Vale la pena sottolineare l’apertura degli spazi a una pluralità di soggetti capaci di mettere in movimento reti sociali molto estese: per esempio, oggi frequentano gli spazi di ConnAction un corso di canto popolare, un corso di fisarmonica, il laboratorio di PCOfficina.

La sostenibilitàDopo una complicata fase iniziale in cui ConnAction restava un progetto senza un budget autonomo e dunque attuato solo in parte drenando risorse dalle casse della cooperativa, da maggio 2009 il finanziamento associato al bando Open Space ha permesso l’attivazione di tutti i servizi previsti. In particolare sono stati proposti una serie di attività di sportello (servizi di assistenza fiscale, ricerca di fondi e affiancamento per l’ottenimento di risorse o la strutturazione dell’attività), che hanno costituito un canale

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nell’allestimento e gestione di una sala multimediale permanente.

✚ Promozione, realizzazione e allestimento di una mostra fotografica sul tema della “crisi economica” all’interno degli spazi comuni interni al Pensionato.

✚ Gestione congiunta di un bando sui temi della promozione e della sostenibilità ambientale.

✚ È in fase di ultimazione una proposta che prevede l’offerta di corsi di formazione all’interno degli spazi dell’incubatore, valorizzando le competenze plurime dei soggetti professionali presenti.

✚ È stato realizzato un evento a porte aperte, pensato per presentare pubblicamente l’attività de La Cordata e dello scenario più ampio rappresentato dalle attività presenti nel Villaggio Barona.

✚ Per valicare i confini di Jobox ed entrare in contatto con la popolazione, si può anche ricorrere a forme di comunicazione

Comunicazione sociale, partenariati, eventiAlcuni primi significativi risultati sono stati raggiunti da Jobox a distanza di solo qualche mese dal 23 novembre 2009, data di inaugurazione dello spazio.

Le imprese incubate hanno iniziato a creare relazioni con soggetti terzi, interni ed esterni alla struttura, nonché tra gli imprenditori stessi, in linea con la visione promossa da La Cordata.

I processi più rilevanti riguardano le connessioni che si sono stabilite con gli utenti e le attività del pensionato sociale integrato.

Vediamo nel dettaglio alcune iniziative che sono state realizzate all’interno del Pensionato con il coinvolgimento di alcune delle imprese incubate:

✚ Produzione di un video con la partecipazione dei fruitori dei servizi del pensionato sociale integrato e loro coinvolgimento

alcuni docenti, ricercatori e studenti del vicino Politecnico (Sede Bovisa), per una riflessione attorno al tema del riuso temporaneo degli spazi dismessi e delle loro potenzialità per la riorganizzazione dei servizi di welfare e la soddisfazione di bisogni emergenti.

✚ la creazione della PCOfficina per soddisfare l’interesse di alcuni soggetti della zona verso il riuso dell’hardware. Nella sala dedicata alle iniziative su proposta è stato allestito un laboratorio informatico, la cui principale attività è il riciclo di vecchi computer, assemblando pezzi di varia provenienza, resi utilizzabili nonostante l’obsolescenza grazie a sistemi operativi derivati da Linux.

✚ l’apertura della scuola di italiano per stranieri ha coinvolto una parte della popolazione locale, offrendo uno strumento di fondamentale per la cittadinanza attiva: la comprensione della lingua. Gli stessi soggetti hanno manifestato il bisogno di acquisire un altro alfabeto, indispensabile al giorno d’oggi, quello che

Spazi e opportunità per l’auto-formazioneAffrontando difficoltà e ostacoli legati principalmente alla precarietà della situazione (soprattutto la mancanza di garanzie circa la disponibilità futura dello spazio, che inibisce i partecipanti da qualsiasi investimento economico sull’adeguamento della struttura), dalla sua apertura a oggi ConnAction ha sviluppato un percorso che è stato capace di evidenziare alcuni primi risultati. Spunti progettuali emersi a partire da esigenze e opportunità concrete manifestatesi all’interno di questo luogo sono riusciti a tradursi in iniziative concrete, tra le quali:

✚ innanzitutto l’apertura dello sportello informativo e di consulenza, di cui si detto nel paragrafo precedente, resa possibile dal finanziamento del progetto Open Source, che ha sua volta ha potuto appoggiarsi alle competenze e agli spazi disponibili.

✚ la creazione di un rapporto stabile di scambio e collaborazione con

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Scambiare con il territorio in un’ottica di prossimitàLa missione futura di Jobox è quella di puntare a stabilire relazioni con il territorio, oltre i confini del Villaggio stesso, verso il quartiere, la zona e la città. Nel concreto si intende un percorso di studio capace di portare le aziende incubate all’individuazione dei modi migliori per operare nel territorio, ma anche per comprendere chi siano i soggetti più adatti da coinvolgere nel processo di rinnovamento. La finalità ultima, ovviamente, è il raggiungimento di una condizione di “benessere diffuso” e, per far questo la movimentazione dell’economia, anche attraverso la profittabilità delle attività incubate in Jobox, è di fondamentale importanza.

A tal fine è necessario però un passo preliminare: la comprensione del territorio, l’esplorazione dell’intorno del Villaggio, la conoscenza della popolazione locale “dal vivo”, mentre abita gli spazi e manifesta i propri bisogni. Cosa succede quando le imprese tecnologiche si rapportano

mediata. È stata così realizzata una produzione di DVD e filmati per diffondere strumenti di alfabetizzazione all’imprenditorialità, i cui contenuti non sono dedicati agli aspetti burocratici, quanto piuttosto alla spiegazione di pratiche imprenditoriali concrete. Una rivista, infine, diventerà l’organo ufficiale dell’attività di Jobox.

Sviluppare competenze spendibili in altre occasioniIl futuro di ConnAction è al momento incerto, strettamente legato com’è alla temporaneità della concessione degli spazi da parte dell’immobiliare proprietario dell’area e dunque dipendente da dinamiche non del tutto controllabili dai promotori dell’iniziativa. Il lavoro finora condotto ai fini della attivazione di rapporti stabili con il quartiere e le realtà presenti sul territorio è da intendersi in questo senso come strategico: si tratta di tentare di creare le condizioni affinché sia evidente l’utilità pubblica di un presidio “sociale” all’interno dell’area, e di conseguenza sia possibile negoziare il mantenimento di uno spazio dedicato a tali funzioni all’interno delle trasformazioni che verranno prospettate per l’area. Il caso della Stecca degli Artigiani all’interno del quartiere Isola è da questo punto di vista emblematico: una struttura dismessa che era stata provvisoriamente riutilizzata da parte di associazioni e gruppi locali in attesa degli sviluppi progettuali sull’area Garibaldi-Repubblica. L’importanza che le attività

permette l’uso dei mezzi informatici. Da questo bisogno è nato il rapporto con PCOfficina, che ha destinato parte del suo tempo a dei corsi dedicati alla popolazione straniera.

✚ corsi di autoformazione. La proposta iniziale di prevedere spazi per la formazione si è trasformata nel tempo. A seguito dei corsi basati sull’approccio “noi definiamo l’offerta” è emersa da parte di alcuni la richiesta di poter trasmettere la conoscenza in loro possesso. Oggi quindi, all’interno di ConnAction chi ha delle competenze può strutturare un corso e offrirlo a prezzi contenuti. Esiste un catalogo che raccoglie questa nuova offerta.

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dei quartieri Baggio, Giambellino/Lorenteggio, Gratosoglio e Barona. Per quest’ultimo le parole chiave sono creatività, cultura e arte. All’interno di ogni quartiere sono in via di definizione degli hub capaci di catalizzare funzioni specifiche del territorio. Jobox potrebbe essere il soggetto deputato ad assumere questo ruolo.

con il mondo reale, con il territorio? Jobox si sta già qualificando come un soggetto di riferimento per entrare in contatto con il “sociale”. Nell’incubatore sono presenti imprese ricche di esperienza diretta sul campo, capaci di una progettazione basata su studi e ricerche, ma anche competenti nella gestione di eventi che prevedono l’interazione con un’audience locale e promotrici di momenti di formazione. Inoltre, muove in questa direzione la costruzione di un rapporto privilegiato con il gruppo di Design del Territorio del Politecnico di Milano, coordinato dal Professor Ezio Manzini, con il quale si intende promuovere un percorso di studio attorno alla parola chiave prossimità che prevede l’incubazione di un’impresa composta da studenti attivi su questi temi.

Sempre all’interno di un percorso di valorizzazione del territorio è da segnalare che il quartiere Barona rientra nel progetto di coesione sociale “Punto e Linea”, promosso da Fondazione Cariplo. L’area di intervento di questo progetto è il territorio a sud-ovest di Milano e nello specifico

e perfezionare le competenze necessarie per rendere più efficiente ed efficace l’intervento “a tempo determinato” all’interno di aree ed edifici dismessi. Si tratta di costruire un modello leggero di intervento, capace di aggirare gli ostacoli dipendenti dalla precarietà delle situazioni in cui si prevede la replica dell’esperienza e di massimizzare le opportunità associate a una fruizione temporanea. Più che un ruolo da intermediari tra le parti, la specializzazione sull’uso temporaneo degli spazi potrebbe essere definita come la creazione di percorsi rivolti ad attivare le comunità locali, coinvolgendole direttamente nella gestione temporanea di spazi, come occasione per fare esperienza e sviluppare competenze tali da rendere rapidamente autonome le organizzazioni nella ricerca di soluzioni più stabili.

svolte avevano acquisito per gli abitanti del quartiere e per la città nel suo complesso ha giocato un ruolo non indifferente nel far sì che, quando l’immobiliare proprietaria dell’area si è trovata a realizzare il progetto di riqualificazione ha ritenuto opportuno prevedere uno specifico spazio da dedicare a esse. Per ConnAction, lavorare in questa prospettiva vorrebbe dire da una parte investire maggiormente nel coinvolgimento diretto e nella implicazione personale nell’ambito del progetto di figure rappresentative della comunità locale, dall’altra prestare attenzione a rendere evidenti e comunicabili il valore pubblico del progetto.

È pur vero che, per non rischiare di disperdere il patrimonio di relazioni e di progettualità generati finora, sarebbe importante predisporsi anche a uno scenario differente, che preveda la necessità di rilocalizzare altrove ConnAction. In questo senso, ferme restando le ipotesi iniziali circa l’importanza di sperimentare pratiche innovative circa il riuso temporaneo degli spazi, appare di fondamentale importanza lo sforzo di riconoscere

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Cosa manca a questi incubatori?PREMESSA

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Jobox e ConnAction si configurano come iniziative sperimentali e pionieristiche nel campo delle politiche giovanili; si tratta di progetti la cui validità e la cui efficacia rispetto agli obiettivi indicati nel capitolo introduttivo non possono essere date per scontate.

In primo luogo, infatti, il ricorso al modello degli “incubatori” è stato assunto in modo esplorativo, senza far riferimento a esempi e buone pratiche di riferimento e senza un approfondimento mirato delle condizioni che permettono il funzionamento di questo strumento nel mondo dell’economia di mercato.

In secondo luogo, l’adattabilità di un modello concepito soltanto a livello teorico (se pur come intuizione fondata sulle esperienze e i trascorsi nel lavoro svolto dalle cooperative promotrici nell’ambito delle politiche giovanili) poteva essere soltanto verificata sul campo, alla prova del rapporto con i processi reali e le esigenze concrete dei giovani.

È sembrato pertanto importante, a compendio della descrizione dell’impianto strategico e del contenuto specifico dei progetti, puntare ad alcune prime considerazioni funzionali a sostenere il percorso valutativo (paragrafo 5), fondate su:

✚ uno sguardo comparativo con il modello degli incubatori tradizionali (paragrafo 1)

✚ la considerazione del punto di vista dei protagonisti (i referenti delle imprese incubate che sono stati coinvolti in una tavola rotonda di discussione dei temi fondamentali sollevati dalla ricerca) (paragrafo 2)

✚ la raccolta di spunti e sollecitazioni da parte dei promotori del progetto (paragrafo 3) e di alcuni osservatori privilegiati ai quali gli stessi promotori hanno chiesto di monitorare l’avanzamento delle esperienze (paragrafo 4).

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1. Incubatori tecnologici e incubatori territorialiIn Italia la pratica degli incubatori professionali comincia a diventare una prassi nelle dinamiche economiche a cavallo del millennio, come possibile soluzione al bisogno impellente di un rinnovamento del tessuto imprenditoriale nazionale.

Il fenomeno, nuovo nel nostro Paese, ha le sue origini nel mondo anglosassone, fondandosi su una elaborazione teorica di fine anni Sessanta, poi diffusasi nel resto d’Europa durante gli anni Settanta.

In Italia il fenomeno si è caratterizzato da subito per un legame stretto con le facoltà ingegneristiche (Torino è stata la prima esperienza, seguita subito dopo dall’acceleratore d’impresa del Politecnico di Milano), portando così ad associare nel linguaggio comune il concetto di “incubatore” allo sviluppo di nuove tecnologie.

Si è diffusa l’espressione high-tech, per qualificare l’iniziativa privata rivolta a utilizzare il valore aggiunto dell’innovazione su base tecnologica per generare grandi fatturati. In particolare biotecnologie, nuove energie, ingegneria e informatica sono i settori di maggiore interesse per i processi d’incubazione.

Gli incubatori universitari seguono una logica parzialmente differente. Promossi nell’ambito di percorsi di ricerca e in continua relazione con questi, spesso prendono il nome di Parchi Tecnologici e lavorano all’ottimizzazione del passaggio di know-how (ossia del processo di trasferimento tecnologico).

Alle imprese poi il compito di trasformare in breve tempo la conoscenza scientifica in questo modo generata in prodotti carichi di valore commerciale, beneficiando del contributo e del sostegno delle politiche pubbliche per l’innovazione.

Tuttavia, originariamente il processo d’incubazione era stato pensato anzitutto e soprattutto come un’occasione per il rilancio dello sviluppo in territori caratterizzati da un’economia depressa, piuttosto che come uno strumento orientato prioritariamente all’innovazione direttamente spendibile sul mercato.

La concentrazione delle imprese in un medesimo contesto lavorativo era stata infatti pensata e sostenuta in base alla ricaduta positiva e al benessere diffuso che si supponeva potesse indurre nell’ambiente circostante.

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Nelle esperienze di incubazione descritte nell’ambito di questo lavoro di ricerca il territorio torna a essere centrale. È nel territorio, infatti, che si individuano le potenzialità a cui appoggiare la crescita e il consolidamento delle imprese incubate. Non è tanto un fatto economico in senso stretto quanto – ed è stato spiegato adeguatamente nella prima parte di questo lavoro – una questione che attiene il valore sociale, che cresce quanto più le persone sono impegnate in iniziative che le rendono protagoniste e soddisfano le loro aspettative e le loro ambizioni.

Il lavoro di Jobox e ConnAction è anzitutto questo: mettere il territorio al centro del processo, interrogarlo, far emergere le competenze dei soggetti che lo vivono, accompagnando il loro impiego diretto all’interno di un’impresa che sappia o possa restituire al territorio qualcosa.

E ancora, far maturare nuove esigenze e mettere in relazione soggetti che diversamente avrebbero meno possibilità di incontrarsi. In pratica fare “promozione” dello sviluppo territoriale affrontando direttamente – attraverso il sostegno alla creazione di imprese locali – e/o indirettamente – orientando verso il territorio i progetti di impresa incubati – il problema della attivazione e messa in rete delle risorse.

Non è quindi la tecnologia ciò che preme a Jobox e – ancora meno – a ConnAction, ma la creazione di un altro tipo di valore che si sviluppa di pari passo alla stabilità economica delle imprese (comunque fondamentale).

Un valore dato dalle relazioni (umane, fisiche, progettuali) di prossimità: un valore “sociale” aggiunto con il quale si intende impattare sul territorio, contribuendo al suo sviluppo.

L’impatto sul benessere locale e sulla qualità del territorio, dunque, non come effetto secondario e solo eventuale della localizzazione degli incubatori, ma come oggetto prioritario di attenzione dell’incubatore, verso cui orientare l’attività delle imprese.

La configurazione di queste esperienze di incubazione è quindi ibrida rispetto alle esperienze descritte all’inizio, dove il ruolo “promozionale” era attribuito a soggetti pubblici esterni, ma per certi versi non è del tutto inedita nella sua configurazione.

Esistono infatti dei riferimenti teorici già elaborati che richiamano le prassi attuate da Jobox e ConnAction: anzitutto quella dei cosiddetti networked incubator, a cui i nostri due casi sono assimilabili in quanto sono (o ambiscono

a essere) il centro, l’hub, di una rete di relazioni tra imprese e area, imprese e quartiere, imprese e “professionisti sostenitori del progetto”, cioè una rete di competenze capaci di contaminare il lavoro delle imprese incubate.

Allo stesso tempo la scelta operata sulle imprese avviate al percorso di incubazione è basata sulla possibilità di avere dentro gli incubatori dei soggetti eterogenei tra loro, configurando internamente Jobox e ConnAction come promotori di un tipo di incubazione multipurpose (cioè non orientato a un singolo settore merceologico), e comunque orientato verso soggetti disponibili a rivolgere almeno una parte delle loro attività verso obiettivi di sviluppo sociale del territorio.

2. Thinking outside the boxes: il punto di vista dei protagonistiIl primo e prioritario punto di vista da considerare circa il funzionamento delle esperienze descritte e la loro effettiva capacità di soddisfare gli obiettivi prefissati sembra essere quello dei soggetti in esse direttamente implicati e coinvolti, ossia i giovani che occupano gli spazi degli incubatori portando avanti i loro progetti.

Attraverso l’organizzazione di un apposito workshop aperto ai rappresentanti delle imprese incubate, abbiamo inteso sottoporre alla loro attenzione i temi sin qui sollevati, per raccogliere la loro visione rispetto ad alcuni aspetti indagati dalla ricerca (le relazioni con gli altri soggetti imprenditori all’interno dell’incubatore, il rapporto con il territorio, la valenza sociale del lavoro professionale, la stessa tematica del protagonismo dei giovani), provando in questo modo anche a verificare il loro livello di consapevolezza circa la funzione “sociale” degli incubatori all’interno dei quali si collocano.

Il titolo di questa sezione rimanda alla volontà dei promotori di questo incontro di sollecitare i giovani coinvolti a far emergere le loro idee rispetto al senso dell’esperienza, il loro punto di vista circa la vision dell’impresa sociale che li sostiene nei percorsi di sviluppo imprenditoriale, giocando sul contrasto tra incubazione, essere in un box, e pensare fuori dagli schemi (outside the box).

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Di seguito proponiamo alcuni tra i passaggi più significativi della discussione avvenuta nell’ambito del workshop, accorpati con riferimento ai nodi ritenuti cruciali.

GIOVANI E PROTAGONISMO NEGLI SPAZI“A dire il vero noi non siamo lo stereotipo del giovane precario: siamo giovani

che avevano avuto la fortuna di partire con un lavoro stabile ma che invece si sono resi conto che quello che cercavano non era il posto fisso, ma libertà d’azione sul mercato. Abbiamo trovato un finanziamento start-up e abbiamo deciso di rischiare. Uno spazio attrezzato e a basso costo era ciò di cui avevamo più bisogno: ecco la molla (o la calamita) che ci ha portato qua, prima ancora di venire a conoscenza della filosofia di Jobox, che comunque ci interessa e incuriosisce. Il bisogno di spazi nella città è forte e l’opportunità dell’accompagnamento è ghiotta per chi vuole iniziare una sfida imprenditoriale: secondo noi questo riorientamento delle politiche giovanili non può che dare buoni risultati.”

“Anche nel nostro caso il percorso è anomalo: gli ideatori e promotori della nostra iniziativa imprenditoriale non siamo noi giovani: sono due persone anziane che ci hanno coinvolto e spinto a buttarci in questa sfida, che al momento noi vediamo a cavallo tra l’offerta di lavoro e la sfida imprenditoriale. È un tentativo che altrimenti non avremmo fatto…”

“È interessante che le politiche giovanili si facciano carico di avviare queste iniziative; altre politiche dovrebbero farsi carico di costruirne la sostenibilità economica. Altrimenti, esauriti i fondi POGAS, che ne sarà dei percorsi avviati?”

“Ciò che contraddistingue la condizione dei giovani nell’epoca contemporanea non è tanto il fatto che si è ridotto lo spazio/tempo a disposizione prima di doversi dedicare al lavoro, ma piuttosto il fatto che si è disintegrata la tradizionale concezione del lavoro, si è frammentato il mondo del lavoro: oggi i giovani sono costretti ad arrabattarsi per portare a casa i soldi anziché aver la possibilità di scegliere tra percorsi lavorativi diversi ma chiari e stabili. Il lavoro nell’epoca della precarietà è un non-lavoro, l’economia dell’immateriale è molto più alienante rispetto al lavoro in catena di montaggio perché alla evanescenza dei processi si affianca anche l’evanescenza dei prodotti. La vera sfida di progetti come questo è quella di contribuire a dare ai giovani una valida alternativa a questa realtà.”

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UTILITÀ SOCIALE ATTRAVERSO L’IMPRESA“L’utilità sociale del nostro lavoro è legata ai valori che veicoliamo con i

nostri prodotti culturali (che non interessano al mercato), alla loro localizzazione nei luoghi della vita sociale (e non nei luoghi del mero commercio) e alla visibilità che garantiamo ad autori che altrimenti rimarrebbero sconosciuti”

“La nostra iniziativa si colloca intenzionalmente nel processo di ripensamento dei sistemi di welfare, della cui riorganizzazione pratica le nostre iniziative ambiscono a essere una miccia scatenante, creando circuiti economici sostenibili attorno alle iniziative sociali anziché lasciarle alle nicchie del mercato pubblico senza risorse. D’altra parte creare economia per il sociale significa anche creare nuove occasioni lavorative: si tratta di uno dei possibili approcci con cui affrontare la crisi economica. Da questo punto di vista l’esperienza di Jobox in cui ci collochiamo è un esempio delle opportunità che il territorio e le logiche dello sviluppo locale possono offrire ai giovani e non solo: la prossimità è un’opportunità per lavorare sulla fiducia e sulle sinergie tra servizi, mentre la nuova economia e i rapporti a distanza contribuiscono ad affermare logiche individualistiche che stanno alla base della precarietà. Ecco perché Jobox può essere utile soprattutto se si fa carico di una sorta di regia dello sviluppo di sistemi di reciprocità a base territoriale (pensiamo per esempio a quanto pesa su chi ha famiglia la fatica di gestire da soli la collocazione dei figli e come invece si potrebbe utilmente lavorare sulla comunanza delle esigenze e sulla costruzione di un sistema di servizi fondato sulla prossimità).”

“Jobox, e in generale lo strumento dell’incubatore ‘socialmente orientato’, si rivolge a creare occasioni di sviluppo di meccanismi di sinergia e sostegno reciproco tra le componenti della società più sottoposte agli effetti della ristrutturazione economica; vanno pensati come dispositivi di riduzione collettiva dei danni collaterali della precarietà e di sviluppo di sinergie lavorative. Di per sé questo sarebbe già un contributo fondamentale allo sviluppo della società; se ci aggiungiamo il fatto che il nostro lavoro può anche essere orientato al sociale, ci rendiamo conto che in questo luogo stiamo sperimentando strategie di economia alternativa, rispetto alle quali la logica della prossimità (da intendersi non come mera vicinanza fisica ma come sistema di reti territoriali) diventa cruciale. (…)”

“Rispetto ad altri incubatori che puntano maggiormente sulla vendibilità dei prodotti imprenditoriali se presentati in modo aggregato e di conseguenza lavorano quasi esclusivamente sulla comunicazione, qui si punta sulla creazione di un valore aggiunto sociale che dipende dall’assunzione di logiche e modelli organizzativi e culturali differenti. Questo orienta Jobox ad adottare certi criteri di

selezione delle imprese e a preoccuparsi prima di tutto della crescita delle imprese incubate. Si tratta di una propensione pedagogica, che tuttavia non può e non deve del tutto sostituire l’attenzione alla comunicazione. Perché a che cosa serve questo lavoro se nessuno lo sa? Lavorare sugli aspetti comunicativi servirebbe anche a far funzionare le imprese e a qualificare le proposte (anche quelle unitarie) che rivolgiamo al territorio.”

“L’utilità sociale di Jobox dovrà misurarsi sul territorio, luogo nel quale i processi immateriali incontrano l’economia reale e i suoi prodotti. Un intervento come quello di Jobox può fare la differenza, ma logicamente serve del tempo: alle imprese per sviluppare un equilibrio tra creatività/innovazione e dimensione routinaria e a Jobox per creare una piattaforma di sviluppo fondata sulla mobilitazione delle diverse risorse disponibili.”

CONTAMINAZIONI“È molto accattivante la prospettiva di comporre le diverse competenze

delle imprese interne a Jobox per spenderle all’interno di progetti unitari da proporre sul territorio: questa tuttavia non può essere che la seconda fase di un processo di incubazione che al momento ci vede impegnati a consolidare le identità e competenze di ciascun soggetto.”

“Più che occasioni per incontrarci tra di noi lavoratori, servirebbero occasioni e opportunità per sviluppare progettualità comuni tra le imprese. La combinabilità delle nostre competenze è sin troppo evidente: pensiamo a quanto i progetti di trasformazione che investono i territori potrebbero beneficiare di un lavoro integrato tra esperti di politiche urbane, comunicazione, rappresentazione, processi culturali ecc. Per promuovere questo lavoro comune (e conquistare potenziali committenti) servono dei dispositivi che illustrino e visualizzino questo valore aggiunto (dei software? delle mappe interattive?) e serve qualcuno che si occupi di farle conoscere (il ruolo di regia che potrebbe avere Jobox?)”

“Il successo del meccanismo che stiamo sperimentando dipende dalla funzione di regia che Jobox può esercitare, rivolta a costruire connessioni tra le imprese e con il territorio: non si tratta di una attività (o di un servizio separato) perché non può darsi al di fuori di un rapporto stretto con le imprese stesse, ma solo raccogliendo da loro input e spunti e lavorando con loro a rielaborarli/svilupparli all’interno di proposte progettuali (si tratta del modello ‘laboratorio’); tuttavia è fondamentale non appesantire il lavoro delle imprese con incombenze extra-imprenditoriali e pertanto serve un contributo esterno.”

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3. Verso il territorio: il punto di vista dei promotoriComplessivamente le sollecitazioni offerte dai protagonisti delle esperienze di incubazione configurano un quadro plurale e articolato, solo in parte rispondente alle aspettative e alle previsioni che avevano inizialmente orientato la “stesura” del progetto. I promotori ne sono coscienti e stanno lavorando per “imparare dall’esperienza” attrezzandosi per integrare/modificare alcuni aspetti dell’esperienza e per organizzare la risposta agli aspetti emergenti. In particolare, Andrea Pellegata ideatore e responsabile del progetto Jobox, sintetizza e prova a definire nel modo seguente le questioni che sembrano essere in gioco, alla luce del primo anno di attività.

1 I motivi che spingono i giovani a candidarsi per poter entrare a far parte del processo di incubazione sono diversi: il buon rapporto fra costi/benefici; la necessità di connettersi con altre imprese per ri-aggregare forze disperse da un mercato del lavoro sin troppo frammentato che rende i giovani precari; il desiderio di provare un’esperienza professionale in un contesto – ancora da esplorare – che offre spazi e opportunità di sviluppo anche con valenze sociali.

Quando poi insediano le loro attività e iniziano i processi di scambio e conoscenza con le altre start-up e con i soggetti gestori, la consapevolezza di essere in un posto particolare, nel quale possono giocarsi partite non preventivate, cambia; maturano allora altre necessità e richieste al sistema nel suo insieme.

In qualche modo lo stare a fianco di altri, in questi contesti, favorisce l’uscita da una condizione di solitudine e il superamento di una sorta di “sindrome di onnipotenza” (psicologicamente necessaria, forse, per iniziare la navigazione solitaria nell’oceano del mercato). E lo stare con altri, favorendo l’abbassamento delle difese, permette l’avvio di ipotesi diverse di sviluppo e di business.

2 La funzione pedagogica, oltre a quella esercitata attraverso il sostegno allo sviluppo della singola attività d’impresa e nella promozione di momenti di scambio fra imprese, è declinata con l’esercizio di una funzione di orientamento verso l’apprendimento di una cultura dell’imprenditorialità “civile”, in grado di stabilire con il territorio e i suoi attori un rapporto di scambio e di reciprocità.

Ciò significa che l’incubatore – accanto alle sue consuete attività di formazione e consulenza – è intenzionalmente volto da un lato a supportare la creazione di reti strumentali all’attività imprenditoriale (siano esse interne o esterne a Jobox), e dall’altro a sostenere lo sviluppo di una cultura e di modalità operative/organizzative che permettano l’attivazione di nuove relazioni con il territorio.

Ad un anno dall’avvio del servizio, Jobox è “invitato” dalle start-up – come emerso nel corso del workshop – ad assumere un ruolo di regia che consenta alle giovani imprese di sperimentare una performance imprenditoriale nel territorio in cui è posizionato.

Questo stimolo per noi non può che essere considerato un buon punto di arrivo, a proposito della maturazione di una sensibilità e di uno stile d’impresa delle giovani imprese, che si avvicina a quanto avevamo in mente di realizzare fin dall’inizio. Oltre a ciò, questa “spinta” segna la potenziale partenza verso una nuova fase di sperimentazione. Che dev’essere ancora del tutto progettata e sperimentata.

I soggetti coinvolgibili in questa “impresa sociale” diventano molti: l’incubatore, la cooperativa che lo gestisce, le start-up, gli attori socio-economici del territorio. In gioco c’è l’avvio di un percorso molto innovativo di promozione di un’economia sociale integrata e allargata ad altri soggetti, del sociale, della cultura e così via.

3 Nel promuovere azioni rivolte al territorio, non intendiamo – com’è ovvio e come già chiarito anche in premessa – promuovere una logica di “volontariato” d’impresa, spingendo le nostre imprese ad adottare dispositivi (in uso da parte di realtà imprenditoriali consolidate) come la “donazione” di giornate-lavoro a beneficio della comunità. Questa è una scelta che ogni start-up, se intende, potrà assumere a sua discrezione.

Per quanto attiene Jobox l’idea è un’altra. Infatti per noi il lavoro sul territorio non è azione “caritatevole”; né vogliamo spingere le imprese a confondere l’orientamento sociale con azioni di marketing. Non si tratta neppure di azioni di responsabilità sociale d’impresa. Ciò che si vuole promuovere invece è un processo grazie al quale le imprese – i giovani – possano diventare, anche con l’impiego dei propri network relazionali e professionali, fautori di processi di innovazione sociale sostenibili, capaci cioè di identificare e valorizzare risorse utili a promuovere azioni orientate

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a produrre benefici per la comunità e, al contempo, per l’economia dell’impresa. Ciò potrebbe rappresentare, anche per l’impresa sociale che promuove questi nuovi approcci, un’importante occasione di ri-posizionamento nelle comunità locali.

Oltre alle singole competenze delle imprese start-up, si apre la possibilità di una azione concertata di promozione di servizi e pratiche di prossimità in cui la comunità potrebbe assumere un ruolo attivo e di reale partecipazione. Altresì le giovani imprese start-up potrebbero apportare nuovo sapere e nuove reti utili ad arricchire in modo esponenziale l’iniziativa di sviluppo comunitario. Jobox è spinto in questa direzione dalle imprese che ha incubato e ha tutte le intenzioni di accettare la sfida.

4 Ad oggi è difficile capire se questo tipo di “incubatore” possa rappresentare già un modello di riferimento oltre che un’esperienza replicabile: abbiamo ancora tanto da fare e da consolidare. Forse è presto.

Uno stretto legame con la realtà del territorio in cui ci troviamo, la Barona, va ancora costruito. In questo anno però – anche con lentezza – abbiamo cominciato a ragionare sulle condizioni per farlo in modo originale, che è per noi un segno irrinunciabile del nostro posizionamento: la costruzione di occasioni di progetto con altri attori del territorio (conoscersi sul campo, anziché conoscersi per conoscersi). Il nostro modo di operare può ulteriormente svilupparsi attraverso l’interazione con altri soggetti e strumenti che – al pari nostro – sostengono l’attività d’impresa e di innovazione dei giovani.

La nostra esperienza imprenditoriale ci ha permesso di maturare e consolidare modelli di management e di progettazione che reggono alle sfide della crisi e della compressione delle risorse per il welfare e che al contempo promuovono nuove iniziative di partecipazione e attenzione alle fasce deboli delle comunità locali. Innovazione, creatività e impresa – specie se giovanile – possono, da questo punto di vista, costituire una piattaforma di riferimento e, insieme, un approccio innovativo per dare risposte ai problemi locali e per la promozione di contesti micro economici e di relazioni.

4. I commenti di alcuni osservatori privilegiatiGli incubatori in questione sono iniziative che portano l’impresa sociale a cimentarsi, più di quanto non faccia abitualmente, con i sistemi di mercato: a essi prova ad attingere, da essi prova a farsi contaminare, ma in una prospettiva il più possibile critica e consapevole e strumentalmente rivolta a obiettivi sociali.

Usare il mercato per provare a innovare le forme dell’impresa sociale è una strategia tanto ambiziosa quanto rischiosa, in relazione soprattutto alle difficoltà di gestire dinamiche e logiche, solitamente assenti all’interno dei mercati protetti in cui l’impresa sociale ha tradizionalmente gravitato.

Per procedere in tal senso Jobox e ConnAction hanno scelto di attrezzarsi, dotandosi di una rete di figure a cui far riferimento e a cui chiedere consigli.

Si tratta di persone a diverso titolo esperte di processi di mercato e al contempo in sintonia con le ragioni e la filosofia dalla sfida in questione.

Queste persone hanno commentato nel modo seguente i primi passaggi del percorso degli incubatori:

Paolo Chiaia1

dopo aver osservato i criteri di selezione, osserva che: “Le modalità di scelta non sono centrate solo sugli aspetti economici, ma sono stati presi in considerazione il carattere creativo dell’azione imprenditoriale e la capacità di fare rete con il territorio”

Adrio De Carolis2

forte della sua esperienza legata all’editoria locale, dove le inserzioni pubblicitarie sono legate ai servizi artigianali e al concetto di prossimità, dichiara: “Jobox attualmente è uno spazio per attività prettamente immateriali, in futuro sarebbe interessante prevedere anche spazi per la produzione materiale”.

Andrea di Stefano3

nel suo ruolo di economista ricorda che: “È importante cercare di fare sistema tra soggetti che si lanciano nell’imprenditoria con risvolti sociali, soggetti che altrimenti rischierebbero di fare entropia e vanificare il loro sforzo”.

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Paola Domenichini4

sostiene che “Ci sono cose che si costruiscono facendole, provando” e ancora, “La messa in relazione con il mondo degli artigiani è un buon passo perché, oltre a entrare in contatto con il territorio, si cerca una relazione con la parte della città che produce concretamente, ci si muove in direzione di una maggiore creatività, intesa in senso etimologico”.

Maurizio Figiani5

vede il lato sperimentale della vicenda: “Inizialmente è utile giocare con le idee, prospettare modalità di promozione della creatività nel tentativo di creare piccole economie di scala, tenendo conto che il periodo di crisi non aiuta di certo gli investimenti nella creatività”.

Alex Foti6

esterna tutto il suo amore per le culture underground: “Gli aspetti più rappresentativi della cornice fisica in cui si sviluppa ConnAction sono la presenza di laboratori, la creatività diffusa, le sottoculture giovanili e il meticciato in generale. Tutto questo alleva e sostiene l’innovazione sociale”.

5. Prime riflessioni per orientare la valutazioneCosa manca a questi incubatori, dunque? Stando agli spunti e alle indicazioni contenute nelle note presentate in questo capitolo la risposta potrebbe essere duplice e contraddittoria. “Tutto e niente”.

“Tutto” perché l’immagine che emerge è quella di esperienze ancora fragili dal punto di vista della capacità di dar risposta agli obiettivi che via via si sono messi a fuoco: se infatti sono riuscite rapidamente a offrire opportunità di sostegno allo sviluppo di progetti d’impresa ai giovani (primo obiettivo importante), esse ancora stanno cercando le strade per andare oltre, sviluppando contaminazioni significative tra le imprese e generando impatti notevoli sul territorio di riferimento. C’è sicuramente una difficoltà nella tracciabilità di dati e processi che attengono all’interazione quotidiana tra le imprese, gli scambi impliciti e l’influenza reciproca (mai del tutto codificabile); c’è una “normale” questione che attiene i lunghi tempi che solitamente caratterizzano le ricadute territoriali di qualsiasi iniziativa; c’è infine un problema legato alla disponibilità di risorse (umane, economiche, ma anche temporali) per dar seguito a intuizioni di

progetto e possibilità di collaborazione che si aprono in relazione a opportunità contingenti.

Nei fatti accade che le imprese incubate stiano cominciando ora, forse dopo una necessaria scoperta di sé, a scoprirsi reciprocamente (a distanza di un anno dall’apertura dell’incubatore e dopo un percorso di insediamento che ciascuna realtà ha condotto in tempi diversi), in una fase in cui sono ancora prevalentemente impegnate a consolidare la loro attività verso indispensabili e prioritari obiettivi di sostenibilità economica.

A sua volta Jobox, come struttura di orientamento e gestione dell’incubatore, sta ancora mettendo a fuoco le specificità del suo compito, ovvero le modalità per esercitare una mission che si è assunto, le competenze e gli expertise necessari per un accompagnamento efficace di un processo straordinariamente complicato, che tuttavia sta affrontando nell’unico modo in cui parrebbe possibile farlo, e cioè provandoci.

Ecco, dunque, perché possiamo permetterci anche di dire che in fin dei conti a questi incubatori non manca “nulla”: si tratta di iniziative che dispongono della risorsa più preziosa, lo spazio e l’opportunità per cimentarsi con un progetto inedito, l’occasione per sperimentare un campo d’azione innovativo e per confrontarsi con una sfida tanto complicata quanto apparentemente “a portata di mano” (perché concretamente riconducibile all’attività che già vede quotidianamente impegnate decine di persone, nei diversi momenti della giornata, in quelli prettamente lavorativi, come in tutti quegli intervalli di tempo dedicati a pensare “come fare” qualcosa di nuovo o “cosa si potrebbe fare” insieme).

È bene ricordare che questi processi, questi spazi di nuova agibilità progettuale, di creatività e innovazione, sono dati non già per cause improvvise e occasionali, quanto invece in ragione di strategie e investimenti di imprese sociali che di questo hanno fatto un terreno di innovazione degli interventi a favore dei giovani e delle comunità locali.

Questi incubatori, in definitiva, si configurano prima di tutto e soprattutto come degli “spazi per fare”, luoghi di sperimentazione in cui l’impresa sociale investe e innova, e così facendo permette ai giovani, portatori di risorse creative, di promuovere un orientamento all’innovazione e di mantenere (e condividere) una preoccupazione “sociale”. Merce rara in tempi di crisi economica e precarietà sociale, di scarsità di risorse e di generale tendenza alla dissipazione dei dispositivi di costruzione di progetti di interesse collettivo.

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✚ la creazione di economie di scala tra le imprese (che, sul piano strategico, corrisponde a misurare le possibilità di sviluppo e l’efficacia di modelli alternativi di economia, fondati su rapporti di reciprocità e prossimità – obiettivo economico)

✚ la crescita del mercato urbano delle singole imprese (che, sul piano strategico, corrisponde all’obiettivo di evitare che la città perda o sottoutilizzi il patrimonio di intelligenze e conoscenze che contribuisce a produrre – obiettivo politico)

✚ la maggior innovatività delle proposte dei servizi de La Cordata (che, sul piano strategico, equivale a misurare il contributo che soggetti di mercato possono dare all’incremento del benessere della comunità, qualificando e migliorando le prestazioni di un servizio sociale in prossimità del quale le imprese promuovono il loro stato nascente – obiettivo sociale)

Pare evidente che assumere l’uno piuttosto che l’altro tra questi punti di vista orienterebbe in modo radicalmente diverso qualsiasi percorso di valutazione. Al fine di supportare tale scelta e quanto ne conseguirà sembra importante suggerire almeno due piste di lavoro che potrebbero essere utilmente coltivate dai promotori di Jobox nel futuro prossimo:

✚ un ampliamento dell’orizzonte di riferimento (qualche spunto e un primo contributo in questa direzione può derivare dalla rassegna di buone pratiche ed esempi offerta dal capitolo successivo)

✚ la definizione di un’ipotesi operativa di lavoro. Lo sviluppo e la messa alla prova della “funzione di regia” di Jobox ipotizzata nel corso del workshop (e riportata nei paragrafi precedenti) potrebbe essere assunta come una buona occasione per passare a definire degli asset di sviluppo e quindi delle traiettorie di riflessione e ricerca utili alla definizione di obiettivi specifici e criteri di valutazione.

In particolare sono tre i livelli sui quali pare importante volgersi a lavorare:

1. Il rapporto tra Jobox e le imprese Quali competenze è utile che Jobox metta a disposizione delle imprese a integrazione di quelle già disponibili?

2. Il rapporto tra le imprese incubate Come facilitare/sostenere/promuovere la contaminazione anziché lasciarla al caso/eventualità?

Questa visione ottimistica e questo pregiudizio positivo nei confronti di queste esperienze – che si giustifica in relazione alla sempre più stringente necessità di occasioni di innovazione e mescolamento delle categorie stereotipate in cui si realizza l’intervento sociale – tuttavia non può e non deve sostituire e occultare in alcun modo il problema della loro valutazione (e la problematicità di questo genere di operazione). La valutazione dei progetti e delle politiche sociali è di per sé una questione insidiosa, un mestiere che non a caso richiede competenze specifiche ed expertise tecnici. Lo è, tuttavia, a maggior ragione nei casi (come questo) in cui le iniziative di cui si vorrebbe valutare l’efficacia sono processi aperti, terreni di sperimentazione sviluppati senza modelli di riferimento e in assenza di una chiara definizione dei problemi e dei bisogni a cui sono chiamati a dar risposta. All’interno delle esperienze considerate, appare tanto chiaro e forte l’orizzonte strategico di riferimento, quanto si mantiene ambiguo nei suoi confini e nei suoi contenuti il terreno degli obiettivi e dell’operatività a cui le strategie generali dovrebbero/vorrebbero far riferimento. Tipicamente si tratta di situazioni nelle quali resta labile e incerto il confine tra analisi, progettazione e azione e che pertanto, allo stato delle cose, rendono difficile qualsiasi possibilità di valutazione sulla base di criteri certi. A differenza di altri ambiti di lavoro in cui la missione e il piano di intervento sono predefiniti e contenuti all’interno di percorsi dalla fattibilità in qualche misura pre-esplorata, il funzionamento degli incubatori considerati è (al momento) affidato alla contingenza di eventi ed episodi imprevisti, all’episodicità, all’eccezionalità e talvolta alla casualità delle relazioni che possono generare, in modo indistinto e secondo sequenze imprevedibili, traiettorie di lavoro comuni tra le diverse imprese.

La valutazione – intesa soprattutto come impegno nella creazione di dispositivi per la misurazione del ritorno sociale di questi investimenti – è assolutamente necessaria per evitare soprattutto che proprio in questi luoghi, nei quali le ambizioni in molti casi sono (molto) elevate, si possano generare effetti controproducenti, tra cui – tipicamente – il senso di frustrazione associato alla sproporzione tra energie investite e difficoltà a produrre esiti significativi e visibili in tempi brevi.

Si tratta, per cominciare, di chiarirsi meglio (in base a criteri inevitabilmente soggettivi e arbitrari) circa gli obiettivi principali attribuiti (e quindi le modalità di valutazione del successo) di un’esperienza come Jobox, che equivale a porsi delle domande a proposito del senso e delle ragioni che sostengono lo sviluppo di un investimento del genere da parte dei suoi promotori. Per esempio, è molto diverso accingersi a valutare gli impatti generati da Jobox rispetto a:

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3. Il rapporto tra le imprese e il territorio Come combinare le risorse rappresentate dalle imprese entro progetti di sviluppo del territorio? In che modo il territorio può essere campo di business per le imprese? (strumenti, modalità, dispositivi, esempi).

È questo il genere di domande che all’interno dell’incubatore, nelle preoccupazioni dei suoi promotori e sostenitori, stanno cominciando giustamente a emergere a un anno di distanza dall’apertura di quello che si propone di considerare a tutti gli effetti come un laboratorio di innovazione sociale, economica e politica urbana. Work in progress.

1 Consulente nella gestione dei rischi finanziari per la valutazione degli aspetti tecnici. È impegnato in prima persona come imprenditore con investimenti nella manifattura di moto custom. Viene a conoscenza del progetto Jobox tramite l’amicizia con Davide Corritore. La prima occasione di contatto con lo spazio di incubazione avviene il giorno stesso dell’inaugurazione, lo scorso novembre. Il profilo di Chiaia porta a includere aspetti finanziari nell’attività dell’incubatore, prospettando acquisizioni o investimenti nelle start-up con strumenti come il Private Equity.

2 Presidente di Dmail Group, società che edita molte testate locali in Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta avendo come obiettivo le province al posto dei centri urbani. Una parte della società propone anche un catalogo di gadget e oggettistica. Entra in contatto con Jobox in virtù della conoscenza pregressa con Davide Corritore, La Cordata e Andrea Pellegata. Ha partecipato alla fase di progettazione del sistema di incubazione, contribuendo con la sua esperienza di imprenditore che lavora nello locale, sia pure nel settore della comunicazione giornalistica.

3 Direttore della rivista Valori, centrata sui temi dell’economia e della sostenibilità sociale. La relazione con Jobox avviene nella dimensione della comunicazione, anche in relazione alle finalità del progetto che sono molto affini a quelle della rivista.

4 Si occupa di comunicazione sociale e politica tramite la società Nelson. La sua partecipazione alla rete degli Amici di Jobox nasce dalla conoscenza precedente dei soggetti promotori de La Cordata e dell’incubatore stesso. L’occasione principale in cui le competenze di Domenichini producono valore aggiunto nel rapporto con il progetto Jobox coincide con l’inaugurazione stessa dello spazio, il 23 novembre 2009. Domenichini e Nelson si occupano dell’organizzazione dell’evento, che prevede la partecipazione delle istituzioni cittadine, con la presenza del sindaco Moratti, a cui si aggiungono la Provincia, la Regione e l’Unione degli Artigiani.

5 Architetto e designer, insegna al Politecnico di Milano. Il contatto con ConnAction, e più in generale con tutta l’area Tara Bianca, è motivata dall’esperienza concreta di uso degli spazi da mostrare agli studenti del Corso di Design all’interno del Politecnico di Bovisa e Como. La parola d’ordine nel mostrare le pratiche di uso degli spazi e di progettazione è: “bisogna provare”.

6 Dirige la rivista MilanoX, che è incubata negli spazi di ConnAction. È residente in Bovisa, quartiere di cui conosce le dinamiche essendone attento osservatore. Proprio per questo motivo è utile sentire la sua visione rispetto al progetto in cui è incluso. Foti è attivista cittadino sui temi della sicurezza e dell’antirazzismo, nell’intento di trasformare questa sua visione in un’attività che fosse fonte di reddito, ha trovato un’affinità di visione con Davide Branca e il progetto ConnAction.

Contaminazioni possibili: altre esperienze di “contaminazione”PREMESSA

DuE tRAiEttoRiE Di RicERcA PER RAffoRzARE Jobox E connAction

Pur accomunate dalla medesima tensione progettuale e da un orizzonte strategico condiviso, Jobox e ConnAction rappresentano due esperienze tra loro abbastanza diverse per quanto riguarda le modalità operative prescelte, i temi di lavoro assunti, le iniziative finora messe in campo e i loro destinatari.

La ricostruzione del percorso condotto finora (vedi capitolo 2) si è conclusa, in entrambi i casi, con l’evidenziazione delle prospettive future che ciascuno dei due progetti sembra orientato a perseguire e delle direzioni che sembra più opportuno intraprendere per rispettare le aspettative che i promotori nutrono circa l’evoluzione delle esperienze.

Due sembrano essere in particolare le traiettorie verso le quali sembrerebbe opportuno indirizzare la ricerca e l’approfondimento di esperienze sviluppate altrove, per verificare la possibilità di apprendere da esse e di trarne spunti e sollecitazioni in base ai quali provare a riorientare, o più semplicemente rafforzare, i percorsi avviati nel contesto milanese:

✚ da una parte la questione dell’integrazione tra dinamiche di trasformazione e sviluppo dei contesti territoriali in cui si inseriscono

✚ dall’altra la questione del coinvolgimento diretto della comunità locale, il radicamento delle esperienze e la valorizzazione delle opportunità offerta da spazi temporaneamente disponibili per attivare le comunità locali innescando percorsi destinati a consolidarsi.

In quest’ultima sezione sono raccolte sei schede relative ad alcune esperienze di progetti locali che, pur non qualificandosi esplicitamente come “esperienze di incubazione”, si sono intenzionalmente rivolti a sostenere lo sviluppo di contaminazioni tra sfere d’intervento tradizionalmente separate. Tre di esse fanno riferimento alla prima traiettoria di ricerca, le altre tre all’altra.

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1. Contaminazioni tra mercato culturale di altro profilo e intervento sociale sul territorio

1.1. CHOCOLATE FACTORY L’industria artistico-creativa come volano per la rigenerazione sociale del quartiere Haringey di Londra

Lo spazio e la sua storiaL’ex fabbrica di cioccolato della Barratts Confectionery di Clarendon Road, si colloca nel quartiere di Haringey/Wood Green, in una zona degradata a nord di Londra ed è stata dismessa negli anni Novanta del Novecento. La struttura, che vanta una superficie totale di 10.000 mq, è stata rilevata dalla Workspace Group plc, una delle più grandi immobiliari della capitale britannica, che si contraddistingue sul mercato per una offerta competitiva sul piano dei costi, della qualità e della flessibilità delle soluzioni commerciali.

Il riutilizzo si inserisce nell’ambito degli investimenti sostenuti dalla London Development Agency (LDA) per la trasformazione della zona di Harringey/Wood Green in distretto culturale. Senza costi di ristrutturazione, 5.000 mq dell’intero complesso sono stati concessi a un’agenzia no profit locale che lavora per la promozione dell’arte e dell’industria, l’Haringey Arts Council (oggi Collage Arts). Creata nel 1985 dall’Assessorato per l’Arte del distretto di Haringey, l’HAC dal 1996 ha ricavato 75 atelier a disposizione di oltre 150 artisti. Sulla scia del successo di questa operazione (denominata Chocolate Factory 1), anche i rimanenti 5.000 mq sono stati destinati al sostegno della microindustria creativa, con una particolare focalizzazione sulle nuove tecnologie digitali applicate a design, suono, film, video, animazione, televisione, radio, musica e fotografia (Chocolate Factory 2).

Funzioni sociali e attivitàLa Chocolate Factory oggi è uno dei più noti e rilevanti esperimenti di realizzazione di un hub creativo del nord Europa. Offre spazi per studi e atelier di diverse dimensioni (da 20 mq a 150 mq cad.) e a prezzi contenuti (circa 200 euro/mq all’anno incluse spese e utenze ed escluse le tasse) per artisti, artigiani e creativi emergenti che contribuiscono all’affermazione e allo sviluppo del distretto culturale locale. Grazie alla Chocolate Factory oggi è possibile per molti giovani talenti londinesi (da quelli diplomati presso le migliori scuole agli autodidatti) di disporre delle condizioni minime per sperimentarsi in

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un percorso di crescita professionale in un contesto stimolante e rinomato, contribuendo (direttamente o indirettamente) alla riqualificazione del quartiere di Haringey/Wood Green, un tempo molto malfamato e degradato.

In particolare a oggi all’interno della struttura gli spazi dedicati agli studi artistici sono 75 e sono divisi in studi per la creazione delle sculture, dei mosaici, dei gioielli, degli abiti e dei tessuti, studi fotografici, stamperia litografica a altro. Nel frattempo sta crescendo l’altra parte destinata alle nuove discipline artistiche con una particolare focalizzazione sulle nuove tecnologie digitali applicate a design, suono, film, video, animazione, televisione, radio, musica e fotografia. Ci sono poi spazi destinati ad attività collettive e spazi aperti all’esterno: aule per le lezioni e per i seminari, 2 ristoranti, uno spazio wi-fi lounge, un bar e un locale (Karamel club) che offre un programmazione regolare. All’interno della Chocolate Factory si svolgono anche attività sociali e artistiche legate al teatro contemporaneo, al cinema e alla letteratura, si svolgono festival di vario genere e workshop per la formazione e l’inserimento professionale (business support). Talvolta gli spazi collettivi vengono richiesti e utilizzati da altre strutture come il Middlesex University Fine Arts Department, la Mountview Theatre School e lo Scanlan Studios che si occupa di animazione. Una volta all’anno l’evento “Open Studios” offre l’occasione alla cittadinanza di due giornate di totale apertura della Chocolate Factory, per entrare in contatto con gli artisti, acquistare i prodotti, visitare gli atelier e osservare il lavoro artigianale, e indirettamente contribuire a rivitalizzare questo pezzo di città.

Contenuti creativi e forme organizzativeAlla Chocolate Factory corrisponde una visione della creatività intesa (ed espressa) in diversi modi; in particolare la spinta più recente all’innovazione è venuta dalla centratura sulle nuove tecnologie che ha spinto gli artisti verso sperimentazioni oltre le classificazioni tradizionali. I fattori chiave del successo del modello Chocolate Factory hanno a che vedere con la possibilità di mantenere molto bassi i costi di affitto degli spazi associata a:

✚ l’utilizzo di spazi grezzi, che per essere degli atelier o dei laboratori non necessitano di interventi di ristrutturazione particolarmente onerosi

✚ la condivisione degli spazi, ossia l’utilizzo del medesimo atelier da parte di artisti diversi che abbatte i costi e favorisce lo sviluppo di relazioni e di sinergie tra gli artisti

✚ il legame con il quartiere che rappresenta un elemento cruciale nella

misura in cui da una parte per poter prendere gli spazi in affitto gli artisti devono dimostrare di essere in qualche modo coinvolti da operazioni creative sul territorio di Haringey, dall’altra il funzionamento della struttura è associato alla sua riconoscibilità sul territorio che ne garantisce la fruizione da parte di esterni (ristorante, club, open studio, corsi di formazione ecc.)

Il Collage Arts (ex Harengey Arts Council) ha il ruolo di gestione e di coordinamento della struttura e funziona da agenzia di intermediazione per lo sviluppo e la messa in rete delle comunità creative nel territorio di Harringey. Lavora all’interno della comunità locale tentando di riconoscere e valorizzare i talenti (prestando particolare attenzione alle componenti sotto-rappresentate della comunità, quali per esempio le minoranze etniche e nere, i richiedenti asilo e rifugiati, le donne, i disabili ed ex detenuti) e offrendo loro occasioni di formazione e acquisizione di competenze specifiche mirate alla educazione, all’impiego e all’imprenditorialità. Il Collage Arts si sostiene sia con finanziamenti pubblici che attraverso forme di autofinanziamento associate per esempio al ristorante, al club e ai progetti territoriali.

1.2. CHAPITÔ La professionalizzazione delle arti circensi come opportunità per i giovani in difficoltà del quartiere alfama di Lisbona

Lo spazio e la sua storiaUn ex riformatorio, di proprietà del Ministero della Giustizia, collocato sulla collina del Castello di São George, nei pressi del quartiere Alfama. L’ex riformatorio è un edificio risalente all’800, recuperato nei primi anni del ‘900 per ospitare il carcere minorile di Lisbona. L’ex riformatorio, di proprietà del Ministero di Grazia e Giustizia, si sviluppa su 4 differenti livelli: un edificio principale sul fronte strada di tre livelli ospitava gli uffici, le camere e i servizi; una grande terrazza centrale, un livello inferiore rispetto la strada, funzionava come cortile ricreativo; un terzo spazio sotto il livello della terrazza ospitava le celle e il pozzo per l’acqua.

Nel 1987 l’ex riformatorio è stato messo a disposizione dal “Ministèrio da Justiça” per l’attività che Teresa Ricou, o meglio, il personaggio da lei creato, la pagliaccia Tetè, dalla fine degli anni Settanta del Novecento porta avanti: un progetto di formazione circense e teatro di strada per giovani disagiati. Il primo progetto era nato in Bairro Alto con la formazione del “Circo Mariano Franco”,

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in omaggio al ballerino di “sapateado” (tip tap) e compagno di “Tetè”; mentre in quanto entità formale, lo Chapitô sorgeva nel 1981, con la formazione della “Colectividade Cultural e Ricreativa de Santa Caterina”. Le attività svolte in Bairro Alto, presso il centro “Dia de Idosos”, riguardavano la formazione e l’azione sociale, e, presto, il progetto si estese ad altri luoghi della città fino ai quartieri periferici di Lisbona. La collaborazione con “l’Istituto de Reinserçao Social” del “Ministèrio”, iniziata alla fine degli anni Ottanta e consolidatasi con la creazione della scuola dello Chapitô, è tutt’oggi in corso.

Funzioni sociali e attivitàIl progetto si iscrive nel quadro dei movimenti artistici degli anni Settanta. Le arti circensi, lo spettacolo popolare performativo e l’intervento socio-culturale sono state alcune delle azioni sviluppate durante gli anni Settanta da Teresa Ricou con l’obiettivo di lavorare sull’integrazione sociale dei giovani. In particolar modo attraverso l’insegnamento dell’arte circense e del teatro di strada, lo Chapitô lavora sull’inserimento dei giovani usciti dai riformatori e dei giovani disagiati con difficoltà di inclusione sociale.

Il progetto fa parte di un’idea unitaria ma può essere scomposto in 4 aree tematiche: azione sociale; formazione; cultura; produzione. All’interno dell’area Azione sociale vengono portati avanti tre progetti:

✚ Animazione e Azione. Dal 1987, lo Chapitô collabora con “l’Istituto de Reinserçao Social” del “Ministèrio da Justiça” mediante un accordo. Il progetto “Animaçao em Acçao” ha come obiettivo di offrire, ai bambini e ai giovani sotto tutela, l’opportunità di partecipare alle diverse attività ludiche e di espressione artistica, contribuendo alla loro formazione, al loro sviluppo personale e all’inserimento sociale.

✚ Appoggio ai giovani in difficoltà/Residenza Aperta. Il legame creato tra questi giovani e lo Chapitô ha dato luogo a un altro progetto: Apoio a jovem em dificultade / Residencia Aberta. Il progetto lavora con i giovani che compiuti 18 anni devono lasciare i centri educativi fornendo un orientamento professionale, aiuto psicologico, pedagogico e formativo. La finalità del progetto è di facilitare l’inserimento sociale di questi ragazzi offrendogli un accompagnamento personalizzato e un alloggio temporaneo.

✚ Centro di accoglienza infantile Joao dos Santos. Il centro è uno spazio creato per ricevere bambini ed è composto da un atelier, una sala per

il gioco e un piccolo giardino con una casetta di legno installata su un albero. Le attività specifiche sono: Atelier de Circo e Atelier de Capoeira.

Nell’area della Formazione lo Chapitô offre:

✚ Escola Profissional de Artes e Ofícios do Espectáculo (EPAOE).Fondata nel 1991, la Escola Profissional de Artes e Ofícios do Espectáculo corrisponde a un progetto di insegnamento professionale artistico; offre un certificato professionale di 3° livello, in accordo alla regolamentazione dell’Unione Europea.

✚ Corsi serali. I corsi serali offrono una formazione orientata agli amatori, ai professionisti o agli appassionati dell’espressione artistica. I corsi sono i seguenti: capoeira; giocoleria; Tip Tap; trucco scenico; espressione drammatica; tecnica circense, interpretazione teatrale, atelier infantili.

✚ Workshop. Regolarmente lo Chapitô organizza workshop sulle diverse arti, privilegiando il Circo e le tematiche circensi.

✚ Tutti i settori dello Chapitô contribuiscono all’area della Cultura, della produzione e della promozione di eventi. Si integra in questa area la Companhia do Chapitô, creata nel 1996 come progetto che articola le diverse arti dello spettacolo definite Teatro del Gesto, e Biblioteca e Centro de Documentaçao Luìsa Neto Jorge, un elemento singolare che contiene un archivio e una bibliografia rara sul mondo dello spettacolo in generale e del circo in particolare. È uno spazio aperto al pubblico, dedito alla lettura, ma anche ai dibattiti, alle proiezioni di documentari e film.

Il settore della Produzione dispone di un equipe di produttori professionisti e ingloba due importanti settori: “Produções Chapitô”; “Audiovisuais e Multimédia”. Questi due settori producono eventi specifici, spettacoli e animazioni che integrano i diversi linguaggi artistici e delle arti circensi.

Lo spazio è pensato per accogliere diverse attività ed è articolato in tre corpi distinti. Il corpo principale affaccia su strada, qui si trovano gli uffici e la scuola professionale; al piano inferiore si trova una terrazza dove è collocato un secondo edificio con due ristoranti (uno al primo piano e uno al secondo) e dalla quale si scorge la città di Lisbona. Sulla terrazza si sviluppa una struttura/tenda dove si svolgono le lezioni di preparazione fisica della Escola Profissional de Artes e Oficios. Dalla terrazza è possibile accedere al piano interrato dove è

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situata la biblioteca Luìsa Neto Jorge. La biblioteca contiene un archivio e una bibliografia sulle arti circensi e sul mondo dello spettacolo. Oltre ai libri, nello spazio della biblioteca, è possibile utilizzare i computer e nelle ore pomeridiane e serali partecipare a dibattiti e incontri di diverso tipo. Accanto al tendone si trova il “Centro de Acolhimento e Animaçao da Infanzia-Joao do Santos”, dedicato ai bambini dagli 8 mesi ai 12 anni.

Contenuti creativi e forme organizzativeLa spinta originale di questo progetto consiste in primo luogo nella capacità che un’istituzione pubblica come il Ministero di Grazia e Giustizia ha avuto nell’inglobare le attività dello Chapitô all’interno delle proprie politiche di reinserimento sociale ed educativo; in secondo luogo nella forte carica sociale che il progetto di Teresa Ricou propone da più di 30 anni: l’arte circense e il teatro di strada come veicolo per avvicinare i giovani disagiati e per lavorare insieme a loro, in modo costruttivo, all’individuazione di percorsi di inserimento sociale e professionale.

Nel corso del tempo lo Chapitô si è trasformato da associazione culturale senza fini di lucro a organizzazione non governativa, lavora con la Pubblica Amministrazione e con enti privati sia a livello nazionale che internazionale. Il proprietario dello spazio è il Ministero di Grazia e Giustizia che ha ceduto in comodato d’uso la struttura allo Chapitô. Lo spazio vive di un’economia sociale e in quanto servizio pubblico riceve sussidi dallo Stato per i progetti relativi all’area educativa, alla cultura, alle arti e all’integrazione sociale. La scuola EPAOE è finanziata del Fondo Sociale Europeo. Inoltre l’associazione ha delle entrate economiche vanno a supportare le aree di intervento: le entrate arrivano dagli spettacoli, da alcuni eventi specifici, dai concerti, dall’area della Produzione, dai corsi serali e dall’affitto dei ristoranti.

1.3 WUK Uno spazio per promuovere l’incontro tra cultura internazionale e progetti socio-culturali locali a Vienna

Lo spazio e la sua storiaUna ex fabbrica di locomotive risalente al diciannovesimo secolo si trova nel centro di Vienna in Währinger Strasse, nel 9° distretto nel quartiere di Alsergrund. Währinger Strasse si sviluppa tra il cuore del Ring, appena a nord di Shottenring, e il Gürtel, l’infrastruttura che collega da nord a sud la città

di Vienna. La struttura, di proprietà della municipalità viennese si articola intorno a una corte centrale e occupa una superficie di 13.500 mq, di cui 12.000 mq coperti.

Dopo la dismissione della struttura, per un breve periodo alcune parti dell’edificio sono state utilizzate come museo della tecnologia. Rimasta nuovamente in disuso nel 1981 la struttura è stata occupata da un gruppo di artisti, insegnanti, architetti, studenti e operatori sociali, con la finalità di creare uno spazio culturale dove potessero convivere arte, politica e integrazione sociale. Negli anni Novanta, l’Amministrazione Pubblica di Vienna, dopo una lunga negoziazione, ha deciso di regolarizzare la situazione e ha concesso lo spazio a titolo di affitto gratuito all’associazione non profit Umbrella che raccoglie i 130 gruppi oggi attivi (in larga parte a titolo volontario) all’interno della struttura, che hanno preso in carico la ristrutturazione dello spazio.

Funzioni sociali e attivitàLa struttura oggi offre spazi con caratteristiche differenti in base alle attività svolte, che fanno riferimento a 3 aree tematiche, rispettivamente rivolte a:

✚ alimentare l’offerta culturale della città, proponendo spazi e opportunità per esposizioni legate alle arti visive, alla fotografia, cinematografia, media art, teatro, danza, musica, letteratura, eventi politico culturali di varia natura

✚ promuovere una prospettiva di contrasto della marginalità attraverso iniziative di integrazione socio-lavorativa delle persone(soprattutto dei giovani) attraverso progetti di formazione, assistenza, counselling e creazione di opportunità occupazionali per disoccupati

✚ ospitare e sostenere lo sviluppo della creatività delle persone e dei gruppi, garantendo spazi dedicati e strutture attrezzate per 7 ambiti di intervento: musica, teatro/danza, pittura, workshop, bambini e giovani, iniziative socio-assistenziali, iniziative interculturali.

In particolare all’interno della struttura oggi sono presenti spazi ricreativi aperti al pubblico (un bar e un ristorante al piano terra, entrambi rivolti sulla corte interna), una sala per proiezioni cinematografiche per la programmazione di cineforum, 4 gallerie d’arte (di 400 mq, 100 mq, 250 mq e 25 mq), studi per artisti, studi di produzione (video e audio) e sale concerti, uffici amministrativi, 2 piccole residenze per ospitare artisti stranieri e 2 spazi per le iniziative sociali e interculturali (rispettivamente di 100 mq e di 40 mq), diversi spazi per

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workshop artistici, 2 scuole private (una elementare e una media, che seguono un programma di istruzione sviluppato all’interno dell’associazione), alcuni laboratori di artigiani che lavorano la terracotta, laboratori tessili, un’officina per la riparazione delle biciclette e dei motorini e una carpenteria, un centro di ascolto per le donne, uno sportello di consulenza al lavoro per giovani disoccupati, un centro servizi per gli stranieri.

Contenuti creativi e forme organizzativeIl Wuk (Werkstätten und Kulturhaus, ovvero Officine e Casa della Cultura) nasce in un contesto politico e culturale in forte cambiamento, difatti tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta Vienna vede sorgere diverse attività artistiche, sociali e politiche. Il progetto si pone come alternativa all’offerta artistico culturale classica (prevalentemente museale): si fonda su una idea ampia di cultura, vicina alla società, aperta a tutti e attenta ai diversi aspetti della vita quotidiana. In particolare WUK si propone di offrire una occasione per lo sviluppo di potenziali sociali presenti nel contesto locale. Dal punto di vista concettuale la proposta del WUK cerca di coniugare due modelli, quello del centro locale socio-culturale e quello del centro di arte e cultura di alto profilo e di raggio sovralocale:

✚ del primo prende la spinta ad accompagnare processi di emancipazione e mutuo aiuto, di lavoro culturale territoriale e di autogestione

✚ del secondo prende la propensione per la produzione artistica e culturale sperimentale, innovativa, transdisciplinare che travalica i confini territoriali.

Dal punto di vista organizzativo il progetto del Wuk risponde alla sfida di sviluppare un approccio manageriale senza ricadere in una organizzazione gerarchica ed esclusiva, e al contrario promuove pratiche partecipate e cooperative, processi decisionali trasparenti e aperti e costantemente rivolti alla ricerca del consenso più allargato possibile. Il WUK si sostiene sia attraverso l’autofinanziamento legato alle entrate relative ad alcune attività svolte al suo interno (concerti, feste) sia attraverso contributi finanziari da parte di istituzioni di diverso scopo e livello: a livello locale il Dipartimento per la Cultura di Vienna, il Fondo per la promozione del lavoro e il Fondo per l’integrazione sociale; a livello regionale i Servizi per il Mercato del Lavoro; a livello nazionale la Sezione delle Arti della Cancelleria Federale Austriaca e Il Ministero per gli Affari Sociali; a livello europeo il Fondo Sociale Europeo (FSE).

2. Contaminazioni tra sviluppo del settore dei servizi alla comunità e partecipazione degli abitanti

2.1. CERC Un incubatore di imprese autogestite per riorganizzare i servizi locali in un quartiere periferico di Luton

Lo spazio e la sua storiaCollocata alla periferia di Luton (una delle principali città industriali inglesi), la Coulter’s Electronic era una fabbrica di materiale elettrico attorno a cui negli anni Sessanta del Novecento è stata concepita la realizzazione di un quartiere satellite, Marsh Farm. Con la crisi industriale il quartiere è diventato una zona degradata, priva di servizi e abitata da una popolazione in prevalenza povera e multietnica, giovane e disoccupata, nel frattempo la fabbrica (una struttura di 12.000 mq) dopo essere stata rilevata da una società americana ha progressivamente ridotto le sue attività.

All’inizio del 1998 la dismissione e le prime proposte di riutilizzo da parte delle associazioni e dei gruppi di abitanti attivi in quartiere: in particolare un gruppo di giovani locali che in quegli anni si era reso protagonista di esperienze di occupazione e riutilizzo a fini di aggregazione di altri edifici dimessi nella zona, propone la destinazione dell’edificio a servizio della comunità per ospitare “progetti di auto-inclusione autogestiti dagli abitanti”. Dopo alcuni anni di dibattito e di conflitti locali rispetto a questa ipotesi, nel 1999 le varie organizzazioni di quartiere (tra cui il gruppo di giovani) insieme alle principali istituzioni locali (la Municipalità di Luton, l’Università, la polizia locale) hanno formato una agenzia per lo sviluppo locale (Marsh Farm Community Development Trust, MFCDT) e si sono aggiudicati i finanziamenti legati a un programma di rigenerazione urbana di rilevanza nazionale, usando i quali hanno acquistato la fabbrica e iniziato a trasformarla in un centro dedicato al coinvolgimento della popolazione e alla attivazione di imprese di quartiere (CERC, community enterprises and resources center)

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Funzioni sociali e attivitàIl CERC di Marsh Farm rappresenta una delle esperienze pioniere di community hub realizzate negli ultimi anni in Inghilterra nell’ambito delle più innovative politiche rigenerazione urbana. L’idea è quella di coinvolgere direttamente abitanti e organizzazioni locali nell’utilizzo quotidiano dello spazio per perseguire la riorganizzazione del sistema dei servizi locali: si tratta sia di creare un luogo di riferimento per sviluppare forme di democrazia partecipata alle quali affidare le decisioni rispetto servizi da importare dall’esterno, sia di usare gli spazi per attivare imprese di servizio autogestite che valorizzino le competenze degli abitanti disoccupati integrandole con specifici percorsi formativi. In questo modo si lavora contemporaneamente a rafforzare il senso di appartenenza alla comunità e a garantire occasioni di emancipazione dei residenti dalla dipendenza dai sussidi di disoccupazione.

Il lavoro di progettazione delle funzioni da insediare all’interno del CERC ruota attorno ai cinque temi principali definiti dal programma di rigenerazione (occupazione, educazione, criminalità, salute, housing e ambiente) e ad altri due temi, aggiunti in relazione alle specificità di Marsh Farm (servizi di quartiere e minoranze etniche). Si tratta di un lavoro continuativo che impegna personale stipendiato e abitanti, sia a titolo volontario che come membri nominati nell’ambito delle strutture di rappresentanza. Ad oggi, mentre l’attuazione del programma di rigenerazione è ancora in corso, il CERC di Marsh Farm ospita già diverse attività, alcune trasferite al suo interno dall’esterno (un asilo, un centro informatico, una biblioteca, un centro per l’impiego, alcuni sportelli e servizi sociali, sedi di associazioni etniche e comunitarie, ecc.), altre saltuarie e provvisorie (un mercato coperto, danza, teatro, musica), altre realizzate attraverso l’inserimento lavorativo di abitanti disoccupati (studio musicale, caffè-ristorante, officina). Sono poi disponibili alcuni spazi di affitto, da una parte quelli attrezzati per assemblee, riunioni e workshop, dall’altra quelli ancora grezzi da destinare ad altre attività di interesse per la comunità.

Contenuti creativi e forme organizzativeAttorno alla progettazione dell’hub, MFCDT ha provato a declinare in modo originale le principali indicazioni strategiche proposte dal programma di rigenerazione urbana rispetto al modo di riorganizzare il sistema dei servizi locali. La prospettiva community-based (che invita ad assumere il punto di vista degli abitanti) e l’approccio capacity building (che spinge a valorizzare e integrare le risorse già disponibili) si sono infatti coniugate all’interno di una visione

della partecipazione diversa da quella tradizionale (consensus building), e intesa invece come veicolo per riconoscere, promuovere e rafforzare le condizioni per lo sviluppo di potenzialità locali. A tal fine è risultata strategica e determinante la disponibilità di uno spazio al quale ricondurre l’immaginario della comunità locale, sul quale fare alcune sperimentazioni e all’interno del quale dare riscontri visibili e immediati della partecipazione.

In particolare, per lavorare fin da subito in questa direzione l’agenzia di sviluppo (MFCDT) si è dedicata a sviluppare due strutture organizzative deputate a generare progetti di nuovi servizi per il quartiere:

✚ da una parte un consiglio di quartiere composto di abitanti ed eletto dagli abitanti, che a sua volta ha nominato un consiglio di amministrazione di quartiere e 8 community manager (uno per ciascuna delle aree tematiche ritenute cruciali): attorno alle varie proposte formulate da questi ultimi è stato organizzato un sistematico lavoro di consultazione e confronto tra i residenti che ha condotto a mettere a punto alcune proposte progettuali condivise di nuovi servizi da insediare presso l’hub.

✚ dall’altra una prima impresa pilota composta dagli attivisti locali più dinamici e guidata da alcuni dei giovani esperti di autorganizzazione, con il compito di lavorare a creare le condizioni per la nascita di nuove imprese comunitarie preso l’hub: coinvolgimento degli abitanti disoccupati, bilancio delle competenze disponibili, identificazione dei possibili temi d’impresa e organizzazione di percorsi progettuali e formativi ad hoc.

2.2 ATENEU POPULAR Il progetto di un centro artistico-culturale per coinvolgere e attivare direttamente la comunità di un barrio a barcellona

Lo spazio e la sua storiaL’ex fabbrica di asfalto, costruita su un’area di proprietà del comune di Barcellona, si trova nel quartiere Nou Barris a nord-est del centro della città. La fabbrica con una superficie totale è di 1500 mq.

Alla fine degli anni Settanta l’ex Fabbrica è stata convertita, in modo autogestito e spontaneo, in centro culturale dagli abitanti del “barrio” Nou. Alla fine degli anni Settanta, l’Amministrazione Pubblica di Barcellona ha deciso di regolarizzare la situazione e ha concesso lo spazio (per un periodo transitorio)

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a titolo di affitto gratuito ai 18 gruppi oggi attivi all’interno della struttura che nel 1979 hanno fondato l’associazione ATENEU POPULAR.

Funzioni sociali e attivitàL’ATENEU POPULAR è un centro culturale, le iniziative svolte sono viste come attività di supporto alle trasformazioni sociali e sono principalmente rivolte a sviluppare e sostenere i progetti della comunità di Nou Barris, ad accogliere e supportare la creatività delle persone e dei gruppi, garantendo spazi dedicati e strutture attrezzate per differenti ambiti di intervento: arti circensi, teatro/danza, musica, workshop, bambini e giovani, iniziative di solidarietà sociale, iniziative interculturali.

Con la finalità di ampliare l’offerta culturale della città, l’ATENEU POPULAR propone spazi e opportunità per la produzione e per la fruizione culturale. Al suo interno sono presenti spazi ricreativi aperti al pubblico (un bar-ristorante di 120 mq), uno spazio per il teatro e per il cinema (280 mq), uffici per associazioni, la scuola di circo per bambini e per adulti, gli spazi per la preparazione atletica e per i workshop formativi, una galleria espositiva, studi per la produzione video. L’animazione circense e il teatro di strada, in particolar modo, rappresentano per l’associazione uno strumento di integrazione sociale e culturale e un modo per avvicinare i giovani all’ATENEU.

Contenuti creativi e forme organizzativeDal punto di vista concettuale la proposta dell’ATENEU è di creare un centro locale socio-culturale rivolto al quartiere. Il progetto è nato come risultato di diversi sforzi compiuti dai residenti del quartiere per restituire l’area all’uso pubblico e si fonda su una idea di cultura vicina alla società. In particolare si propone di offrire una occasione per lo sviluppo di potenziali sociali presenti nel contesto locale, coniugando educazione, formazione, creatività, produzione e aspetti sociali.

Dal punto di vista organizzativo il progetto dell’ATENEU promuove pratiche partecipate e cooperative, le decisioni riguardanti le attività vengono prese da tutti gli interessati attraverso un processo di condivisione delle scelte e di partecipazione nella gestione. La Junta del Bidò de Nou Baris si occupa di coordinare la gestione, è formata da 5 persone volontarie che si riuniscono settimanalmente.

Il finanziamento dell’ATENEU è costituito dall’insieme di sovvenzioni

dell’Ajuntament (Consiglio di quartiere), di contributi da parte di istituzioni di diverso scopo e livello: Amministrazione Comunale di Barcellona; Associació de Circo de Catalunya; Coordinadora Cultural de Nou Barris; Coordinadora d’AAVV de Nou Barris. Un ulteriore canale di finanziamento è costituito dalle entrate relative alle attività svolte e dal tesseramento dei soci. L’area è di proprietà pubblica ed è stata concessa ad affitto gratuito per i primi anni di attività, l’associazione si è attivata affinché il contratto venisse prolungato fino a oggi.

2.3 YPPENPLATZ rivitalizzazione delle strutture legate ad un mercato rionale attraverso l’introduzione di servizi sociali gestiti dalla comunità a Vienna

Lo spazio e la sua storiaYppenplatz è una grande piazza collocata al centro del quartiere Ottakring nel 16° distretto di Vienna, dove storicamente si colloca il Brunnermarkt, il più grande mercato all’aperto della città. Yppenplatz, è occupata per buona parte da strutture un tempo destinate a esercizi commerciali oppure a magazzini di prodotti venduti al mercato, che negli anni Novanta del Novecento hanno subito un processo di progressiva dismissione, in larga parte associata alla concentrazione di popolazione in difficoltà (immigrati, homeless, ecc.). Mentre il dibattito cittadino sul futuro della piazza proseguiva, in mancanza di investimenti pubblici e privati per la ristrutturazione, le strutture dismesse hanno subito un significativo degrado fisico.

A metà anni Novanta la Municipalità ha proposto, d’accordo con un imprenditore privato, la realizzazione di un unico edificio con funzioni commerciali al piano terra sovrastate da sei piani di residenza al posto delle strutture dismesse. Gli abitanti, insieme ai commercianti rimasti, si sono organizzati in un’associazione, Yppenplatz Forum, e si sono mobilitati per contrastare il progetto che snaturava completamente le caratteristiche della piazza. Nel 1997 la Municipalità allora ha rinunciato all’idea e ha previsto, nell’ambito del programma Urban-Wien, finanziato dall’Unione Europea, un nuovo progetto finalizzato al rinnovo economico e sociale nell’intera area del Brunnenmarkt. Il progetto, denominato Yppactiv e ultimato nel 2001, prevedeva di ristrutturare la piazza rinforzando le qualità dello spazio commerciale tradizionale e introducendo nuovi servizi e attrezzature per gli abitanti e infrastrutture per il mercato.

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Funzioni sociali e attivitàLa riqualificazione della piazza ha sostenuto e promosso la ripresa commerciale del quartiere e il suo sviluppo locale. L’intervento ha previsto il riutilizzo delle vecchie strutture sia per nuove funzioni commerciali sia per servizi e attività rivolti al quartiere; questo ha permesso di ospitare progetti di integrazione sociale e di avviare diverse attività culturali. La commistione di usi e funzioni differenti ha dato luogo a uno spazio non omogeneo e ha favorito diversi modi/tempi per abitare la piazza e il quartiere. Inoltre, come indotto della riqualificazione pianificata intorno a Yppenplatz, sono nati spontaneamente diversi luoghi per il ristoro e per il tempo libero, usati anche da chi non abita nel quartiere. Il progetto dell’area ha differenziato i percorsi tra spazi commerciali e spazi per altre attività e l’intera superficie, di 15.600 mq, è stata suddivisa in tre zone che ospitano funzioni differenti:

✚ nella zona est della piazza sono collocati gli spazi commerciali e il mercato all’aperto lungo la Brunnengasse; il mercato si svolge dal lunedì al sabato e proprio il sabato ospita le bancarelle dei prodotti biologici degli agricoltori della provincia di Vienna; l’associazione commercianti nata in occasione del progetto Yppactiv si occupa della coordinazione degli spazi commerciali

✚ il centro servizi brunnen.passage, posto nel cuore della piazza, organizza attività culturali e sociali per il quartiere: corsi e workshop formativi, lezioni di danza per persone diversamente abili, corsi di danza turca, performance; il centro è gestito dalla Caritas-Vienna e ha come motto “Integration und Kunst für alle!” (Integrazione e arte per tutti)

✚ lo spazio aperto a ovest è stato attrezzato con strutture per la sosta, uno spazio per lo sport e per il gioco, come il campo da basket e l’isola verde per i bambini; la piazza viene utilizzata principalmente per il gioco e come luogo di incontro per i giovani e per le famiglie ed è gestita dal Dipartimento per le aree verdi del Comune di Vienna.

Contenuti creativi e forme organizzativeL’interesse del progetto di Yppenplatz ha principalmente a che vedere con le modalità con le quali il progetto è stato sviluppato e guidato. Innanzitutto il concept generale del programma di lavoro è stato sviluppato collettivamente; questo ha generato una soddisfazione generale per la realizzazione del progetto. In secondo luogo la riqualificazione, nata dall’interazione tra Amministrazione

Pubblica e abitanti, rappresenta un buon esempio di rinnovamento economico e sociale attento alle esigenze degli abitanti, all’uso che questi fanno dello spazio e alle capacità locali esistenti.

Il processo è stato coordinato dalla Municipalità e dal Consiglio di Zona e, attraverso pratiche partecipate e cooperative rivolte alla ricerca del consenso più allargato possibile, gli abitanti e i commercianti sono stati coinvolti attivamente in ogni fase del lavoro. In particolare l’Amministrazione ha deciso di condurre i lavori di programmazione e progettazione attraverso un gruppo integrato e interdisciplinare, composto da 5 residenti, 5 negozianti del Yppenmarket, diversi funzionari comunali, politici, urbanisti, azionisti e rappresentanti di iniziative locali. All’inizio del processo è stato organizzato un laboratorio di progettazione con 35 partecipanti e tre gruppi di studio; questi hanno elaborato alcune proposte per risolvere i temi principali: il mercato, il parco/spazio aperto e il traffico. Le proposte elaborate dai gruppi sono state discusse durante una riunione plenaria e, dopo essere state analizzate e riassunte in un concetto generale, per ogni aspetto, sono state fissate le priorità. La fase progettuale di dettaglio e la seguente realizzazione hanno avuto luogo tra il 1998 e il 2001.

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concluSioni Di AnDREA PEllEgAtA (lA coRDAtA/Jobox)L’attivazione di Jobox si è inserita in un percorso che La Cordata – impresa e valore sociale – ha intrapreso da tempo e che rappresenta – insieme a iniziative realizzate da altre imprese sociali sparse sul territorio nazionale – una fra le più moderne concezioni del ruolo dell’impresa sociale nell’era post-industriale.

Superato un ruolo riconducibile a un mero esercizio di gestione delle esternalizzazioni del sistema pubblico di welfare, che ha visto per lungo tempo un’impresa sociale subalterna alle volontà e disponibilità politiche, oggi l’impresa sociale è chiamata a ri-posizionarsi e a diventare soggetto proattivo di politiche di coesione e integrazione volte allo sviluppo sostenibile delle comunità locali.

Ciò richiede creatività e disponibilità a nuove scelte aziendali e di management che La Cordata sta progressivamente sperimentando e consolidando, nel perseguimento di opzioni volte alla promozione della democrazia e della cooperazione, sia al suo interno che verso l’esterno.

Lo sviluppo di comunità, di cui tanto s’è scritto e dibattuto anche a partire da retaggi di natura culturale e ideologica diversi, oggi assume una valenza nuova – per altro già prefigurata dai più attenti osservatori e animatori di comunità – in cui irrompe, il tema dell’economia, diventando l’asse portante del cambiamento sociale.

L’insostenibilità dell’ impianto di un modello di sviluppo economico fondato su speculazioni finanziarie ha dato prova di sé: milioni di persone senza reddito, Paesi ed economie intere ridotti sul lastrico si sono aggiunti alla situazione già di miseria in cui altri milioni di persone passano la loro “normale” esistenza.

È sotto gli occhi di – quasi – tutti (forse perché ha toccato persino le economie domestiche nelle famiglie dei Paesi più ricchi) quanto serva un’inversione di rotta, un cambiamento “epocale” dei modelli di sviluppo, di consumo e di distribuzione della ricchezza.

Accanto alle indispensabili riforme necessarie a impedire nuovi processi dell’accumulazione speculativa, occorrerebbe un’azione forte a livello nazionale e locale in cui l’economia reale possa riconnettersi alla sostenibilità sociale, ambientale e culturale.

Tale azione può svilupparsi come strategia di governance pubblica in cui molteplici attori – oggi forse più motivati dalla crisi – ridefiniscano alcuni intendimenti e modalità di intervento, tesi a evitare il riprodursi di dannose performance di pochi a

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danno di tanti, mettendo al centro le scelte per uno sviluppo sostenibile.

La consapevolezza che tale ipotesi rappresenti poco più di un bell’auspicio, specie per il nostro Paese, non impedisce lo sviluppo di un pensiero che eleva l’impresa sociale, attore fra gli attori economici e sociali, a realistica e concreta struttura organizzativa, occasione di alternativa socio-economica, (persino) destinata ad accrescere il suo appeal nella promozione di un sistema diverso, ad alto contenuto etico-valoriale e ad altrettanto significativo valore economico e sociale.

Tutto ciò può accadere a patto che essa sia in grado di assumere i caratteri di un’impresa dalle funzioni pubbliche capace di dialogare con i soggetti decisori, ma anche con quelli economici, della formazione, della cultura e dell’università, con le imprese e le associazioni datoriali, con il mondo del lavoro e delle sue rappresentanze; un’impresa altresì in grado di innescare processi di incontro, definizione di sistemi relazionali e sostegno di nuovi ambiti di progettazione di welfare esteso alle diverse dimensioni sociali, culturali ed economiche.

Jobox rappresenta un importante percorso in via di sperimentazione in cui questa sfida è raccolta da un’impresa sociale che ospita giovani con idee e progetti e ne consente – attraverso servizi di assistenza e di logistica – la realizzazione imprenditoriale.

Si è disposto un modo per dar luogo a un’inedita soggettività: quella derivata dall’incontro dei giovani imprenditori con l’impresa sociale.

È infatti nell’incontro fra questi attori (fra start-up e start-up; fra start-up e La Cordata; fra gruppo di start-up e La Cordata) – voluto dai promotori – che via via maturano nuove soggettività complesse e che si prefigura lo sviluppo di innovativi scenari socio-economici. E la prossima storia ci dirà che cosa saremo riusciti a fare.

Nel misurare il valore di questa esperienza forse basterebbe dire che in un anno si sono attivate oltre 10 imprese, di cui 7 operano stabilmente in Jobox: ciò porrebbe qualche imbarazzo ai teorici del bamboccismo dei nostri giovani; essi hanno dimostrato che, quando supportati, i giovani sanno persino farsi impresa, dialogano fra imprese e producono reddito oltre a creatività e innovazione.

Potrebbe essere importante, e forse bastare per una valutazione che almeno desti una qualche curiosità, dire che per la prima volta nel panorama italiano un’impresa sociale ha dato luogo a un sistema di sviluppo imprenditoriale i cui destinatari sono start-up profit; come a dire che l’impresa sociale non è solo competente (almeno) tanto quanto l’impresa profit, ma si assume anche l’onere di coltivarne la crescita e lo sviluppo, consapevole che non tutto possa essere compreso entro una unica ragione sociale e un’unica cultura d’impresa.

Ciò che aggiungiamo come elemento di valutazione sono però altre due ulteriori questioni, su cui intendiamo soffermare l’attenzione e misurare il valore aggiunto, oggi e nel prossimo futuro.

Con Jobox diamo una prima – pur parziale – risposta alla frantumazione dei processi di produzione, riconducendo la diaspora del lavoro, specie di quello giovanile, a un luogo fisico ove la ricomposizione sia possibile e nella quale i giovani possano, attraverso le sperimentazioni della community, ridefinire i profili di organizzazioni e produzioni plurali.

Jobox può essere quindi essere letto anche come una sorta di nuova fabbrica dei beni immateriali ove la precarietà giovanile si incanala in un binario diverso da quello della disperazione o dei tentativi poco probabili di giocare alla ruota della fortuna. Esso offre la possibilità di comunicare e stare con altri, quindi di mettere insieme saperi, storie, competenze, mezzi di produzione, fatiche e successi e di tentare strade articolate di penetrazione nel mercato.

Nuovi processi di produzione, nuove articolazioni di un potenziale professionale fra pari che si confrontano con un mercato-giudice inflessibile e da cui potrebbero emergere anche nuove forme di reciproco sostegno, mutualità, solidarietà.

Moderne integrazioni d’un welfare avviato nella sua forma novecentesca al suo inesorabile tramonto?

L’impresa sociale può orientare, agevolare, sostenere il processo di progettazione e incontro fra risorse, interne ed esterne, necessario alla costruzione di nuovi sistemi di welfare, che dall’incubatore travalicano gli stessi spazi dei box per pervadere e contaminare quartieri e comunità locali.

In ciò lo stesso agire imprenditoriale delle start-up può diventare risorsa cosciente, consapevole, nella ri-strutturazione di una possibile risposta al bisogno emergente. Rigenerando anche tratti di welfare. (Welfare per sé.)

E ancora: i giovani imprenditori, la cui matrice professionale comune affonda nei territori post-moderni delle produzioni di beni immateriali, possono sperimentare una loro “materialità” anche attraverso l’ incontro con gli attori locali e lo sviluppo di servizi a supporto dei processi di produzione, appunto materiale, e dello sviluppo locale. L’aleatorietà percepita dei processi di produzione di beni immateriali può quindi essere ridotta attraverso un rapporto proficuo con la comunità locale, mediato dal sapere e dal saper fare dell’impresa sociale.

Qui risiede la novità che propone Jobox entro la cornice imprenditoriale de La Cordata. La start-up è una risorsa il cui valore può precipitare entro una dinamica

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concreta e di innovazione territoriale il cui processo può determinarsi dalla concretezza del fare dell’impresa sociale di comunità, quale utile piattaforma di mediazione e di incontro fra imprese, idee, attori, risorse.

Vi sono quindi nuove domande che possono emergere, se si è in grado di leggere le cose diversamente dalle consuetudini pigre del fare reiterato. I giovani cambiano, come cambiano le condizioni materiali di vita. È quindi un inutile sperpero di risorse (soldi, geni, pensieri e idee) la perpetuazione di modelli vetusti che non tengono più conto delle domande che sono mutate, delle risorse in gioco e delle potenzialità dei giovani che richiedono risposte adeguate. Moderne.

Jobox offre un dispositivo per l’avvio di nuovi processi: La Cordata si è assunta il rischio di sostenerli. Se l’impresa sociale investe nel cambiamento, che per La Cordata significa accogliere, ospitare, stare con... riesce a produrre innovazione. Governare questi processi non è una cosa semplice, occorre molta forza e volontà. E anche risorse economiche adeguate. Ma soprattutto vision e grande intelligenza.

Oggi l’ospite di La Cordata si chiama start-up: giovanile, creativa. Affascinante. Un’ospite d’onore: che porta con sé la freschezza che solo i giovani hanno e uno sguardo ancora sincero e voglioso di andare oltre.

Per noi, cooperatori e imprenditori sociali di lungo corso, ciò può portare solo ricchezza, energia e innovazione: per loro, con loro, possiamo inventarci un nuovo pezzo di welfare che ancora dobbiamo disegnare. Sperando sempre nella costituzione di una saggia governance, nel mentre facciamo concretamente passi verso il nostro futuro, di impresa e di cittadini.

Un’occasione che anche amministratori visionari e accorti non si lascerebbero scappare facilmente, investendo non solo risorse economiche (non ne servono tante) ma soprattutto spazi di agibilità e costruzione di nuovi linguaggi e modelli organizzativi delle politiche pubbliche. Con i giovani si potrebbe anche fare.

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