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Come hai iniziato ad interessarti alla batteria? Vari momenti hanno scatenato il mio interesse per la batteria. Uno è stato scorrere la collezione di dischi dei miei genitori da bambino. Trovai il disco “Rich vs. Roach” e la copertina ritraeva i due seduti alla batteria, uno di fronte all’altro. La loro posa sugge- riva un duello. Avevo probabilmente 7 anni allora. La copertina mi sembrava molto cool. Non avevo mai ascoltato né Buddy Rich né Max Roach, ma misi su il disco. E fu una delle robe più straordinarie che avessi mai sentito. Non avevo idea di cosa avvenisse ma sti- molò il mio interesse, specialmente il lavoro di Max Roach sullo hit-hat. Era eccitante per me e volevo capire come funzionava. Un altro momento è stato alle medie quando qualcuno degli insegnanti di mu- sica fece qualche dimostrazione con gli strumenti. L’insegnante di batteria, Keith Gibson, aveva solo il rullante e fece una sola rullata, lenta e poi veloce, usando varie dinamiche. Quel suono fu seducente. I tuoi genitori suonavano qualcosa o erano solo ap- passionati di musica? Niente di tutto ciò. A loro piaceva la musica ma non sono cresciuto ascoltando musica in casa o andando a tanti concerti, e non ci sono musicisti in famiglia, né dal lato di mio padre né da quello di mia madre. Puoi raccontare della tua esperienza di apprendi- mento con Alan Dawson? Dissi a mia madre che volevo suonare la batteria. Dato che non conoscevamo alcun musicista, mia madre chiese in giro. Tramite un amico trovammo un insegnante di batteria, Joyce Kouffman. Era una buona insegnante e mi insegnò per un paio di anni. Mi aprì le orecchie verso diversi strumenti e tanta musica. Voleva anche che scrivessi canzoni così che potessi iniziare ad usare immaginazione e creatività. Poi si trasferì in California — io sono cresciuto a Bo- ston — e quando chiesi se potesse raccomandarmi qualcuno, disse che avrebbe chiesto al suo maestro, sebbene non insegnasse a ragazzi. Il suo maestro era Alan Dawson. Che disse: “Perché non viene per una lezione e partiamo da lì?” Non avevo idea di chi fosse. E sono contento perché altrimenti sarei stato nervoso. Alla fine della lezione, Dawson disse sol- tanto: “Ci vediamo la prossima settimana”. Così sono iniziati i miei 8 anni di studio con lui. Ovviamente è un insegnante fantastico e un gran batterista. A li- vello tecnico e musicale devo a lui i miei fondamen- tali. Dal punto di vista batteristico, il suo messaggio è completo per tecnica, coordinazione e vocabola- rio. Ciò che ho trovato utile è stato imparare come organizzare il mio approccio. Attraverso i suoi inse- tomas fujiwara connessioni ad impulsi variabili di Alain Drouot Ex studente del grande e sottovalutato Alan Dawson, il batterista Tomas Fujiwara si è sviluppato come uno dei più versatili musicisti di quella generazione che ha scosso la scena newyorkese. Che sia leader di propri gruppi, come il nuovo trio con Ralph Alessi e Brandon Seabrook, che sia parte di un collettivo o si produca come sideman, mette uguale professionalità e attenzione nel suo mestiere, dando prova di essere una forza di cui tener conto, anche come compositore. foto Scott Friedlander JazzColours | novembre ’14 21

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Come hai iniziato ad interessarti alla batteria?Vari momenti hanno scatenato il mio interesse per labatteria. Uno è stato scorrere la collezione di dischidei miei genitori da bambino. Trovai il disco “Richvs. Roach” e la copertina ritraeva i due seduti allabatteria, uno di fronte all’altro. La loro posa sugge-riva un duello. Avevo probabilmente 7 anni allora. Lacopertina mi sembrava molto cool. Non avevo maiascoltato né Buddy Rich né Max Roach, ma misi su ildisco. E fu una delle robe più straordinarie che avessimai sentito. Non avevo idea di cosa avvenisse ma sti-molò il mio interesse, specialmente il lavoro di MaxRoach sullo hit-hat. Era eccitante per me e volevocapire come funzionava. Un altro momento è statoalle medie quando qualcuno degli insegnanti di mu-sica fece qualche dimostrazione con gli strumenti.L’insegnante di batteria, Keith Gibson, aveva solo ilrullante e fece una sola rullata, lenta e poi veloce,usando varie dinamiche. Quel suono fu seducente.

I tuoi genitori suonavano qualcosa o erano solo ap-passionati di musica?Niente di tutto ciò. A loro piaceva la musica ma nonsono cresciuto ascoltando musica in casa o andandoa tanti concerti, e non ci sono musicisti in famiglia,né dal lato di mio padre né da quello di mia madre.

Puoi raccontare della tua esperienza di apprendi-mento con Alan Dawson?Dissi a mia madre che volevo suonare la batteria.Dato che non conoscevamo alcun musicista, miamadre chiese in giro. Tramite un amico trovammo uninsegnante di batteria, Joyce Kouffman. Era unabuona insegnante e mi insegnò per un paio di anni.Mi aprì le orecchie verso diversi strumenti e tantamusica. Voleva anche che scrivessi canzoni così chepotessi iniziare ad usare immaginazione e creatività.Poi si trasferì in California — io sono cresciuto a Bo-ston — e quando chiesi se potesse raccomandarmiqualcuno, disse che avrebbe chiesto al suo maestro,sebbene non insegnasse a ragazzi. Il suo maestro eraAlan Dawson. Che disse: “Perché non viene per unalezione e partiamo da lì?” Non avevo idea di chifosse. E sono contento perché altrimenti sarei statonervoso. Alla fine della lezione, Dawson disse sol-tanto: “Ci vediamo la prossima settimana”. Così sonoiniziati i miei 8 anni di studio con lui. Ovviamente èun insegnante fantastico e un gran batterista. A li-vello tecnico e musicale devo a lui i miei fondamen-tali. Dal punto di vista batteristico, il suo messaggioè completo per tecnica, coordinazione e vocabola-rio. Ciò che ho trovato utile è stato imparare comeorganizzare il mio approccio. Attraverso i suoi inse-

tomas fujiwaraconnessioni ad impulsi variabili

di Alain Drouot

Ex studente del grande e sottovalutato Alan Dawson, il batterista Tomas Fujiwara si è sviluppatocome uno dei più versatili musicisti di quella generazione che ha scosso la scena newyorkese.

Che sia leader di propri gruppi, come il nuovo trio con Ralph Alessi e Brandon Seabrook,che sia parte di un collettivo o si produca come sideman, mette uguale professionalità e attenzione

nel suo mestiere, dando prova di essere una forza di cui tener conto, anche come compositore.

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gnamenti ho imparato che ci sono tanti modi discomporre le cose e ricombinarle. È stato anche digrande esempio, una figura per certi versi paterna.Aveva un vero carisma e dignità nel modo di porsi. Edera una persona molto intelligente, calorosa e gen-tile, sicuro di sé senza essere arrogante, serio senzaessere altezzoso. Una volta mi invitò a sentirlo suo-nare con Bobby Hutcherson. Era fra i due set, sul re-tropalco parlando con gli altri musicisti. Ed io eromolto timido, avevo forse 12 anni all’epoca, ma allafine mi decisi ad andare e dissi “Salve”. E lui: “Oh,Tomas Fujiwara, ti presento Bobby Hutcherson; eBobby Hutcherson, ti presento Tomas Fujiwara”. Cipresentò come due amici, persone che rispettava ea cui teneva. Fu una cosa per me molto forte.

A 17 anni ti sei trasferito a New York per il college?Sì, alle superiori, sapevo già che volevo andare a NewYork. E non era solo per la musica. Allora non ero pro-babilmente consapevole di tutta la storia della mu-sica che capitava a New York, ma ero sempre attrattoda quella città ogni volta che ci andavo. Una voltadiplomato ho puntato lì perché sapevo che sarebbestato lì che mi sarei ispirato e avrei imparato di più.

Hai suonato in parecchi musical come “Stomp” e

“Fella!”: cosa hai imparato da quell’esperienza?Si è trattato di esperienze alquanto differenti.“Stomp” aveva delle chiamate dirette per il cast.L’audizione in sé fu molto divertente, come un work-shop. Lo show era molto percussivo e fisico. Avevoappena terminato il college e finii per avere il posto.Fu il mio primo tour regolare e lo spettacolo eracreativo. Sera dopo sera c’era spazio per improvvi-sare, più di quanto si potrebbe pensare. Questo miaffascinava come musicista. Potevi sempre cambiarele cose all’interno del contesto dello show. In uncerto senso, è come un ensemble di percussioni. Con“Fella!” si trattava di Broadway ed io ero un sosti-tuto, feci solo una manciata di serate. Ma la musicaed il ballo erano spettacolari. Era forte, poi, doverimparare quella musica. Avevo sempre amato“Fella!” e Tony Allen, il suo batterista, e quindi fuuna cosa grandiosa studiare quei ritmi e quei groove.

Sembri avere un legame speciale con il cornettistaTaylor Ho Bynum.Ho incontrato Taylor alle superiori. Facemmo una se-rata insieme e abbiamo continuato a suonare. È di-namico, intraprendente e molto positivo quanto allamusica. Alle superiori aveva un ingaggio regolare allagelateria in cui lavorava. Di certo della musica co-

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nosceva molto più di quanto allora ne sapessi io. Poici siamo reincontrati a New York e abbiamo comin-ciato a lavorare a diversi progetti insieme. È statoun rapporto molto importante per entrambi, quantoa suonare in contesti diversi. Come amici, uscivamomolto e parlavamo di vari argomenti. Abbiamo av-viato il duo circa dieci anni fa. Era un periodo in cuinessuno di noi era molto impegnato. Tutti i musicistici passano. Così organizzavamo delle session ed ungiorno ci siamo ritrovati solo noi due. E abbiamo de-ciso di rifarlo. Avere una relazione musicale per cosìtanto tempo stabilisce una connessione unica che tipermette di suonare in molti contesti diversi.

E con la chitarrista Mary Halvorson?Ho incontrato Mary circa dieci anni fa, nel gruppo diMatana Roberts. Poi non abbiamo suonato di nuovoinsieme per un anno. Quando Taylor stava mettendosu una band, chiese ad entrambi di farne parte. Erala prima volta che suonavamo regolarmente insieme.Naturalmente ci siamo trovati ma per molto temposembrava che spesso venissimo ingaggiati per glistessi progetti. Relazioni come questa devono svi-lupparsi con il tempo e attraverso incontri ripetuti.C’è anche bisogno di impegno per costruire un voca-bolario condiviso. Anche se non viene detto, c’è unimpegno reciproco per costruire una connessione al-l’interno della musica. È molto gratificante suonarecon musicisti con cui hai una storia condivisa.

Di solito suoni principalmente con musicisti dellatua stessa generazione: come hai agganciato ilcontrabbassista Michael Formanek per formare

Thumbscrew con Mary Halvorson?Michael venne chiamato come sostituto nel sestettodi Taylor, e da quell’unica serata abbiamo sentito su-bito una forte connessione, ripromettendoci di farnealtre. Tutti e tre ci siamo spesi perché accadesse,abbiamo scritto la musica per il progetto. In effettisuoniamo soltanto musica appositamente scritta perquesta band. È un collettivo ed ognuno è ugualmentecoinvolto, sia musicalmente che ad altri livelli.

Il trio con Ralph Alessi alla tromba e Brandon Sea-brook alla chitarra avvia una nuova collaborazione?È stata la prima volta che suonavo con loro. Li cono-scevo, li avevo visti suonare e mi piaceva ciò che fa-cevano nei rispettivi gruppi. Quando metto insiemeun nuovo progetto voglio immaginare come suonerà.Mi piace avere delle opportunità e prendere dei ri-schi con la musica che suono. È stimolante per mevedere se una combinazione di strumenti funzioneràoppure no. Mi trastullavo con diverse idee e dato cherispetto questi due musicisti ho iniziato ad essere in-teressato a formare una band con loro. Non abbiamosuonato molto ma ogni volta che lo facciamo mipiace il processo con cui tutto avviene. Quando hopreso a pensare di fare un album, ho creduto fossemeglio farlo in un contesto live — è stato registratoal Barbès di Brooklyn. Mi piaceva quest’idea. Non vo-levo avere un milione di prove fra cui scegliere e daeditare. Mi piace l’energia che viene fuori dal ribol-lire delle idee e dall’essere nel momento.

Cerchi di trovare dei titoli che si adattino ai pezziche scrivi o trovi noioso dar loro un nome prefe-

Questo nuovo trio capeggiato dal batteristanewyorkese Tomas Fujiwara presenta unastrumentazione inusuale ed una nuova colla-borazione. È la primissima volta che Fujiwarasi trova a suonare e registrare con l’incen-diario chitarrista Brandon Seabrook ed il ver-satile trombettista Ralph Alessi, i quali hannoentrambi l’opportunità di rivelare differentisfaccettature del loro playing. Il chitarristaha catturato l’immaginazione di molti con iltrio Seabrook Power Plant, che mette inscena le sue intense tessiture e l’apocalitticobanjo. In “Variable Bets”, Seabrook dà qual-che accenno di ciò che fin qui lo ha aiutato acostruire la sua reputazione, ma dimostrad’esser capace anche di finezza [espressiva].Quanto al trombettista, dà prova di saper es-sere altrettanto efficace in un contesto menovincolato e strutturato. Doveva essere accre-ditato Fujiwara come leader, per permetterea Seabrook ed Alessi di fare pieno uso del loropotenziale. In aggiunta, il batterista in buonaparte lascia loro la scena, restando spessostrumentale nel provvedere alla transizionefra i pezzi. Pezzi ugualmente divisi fra sue

composizioni ed improvvisazioni collettiveche si alternano perfette come un orologio,poste in sequenza come una lunga suite doveognuna scivola nell’altra. Ironicamente, ibrani completamente improvvisati sono piùdiradati e meno frenetici delle tracce basatesul materiale tematico. I temi sono costituitida semplici linee melodiche avanzate da Sea-brook, con Alessi che rimane solista princi-pale per tutta la durata del set, anche se ledestrutturate variazioni del chitarrista su ATable’s Stem, brano costruito su di un temadi Benny Golson, sono fra i momenti culmi-nanti. Fujiwara usa vari approcci, ora intensoe concentrato, ora sereno e rilassato. Sea-brook, che si avvale del distorsore e diun’ampia gamma di effetti, sfrutta appieno ilpotenziale del suo strumento, dal pizzicatofurioso a grasse note basse. Dal canto suoAlessi è a suo agio tanto articolando nitidelinee quanto curvando le note, e plauso va ri-conosciuto ai suoi sodali per non sopraffarlomai, cosa che avrebbero potuto facilmentefare. In conclusione, il trio produce un discostimolante che non difetta di appeal._Al.Dr.

Tomas Fujiwara (bt), Ralph Alessi (tr),Brandon Seabrook (ch)

Mr. Or in PivotInsomniac’s DelightNovember Wept IThe CombHarp Ran BlondA Table’s Stem (Variations on a Theme

by Benny Golson)Lord SumoNudge Storms

TOMAS FUJIWARA TRIOVARIABLE BETS

(Relative Pitch Rec. - 2014)

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rendo usare qualunque cosa ti venga in mente?Questo è interessante. Di solito scrivo i pezzi e mi vienesubito il titolo. Ancor prima di cominciare a scrivere houn’idea del pezzo, così il titolo è piuttosto chiaro. Ma ul-timamente mi capita con minore facilità. Magari è solo unafase, ma per ora inizio a scrivere e il titolo non viene, nonso come chiamare il brano, non ricordo quale sia stata lasua prima ispirazione. In questo specifico album in trio, al-cuni pezzi avevano i titoli ma altri erano improvvisazioni,per cui successivamente dovevo trovare dei titoli. Ascol-tavo la musica per cercare di dargli un nome, ma niente.Così alcuni dei titoli sono anagrammi di frasi banali. Peresempio, c’è una breve traccia di sola batteria verso la finedel disco che è un’improvvisazione e porta al pezzo suc-cessivo. Ho preso le parole “drum solo” ed è venuto fuoriLord Sumo. Ho pensato che fosse simpatico. D’altro cantoci sono pezzi come The Comb, una mia composizione, chesi riferisce ad una storia che raccontava il mio patrigno.Nel caso del quintetto The Hook Up, per i brani del primoalbum avevo alcuni titoli prima che iniziassi a scrivere lamusica. Ma per il terzo album, che uscirà a breve, ho do-vuto cercare i titoli mesi dopo che la musica è stata scritta.

Dato che hai chiamato in causa il nuovo disco di TheHook Up, ci daresti un’anteprima?Sarà un album diverso nel senso che abbiamo nuovi pezzie tutti i musicisti sono stati coinvolti fin dal nostro prece-dente album. Stiamo anche cercando di affrontare nuoviconcetti. Ma cerco di non essere troppo attaccato ai di-schi. Li vedo come il documento di quel giorno. Certo, instudio la tecnologia permette di fare cose che non si pos-sono fare durante una performance. Inoltre, molti dischiclassici che adoro sono stati fatti con sessioni di uno o duegiorni. Credo che ci sia qualcosa riguardo a questo pro-cesso che aggiunge vitalità. Tornando al nuovo album, c’èuna certa coerenza con gli album precedenti, sebbene lapersonalità della band sia diversa dato che adesso nelgruppo c’è Michael Formanek. Ancora, Brian Settles adessosuona pure il flauto. Sono certo che il pubblico avrà da direche questo disco differisce dal precedente. Per me è dif-ficile da dire: non fai caso ai capelli che crescono.

Oggigiorno è una sfida avere una band in attività, dalmomento che i musicisti hanno bisogno di essere coin-volti in quanti più progetti possibile: tu cosa ne pensi?È un problema. È vergognoso perché puoi sentire nella mu-sica quando c’è una storia comune fra i musicisti. E seb-bene io sia membro di diverse bands, cerco di impegnarmicon esse e di avere una certa continuità. Con The Hook Up,per esempio, il calendario dei concerti ha meno a che farecon la disponibilità dei musicisti che con la difficoltà ditrovare un flusso continuo di serate. Credo che si possonoavere musicisti pronti ad impegnarsi in un progetto fina-lizzato ad avere una certa longevità: ma come è possibilemantenersi quando ci sono così poche possibilità?

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24 JazzColo[u]rs | aprile ’14