Jataka 1

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Posted in Jataka: le storie sulla vita del Buddha on 05/13/2009 03:01 am by admin Jataka: la tigre Molti anni fa il Bodhisattva nacque nella famiglia di un ricco e potente brahmano, molto stimato per la sua saggezza e per i suoi meriti religiosi. Il Bodhisattva, che era un ragazzo molto pio e pronto nell’imparare, raggiunse in pochi anni la conoscenza dei diciotto rami della scienza e di tutte le arti che i suoi maestri brahmani potevano insegnargli. Presto diven-tò più dotto dei suoi stessi insegnanti e fu considerato quasi pari a un dio per la sua saggezza. Dal destino gli era stata dunque riservata una vita piena di onori e di ricchezza, ma al Bodhisattva non importavano queste cose terrene: il suo solo desiderio era lo studio delle Scritture, e sentiva crescere dentro di sé la volontà di rinunciare completamente al mondo.In India, ogni brahmano passa durante la sua vita attraverso quattro stadi: la fanciullezza, la gioventù (l’età degli studi), la maturità (quando diventa un capofamiglia) e la vecchiaia, che permette di ritirarsi a meditare in solitudine nelle foreste. - …Quando il Bodhisattva raggiunse l’età stabilita per diventare un capofamiglia, rifiutò di sposarsi e di vivere la vita dell’attaccamento e si ritirò nel profondo della foresta. Nella giungla visse con tale purezza, autocontrollo e serenità che anche gli animali selvaggi seguirono il suo esempio, smisero di uccidersi l’un l’altro e vissero come fratelli. Tutto intorno a lui regnavano la pace e l’amore. Anche i suoi compagni di un tempo, meravigliandosi della santità del giovane brahmano, lasciarono le loro case e andarono nell’eremo della foresta per diventare suoi discepoli. Per prima cosa il

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Posted in Jataka: le storie sulla vita del Buddha on 05/13/2009 03:01 am by admin

Jataka: la tigre

Molti anni fa il Bodhisattva nacque nella famiglia di un ricco e potente brahmano, molto stimato per la sua saggezza e per i suoi meriti religiosi. Il Bodhisattva, che era un ragazzo molto pio e pronto nell’imparare, raggiunse in pochi anni la conoscenza dei diciotto rami della scienza e di tutte le arti che i suoi maestri brahmani potevano insegnargli. Presto diven-tò più dotto dei suoi stessi insegnanti e fu considerato quasi pari a un dio per la sua saggezza. Dal destino gli era stata dunque riservata una vita piena di onori e di ricchezza, ma al Bodhisattva non importavano queste cose terrene: il suo solo desiderio era lo studio delle Scritture, e sentiva crescere dentro di sé la volontà di rinunciare completamente al mondo.In India, ogni brahmano passa durante la sua vita attraverso quattro stadi: la fanciullezza, la gioventù (l’età degli studi), la maturità (quando diventa un capofamiglia) e la vecchiaia, che permette di ritirarsi a meditare in solitudine nelle foreste. - …Quando il Bodhisattva raggiunse l’età stabilita per diventare un capofamiglia, rifiutò di sposarsi e di vivere la vita dell’attaccamento e si ritirò nel profondo della foresta. Nella giungla visse con tale purezza, autocontrollo e serenità che anche gli animali selvaggi seguirono il suo esempio, smisero di uccidersi l’un l’altro e vissero come fratelli. Tutto intorno a lui regnavano la pace e l’amore. Anche i suoi compagni di un tempo, meravigliandosi della santità del giovane brahmano, lasciarono le loro case e andarono nell’eremo della foresta per diventare suoi discepoli. Per prima cosa il Bodhisattva insegnò loro a vivere in modo puro e compassionevole, poi mostrò ai discepoli che l’infelicità colpisce gli uomini perché essi non sanno controllare i pensieri, ma li lasciano vagare continuamente da una cosa all’altra. Perciò le loro menti sono così piene dei piaceri e dei dolori della vita che vengono trascinate negli affanni di questo mondo. Insegnò loro anche a meditare e a concentrarsi sulle cose sacre per mantenersi liberi dalle tentazioni dei sensi. Così il Bodhisattva chiuse le porte del male nelle menti dei suoi discepoli e aprì la strada che conduce alla felicità e alla salvezza. Grazie a questi insegnamenti, molti di loro raggiunsero un alto grado di perfezione.Un giorno il Bodhisattva camminava con Agita, uno dei suoi discepoli, fra le grotte e i cespugli della montagna in cui viveva; stava parlando delle pratiche della meditazione e rifletteva sulla felicità che nasce dalla rinuncia, quando vide sul fondo di un burrone una

giovane tigre, resa così debole dalla fame da non poter quasi camminare. I suoi occhi erano pieni di disperazione e il suo corpo magro come uno scheletro. Dei piccoli tigrotti erano vicini a lei, ma la tigre era così affamata che era pronta a divorarli, perché non poteva più ne cacciare, ne trovare qualcosa da mangiare. Quando sentì arrivare gli uomini alzò la testa e ringhiò verso di loro con le ultime forze. Vedendo tutta quella sofferenza, il Bodhisattva fu scosso dalla compassione come una montagna è scossa dal terremoto, e disse ad Agita:“Figlio mio, osserva l’indegnità del Samsara! Quella tigre guarda ai suoi figli come a cibo. La fame la sta portando a trasgredire la legge dell’amore. Ah! La ferocia dell’amore per se stessi, che può portare una madre a cibarsi dei corpi delle creature da lei generate! Va’ veloce, figlio mio, alla ricerca di carne per placare la fame di questo animale, cosicché non uccida i suoi piccoli. Io intanto cercherò di impedire questo gesto scellerato.”Il discepolo corse via velocemente in cerca di cibo e il Bodhisattva rimasto solo pensò:“Perché dovrei cercare la carne di qualche animale, quando ho me stesso da offrire? Non posso ignorare la sofferenza di questa tigre e solo io posso aiutarla. Se rimanessi indifferente verso il dolore di questo nobile essere, la mia coscienza brucerebbe dentro di me come un cespuglio infuocato. Ma se mi getto nel burrone e uccido così il mio povero corpo, la tigre si nutri-rà con la mia carne e i suoi piccoli saranno salvi. In questo modo insegnerò la compassione al mondo, esaudirò il desiderio di fare del bene agli altri e acquisirò grandi meriti. Questa mia decisione non nasce dall’ambizione, ne dal desiderio di gloria, ma solo dalla volontà di sconfiggere il male del mondo. Diraderò le tenebre dalla sofferenza così come il sole dirada le tenebre della terra con la sua luce, e tutti impareranno la compassione dal mio esempio.”Rafforzato da questi pensieri il Bodhisattva si gettò nel burrone e cadde davanti alla tigre, che stava per divorare i suoi piccoli. La belva sentì un gran tonfo e, lasciando i tigrotti, stri-sciò lentamente verso il corpo senza vita dell’asceta, lo guardò con occhi famelici e cominciò subito a divorarlo.Quando Agita tornò indietro, si guardò attorno inutilmente alla ricerca del suo maestro. Dapprima pensò che anche il Bodhisattva fosse andato alla ricerca di cibo, poiché egli stesso non aveva trovato nulla che potesse placare la fame dell’animale, poi udì davanti a se le fusa soddisfatte della tigre e guardò nel burrone per scoprire quale cibo avesse trovato. Sporse il suo viso dalla roccia e con grande orrore vide la tigre leccarsi le zampe dopo il pasto e, vicino a lei, il corpo mezzo divorato del suo amato maestro. I piccoli tigrotti erano nuovamente vicini alla madre, che ora li guardava teneramente, invece che con lo sguardo scintillante di un animale vorace pronto a divorarli. La vista di questo atroce spettacolo fu terribile per la mente di Agita: dapprima fu quasi sopraffatto dal dolore per la perdita del suo caro e amato maestro, ma poi vide, con gli occhi della mente, la ragione che aveva convinto il Bodhisattva a sacrificare il suo corpo. Allora si inchinò con profonda riverenza ed esclamò:“Oh, com’era piena di compassione quella grande mente verso gli esseri sofferenti! Com’era indifferente al suo stesso benessere! Con questo gesto ha dimostrato il suo grande amore e in verità le creature di questo mondo non hanno più bisogno di essere commiserate, avendo guadagnato il suo spirito come protettore. Sicuramente Mara si dispera e si tormenta, spaventato dalla sconfìtta che una simile bontà può infliggergli. Tutti onorino questo grande essere di sconfinata bontà, rifugio di tutte le creature.”Agita ritornò dagli altri discepoli e raccontò ciò che era successo. Tutti capirono il grande sacrificio che il Bodhisattva aveva fatto donando il suo corpo, e si racconta che per ricordare questo gesto i discepoli, i Gandharva, gli dei e i serpenti ricoprirono le ossa del

Bodhisattva di fiori e di polvere profumata di legno di sandalo, e poi si raccolsero in preghiera.In questa vita il Bodhisattva, molto tempo prima di diventare il Buddha, insegnò la compassione a tutte le creature, sacrificando il suo stesso corpo ai bisogni di una tigre affamata. 

 La storia del re dei Cibis (Shibis)

Posted in Jataka: le storie sulla vita del Buddha on 05/04/2009 03:05 am by admin

Molto tempo fa, vagabondando sulla terra in cerca della perfezione, il Bodhisattva nacque co-me figlio del re dei Cibis. Egli imparava ogni cosa così velocemente che, crescendo, diventò un saggio maestro di virtù e di tutte le arti e le scienze. E quando divenne re governò i suoi sudditi con la giustizia e l’amore di un padre.Dal momento che era molto generoso e di cuore nobile, cercava di esaudire tutti i desideri dei poveri del regno, e il suo palazzo era sempre affollato dai mendicanti. Era così ricco di amore e carità che nel suo paese abbondavano gli ospizi, che erano sempre forniti del necessario per nutrire e curare i bisognosi. Così spargeva ovunque la pioggia dei suoi doni, simile alle nuvole del Treta-Yuga che rifornivano il popolo di cibo. Ogni supplicante riceveva secondo i suoi bisogni, e il re controllava

che tutti lasciassero soddisfatti il palazzo. Sembrava che il donatore fosse molto più felice di quelli che ricevevano, e i mendicanti giunsero come un fiume impetuoso nella sua reggia, uscendone piegati sotto il peso dei doni del re.

Ma il Bodhisattva non era soddisfatto di dare in elemosina tutte le sue ricchezze. Desiderava che qualcuno gli chiedesse di più, per dimostrare che era disposto a donare anche il suo stesso corpo. Quando la Madre Terra fu consapevole del nobile intento del re, iniziò a tremare dalla gioia, e il grande Meru, il Signore delle Montagne, fu scosso da quelle potenti vibrazioni. Allora Sakra, il Re degli Dei, cercando la causa di quell’insolito tremolìo della terra, udì il divino pensiero del re dei Cibis, che intendeva sacrificare un pezzo del suo corpo per una persona bisognosa, e stupito pensò: -   …“Può essere che questo rè sia così nobile di mente e compassionevole da donare la sua stessa carne? Devo scoprirlo.”Un giorno il re sedeva sul suo trono nella sala delle udienze, dopo l’usuale convocazione che veniva fatta ai poveri e ai bisognosi, quando una moltitudine di mendicanti arrivò per ricevere argento, oro, gioielli, vestiti e frumento, secondo i loro bisogni. Fra quella folla di poveri apparve Sakra, sotto la forma di un vecchio brahmano cieco. Appoggiandosi al suo bastone si fermò davanti al re, che lo guardò con compassione e amicizia. Gli attendenti gli chiesero che cosa desiderasse, ma il brahmano si fece ancora più vicino al Bodhisattva e, dopo averlo benedetto, disse:“Sono venuto da molto lontano o re, perché ho sentito parlare della tua grande compassione. Sono un vecchio cieco e ti chiedo uno dei tuoi occhi, l’altro ti sarà sufficiente per governare il tuo regno.”Il re fu felice di questa richiesta, perché da molto tempo desiderava dimostrare di non essere attaccato neppure al suo stesso corpo. Ma la richiesta era così strana che dubitò di aver capito bene. Perciò chiese al brahmano:“Chi ti ha consigliato di chiedermi una cosa si-mile? Di certo nessuno si separa volentieri da uno dei suoi occhi.”E il brahmano rispose:“Sakra, il Re degli Dei, mi ha consigliato di chiederti un occhio. Ha detto che tu me lo avresti donato volentieri e spero di non essere deluso.”Udendo ciò il re pensò che, grazie al potere di Sakra, il brahmano avrebbe potuto recuperare la vista e disse:“Brahmano, esaudirò completamente il tuo desiderio. Tu hai chiesto uno dei miei occhi, e io te li donerò entrambi.”I consiglieri del re, capendo che intendeva realmente dare via i suoi occhi, lo pregarono in lacrime di non portare la sua carità così lontano da diventare completamente cieco.“Inoltre - argomentarono - come possono gli occhi di un uomo essere messi nella testa di un altro? Se il potere divino può restituire la vista, che bisogno c’è di un tale sacrificio? E poi, a cosa servirebbe la vista a un povero? Poi potrà

vedere le ricchezze degli altri, e diventerà ancora più triste. Donategli invece del denaro e lasciate che se ne vada in pace!”Il Bodhisattva replicò con voce gentile:“Chi promette un dono e rompe il suo giuramento è il peggiore degli uomini. Voi sostenete che il potere divino può ridare la vista al brahmano senza bisogno dei miei occhi. Lasciatemi dire che molte cose sono necessarie per trasformare un proposito in un effetto sicuro, e io credo che ci sia bisogno dei miei occhi per compiere un tale miracolo, perciò non ostacolatemi in questa insolita forma di carità.”I consiglieri cercarono ancora di protestare, ma il re continuò:“Ciò che è stato chiesto deve essere dato. Non sarebbe giusto fare un altro dono a questo pove-ro cieco. Non sto cercando di conquistare la terra intera e neppure il Cielo o la gloria, è con l’intenzione di aiutare tutti gli esseri dell’universo che ora dono i miei occhi, in modo che la richiesta del brahmano sia soddisfatta.”Così uno degli occhi del re fu estratto con attenzione dal suo medico e dato al cieco brahma-no. E meraviglia! L’occhio aderì perfettamente all’orbita vuota dell’uomo, e iniziò a risplendere miracolosamente. Quando il re vide ciò, si sentì colmare di gioia e ordinò al medico di estrarre anche l’altro occhio e di donarlo al mendicante. Il volto del Bodhisattva sembrava ora uno stagno di loti senza più fiori, ma il brahmano uscì dal palazzo con due occhi sani, ringraziando con devozione il re ormai cieco.In ogni luogo del palazzo e della città lacrime di tristezza furono versate, ma Sakra vedendo che il re per raggiungere la suprema saggezza non aveva esitato di fronte a quel sacrificio, felice e pieno di ammirazione, decise che non avrebbe lasciato a lungo quel Santo Essere in quella penosa situazione.Le ferite causate dall’operazione agli occhi guarirono. Un giorno il re sedeva meditando nel suo giardino, vicino a uno stagno, mentre una brezza balsamica soffiava dolcemente e i fiori di loto aprivano i loro petali. Allora Sakra apparve davanti a lui e disse:“Io sono Sakra il Re degli Dei, chiedimi un dono, santo re.”Il Bodhisattva che era solito donare ma che non aveva mai chiesto nulla per sé, rispose stupi-to:“Ho grandi ricchezze, un potente esercito e il mio popolo mi adora. Ma la cecità mi fa desiderare la morte, perché non posso più vedere il viso felice dei poveri quando esaudisco i loro desideri.”“Ti preoccupi ancora dei mendicanti - disse il Re degli Dei, - che ti hanno portato via la luce degli occhi?”Allora il re replicò:“Avendo sempre venerato la Verità ora mi appello a lei. Se io dicessi che le richieste dei mendicanti sono ora per me dolci e irresistibili come prima, quando potevo vedere la gioia nei lorovolti, direi una menzogna. Perciò, per la Verità Eterna, ti chiedo di rendermi uno dei miei occhi.”

Non appena pronunciò queste parole, grazie al potere della sua assoluta sincerità, uno dei suoi occhi ritornò sul suo viso e il Bodhisattva esclamò felice:“In verità, mi sentii felice solo donando entrambi i miei occhi, anche se me ne era stato chiesto soltanto uno. Ora, per dimostrare la mia sincerità, prego la Giustizia di pesarmi sulla sua bilancia e di rendermi il mio secondo occhio.”Immediatamente anche il secondo occhio tornò al suo posto, e il re rivide perfettamente tutta la bellezza del giardino e i volti felici dei poveri che lo circondavano. Al compiersi di questo miracolo la terra tremò di gioia, il sole brillò più luminoso, i fiori si prostrarono davanti al santo re e la natura esultò. Tutte le creature erano felici che il loro protettore avesse riacquistato la vista, e con dolci voci cantavano: «Salute al Rè della Giustizia e della Compassione.»Poi Sakra disse al Bodhisattva:“Sapevo che avevi l’intenzione di donare anche la tua carne, se richiesta. Io ero il brahmano che ha provato la tua sincerità. Ora ti ho reso i tuoi occhi e, insieme a loro, ti dono anche la vista divina. Con essa puoi vedere in ogni direzione per più di cento yojana”.Dopo queste parole Sakra scomparve. Il re fu portato in processione alla sua capitale in festa, la città di Arittha, e tutti i sudditi festanti lo seguirono nella sala delle udienze del suo palazzo. Qui il Bodhisattva parlò al popolo spiegando i libri sacri e il contenuto dell’esperienza che aveva vissuto.

Quel santo re regnò saggiamente fino al giorno della sua morte, donando tutte le sue ricchezze ai poveri, ai vecchi e ai malati. La ricchezza è una cosa da disprezzare, ma ha una virtù, poiché può essere donata da chi la possiede per il benessere degli altri. Solo così diventa un tesoro.

 

 La storia d’Avishahya l’invincibile

Posted in Jataka: le storie sulla vita del Buddha on 05/03/2009 09:01 am by admin

Fu per il buon Karma di un ricco mercante che il Bodhisattva nacque, molto tempo fa, come suo figlio. Il ragazzo seguì le orme paterne diventando, una volta adulto, il capo della Gilda dei Mercanti. Aveva ricevuto un’ottima educazione e possedeva un intuito innato per ogni genere di affari, ma era anche molto generoso e praticava la carità nel senso più ampio della parola. La sua ricchezza divenne così grande che fu chiamato il rè dei mercanti, ma il Bodhisattva grazie alla forza del suo carattere, continuò a procedere fermamente sulla Via della Compassione, dalla quale non potevano deviarlo ne vizi ne

tentazioni di alcun tipo. Perciò fu chiamato Avishahya che significa: «invincibile».La sua casa era sempre affollata da mendicanti, ognuno di loro veniva considerato un ospite, e qualunque cosa desiderasse non gli veniva mai negata. Al momento del congedo sia Avishahya che i suoi poveri amici si salutavano ridendo felici.Infatti il Bodhiìattva non era attaccato alle sue ricchezze e, gioiva quando i mendicanti sceglievano e portavano via le cose più belle che possedeva. Per lui la ricchezza era solo un mezzo per compiere azioni meritevoli e mai nessun monaco mendicante lasciò la casa di Avishahya senza essere soddisfatto dei doni ricevuti.Un giorno Sakra, il Re degli Dei, sentendo parlare della meravigliosa compassione di Avishahya si incuriosì e decise di vedere quanto lontano sarebbe andato il ricco mercante sulla strada della carità. Così fece in modo che i doni che il mercante aveva pronti per la distribuzione, provviste, grande, soldi e vestiti, sparissero ogni giorno. Avishahya si meravigliò per quelle improvvise e inspiegabili sparizioni, ma comprò nuove provviste giorno dopo giorno, in modo che nessun povero uscisse scontento dalla sua casa. - … E, da quel momento, benché le sue ricchezze diminuissero, il Bodhisattva diventò ancora più felice e generoso. Vedendo che Avishahya non cessava di elargire generose elemosine, Sakra decise di rendere il compassionevole mercante completamente povero in una sola notte, per scoprire se una simile disgrazia avrebbe fermato il suo desiderio di aiutare gli altri.Un mattino, quando Avishahya si alzò all’alba, trovò la sua casa completamente vuota. Non c’era più niente, ne vestiti, ne provviste, ne denaro. Perfino i suoi domestici erano spariti. Sembrava che la casa fosse stata saccheggiata dai Rakshasa1.Il Bodhisattva cercò dappertutto, ma trovò soltanto un rotolo di corda in un angolo e una piccola falce in un altro. Meravigliato, disse ad alta voce: - Chi ha portato via tutte le mie cose? Forse qualcuno che, non volendo mendicare, le ha rubate perché è solito procurarsi il necessario per vivere con la forza? Oppure le ha prese qualcun altro solo perché invidioso del mio alto rango? Ciò sarebbe un vero

peccato perché le mie cose non servirebbero a un povero. Ora la mia ricchezza è completamente svanita. Che cosa farò quando i mendicanti verranno alla mia casa e io non potrò nutrirli e vestirli? Essi sono abituati a ricevere doni e ospitalità e ora il mio intero palazzo è come una pozza secca come l’assetato non può trovare acqua da bere.Tuttavia il Bodhisattva non voleva vivere di elemosine, perché egli aveva donato per tutta la vita e adesso, che nel suo nuovo stato vedeva quanto dura fosse la vita del povero, la sua compassione per i mendicanti crebbe ancora. Così, in modo di riuscire a donare qualcosa, anche se poco, prese la fune e la falce, le sole cose che gli erano rimaste e si mise a tagliare erba, giorno dopo giorno. Dopo aver venduto l’erba comprò il cibo, che regalò quasi tutto ai mendicanti, tenendo per sé solo il minimo per sopravvivere. Così visse per qualche tempo, felice di poter aiutare pochi vecchi malati, che non erano in grado di badare a loro stessi. Sakra, vedendo che neppure quella grande povertà aveva reso egoista l’animo di Avishahya si sentì riempire di ammirazione. Allora si manifestò con il suo corpo celestiale e, levitando nell’aria davanti al Bodhisattva lo tentò ancora con queste parole:- Mercante, ne ladri, ne principi invidiosi hanno rubato le tue ricchezze e neppure sono state distrutte dal fuoco o dall’acqua. Tu solo sei responsabile della tua rovina. Rinuncia da adesso al tuo esagerato amore per la carità. Se nella tua condizione attuale di povertà comincerai ad accumulare il poco che guadagni, grazie alla tua abilità diventerai infine di nuovo ricco, come un formicaio che cresce alto e forte, costruito poco per volta dalle alacri formiche.Il Bodhisattva non fu persuaso dai discorsi di Sakra e rispose:- Nessun uomo caritatevole, qualunque disgrazia lo colpisca, farà mai qualcosa di malvagio. Non accumulerei mai ricchezze se potessi farlo solo diventando un avaro. Non accetterei ne oro ne gioielli e neppure il Cielo, se non potessi usarli per rendere più felice il cuore dei poveri. Se aumentando la ricchezza cresce l’egoismo, allora bisogna donare tutto, per salvarsi dal male. La ricchezza va e viene

come il lampo dei fulmini, ma la compassione porta una costante felicità.- Mercante - disse Sakra - tu parli come un uomo potente ma ora non sei più ricco. Se tu accumulerai un nuovo patrimonio poi se vorrai elargire un po’ delle tue ricchezze in elemosina, nessuno ti potrà biasimare. Ma colui che ama la carità senza avere i mezzi per praticarla è come un uccello che vuole volare prima che siano cresciute le sue ali. Che significato può avere il desiderio ardente di donare se non c’è nulla da dividere?Il Bodhisattva replicò:- Ogni persona deve essere caritatevole, perché non esiste una felicità maggiore di quella provata per gli atti di compassione. Inoltre i ricchi, se non praticano la carità, non possono raggiungere il Cielo e neppure sconfiggere l’egoismo e gli altri vizi. Chi, mosso dalla compassione, è pronto a donare anche se stesso per proteggere i vecchi, i poveri e i malati, sarà benedetto per l’eternità. Se un carro ha tracciato una pista, altri possono seguirla più facilmente. Quando ero ricco ho guidato questo primo carro e ora so che posso farlo ancora e ancora, senza abbandonare la giusta via. Se diventerò di nuovo ricco, donerò tutti i miei averi ai poveri. Intanto offro il poco che ho.-Sakra colpito dalle parole del Bodhisattva lo guardò con rispetto e disse:- Molti cercano di conquistare ricchezze senza alcuno scrupolo perché per loro la ricchezza è un modo per ottenere potere e piacere. Tu non hai mostrato alcuna emozione per la perdita dei tuoi beni e non hai ceduto ai miei consigli. Vedo che la tua mente è rivolta solo al benessere dei deboli. Il tuo compassionevole cuore risplende come una luce in un luogo oscuro e soffre per la perdita delle ricchezze solo perché senza di esse non può aiutare i poveri come prima. Vedo che le prove che ti ho mandato non ti hanno scosso così come il vento non scuote una possente montagna ricoperta di neve. Io ho fatto sparire la tua ricchezza perché il bisogno purificasse e rendesse più grande la tua fama così come la fiamma purifica l’oro. Da ora o Grande Santo la ricchezza ritornerà da te come la pioggia che riempie i pozzi e gli stagni asciutti. Grazie al mio

favore non perderai più la tua prosperità e ti prego di dimenticare i miei tentativi di traviarti.-Così chiedendo perdono al Bodhisattva il Re degli Dei svanì dalla terra.Avishahya ridiventò molto ricco e la sua casa accolse nuovamente i poveri e gli afflitti, che ne uscivano con i volti ed i cuori raggianti di gioia. La prosperità del caritatevole mercante non diminuì fino al giorno della sua morte, ed egli fu conosciuto come il “Padre dei Poveri”. Questa storia insegna che colui che è veramente virtuoso non cessa mai di essere compassionevole e anche nella disgrazia e nella povertà, trova la maniera di aiutare chi ha bisogno di lui.

 

 La storia del sacrificio

Posted in Jataka: le storie sulla vita del Buddha on 05/03/2009 02:57 am by admin

Si racconta che, molto tempo fa, il Bodhisattva nacque in una grande famiglia reale e alla morte del re suo padre salì al trono in giusta successione. Raggiunse questa alta carica per i meriti acquisiti nelle sue vite precedenti.Molto spesso accade che quando un re è nobile e buono anche il suo popolo è giusto e pacifico. Così era nel regno del Bodhisattva. Non c’erano conflitti e povertà, non c’erano epidemie e regnava la pace con i paesi confinanti. Il re non si interessava solo al benessere materiale del suo popolo, ma anche a quello spirituale e la luce della bontà che si irraggiava dal trono illuminava il cuore di tutti i sudditi.Ma un anno, una terribile calamità cadde sul paese portando la paura e il dubbio in tutto il popolo. Nessuno sapeva perché il Dio della Pioggia fosse adirato, ma quell’anno ci fu una grande siccità e tutti soffrivano per la mancanza d’acqua. I pozzi erano secchi e la vegetazione iniziava a morire, con essa morivano gli animali e la carestia era prossima. Il re temeva che qualcuno dei suoi sudditi avesse compiuto qualche atto sacrilego e che la siccità fosse una punizione mandata dagli dei. -  LEGGI  TUTTO …Così chiese consiglio ai ministri, ai brahmani e agli uomini più saggi del regno, per sapere che cosa

dovesse essere fatto per mettere fine a quella calamità. I conoscitori dei Veda1 dissero che per far cessare la siccità era necessario sacrificare molti animali, perché i libri sacri dicono che un tale sacrificio induce gli dei a concedere molta pioggia. Il re, inorridito da questo consiglio, cercò di trovare altre soluzioni e lasciò cadere il discorso. Ma i sacerdoti continuarono a insistere:

- Il re non vuole compiere i doveri che gli competono. Non sa forse che il sacrificio è il ponte che collega gli uomini al Mondo degli Dei? - Poi continuarono: - Vostra Maestà ha sempre onorato con riti gli antenati, i Rishi, i saggi e i grandi uomini. Perché non vuole onorare anche gli dei con un grande sacrificio? Dovete pensare alla salvezza dei vostri sudditi e consentire a sacrificare molti animali, perché solo così la pioggia cadrà.-

Il Bodhisattva pensava: - Come possono gli dei, che si nutrono solo di Soma compiacersi dell’assassinio di animali innocenti? Una tale atrocità non ha niente a che fare con la giustizia! Se gli animali uccisi mentre i brahmani mormorano preghiere vanno nei Cieli, perché i brahmani non offrono loro stessi come sacrifìcio, visto che desiderano tanto andare presso gli dei? Gli animali sono uccisi contro la loro volontà e non si pentono prima di morire delle loro cattive azioni. Come possono quindi raggiungere i Cieli? No, questi insegnamenti sono malvagi. Troverò un altro modo per uscire da questa calamità.-Dopo queste riflessioni il re disse ad alta voce ai suoi consiglieri:- Ascoltate le mie decisioni. Non solo ordinerò che sia fatto un grande sterminio di animali, ma offrirò agli dei un sacrifìcio di almeno mille uomini. Mandate i miei ufficiali in tutte le parti del regno affinchè catturino le vittime destinate al sacrificio. Chiamate gli astrologi perché trovino il giorno propizio, in modo che la luna e le stelle siano favorevoli e preparate ogni cosa per questa grande cerimonia.-I sacerdoti e i consiglieri rimasero stupefatti, perché non si aspettavano una simile risposta, e un brahmano disse:- Vostra Maestà, se mille uomini saranno uccisi simultaneamente i vostri sudditi si ribelleranno. Sacrificatene dapprima solo uno, e poi gli altri in modo graduale.-Il re replicò:- Non temo la ribellione del mio popolo. Proclamate un grande raduno degli abitanti delle città e delle campagne e io stesso parlerò ai miei sudditi.-Così il re parlò solennemente a tutto il suo popolo:- La siccità ci minaccia e voi mi avete chiesto di fare cessare questa calamità. Perciò intendo offrire agli dèi un grande sacrificio umano. Ma nessuno che sia giusto e caritatevole, che tenga una condotta onesta e che non maltratti la sua famiglia, deve preoccuparsi di essere scelto per il sacrificio. Manderò i miei emissari, che sono onesti e vedono lontano, in ogni parte del regno per osservare la vostra condotta. Essi saranno riconoscibili per le loro vesti e mi riporteranno le vostre malvagità. Chiunque di voi sarà sorpreso a compiere atti

crudeli sarà portato al palazzo per essere sacrificato. Questi, miei sudditi, sono i miei ordini!-

I sudditi tornarono alle loro case, preoccupati ma decisi a comportarsi bene, in modo da non essere scelti per il sacrificio. Il re mandò i suoi ufficiali in giro per il regno e ogni giorno, in ogni città e in ogni villaggio, i banditori proclamavano che i malvagi, per il dolore che avevano causato, sarebbero stati portati dal re per essere sacrificati. Tutto il popolo, vedendo gli ufficiali del re aggirarsi in ogni villaggio e udendo tutti i giorni il proclama reale, cominciò a cambiare la propria condotta. I litigi finirono, l’ospitalità fu praticata in ogni luogo, così come la modestia, le buone maniere e il rispetto verso i saggi e i genitori. Gli anziani e gli dei venivano riveriti e l’intera popolazione di quel regno viveva come se il Kreta-Yuga fosse già arrivato. La paura della morte aveva risvegliato le virtù che erano state dimenticate, e in poco tempo ognuno si comportò in maniera esemplare.Quando il rè ascoltò i suoi ufficiali riferire che non era stato possibile trovare un solo malvagio in tutto il regno, diventò felice e diede loro ricchi doni per la buona notizia che avevano portato. Poi chiamò i suoi ministri e disse:- Non c’è un solo malvagio in tutto il paese, e io non posso compiere il sacrificio umano perché i miei sudditi sono così virtuosi che meritano che un sacrifìcio sia compiuto per loro. Perciò lasciatemi sacrificare a modo mio. Chiamate il povero, il cieco e lo zoppo e distribuite a loro le mie ricchezze, in modo che la povertà possa sparire dal mio regno.-Così i ministri fecero costruire ospizi in ogni luogo e i poveri furono nutriti e vestiti. La felicità si sparse in tutte le direzioni e il popolo non ritornò più alle cattive abitudini del passato. Le pestilenze e tutte le malattie sparirono e i monsoni portarono le piogge. I pozzi e i fiumi si riempirono di pura e fresca acqua, la vegetazione crebbe di nuovo e le erbe medicinali portarono i loro doni per la guarigione degli esseri umani.In questo modo, per il potere di un buon re e per la sua grande saggezza, il paese fu salvato dal pericolo e il popolo poté vivere felice e contento benedicendo il nome del Bodhisattva. Ma il re, che aveva solennemente proclamato che un sacrificio dovesse essere fatto, si levò la veste regale e indossò la nera pelle di un cervo, assumendone l’aspetto. Poi mise da parte il suo scettro e la sua corona e intrecciò i suoi capelli nella maniera prescritta dai Veda per il sacrificio, immolandosi per tener fede alla sua parola. Così visse e morì quel grande re, e i suoi sudditi lo adorarono come se fosse una divinità. La sua fama si sparse in tutto l’Oriente e il suo nome divenne un esempio per tutti.

Questa storia mostra la purezza di cuore, la saggezza e la giustizia del Bodhisattva in una delle sue vite sulla Strada della Perfezione, prima di diventare il Buddha, l’Illuminato.

 

La storia di Ajastya l’asceta

Posted in Jataka: le storie sulla vita del Buddha on 05/03/2009 02:56 am by admin

Molti anni fa, il Bodhisattva nacque nella famiglia di un famoso brahmano, che era stimato da tutti per la sua grande pietà. La sua nascita fu considerata un grande dono ed egli fu allevato affinché diventasse un uomo sapiente. Furono compiuti tutti i riti e i sacrifici prescritti e gli furono insegnati i Testi Sacri e tutte le scienze: l’astronomia, i mantra, la geometria, l’origine delle parole, la grammatica, ecc. Crescendo il Bodhisattva divenne molto famoso per la sua saggezza e, grazie ai doni dei suoi discepoli, anche molto ricco. Così la sua fama di saggio crebbe con le sue ricchezze, che distribuiva generosamente ai parenti, agli amici e ai discepoli più poveri. - …Quando raggiunse l’età prescritta per formare una famiglia, il Bodhisattva si sentì infelice, perché vedeva che ora tutti si aspettavano che continuasse ad accumulare ricchezze e a compiere i doveri che la vita familiare impone: sentiva che tutte queste cose lo ostacolavano dal praticare le sue severe pratiche ascetiche. Allora il suo occhio intcriore si aprì e vide in modo chiaro che solo la rinuncia al mondo gli avrebbe donato la libertà necessaria per incamminarsi sulla Via della Perfezione. Così diede via le sue ricchezze come se fossero acqua e si ritirò dalla vita familiare per vivere in solitudine, meditando e praticando ogni tipo di virtù. Ma ancora continuava a essere visitato da tutti quelli che desideravano ascoltare i suoi insegnamenti e Ajastya, che voleva ritirarsi completamente dal mondo, si rifugiò sull’isola di Kara, nel lontano Oceano del Sud. Nel centro dell’isola c’era un lago meraviglioso, circondato da alberi ricchi di frutta e fiori: vicino alla spiaggia crescevano in abbondanza radici commestibili e piante medicinali.In questo luogo solitario il Bodhisattva costruì il suo eremitaggio e visse felice la dura vita dell’asceta, mangiando solo il necessario per sostenersi. Anche su quell’isola sperduta capitava a volte un viaggiatore o un pellegrino, e quando ciò accadeva il Bodhisattva onorava l’ospite con le radici, i frutti e le fresche acque del lago, invitandolo poi nella sua dimora, l’Eremitaggio della Penitenza. E ogni volta gentili parole di benvenuto e benedizioni accompagnavano il semplice cibo. Il Bodhisattva viveva in modo così puro che anche gli animali dell’isola lo onoravano come un maestro, e quando lo incontravano sulle sponde del lago o su quelle dell’oceano, si sdraiavano ai suoi piedi in segno di obbedienza e reverenza.Un giorno, la fama della vita virtuosa praticata dal Bodhisattva arrivò fino alle orecchie di Sakra, il re degli dei. Egli volle mettere alla prova la pazienza di quel santo eremita e così fece sparire tutti i frutti e le radici che crescevano intomo all’Eremitaggio della Penitenza. Ma Ajastya, la cui mente era concentrata sulla meditazione e non sul pensiero del nutrimento del corpo, si accontentò di bollire le foglie degli alberi e gli steli d’erba nell’acqua del lago e mangiò con soddisfazione quel semplice cibo. Allora Sakra spogliò tutti gli alberi, i cespugli e le erbe dalle loro foglie, così come fa il vento d’autunno, ma il Bodhisattva raccolse le foglie cadute e, dopo averle bollite, se ne cibò. Sakra cominciò a pensare che il suo potere non potesse scalfire la felicità di Ajastya, così apparve davanti a lui, sotto forma di brahmano, proprio all’ora di pranzo. L’asceta lo

accolse gentilmente e lo invitò al suo eremitaggio: poi, con volto felice e parlando dolcemente, gli offrì tutte le foglie bollite, ormai così difficili da trovare. Il brahmano mangiò tutto con soddisfazione e Ajastya, l’asceta, non ebbe nulla, se non la gioia di vedere il suo ospite rifocillato e pieno di gratitudine. Ma la mancanza di cibo non disturbava le sue meditazioni, e per tutto il giorno e la notte seguente si sentì pieno di felicità. Per cinque giorni consecutivi Sakra apparve al Bodhisattva come ospite, ogni volta fu accolto con la stessa gentilezza e gioia, e sempre mangiò tutto il cibo, senza lasciare nulla all’asceta. Ma Ajastya rimase impassibile; allora Sakra sentì che il potere di quell’uomo era superiore al suo e cominciò a temere che quel saggio potesse, grazie alle dure penitenze e alla sua straordinaria carità, entrare nel regno degli Dei e diventare il loro re. Discese sull’isola e si manifestò al Bodhisattva nella sua meravigliosa forma celeste dicendo:“Dimmi, perché hai lasciato i tuoi pari, la tua famiglia e tutti coloro che ti amavano, per venire in questa foresta e vivere una vita di penitenza senza piaceri?”“Il continuo reincarnarsi sulla terra” rispose l’asceta, “è fonte di dolore, la vecchiaia e le malattie portano sofferenza e l’inevitabilità della morte riempie la mente d’angoscia. Io sto cercando di trovare la via che permetta di salvare tutti gli esseri da questi mali. Questo è il motivo per cui ho lasciato il mondo e vivo la vita dell’asceta.”Sakra fu felice di questa risposta, perché ora sapeva che il Bodhisattva non cercava la gloria celeste:“Per la saggezza di queste parole” disse, “ti farò un dono. Scegli qualsiasi cosa tu voglia.”Ma Ajastya non desiderava le cose del mondo e così rispose:“Che io non desideri mai una moglie, dei fi-gli e ogni cosa ambita dagli uomini. Possa il fuoco ardente del desiderio mai entrare nel mio cuore. Questo è il dono che ti chiedo!”Sakra capì che il Bodhisattva era completamente soddisfatto della sua vita di penitenza e disse:“Per i tuoi saggi propositi ti concederò volen-tieri un altro dono. Dimmi, cosa desideri?”

“Desidero che il fuoco dell’odio, per la colpa del quale l’uomo perde le ricchezze, la casta e la reputazione, non entri mai nel mio cuore.”Il re degli dèi, compiaciuto da queste parole, rispose:“Hai detto il giusto! Il saggio rinuncia all’odio del mondo. Accetta ancora un dono da me.”Allora Ajastya replicò:“Possa io non vedere mai uno sciocco ed evitare il fastidio di vivere con lui. Questo è ciò che ti chiedo.”“Ma perché aborrisci la vista di uno sciocco?” disse Sakra. “Uno sciocco ha bisogno di insegnamenti e tu, pieno di compassione come sei, dovresti aiutarlo!”Ajastya rispose:

“Se uno sciocco fosse curabile con qualche tipo di insegnamento, allora non vorrei evitarlo. Ma uno sciocco segue i sentieri sbagliati come se fossero quelli giusti e cerca di convincere quelli che lo circondano a fare lo stesso. Egli si arrabbia con coloro che cercano di insegnargli e non può essere aiutato nella sua presunzione. Per questo non voglio vedere uno sciocco.”Poi il Bodhisattva, per mostrare al re degli dei che i saggi sarebbero stati ospiti graditi, continuò:“Possano i saggi venire su quest’isola, essere miei ospiti e parlare con me. Il saggio cammina sulla strada della virtù e conduce gli altri su quella stessa strada. Ha buona educazione e ascolta ciò che è detto per il suo bene; per questo sono amico del saggio.”“Tu sei un vero santo. Perciò ti prego di concedermi il piacere di esaudire ancora un tuo desiderio.” esclamò Sakra, pieno di reverenza dopo le sagge parole del Bodhisattva.Ajastya, per compiacere il grande dio, disse:“Possa il cibo che ti ho offerto, arricchito dalla carità, ritornarmi indietro e possa un gran numero di mendicanti, liberi da cattive azioni, venire da me per riceverlo.”“Non solo tutto ciò che hai chiesto si compirà” rispose Sakra, “ma per la tua generosità ti concederò ancora un dono.”Allora il Bodhisattva, per dare una lezione al re degli dei, disse:“Se vuoi concedermi il più grande dei doni, ti prego di non comparire mai più davanti a me nella tua meravigliosa forma celeste.”Dopo queste parole Sakra si irritò e la sua voce si alzò come il tuono:“Perché tu, a cui appaio senza che sia stato compiuto alcun rituale, senza preghiere e offerte da parte tua, perché tu, a cui ho offerto i miei doni, non vuoi più vedermi?”Il Bodhisattva rispose gentilmente:“Non adirarti, ma lascia che ti spieghi il mio pensiero. Non è per irriverenza o scortesia che ti chiedo di non apparire davanti a me nella tua forma gloriosa, ma solo perché la tua sfolgorante bellezza potrebbe farmi dimenticare i miei voti religiosi e le mie penitenze.”Allora Sakra si inchinò a lui con reverenza, e, dopo aver girato intorno al Bodhisattva da sinistra a destra, scomparve.Il mattino seguente Ajastya trovò una grande quantità di cibo e bevande davanti all’eremitaggio, e molti santi monaci, ispirati da Sakra, vennero sull’isola e divisero il cibo con lui. Così, fornito giornalmente dagli dei di nutrimento divino, il Bodhisattva offrì con generosità, per tutta la sua vita, cibo e insegnamenti ai saggi che andavano a visitarlo nella lontana isola di Kara.

La storia di una ciotola di zuppa d’orzoPosted in Jataka: le storie sulla vita del Buddha on 05/03/2009 02:49 am 

Questa storia dimostra che un dono sia esso grande o piccolo, dato col cuore a una persona meritevole, produce sempre una grande ricompensa.

Nei tempi antichi il Bodhisattva nacque come re del Koshala. Aveva tutte le virtù che un rè de-ve possedere ed era come un padre per il suo popolo. Era giusto, energico e sapiente, ma fra tutte le sue virtù una splendeva come un raggio luminoso di sole, ed era il suo costante buon umore. Questa sua allegria aveva un effetto miracoloso sull’intero paese, e tutti i suoi sudditi sembravano sempre felici e contenti.

Un giorno, mentre il re stava meditando, ritornò alla sua mente il ricordo di una delle sue precedenti incarnazioni e, molto colpito da quello che vide, divenne da allora più caritatevole che mai. Shramani e Brahmani, mendicanti e anziani, ricevevano continuamente dal re doni e consigli. - …Da quando aveva imparato a guardare indietro, alle sue vite precedenti, il re era diventato molto più pensieroso. Nel suo palazzo e nel salone delle udienze era solito declamare versi che incuriosivano l’intero suo popolo. Questi erano i versi: Se qualcuno esaudisce i desideri di un Santo, anche con una piccola offerta, il frutto di questa azione non sarà mai piccolo. Ho udito questo detto molte volte, ma ora so che è vero. Ho visto la ricca ricompensa prodotta da una piccola ciotola di zuppa d’orzo.

I Brahmani e gli attendenti del re volevano conoscere il significato di queste parole e anche la regina era desiderosa di capirle. Così un giorno, nel salone delle udienze, davanti al popolo, la regina chiese al re di spiegare il significato della sua frase favorita: Ho visto la ricca ricompensa prodotta da una piccola ciotola di zuppa d’orzo.

Il re, rivolgendole uno sguardo gentile rispose:- Non mi stupisco, mia regina, che tu sia ansiosa di conoscere il senso di queste strane parole. Sarò lieto di spiegartelo. Ascoltami, mia amata, e ascoltatemi anche voi, miei sudditi. Un giorno, mentre ero immerso in una profonda meditazione, mi è sembrato di svegliarmi improvvisamente da un lungo sonno e ho ricordato la mia vita precedente su questa terra. Ero un servitore in questa stessa città ed essendo molto povero dovevo guadagnarmi la vita lavorando duramente per pochi soldi. Un giorno, mentre stavo cercando un lavoro che mi permettesse di sfamare la mia famiglia, vidi quattro Shramani, che chiedevano l’elemosina andando di casa in casa. Erano uomini santi perciò, pensando che fossero più poveri di me, li portai nella mia umile dimora e offrii loro il solo cibo che possedevo, una piccola ciotola di zuppa d’orzo. Ed ecco! Da quel piccolo atto di carità è iniziata la mia prosperità. Infatti per il merito acquisito donando quel poco che avevo, sono rinato in una famiglia reale. Cara regina, quando penso a questo meraviglioso fatto recito quelle strofe, e ringrazio gli dei perché ora posso ospitare nel mio palazzo molti uomini santi e posso aiutare molti poveri.Quando la regina udì queste parole il suo viso fu illuminato dalla felicità, e disse guardando con amore il re:- Possa tu vivere a lungo. Padre del tuo Popolo, tu che hai ottenuto la corona per i tuoi atti caritatevoli.

- Continuerò ad amare tutti gli esseri - rispose il re, - per camminare sulla strada della felicità. Spero che i miei sudditi, udendo la buona sorte che un atto di compassione mi ha procurato, aumenteranno i loro atti caritatevoli. Ma, mia regina, vedo che ora il tuo volto splende di una gloria quasi divina e che il tuo sorriso è come un sole luminoso. Forse anche tu ricordi un gesto felice compiuto in una vita precedente?Alzando gli occhi, come se guardasse verso lontane distanze, la regina rispose:- Le tue parole hanno risvegliato anche in me il ricordo di una vita precedente. Ero una ragazza povera e schiava. Un monaco si avvicinò mendicando e io gli diedi tutto ciò che avevo per il mio pasto. Poi è come se mi fossi addormentata profondamente. Non ricordo altro. E ora mi sembra di essermi risvegliata dal sogno e mi trovo qui, felice, come tua regina! Tu hai sicuramente ragione nel dire che la ricompensa per un dono fatto a una persona santa non è piccola, perché queste furono le stesse parole che mi rivolse il Muni che sfamai nella mia vita da schiava.

Il popolo presente, dopo aver ascoltato le meravigliose storie narrate dal re e dalla regina, sentì crescere nell’animo stupore e ammirazione e il desiderio di compiere il bene crebbe nei loro cuori, vedendo come un buon Karma possa nascere dalle azioni meritorie.Il re ricordò loro che la compassione è la virtù più grande e che deve essere sempre praticata. La felicità che dona non può essere rubata dai ladri, ne distrutta dall’acqua o dal fuoco. Inoltre la compassione purifica il cuore dall’egoismo e allevia il faticoso fardello del viaggio del Samsara.

Tutti coloro che udirono il discorso del re meditarono sulle sue parole e cambiarono vita rendendo il Koshala un regno famoso per la compassione dei suoi abitanti. 

 La storia della lepre

Posted in Jataka: le storie sulla vita del Buddha on 05/03/2009 02:45 am by admin

Questa storia meravigliosa risale a quando il Bodhisattva nacque sulla terra in forma di lepre.Molto tempo fa una lepre gentile viveva in una foresta, famosa per offrire rifugio ad asceti e saggi. Questa foresta era un luogo magnifico: i fiori i frutti e i rampicanti crescevano rigogliosi e un fiume dalle profonde acque azzurre scorreva tranquillo in mezzo agli alberi. Il Bodhisattva, in forma di lepre, viveva vicino alla sponda del fiume con tre amici, una lontra, una scimmia e uno sciacallo.La lepre era considerata dai suoi amici quasi come un re ed essi pensavano che fosse superiore a ogni

altro animale. Il Bodhisattva insegnava a loro e agli altri animali più piccoli, vivendo come un asceta. Anche i grandi predatori della foresta lo rispettavano e, senza cercare di divorarlo, ascoltavano i suoi insegnamenti come discepoli. Così la lepre viveva in pace e armonia con i suoi tre amici, e la sua vita virtuosa e la sua compassione per gli altri erano così grandi che la sua fama raggiunse il mondo degli dei. Una sera i tre amici andarono ad ascoltare il Bodhisattva predicare il Dharma. Mentre stavano seduti reverenti ai suoi piedi, la luna apparve tra i rami di un albero come un luminoso specchio rotondo e quando la lepre la vide, disse ai suoi compagni: - Guardate! La Luna con il suo volto quasi pieno ci sorride e ci ricorda che domani sarà il giorno della luna piena, il più sacro dei giorni Poya. Così domani dovremo compiere i riti prescritti. Non potremo nutrirci finché non avremo onorato il primo pellegrino che troveremo sulla nostra strada offrendogli del buon cibo, ottenuto nel giusto modo, cioè senza distruggere nessuna vita. La vita è breve come il lampo del fulmine, perciò state attenti a non distruggere nessun essere vivente. Voi dovete guadagnare ulteriori meriti con i vostri atti compassionevoli, che sono il fondamento del retto vivere. Il merito è la sorgente della felicità, perciò siate pronti a cogliere ogni possibilità di praticarlo. Lasciate la via dell’egoismo, perché lì vi aspettano disgrazia e disonore. Dopo queste parole i suoi amici lo lasciarono, salutandolo con gratitudine.  - …Allora il Bodhisattva si fece pensieroso e disse a se stesso: -I miei amici possono trovare del cibo adatto per l’ospite che incontreremo domani, ma cosa posso fare per lui io, che non ho niente da offrire? Gli steli d’erba che costituiscono il mio cibo non sono adatti per nutrire gli uomini e gli animali carnivori. Che senso ha la mia vita se non sono in grado di sfamare adeguatamente un ospite affamato? Questo è un grande dolore per me! Ma perché dovrei essere triste? Non posseggo forse il mio corpo, che mi appartiene e su cui nessun altro può accampare diritti? Ora so come posso onorare l’ospite che attendo e come offrirgli la cosa migliore che posseggo. Donerò a un affamato il mio stesso corpo. Dopo questi pensieri ritornò alla sua tana,

aspettando con gioia l’ospite che avrebbe incontrato il mattino seguente. Allora la terra stessa co-minciò a vibrare dalla gioia, i fiori sbocciarono intorno a lui, mentre un vento profumato lo accarezzava e le nuvole divennero di un meraviglioso colore rosato illuminando il Bodhisattva con l’ultima luce del giorno.

Anche gli dèi, che avevano ascoltato il suo voto, esultarono nel Devaloka e Sakra, il loro re, decise di mettere alla prova la lepre per vedere se realmente avrebbe sacrificato il suo corpo per un ospite affamato. Così il giorno seguente, a mezzogiorno, quando il sole scaglia i suoi raggi più ardenti e il cielo è così luminoso da non poter essere guardato, quando gli insetti cantano più forte e gli uccelli si nascondono nel folto degli alberi per trovare un po’ di fresco, nell’ora in cui la forza dei viaggiatori si esaurisce per il caldo e la fatica, proprio in quel momento Sakra si manifestò come un brahmano mendicante. Apparve nella foresta stremato dalla fame e dalla fatica e sedette sotto un albero non lontano del posto dove vivevano la lepre ed i suoi amici. Sospirando tristemente esclamò:- Sono solo e mi sono perduto in questa giungla, così lontano dalla mia casa. Sto morendo per la fame e la stanchezza, non c’è in questa foresta un essere compassionevole che possa aiutarmi offrendomi ospitalità?-I quattro amici, che stavano cercando un ospite affamato, udirono la preghiera del Brahmano e corsero velocemente verso l’albero sotto al quale riposava. Guardarono quello stanco pellegrino e dissero:- Benvenuto! Benvenuto, onorato ospite. Non essere più triste e spaventato, perché noi ci prenderemo cura di tè come se fossimo i tuoi stessi discepoli. Accetta la nostra ospitalità per oggi, e domani potrai riprendere la tua strada.Il brahmano acconsentì in silenzio e subito la lontra, con cuore felice, corse alla sua tana e tornò con sette pesci, che offrì all’ospite dicendo:- Ho trovato questi sette pesci già morti sulle sponde del fiume. Non li ho nè pescati nè uccisi, perciò tu puoi accettare tranquillamente questo dono anche in questo sacro giorno di luna piena. Devono essere stati dimenticati da un pescatore o saltati da soli fuori dall’acqua. Prendili e placa la fame che ti sta uccidendo e poi riposa tranquillo.Anche lo sciacallo ritornò con una lucertola morta e una ciotola di latte cagliato che erano stati abbandonati da qualche pellegrino non lontano da lì, proprio sul ciglio del sentiero. Chinandosi davanti al brahmano offrì i suoi doni e lo pregò di mangiare e riposare. Poi fu la volta della scimmia che disse:-Onorevole ospite ti offro manghi maturi, acqua fresca e l’ombra del mio albero.-Prendi i miei doni e passa con noi la notte.Allora la lepre si avvicinò timidamente e infine, saltando davanti al pellegrino esclamò:-Una lepre che vive nella foresta non ha riso ne legumi da offrire, perdo ti prego di

accettare il mio corpo come dono dovuto all’ospite. Arrostita sul fuoco la mia carne ti sfamerà. Ti prego di accettare il cibo che ti offro e l’ospitalità per la notte.-Sakra, meravigliandosi che la lepre offrisse veramente il suo stesso corpo, rispose:- Come potrei uccidere un essere vivente che si è dimostrato così amichevole? No, no.Vai in pace, io non posso accettare la tua offerta.- Le tue parole dimostrano che sei un uomo compassionevole - replicò la lepre, - e che vivi seguendo i precetti che insegni. Però devi almeno concedermi di restare con te per trovare il modo di offrirti la mia ospitalità.Sakra vedeva chiaramente i pensieri della lepre, che stava cercando di sacrificare il suo corpo per lui. Così le permise di rimanere mentre preparava il cibo che gli era stato offerto dalla lontra, dallo sciacallo e dalla scimmia. Accese un fuoco che si alzò con una bella fiamma dorata, senza alzare fumo, e, in quel momento, la lepre balzò di nuovo davanti a lui, dicendo:- È mio dovere essere caritatevole e in tè ho tro-vato un degno ospite. Non voglio rompere il voto che ho fatto e perciò ti imploro di accettare il mio dono, che ti è offerto con tutto il cuore.Dopo queste parole il Bodhisattva si gettò nel fuoco, simile all’immortale Hamsa quando si tuffa nel suo stagno di loti sorridenti. Le fiamme non gli procurarono alcun dolore, ma si rinchiusero sul suo corpo come una nuvola d’oro. Allora Sakra, pieno di ammirazione e rispetto, riprese la sua forma splendente e, levando con delicatezza il corpo della lepre dal fuoco, lo alzò verso il cielo dicendo:- Guardate, o dèi, abitanti dei mondi celestiali. Guardate e gioite per il meraviglioso gesto di questo Grande Essere! Egli ha sacrificato se stesso per nutrire il suo ospite, senza sapere chi era realmente. Non aveva altro da offrire e ha offerto il suo stesso corpo. Quale differenza fra lui e la specie alla quale apparteneva! Egli ha coperto di vergogna sia gli dèi che gli uomini con la sua compassione.

Per ricordare questa storia agli dei e agli uomini, Sakra mise un emblema della lepre nel suo palazzo e nella grande sala degli dèi e, da quel momento, in ogni notte di luna piena, appare sulla superficie lunare la forma di una lepre che predica a tutti gli uomini la virtù della compassione. E per onorare quel santo Bodhisattva i suoi tre buoni amici, la lontra, lo sciacallo e la scimmia, sparirono dalla terra e furono accolti nel mondo degli dei.