James Hillmann, La femme essentielle
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Il contenuto necessario della malattia
di Marica Dal Cengio
“A mio parere, lo scopo dello sviluppo psichico è la capacità di sopportare l’insicurezza.”
ERICH FROMM
“Essere in grado di far fronte all’inintelleggibile, avere in se stessi il consolatore, questo è tutto.”
HERMANN HESSE
La lettura delle opere di James Hillmann, eminente psicologo e un instancabile indagatore
dell’anima umana, non ci stimola tanto ad afferrare nuove idee, quanto a trovare una nuova
prospettiva da cui guardare noi stessi.
Un mondo popolato da esseri conosciuti già nella mitologia greca è l’immagine che sostiene
fermamente il discorso di Hillmann; tuttavia, le divinità potrebbero essere di tradizione iranica,
indiana, maya o azteca e non farebbe differenza. La loro patologia si manifesterebbe “da noi”
secondo le stesse condizioni. Noi siamo malati perché anche loro lo sono. E poiché gli dèi hanno
vita eterna, accade che la loro infirmitas sia eterna. Anche Jung1 parla di un “Olimpo pieno di dèi” a
proposito di realtà naturali che spesso dominano le persone nell’anima; dèi non prodotti, ma scelti
dall’uomo.
L’esistenza di due mondi apparentemente separati, ma che si influenzerebbero l’un l’altro
rende palese la questione del “chi è specchio di chi”. C’è una storia che trae origine dalla tradizione
indiana ove si narra di animali partiti alla ricerca del creatore. Lungo la strada molti periscono, ma
quelli giunti a scoprire il trono del Supremo, trovano poggiato sullo scranno uno specchio che
riflette la loro immagine.
Due mondi quindi, riassunti, se così si può dire, da una parte nella psicologia e dall’altra
nella religione; ed è nella malattia, in particolare nella paranoia, che si crea il contatto tra i due.
1 C.G.Jung, Psicologia e Religione, cit. [p. 92-93].
2
L’ipotesi di Hillmann è che indagando sul delirio si possa scoprire qualcosa di nuovo sulla
rivelazione. Un “disturbo del significato” il primo; un “evento inintelleggibile che rende intellegibili
tutti gli altri eventi” la seconda, tuttavia entrambi simili nel manifestarsi, entrambi portatori di
conseguenze importanti e sconvolgenti. Comunemente si ritiene che il delirio sia sbagliato e che la
rivelazione sia giusta, eppure descrivere i rispettivi confini risulta quanto mai difficile. Infatti, nei
tre casi clinici portati in esame da Hillmann la patologia si manifesta secondo tematiche di ordine
teologico; contenuti religiosi sono matrice dei deliri, ma anche origine, secondo il caso specifico,
della stessa guarigione.
Si finisce nel reparto psichiatrico quando la rivelazione ha valore universale, empito di
esaltazione e si manifesta come qualcosa di totalmente nuovo; recuperarne il contenuto
autenticamente religioso significa recuperare la salute. Sia teologia che psichiatria concordano
nell’affermare che rivelazione e delirio, metodo corretto ed errato di manifestazione del nascosto,
sono nettamente separati, ma potrebbe anche non esserci distinzione tra i due. Ecco, Hillmann
scioglie il nodo dicendo che il delirio è sempre rivelazione e la rivelazione sempre delirio;
sconvolge la questione per arrivare ad un nuovo punto di partenza: il Deus Nabsconditus.
L’essenza della religione è il rapporto con il nascosto, la rivelazione si configura quindi
come qualcosa di necessario, ma Hillmann aggiunge che non solo la rivelazione, anche il delirio è
necessario. La sua spiegazione? Sarebbe proprio la “letteralità” del messaggio rivelatorio a
costituire quell’elemento patologico che solo un orecchio allenato a “non sentire” può
paradossalmente ascoltare senza conseguenze nefaste per la psiche. Dal canto suo, l’anima, che è
secondo Hillmann mercurialis, fornisce tale orecchio; è infine messaggera del dio nascosto e nello
stesso tempo è psicopompa perché conduce al nascosto salvandoci dal letteralismo e dalla paranoia.
Un “fare anima” che è lavoro nell’immaginazione, con l’immaginazione e per
l’immaginazione. Ma nello stesso tempo si risolve in un’esperienza “mondana” fatta cioè di sangue
e carne poiché l’anima è sempre incatenata alla vita del mondo; non può essere separata dal corpo,
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dalla famiglia, dal contesto immediato, dalla mortalità. E’ in quella zona intermedia dove la
coscienza è più vicina all’inconscio che la nostra, sensibilità “anima-le”, si affina e matura.
Hillmann indica la poesia come il terreno proprio a questa esperienza immaginale: un qualcosa che
è semplicemente senza significato. Ma non è forse nell’azione intesa come atto consapevole
totalmente presente, che si esprime la più nobile poesia? Le azioni non furono mai inventate, ma
semplicemente compiute; i pensieri, d’altra parte, costituiscono una scoperta relativamente recente
dell’uomo2.
In definitiva, anche l’uomo moderno sembra avvertire dietro la realtà della vita quotidiana
una zona oscura verso il quale si sente attratto, ma dal quale fugge incessantemente. Ciascuno reca
in se stesso il tutto, che perciò può essere ricercato e trovato dentro di sé”3, scriveva Joseph
Campbell; ed è proprio questo il problema del nuovo eroe: il significato di Tutto, presente
nell’individuo è totalmente inconscio, non si sa verso cosa ci si muove poiché le linee di
comunicazione tra le zone inconsce della psiche umana, sono state tutte spezzate, siamo stati divisi
in due. L’anima coordinata deve essere riportata alla luce come l’Atlantide perduta.
Una delle strane caratteristiche della fisiologia umana è che la parte sinistra del corpo viene
controllata dal lato destro del cervello, mentre la parte destra dal lato sinistro. Tutt’oggi l’unica
spiegazione data è l’integrazione delle funzioni: ogni parte è presente nel territorio dell’altra. La
reciproca compenetrazione di forze uguali e contrarie, come viene simboleggiata dal Tao, illustra
perfettamente questa situazione. Negli individui che usano la mano destra la persona che affronta il
mondo sta nella metà sinistra, ma la persona che vive nell’emisfero destro è praticamente uno
sconosciuto. Secondo lo psicologo Julian Jaynes, ad un certo punto della storia si sono verificati
alcuni cambiamenti fondamentali a partire dei quali l’uomo si è trovato come intrappolato in una
forma di consapevolezza limitata. Questa limitazione è stata compensata da un più vasto impiego
della ragione. Ne risulta che la nostra civiltà tecnologica è il prodotto finale di questo processo.
Tuttavia, l’evoluzione che ha portato allo sviluppo della coscienza è tutt’altro che completa dal
2 C.G.Jung, L’uomo e i suoi simboli (1967), TEA, Milano 1992 - cit. [p.64].
4
momento che larghe zone della mente umana sono ancora avvolte dall’oscurità. Quest’oscurità
potrebbe essere collegata all’emisfero destro; secondo Jaynes infatti è probabile che l’uomo un
tempo vivesse interamente in questa parte del cervello o che avesse possibilità di accesso ad
entrambe le modalità di pensiero e azione. “Noi siamo talmente abituati alla natura apparentemente
razionale del mondo in cui viviamo, che ci è difficile immaginare il verificarsi di un evento che non
possa venire spiegato sulla base del senso comune”4.
Quando ride, l’uomo esiste in un’altra dimensione dove sono sospese le leggi dell’ovvio e il
mondo viene messo in gioco come uno dei tanti possibili. Il più risibile, appunto. Già Shaftesbury5
si schierava a favore del ridicolo, del buon umore, per combattere il fanatismo teologico ancora
imperante nella prima metà del ‘700; la franca risata può ristabilire l’equilibrio psicologico e
riportare l’uomo alla sua vera natura. Senza voler scomodare il teatro, la catarsi del dramma e la
comicità sintetizzate nella figura del clown o la satira che corre sullo stesso binario della pazzia;
voglio soffermarmi sull’atto fisico, materialissimo, fatto di carne e di quel qualcosa in più che è la
risata. In età adulta si ride soprattutto con i “denti”, poche le occasioni in cui si fanno brillare anche
gli occhi; ma ancora più difficile è ridersi addosso, lasciare che il proprio Io si sgonfi un po’ e perda
importanza.
Hillmann parla dell’inconscio come un luogo che non è né un luogo né uno stato, quanto un
oscuro fratello ironico, una sorella che fa eco per non dimenticare… Ha insomma tutte le
caratteristiche per essere una valida origine alla risata. E’ l’accecante certezza, il credere
fermamente in una realtà esterna, totalmente altra e nuova all’anima che porta la disfatta,
nell’anima. Se l’anima è il ponte verso gli dèi, è fatta anche della “loro materia”, è già strumento
per camminare nel mondo così apparentemente normale, e spaventosamente straordinario. Questo
mondo che non è imbrigliato (e non può esserlo) nelle regole di ragione, ma che trova in Atena,
3 L’eroe dai mille volti - cit. [p.341]. 4Jung, L’uomo e i suoi simboli, cit. [p.27]. 5 Introdotto da Franco Venturi in Giovinezza di Diderot, Sellerio Ed., Palermo 1988.
5
ovvero la ragione, “la nostra più tragica illusione”6.
Ridere rappresenta il primo passo per staccarsi da una modalità dell’esistenza che ha tanto il
sapore di una prigione sapientemente costruita.. Ma se quest’anima fosse ottenebrata da uno
smarrimento che le impedisce di farci vedere la corretta via? Quando il mondo ti scivola fra le dita e
non sai come fermarlo perché non sai dove guardare e chi guardare, quando le mani artigliano l’aria
alla ricerca di appigli che non si trovano, che sfuggono, che non ci sono. Il consiglio di Hillmann
sembra essere quello di abbandonarsi comunque a noi stessi. Sostiene che la paranoia, essendo
disturbo del significato, è un disturbo del Sé. Il Sé malato è l’immagine speculare degli dèi malati.
Tuttavia, il Sé è portatore di significato, cioè di verità che l’anima deve mediare, cioè tradurre
quotidianamente; tradurre, ma non letteralmente altrimenti la paranoia invade tutta la persona. Ma
nel sistema junghiano il Sé è l’archetipo più potente, e nell’uomo “integrato” rappresenta il centro
coordinatore di tutta la personalità ove inconscio e coscienza si trovano in equilibrio. L’Anima ha
spesso la funzione di indicare la via per raggiungere questo centro di equilibrio ed il linguaggio
religioso è la sua modalità di espressione.
Il viaggio dell’uomo incomincia già nell’utero materno, per quanto ne possiamo vedere, se
non prima. Siamo catapultati in un mondo in cui dolore e gioia si mescolano continuamente a
formare la matrice stessa della conoscenza. Ma non ai soli occhi si può affidare la nostra vita, è
questo che Hillmann dice? C’è un altro occhio che alberga nell’uomo, un occhio che chiama anima.
Il nostro guardiano, la nostra luce, il nostro alleato. Il problema se mai è nell’ascolto.
BIBLIOGRAFIA
J.CAMPBELL, L’eroe dai mille volti, Feltrinelli, Milano 1958. J.HILLMANN , La vana fuga dagli dèi, Adelphi, Milano 1991.
Fuochi Blu, Adelphi, Milano 1996. Il sogno e mondo infero, Edizioni di Comunità, Milano 1984.
C.G.JUNG, Psicologia e Religione, in Opere, vol. XI, Bollati Boringhieri, Torino 1970. L’uomo e i suoi simboli, TEADUE, Milano 1991. F.VENTURI, Giovinezza di Diderot, Sellerio Ed., Palermo 1988.
6 Jung, L’uomo e i suoi simboli, cit. [p.83].