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J. C. CLEARY UN BUDDHA COREANO (GLI INSEGNAMENTI ZEN DI T’AE-GO) Tradotto dall’Inglese da Aliberth Mengoni Immagine: “Contemplando l’acqua” acquarello di Kang Hui-an (1419-1465), National Museum, Seoul, Republic of Korea. Il Dharma di Aliberth Articoli e traduzioni di Alberto Mengoni (Aliberth) riprodotti senza revisione dal sito “centronirvana.it” e dal bollettino “Nirvana News” che hanno cessato di esistere 1/119 - http://www.superzeko.net

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J. C. CLEARY

UN BUDDHA COREANO (GLI INSEGNAMENTI ZEN DI T’AE-GO)

Tradotto dall’Inglese da Aliberth Mengoni

Immagine: “Contemplando l’acqua” acquarello di Kang Hui-an (1419-1465),

National Museum, Seoul, Republic of Korea.

Il Dharma di Aliberth Articoli e traduzioni di Alberto Mengoni (Aliberth) riprodotti senza revisione

dal sito “centronirvana.it” e dal bollettino “Nirvana News” che hanno cessato di esistere 1/119 - http://www.superzeko.net

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… a Cristina

“Un Buddha Coreano” ha lo scopo di aprire una finestra sul Buddhismo Zen dell’antica Corea. Il libro si incentra sulla traduzione degli insegnamenti del grande Adepto Coreano del quattordicesimo secolo, conosciuto con il nome di T’aego, il quale fu il maggior rappresentante dello Zen del suo tempo, e del suo luogo. Questo è un resoconto diretto del Buddhismo Zen proveniente da una fonte autentica,

Al fine di preparare il terreno, ai nuovi lettori che vogliano seguire le parole di T’aego, vi è anche una introduzione alla gamma delle opinioni e degli insegnamenti Buddhisti, nonché un Glossario di nomi e concetti Cinesi del Buddhismo e Taoismo, poiché a quel tempo la cultura di riferimento in tutto l’Est Asiatico era, appunto, quella Cinese. Vi si trova, inoltre, anche una cronaca informativa delle vicende storiche dell’Asia Orientale, e della Corea in particolare, che potrà aiutare a dare un senso al Buddhismo Zen di T’aego ed alla sua epoca, nonché a dissipare la visione di un’Asia antica, finora vista solo come un’idilliaca e pacifica terra di armonia e saggezza.

Per i lettori che abbiano già confidenza con il familiare stile dello Zen, le parole di T’aego non necessitano di alcuna introduzione: infatti, esse sono consuete ed abituali come “l’aria pura e semplice che circonda la Terra!”

“Ascoltando lo stesso T’aego, tutti sono invitati a scoprire qualcosa sul Buddhismo e sulla Corea e ad essere testimoni del vero Insegnamento Zen!”

J. C. Cleary ottenne il Dottorato di Filosofia in lingue dell’Asia Orientale all’Università di Harvard. Egli stesso ne fu un appassionato cultore, studiando per diversi anni Religioni Comparate nonché le storie del mondo Asiatico. È stato anche traduttore di molti altri testi sullo Zen.

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PREFAZIONE

Pochi libri, scritti nelle lingue Occidentali, si sono soffermati su una qualche parte dell’esperienza storica Coreana relativa a periodi diversi da questo attuale. Dovremmo diventare un po’ più consapevoli che la Corea ebbe una storia culturale ed una tradizione politica continuata che, pur provenendo dalla Francia e dalla Gran Bretagna, non è mai stata molto ben conosciuta da noi Occidentali.

Cosa sappiamo noi di questa Nazione che, così allegramente, abbiamo etichettata e consegnata al rango di “paese non ancora pronto per la democrazia”? Attraverso le parole di T’aego potremo conoscere la mentalità del suo tempo e dei suoi luoghi, la storia del momento politico e religioso dell’antica Corea.

Questo paese lontano e dimenticato, giunge a noi con una voce umana, non più così tanto alieno e toccando varie dimensioni. Nel Buddhismo, T’aego fu erede di quella tradizione Zen che aveva già attraversato diversi confini nazionali e culturali dell’antica Asia medioevale. Al tempo stesso di T’aego, cioè il periodo in cui l’impero Mongolo stava crollando, erano molto attivi gli interscambi internazionali tra i popoli Zen della Cina, Corea, Viet-nam e Giappone.

Gli adepti del Buddhismo diventarono centri-raccolta di maestri illuminati e sinceri studiosi che non erano solo ricercatori, ma anche scopritori. Essi riconobbero il Buddhismo come un corpus di saggezza antica, in termini umani storici, ma moderna nell’essere sempre correntemente coinvolta in un necessario corso di rinnovamento e riadattamento ai tempi.

La saggezza Zen fu riconosciuta adatta tanto al momento presente che al di là dei limiti temporali. Gli adepti videro che il Dharma (la Realtà, la Verità e l’Insegnamento della Verità per mezzo della Verità) non era coniugato a qualche particolare idioma, cultura o identità sociale. Essi lo dichiararono nei testi scritturali classici e lo provarono coi fatti, propagandando il Buddhismo in una infinita varietà di forme, che attraversò tutta l’Asia del Sud, del Centro, dell’Est e del Sud-est.

I veri maestri si espressero con i linguaggi locali, ma non vennero intrappolati dai limiti della locale visione del mondo. I Buddhisti furono tra i più autentici e naturali internazionalisti dell’antica Asia. Le grandi scritture Buddhiste, come il Sutra del Loto, l’Avatamsaka (Sutra della Ghirlanda), il Surangama, ecc. sono dirette testimonianze delle visioni molteplici, dei diversi mondi, delle realtà e delle numerose opportunità di comunicazione tra di essi.

In quanto maestro di Zen, T’aego fu sia un uomo della sua epoca, profondamente coinvolto nei contemporanei scenari Coreani, sia un adepto Buddhista provvisto di una penetrante intuizione priva dei limiti del tempo. Egli visse in un’epoca di intensi sconvolgimenti politici, in cui la Corea combatteva per sbarazzarsi della dominazione straniera, cercando di sconfiggerne i locali agenti. Vedendo che era giunto il momento giusto, egli non si ritrasse dai grandi rischi della scena politica; benché non partecipasse alla politica ad alto livello, egli lavorò nell’azione civile. Prendendo parte al mondo, dalla prospettiva Buddhista della compassione distaccata, egli mostrò di non aver paura di perdere la sua serenità, o la sua vita.

Può il Buddhismo attraversare le barriere culturali ed aver ancora qualcosa da dire alle persone del ventesimo secolo? Sapremo sentire noi la stessa fredda intensità di T’aego nel vedere la bellezza del suo linguaggio? È possibile che la sua moderna mentalità ed il suo linguaggio schietto possano sorprenderci? Possono, le metafore della dinastia Zen, avere così tanta universalità da giungere ancora genuine fino ai giorni nostri?

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Come traduttore, io ho cercato di esprimere nel nostro linguaggio quanto più mi è stato possibile del significato e del particolare tono originale, in modo che il lettore possa avere la possibilità più rispondente per aderire ai suoi contenuti ed al suo intento.

“In ogni modo, tutti sono invitati a scoprire qualcosa sulla Corea e sul Buddhismo, ascoltando le parole di T’aego, e ad essere testimoni del vero insegnamento Zen”.

RICONOSCIMENTI

Questo progetto ha avuto inizio allorquando ho potuto trovare dei testi sullo Zen Coreano, anche se poco adeguati al corso che stavo tenendo, intitolato: “Buddhismo Zen, nella Storia dell’Asia, e oltre”. Per cui desidero ringraziare i miei studenti della Wesleyan University, per avermi darto l’occasione di eseguire maggiori ricerche sullo Zen coreano.

Questi dotti testi dicono le stesse cose, menzionano gli stessi eventi e personaggi famosi e, quindi, portano ad un prospetto schematico della storia della Corea e del Buddhismo di quei luoghi, soggetti a svariati giudizi ed interpretazioni dei relativi autori. Per un orientamento generale, sono grato ai lavori di alcuni studiosi come Nukariya Kaiten, Li Kibaek, Edward Wagner e Robert E. Busswell.

Tuttavia, ai non specialisti, i libri scritti da e per gli specialisti della Corea, sono inaccessibili e impenetrabilimente aridi, a causa delle barriere linguistiche. Per di più, spesso essi incorporano ignote supposizioni sulla storia sociale e fraintesi concetti sul Buddhismo, che fuorvierebbero chiunque non abbia già familiarità con la storia dell’Asia e con gli insegnamenti ed i metodi del Buddhismo. Onde ottenere materiale sullo Zen Coreano che fosse informativo ed utilizzabile, l’alternativa logica è stata di tradurre le primitive fonti, sì da aver accesso diretto ai portavoce autentici della tradizione. La “Collezione T’aego” (T’aego Chip, edito da Solso e pubblicato da Pojesa: Phyongch’ang, 1940) fu una di queste fonti, scoperta a riposare quietamente in oblìo sugli scaffali della Harvard-Yenching Library. Dopo aver tradotto brani da una serie di registrazioni sullo Zen Coreano, mi sentii attratto da T’aego e finii per tradurre totalmente le sue parole.

Vorrei ringraziare il personale della Library e, particolarmente, mr. Kim Sungha, che mi aiutò a collocare i testi. Grazie anche al Prof. Edward Wagner, che mi aiutò a traslitterare i nomi Coreani e che mi intrattenne pazientemente sui fatti della storia Coreana del XIV secolo. Paragonato a questi gentiluomini, io non conoscevo pressoché niente sulla Corea ed il mio lavoro elementare dovrebbe esser preso solo come un riflesso delle loro assai più erudite visuali. Inoltre, devo esprimere gratitudine per l’aiuto dato liberamente ad uno straniero. Gli eventuali errori, naturalmente, sono da addebitare esclusivamente a me.

Io non sono uno specialista della Corea, pertanto offro questo libro soltanto come traduttore di Zen. Quando ho avuto l’opportunità di trovare questo lavoro di T’aego, un vero gioiello, non l’ho affatto preso alla leggera né l’ho frantumato, traducendolo. Nei miei studi sul Madhyamika e lo Yogachara, sono stato molto aiutato da Nguyen Tu Cuong. Negli studi sul Buddhismo Zen e Hwa-yen, nonché sul Taoismo, sono debitore a Thomas Cleary. Ovviamente tutti noi ci sentiamo fortemente obbligati nei confronti degli antichi saggi e veggenti, essendo stati assai fortunati nell’incontrarne gli insegnamenti. Perciò abbiamo cercato di venire incontro alla responsabilità di rendere accurate, vivide e chiare, queste relazioni e traduzioni di Buddhismo Zen.

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PARTE PRIMA

IL MONDO DI T’AEGO

T’aego, un Buddha Coreano, visse ed operò nel XIV° secolo, pressappoco mille e ottocento anni dopo che il Buddha Shakyamuni ebbe girato la Ruota del Dharma nell’antica India. Durante questi secoli, gli insegnamenti Buddhisti si diffusero per tutta l’Asia, sviluppandosi in una imponente varietà di tecniche e pratiche, formulazioni filosofiche e culti locali. L’India e Sri-lanka, l’Asia Centrale e l’Iran, il Sud-Est Asiatico e le Isole, l’Asia Orientale, il Tibet ed il Nord dell’Asia, tutti sentirono ad un tempo l’influenza delle immagini e delle idee Buddhiste. Adattandosi ai punti di vista locali, nel comunicare il suo consistente messaggio principale, il Buddhismo fu capace di attraversare le profonde barriere culturali, etniche e classiste che dividevano l’antica Asia.

Operando su un vasto spazio di territori e tempi, il Buddhismo evolse naturalmente in svariate forme. Divenne istituzionalizzato in vari modi e s’intrecciò con i sentimenti, gli stili, gli umori e le sensibilità locali. Ciò è ben dimostrato dai volti delle statue: in India hanno sembianze indiane, in Cina cinesi ed a Giava, giavanesi. Anziché un mezzo per trascendere il mondo, per molti popoli il Buddhismo fu semplicemente parte dello scenario del loro habitat locale. Era totalmente familiare e domestico, una sorta di conforto emozionale, una solida ideologia, un sostegno stabile per certe credenze, attitudini e costumi. Quindi, come religione universale, il Buddhismo fu tanto variegato e colorato quanto lo stesso mondo di forme e colori.

Vi fu, tuttavia, una continua tradizione segreta, in tutte le aree Buddhiste, che parlava di una ‘unità di base’ sottostante a questa enorme diversità di forme esteriori. Agli adepti della tradizione interiore, la diversità dei veri insegnamenti fu una necessaria espressione dell’adattabilità richiesta dalla realtà. Ogni vero insegnamento punta a promuovere la consapevolezza illuminante, ma siccome l’uditorio e le situazioni cambiano, così devono farlo i metodi di insegnamento ed il loro modo di esprimersi.

Nel Buddhismo, ciò è conosciuto come il ‘principio della destrezza negli abili mezzi’; esso è il marchio di garanzia del vero insegnamento (nonché l’opposto del dogmatismo). Gli adepti della tradizione centrale, presero questo principio come un riconoscimento del fatto che potrebbe sempre esservi la tendenza, per motivazioni ed attitudini universali, di aggirarlo e mascherarlo come la vera religione. Essi sapervano che anche gli insegnamenti e le pratiche spirituali più eccellenti avrebbero potuto diventare oggetti di attaccamento, controversie e cieca presunzione e, perciò, ostacoli all’illuminazione.

Le registrazioni sul Buddhismo sono piene di analisi dettagliate e severi avvertimenti, su questo punto. Ma da ciò, gli adepti non ne furono sdegnati, sgomenti nè allarmati. Essi, in quanto bodhisattva, avevano una struttura temporale cosmica ed una perfetta equanimità che motivava la loro compassione e, perciò, non diedero la colpa agli illusi per le loro illusioni. Talora essi operavano in opposizione a certe credenze e pratiche popolari ma più spesso lavoravano da dietro le quinte, per infondere nelle usanze locali qualsiasi tipo di illuminazione che fossero in grado di generare. I veri adepti furono costantemente consci del bisogno di produrre un adattamento vivente del Buddhismo al loro tempo e luogo, con qualunque mezzo a portata di mano. Potevano variare i mezzi, ma lo scopo restava sempre lo stesso: rendere le persone idonee a dischiudere la loro percezione illuminata e realizzare la loro identità come Buddha.

T’aego stesso fu operativo in questa tradizione interiore e, nei suoi discorsi, lettere e poemi, che abbiamo tradotto, egli esprime le sue visioni, con precisione e potenza. Non è compito del traduttore pretendere di digerire e di riepilogare questo materiale: esso è troppo ricco di significati. Perciò, tocca al lettore averne un approccio a cuore aperto e coglierne personalmente il significato.

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Coloro che hanno già familiarità col Buddhismo Zen e con la cultura dell’Est Asiatico, se lo vogliono, possono direttamente andare alla lettura della Parte Seconda, vale a dire la traduzione delle opere di T’aego. Per tutti gli altri, questa introduzione permetterà di avere qualche informazione di base sui tre temi trattati: la gamma delle visioni e degli insegnamenti Buddhisti, la storia del Buddhismo nell’Asia Orientale, e particolarmente in Corea, nonché l’epoca e la vita dello stesso T’aego.

LA GAMMA BUDDISTA

T’aego fu un rappresentante del Buddhismo di un certo tempo e di un certo luogo: la Corea del XIV° secolo. Come adepto della scuola Zen, egli fece parte ad una tradizione universale antica di secoli, stabilmente radicata, che contemporaneamente influenzò cultura e religioni di Cina, Vietnam, Giappone e Corea. I maestri Zen si consideravano eredi dell’originaria ispirazione di Shakyamuni, il fondatore del Buddhismo. Per poter apprezzare la perefetta sintesi dei metodi Buddhisti, utilizzati da T’aego, dobbiamo rievocare alcune delle principali correnti del Buddhismo Est-Asiatico.

L’Avvento del Buddhismo nell’Est Asiatico

Ai tempi di T’aego, nell’Est Asiatico il Buddhismo si era propagato da più di mille anni, entrando via terra dall’Asia Centrale e, per mare, dall’Asia del Sud. Esso giunse nell’Est dell’Asia prima come religione di monaci e di commercianti stranieri. Alla fine, i suoi insegnamenti si diffusero in circoli sempre più estesi, attraverso racconti popolari e recite a sfondo morale con immagini e statuette, raffiguranti scene di vita dei Grandi Esseri (mahasattva), dei Buddha e Bodhisattva del Buddhismo.

Meno documentato, ma basilare per la diffusione del Buddhismo nell’attuale realtà, furono gli incontri faccia-a-faccia, con monaci, monache e pii Buddhisti laici. I Buddhisti dell’India e dell’Asia Centrale, che lavoravano nei centri di traduzioni delle città cinesi, si impegnarono a rendere comprensibile, il vasto corpus dei trattati e delle scritture Buddhiste, nella lingua Cinese scritta, considerata altamente colta in tutta l’Asia Orientale. Quest’opera di traduzione continuò per secoli.

A partire dal XIV° secolo in poi, il Buddhismo fu adottato come religione di Stato da numerosi governanti e nuovi sovrani nella Cina del Nord, in Corea ed in Giappone. In dipendenza di ciò, in queste aree, apparvero sulla scena diversi Buddhisti risvegliati, tuttora venerati, non più dipendenti dai loro mentori stranieri. Essi, cominciarono anche a produrre una innovativa letteratura Buddhista locale, nonché templi con le loro caratteristiche architetture e adorni di immagini spirituali fantasmagoriche. Monaci e monache, con cerimonie, canti e festival, divennero un panorama familiare nei centri più popolosi. Insegnamenti Buddhisti, implicanti ricompense o punizioni karmiche, iniziarono a penetrare in profondità nelle religioni popolari ed i rituali Buddhisti gradualmente furono incorporati nei locali sistemi ciclici di vita.

Assai prima dell’epoca di T’aego, il Buddhismo si era già insediato nel Est Asiatico, con una stabilizzata presenza, contemporaneamente a più livelli, sia all’interno che al di fuori della società istituzionalizzata.

Buddhismo Popolare Quotidiano

Accadde che vi fossero delle vaste basi di credenze Buddhiste e pratiche popolari, riscontrabili tanto nei fedeli altolocati quanto nelle fasce più povere della gerarchia sociale. Attitudini semplicistiche

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diventate consuetudini religiose erano maggiormente prevalenti tra gli aristocratici e tra la gente comune. Uomini e donne che avevano a cuore il Dharma diventando adepti, provenivano tanto da umili ambienti quanto da nobili casate. Benché sempre più gente vi fosse coinvolta, il Buddhismo restò principalmente un insegnamento etico, sostenuto da una comprensibile serie di rituali, adatti per ogni occasione. Il fondamentale codice Buddhista proibisce di uccidere, rubare, mentire, compiere sesso illecito e intossicarsi. I credenti venivano incoraggiati a mostrare compassione per tutto ciò che li circondava, a sforzarsi per ricercare l’armonia e ad essere volenterosi nel compiere servizi altruistici per la comunità. Ai laici veniva proposto di mantenere obblighi sociali appropriati alle loro situazioni di vita: i contadini avrebbero dovuto essere buoni agricoltori, laboriosi e pazienti; i mercanti dovevano essere onesti, buoni e caritatevoli; gli aristocratici dovevano essere giusti e clementi, evitando le guerre e, per quanto possibile, ogni tipo di coercizione, impiegando la forza solo per motivi equi; le donne dovevano essere buone mogli e sagge madri, nutrendo ed accudendo i loro piccoli ed infondendo nelle famiglie la compassione Buddhista.

A coloro che lasciavano la casa per diventare monaci e monache, i prescritti codici di condotta (chiamati vinaya) venivano impartiti in maniera molto stretta e dettagliata. Dure restrizioni e automortificazione furono obbligatorie per monaci e monache. Si pretendeva che fossero buoni religiosi per “ripagare la benevolenza” dei loro congiunti e del sovrano che aveva permesso loro di poter tralasciare i normali obblighi sociali. Gli insegnamenti etici Buddhisti si basavano sull’idea che, nel corso naturale di causa ed effetto, l’errata condotta avrebbe portato una punizione, mentre la buona condotta avrebbe accresciuto i meriti. Infatti, “karma” significa “atto”, o “azione”, e le azioni portano inevitabili risultati: compensi favorevoli o punizioni karmiche.

Una nozione basilare, nel Buddhismo popolare, è il trasferimento di meriti. Il merito karmico guadagnato con opere caritatevoli o osservanze religiose, può venir trasferito ad altri (per esempio, ai propri congiunti, vivi o morti, ai patroni, alle future generazioni) per aiutarli a migliorare le conseguenze del loro karma. Monaci e monache si proponevano di trasferire alle persone della loro famiglia, parte dei meriti guadagnati attraverso vite di dedizione religiosa, contribuendo quindi al loro benessere spirituale, al posto del supporto materiale che non potevano dare. Le famiglie, non si opponevano al fatto che i loro figli diventassero monaci o monache, malgrado il loro danno della perdita mondana, in quanto si credeva che questo operato apportasse loro mcospicui benefici karmici futuri.

Nel Buddhismo popolare Est-Asiatico, le conseguenze karmiche ritenute maggiormente operanti nella linea familiare, sono i risultati delle colpe degli antenati, che dovrebbero perciò ricadere sui loro discendenti. Come nella nostra “giustizia poetica”, la popolare concezione dell’opera del karma, e quindi la punizione, si commisura con l’entità del crimine. Secondo questa struttura flessibile di riferimento, la gente può spiegarsi molte stravaganze del destino, e delle fortune o sfortune familiari, nella dinamica dei vari modelli di personalità. Le persone che avessero l’intenzione di “unirsi” a qualche malvagio, avrebbero dovuto desistere, sapendo che i loro eventuali figli o nipoti, in definitiva avrebbero potuto venirne a soffrire. Le persone potenti e con molti mezzi, dovrebbero proporsi di contribuire con le loro ricchezze ad opere caritatevoli verso la comunità Buddhista, per aiutare a controbilanciare il fardello karmico che avessero accumulato, esse e le loro famiglie.

Eventuali visitatori alieni, avrebbero potuto osservare che l’insegnamento Buddhista del Karma con le sue conseguenze, così come altri insegnamenti etici diffusi nel nostro mondo, è un accorto dispositivo per impaurire le persone nell’intento di farle desistere dalla loro distruttiva follia, come pure un chiaro messaggio di certe realtà evidenti, come la legge di causa ed effetto. Ma la teoria del compenso e punizione karmici, potrebbe anche venir travisata nel modo e nel fatto di adattarsi all’ingannevole convenienza del momento. Ciascun risultato potrebbe esser giustificato a posteriori. In particolare, l’idea del karma fu usata per giustificare lo status-quo della disuguaglianza delle classi

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sociali: “I poveri si meritano la loro miseria ed i nobili, la loro potenza ed i lussi”. Ad un livello più personale, le persone potrebbero dire con compiacimento: “Il mio karma passato mi ha fatto così come sono ora, cioè cattivo, quindi come potrei cambiare?” Oppure, poterbbero tentare di acquisire diversi e migliori risultati del loro cattivo karma, pagando per far eseguire rituali come antidoti.

Resta il fatto che, a causa della fede nella struttura delle ricompense o punizioni karmiche per le loro azioni passate, i Buddhisti comuni attendono, prendono parte e pagano per gli adempimenti rituali che mirano ad accumulare meriti e a dissolvere il cattivo karma acquisito nel passato. Questo è ed è stato il tema principale nei riti Buddhisti per la morte, ai funerali come alle cerimonie celebrative di commemorazione, di particolari persone, oppure alle annuali cerimonie pubbliche su vasta scala, per il conforto di tutti i defunti. In generale, il rituale è stato visto come un modo per guadagnare meriti ed i laici Buddhisti, nei limiti dei loro mezzi, noleggiavano regolarmente monaci e monache, in quanto specialisti dei rituali, a presiedere le cerimonie ed a leggere le sacre scritture. Gli aristocratici avevano templi privati nelle loro ville ed ospitavano monaci e monache nella loro residenza per cantare i salmi, compiere riti e recitare omelie per al casata ed i loro dipendenti.

È accaduto che, in certi luoghi ed in certi tempi, i Buddhisti comuni spesso prendevano un’attitudine meccanica verso le osservanze religiose. I rituali, stabiliti da lungo tempo, alla fine venivano sperimentati come abitudinari e troppo familiari, vagamente consolatori, però piuttosto scarsi di significato. Veniva lasciato poco spazio alla motivazione, nell’inerzia della tradizione: i bisogni professionali degli specialisti del rituale e la consueta tendenza mentale dei fedeli agli adempimenti esteriori, portavano automaticamente ad una acquisizione religiosa. Le forme rituali e cerimoniali di solito venivano applicate come mezzi per enfatizzare il messaggio Buddhista e la popolare accondiscendenza ad esso, nonché per raccogliere la comunità su una armoniosa condivisione e compartecipazione. Inoltre, i rituali imposti o ispirati da grandi maestri divennero viziati, dal momento che il popolo vi prendeva parte con una superficiale o nulla attitudine di autoconsapevolezza. In questo modo, un dato rituale perdeva gradualmente il suo originale potere e diventava parte dello scenario ordinario del mondo. Ecco perché la storia Buddhista è punteggiata da regolari cicli di rinnovamento e rielaborazione della forma ed i maestri-guida hanno così tanto parlato di pericolo di santificazione esteriore e di dimenticanza dell’originario intento.

Al passo col ricercato e meccanicistico approccio al rituale dei laici, il clero sarebbe stato avvelenato dalla mentalità del pagamento per il servizio. Anziché agire come canali del Buddhadharma, i monaci e le monache sarebbero stati assorbiti dalla ricerca di reputazione e protezione clientelare. Essi avrebbero imparato ad essere manipolatori psicologici che giocavano con le paure e le incertezze del popolino. La letteratura popolare Est-Asiatica ha spesso burlato i monaci e le monache irreligiosi; il monaco lussurioso con l’intento di sedurre, o la monaca che, a casa di ricche signore, argomentava come spillare una remunerazione. Gli adepti di ogni tempo hanno ammonito che i veri nemici dle Buddhismo non sono i loro oppositori palesi, ma quei monaci e monache che, pur radendosi la testa e vestendo le tonache religiose così da averne la forma, non ne possedevano l’essenza e non erano differenti dal popolo comune e discreditavano il Dharma con la loro avarizia, la sete di potere, l’ingordigia e la lussuria.

Istituzionalizzazione

La gente faceva donazioni ai monaci e monache dei templi, sperando di potersi sbarazzare dai risultati del cattivo karma. Questo tipo di coscienza-vantaggio servì comunque per fondare numerose costruzioni sacre, con attività ed arti Buddhiste, tarduzioni e copie di sutra, carità ed imprese di rilievo. Si pagava per l’incenso, fiori e candele, nonché per gli strumenti usati nei numerosi rituali con cui il popolo contrassegnava le grandi occasioni. I monaci e le monache avevano assicurati il vitto, il

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vestiario e l’alloggio. Doni provenienti dai più ricchi, dai re, le regine, i nobili ed i signori guerrieri che disponevano di ricchezze enormi, per quei tempi, permisero di edificare ed allargare diversi monasteri, con lasciti permanenti e proprietà territoriali, denaro ed altri beni.

Avvenne poi che i maggiori templi Buddhisti dell’Est dell’Asia collezionassero di norma sostanziose rendite in natura, traendo vantaggi da esenzioni di tasse e controllando numerosi braccianti e operai vincolati. Gli sfarzosi templi furono normalmente ben collegati politicamente, con protettori potenti dell’elite più alta. Oltre ad essere proprietari terrieri, i monaci potevano azionare mulini per macinare cereali, o spremere olio, fabbricare salsa di soia o succhi di riso, o far funzionare laboratori artistici. I templi servivano spesso come locande per i viaggiatori o luoghi per incontri ad alto livello. Prima che nella società secolare sorgesse l’attività bancaria, i templi Buddhisti furono centrali di credito di denaro, con l’opportunità di estendere i loro affari sia nella continuità istituzionale che nel possesso di denaro liquido. In diverse aree, questi templi diventarono anche sedi di mercati periodici, in cui le popolazioni locali si incontravano per traffici e commerci ma anche per chiacchierare ed intrattenersi.

Per il Buddhismo, una tale prosperità mondana fu quasi una benedizione. Con il venire istituzionalizzato, il Buddhismo ottenne un definito posto nella società, talvolta di molto venerato ed in ogni caso, assai influente. I maestri Buddhisti avevano, in tal modo, libero accesso ai diversi strati della società, venendo riconosciuti quali portatori di un messaggio che proprio a questa società era diretto. Le fondazioni Buddhiste, dotate di enormi ricchezze mondane, provvedevano a mostre religiose pittoriche, nonché al pagamento di riproduzioni di testi canonici ed immagini sacre Buddhiste. Inoltre, esse ebbero i mezzi per organizzare opere di carità e per consolidare opere pubbliche locali.

Ma il Buddhismo istituzionalizzato fu sovente a rischio di diventare imbevuto di abitudini secolari e fatalmente fu impigliato in mondane lotte di potere. Altezzosi donatori “cedevano” delle proprietà, come grandi case e castelli, da convertire in templi per difendere e perpetuare le loro ricchezze. Egocentriche cricche formate da grandi benefattori o monaci-manager combattevano tra di loro per il controllo dei beni del tempio, così da manipolarli per i loro personali guadagni. I sovrintendenti dei templi potevano diventare duri e insensibili padroni che sfruttavano i loro servi ed i monaci novizi. I sovrani della società mondana potevano a stento accorgersi delle implicazioni politiche nei loro regni, di una instaurazione Buddhista così benestante, che aveva la possibilità di controllare risorse sostanziose e potere lavorativo. Questi governanti Est-Asiatici cercavano in qualche modo di tenere sotto controllo il potere di questo Buddhismo istituzionalizzato e, a volte, venivano ordinate epurazioni di qualche abate, confiscando le sue ricchezze accumulate. Si promulgarono delle leggi per limitare il numero delle persone che potevano essere ordinate monaci e monache, nonché per frenare la costruzione di nuovi templi. Tra l’altro, essi cercarono di assicurarsi che le esistenti istituzioni Buddhiste fossero leali al regime e servissero i propositi dello stato; i templi più importanti avrebbero dovuto tenere cerimonie periodiche per la difesa del regno e per la lunga vita dei sovrani.

Essendo collegate con i detentori del potere secolare, le istituzioni Buddhiste furono spesso tratte dentro i loro conflitti politici. Nelle ultime fasi dell’introduzione del Buddhismo nell’Est dell’Asia, fazioni contendenti di aristocratici che combattevano per la supremazia, adottarono spesso posizioni pro o contro il Buddhismo, in contrasto con i loro rivali. Il predominio di fazioni anti-buddhiste poteva quindi sfociare in attacchi contro il Clero Buddhista e le relative istituzioni. Persino nei periodi in cui il Buddhismo ottenne un posto onorato nella vita pubblica, i sovrani che erano stati particolarmente avidi nel proteggere il Buddhismo, facevano seguire periodi in cui cercavano di tenere a freno l’espansione dello stesso.

In Cina, lo Stato tentò più volte di restringere le quote sul numero dei monaci, delle monache e dei templi, nonché di obbligarli a richiedere permessi per il clero, ostacolando la costruzione di nuovi

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templi. In Corea, Vietnam e Giappone, quando si formavano nuovi regimi, questi avevano cura di ridiscutere il patrocinio creando un nuovo strato di istituzioni Buddhiste rispettose dei regimi subentranti. I monasteri alleati con gli avversari rovesciati, potevano essere spodestati e requisiti, oppure saccheggiati e distrutti, o semplicemente privati dei loro beni e privilegi e lasciati a languire. Quando, sia in Giappone che in Corea, il potere secolare si frammentò ed i locali signorotti della guerra cominciarono a combattere per il controllo del territorio, alcuni tra i maggiori monasteri Buddhisti si fortificarono e mantennero proprie forze armate, nel tentativo di proteggersi dai rivali invasori e preservare così le proprietà.

Gli adepti Buddhisti parlarono spesso apertamente dei pericoli insidiosi, per il Dharma, rappresentati dalle propserità mondane. Essi misero in guardia monaci e monache di non cadere nella trappola deviante di vivere sfarzosamente nel lusso inoperoso e nella autogratificante ambizione. Nei confronti dei laici, i maestri-guida misero l’accento sulla trappola della partecipazione meccanica ai rituali nonché sull’abitudine di fare elemosine con l’aspettativa di vantaggi personali. Secondo l’insegnamento del Grande Veicolo, il merito della carità dipende dalla corretta abitudine non-egoista; altrimenti, ne conseguono risultati karmici negativi.

Il maestro-zen Nan-chuan (747-834) disse: “Se uno, facendo un’offerta sta pensando di dare, entrerà nell’inferno diritto come una freccia. Se uno, ricevendo un’offerta, sta pensando di avere, sarà costretto a rinascere come animale”. C’è anche una famosa storia-zen su Liang Wudi, imperatore della Cina del Sud, che regnò dal 502 al 549 e fu uno stravagante patrono del Buddhismo. L’imperatore trovandosi davanti all’antico maestro Bodhidharma (che dall’India portò lo Zen in Cina, circa nel 530 d.C.), gli disse di aver costruito numerosi templi e di aver fatto ordinare innumerevoli m0naci, perciò gli chiese: “Quali meriti ho ottenuto con tutto ciò?” e Bodhidharma subito rispose: “Nessun merito!”. Questa sentenza, derivante dal cuore della tradizione, fa capire chiaramente che, dal punto di vista degli adepti, la vera fioritura del Buddhismo non può essere semplicemente equiparata alla prosperità mondana ed alla sua accettazione nella elite politica, né può essere confortata dalla proliferazione di forme di Buddhismo derivate prevalentemente dal tipo di società locale.

Molti moderni tentativi di tracciare una storia del Buddhismo, sono caduti nell’errore di giudicare il sorgere ed il tramontare del Buddhismo stesso in un certo paese, in funzione della sua accettazione e del suo livello di appoggio da parte della gerarchia dominante. Da una parte, le prove di fedeltà della società elitaria sono assai più facili da rimarcare, in quanto meglio documentate che non la storia religiosa delle altre branchie sociali. Inoltre, le moderne idee sulla natura umana si adeguano meglio al resoconto storico. L’ipotesi è che non possano esservi state altre motivazioni, tra i capi religiosi, che quella di procurarsi un seguito, attirando i protettori e diventare così ricchi e potenti. Quindi, tutto doveva essere una manipolazione ideologica o una forma di autoinganno. Per i popoli moderni, questa immagine-guida è certamente piena di buonsenso ed è sempre più convalidata dagli esempi più recenti. È una visione consacrata dai razionalisti dell’Illuminismo Occidentale del XVIII° secolo e, intuitivamente, adottata da noi, loro discendenti diretti, che pur siamo disillusi dal razionalismo, per non parlare della stessa religione.

Questa immagine ben si accorda a molti fenomeni della storia del Buddhismo Est-Asiatico. Possiamo vederla nel Buddhismo popolare, con i suoi sofismi e consuetudini superficiali, la sua meccanica attitudine verso i rituali, il suo clero a noleggio. È anche facile vederla nel cosiddetto Buddhismo di corte, in cui i nobili ed i sovrani cercavano di sostenere il loro potere in terra con mezzi soprannaturali. Si è tentato di immaginarlo nel Buddhismo ribelle dei movimenti millenariani, che mobilitò intere popolazioni intorno ad un tipo di fede che trattava impossibili predestinate utopie. Vi è un minimo comun denominatore ricorrente in tutti questi fenomeni: il tentativo autointeressato di utilizzare mezzi religiosi per scopi mondani.

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Ma, quando entriamo in contatto con gli insegnamenti riportati dai maestri principali, la nostra moderna e cinica interpretazione perde la sua plausibilità. Consideriamo ancora quanto detto più sopra da Nan-chuan. Poteva veramente accattivarsi il favore dei protettori del tempio, quel giorno, con quella frase che mostrava loro come quel tipo di attitudine alla generosità li avrebbe scagliati direttamente all’inferno? Lasciamo che chiunque legga attentamente, anche solo una volta, i profondi e sconvolgenti insegnamenti di T’aego o degli altri maestri-zen. Poi si vedrà se possa ancora sembrar plausibile che essi fossero in cerca di attirare un seguito come cinici impresari di culto o zelanti fanatici autoillusi.

Le Scritture Buddhiste

Gli insegnamenti di T’aego rispecchiavano le tendenze in corso del Buddhismo Est-Asiatico. Il suo uditorio dava per scontate certe nozioni di Dharma contenute nei classici Buddhisti. Le persone di oggi, per seguire il suo insegnamento, avrebbero bisogno di qualche informazione sulle idee basilari del Buddhismo che, presso gli ascoltatori di T’aego, erano di conoscenza comune.

L’insegnamento Buddhista emanò dall’India in una ricca varietà di forme e formulazioni che presero ben presto piede nei paesi in cui si propagò. Prima che il Buddhismo si diffondesse nell’Asia Orientale, nel terzo e quarto secolo d.C., vi erano stati sei secoli di elaborazioni e sviluppo, tanto che i popoli dell’Est Asiatico furono introdotti ad una enorme varietà di materiali e scritture Buddhiste. Dai dettagliati codici di disciplina monastica ai grandi dipinti della salvezza universale, dai trattati di filosofia analitica alle tavole di meditazione dei Sutra. E, durante i secoli ottavo e nono, soprattutto dopo che erano apparse ed avevano preso piede forme di Buddhismo locale, vi furono nuovi impulsi, nuove visioni di quel Dharma che, giunto dall’India, era stato vivificato da un nuovo rigoglio ed entusiasmo passando attraverso tutto l’Estremo Oriente.

Eruditi Buddhisti di questo Estremo Oriente interpretarono la varietà di tradizioni e metodo religiosi come un riflesso del principio dei “mezzi abili”: i diversi insegnamenti Buddhisti furono visti come se rappresentassero le diverse fasi dello stadio di Buddhità e come indirizzi dei diversi potenziali dei praticanti ascoltatori. Ma, dietro di essi, tutto ebbe un solo e singolo intento: rendere tutte le persone capaci di aprirsi alla loro percezione illuminata. Vi furono diversi schemi per classificare gli insegnamenti avanzati, con dettagli differenziati di cui, però, qui daremo soltanto un resoconto sommario dei punti di vista dei filosofi Hwa-Yen e Tien-t’ai.

Gli insegnamenti che sottolineavano l’abbandono del ciclo delle sofferenze, per mezzo della stretta disciplina e della meditazione a livello individuale, furono elencati come forme elementari del Buddhismo, ovvero le rivelazioni preliminari del Buddha. Al fine di spingere le persone a muoversi, questi livelli di insegnamento mantennero le prospettive di salvezza al di là del mondo, cioè del nirvana separato dal samsara (il ciclo delle nascite e morti). Essi sottolineavano il processo di causazione interdipendente, sottostante a tutti gli stati mentali ed a tutte le esperienze. Per interrompere il ciclo dell’ignoranza, brama e sofferenza, essi prescrissero un lungo processo di pratiche scrupolose: parecchie vite, anzi eoni di accumulazione di meriti tramite la condotta virtuosa e la meditazione. Questo tipo di insegnamenti fu per lo più chiamato il Piccolo Veicolo (Hinayana): non tanto per negare la sua (provvisoria) validità, ma per indicare che esso dovrebbe essere impiegato come un trampolino e non per venir visto come verità ultima o mèta definitiva.

Al livello successivo vi furono gli insegnamenti fondamentali del Grande Veicolo. Questi allargarono l’obiettivo sulla liberazione per tutta quanta l’umanità, poiché essi insegnano che vi è una sola ed unica realtà che pervade tutte le cose e che la nostra reale natura deve illuminarsi ad essa ed essere consapevole della nostra identità con essa. Il Buddha è intravisto come una realtà trans-storica,

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di cui Shakyamuni, ovvero il Buddha storico, e tutti gli altri Esseri illuminati sono particolari e specifiche incarnazioni locali.

A questa categoria di insegnamenti appartiene il Sutra di Vimalakirti, scrittura di maggior impatto nell’universo delle opere trapiantate nell’Est-Asiatico. Vimalakirti (il cui nome in Sanscrito significa “Reputazione Pura”) viene mostrato come un laico illuminato che vive nella società ordinaria ma condivide la più grande saggezza dei Buddha. Lo scenario è la sua casa domestica che ad un certo punto, magicamente, ospita una vasta e soprannaturale assemblea di esseri speciali assisi su enormi troni cosmici: metafora della sua integrazione del mondo e del trascendente oltre-il-mondo. Un altro sutra di questa serie è il Sutra della Regina Shrimala, che insegna come l’infinito spiegamento delle apparenze illusorie e dei mondi fenomenici, di fatto, comprende il grembo da cui provengono gli stessi illuminati. Questo grembo è la matrice della realtà e contiene tutte le cose e tutte le esperienze di tutti gli esseri viventi. Questo livello di insegnamento, particolarmente ricco di linguaggio figurato e di metafisica, è detto essere sia particolare che generale e capace di ricoprire ogni sorta di potenzialità.

Ad un ulteriore livello più sù, si colloca il Buddhismo detto della Prajnaparamita, estratto dal Sutra omonimo, detto anche letteratura della “Perfezione della Saggezza”. Vi sono innumerevoli sutra in questa classificazione, alcuni molto brevi, altri assai più lunghi, largamente conosciuti e recitati nella storia del Buddhismo Est-Asiatico. Queste scritture rivelano la limitatezza del pensiero concettuale e stabiliscono che ogni fenomeno apparente, sia mentale che fisico, è in realtà “vuoto”. Da ciò si evince che tutti i fenomeni sono aggregazioni temporanee di fattori causali e che, al di fuori di questo, sono totalmente privi di identità permanente ed indipendente: Nel senso Buddhista, la vera “vacuità” non è una mera e scialba “vuotezza”, ma è intrinseca alla assenza di una identità fissa e stabile, nell’incessante flusso dei fenomeni: questa “vacuità” contiene e pervade tutte le cose ed è la loro reale essenza. Perciò essa non è una vuotezza come opposto alla forma, ma la vuotezza inerente di tutte le forme “temporanee”: “Il vuoto è forma, la forma è vuota!” (come si legge nel Sutra del Cuore della Prajnaparamita).

Questa visione del “vuoto” è la base dell’ideale del Bodhisattva del Grande Veicolo, l’Essere della perfetta Illuminazione, che rimane nel mondo per potersi dedicare alla liberazione di tutti gli altri esseri. Il disinteresse per il proprio “sé” (altruismo) ed il distacco che deriva tramite la realizzazione della “vacuità”, sono le basi per la vera compassione del bodhisattva, che è poggiata non su desideri sentimentali, ma su una accurata valutazione delle possibilità. I bodhisattva non cercano il nirvana aldilà del mondo, bensì sono sempre in attività nel mondo come esseri illuminati, continuamente consapevoli che essi stessi, gli esseri che salvano, tutto il processo di liberazione e la manifestazione delle infinite forme che appaiono nel mondo sono, in essenza, la stessa cosa, cioè un’assoluta e vuota “vacuità”.

L’ultimo livello, conosciuto come la sfera dell’insegnamento finale, è esposto nel Sutra del Loto, nel Sutra del Grande Nirvana e nel Sutra Hwa-Yen. Queste scritture rappresentano l’intero disegno del “Buddhadharma”, come una cosmica impresa di illuminazione che procede all’istante a tutti i livelli, negli innumerevoli mondi e in ogni tempo. Gli esseri illuminati del passato, presente e futuro, vengono mostrati riuniti in assemblea a testimonianza della stessa illuminazione universale. Vi è mostrata anche una contemporanea molteplicità di mondi: ogni mondo con un suo buddha che vi appare per predicare agli esseri ivi presenti, ciascuno come scenario di tutte le fasi dell’insegnamento verso l’illuminazione, ciascuno nel suo particolare ambiente, tutti però condividenti un processo universale. Tutti i Buddha di tutti questi mondi sono in comunicazione tra di loro e condividono l’esistenza al di là del tempo e dello spazio. La sfera degli insegnamenti rivela le positive qualità dello “Stato di Buddha”: l’Illuminazione è eterna, pura, felice e personale.

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Dalla dottrina Hwa-yen ci viene l’immagine della Rete di Indra, come strumento per esprimere l’interpretazione di tutti i reami di esistenza. Essa è una descrizione di un vasto sistema che si estende all’infinito in tutte le direzioni. Ad ogni nodo di questa Rete vi è un gioiello. Ogni gioiello riflette tutti gli altri circostanti gioielli nei nodi confinanti ed in ciascun gioiello appaiono i riflessi di tutti gli altri gioielli che lo circondano… e così via, all’infinito. Ciascun gioiello è insieme il centro del suo proprio schieramento ed un satellite nello schieramento di tutti gli altri, a seconda della prospettiva. Tutte le strutture temporali, tutti i momenti di tutte le esperienze di vita individuale di tutti gli esseri, tutti gli eventi di tutti i mondi; ognuno si riflette uno nell’altro; tutti questi vengono messi in mostra e contemplati come sfaccettature di un’unica onnicomprensiva Totalità. Tutte le azioni particolari e gli sforzi nella propagazione dell’Illuminazione e tutti i livelli del progresso dei bodhisattva, le profonde realizzazioni e la crescente saggezza, vengono visti come gli aspetti della concentrazione di Samantabhadra, “L’Universalmente Buono”.

Non esiste un metodo effettivo per riassumere i Sutra Buddhisti: essi sono già dei riassunti. Le scritture per essere apprezzate devono essere direttamente sperimentate; si deve averne avuta l’esperienza. Un’occhiata o un semplice sguardo, dato ai Sutra, non potrà che rendere confusa l’abituale immagine blanda del Buddhismo, e tutto tenderà a ridursi ad una parafrasi filosofica. Com’è detto nello Zen: “Il ruggito del leone spacca il cervello agli sciacalli”. Coloro che non vengono impauriti dall’impatto con la piena potenza del ciclo di insegnamenti del Buddhismo, sono invitati a leggere la traduzione del Sutra Hwa-Yen (in Italia esiste il testo di Garma C. Chang, “La Dottrina Buddhista della Totalità- La Filosofia Hwa-Yen”, edito da Ubaldini, Roma, 1974, n.d.T.).

Nell’Est Asiatico, i Sutra fornirono una base fondamentale per gli insegnamenti, ai quali si poteva attingere in varie maniere. Recitare le scritture, o assumere monaci e monache per farlo, fu il mezzo più a portata di mano per il credente che voleva acquisire meriti. Molti monaci e monache Buddhisti si specializzarono nel recitare o leggere particolari sutra. Grazie ad essi, attraverso il mercato dei narratori e tramite i testi scritti, le drammatiche scene e la filosofia dei sutra furono disseminate il lungo ed in largo: certi passi di alcune scritture divennero estremamente conosciuti. Altri episodi entrarono a far parte della letteratura popolare, mentre certi testi furono venerati con l’idea che possedessero poteri magici. Come predetto dai Sutra stessi, gli insegnamenti furono recepiti dal popolino nei modi più svariati e con diversa intensità. La gente li prese ogni tipo di cose: da lezioni morali a favolette edificanti, da documenti per particolari credenze ed osservanze a mappe di definite zone della consapevolezza. I Sutra furono codici a cui si attribuirono numerosi messaggi.

Tutti i livelli del Buddhismo Est-Asiatico si basano sui Sutra. I concetti religiosi, le tradizioni storiche e perfino l’arte popolare presero avvio dai Sutra Buddhisti. Nel medio periodo dell’introduzione del Buddhismo in questi luoghi, vi furono distinte scuole di specialisti nella filosofia di particolari scritture e trattati dell’Est-Asiatico. Parecchi Buddhisti dell’Estremo Oriente fecero lunghi ed avventurosi viaggi in Asia Centrale ed in India, allo scopo di riportare indietro i testi originali. I templi accumularono copie delle scritture ed i sovrani sponsorizzarono il vasto compendio di edizioni pagando per la composizione degli stampi in legno, al fine di provvedere alla stampa delle copie da distribuire ai templi maggiori. I primi libri a venire stampati furono proprio i Sutra Buddhisti. Entrambe le durevoli correnti del Buddhismo Est-Asiatico, quello della Terra Pura e lo Zen, ebbero le loro radici nelle scritture dei Sutra, benché in modi diversi.

Il Buddhismo della Terra Pura

Nei sutra del “Buddha della Vita Infinita”, i credenti della Terra Pura vi trovarono la promessa che anche i peccatori avrebbero potuto ottenere la liberazione facendo assegnamento sul potere dei voti del Buddha Amitabha, indifferentemente rivolto a liberare tutti gli esseri. Amitabha (il cui nome

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significa “Vita, o Esistenza Infinita”) concede la rinascita nel Paradiso Occidentale a tutti coloro che lo invocano. Là, nella Terra Pura, insieme ad Amitabha, l’illuminazione diventa possibile anche per le persone carenti di volontà e disciplina e che non furono in grado di diventare illuminati qui su questa terra, il mondo che le scritture Buddhiste chiamano “Sopportazione”. Alle persone di qualunque livello, anche ai reprobi senza speranza, viene garantita la liberazione definitiva, grazie alla loro fede in Amitabha.

La specifica pratica della Terra Pura è la ripetizione del nome di Buddha Amitabha, che può essere fatta nel proprio intimo o ad alta voce, da soli o in gruppo. Gli iniziati della Terra Pura propugnarono che la recita del nome di Buddha era il metodo più semplice sufficiente alle persone delle epoche successive, che non sarebbero state all’altezza delle difficoltà della disciplina e della meditazione, metodi classici del Buddhismo. I Buddhisti Orientali della Terra Pura, formarono spesso associazioni laiche che regolarmente si incontravano con altri fedeli per recitare il nome di Buddha, nonché per dirigere le loro menti verso la Terra Pura Occidentale di Amitabha. Questi gruppi potevano susseguirsi di generazione in generazione, avendo i loro propri capi spirituali, le loro forme rituali, i loro luoghi di incontro, come pure scambiandosi fondi di mutuo soccorso tra di loro. L’appartenenza a tali gruppi non solo aiutava a rinforzare la fede religiosa die membri: essa poteva anche fornire un’importante sistema di supporto sociale. Periodi di crescente turbolenza e insicurezza nella società secolare furono spesso accompagnati da un forte aumento di adesioni alla fede della Terra Pura. Tramite queste Associazioni, contadini scacciati dalle loro terre e cittadini assediati potevano trovare un conforto psicofisico: essi potevano riconciliarsi con le angosciose circostanze mondane, modificando l’aspirazione delle loro vite verso una rinascita nella Terra Pura.

Naturalmente, l’intensità e la qualità della fede nella Terra Pura variava alquanto da persona a persona. Per alcuni, recitare il nome del Buddha era un atto superficiale e meccanico; per altri, era un atto di fervente speranza e devozione. Senza dubbio il feeling ottenuto per mezzo delle recite di gruppo aiutava a sostenere ed a calmare un gran numero di fedeli. Le biografie della Terra Pura parlano spesso di scene sul letto di morte: dopo una visita passata in pie recite del nome di Buddha, la persona morente vedeva aprirsi la Terra Pura con lo stesso Amitabha che veniva a riceverla. Queste storie rafforzavano la convinzione nella fede che la rinascita nella Terra Pura fosse una ricompensa per tutti coloro che la alimentavano.

Tra alcuni adepti della Terra Pura, la teoria e la pratica si estesero ben più di quanto ritenessero i credenti più semplici. In questo caso, la recitazione del nome di Buddha divenne una vera e propria rammentazione del Buddha, tanto da condurre i praticanti fuori dalle loro menti condizionate, guidandoli alla consapevolezza della realtà. La rinascita nella Terra Pura veniva vista come un evento momento-per-momento, da dover essere conseguito per mezzo della purificazione della mente, con la concentrazione unidirezionata sul nome del Buddha. La completa realizzazione, per questi adepti, voleva dire ritornare alla Terra Pura per poter aiutare le persone del mondo ordinario: a questo stadio, né le terre pure né quelle impure possono essere una barriera o un luogo a cui attaccarsi. Questa visione del Buddhismo della Terra Pura facilitò l’insegnamento congiunto dei loro metodi e di quelli dello Zen: numerosi insegnanti Buddhisti Est-Asiatici, dal decimo secolo in poi, si sentirono a loro agio sia con le pratiche dello Zen che con quelle della Terra Pura, ogni volta enfatizzando l’una o l’altra, o entrambe, allorché la situazione lo avesse richiesto.

Il Buddhismo Zen

Fra tutte le forme di Buddhismo dell’Est-Asiatico, quello che ebbe il più forte impatto sulla cultura e la filosofia di quelle regioni, fu la Scuola Zen. I pionieri dello Zen attinsero ai Sutra classici Mahayana, in modo particolare al: Lankavatara, Sutra del Diamante, Sutra della Perfetta

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Illuminazione, Sutra di Vimalakirti, Surangama o Sutra della Marcia Eroica, Mahaparinirvana e, ovviamente, Sutra del Loto, Sutra Hwa-Yen e Avatamsaka o Sutra della Ghirlanda. Essi presero per buona l’analisi avanzata della Scuola Madhyamika del Buddhismo Indiano, che rifiuta ogni tipo di concettualizzazione e mostra insieme l’inefficacia della proposizione logica di voler circoscrivere la realtà. Gli adepti Zen rilevarono anche l’analisi dell’esperienza fatta dalla Scuola Yogacara o Cittamatra. In essa, la presunta realtà esteriore, cosi come noi pensiamo di percepirla, viene dichiarata essere una costruzione prodotta dall’interazione di forma, facoltà dei sensi e i differenti livelli di coscienza condizionata. Per la loro onnicomprensiva visione del mondo e per integrarne ogni livello e tutti i particolari, i maestri Zen vi aggiunsero gli insegnamenti della Scuola Hwa-Yen.

Le diverse tecniche di meditazione e le prospettive dello Zen furono, di fatto, tratte dalle scritture classiche; però, i primi formulatori dell Zen parlarono di esso come di una trasmissione separata, al di fuori delle dottrine e degli insegnamenti spirituali. Che cosa volevano dire, con ciò? La loro aspirazione fu di puntare direttamente alla mente dell’uomo, senza voler prediligere nessun tipo di formulazioni verbali (da ritenere) come sacre. Lo Zen si sviluppò in accordo con i suoi adepti, non per negare o contrastare la validità dei Sutra, ma proprio a causa del fatto che le persone non mettevano in atto gli insegnamenti contenuti nei sutra stessi. I maestri Zen vollero che le persone dovessero realmente applicare questi insegnamenti nella vita di tutti i giorni e non semplicemente che adorassero i Sutra come testi sacrosanti o miti remoti. Agli adepti Zen sembrava un chiaro segno di incomprensione di base il fatto che qualcuno insinuasse che lo Zen ed i Sutra potessero essere in contrasto tra di loro. Per essi, lo Zen non era nient’altro che l’esecuzione dell’intento dei Sutra. Nella pratica, i maestri Zen facevano frequentemente uso di testi come il Lankavatara ed il Surangama, leggendoli come compendio dei metodi di meditazione.

I maestri Zen mettevano l’accento sul fatto che i Buddha avevano origine dagli esseri umani e che, per coloro che vi si dedicano a sufficienza, l’illuminazione è raggiungibile in una sola vita umana. “Un essere umano completo è un Buddha, un Buddha completo è ancora un essere umano!” essi dicevano, interpretando le dichiarazioni delle scritture come descrizioni metaforiche di stati che si sperimentano lungo il Sentiero. Inoltre essi ammonirono i praticanti stimolandoli a trovare il ‘Buddha’ all’interno di loro stessi, vale a dire di trovare la loro inerente natura illuminata. I Buddha ed i Bodhisattva di cui parlano i Sutra, dovevano venir emulati e di certo non solo venerati. Ai discepoli più avanzati, gli insegnanti Zen dicevano di trascendere il Buddha e di porre l’enfasi sulla necessità di raggiungere ciascuno la propria personale realizzazione.

A prescindere dalla diffusione di laici illuminati (le cui ambientazioni sono comunque molto differenti) le biografie di quasi tutti i maestri Zen registrano i loro inizi come semplici monaci (o monache). Per tale motivo, essi di solito trascorrevano i loro primi anni osservando una stretta disciplina, studiando le scritture Buddhiste e adempiendo alle prescritte regole monastiche. Generalmente, ancora giovani, essi viaggiavano in lungo ed in largo, in cerca di istruzioni e sperando di venir accettati in qualità di discepoli da maestri rinomati. La loro sincerità e dedizione trovava una valida risposta allorquando si imbattevano in insegnanti illuminati, con l’opportunità di stare al loro servizio e riceverne l’istruzione a livello personale. Non è che i maestri Zen accettassero chiunque si presentava; coloro che erano accettati venivano oltremodo spronati con una compassione (apparentemente) mascherata da impietosa durezza, che non scendeva a compromessi con consueti e convenzionali sentimentalismi. Qualcuno di loro ha detto: “Sarei più propenso ad accettare i tormenti di un inferno senza fine, piuttosto che rappresentare il Dharma di Buddha come un sentimento umano e abbagliare con l’illusione gli occhi degli esseri umani!”.

La maggior parte di coloro che scoprivano il Sentiero, passavano attraverso lunghi e rigorosi periodi di intenso sforzo meditativo. I progressivi effetti variavano a seconda degli individui, ma solitamente passavano attraverso numerosi e profondi stati di “insight”, sperimentando illuminazioni sempre più

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onnicomprensive. Ad ogni stadio, essi si rivolgevano alle scritture ed a maestri esperti che attestavano i loro ottenimenti e li spingevano ancora più avanti. Molti tra coloro che pensavano di aver già raggiunto l’ultimo livello, venivano spesso frustrati e disillusi dagli implacabili maestri che li spronavano ancora fino a farli effettivamente arrivare al risveglio. Il detto era: “Uno rincorre la verità attraverso l’antico ed il moderno; ma solo l’Arrivo è il contatto con la Realtà!”. Le tecniche dei maestri Zen erano messe in atto con scatti ed urla, insieme ad una certa foga, strumenti per mezzo dei quali gli apprendisti venivano purificati e conformati. Il Dharma stesso, il grande tesoro degli insegnamenti tramandati dai predecessori illuminati, era la riga, il compasso e la squadra (cioè gli attrezzi adatti alla misurazione) tramite i quali le inconcepibili esperienze potevano essere obiettivamente giudicate.

In accordo ai principi dello Zen, solo coloro che erano in possesso di un genuino e indipendente risveglio, con la completa padronanza del Buddhadharma, venivano considerati qualificati a diventare, a loro volta, insegnanti. I maestri illuminati preparavano diligentemente i loro successori speciali, spesso dopo decenni. Non tutte le persone dotate di intuitivo acume venivano proposte per diventare pubblici insegnanti. I veri adepti non avevano molta premura di stabilire se stessi come insegnanti, né di diventare troppo famosi e di attirare seguaci. Di solito, i migliori maestri Zen erano assai difficili da vvicinare, salvo che il ricercatore non fosse assolutamente sincero. “Noi non abbiamo intenzione di propagare il Dharma come se fosse un sentimento umano, per poi svenderlo a buon mercato!”.

Date le priorità del sistema di vita Zen, la fama e la reputazione di santità potevano risultare pesanti e gravose, attirando una indesiderata ed improduttiva attenzione. I maestri Zen rifiutarono spesso gli inviti dei potenti aspiranti patrocinatori e, anzi, per venire a corte, dovettero sovente esserne obbligati. Nel linguaggio Zen, un monaco, o una monaca, che avessero cercato un patrocinio allo scopo di poter vivere nel confort, venivano chiamati “seguaci della Ruota del Cibo”, anziché della Ruota del Dharma. Tuttavia, in certe situazioni, anche gli autentici maestri Zen utilizzavano la loro reputazione per parlare pubblicamente in modo schietto, per occupare posizioni nelle istituzioni, per cercare di influenzare le abitudini nella guida delle Comunità Buddhiste e per intervenire nelle cose politiche.

Il resoconto tradizionale fa risalire la scuola Zen all’arrivo, nella Cina del sesto secolo, di un Adepto Indiano di nome Bodhidharma. Egli si incontrò con l’Imperatore della Cina Meridionale, il quale subito divenne un patrono del Buddhismo. Tuttavia, l’Imperatore non comprese bene il messaggio di Bodhidharma e perciò, quest’ultimo se ne andò nella Cina Settentrionale, ove si assorbì in meditazione, aspettando un degno successore. All’inizio dell’ottavo secolo, lo Zen fu ammesso tra le scuole che in Cina ricevevano il patrocinio imperiale. Dal nono secolo lo Zen, come scuola particolare all’interno del Buddhismo, fu esteso e propagato in diverse regioni dell’Impero Cinese, fino ad espandersi in Corea, in Vietnam ed in Giappone, ove vi giunse nel decimo secolo.

Il “corpus” della letteratura Zen crebbe ed aumentò, arricchendosi di biografie di famosi insegnanti Zen, di trascrizioni dei loro detti e poesie, dei loro discorsi pubblici, di loro lettere e lezioni impartite alle congregazioni monastiche di cui erano a capo e dei centri che essi avevano fondato. Vi erano molti temi ed argomenti: le limitazioni del pensiero convenzionale, la motivazione trascendente dei Buddha, il modo di meditare e comprendere i Sutra, le regole di vita come monaci o monache e lo scopo di arrivare all’illuminazione pur essendo laici. Nel contempo, vi fu anche lo sviluppo di una vasta tradizione di commentari sulle sentenze e sugli istruttivi esempi dello Zen primitivo (cioè il Ch’an, n.d.T.) e altresì furono assemblate numerose raccolte di detti classici (hua-t’ou), storie pubbliche (kung-an, koan) e commenti. La letteratura Zen divenne rinomata in tutta l’Asia Orientale per la sua affascinante e diretta sottigliezza e per le sue vibranti e straordinarie metafore. Questo fu il taglio intellettuale con cui lo Zen penetrò all’interno della grande cultura Cinese, una cultura da sempre innamorata del linguaggio acuto e sottile. Quando la cultura Cinese prese piede tra le classi

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dirigenti della Corea, del Vietnam e del Giappone, l’arte, la letteratura e la filosofia Cinesi, influenzate dallo Zen, furono trascinate con essa.

L’elite dei pensatori Est-Asiatici che si opposero al Buddhismo, liquidò sommariamente la stravagante raffigurazione dei sutra come fantasie senza alcun valore; adatte soltanto agli ignoranti del più basso ordine. Ciò che disturbava maggiormente, era proprio lo Zen che raccoglieva grande considerazione e fascino tra molte delle più grandi menti all’interno di questa elite. Gli oppositori disapprovavano cordialmente il “linguaggio Zen”, come essi lo chiamavano, a causa delle infiltrazioni delle idee di rottura, proprie dello Zen, nella loro preziosa “rilevante cultura tradizionale”.

Le Tre Religioni

Vi fu una lunga storia di interrelazioni tra le tre grandi tradizioni religiose dell’Asia Orientale: il Taoismo, il Confucianesimo ed il Buddhismo. Quando lo Zen assurse a preminenza intellettuale nel decimo secolo, sia il Taoismo che il Confucianesimo vennero a conformarsi sotto la sua influenza. Benché il Taoismo impiegasse linguaggio e metafore differenti, dal dodicesimo secolo le nuove scuole tipo “Taoismo della Realtà Assoluta” si fecero partecipi di una riconosciuta somiglianza con lo Zen, come pure dello stesso messaggio fondamentale. All’interno del Confucianesimo, le attitudini verso il Buddhismo erano abbastanza varie, partendo da una intransigente animosità di alcuni fino ad una forma di larghe vedute con un certo rispetto di altri. Ma anche tra gli oppositori impegnati filosoficamente e contrari allo Zen, si trovavano diverse ampiezze nella discussione sull’impatto Buddhista, alcune anche abbastanza estese e le concezioni dell’autoformazione Confuciana pian piano si spostarono verso la meditazione Zen. Dal decimo secolo in poi, vi furono molti sostenitori dell’armoniosa integrazione delle tre religioni in una sola. Costoro pensavano che le tre fedi “fossero compatibili nel basilare intento, nonché complementari nell’esecuzione pratica”; quindi, il Confucianesimo per governare il mondo, il Buddhismo per poterlo trascendere ed il Taoismo per alimentarne l’energia vitale.

Alcune scuole del Confucianesimo si aprirono alle influenze Buddhiste, vedendo una fondamentale armonia tra la sostanza degli insegnamenti del Buddha e le dottrine del saggio Cinese Confucio. Ad esempio, esse trovavano che l’ideale Buddhista della compassione bodhisattvica fosse affine per importanza, alla visione Confuciana Ren, che è una sorta di benevolenza o cameratismo umano; e la meditazione Buddhista veniva paragonata alle pratiche Confuciane tese ad acquietare e calmare la mente. Ancora, esse si persuasero che i passaggi principali dei loro testi classici fossero equivalenti ad analoghi testi Buddhisti. Confuciani di questo tipo si associarono spesso con maestri Zen, combinando insieme vari metodi di autopreparazione valida tanto per i Buddhisti che per i Confuciani.

Altri pensatori Confuciani, invece, rifiutarono in blocco il Buddhismo. Quelli che erano interessati all’arte di governare criticavano il Buddhismo a causa del suo parassitismo economico, stigmatizzandone le ricchezze delle istituzioni e l’improduttività del suo clero. Essi vedevano come disdicevole il fatto di avere un’alta concentrazione della devozione nella società oltreché da parte dell’imperatore. A questi Confuciani avrebbe fatto enorme piacere liberare la Cina dal Buddhismo, ma non riuscirono a propugnare un attacco a questa cosa così profondamente radicata nel popolo, in quanto questo fatto era ritenuto come creare del caos. Tutt’al più, essi riuscirono a proporre una limitazione del numero dei templi e dei monasteri, con la segreta speranza di veder declinare il Buddhismo, in funzione di un lento e normale logorìo. Quando gli attacchi alle istituzioni Buddhiste divennero più frequenti, ebbero generalmente la forma di brevi campagne sferrate dagli aristocratici

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e dalla casta dei guerrieri, con l’intento di espropriare i loro beni materiali e di combattere le basi di potere concorrenti, e non certo con l’intento di soffocare i praticanti Buddhisti dei ceti più popolari.

Vi furono inoltre Confuciani che indissero processi e dibattiti filosofici contro i Buddhisti. Secondo loro, il Buddhismo popolare era soltanto una somma di volgari superstizioni, propinate alle persone ignoranti dei bassi ceti, con quelle vaghe promesse di liberazione dalla sofferenza. Essi ritenevano i Sutra incomprensibili ed incoerenti, vere e proprie insensatezze esotiche, molto inferiori e distanti dai classici Cinesi. Per questi Confuciani, lo Zen era una vera e propria minaccia sociale e morale nei confronti della popolazione erudita: una folle e libertina dottrina, nichilistica e contraddittoria, che rigettava tutte le regole umane, tutti gli abituali principi del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto. Questi Confuciani raccomandavano alla nobiltà benpensante di evitare totalmente lo Zen, perché diversamente, essa ne sarebbe stata facilmente sedotta, come poi in effetti avvenne.

I maestri Buddhisti non risposero mai al Confucianesimo con critiche o altro; anzi, in generale essi lo accettavano come la versione locale della relativa verità mondana, a suo modo valida per coltivare una fondamentale moralità sociale e compatibile con la più completa visione Buddhista. Citando, in modo selettivo, alcuni detti di Confucio e Men-ciù, i Buddhisti mostravano di dare per scontato che questi saggi avessero inteso comunicare virtualmente lo stesso messaggio degli illuminati Buddhisti. Di frequente, accadeva anche di trovare maestri Buddhisti che incitavano gli ascoltatori delle classi superiori a vivere secondo i principi Confuciani di benevolenza e rettitudine.

Vi furono scrittori Buddhisti che rifiutarono la critica Confuciana al Buddhismo, soltanto indirizzandosi semplicemente all’ideale del Bodhisattva ed alla motivazione della salvezza universale del Grande Veicolo. Comunque, i Buddhisti delle tradizioni principali non attaccarono mai la stessa moralità del Confucianesimo, benché negassero ogni sua pretesa verso la conoscenza della Realtà Ultima… Vi furono molti, sia Buddhisti che Confuciani, che riuscirono a cogliere la sottostante armonia delle due religioni ed operarono per mantenere buoni rapporti tra di loro. Alcuni famosi maestri Zen, provenienti da ambienti sociali privilegiati, avendo ricevuto un’ottima educazione Confuciana, conoscevano a memoria i testi classici Confuciani. Per essi, l’uso dei concetti Confuciani verso alcuni ascoltatori, faceva parte dei cosiddetti “mezzi abili” o espedienti, come quando dicevano: “Indossare lo scialle fatto dalla vecchia nonna, quando si va a trovare la vecchia nonna!”.

Il Buddhismo Ribelle

Mentre la classe dirigente Buddhista di solito cooperava con le istituzioni dello Stato, vi furono altre forme di Buddhismo popolare che rappresentarono una minaccia politica pere le autorità. Tra il popolino, presero piede numerose varianti di “Buddhismo Millenariano”. Queste sette insegnavano ai loro seguaci di attendersi la venuta (più o meno imminente) del futuro Buddha Maitreya, che avrebbe apportato una nuova èra di giustizia e di benessere qui sulla terra. E, implicitamente, si suggeriva che gli attuali governanti erano corrotti tiranni, destinati a cadere e che l’ordine politico del momento faceva parte della presente èra malvagia, destinata anch’essa ad essere soppiantata. I Millenariani avevano un loro proprio orario cosmico per definire i tempi del rovesciamento di quello “status-quo”.

Le gerarchie dominanti divennero immediatamente consapevoli del pericolo politico di tali dottrine e cercarono di estirparle subito. I governi decretarono penalizzazioni legali: pena di morte per i loro maestri ed esilio per i seguaci; distruzione di tutte le scritture eretiche, immagini e luoghi di incontro. Anche i portavoce ufficiali delle istituzioni Buddhiste “legali” li condannarono come eretici. Dato che questi gruppi Millenariani venivano perseguiti dalle autorità non appena se ne scopriva l’esistenza, essi dovettero sopravvivere clandestinamente sotto una sempre mutevole varietà di nomi. Nei codici di legge Cinesi, essi vennero raggruppati sotto il termine ’zuo-dao’ (Via di sinistra) e

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descritti come ‘xiè’ (erronei e perversi), oppure ’yao’ (distorti ed eretici). Sotto la costante minaccia della loro soppressione, i Millenariani furono inclini a formare “controcomunità” segrete, obbedendo ai loro propri maestri e codici di comportamento, preservando e perpetuando la loro eretica visione del mondo.

Spesso, molto spesso nella storia dell’Asia Orientale, allorché tali gruppi “millenariani” sentenziavano che la venuta di Maitreya era imminente o addirittura che fosse già apparso tra di loro, finivano per scatenare delle insurrezioni contro i governanti. Talora rimanevano per diversi mesi al sicuro nei loro rifugi, sui monti o nelle vallate; altre volte riuscirono ad impradonirsi di qualche roccaforte o città governative. Finché i poteri dominanti mantennero intatta la loro coesione, fu solo una questione di tempo, nel riuscire a radunare le proprie soverchianti forze militari e sconfiggere i ribelli.

Il Buddhismo “millenariano” fu significativamente importante nel quattordicesimo secolo, proprio ai tempi di T’aego, quando i Millenariani della religione del “Loto Bianco” capeggiarono, nella Cina Centrale, la rivolta che infranse il potere dell’Impero Mongolo, esteso in tutto l’Est-Asiatico. Nel 1350, i gruppi millenariani vennero allo scoperto, prendendo il potere in vaste regioni della Cina. La nobiltà Coreana subì lo shock di due invasioni all’interno del proprio territorio, da parte delle armate dei Millenariani. Nel periodo delle vittorie, nel loro fervore di spazzar via la corruzione di quell’èra degenerata ed annunciare la venuta del regno di Maitreya, i ribelli Millenariani concepirono l’obiettivo non solo di abbattere il potere secolare e la relativa classe dirigente, ma anche di privare delle loro ricchezze le istituzioni Buddhiste ufficiali e le comunità dei monasteri di monaci e monache.

LA COREA E L’ESTREMO ORIENTE

Tutto ciò che abbiamo detto, suggerisce a malapena le effettive ricchezze e varietà nello spettro multicolore del Buddhismo in Estremo Oriente. Dove potremmo mai collocare il nostro “Buddha Coreano” in tutto ciò? Dove potremmo collocare lo stesso Buddhismo Coreano? La Corea: in mille anni di regia politica, fino ai tempi di T’aego, le tribù rivali e le confederazioni in lotta ribollirono sotto tre regni e, in seguito, sotto uno solo; una società oppressa, dominata da nobili gelosi dei loro stessi discendenti, proprietari terrieri schiavisti e occupati in intrighi di corte; gradi diversi di illiberalità nei riguardi della maggioranza soggiogata, contadini e artigiani vincolati ai loro signori, asserviti a lavori pesanti, alle tasse ed alla cessione dei loro raccolti o prodotti tipici; mercanti sottomessi alle pretese dei potenti che esigevano importazioni di beni di lusso, a cui si doveva provvedere in continuità e che spesso venivano pagati con abbuoni di finte condanne.

La Corea: una storia di aristocratici politici e guerrafondai, costantemente in lotta tra loro, cortigiani contro comandanti militari, monarchia centrale contro aristocratici e nobili di provincia, sovrani decadenti contro potenti generali avversi al trono; nel mezzo di frammentazioni periodiche sotto signorie locali e successive riunificazioni imposte con la forza, interruzioni forzate dei sistemi di governo, insurrezioni popolari intervallate da cambi di potere, con nuovi leaders che venivano alla ribalta dando piccole autonomie alle classi più basse, spesso sotto costrizione.

La Corea: frontiere aperte sul più vasto mondo Asiatico; popoli, idee e tecniche che si spostavano avanti e indietro; collegati intimamente ai popoli delle grandi pianure del nord, sempre sotto l’ombra della Cina; spesso mutuati e tiranneggiati, uniti al mondo costiero ed alle isole grazie al mare; spesso contrapposti a numerose tribù e stati, ben armati e pericolosi, continuamente in guerra; invasi

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ripetutamente da Cinesi, Khitani, Jurcheni, Mongoli e Giapponesi…E qualcuno potrebbe credere che l’Asia antica fosse un luogo paradisiaco e spirituale…

Il Buddhismo, però, non stava galleggiando sul vuoto. La società secolare dell’antica Asia, con le sue lotte croniche e ingiustizie endemiche, non si trovava certamente in un luogo particolarmente “spirituale”; la saggezza e la compassione non ebbero tanta facilità nell’approdare in posti simili… Un realistico senso della storia dell’antica Asia, macchiata di sangue, ci aiuta a vedere il Buddhismo meglio di quanto si immagini; essa ci rende consapevoli delle vere dimensioni del contributo che il Buddhismo (nonché il Taoismo ed il Confucianesimo) ha apportato alla umanizzazione della società civile in quei sanguinari territori.

Il Buddhismo in Corea.

I missionari Buddhisti cominciarono ad arrivare in Corea nel quarto secolo d.C., portando con loro scritture ed immagini sacre. Verso la fine di quel secolo, il Buddhismo fu adottato dalle case reali di Koguryo e Paekche (due dei tre regni Coreani), le quali videro in esso un segno di protezione sovrannaturale per i loro governi. Intorno al 530, il Buddhismo divenne religione di stato, per merito di Silla (il re del terzo regno), il quale successivamente attuò un processo di rafforzamento dello Stato centrale, espandendo il suo potere anche sugli altri due territori. La nobiltà Coreana diventò quindi istruita in particolari testi, quali il Sutra del Re Benevolente, in cui il Buddha affida la cura del Dharma ai sovrani secolari e propone un modello virtuoso di classe dominante.

Come in altre parti dell’Asia, anche in Corea i regnanti cercavano di imbrigliare l’aristocrazia e di incorporarla in un unico stato regio. Essi disegnarono un modello concettuale tratto dal mandala Buddhista, in cui un Buddha principale è dipinto al centro, circondato da un ordine schierato di personaggi secondari. Nell’analogia politica, il monarca prende il posto del Buddha centrale e le autorità aristocratiche locali vengono viste come manifestazioni periferiche del potere centrale. Apparendo come patrocinatori del Santo Dharma, i sovrani intensificarono la loro autorità morale ed il riconoscimento universale. In cambio, i regnanti avrebbero sovvenzionato la costruzione di templi e monasteri nei paesi da loro governati, dedicati alla protezione dei loro regni. I templi avrebbero avuto il ruolo di ramificazioni locali dei templi principali e sarebbero stati quindi inclusi in un sistema nazionale di devozione e di controllo.

Intorno al 500 d.C., il Buddhismo si insediò in Corea in modo permanente. I primi capolavori dell’arte Buddhista Coreana risalgono a questo periodo: immagini di Buddha Shakyamuni e Buddha Maitreya scolpiti nelle rocce delle rupi. Vi furono monaci e monache Coreani che studiarono con fede il Vinaya, cioè il Codice di disciplina monastica. Dotti monaci divennero esperti nell’esposizione dell’insegnamento di certi sutra. Perfino gli ‘hyangga’, sorta di canti e preghiere popolari per ottenere il soccorso divino, cominciarono a prendere una colorazione Buddhista. Cosippure, i concetti della dottrina Buddhista si mescolarono con la tradizione indigena del Nord-Est asiatico, prevalentemente sciamanica, a fini divinatori e curativi.

Il 600 fu un periodo di intensi contatti politici e culturali tra la Corea e la Cina. I monaci Coreani si recavano in Cina per frequentare le scuole della filosofia Buddhista colà più influenti e tornavano poi in Corea come loro rappresentanti. Alcuni famosi esempi sono Uisong, che ricevette gli insegnamenti della scuola Hwa-Yen e Wonchuk, il cui conciso riassunto della filosofia Tien-T’ai divenne poi un classico del Buddhismo Est-asiatico, letto in ogni epoca. Diversi monaci Coreani, così come i loro affini Cinesi, soggiornarono anche in India alla ricerca dei testi sacri originali. Come simbolo della multiforme stabilità del Buddhismo Coreano di quei tempi, vi è la figura di WonHyo (617-686), il quale scrisse commentari e trattati sui sutra più famosi. Inoltre, egli compose alcune opere allo scopo di riconciliare le diverse interpretazioni della filosofia Buddhista, come negazione delle visioni

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faziose e unilaterali. WonHyo fu anche famoso per aver lungamente viaggiato attraverso la Corea, onde promuovere le pratiche della Terra Pura, basate sulla fede e la speranza che, in effetti, stavano già diventando enormemente popolari.

Il Regno di Silla

Il settimo secolo in Corea fu anche un’epoca di decisivi conflitti politici. La Cina era stata riunificata sotto l’Imperatore Wen della dinastia Sui, intorno al 580. Egli era un aristocratico per nascita, politico astuto e grande guerriero, ma anche un devoto protettore del Buddhismo. La riunificazione della Cina significò un regolare pericolo per la Corea. Nei discendenti della seconda generazione, seguendo la logica del bisogno di conquistare nuove terre, accadde che il secondo (e ultimo) imperatore Sui mandasse in rovina il regno intorno al 610; a causa dei suoi ripetuti tentativi di conquistare la Corea e di annetterla al suo dominio. Il regno Coreano del Nord, cioè Koguryo da sempre il più potente dei tre regni, sostenne per primo l’urto di queste invasioni Cinesi. In quel periodo, la guerra significava armate affamate e piene di insaziabile bramosia di provviste e beni di ogni qualità: cibo, combustibili, animali da trasposrto, foraggi, pelli e legname. La guerra significava arruolamento forzato di bravi artigiani; coercizione di massa ai lavori pesanti per tirare, costruire e trasportare fortificazioni, il sequestro di donne, ragazze e bambini. Le armate si muovevano con intere città-mobili di civili al seguito, convogli di bagagli e greggi.

La guerra significava i tanti morti sui campi di battaglia, i massacri delle guarnigioni sottomesse, la caccia agli sbandati dopo lo sbaraglio, truppe moribonde per malattie nei loro campi; significava paesi saccheggiati, razzie, fattorie distrutte, pozzi avvelenati e piantagioni divelte, bestiame macellato per ottenere carne e pellame, persone trascinate in schiavitù o obbligate a fuggire in continuità. Vi furono assassinii di massa, per mezzo di armi, come spade e mazze ferrate, oppure per carestie forzate (naturalmente su scala inferiore rispetto a quanto fu compiuto dai nostri padri e nonni nel ventesimo secolo, o anche a ciò che potrebbe accadere ai giorni nostri, ma sempre in gran numero per il terrore specifico di quei tempi).

Nel 620, in Cina si insediò al potere la dinastia Tang. Nel 645, sotto l’imperatore della seconda generazione, avvenne una nuova invasione di Koguryo (la Corea del Nord). La Cina fu totalmente coinvolta nella rivalità che esisteva tra i tre regni Coreani, al punto di spingerli in guerra tra loro, modificando il proprio appoggio secondo le circostanze e la propria convenienza. Ma il regno Coreano del Sud-Est, governato da Silla, costrinse la Cina a favorire il suo dominio sulla penisola. I sovrani di Silla contrapposero a proprio vantaggio e rivolsero la minaccia Cinese contro gli altri due regni; cosicché nel 660, Silla abbattè entrambi i suoi rivali con l’aiuto Cinese e riuscì ad annettersi i territori di Koguryo e Paekche. Indi, nel 676, sconfisse la stessa forza di invasione Cinese nella Corea Centrale, consolidando così la sua autorità. Come viene ricordato dai libri di storia, fu Silla che unificò la Corea. Tuttavia, questa unificazione fu solo relativa: le vittorie sul campo e la supremazia militare dovettero tradursi anche in un sistema di governo, un sistema sottoposto ad un preesistente mosaico di signorotti locali, detentori di potere e lealtà verso la sovranità centrale.

I sovrani di Silla procedettero in modo classico, dettato dalla logica delle circostanze. Il territorio fu controllato da una rete di guarnigioni stabili e forze strategiche mobili, formate da fedeli sostenitori. Nel 680, il Re decise impietosamente di diminuire l’abituale indipendenza dell’alta nobiltà. Gli aristocratici dei regni sottomessi furono allontanati dalle loro proprietà e deportati nei capoluoghi regionali, ove potevano essere sorvegliati e cooptati per un tempo maggiore. Potenti famiglie locali dovettero inviare i propri membri al servizio del Re nella capitale, in cui furono considerati come ostaggi garanti della fedeltà delle loro rispettive casate. Il territorio nazionale fu diviso in nove regioni, ciascuna con una rappresentanza del governo centrale. I sostenitori del regime furono

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compensati con larghe disponibilità di territori confiscati ai nemici sottomessi. Silla, ovvero la dinastia dominante, e le nobiltà ad essa fedeli divennero estremamente ricche. Nella capitale fu instaurata una Accademia Nazionale Confuciana, aperta ai rampolli della più alta nobiltà, al fine di educarli al ruolo di fedeli ministri del sovrano.

Contrariamente all’apparenza delle idee Confuciane e della burocrazia Cinese, gli strati più elevati della società di Silla, furono intimamente permeati da una idea aristocratica della politica. Essi credevano fermamente che la loro superiore stirpe desse loro il diritto alle posizioni di preminenza e di potere nello stato. Non tutti, comunque, erano d’accordo su quale dei nobili lignaggi fosse il principale; ragion per cui, la continua lotta per il potere e per l’onore era di una importanza vitale. Gli aspiranti alla supremazia dovettero equipaggiarsi di scorte e di vasti territori al fine di appoggiare le loro pretese, con una oculata previsione di connessioni al loro lignaggio e matrimoni ben combinati a corte. Ma, già nel settimo secolo, l’eminente Confuciano Coreano Kangsù riportò l’insegnamento del Saggio alla sua logica conclusione, sostenendo che il talento e la virtù individuali dovessero avere più importanza dell’eredità del rango, quando si fossero eseguiti i doveri ed i compiti dello stato.

La società fu strutturata intorno ad una gerarchia di persone, nate all’interno della stessa. Vasti settori della popolazione rurale erano privi della libertà, costretti a lavorare nelle terre di ricchi nobili latifondisti, sorvegliati da una fitta rete di fattori agricoli, esattori energici e notabili civici. Interi gruppi di popolazioni locali furono ceduti insieme alle terre che lavoravano, come concessione alla nobiltà per il servizio alla corona e, col tempo, queste tenute divennero possedimenti ereditari. Essere un libero contadino, significava dover pagare direttamente ai rappresentanti del Re, anziché agli altri signori. I villici si mettevano a disposizione dei loro anziani capi locali, i quali erano obbligati a sottomettersi alle autorità più elevate.

La sola possibilità di una mobilitazione sociale era una sollevazione popolare, ma la maggioranza del popolo temeva di ribellarsi perché sapeva che una rivoluzione portava più spesso alla rovina che non al miglioramento. Le sottomesse classi sociali locali, nonché quelle ancor più disgraziate degli schiavi, talvolta osavano ribellarsi quando si trovavano con le spalle al muro a causa delle eccessive pretese, o in particolari tempi di straordinaria miseria. Altre volte, invece, a causa degli aperti scontri tra i loro padroni, si auspicavano ch ei cambiamenti di dominio fossero un’occasione per migliorare la loro sorte. Il peggior timore dei liberi coltivatori diretti, o anche della servitù sistemata in maniera accettabile, era di venir allontanati dalle loro case, a causa di guerre o carestie e, quindi, di dover abbandonare il proprio posto nella comunità, cose che infatti puntualmente accadevano.

Per la maggioranza della popolazione comune, la speranza più grande era che i loro padroni potessero essere abbastanza umani nel limitare le loro sanzioni e che si potesse vivere in un periodo di pace e relativa prosperità. Così essi avrebbero potuto eseguire, con una certa sicurezza e prevedibilità, i ruoli loro assegnati e godere dei piaceri domestici della famiglia, vedendo sopravvivere i loro discendenti. E ancora, essi avrebbero potuto così esprimere la loro natura, pur nella ristretta sfera di libertà a loro consentita. Tutto ciò, finché il Buddhismo non aprì loro altre possibilità, come vedremo.

Influenze Confuciane e Buddhiste

Contro questo minaccioso scenario di lotte militari ed oppressione istituzionalizzata, sia le dottrine Confuciane che Buddhiste furono operative nel cercare di promuovere valori più umani all’interno della società. Esse cercarono di distogliere la popolazione dalle regole di una bruta autopreservazione e di guerre scatenate tutti contro tutti; regole così abituali ed usate dappertutto oltre che da una diffusa mentalità di volontà di sottomettere, risentimenti e violente rivalse.

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Nelle opinioni Confuciane, il conflitto sociale ed il caos politico sono segni di una certa negligenza del dovere, da parte delle classi più basse. Gli uomini che comandano si sentono in dovere di sostenere la propria supremazia, ma anche di fungere da guide morali della società. A corte, si dovrà servire il monarca come leali ministri, senza alcun timore di sostenere la verità. Nella propria dimora si dovranno salvaguardare i sottoposti come amorevoli genitori, educando e rendendo prospera e felice la servitù. Se si dovesse eccedere dai limiti del proprio potere, abusando della propria autorità a favore di guadagni personali, il risultato sarebbe la perdita di fedeltà da parte della popolazione e, di conseguenza, un inevitabile disordine.

Come le altre classiche filosofie Cinesi, il Confucianesimo insegnò che il Cielo rimuove il mandato di governo ai capi non idonei. I governanti che alterano e distruggono l’unità della società, perdendo il sostegno del popolo, perdono anche il mandato del Cielo. Diversamente, ogni successo politico verrà prodotto per coloro che comandano con la giusta forza morale, essendo propriamente allineati con il disegno naturale del Cielo, propiziandosi quindi la fedeltà del popolo nel servire il loro reale interesse. Pur se questo, oggi suona come vuoto moralismo, tanto peggio per noi. Fatto sta che molti dei più famosi signori della realpolitik nella storia dell’Est-Asiatico – i fondatori delle dinastie, i grandi ri-unificatori con i loro strateghi e consiglieri – accettarono questo come un fatto concreto, l’assioma basilare della politica.

Quando i maestri Buddhisti divennero guide agli imperatori ed ai re, li esortarono spesso a vivere e governare secondo l’esempio dato dai saggi Re Confuciani. Questi “Re Saggi” furono artefici di un buon ordine sociale: essi governarono con onestà e forza morale, propiziandosi l’amicizia delle menti e dei cuori del popolo. Essi furono modelli leggendari di creatività culturale, pubblica disponibilità e salomonica imparzialità. Quando i “Re Saggi” sceglievano le persone cui affidare il potere, anteponevano sempre la bravura d’animo e le qualificazioni morali al diritto ereditario.

Il Buddhismo, nel suo dilagare attraverso l’antica Asia, si imbatté in profonde ingiustizie sociali e la Corea non fu un’eccezione. Esso si espanse dovunque vi fossero delle situazioni di coercizione e sottomissione, prestabilite e radicate, sopraffazioni etniche, sistemi di caste e tutte le abituali detestabili situazioni di disparità in cui si dilettano gli uomini. Forse è per questo che tutti i grandi maestri Buddhisti, dallo stesso Shakyamuni fino ai patriarchi Zen e della Terra Pura, fecero loro il compito di entrare in confidenza con il popolo in tutti i passaggi della vita, noncuranti delle formali disuguaglianze sociali, appellandosi ad esso in termini di una illuminata natura universale inerente a tutti gli esseri umani. I Buddha ed i Bodhisattva dissero così tante cose, in così tanti modi a così tante differenti persone, coprendo infine così tanti aspetti che, proprio per questo, essi poterono comunicare “ovunque lo stesso Dharma”, in un mondo di diversità autoimposte e autodefinite.

La filosofia Buddhista, specialmente quella letteratura che verte sulla Perfezione della Saggezza (Prajnaparamita), si dilungò esaurientemente sulla qualità di inerenza di tutti i fenomeni e sulla non-sostanzialità di tutte le distinzioni artificiose e non solo delle differenze sociali. Gli ordinari esseri umani sono visti come intrappolati in una ragnatela di false differenziazioni: abitudinarie opinioni, tabù e ruoli convenzionali, distorte percezioni, arbitrarie distinzioni differenziate; queste generano altre reazioni e altri successivi effetti, autoperpetuando una continuata illusione che permane fino alla morte. Il Buddhismo si presenta come un “mezzo abile” per sfuggire a questa trappola, col suo purificare le false percezioni abituali e svelando altre forme di percezione che danno accesso a più vaste realtà. La pratica della meditazione è uno dei metodi per ottenere questo, ma risultati assai vicini sono anche possibili con le pratiche della generosità, del mantenimento della moralità e della disciplina, con l’essere tolleranti, con il conservare e convogliare le energie, nonché con lo sviluppo della saggezza; una saggezza attiva nel mondo, con la quale rimpiazzare la differenziazione dal vero “discernimento”. Nel Buddhismo, la “Saggezza” non è il vago concetto di cui si fa uso ai giorni nostri. Essa significa la “Sapienza dei Buddha”; la saggezza del grande specchio, che avvolge tutte le

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apparenze fenomeniche come immagini racchiuse in uno specchio, la saggezza del conoscere l’intrinseca uguaglianza di tutte le cose, la saggezza dell’osservazione sottile che è in grado di discernere la reale natura di tutti gli eventi e la saggezza di produrre attività in accordo a tutto ciò.

Nella sua teoria, il Buddhismo del Grande Veicolo (Mahayana) va al di là di tutte le mondane distinzioni sociali: esso insegna che ognuno di noi possiede la ‘natura-di-Buddha’ e che tutti, alla fine, saranno liberati. Le scritture classiche Buddhiste, come ad esempio il ”Sutra Hwa-Yen”, illustrano che l’illuminazione può essere trovata all’interno delle nostre proprie occupazioni, ‘pure’ o ‘impure’ che siano, e nella gamma delle circostanze sociali mondane. I grandi maestri della Terra Pura proclamano il loro insegnamento diretto atutti gli strati della popolazione; l’invocazione del nome di Amitabha è stata designata come la più semplice, la più accessibile, porta aperta sul Dharma. I maestri Zen fecero spesso atto di noncuranza e indifferenza verso le convezioni sociali, perfino di quelle degli stessi formalisti Buddhisti. Le più basilari storie Zen contraddissero nettamente le idee convenzionali che legavano il valore religioso allo stato sociale o alla purezza del lignaggio. Una figura preminente della dottrina Zen, capostipite del grande movimento in espansione nell’ottavo secolo, fu il Sesto Patriarca Huineng di Caoqi (morto nel 714 d.C.). Molto riverito nella scuola Ch’an (nome Cinese dello Zen), egli fu nondimeno presentato tradizionalmente come un illetterato autoctono, un taglialegna che si risvegliò al Dharma quando gli accadde di ascoltare il Sutra del Diamante, nel mentre veniva recitato in un mercato in cui era andato per acquistare legna.

Al fine di stimolare il locale orgoglio etnico, i maestri Zen si riferivano al primo Patriarca dello Zen, cioè Bodhidharma, come il “barbaro dalla barba rossa”, o anche il “barbaro dagli occhi blu” e, allo stesso Buddha Shakyamuni, come il “barbaro antico”. Ma, sulla scena del mondo, nemmeno il Buddhismo poté sfuggire di certo alle diseguaglianze sociali dell’Asia antica, né tantomeno azzerarle. Il Buddhismo non fu un movimento che doveva attivare governi democratici nella società e, quindi, non fu visto come idoneo a questo proposito, ma in scala ridotta lo fu, al punto di promuoverne la costituzione nei gruppi autonomi operanti qua e là come entità autonome. Questi gruppi potevano avere motivazioni trascendenti, come nei primitivi Sangha Buddhisti formati da questuanti, oppure nelle autosufficienti comunità di montagna del primitivo Zen. Oppure potevano essere concentrati sull’aspetto sociale della religione, come quelle comunità di fedeli che si sostenevano l’un l’altra durante le vicissitudini della vita e prendevano parte ad un distinto gruppo esistenziale, come nel Buddhismo della Terra Pura o altri gruppi devozionali.

In Corea, come in altre parti dell’Asia, il Buddhismo scese a patti con le preesistenti divisioni della società ed il Buddhismo istituzionalizzato, inevitabilmente, finì per rispecchiarle. Monaci plenipotenziari nelle consolidate istituzioni Buddhiste, badarono ad instaurarsi nei privilegiati ambienti sociali da cui provenivano, vale a dire da famiglie abituate al potere ed al prestigio. Dopo tutto, era la stessa società da cui provenivano i monaci e le monache, all’interno della quale continuavano a vivere i laici, che formava principalmente le loro attitudini. I maestri Buddhisti potevano indirizzare e dirigere tutto ciò, solo in misura limitata. Al massimo, il Buddhismo poteva suggerire una fonte alternativa di autorità, oltre alle sentenze convenzionali della società: cioè, gli atti e le parole degli Adepti illuminati. Costoro, uomini o donne, potevano provenire da qualunque strato sociale ed essere di qualsiasi nazionalità: l’unica vera qualificazione era il conferimento dei pieni poteri del Dharma.

LO ZEN COREANO

Lo Zen, seguendo gli insegnamenti, arrivò ad espandersi come uno di quei ricorrenti movimenti rinnovatori; una sorta di tentativo di allontanarsi dal consueto formalismo e di ridestarsi all’intento

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originale. Dapprima in Cina, poi in Corea ed in Vietnam, indi in Giappone, i maestri Zen apparvero per rammentare agli esseri umani che prendere a cuore il Buddhismo, significava farlo diventare la propria pratica personale, seguendo gli esempi del Buddha e dei maestri del passato, nonché di attestare la realtà del Dharma.

I seguaci dello Zen primigenio, viaggiavano tra templi e monasteri delle antiche comunità Buddhiste, case di molti monaci e monache e nei centri dei laici fedeli, che seguivano le più svariate pratiche, formando gruppi di studio e di particolari rituali. Si tenevano un gran numero di cerimonie ed anche diverse concessioni alle superstizioni emotive. Ma vi era anche tolleranza nel consentire questa varietà di approcci al Buddhismo, dalle forme più superficiali fino a quelle più profonde. Alcuni maestri di questo primitivo Zen, si allontanarono dai monasteri già costituiti per andare ad erigere nuovi templi e nuovi centri, con l’intenzione di dedicarli ad una più rigorosa concezione di vita monastica. Gruppi di ricercatori si raccolsero intorno a questi adepti, attratti dalla loro reputazione e dalla loro saggezza. Talvolta, la presenza di un maestro Zen era così influente per un tempio da far si che, col tempo, esso poté divenire famoso proprio come un importante tempio Zen.

In Cina, dopo diverse generazioni di espansione della trasmissione, lo Zen fu noto dai primi anni del settimo secolo come uno stile di Buddhismo ben distinto, quando l’imperatrice Wu Zetian concesse il suo patrocinio ai maestri Zen, nelle capitali imperiali del Ch’ang e del Lwoyang. Intorno all’800, i centri Zen erano ampiamente proliferanti in tutta la Cina; monaci Vietnamiti e Coreani, dopo un certo periodo di soggiorno in questi Centri, facevano ritorno nelle loro terre di origine, portandosi dietro lo Zen. Nel nono e decimo secolo, lo Zen diventò la forma intellettuale predominante, nei riguardi di tutte le forme di Buddhismo presenti nell’Est-Asiatico. Monumentali opere, come “La Sorgente-Specchio”, apparvero a dimostrazione di una fondamentale armonia dello Zen con i Sutra e con il Buddhismo filosofico, nonché a dimostrazione della logica congiunta alla pratica, della Terra Pura e dello Zen. I detti e le azioni dei maestri Zen divennero famosi e classici “casi pubblici” (kung-an, koan) dal dodicesimo al sedicesimo secolo, ma erano assai popolari già fin dall’ottavo secolo.

Secondo la tradizione, lo Zen in Corea ebbe inizio grazie all’opera di alcuni maestri Coreani che avevano studiato per anni sotto i primi insegnanti Zen Cinesi – in particolare dagli eredi del grande maestro Ma-tsu (morto nel 788). Dai resoconti Cinesi e dai rapporti dei viaggiatori, sembra che i monaci Coreani fossero in realtà visitatori assai familiari dei templi Cinesi, prima ancora dei Giapponesi e degli altri Asiatici del Sud-Est. Racconti Zen fanno menzione di Silla e Champa (a sud del Vietnam) o Silla e Ferghana (ad ovest del deserto Tarim) come opposti termini dei confini del mondo.

I templi Zen riunitisi sotto un sistema detto delle Nove Montagne della Dinastia Silla, furono fondati nel nono secolo; essi sono: 1) il Prezioso Tempio della Foresta (Porim-sa) sul monte Kaji, 2) il Tempio della Realtà (Silsang-sa) sul monte Silsang, 3) il Tempio della Grande Pace (De-an-sa) sul monte Tong-ni, 4) il Tempio della Montagna Ripida (Kulsan-sa) sul monte Sagul, 5) il Tempio Fenice della Foresta (Pongnim-sa) sul monte Pongnim, 6) il Tempio della Pace Fiorente (Hung-nyong-sa) sul monte Lion, 7) il Tempio Fenice della Scogliera (Pongam-sa) sul monte Huiyang, 8) il Tempio della Dimora del Saggio (Songju-sa) sul monte Songju, e infine 9) il Tempio della Grande Illuminazione (Kwangjo-sa) sul monte Sumi. Oggigiorno, soltanto quattro di essi sopravvivono, malgrado ai loro tempi vi fosse stato un grande richiamo di numerosi fedeli e generosi patroni.

Ancora sulla Politica Coreana

La Scuola Zen si stabilizzò in Corea durante il nono secolo, periodo in cui le rivalità negli strati sociali più elevati stavano spaccando a pezzi il sistema governativo di Silla. (Bisogna ricordare che

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anche in Cina, lo Zen divenne stabile e radicato durante un periodo di lotte e di rivolte militari, dal 750 circa al 960; stessa cosa avvenne in Vietnam nel 900 – 1000, ed in Giappone nel 1200 circa al 1350 d.C.).

Nella capitale di Silla, le cricche avverse agli aristocratici lottarono per il controllo del trono ed imposero i loro diritti alla discendenza reale. Nobili di primo piano costituirono per loro proprio conto delle armate di sostegno. Questa era l’epoca dei castellani: uomini forti che si erano stabiliti in città-fortezze come indipendenti sovrani dei loro territori e che si erano enormemente arricchiti con il controllo lungo le coste, dei fiorenti commerci con la Cina ed il Giappone.

Negli ultimi decenni del nono secolo vi furono vaste rivolte contadine e la monarchia Silla fu abbattuta: i capi-regione aumentarono la loro forza, si proclamarono sovrani e combatterono per la supremazia. Venne una generazione di divisioni e intermittenti conflitti armati, conosciuta sui libri di storia come il periodo degli “Ultimi Tre Regni”. Una nuova dinastia riunita emerse a seguito del crescente successo di Wang Kon, un guerriero nato da una modesta famiglia di piccoli notabili di secondo piano e che finì per diventare re dell’ultimo stato di Koguryo, autoproclamandosi poi re supremo dell’intera Koryo (Corea), nel 918. Dal 935, Wang Kon si adoperò per sconfiggere tutti i rimanenti avversari, cosicché il nuovo stato di Koryo fu un regno riunificato rispetto all’aperta situazione bellica del recente passato. Alcuni signori feudali restarono tuttavia ancora in possesso dei loro poteri locali, indipendenti ed intatti, e così Wang Kon usò espedienti di legami matrimoniali per formare alleanze con la maggior parte di essi.

Benché si fosse assicurato il presidio dell’area della vecchia capitale Silla (Seul) con truppe a lui fedeli, Wang Kon trattò con delicatezza la nobiltà di Silla e prese per moglie una discendente della deposta famiglia reale, per fornire al suo nuovo regime qualcosa dell’aura della vecchia nobiltà di Silla. Tra alti e bassi, fu raffazzonato insieme un nuovo sistema di governo, rendendo possibile il ricomporsi delle varie differenze esistenti nei diversi strati della società e spartirsi il potere.

Nel decimo secolo, uno stato unito aveva il significato di uno stato che inviava i suoi rappresentanti a sorvegliare dal centro le province e che, al tempo stesso, apriva dei canali per co-optare il potere locale al servizio dello stato centrale. Al contrario di Silla, Koryo si aprì ad una aristocrazia più estesa nel formare i suoi pubblici ufficiali, nonostante che i nobili eletti fossero sempre un gruppo chiuso ed esclusivo, rimarchevolmente separato dagli altri strati della popolazione.

Malgrado ciò, i maggiori vantaggi si ebbero localmente con l’appartenere all’ambiente militare, benché la maggioranza della popolazione fosse ancor più congelata nella sua condizione sociale stabilita: cioe, liberi contadini, altri numerosissimi contadini sottoposti e molte famiglie obbligate ereditariamente a dover fornire soldati e scherani di basso ceto alle truppe governative.

Il Buddhismo di Koryo

In quegli anni, in Koryo servì un Buddhismo multiforme, e indirizzato a consolare più che ad istruire la sua popolazione. Cosicché circolavano innumerevoli immagini di Maitreya, il Buddha del futuro, destinato a portare armonia e pace nel mondo. Vi erano anche moltissime immagini di Vairochana, l’Illuminato Universale, il Buddha che simboleggiava l’origine dell’Essere, la Realtà Universale che pervade tutte le cose, la rappresentazione della sottostante coesione.

Lo stesso Wang Kon credeva nel Buddhismo, attribuendo ad esso il proprio successo; egli ne divenne il primo patrono nel paese e, ai suoi ordini, furono costruiti molti templi e celebrate fastose cerimonie. Diversi aristocratici di Koryo edificarono piccoli templi privati per le preghiere, nelle loro ricche case di città e nelle loro tenute di campagna. I templi Buddhisti erano classificati secondo la specificità dei residenti e cioè venivano chiamati Soen (Zen), Kyo (seguaci dei Sutra) o altri. Vi erano

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pii donatori che pagavano per far duplicare copie delle Scritture ornate su carta di qualità. I laici spesso offrivano compensi ai monaci e monache per far loro cantare i Sutra e questa, oltre alla effettuazione di rituali, era la mira principale della religiosità (ed anche il primo mezzo di sostentamento) di monaci e monache. I templi Zen delle “Nove Montagne” furono patrocinati generosamente dall’alta nobiltà locale, diventando istituzioni sociali stabili. Furono eretti numerosi “stupa” alla memoria di maestri Zen deceduti. Vi furono anche nobili che vollero diventare monaci o monache, donando parte delle loro ricchezze ai templi in cui intendevano risiedere. Le Fondazioni Buddhiste acquisirono, quindi, enormi possedimenti ed intensi collegamenti con tutta l’aristocrazia.

Il calendario dei riti accentuò i legami tra il Buddhismo e lo stato di Koryo. Ogni due anni si svolgevano grandi cerimonie per invocare l’aiuto sovrannaturale dei Buddha e dei Bodhisattva, come pure di divinità autoctone, intese a favorire la protezione del regno. Le feste di compleanno dei re in carica e dei loro predecessori venivano celebrate con immense assemblee e pubblici banchetti vegetariani. Vi furono raduni popolari in cui si recitavano i Sutra, come ad esempio il Sutra del Re Benevolo, e si pregava allo scopo di una duratura pace sociale. Nel quindicesimo giorno del sesto mese lunare venivano celebrati rituali per commemorare i voti di Bodhisattva assunti dal re. L’anniversario della nascita del Buddha si celebrava nell’ottavo giorno del quarto mese. Preghiere per alleviare i fardelli karmici delle persone defunte venivano recitate in assemblea nel quindicesimo giorno del settimo mese.

Per la maggioranza dei Coreani di qualunque ceto, queste cerimonie solenni erano un aspetto familiare del Buddhismo. I templi erano famosi per l’opulenza delle loro strutture e per la raffinatezza delle loro statue, per lo splendore delle celebrazioni e delle feste e per il gran numero di monaci e monache che si radunavano in queste grandi manifestazioni. L’elite di Koryo era affascinata dalla elevata cultura Song Cinese. Infatti, a quel tempo, la Cina era al centro di un consapevole e sviluppato rigoglio culturale. Stili nuovi nell’arte, nella letteratura, nel pensiero politico e nella filosofia si svilupparono da questa nuova coscienza dell’antica eredità culturale. In Corea, Vietnam e Giappone, ricchi gentiluomini nell’intento di inseguire i loro interessi culturali, guardavano ai modelli Cinesi del Song. Dall’anno 1000 al 1200, le idee Buddhiste e Confuciane acquisirono, i tutti questi paesi, nuove spinte vitali.

Il carattere internazionale dello Zen fu garantito dagli scambi e dai contatti persona-a-persona, nonché da una vasta circolazione delle opere più importanti. Se leggiamo i testi Zen più famosi del 1200, provenienti da Cina, Corea, Vietnam e Giappone, vi si potrà distinguere, aldilà delle locali differenze di idioma e di interpretazione, la profonda unità e uguaglianza di intenti e punti di vista. I linguaggi locali (Ch’an in Cina, Soen in Corea, Thien in Vietnam e Zen in Giappone) variavano e si adeguavano, ma il messaggio restava sempre lo stesso. Vi fu un unico e comune assortimento di Dottrina Zen che i discepoli conobbero in tutte queste nazioni, divenendo tutti maestri dello stesso Zen. Se una differenza poteva essere trovata tra di essi, non era certo nel principio, ma nei particolari metodi che utilizzavano nei loro insegnamenti pratici. Alcuni sottolineavano dispositivi Zen schietti e sicuri, altri mettevano in risalto ulteriori metodi del Buddhismo, come la recita del nome-del-Buddha o altri mantra, oppure la pratica delle visualizzazioni Tantriche. Certuni facevano frequente uso di analisi Buddhiste con prospettive dettagliate sulla meditazione (Dhyana), così come riportate dai Sutra, oppure metodi disgreganti indirizzati allo sviluppo della consapevolezza e dell’esperienza diretta. Altri enfatizzavano metodi esoterici basati su un cameratismo che spingeva verso svariate forme di servizio sociale. Altri ancora usavano esercizi fisici e forme taoiste di lavoro sull’energia, che erano equivalenti Est-asiatici dello Yoga Indiano. Inoltre, anche religioni popolari locali con la loro credenza negli spiriti e nei luoghi mistici di potere misterioso, venivano usate negli insegnamenti dei maestri Zen. In base al principio dei “mezzi abili”, una simile diversificazione era considerata connaturale, oltre che appropriata, al vero insegnamento del Dharma, poiché il fattore unificante era la motivazione, ossia l’intento.

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Dati gli interscambi di quel periodo, tra le varie comunità Buddhiste dell’Est-Asiatico, non può sorprendere il parallelo tra le opere degli esponenti Buddhisti di primo piano del Koryo Coreano e del Song Cinese. È fin troppo facile ritrovare certi punti comuini di riferimento che possono suggerire il campo d’azione del Buddhismo Koryo. Nel 1087, sotto il patrocinio reale, furono intagliate serie complete di tavole lignee stampate, per riprodurre l’intero Canone Buddhista. Ripercorrendo la storia dell’Est Asiatico, si nota che una enorme gamma di materiale Buddhista fu raccolta e preservata con questo tipo di attività, comprendente sia traduzioni delle antiche Scritture Indiane, che opere composte direttamente nelle aree dell’Asia Orientale. Le copie del Canone furono sempre tra le proprietà più apprezzate dai maggiori templi e monasteri Buddhisti.

Il monaco Koryo Uich’on (1055-1101), quarto figlio del re Munjong, studiò intensamente in Cina e ritornò in patria per costituire la scuola Coreana del Chont’ae, basata sulla filosofia Buddhista Cinese del Tien-T’ai (Giapponese: Tendai). Questa scuola attribuisce un valore sistematico che classifica gli insegnamenti scritturali e le meditazioni connesse all’interno di svariati modelli e paragonando, successivamente, questi modelli tra di loro. I suoi schemi sono concettualmente chiari e comprensibili, oltre che giustamente orientati verso la pratica.

Il grande maestro Soen, Chinul (1158-1210) fondò la sua scuola Choghye (così chiamata dal nome del monte di residenza del Sesto Patriarca del Ch’an Hui-neng, Chao-chi o Caoqi in Cinese, Choghye in Coreano), al fine di riunificare le diverse scuole del Soen Coreano. Così come era stato fatto da numerosi adepti Cinesi, Chinul ripropose nei suoi scritti l’armonia di base tra lo Zen e gli insegnamenti scritturali (cioè i Sutra). Egli sottolineò che i discorsi astrusi non potevano sostituire l’esperienza concreta e diretta della realtà. L’opera di Chinul fu magistralmente continuata dal suo discepolo Chin’gak Hyesim (1178-1234). Dai loro scritti risulta chiaro che quei maestri del Soen Coreano ebbero pieno accesso al tesoro ed alla dottrina buddhista, sia Zen che dei Sutra, conosciuta dai loro simili degli altri paesi dell’Est Asiatico.

Nella storia del Buddhismo Koryo, il monaco Kakhun raccolse nel 1215 una collezione di biografie sui più eminenti monaci Coreani, modellata sull’esempio delle biografie che ebebro un ruolo importante nella letteratura Buddhista Cinese. Dopo di lui, il monaco Soen Iryon (1206-1289) scrisse un’opera, in una forma davvero molto bella, dal nome “Storie dai Tre Regni”, in cui raccontò le storie degli antichi Regni Coreani tramite drammi personalizzati, favole leggendarie e racconti popolari. Vi fu anche un libro Cinese con il medesimo titolo e che, ugualmente, rendeva noto un periodo della storia Cinese, altrettanto romanticizzato.

Koryo: Confucianesimo e Potere Politico

Così come vi fu una fiorente espansione del Buddhismo, anche il Confucianesimo guadagnò terreno in Koryo. I Confuciani Coreani del decimo secolo sostenevano che le posizioni nello stato dovessero essere occupate con un criterio di merito ed abilità e non per mero diritto ereditario. Nel 958, il regime istituì un sistema di esami che permettevano agli educati figli delle buone famiglie di ottenere il comando negli uffici governativi. Superando questo tipo di esami, con prove di composizione letteraria e di letteratura e con una combinazione di classici e storia istituzionale, ad essi si aprivano le porte del comando. Il superamento di questi esami richiedeva anni di preparazione e di continue ripetizioni a memoria. La competizione era notevolmente intensa dato che il successo arrecava onore alla propria famiglia e dava grandi opportunità agli stessi ufficiali, facendo ottenere loro prosperità e poteri. Poiché i classici Cinesi, che formavano il curriculum, erano pieni di punti di vista Confuciani, il sistema di esami dava alle famiglie benestanti un motivo pratico per indottrinare i propri figli nel Confucianesimo.

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Mentre i censori Cinesi spesso dichiaravano che gli uomini più idonei sarebbero stati scelti come ufficiali solo se gli esami avessero piuttosto attestato la loro conoscenza pratica nella amministrazione dello Stato, anziché per la mera abilità di collegare insieme, o ripetere a memoria, determinate frasi letterarie. Quest’altro sistema non apriva certo la carriera della burocrazia al talento. Perfino le donne ne venivano categoricamente escluse. Di conseguenza, solo le famiglie più prosperose potevano permettersi il lusso di anni ed anni di istruzione, affinché i loro figli potessero essere in grado di competere con successo. Per di più, in Koryo come nello stesso Song Cinese, gli alti gradi avevano il diritto di estendere la “protezione” ai loro parenti, non appena gli veniva conferito il rango di Ufficiale al superamento del sistema degli esami. Nell’undicesimo secolo, in Koryo vi erano molte accademie Confuciane private, che istruivano i figli della nobiltà. Queste, fondate per ospitare come centri di istruzione Confuciana gli alti ufficiali e gli eruditi, offu8scarono le antiche Accademie Nazionali. L’aristocrazia di Koryo, a causa del suo esporsi alla educazione politica Confuciana, ne ebbe un guadagno in termini di coscienza nazionalistica che sottolineava, da parte della elite, il dovere di diventare guida morale della società, prescrivendo agli appartenenti il ruolo di leali ministri del sovrano.

Malgrado questo sistema di esami e la miglior intenzione dei Confuciani, Koryo restò verosimilmente fedele all’aristocrazia. I personaggi-chiave dello Stato dovevano la loro posizione soprattutto ai collegamenti della loro famiglia ed alla loro abilità nelle guerre e negli intrighi di corte. La politica era dominata dall’ambizione personale degli aristocratici, per nulla disposti a cedere la loro posizione privilegiata a qualcun altro. Per molti di essi, il servizio di Stato, benché pubblico, era considerato una carica più importante di quanto non fosse un possedimento privato, un onore dovuto all’alto censo, o un merito per qualcosa conquistata tramite le guerre. Perciò, il fatto che Koryo si comportasse su linee simili al precedente regime Silla, non dovette costituire una sorpresa. Nel decimo secolo, la dinastia centrale combatté per tre generazioni una vittoriosa ed importante battaglia allo scopo di inglobare l’intero territorio sotto il proprio dominio e di ammansire i locali signorotti trincerati con le loro famiglie. Infine, nell’undicesimo secolo, il potere supremo passò a queste nobili famiglie più in vista che si erano imparentate con la casa reale, prendendo a governare nel nome del re. All’interno della nobiltà, le rivalità si intensificarono nel tentativo di ricercare posizioni ancora più vicine al trono del sovrano.

Koryo fu anche esposto ai pericoli esterni. Le divisioni interne dell’elite Coreana provocarono interventi stranieri. Il regno di Khitan, che governava nella Manciuria, generò una forte pressione militare su Koryo, oltre ad aver tenuto in scacco lo stesso Song in Cina. Dal 990 circa, fino al 1020, la Corea subì tre grandi invasioni dal Khitan. Nel 1030, i sovrani di Koryo intrapresero la costruzione di una muraglia difensiva intorno alla penisola, per difendersi dalle scorrerie Khitan. L’effetto di questo confine difeso fu una tregua precaria. Verso la fine dell’XI° secolo, una nuova confederazione di tribù capitanata dalla nobiltà del popolo Jurchen, insorse contro il Khitan, prendendo il potere. Dopo aver sconfitto il Khitan ed aver assimilato diversi popoli ad esso soggetti, lo Jurchen ottenne una sorprendente vittoria sull’impero Song, occupando la Cina Settentrionale nel 1120. Koryo fu così costretta a riconoscere la sovranità dello Jurchen, il quale impose loro la propria dinastia Jin. Questa umiliante condizione dello Stato di Koryo, aprì la strada ad altri più intensi conflitti nella nobiltà, che provocarono reciproci scontri al fine di consolidare le proprie basi di potere regionale.

La nobiltà era combattuta anche da un antico dilemma. Se il potere centrale diventava troppo forte, esso poteva interferire nei loro interessi locali e pretendere troppe quote nelle tasse locali e nei proventi da lavoro agricolo. Se, invece, il potere centrale era troppo debole, il territorio poteva venir sopraffatto da invasori stranieri. Così, quando il potere centrale cominciò a scricchiolare, i nobili ebbero tutte le opportunità e gli stimoli per aumentare i loro seguaci e la loro base di potere per sostenere, in seguito, lo stato centrale che si era indebolito. In Koryo, questa spirale discendente, ebbe luogo nel XII° secolo. Il punto culminante si raggiunse nel 1170, col tremendo massacro di gran parte

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della nobiltà, che comprendeva gli ufficiali civili dello Stato, da parte dei comandanti militari ribelli delle provincie. Territori e servitù, degli aristocratici più in vista, furono requisiti da questi militari. Nella successiva generazione, vi fu un cambio continuo di generali che si succedettero l’un l’altro per mezzo di eliminazioni e colpi di stato. In tutto il paese, i comandanti militari costituirono armate private diventando supremi sovrani della loro propria zona. Ogni monastero Buddhista prese quindi le armi per difendere le proprie tenute. Vi furono rivolte di servi nelle campagne e insurrezioni di schiavi nelle città.

Secondo un famoso aneddoto, nel 1198 il portavoce degli schiavi che si erano ribellati nella capitale, rigettò totalmente l’idea che soltanto gli aristocratici fossero qualificati per governare: egli dichiarò, e la storia più recente lo conferma, che anche le persone di umili origini potevano aspirare al comando. Così, ancora una volta venne restaurata una parvenza di unità politica, con l’avvento del supremo capo militare Ch’oe Chungon. Il nuovo governante moltiplicò gradualmente le sue forze, insediando rappresentanti del suo regime, al fine di intervenire strategicamente nelle politiche locali e per imbrigliare il potere delle famiglie altolocate. Così come gli ‘Shogun’ in Giappone, Ch’oe mise sul trono la vecchia famiglia reale, in qualità di suoi pupazzi. Gli aristocratici rivali furono decimati o resi vassalli. I più duri capi-nobili, furono cooptati nel regime come comandanti locali. Per acquietare lo scontento e placare i ribelli, a tantissimi prigionieri fu garantito il comune stato di persone libere.

Il regime di Ch’oe ebbe a malapena una generazione di tempo per stabilirsi, prima di venir a sua volta sconvolto da una nuova catastrofe: l’invasione Mongola, la cui organizzazione intesa a conquistare il mondo fu prodotta nel 1206. Da lì a due decenni, i Mongoli conquistarono l’intera Asia Centrale e Settentrionale e furono sul punto di invadere tutta la Cina e l’Iran. Dopo anni di crescenti minaccie, durante i quali i Mongoli distrussero lo stato Jurchen in Manciuria, cominciando anche ad esigere tributi da Koryo, le forze Mongole entrarono in Corea nel 1231. La nobiltà di corte abbandonò la capitale l’anno seguente e, per salvarsi dagli invasori, prese rifugio su un’isola al largo della costa. Per quarant’anni la corte rinunciò al governo politico e passò una vita isolata e senza lussi, mentre sei invasioni Mongole devastarono le vallate che formavano la maggior parte del territorio coltivabile ed abitabile della Corea. Infine, una fazione stabilì una supremazia che rovesciò il dominio di Ch’oe, contrattando la pace con i Mongoli: nel 1270, quel che restava della vecchia nobiltà di corte, accettando la sovranità Mongola, ritornò a Kaesong, la capitale tradizionale di Koryo. I resti delle armate di Ch’oe furono annientati nelle loro basi sulle coste del Sud.

IL PERIODO MONGOLO

Dalla seconda metà del 13° secolo, i grandi Signori Mongoli cambiarono la loro mentalità di predoni e saccheggiatori (che li aveva portati alle recenti conquiste) ed approdarono alla conoscenza dei vantaggi di governi stabili, con i tributi e le tasse che ne derivavano, nonché con i piaceri del vivere come classe dominante. Dopo alcune incertezze e diverse fatiche, le società dei popoli conquistati riuscirono a raggiungere un soddisfacente grado di accordo con i nuovi padroni.

Lo Stato e la Società

Malgrado la dedizione alle forme burocratiche tipiche della Cina, il regime Mongolo nell’Asia Orientale, chiamato dinastia Yuan, rimaneva ancora abbastanza militarizzato nei modi e nella sostanza. Non sembrava essere un vero e proprio stato centralizzato, ma piuttosto una lega di tribù e gruppi occasionalmente predoni, tutti teoricamente subordinati ad un capo supremo, il Gran Khan. Armate multietniche, guidate dai nobili Mongoli, si stabilirono come autorità regionali che, in caso

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di necessità, cooperavano militarmente contro il comune nemico. Nelle loro zone, esse ricevevano a iosa il lavoro dei raccolti, rifornimenti e tributi in natura, da parte delle popolazioni ed erano padroni di suddividere le terre e la servitù come feudi per i loro ufficiali. I vari comandanti regionali Mongoli, erano vincolati l’un l’altro da patti di sangue, oppure stabilivano giuramenti e legami in base alle conquiste effettuate.

Tre capisaldi Mongoli furono stabiliti in Corea: nel Nord-Ovest, nel Nord-Est e lungo le coste Meridionali. L’intera Corea fu inclusa nei territori del “Governo di Zona di Conquista dell’Est” e divenne la base principale per le invasioni Mongole del Giappone nel 1274 e nel 1281. La famiglia reale Koryo fu obbligata ad imparentarsi con la casa regnante Mongola di Khubilai Khan, diventandone un asservito vassallo. La scelta degli eredi reali veniva determinata da intrighi e manovre tra i Grandi Mongoli ed i loro collaborazionisti, fin quando si giunse alla deposizione ed alla destituzione dei regnanti Koryo. Il principe ereditario Koryo dovette risiedere nella cxapitale Mongola in qualità di ostaggio, per consentire l’asservimento e l’obbedienza della casa reale Koryo.

L’elite Mongola era totalmente convinta della propria superiorità ed anche fiduciosa nel fatto che il Cielo garantisse loro il dominio sul mondo. A tal punto che essi classificavano i popoli sottomessi in categorie etniche e secondo il loro grado di accondiscendenza, assegnando di conseguenza obblighi relativi più o meno pesanti. Secondo loro, la conquista dava il diritto di vivere alle spalle dei popoli soggiogati e di carpir loro qualsiasi cosa avessero desiderato: cereali, argento ed oro, tessuti pregiati, giovani uomini e ragazze da rendere schiavi, artigiani per provvedere ai loro propri arsenali ed officine, ecc. Anche se sovrani di un vasto e variegato impero, i Mongoli conservavano il vecchio ideale tribale di una società sottomessa a vincoli di fedeltà personale e diretto soggiogamento. Una nobiltà elitaria di “Amici del Khan” occupava le posizioni più alte e preminenti dello Stato, usufruendo della titolarità di capitani del sistema militare Mongolo ed esercitando il potere supremo civile e militare.

In Corea, i Mongoli governavano con il supporto di settanta o ottanta “grandi collaboratori”, alcuni di autentica nobile origine, altri in qualità di militari ultimi arrivati. Risiedendo nella capitale, questi grandi dignitari usavano il loro potere per ammassare ricchezze e vaste proprietà di terre e servitù, raccogliendo personalmente le rendite. Questi notabili, avendo a fianco le guarnigioni Mongole, erano i veri dominatori del popolo e della nazione Coreana. Ciascuno di loro era al vertice di una rete di più piccoli signorotti, concessionari ed energumeni, che salvaguardavano le loro proprietà allorché si fossero create situazioni nel dover difendere o ampliare la propria posizione politica nella capitale, così da poter sorvegliare da lontano l’operato dei controllori locali, i quali spesso non erano così ligi nel riversare le ricchezze all’elite centrale.

Quando il governo centrale vacillava, l’elevata posizione nello Stato non dava più garanzie all’alta nobiltà, perciò il potere effettivo tendeva a trasferirsi nelle rapaci mani degli energumeni più avidi e più in grado di rischiare; infatti l’alta nobiltà si trovò più spesso ad aver bisogno di questi scherani, che non quest’ultimi ad aver bisogno della nobiltà. Quando lo Stato divenne troppo debole militarmente per il suo ruolo di garante ultimo dell’ordine sociale, i potentati locali cominciarono a pensare prima ai loro interessi personali, a requisire risorse per loro stessi ed a rafforzare il loro potere locale in maniera autonoma ed indipendente. La relativa novità circa l’interesse dei Mongoli ai valori delle civiltà da loro conquistate, lasciò ampio spazio alle loro scelte su chi e che cosa dover proteggere e patrocinare.

Dal punto di vista delle classi sociali elitarie del passato, il dominio Mongolo fu un ricco periodo di nuovi e sconcertanti cambiamenti di mode e di gusti. Presero piede nuovi stili di pittura e di arti drammatiche. Alcuni modi Mongoli di dire e di vestire diventarono di uso comune. I Mongoli offrivano ai popoli sottomessi ranghi da ufficiali, spesso nominando come alti funzionari sostenitori locali che non avevano mai avuto potere sotto le precedenti vecchie gerarchie. Onde far la parte del

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leone nei vari profitti, i nobili Mongoli estesero la loro protezione politica ad associazioni mercantili che erano già fiorenti nell’Asia Centrale. Queste operavano in numerosi mercati e, tramite i domini Mongoli, furono molto più di prima un collegamento tra l’Asia Centrale con l’Asia Orientale e con il mondo Islamico. Per le istituzioni religiose, ansiose di proteggere i loro possedimenti, vi fu una escalation politica al fine di ingraziarsi i nuovi governanti ed attirarsi la loro protezione. Buddhisti, Taoisti, Confuciani (per non parlare di Musulmani, Cristiani, Zoroastriani e diversi altri), tutti offrirono i loro insegnamenti ai nuovi dominatori. Alcuni si accostarono ai nuovi padroni per smaccati motivi egoistici; altri per un senso di servizio verso la comunità; quasi tutti per influenzare i Mongoli verso valori più umanitari.

La Religione nel Periodo Mongolo

Il Taoismo sopravvisse facilmente all’assalto Mongolo: esso aveva la forza della sua organizzazione diffusa, la sua esigenza folcloristica, nonché l’illusione per abbindolare i conquistatori. La tradizione degli adepti Taoisti segreti era viva quanto mai, ancor più ora in cui si era sviluppato il suo prolungato dialogo con lo Zen. Il Taoismo popolare era multiforme ed elastico. I Sacrari delle divinità locali ed i luoghi sacri potevano venir saccheggiati e temporaneamente distrutti, ma la fede popolare e le pratiche devozionali li avrebbero fatti ricostruire al più presto. I conquistatori Mongoli capirono ed accettarono subito la sacralità di queste cose: l’immagine popolare del saggio Taoista, la sua figura misteriosa da mago, non era completamente estranea ai Mongoli che, anch’essi, avevano una propria tradizione di sciamani e mistici contemplativi.

Il Confucianesimo invece, durante la conquista Mongola, si raccolse nelle accademie private Confuciane che resistevano ovunque i locali latifondisti restauravano una sia pur minima stabilità sotto il nuovo dominio straniuero. Dapprima, l’invasione Mongola lasciò i Confuciani fuori dai loro tradizionali ruoli di consulenti politici della monarchia e membri della burocrazia statale. Quindi, i pensatori Confuciani si concentrarono nel mantenere la purezza delle norme culturali nella sfera della privata vita familiare della piccola nobiltà, e nel riaffermare i valori Confuciani alla guida delle comunità locali. Quando i nipoti ed i pronipoti del Gran Khan decisero di adottare le forme di regime Cinesi per la loro dinastia Yuan, al Confucianesimo fu accordata la posizione più preminente. Anche mantenendo in mani Mongole il massimo potere militar-esecutivo, il Regime permise che alcuni alti uffici fossero occupati col vecchio sistema Confuciano di esami.

La scuola Cheng-Zhu del Confucianesimo, nel 1313 divenne il punto di riferimento dell’ortodossia del sistema di esami, (benché i filosofi Cheng-Hao, Cheng-Yi e Zhu-Xi, della dinastia Song, restassero alquanto inorriditi dai modi della dinastia Yuan). Questa ortodossia del Confucianesimo si concretizzò intorno all’idea che le norme sociali Confuciane sono parte integrale del modello di realtà e la sola base possibile per una cultura personale ed un governo civile. Cosicché il Buddhismo fu strenuamente respinto ed avversato da questa scuola, in quanto ritenuto troppo spirituale, amorale ed estraneo a causa delle sue origini straniere. Anche se parecchi Confuciani passavano molto del proprio tempo nelle quiete meditativa e nella contemplazione interiore (così come insegnava appunto il Buddhismo), nella loro filosofia dichiarata si insisteva che Buddhismo e Confucianesimo non avevano nulla in comune. Essi rimproveravano quei Confuciani che avevano accettato un’apertura alle idee Buddhiste e che prospettavano liberi paragoni tra le due religioni.

Il Buddhismo si sviluppò a raggiera nell’Est-Asiatico dominato dai Mongoli. Nel periodo iniziale dell’invasione, i templi Buddhisti con i loro depositi di ricchezze accumulate e con i loro preziosi ornamenti, si presentarono come ovvii bersagli per le armate saccheggiatrici. Infatti, essi furono depredati e bruciati e le comunità monastiche scacciate e disperse. Solo ai maestri molto rinomati per la loro santità, grazie al loro potere di ispirare soggezione e rispetto, fu concessa la possibilità di

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restare appartati ed estraniarsi dai conquistatori guerrafondai. Agli altri capi religiosi, benché avessero la comprensione che il disastro fosse inevitabile, non restò che organizzare dei ritiri per fornire un riparo alla gente in fuga e per salvare ciò che poteva essere salvato.

Una figura esemplare di questo primo periodo di conquiste Mongole fu il laico Buddhista Yelu Chucai, un nobile altolocato della dinastia Jin, che fu anche studente avanzato del principale insegnante Zen della Cina Settentrionale di quel tempo, cioè Wan-song. Destando una enorme impressione al Gran Khan in persona, per la sua lealtà al maestro, che era anche il deposto sovrano Jin, Yelu Chucai fu nominato consigliere politico fidato e prestò la sua opera educando i capi Mongoli nell’adoperare la minor forma distruttiva di sfruttamento delle persone. In questo caso, i suoi mezzi abili furono il convincere i Mongoli che doveva esservi un limite a ciò che in qualsiasi momento, poteva venir preso al popolo e che sarebbe stato assai più vantaggioso governare e tassare l’agricoltura piouttosto che distruggerla.

Quando i Mongoli instaurarono il loro dominio permanente ed impararono di più sulle istituzioni e la fede dei popoli conquistati, essi si esposero maggiormente all’attrazione delle religioni in voga tra di questi. I capisaldi dei condottieri Mongoli ospitarono una moltitudine di delegazioni religiose e di uomini ritenuti santi. Alcuni vennero a proclamare la loro santità ed a cercare di convertire alla loro dottrina i nobili Mongoli. Altri vennero a cercare la protezione del Gran Khan per le loro proprie istituzioni; nonché per confermare il loro diritto ad esistere ed a mantenere le loro proprietà. Alcuni insegnanti religiosi vennero parimenti a corte per la più pericolosa e delicata missione fra tutte: quella di farsi ricevere dal sovrano e dissuaderlo dalla tirannide.

Attraversando velocemente il cuore del vecchio mondo, i nobili Mongoli con i loro seguaci, furono esposti e toccati dalle diverse forme di Buddhismo, nelle varie zone della Cina, Tibet e Corea, dall’Islamismo e dal Cristianesimo Nestoriano in Asia Centrale ed in Iran, ed infine dal Taoismo e Confucianesimo nell’Asia Orientale. Nei primi decenni dell’invasione vi furono alcune apparenti anomalie, quali Mongoli Cristiani in Cina o Mongoli Buddhisti in Iran, ma più avanti essi si indirizzarono a quelle varianti della “Religione Universale” in auge nelle regioni che dominavano, e cioè il Buddhismo in Asia Orientale e l’Islam Musulmano altrove.

Nella terza generazione, durante la seconda metà del 1200, l’impero Mongolo era diviso in quattro zone regionali (Asia Orientale, Asia Centrale, Iran-Medio-Oriente e l’area delle Steppe Pontiche). Nell’Asia Orientale, esso rilevò le forme imperiali Cinesi e divenne quindi l’Impero Yuan. L’Imperatore Yuan, dato che gli si addiceva il titolo di Governatore di “Tutto ciò che era sotto al Cielo”, diventò il più munifico patrono del Buddhismo, del Taoismo e del Confucianesimo. Innumerevoli templi Buddhisti e Taoisti ottennero il patrocinio imperiale. Arrivarono fondi per le locali scuole Confuciane e, quando il regime Mongolo si cinesizzò ancora di più, i consiglieri Confuciani cominciarono ad essere sempre più presenti a corte. Molti templi Buddhisti e Taoisti furono dedicati in special modo alla protezione dello Stato ed alla longevità dei sovrani, con un massiccio impiego di monaci e monache, incaricati di eseguire una incessante continuità di pratiche rituali.

Il Tantra

In quell’epoca, vi era un Buddhismo Tantrico di origine Tibetana, che trovava un particolare favore presso i sostenitori Mongoli. Nel settimo, ottavo e nono secolo, il Buddhismo Tantrico lampeggiò vivacemente attraverso tutta l’Asia: dall’India al Sud-Est-Asiatico fino a Giava; dall’India al Tibet ed all’Asia Centrale e, da entrambe queste vie, fino alla Cina, Corea e Giappone. Dal primitivo impulso, le immagini Tantriche, i canti ed i rituali lasciarono il loro segno sul Buddhismo, in luoghi come il Tibet, la Corea, la Cina ed il Giappone. In tutti questi luoghi, il Tantra prese il posto delle consolidate

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tradizioni indigene rivolte verso la magìa e, sfoggiando i formidabili poteri esoterici in esso contenuti, le immagini avvincenti ed i suoi strabilianti suoni, giocarono un importantissimo ruolo nella prima propagazione del Buddhismo in quelle contrade. Attraverso l’arte, il rituale e le sacre pratiche sessuali, iil Tantra riuscì ad attirare l’attenzione della nobiltà, penetrando nel loro piccolo mondo stilizzato di onori e temperamento, con una serie di concetti ed orientamenti del tutto nuovi.

Il Tantra portò avanti i suoi metodi di pratica secondo il principio che il mondo apparente, la trama intrecciata dell’energia e della materia, è l’espressione della realtà assoluta. Il ricercatore, appropriatamente adeguandosi a certe disposizioni di colori, suoni e raffigurazioni, poteva raggiungere gli stadi più elevati (di questa verità). Gli iniziati Tantrici impararono avisualizzare gli intricati e coloratissimi mandala, che rappresentavano il Cosmo come un complesso di svariati livelli di realtà apparenti e di corrispondenti potenzialità superiori. La saggezza, la compassione ed un numero infinito di poteri mistici vennero “personificati” come delle divinità e furono ritratti nei meravigliosi dipinti dell’arte religiosa. I praticanti Tantrici svolgevano complicati rituali nei quali si identificavano con queste energie personificate e, per mezzo di esse, si immergevano e si rigeneravano nel processo cosmico.

Il Tantra è conosciuto maggiormente per i suoi rituali molto elaborati, i suoi mantra e la sua arte psichedelica, dato che questi fusrono i suoi massimi valori. Ma gli adepti Tantrici del Tibet, e di qualunque altra parte, furono pienamente versati anche nell’intero patrimonio dei Sutra e dei classici filosofici del Buddhismo. Generalmente, costoro dettero origine alla loro vita spirituale con decenni di pratiche basilari, prima di proseguire negli studi Tantrici. Dato che i coloratissimi riti del Tantra e le sue pratiche contraddittorie potevano facilmente venir usate in modo improprio per scopi emozionali o sessuali fini a se stessi, il Tantra da sempre fu ritenuta una tradizione esoterica, i cui profondi segreti sono stati rivelati solamente agli iniziati, i quali si erano sottoposti ad un lungo processo di purificazione e di autentica dedizione.

Il patrocinio Mongolo procurò al Buddhismo tantrico una rinnovata forte diffusione nell’Asia Orientale. Templi di stile Tibetano e Lama importanti per gli insegnamenti si diffusero presto nei maggiori centri del vasto territorio dominato dai Mongoli. Alle cerimonie pubbliche, patrocinate dalla nobiltà Mongola, il popolo poteva osservare i caratteristici abbigliamenti, gli strumenti rituali, altari dipinti ed immagini di puro stile Tantrico Tibetano. Molti rituali popolari Buddhisti dell’Est-Asiatico vennero incorporati con lunghi e complicati canti alla maniera Tantrica. I templi con le loro facciate superbamente ornate e sgargianti, con gli altari riempiti di svariate divinità nelle forme del tardo Buddhismo costruiti vicino ai templi Taoisti, sono ulteriori riflessi di questa infusione Tantrica nell’Asia Orientale nel periodo che va dal 1200 al 1500 circa.

Il Devozionalismo della Terra Pura ed altre forme di Religiosità Laica

La religiosità della Terra Pura era già in auge prima ancora delle irruzioni Mongole. La tendenza alla militarizzazione e la crescente belligeranza erano ormai state avvertite in Cina, Corea e Giappone, tra il dodicesimo ed il tredicesimo secolo. Se in questo mondo le prospettive di vita apparivano senza speranza, se il peso delle negatività accumulate sembrava essere troppo pesante ed il compromesso morale era il prezzo della sopravvivenza, il Buddhismo della Terra Pura tuttavia offriva a ciascuno la salvezza, purché si impegnasse ad invocare, con una vera fede, il nome di Amitabha. Non più dipendenti dai loro individuali e deboli poteri, i fedeli della Terra Pura riponevano la fiducia in Amitabha che garantiva loro la rinascita nei suoi Paradisi. Anche ai livelli mondani più elevati, l’appartenenza ad una associazione della Terra Pura arrecava benefici tangibili ed immediati: una comunità di persone credenti che poteva fare assegnamento sul conforto e l’aiuto reciproco, sul sentimento di mutua collaborazione in qualsiasi luogo si trovasse. I membri della Terra Pura traevano

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guadagno anche dall’incoraggiarsi l’un l’altro nella semplice ma efficace pratica di recitare da soli o insieme il nome-di-Buddha, creando così un atteggiamento di calma concentrazione in luogo dell’ansietà, del timore o di qualunque malessere privo di scopo.

Su un piano di continuità con i gruppi della Terra Pura, vi erano altre associazioni di laici, dedite a vivere secondo il puro e semplice metodo Buddhista. Queste persone volevano assicurarsi i loro propositi karmici tramite una stretta aderenza alle norme Buddhiste. Esse avevano dato origine a diversi gruppi con varie forme e nomi: l’originale ‘Società del Loto Bianco’, fondata in Cina nel 12° secolo, fu una di questi. Più tardi, il termine ‘Religione del Loto Bianco’ fu generalmente applicato a tutti i gruppi popolari Buddhisti (compresi i Millenariani). Nel chiedere un ritorno alla originaria ispirazione del Buddhismo, i gruppi di questo orientamento arrivarono ad assumere una forma anticlericale. Essi condannavano le istituzioni Buddhiste a causa del loro soccombere alla lussuria ed alla avidità. Questi gruppi spirituali laici, in contrasto con il clero corrotto, si dichiaravano vegetariani stretti dato che non infrangevano i divieti alle bevande alcooliche ed alle degenerazioni sessuali, reclamati dallo stesso Buddha. Essi ripudiavano il guadagno egoistico ed i proventi economici, praticando invece l’aiuto vicendevole ed il mutuo soccorso. Essi pensavano che le persone sincere, pur vivendo una vita laica, potevano compiere esse stesse il Sentiero Buddhista senza la guida di monaci o monache non del tutto puri. La motivazione era strettamente aderente alle norme del proprio gruppo religioso, spesso rinforzata da regolari confessioni in pubblico davanti a tutta la comunità.

Benché fortemente moralisti nella loro mente, questi gruppi furono a loro volta regolarmente accusati di immoralità. Come mai? Soprattutto perché essi avevano i loro incontri, ai quali promiscuamente partecipavano sia uomini che donne, e assai spesso permettevano anche alle donne di arrivare a posizioni di comando. “Si incontrano di notte e si lasciano all’alba, uomini e donne mescolati insieme indiscriminatamente” – questa era una delle frasi più usuali che le congreghe ufficiali usarono per condannare come eterodossi i gruppi spirituali popolari. Infatti, nell’antica Asia, per le donne che avevano una personalità indipendente ed anticonvenzionale, uno dei pochi modi per potersi mettere in luce nelle vaste comunità, al di fuori della propria casa, era quello di poter essere riconosciute ‘Insegnanti di Dharma’, capi di culto o medium spirituali, in questi gruppi religiosi popolari.

Molti di questi gruppi avevano a disposizione proprie “scritture” personalizzate: testi che riprendevano lo stile dei Sutra e che rielaboravano il messaggio del Grande Veicolo (Mahayana) al fine di indirizzare le necessità delle loro comunità. Testi di tipo settarioi che di solito enfatizzavano soltanto pochi punti principali, tutti dedicati a tecniche di pratica e ad una visione globale del mondo, in modo da puntare a giustificare le rivelazioni dei loro fondatori. Alcune di queste scritture erano basate sui soliti temi ‘millenariani’ e profetizzavano la venuta di una “nuova era”, confortando le speranze della comunità dei seguaci. Ma le autorità giudicarono tali libri come eretici e sovversivi, finché divenne sovente assai pericoloso venir scoperti in possesso di essi.

Eretiche o no, le comunità religiose popolari sopravvissero non tanto per la fede ed il mito e non solo per i patti di aiuto reciproco e di armonia nella comunità. Esse offrivano ai loro seguaci anche specifiche tecniche spirituali e fisiche, nonché corsi e seminari di pratica. Alcuni gruppi si interessavano della guarigione dalle malattie tramite la fede e l’uso di formule magiche protettive. Alcuni insegnanti erano erboristi e guaritori e facevano appello agli spiriti ed alle forze della natura. Altri evidenziavano tecniche per la circolazione energetica, esercizi terapeutici e massaggi, simili alle pratiche Taoiste. Certi gruppi avviarono sistemi di alloggi notturni ed altre comodità per i viaggiatori. Altri gruppi semplicemente si incontravano con lo scopo di recitare le scritture e per rinvigorire in tal modo le loro menti. Tutti si prendevano cura dei luoghi sacri e delle loro sale per gli incontri, abbellendole e tramandando la loro fede ai propri figli, segnando il tempo con i loro rituali e con una forma di calendario cosmico.

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Le leggende e la relativa cronologia suggeriscono che le tecniche, ora famose in tutto il mondo, dai combattimenti a mano nuda alle altre arti marziali, si svilupparono proprio in questo ambiente. Questi gruppi eterodossi, sotto la minaccia della scomunica e della soppressione, ebbero validi motivi per imparare l’auto-difesa e, quindi, in questa direzione venne sviluppato un lavoro sulle energie fisiche. Secondo la leggenda, le arti marziali nacquero quando parecchi di questi “monaci-proletari”, riunitisi insieme, giurarono e fecero il voto di resistere militarmente contro le ingiuste oppressioni dei corrotti potenti dell’epoca.

I Seguaci Millenariani

L’antica corrente Millenariana del Buddhismo Popolare, ritornò nuovamente in auge durante il contemporaneo dominio Mongolo. Da quel momento, la “Religione del Loto Bianco” fu il termine di riferimento usato nella storiografia ufficiale per tutti quei gruppi Millenariani che predicevano (e predicavano) la venuta di Maitreya e della “Nuova Era” (simbolizzata dal color bianco). Il governatorato Yuan promulgò divieti legali contro questa ‘religione’ nel 1281, 1303 e, dopo un periodo di tolleranza legale di circa una quindicina di anni, ancora nel 1322.

Ovunque fosse possibile, le autorità perquisirono e distrussero i templi del Loto Bianco, assieme alle loro scritture ed alle raffigurazioni sacre. Ma il regime Yuan non ebbe lo stesso successo, di quanto ne ebbe la dinastia Song in Cina, nell’estirpare i gruppi eretici. Questi gruppi eterodossi potevano cambiare nome e forma, essendo in grado di nascondersi dietro innocue facciate. Questo fatto creava molte difficoltà alle autorità, che non potevano distinguerli facilmente dalle obbedienti (e quindi di solito tollerate legalmente) associazioni religiose ufficiali.

Un qualche problema veniva creato anche dall’impatto materiale e mentale della stessa occupazione Mongola. I Mongoli, avendo allontanato i governi istituiti e imposto irregolarmente un nuovo sistema di dominazione, intensificando imprevedibilmente le percentuali di sfruttamento delle popolazioni, ruppero gli spazi dello schema sociale, permettendo ai gruppi Millenariani di divulgarsi e rinsaldarsi. Dopo essersi preparati per molti anni in gran segreto, i gruppi del ‘Loto Bianco’, nel 1350 si sollevarono in armi contro il regime Yuan in tutta la Cina Centrale. Mentre reparti scollegati di comandanti Yuan in alcune città opponevano una forte resistenza e isolate milizie guidate da signorotti locali proteggevano le loro tenute in varie località, vaste aree del territorio caddero sotto il controllo di regimi derivati da movimenti Millenariani. Molti ricchi templi ‘ufficiali’ furono saccheggiati ed i loro monaci defenestrati e portati via. Numerosi proprietari terrieri dovettero fuggire a causa degli attacchi delle armate Millenariane e, per un certo periodo di tempo, dovettero privarsi delle loro proprietà.

Le battaglie si trascinarono in una lotta pluriangolare tra il 1350 ed il 1360: Millenariani contro altri Millenariani rivali, contro i Mongoli superstiti ed i loro alleati Cinesi o altri ancora. Le armate Millenariane, combattendo contro i Mongoli del Nord-Est della Cina, entrarono ripetutamente in Corea nel 1359 e nel 1362, tra la costernazione della insediata locale nobiltà Mongola. Quante più zone divennero attive nel ribellarsi, tanto più le rimanenti forze Yuan restarono isolate nelle postazioni difensive, soltanto tese a preservare le loro residue basi di potere. Durante il corso della guerra, tra le schiere Millenariane emersero alcuni uomini maggiormente portati verso le dinamiche del potere. Capibanda ambiziosi intravidero la logica della collaborazione con le influenti grandi famiglie, stabilite localmente in precedenza; allorché capitò di prelevare risorse dalla società per approntare ed incrementare il potere militare nelle nuove aree annesse, fu assai più facile tassare e soggiogare il preesistente consesso sociale che non arraffare tutto tramite una pianificata rivoluzione sociale o portando scompiglio con la consueta estorsione delle eccedenze. All’inizio, i seguaci

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Millenariani si erano concentrati in alcune località ove presero subito il potere; in queste limitate zone sussistette per un certo tempo un nuovo ordine sociale definito ‘Millenariano’.

Ma quando questi centri della ribellione divennero a turno nuclei di staterelli regionali ed iniziarono ad espandersi al comando dei rivoltosi, soprattutto là dove si univano in lungo ed in largo con i preesistenti simpatizzanti clandestini, i Millenariani ufficiali furono costretti ad essere comunque una minoranza, in questi vasti territori. Benché questi Millenariani rivoluzionari giocassero un ruolo cruciale nella disfatta del regime Mongolo, in Cina ed altrove, le loro lotte non introdussero affatto quell’era di Maitreya a cui si rifacevano. Quando l’effetto della loro ultima vittoria si estinse, l’ex contadino Zhu Yuanzhang, fondatore della nuova dinastia Ming, decise pubblicamente di ripudiare il suo ‘background’ Millenariano. Una volta al potere, egli denunciò e dichiarò ancora una volta illegale la “Religione del Loto Bianco”, con tutte le sue aderenze e diramazioni. I gruppi che persistevano nella loro fede sulla venuta di Maitreya, furono perseguiti con l’accusa di essere una minaccia per l’ordine costituito e, dove possibile, fatti sciogliere con la forza. Così, la tradizione Millenariana divenne nuovamente clandestina.

Esiste un rapporto su questi sconvolgenti avvenimenti, scritto da Chushi (1298-1369) il quale fu proprio un contemporaneo di T’aego e anch’egli appartenente alla scuola Zen. Inoltre, egli fu un importante maestro di Zen della Cina Meridionale, durante gli ultimi decenni della dinastia Yuan e famoso insegnante nella Congregazione in cui studiavano gentiluomini Cinesi, Coreani e Giapponesi. Così Chushi si espresse, descrivendo ad alcuni monaci i recenti disastri del suo tempo:

<Quando i tempi sono come questo in cui viviamo, dove potrebbero esservi <fratelli, intenzionati al Sentiero, che vogliano deporre i loro fardelli? Per quale <motivo sono stati finora cercati tutti questi Centri di insegnamento Buddhista?

<Forse perché voi ed i vostri compagni di Dharma compaesani, possiate fare <programmi per le vostre pance e nutrire così la vostra ignoranza? Forse perché <voi possiate formare dei gruppi eretici e creare così infinito karma infernale?

<Se voi vi allontanate dal ‘Buddhadharma’ e dal Sentiero Zen, non sapete che <quando arriveranno i risultati delle vostre azioni non sarete in grado di evitarli, <così che nessuno potrà prendere il vostro posto tra i tormenti dell’Inferno!

<In questi giorni, dopo lo scoppio della rivolta armata, a stento rimangono solo <pochi grandi templi ufficialmente riconosciuti. Perché accade tutto ciò?

<Perché la serie del male si è completata ed i frutti del karma stanno <maturando. Tutto questo è auto-generato ed auto-accettato. A chi altri vorreste <addebitarne la colpa?

<Quando i Buddha ed i Maestri Zen vi imposero di lasciare la vostra casa, non è <stato affinché voi vi foste riempiti di cibo, vestiario, reputazione e profitto! Ma <al solo scopo di risolvere il grande problema della nascita e della morte, dato <che l’impermanenza è rapida e veloce!

<Cercate, dunque, maestri illuminati e frequentate amici spirituali: studiate <coscienziosamente affinché possiate arrivare alla chiara comprensione. Con una <esplosione di potenza, sarete in grado di diventare dei Buddha! In questo modo <potrete ripagare la profonda gentilezza e benevolenza dei vostri genitori e dei <vostri maestri, ripromettendovi di salvare le persone del mondo.

<Se non agirete così, per quale motivo allora avreste abbandonato la vostra casa?

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Lo Zen dell’epoca Mongola

Lo Zen, come presenza istituzionale, non poteva sfuggire al trambusto seguito alla dominazione Mongola. Durante la prima delle invasioni Mongole effettuate nella Cina Settentrionale e Corea, dal 1230 al 1250, le Istituzioni Zen patirono parecchio insieme agli altri templi e monasteri Buddhisti e Taoisti. Monaci e monache fuggirono e dovettero disperdersi tra la popolazione, abbandonando le loro sistemazioni in ambito istituzionale. In Corea, le distruzioni furono così pesanti, che solo pochi frammentari documenti restano dei maestri principali del Buddhismo Coreano di quel periodo, che va da Ch’ingak (morto nel 1234) a T’aego (morto nel 1381). Diversi templi ad orientamento mondano, dato che si erano anch’essi armati, divennero in maniera naturale, particolari e precisi bersagli delle scorrerie militari Mongole. In generale, le ricchezze accumulate furono depredate e confiscati i possedimenti derivanti da entrate; i donatori persero le loro posizioni preminenti fuggendo via ed intere congregazioni di monaci e monache furono disperse e molti di essi, fatti prigionieri.

Un’altra generazione trascorse prima della conquista della Cina Meridionale (circa nel 1279). Durante questo tempo, i Mongoli impararono ad apprezzare, e comunque a rispettare, la santità del Buddhismo, oltre ad una certa familiarità coi metodi di governo Cinesi. La grande concentrazione di centri Zen nel Sud-Est della Cina fu quindi risparmiata da una gratuita distruzione. Come l’intero impero Song del Sud, così ogni altra cosa fu praticamente ottenuta indenne e catturata senza colpo ferire, dalla grande offensiva di Kubilai Khan, il quale accorpò il Sud-Est col Nord-Est della Cina e, successivamente, con il Nord-Ovest ed il Sud-Ovest. I viaggiatori Zen, nel 13° e 14° secolo, continuarono a muoversi avanti e indietro tra la Cina, Corea, Giappone e Viet-nam: le comunicazioni via-mare e via-terra raggiunsero un nuovo ed insuperato culmine. Le principali tendenze, caratteristiche dello Zen, del periodo Yuan, erano presenti già prima della venuta dei Mongoli e, probabilmente, erano dovute più a fattori intrinseci della storia del Buddhismo che alla invasione stessa.

Già dall’anno 1200, la letteratura Zen si era arricchita ed incrementata in modo assai complesso. I detti e le azioni dei primitivi maestri erano diventati “casi pubblici” per la meditazione e lo studio; inoltre vi erano in circolazione molte famose collezioni che raccoglievano serie di “casi”, con suggerimenti, commentari, morbidi versi, bruschi giudizi o anche commenti su altri precedenti famosi commenti. L’originalità pungente, la varietà degli stati d’animo, le piccanti metafore e la stratificata profondità dei significati evidenti in questa letteratura, ebbero una impressionante consonanza nella cultura dell’alta società. Alcune persone, però, non capirono la bellezza e la sottigliezza della cosa in sé e si dilettarono in una vera e propria “sindrome complicativa”, cioè, come è stato detto, “aggiungendo ghiaccio alla neve”. In tal modo, la tradizione dei “casi pubblici” (Cin. kung-an, Giapp. koan), nonché la meditazione sui detti Zen, divennero ancor più “auto-referenziali” e profondamente intrise di ulteriori ramificati commentari.

Quando gli stili dell’espressività Zen furono perseguiti per ragioni estetiche, come espressioni o giocattoli intellettuali, con l’intento di puntare sulla novità o sul significato scioccante di per sé, l’originaria motivazione e l’efficacia spirituale andarono perdute. Gli adepti Zen rimproveravano spesso i loro contemporanei per ciò che fu chiamato “lo Zen sfiorato con le labbra”. Essi schernivano lo stile personale degli insegnanti e dei ricercatori, che si scambiavano frasi Zen senza senso, nell’intento di crearsi un alone di saggezza e di mistero… Imparando a memoria i “detti”, rivaleggiando nel coniare nuove metafore e applicando meccanicisticamente frammenti di metodi classici, falsi maestri e improvvidi studenti, inadatti a distinguere la differenza, scalzavano distrattamente il vero Zen e lo trasformavano in un “pseudo-Zen”. Ogniqualvolta lo Zen ebbe un posto stabilito nella società ed un’immagine consueta nella cultura, c’era sempre la possibilità di questo tipo di degenerazioni.

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E come si adattarono, i maestri genuini, a questa situazione? Semplicemente riproponendo e rievidenziando quello che era il vero e pratico orientamento dello Zen. Furono nuovamente stampati e fatti ampiamente circolare i manuali classici Zen della disciplina. Si sottolineò ancor più la complementarietà dello Zen con gli insegnamenti scritti. I maestri dissero ai loro ascoltatori che l’intenzione di studiare lo Zen, senza conoscere i Sutra e la filosofia Buddhista, era tanto inutile quanto difficile da imparare, come se uno volesse correre senza prima imparare a camminare. Uno dei metodi prevalenti era di integrare la pratica della Terra Pura con la visione e la meditazione Zen. I maestri Zen raccomandarono la recitazione del nome-di-Buddha, al fine di rendere adatte le persone a divenire consapevoli della propria Buddhità. Con la mente concentrata al suono del nome-di-Buddha, si affievolivano le attività mentali estranee, come l’ansietà, le preoccupazioni ed i desideri oziosi.

La “Terra Pura” è la purezza della mente inerente, la nostra natura di Buddha, che emerge alla luce, quando la mente abituale di tutti i giorni si è acquietata e purificata per mezzo della recitazione del “nome-di-Buddha”. I maestri Zen enfatizzarono che il metodo della Terra Pura doveva essere eseguito con motivata dedizione e senza interruzioni. Era loro opinione che una miscela di fantasticherie unita all’attaccamento ed ai pensieri impuri, hanno l’effetto di bloccare l’efficacia della recita del santo nome-di-Buddha. Lo scopo di recitare il santo nome veniva sorretto dal consistente ricordo del Buddha, cioè dalla consapevolezza del Buddha, che in definitiva, significa rammentare la nostra vera identità. “La Terra Pura è il reame puro della mente inerente e Amitabha Buddha è la intrinseca natura illuminata della mente”.

Un altro adattamento dello stile Zen alla pratica della Terra Pura è stato il seguente: dopo aver imparato ad invocare stabilmente Amitabha, la persona, intensamente recitando il nome-di Buddha, si pone in contemplazione della domanda interna: “Chi è che sta recitando il nome del Buddha?”. Questo è diventato uno dei kung-an maggiormente utilizzati nell’epoca Yuan ed era il simbolo della fusione dello Zen con la Terra Pura. I maestri Zen del periodo Yuan ripudiavano lo Zen “solo-verbale” cioè quello “sfiorato con le labbra”, però non avevano ragione di rigettare la ricac eredità di insegnamenti verbali lasciati dai loro predecessori. Essi indicarono che gli originari detti-Zen non erano creazioni fatte a casaccio, ma riflettevano la logica del compito dell’illuminazione, già disegnata dai Sutra. C’era comunque da aspettarsi che i buoni insegnamenti sarebbero stati mal usati e che inevitabilmente sarebbero sorte delle imitazioni spurie. Cosicché essi continuarono l’antica tradizione di discorrere anch’essi di Zen parlato, sapendo però chiaramente che le vere espressioni Zen sarebbero potute arrivare soltanto dalla reale esperienza diretta; se anche solo una cosa fosse mancata a ciò, per l’autentico occhio illuminato sarebbe stata soltanto una banale e ovvia imitazione artificiosa.

I maestri Zen del periodo Yuan diressero nuovamente l’attenzione dei loro discepoli verso gli esempi dei primitivi maestri, non verso le frasi che destavano impressione bensì verso la motivazione, facendo scoprire loro che “conoscere lo Zen” era diventato piuttosto un malinteso, un insieme di stereotipi che li bloccava e li congelava, anziché guidarli direttamente alla Liberazione. Perciò, gli adepti dell’epoca si specializzarono nel demolire le interpretazioni “standard” e nell’utilizzare questi detti classici, “di traverso” o “al contrario”. Essi sbeffeggiavano quegli “esperti-Zen autocostruiti” che sembrava avessero una solida padronanza di conoscenza verbale, ma che erano impotenti nelel situazioni reali. Gli adepti dicevano che queste persone non avevano mai neanche supposto gli stati di esperienza che si trovavano dietro alle frasi ed ai testi con cui esse si trastullavano o facevano diventare oggetti di culto. Per coloro che cercavano l’autorità dei classici Zen, i veri maestri mettevano in evidenza ancora una volta il meno noto, ma più efficace, insegnamento discorsivo dei grandi maestri Zen del passato, con le trascrizioni delle loro lettere e delle loro conversazioni. Vennero riunite insieme delle raccolte che presentavano la situazione degli insegnamenti di quei tempi, con i più dettagliati commenti dei maestri del tempo, sui modelli psicologici e sui problemi

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contemporanei. Queste raccolte, insieme a lettere e registrazioni di discorsi pubblici, furono riunite, stampate e fatte circolare.

Attraverso tali mezzi, i maestri Zen del 13° e 14° secolo, operarono per perpetuare la loro tradizione di saggezza, che doveva poi diventare così rigogliosa, pur con i suoi strascichi di opinioni, teorie, sofismi e giochi di parole. Sapendo che i detti-Zen non erano semplici indovinelli, intesi a divertire, sbalordire o stuzzicare l’immaginazione intellettuale, questi maestri continuarono ad esporli usandoli come strumenti per aiutare a raffinare la mente, per modificare le abitudini ordinarie e gli errori di percezione, per spingere le persone oltre la pietà religiosa o la speranza di vantaggi, per tracciare i livelli del progresso, per illustrare i momenti dell’insegnamento e, infine, per tracciare una mappa della realtà. Tali delicati strumenti potevano veramente essere operativi soltanto in mano a persone capaci. Molti maestri del periodo Yuan erano soliti rivolgere discorsi molto diretti, usando un linguaggio colloquiale, schietto e immediatamente accessibile alle metafore.

Vi sono molti precedenti su questo approccio casareccio degli antichi maestri Zen, dato che il linguaggio colloquiale era una prassi anche nella letteratura classica. Tuttavia, nel periodo Mongolo, tra le varie branche della cultura, emerse un tipo di linguaggio ancor più colloquiale. In quel periodo Yuan, come durante tutta la storia dello Zen, i princìpi di più vasta portata del Buddhismo venivano resi comprensibili associandoli a figure di simboli a tinte forti, con un linguaggio di base che rese difficile evitare le loro implicazioni personali.

Quando il quattordicesimo secolo fu quasi al termine, lo Zen “solo-verbale” proliferò, con le sue fantasticherie ed i suoi incomprensibili guazzabugli. Gli adepti brontolarono che il vero Zen era stato soppiantato da false e volgari imitazioni, che il puro giardino dello Zen era diventato straboccante di erbacce. In effetti, avvenen che si moltiplicarono insegnanti che falsificavano lo Zen, reclamando diritti sulla loro appartenennza agli antichi lignaggi mistici. Ed allora i veri maestri tesero ancor più verso un più chiaro linguaggio, rifacendosi alle memorie di base nei loro discorsi pubblici. Essi non enfatizzavano le loro credenziali del lignaggio; per essi, l’unico criterio era il vero conseguimento, così come era stato stabilito dai saggi istruttori Buddhisti di ogni epoca: conoscenza pratica autonoma, “saggezza-senza-maestro”, esperienza diretta della realtà testimoniata dai Buddha e, infine, il ritorno alla vera sorgente.

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PARTE SECONDA

LA VITA DI T’AEGO

T’aego fu un insigne maestro Zen, nella Koryo (Corea) del 14° secolo; il Maestro Nazionale, l’uomo dal quale pretendono di discendere principalmente tutti i lignaggi attuali dello Zen Coreano. Egli nacque nel 1301 e morì nel 1382, dopo decenni di lavoro per la causa del Dharma. Egli visse come un leader religioso famoso, durante il turbolento periodo in cui, nell’Asia Orientale, venne abbattuto il cosmopolita ma oppressivo regime Mongolo ed in cui nuovi regimi emersero dopo decenni di tentativi e di lotte. La sua, fu l’epoca in cui in tutto il vecchio mondo presero piede le armi da fuoco. T’aego si consegnò assai presto alla vita Buddhista e per anni visse le attività proprie del suo ruolo come giovane ricercatore che praticava la disciplina, effettuando viaggi nei vari centri Buddhisti alla ricerca di saggezza; poi, come mistico consacrato che si avvicinò alla saggezza, mediante la intensa rigidezza di un sentiero di pratica personale; infine, come maturo insegnante che andava di qua e di là per guidare le persone ed aiutare il loro sviluppo.

Intorno ai cinquant’anni, T’aego divenne una personalità nazionale; venne invitato nella capitale e ricercato dal re e dall’alta società, benché queste situazioni fossero piuttosto instabili; prima fu onorato, poi mandato in esilio e, quindi, nuovamente onorato. La “Biografia” di T’aego è alquanto deludente, così come quella di molte altre biografie Zen che, generalmente, menzionano soltanto i momenti-clou dei primi anni di vita di un maestro e raccontano gli avvenimenti riassuntivi della sua ricerca dell’Illuminazione, senza scendere troppo nei particolari. Le storie degli Illuminati registrano solo l’apice del loro lungo processo di sforzi. Il punto centrale delle biografie Zen è solitamente rivolto alle attività del maestro dopo la sua Illuminazione, quando egli viene presentato al mondo come un maestro. Qui, però, possono essere testimoniati anche soltanto pochi aneddoti, per indicare decenni di insegnamento. Talvolta, come in questo caso, vi sono raccolte di detti registrati che danno una visione più pregnante dello stile di insegnamento di un maestro. Ma anche questo, a paragone di tutto ciò che il maestro può aver detto o fatto, è come un pugno di foglie estratto come emblema di tutti gli alberi della foresta.

Leggendo questi brevi, nudi resoconti delle imprese spirituali di maestri Zen, si potrebbe essere tentati di immaginare che queste persone non abbiano mai avuto difficoltà e che per essi l’illuminazione sia venuta assai facilmente. Però, questo vorrebbe dire interpretar male le loro storie. Le biografie Zen raramente si soffermano sulle fragilità umane dei maestri Zen, perché questo aspetto viene dato per scontato. La parte significativa delle storie, per la scuola Zen, era il modo in cui gli adepti superavano i limiti fondamentali dell’ignoranza, dell’aggressività e del desiderio e come, in seguito, li eliminavano. Un detto classico ammonisce contro la falsa immagine del maestro Zen come un superuomo: “Tutti conoscono i risultati che arrivano con l’età, ma nessuno vede i cavalli che hanno faticato, nel passato”.

La Biografia di T’aego dice molto poco sui primi anni della sua vita, se non nel contesto Buddhista. Egli nacque nel 1301 a Kwangju, nella Corea del Sud. A tredici anni fu ordinato monaco ed iniziò i suoi studi. Nel successivo decennio viaggiò attraverso la Corea, visitando templi e luoghi di ritiro per cercare maestri. Dopo i vent’anni, iniziò a meditare sul koan Zen: “Miliardi di cose ritornano all’Uno, ed a cosa ritorna l’Uno?”. Egli portò avanti questa meditazione finché a trentadue anni fu illuminato. Cinque anni più tardi, mentre stava contemplando la meditazione Zen sul koan: “MU!”, arrivò la Grande Illuminazione decisiva (la meditazione di questo koan rammenta la risposta di Chao-Chou al monaco che gli aveva chiesto se un cane avesse la natura-di-Buddha).

Di solito, in queste biografie, si ha una limitata lista di punti-chiave, ma non una cronaca della vita in senso secolare. T’aego dovrebbe aver avuto origini da una devota famiglia Buddhista, per aver

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preso l’ordinazione da monaco in così giovane età, oppure doveva esser nato con una predisposizione karmica verso la religione. Viaggiare in cerca di maestri Zen era normale procedura per un giovane monaco: c’era la speranza di incontrare in carne ed ossa un rappresentante del Dharma, che poteva mostrargli la via per vivere da degno uomo (repressioni sociali impedivano forzatamente alle donne erranti di avvicinarsi in massa al sentiero Zen). L’abitudine di viaggiare per i vari centri Zen era un modo di istituzionalizzare l’idea che il formalismo e l’apprendimento meccanico non fossero sufficienti, mentre invece era necessario un lavoro effettivo sotto la guida di un effettivo esperto.

La storia dell’Illuminazione di T’aego si accentra sul suo lavoro meditativo con i due koan Zen, però dai suoi scritti possiamo essere sicuri che egli effettuò un profondo studio delle scritture e della filosofia Buddhiste, nonché delle nozioni Zen, come un tutt’uno. I dettagli di come egli incontrò il Sentiero e di come realmente praticò nei suoi primi anni non vennero registrati: il documento dice solo che egli meditò sui koan Zen. Questo metodo era già in uso nella scuola Zen da secoli e molti famosi maestri ne avevano parlato. Le lezioni appropriate su questo soggetto vengono trattate più avanti (vedi Racconti da 12 a 16). In questo metodo, la persona mantiene la sua attenzione sui koan usati come punto di riferimento della meditazione e, con continuità, impara a custodire la stessa con maggiore assiduità e consistenza. Gradualmente, la mente del meditante si fonde col punto cruciale della pratica di meditazione e si apre al suo messaggio. I koan (detti Zen) sono ritenuti concisi codici che aprono una finestra sulla percezione illuminata.

I punti meditativi qui usati sono i “casi-pubblici” dello Zen, che possono presentarsi sotto forma di brevi detti, proposizioni filosofiche, scenette interattive o brevi dialoghi. Durante il tempo che la persona mantiene il contatto con il “caso”, gli strati del significato in esso contenuti vengono chiamati ad interagire con la sua mente concettuale e con l’abituale intelaiatura di riferimento, fino a sciogliere la presa sulla mente, permettendo all’esperienza della persona una più ampia e sincera visione della realtà. Gradualmente, motivazioni concettuali e modelli comportamentali vengono a riadattarsi finché, all’improvviso, la persona un giorno comincia a vedere nello stesso modo in cui vede un Buddha. Secondo la descrizione tradizionale e giudicando dall’evidenza delle scritture degli stessi adepti, questo fu quanto successe a T’aego, come a molti altri della scuola Zen. E com’è il modo in cui vedrebbe un Buddha? La scuola Zen risponde: poiché essi lo riferirono a noi attraverso le scritture, così anche i classici Zen lo riferiscono. Un qualsiasi meditante che sperimenti un qualche progresso o una profonda intuizione, potrebbe rivolgersi ad essi per averne una conferma. Questi insegnamenti furono assai venerati come deposito delle intuizioni illuminate dei più illustri predecessori, nonché una sorta di mappa spirituale ed una guida per gli apprendisti.

Tre anni dopo la sua illuminazione finale, all’età di quarant’anni, T’aego si recò al Tempio Chunghung sulla Montagna dai Tre Spigoli ad Hanyang (l’attuale Seul) e cominciò a dare i suoi insegnamenti agli studenti di Buddhismo, che erano qui convenuti, diventando così assai famoso come maestro. Nel 1346, T’aego si mise in viaggio per la Cina. Arrivò quindi alla grande Capitale Imperiale della dinastia Yuan (la odierna Pechino) e, nel 1347, si diresse a sud per parlare con i maestri Zen del luogo. Era sua intenzione far visita al noto maestro Zhu Yuan ma, dato che questi morì poco prima del suo arrivo, andò da un altro eminente esperto Zen, Shiwu. Quando T’aego gli mostrò i suoi scritti, Shiwu fu fortemente impressionato e lo interrogò attentamente (con molta probabilità il metodo di comunicazione tra di loro fu il Cinese scritto). Shiwu disse: “Poiché sicuramente tu hai già oltrepassato questo reame, saprai che vi è anche la barriera dei maestri ancestrali…”. T’aego chiese: “Quale barriera?”. Shiwu disse: “Per quello che hai raggiunto, il tuo lavoro meditativo è corretto e la tua percezione è chiara. Nondimeno dovresti abbandonare ogni singola briciola di esso, altrimenti diventerà un impedimento alla verità e bloccherà la tua corretta percezione”.

T’aego disse: “L’ho già abbandonata molto tempo fa”. Shiwu disse: “ E allora, per ora, fermati”.

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Il giorno seguente T’aego si recò da Shiwu, presentandosi con un contegno del tutto formale. Shiwu disse: “Da Buddha a Buddha, da maestro illuminato a maestro illuminato, proprio essi hanno tutti trasmesso la Mente: non vi è nessun altro Dharma! Non appena vi è una briciola di Illuminazione, se pensi che essa sia reale, sprofondi in una luce riflessa e, di nuovo, pensi di condurre una normale vita ordinaria. Avendo visto che questo è un difetto umano, che le persone sono impotenti a trattare, fin dall’antichità tutti i maestri illuminati, per impedirlo, hanno perciò eretto una barriera che li insedia nel reame della pura equanimità. Se realmente tu sei penetrato attraverso di essa, allora tutto quanto diventa un espediente già superato!”

Qui, Shiwu sta indicando il pericolo del cosiddetto “traguardo” o “salita sulla cima del palo”, l’infatuazione verso l’aspetto puro e vero della realtà, comodamente sistemati nella propria pace, quiete e beatitudine, anziché far sorgere il desiderio di ritornare nel mondo samsarico come ‘bodhisattva’. Dal punto di vista di un ricercatore, il “reame della pura equanimità” può sembrare quasi un raggiungimento supremo; per l’adepto che già vi dimora, però, esso appare come una barriera da dover superare. Nel Buddhismo, la completa Illuminazione significa che né i reami puri né quelli impuri devono presentarsi come impedimenti, e né devono provocare attaccamenti.

Shiwu continuò: “Ma, in una terra senza persone (che ti guidino), come puoi in modo chiaro scorgere il bivio giusto sul cammino?”. T’aego replicò: “Beh, il modo c’è… e sta tutto negli insegnamenti-espediente impartiti dai Buddha e dagli antenati illuminati!”. Shiwu disse: “Esatto! Se tu non avessi piantato una corretta base per l’illuminazione, nelle vite precedenti, ora saresti intrappolato anche tu nella rete delle false illusioni. Benché io viva qui, in questa remota montagna, sono continuamente nella condizione di mostrare la porta degli antenati Zen. Da tantissimo tempo stavo aspettando un discendente come te”.

T’aego replicò: “Un buon amico illuminato come te è difficile da incontrare, perfino durante lunghi ed interminabili periodi di tempo. Ti prometto che non lascerò mai più il tuo fianco!”. Shiwu, gli confessò: “Anch’io vorrei stare con te ad assaporare questa quieta solitudine ma, se stessimo troppo a lungo insieme, dopo potrei provare dispiacere quando tu dovessi andartene e questo sarebbe deleterio per il Dharma. Allora, è meglio se rimani qui a parlare per un mese e mezzo circa e poi tu te ne vada via!”. I bodhisattva non indulgono nel loro diletto verso i frutti dell’Illuminazione, ma hanno un dovere verso il Dharma: devono tornare tra i non-illuminati per divulgare proprio l’insegnamento per l’illuminazione e, quindi, ripagare così la “benevolenza” degli altri illuminati che mostrarono loro la Via.

L’incontro tra T’aego e Shiwu è l’episodio più dettagliato di questa biografia, dato che il loro incontro fu carico di profondi significati per la scuola Zen. I vincoli del reciproco rispetto tra Shiwu e T’aego, come compagni di Dharma, si possono meglio osservare nelle lettere che si scambiarono e che sono state tradotte più avanti (vedi riferimenti da 128 a 130). Shiwu considerò T’aego, che era più giovane di lui di circa trent’anni, come un liberato indipendente, qualificato a rappresentare il Dharma per mezzo della sua propria esperienza diretta – il tipo di degno successore che il maestro stava aspettando. T’aego cercò e trovò in Shiwu l’esperto maestro che poteva apporre il sigillo finale sulla sua illuminazione; un illuminato di grado superiore in possesso della totale conoscenza interiore del Sentiero, necessaria a confermare il suo proprio raggiungimento. Shiwu, essendo più anziano, rammentò a T’aego il suo dovere di sostenere il Dharma, come sua propria causa senza compromessi con sentimenti mondani, e di proseguire in tal modo la tradizione degli antichi maestri Zen.

Dopo aver lasciato Shiwu, T’aego ritornò nel nord della Cina, nella capitale Yuan, ove fu invitato dall’imperatore nel Tempio Zen della Pace Eterna e, per l’occasione, egli indossò un abito dorato come segno onorifico. T’aego ci racconta (vedi Riferimenti da 1 a 7) che in quella occasione fu presente tutta l’alta nobiltà Mongola, a cui rese umilmente onore, benché successivamente egli rammentasse con decisione i loro obblighi verso la società ed il Dharma Buddhista. Nel 1348, T’aego

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tornò in Corea, dirigendosi e poi soffermandosi sul Monte Sosol, che si trovava dalle parti della sua zona d’origine e, per quattro anni visse di agricoltura.

Verso il 1350 la dinastia Yuan cominciò a vacillare, scossa profondamente dalle rivolte Millenariane nella Cina Centrale. Il re di Koryo, Kongmin, che salì al trono nel 1352, colse l’occasione per cercare di riaffermare l’indipendenza della Corea dal dominio Mongolo. Per il re Kongmin, questo significava un lungo graduale processo nel tentativo di rovesciare o co-optare i nobili che si erano militarmente fortificati e che governavano i territori sotto l’appoggio dei dominatori Mongoli. Molti di questi aristocratici avevano propri eserciti e caposaldi, e si autoriconoscevano legittimi signori regionali. Mentre in Cina il rovesciamento di poteri ruppe alla fine il dominio locale Yuan, in Corea non si giunse agli stessi risultati, tanto che non riuscì neppure a regolare i conflitti tra aristocratici favorevoli e contrari ai gruppi di potere Mongoli.

La lotta politica, in Corea, non fu solo motivo di rivalità tra i nobili latifondisti, i signorotti locali e le guarnigioni Mongole. Con la frammentazione del potere, la Corea costiera (così come la Cina ed il Giappone) divenne vulnerabile alle scorribande su larga scala di bande piratesche che, dalle isole, operavano tutt’intorno. Come accade anche nel mondo Occidentale attuale, il commercio e la pirateria si scatenarono e si combatterono reciprocamente. Data la tendenza dello Stato di monopolizzare l’attività commerciale, uomini di mare che navigavano indipendentemente furono spesso condannati come contrabbandieri o pirati. Costoro, organizzatisi in segreto e armati allo scopo di proteggersi, potevano avere la meglio nelle offensive, ogni volta che il potere centrale decresceva, riuscendo a colpire nei luoghi in cui difese disorganizzate rendevano facile e redditizio l’eventuale rischio. Nel 1351, anche la capitale di Koryo fu attaccata e depredata dai predoni saccheggiatori.

In tutto il territorio agricolo, la lotta aperta tra i potentati locali indebolì l’intero sistema di controllo. Vi furono ulteriori tensioni causate dai contendenti che reclamavano i redditi della terra ed il potere lavorativo, e dallo scenario di governanti locali che furono spodestati e rimpiazzati. Sotto la pressione del voler mantenere la loro base di potere, i locali “uomini forti” cercarono spesso di andare d’accordo con il popolo loro sottoposto, per assicurarsi una pace sociale, nonché cibo ed attività artigianali. Malgrado ciò, vi furono rivolte di servi e di schiavi: sovrintendenti scacciati, debiti azzerati, documenti certificanti la schiavitù ereditaria bruciati. Di solito, questi eventi erano abbastanza circoscritti e venivano prontamente sedati non appena la classe dominante raggruppava e mandava in campo una forza militare maggiore. Ma nelle due generazioni che videro scatenarsi le sommosse, tra il 1350 ed il 1390 – con l’avvento del nuovo regime, la resistenza dal basso ottenne generalmente un forte consenso popolare. Persone d’alto rango e proprietari terrieri furono terrorizzati dalle massiccie invasioni delle armate Millenariane, negli anni 1359 e 1362. Questi militari, che diventarono i maggiori egemoni della successiva generazione, originariamente entrarono in scena, per “ristabilire l’ordine”, come comandanti locali che respingevano il flusso delle rivolte scomposte e l’anarchia che tendeva a montare dal basso. Invece, occorsero naturalmente ben trent’anni in più per reprimere l’anarchia proveniente dall’alto.

Re Kongmin dette inizio ai suoi sforzi per ristabilire il potere della dinastia Koryo nel 1352, salendo egli stesso al trono. Non solo affrontò le residue basi Mongole in Koryo, ma egli si scontrò con la più accanita opposizione dei nobili, instaurati da lui stesso, avendoli nominati suoi seguaci ed avendo cercato, tramite essi, di accentrare il potere nelle sue proprie mani. Egli abolì quindi il Consiglio di Stato, che rappresentava gli interessi politici dei nobili quando erano sotto il precedente dominio dei Mongoli. Il re sopravvisse alla formale destituzione della dinastia Yuan ed ai molti tentativi diretti degli aristocratici a lui contrari che volevano abbatterlo. Avvennero scontri e rivolte per almeno due decenni. I Mongoli sopportarono diversi rovesciamenti di fronte, provenienti da varie parti, ma il potere dei rivali all’interno della Corea aumentò, diventando sempre più forte, cosicché Re Kongmin non visse abbastanza per vedere una sua incontrastata supremazia. Gli aristocratici assassini

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debellarono Kongmin nel 1374 e, al suo posto, fu messo sul trono un re favorevole ai Mongoli. Costui, che stava per diventare il fondatore della successiva dinastia, si chiamava Yi-Song-gye ed era stato capo supremo della regione militare del Nord-Est. Yi-Song-gye ebbe davanti a sé una dozzina d’anni di regno e di potere supremo.

T’aego fu convocato nella capitale nel 1352, proprio allorché Kongmin assunse il potere regale. La storia narra che T’aego ammonisse il Re sulla necessità di mettere ordine nel governo e di rimuovere i malvagi dal potere. Il Re rispose che le pressioni dei Mongoli limitavano il suo potere, al che T’aego ribatté che il grande zelo del Re non sarebbe bastato alla causa Buddhista, se dimostrava di essere incapace di trattare gli affari nazionali e che, quindi, non avrebbe potuto riceverne alcun merito. Egli consigliò Kongmin di non costruire ulteriori nuovi templi Buddhisti, ma di contentarsi di restaurare quelli costruiti dal primo Re della dinastia Koryo. T’aego rammentò anche di seguire gli avvertimenti tradizionali che dicevano di non sacrificare le terre coltivate per i bisogni dei militari. D’altra parte, T’aego era stato preceduto dalla sua reputazione cosicché, quando arrivò nella capitale, egli fu anche tempestato dalle domande di aspiranti ricercatori di ogni genere, e allora, ritenendo che non vi fossero condizioni ideali per un insegnamento soprattutto pubblico ed avendone dati sicuramente quanti si era riproposto nel tempo previsto, alla fine egli se ne ritornò sul rustico Monte Sosol.

Un altro invito-ordine regale giunse nel 1356. Allorché T’aego fu condotto nel Palazzo Reale, nella Sala Interna del Buddha, fu onorato con le insegne ufficiali davanti ad una grande Assemblea di nobili e capi-monaci e fu investito del titolo di Insegnante Reale. Per due anni T’aego agì come arbitro nelle attività Buddhiste, giudicando coloro che ambivano all’approvazione reale per i loro titoli religiosi e nominando gli abati dei maggiori templi. T’aego usò tutto il suo potere per cercare di sormontare le differenze settarie sorte all’interno dello Zen Coreano. Ecco come egli spiegò quella situazione:

“In quei giorni, ciascuna delle sètte Zen delle Nove Montagne era orgogliosa del proprio pensiero, ritenendo che le altre fossero inferiori e che la propria fosse la migliore. I dibattiti e le controversie diventavano sempre più preoccupanti e, negli ultimi tempi, queste sètte stavano perfino mettendo mano alle armi, costruendo fortificazioni per i loro interessi di parte.”

“Costoro nuocciono all’armonia della comunità Buddhista e infrangono le corrette regole. Ahimé! Lo Zen è un’unica scuola, ma le persone si combattono tra di loro e la dividono in svariate sètte, anziché dimorare nell’equanimità! Essi rinnegano il Sentiero Onnipervadente e privo di un “sé”, dei maestri fondamentali, nel puro stile dell’Unità anticonvenzionale, lo stile autentico del lignaggio dei maestri Zen. E non dimorano neppure nell’intenzione dei primi Sovrani che protessero la Verità e portarono la pace nella Nazione!”

T’aego quindi, sostenne e promosse la riunificazione delle Istituzioni Zen, volendone rinnovare lo spirito e l’intento originale. Come modello per la Comunità Zen riformata, propose il testo “Regole Pure” di Pai Chang, un classico di uno dei più grandi maestri Ch’an del nono secolo, estesamente diffuso nei secoli 13° e 14°. Tra l’altro, Pai Chang prescrisse la regola del lavoro autosufficiente per i monaci Zen dato che, spesso, essi venivano chiamati “sacchi di riso”, proprio per l’esasperata abitudine a vivere di elemosine e di cibo offerto.

Nel 1356, il Re Kongmin riportò la sua più grande vittoria militare sui Mongoli e cominciò ad industriarsi per smontare la loro rete di vassalli. Questo fatto provocò una strenua resistenza, al punto che la capitale fu sconvolta da tensioni ed intrighi in tutti gli strati dell’alta società. Nel 1357, T’aego chiese che gli fosse permesso di tornare alla sua casa, ma non gli fu concesso. Egli lasciò comunque la capitale, furtivamente. Dopo qualche tempo, Re Kongmin si commosse, assicurò a T’aego un permesso formale per il suo ritiro e gli inviò i suoi emblemi di rango. Nel 1362, T’aego fu convocato di nuovo dal Re che gli impose di insegnare il Buddhismo nel Tempio Zen “Rupe della Fenice” sul Monte Huiyang, ed in seguito al Tempio Zen “Preziosa Foresta”, sul Monte Kaji. Dopo quattro anni

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di servizio, T’aego restituì gli emblemi di rango ed implorò il permesso di ripartirsene. Questa volta Re Kongmin acconsentì subito alla sua richiesta e lo lasciò andare. Era il 1366: T’aego aveva sessantacinque anni.

Il 1366 segnò l’inizio dell’ascesa in società del monaco emergente Sinton, il quale poi divenne il nuovo favorito di Re Kongmin. Il Re colmò di titoli ed onori lo sconosciuto Sinton, che divenne il capo-esecutore di un nuovo impulso di riforme politiche miranti a diminuire il potere dell’aristocrazia ed a rafforzare il governo del Re. Sinton usò tutta la sua influenza verso il Re, per ammassare ricchezze per se stesso e facendo una vita di lussi sfrenati. Così egli provocò la disfatta e la caduta di molti aristocratici nemici di Kongmin, diventando ovviamente il bersaglio dei più aspri risentimenti e delle più ostili maldicenze e vendette.

T’aego, nel 1368, si mise nuovamente in viaggio per la Cina Meridionale. Egli lasciò la Corea probabilmente per evitare le insidiose manovre di Sinton, che si era risentito nei suoi confronti, ritenendolo una minaccia per le sue poco religiose ambizioni politiche. Forse T’aego voleva rinnovare i contatti con le comunità Zen Cinesi e valutare la nuova situazione locale. Così poté vedere che molto era cambiato dalla sua precedente visita di vent’anni prima. Dopo due decenni di guerre, era stata restaurata una relativa stabilità: il 1368 fu l’anno in cui venne proclamata la Dinastia Ming. A suo modo, il nuovo imperatore Cinese credeva nel Buddhismo e sponsorizzava effettivamente grandi cerimonie rituali pubbliche e giganteschi conclavi di monaci eminenti. Ma l’Imperatore Ming decretò anche un sistema di leggi intese a controllare fermamente il Buddhismo e le sue attività, a limitare la libertà di movimento di monaci e monache tra il popolo e, soprattutto, a voler spegnere ogni tendenza Millenariana.

Sfortunatamente, non ci sono testimonianze dirette sulla vera natura delle attività di T’aego in questa sua visita in Cina. Frattanto, nella capitale Coreana, Sinton spargeva la voce che T’aego fosse andato all’estero per tramare una sediziosa rivolta e perciò convinse Re Kongmin a spogliare T’aego dei suoi ranghi ed onori e di sospenderlo dalla carica ecclesiastica. Tuttavia, l’anno seguente, il Re cambiò idea, perdonando T’aego e permettendogli di tornare in Corea, nel suo distretto natale sul Monte Sosol. Con il decesso di Sinton, avvenuto nel 1371, T’aego fu restaurato al rango di Insegnante Nazionale. Malgrado i suoi tentativi di declinare l’incarico, egli fu nominato Abate del Tempio della “Sorgente Luminosa”, passandovi sette anni.

Nel 1381, ormai ottantenne, T’aego si trasferì nel Tempio Yangsan-sa e, quando il nuovo Re venne a fargli visita, gli fu ancora assegnato il titolo di Insegnante Nazionale. Nel 1382, T’aego ritornò al Monte Sosol, ove poco tempo dopo morì. La Corte gli conferì ilo titolo postumo di “Maestro Zen dalla Perfetta Illuminazione”.

Come il resto della Biografia di T’aego, il resoconto dei suoi ultimi anni non è che uno scarno tratteggio. Molto di ciò che T’aego compì come insegnante Buddhista ebbe luogo naturalmente in intime interazioni faccia-a-faccia, e non fu riportato ai posteri. Tutto quello che ci rimane da studiare è la breve registrazione di alcuni suoi scritti e discorsi pubblici, più avanti tradotti e riportati fedelmente. Il ruolo di T’aego come personaggio pubblico, nella storia Coreana, è tanto più difficile da giudicare quanto è da noi distante, nel tempo e nei luoghi, con soltanto pochi riferimenti a cui far affidamento. Cosa spinse T’aego ad interessarsi della politica? Possiamo oggi sapere abbastanza, dell’intima vita quotidiana della società elitaria di Koryo del quattordicesimo secolo, pur immaginando le reali possibilità a disposizione di un maestro Zen, nel cercare di influenzare questa elite?

In sostituzione di una dettagliata, sapiente visione delle possibilità di quei tempi, è più facile giudicare la storia nei termini delle moderne preoccupazioni: su quale lato, della storia medioevale, stiamo noi? La visione di T’aego diventa quindi una funzione del giudizio sul Re Kongmin. Era egli

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un nazionalista, un alleato delle forze progressiste (le medie classi sociali locali, contrarie ai nobili legati ai Mongoli)? Oppure era un superstizioso, un tiranno auto-esaltato, inconsistente, decadente strumento dei suoi protetti, un vero e proprio fallimento politico? E Sinton, era forse un vero monaco del popolo, progressista ed avanzato per intervento del suo Re, per aiutarlo nelle riforme? Oppure era un ripugnante ‘parvenu’, un intrigante politico vizioso? Anche se tali domande fossero poste in modo imparziale, ciò non sarebbe necessariamente un voler collocare T’aego o mostrare come il suo mondo contemporaneo potesse apparire agli occhi di un maestro Zen.

Com’è potuto accadere che T’aego predicasse ai grandi ed ai potenti, accettando da loro onori, posizioni e successo? Egli ci dà la risposta nel suo discorso “Fare Grande la Nazione” (vedi Riferim. N. 7). Evidentemente, egli non aveva brama di ranghi, onori e vestiti dorati, per i suoi scopi personali e neppure avrebbe aspettato così a lungo, se avesse voluto ottenere vantaggi dalla sua fama, né si sarebbe ripetutamente allontanato dalla capitale, una volta raggiunta la sua posizione. Se avesse voluto ingraziarsi i favori dei potenti, non si sarebbe rivolto alle nobiltà Mongole e Coreane con tali sincere e intransigenti ammonizioni, né avrebbe mai potuto criticare così apertamente le strutture Buddhiste, ree di andare verso la rovina.

E ancora, se egli avesse voluto cercare una vita pacifica come eremita (erroneamente vista nel Buddhismo come una mèta), non si sarebbe mai coinvolto con l’alta società della Capitale, dato che era un ambiente estremamente pericoloso, avvelenato dall’ambizione, faziosità e spirito di vendette. Se accettiamo le sue credenziali di Insegnante Buddhista, T’aego dovrebbe aver visto qualche opportunità per far avanzare il Dharma, elevandolo ad un ruolo pubblico. Nei suoi discorsi alle persone potenti, T’aego mise in risalto i temi tradizionali Confuciani e Buddhisti, conditi con i toni diretti e provocatori di un maestro Zen. Egli spronò questi potenti a seguire l’esempio degli antichi e leggendari Imperatori, i Saggi Yao e Shun, il cui governo fu benvoluto dal popolo, dato che era equanime e realisticamente connesso con il loro benessere. T’aego rammentò ai Grandi ed ai Potenti che non avrebbero potuto sfuggire le conseguenze dei loro atti. Li stimolò a vivere secondo il loro dovere di protettori del Dharma; disse loro che per essere genuini patroni del Buddhismo, i Signori del mondo dovevano essere come padri e madri delle persone comuni.

T’aego sapeva che non poteva rivolgersi al Re Kongmin o ai Confuciani con rimproveri precisi. Però, probabilmente ritenne possibile spingerli prima o dopo nella giusta direzione. Non poteva in un colpo solo riformare la Comunità Zen, però poteva usare il suo potere nel Dharma ed il suo potere temporale, garantito dal Re, per cercare di reindirizzare il mondo dello Zen Coreano, lontano dai litigi settari. Esprimendo ciò che attualmente si chiamerebbe “impegno politico”, T’aego pronunciò questi ragionamenti:

“Tra le persone comuni, in verità, vi sono coloro che sono leali verso il Signore e filiali verso i loro genitori, che possiedono talento e virtù. Benché essi possano essere mischiati e confusi alle erbacce, hanno comunque interesse per l’andamento delle cose e sono intenti alla salvezza del mondo e dei suoi abitanti. Sebbene io sia stupido e indegno, poiché non posso tollerare di restare in silenzio davanti a questi numerosi interessi, sono stato introdotto nei circoli più elevati. Se coloro che sono al potere ricompenseranno i buoni ed i degni e puniranno i malvagi ed i disonesti, chi potrebbe non essere leale? Chi non sarebbe filiale? Chi se ne starebbe lontano dal Sentiero, senza una dirittura morale? Chi non coltiverebbe la sua propria virtù?”

“Tuttavia, se qui c’è qualcuno che ha la forza di sradicare le montagne e l’energia per sollevare il mondo, allora venga avanti e combatta al mio fianco. Sacrificheremo i nostri corpi per la nazione e realizzeremo la grande impresa. Ciò non è valido solo per i Nobili; se tra voi esiste una simile persona, allora questo vecchio monaco se ne andrà da solo a servire nelle fortezze di confine, con un unico cavallo ed una sola lancia!”-

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Le parole di T’aego sono la sola indiscussa evidenza della sua missione Buddhista. Esse sono state qui rispettosamente tradotte per dare al lettore moderno una possibilità di fare la conoscenza di questo autentico Buddha Coreano.

In accordo alla Prefazione, le parole e gli insegnamenti di T’aego furono raccolti da Kim Chung-hyon, intorno al 1356. A questa registrazione fece seguito quella di Chong Mong-ju che, alla fine, ricompilò questa Raccolta completa nel 1388.

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RACCOLTA DEI DETTI DI T’AEGO

1) PUBBLICO E PRIVATO

Quando T’aego occupava il seggio di Abate al Tempio Yongning di Pechino, un giorno egli, brandendo il suo frustino, disse: “Qui c’è la grande fornace ed il mantice per poter fondere i buddha ed i patriarchi; il martello e le tenaglie per forgiare nascita e morte. Coloro che vi si oppongono, a questo punto perdono tutto il loro coraggio. Non siate perciò sorpresi se io NON ho un volto!”

Agitando ancora la sua frusta, continuò: “Tutte le centinaia di migliaia di buddha si disintegrano proprio qui!”. Egli agitò ancora la frusta, poi la sollevò e disse: “Ecco qui! Quando la balena si beve tutto l’oceano, essa mette a nudo le piante di corallo”.

T’aego sollevò un lembo dell’abito (simbolico) della successione e disse: “Questo pezzo di pelle bovina è il simbolo che la linea sanguigna dei buddha e dei patriarchi non è stata interrotta. Il vecchio Shakyamuni non riuscì a consumarla nei suoi trentanove anni di insegnamento, in più di trecento assemblee. Nell’ultima, l’Assemblea sul Picco dello Spirito, egli la affidò a Mahakashyapa, l’asceta con la pelle color dell’oro, dicendo: “Trasmettilo di generazione in generazione, fino alla fine delle ère e, naturalmente, non permettere che venga mai interrotta”. Poi, sollevando il manto dorato del Dharma, egli disse: “Perché questo dorato manto monacale è arrivato oggi qui al Palazzo Reale? Non avete forse letto (nel Sutra del Re Benevolo) che questo Dharma è stato tramandato al monarca ed ai suoi ministri?”

Egli sollevò ancora l’abito (simbolico) della successione e disse: “Questo è un oggetto privato, strettamente trasmesso da padre in figlio”. Sollevando il manto dorato, disse: “E questo, invece, è un oggetto pubblico, conferito dalla Casa Reale. Il privato non è uguale al pubblico: il pubblico viene prima del privato”. Poi si infilò il manto dorato, ne sollevò un angolo e riprese a parlare all’assemblea: “Vedete questo? Non soltanto io sono felice per averlo ricevuto e di indossarlo con umiltà, dato che in più esso ha avvolto innumerevoli buddha e patriarchi”.

T’aego cacciò un urlo e, sollevando l’abito (simbolico) della successione, disse: “Sarete mai capaci, voi tutti, di rendere testimonianza in modo chiaro a questa veste? Essa è un qualcosa di diabolico che mi trasmise il mio maestro sul Monte Xiawu”. Indi, se la pose indosso e, indicando il seggio del maestro, disse: “L’unica strada che è sulla testa di Vairochana è ben chiara. Può, ognuno di voi, vedere dove inizia quella strada?”

Poi, salendo gli scalini, T’aego disse: “Uno, due, tre, quattro, cinque…” Infine, raggiungendo il seggio del maestro e mostrando l’incenso, disse: “Questo incenso non possiede andare o venire, esso però misteriosamente pervade il passato, il presente ed il futuro. Non è all’interno né all’esterno; penetra tutte le direzioni. Io rendo omaggio all’augusta persona dell’attuale Imperatore della grande dinastia Yuan, Signore del Mondo. Possa egli vivere diecimila anni. Umilmente, io spero che la sua sfera dorata (il globo imperiale) possa avere sovranità sui tremila mondi e che le sue foglie di giada restino fragranti per milioni e milioni di primavere”.

Poi, sollevando l’incenso, T’aego disse: “Questo incenso è puro e profumato. Esso contiene migliaia di virtù, è sereno ed a suo agio, e assicura migliaia di benedizioni. Io desidero rispettosamente che tutte le Regine-madri della famiglia Reale abbiano preservata la loro buona salute e tranquillità e possano vivere finché il Cielo lo voglia. Possa la gloria di questa progenitrice di draghi, conoscere un’eterna primavera, senza mai invecchiare e godendo della felicità di essere la madre del monarca”. Poi, alzando in aria l’incenso, disse: “Così, come io sollevo questo incenso, il cielo è alto e la terra è

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vasta. Quando lo abbasso, l’oceano è profondo ed i fiumi sono puri. Rispettosamente, io desidero che il principe della corona possa vivere più di mille anni. Possa egli attraversare i reami di giada per mille anni di felicità e servire il Volto Celestiale (dell’Imperatore) con filiale pietà per diecimila lunghi anni di gioia”.

Quindi, T’aego prese un bastoncino di incenso che serbava nel suo vestito, e disse: “I buddha ed i patriarchi non conoscono questo incenso e, i fantasmi e gli spiriti, nulla sanno di esso. Esso non è nato dal cielo né dalla terra e neppure è cresciuto in maniera spontanea. In passato, quando viaggiavo a piedi per la Corea, un giorno incontrai un giardiniere e, sotto un albero che non faceva ombra, conobbi questo oggetto senza bordi, né giunzioni o lati da cui poterlo afferrare. Allora andai su una rupe alta diecimila braccia e mi lasciai cadere con tutto il corpo. Non avevo più un alito di vita quando, all’improvviso, tornai a vivere, librandomi in aria a mio agio. Tuttavia, la gente dubitò di me ed io pensai che non poteva esservi nessuno a cui poter dare la prova lampante. Più lo nascondevo e più forte diventava. Più volevo nasconderlo, più era evidente. Un nauseante lezzo e la mia cattiva reputazione riempivano il mondo ed oggi, io sono qui per obbedire all’ordine imperiale (che mi ha nominato abate) e sollevo questo oggetto per mostrarlo a voi. Davanti a questa assemblea di uomini e dèi, brucerò questo incenso nel braciere. Lo offro al mio primo insegnante, il maestro Shiwu, che dimorava al Tempio Zen Fuyuan Puhui, nel distretto Occidentale Zhe, e che ora si è ritirato in un rifugio in cima al Monte Xiawu. Glielo offro per ripagare la sua gentilezza nell’aver attestato la mia illuminazione!”.

2) SOPRA IL PICCO DELLE NUVOLE COLORATE

Non appena T’aego si fu seduto sul seggio dell’Insegnante, l’anziano Zhantang del Tempio Zen Xinghua Baoen percosse il gong ed annunciò: “O draghi ed elefanti che siete intervenuti a questa Assemblea del Dharma, contemplate la suprema Verità. Ora l’insegnante vi rivelerà il princìpio-guida!”

T’aego impugnò la sua frusta e disse: “Questo bastone ed il suono del gong vi hanno già spiegato chiaramente la suprema Verità. C’è qui qualcuno che riconosca la benevolenza e voglia ripagarla? Se c’è, si faccia avanti e ci dia la dimostrazione!”

Subito ci fu un monaco che chiese: “Formalmente, ogni persona ha un ruolo definito e senza etichette ma, quando è priva di ciò, la relazione tra insegnante e discepolo manca di una decorosa convenzione. Dunque, qual è la cosa giusta?”. T’aego rispose: “Perché sei costretto ad alzarti se poi, prima o dopo, devi di nuovo coricarti?”. Il monaco replicò: “Oggi, tu hai aperto questa sala degli insegnamenti per ordine imperiale e sei salito sul prezioso seggio. Uomini e dèi sono qui convenuti da ogni dove: ospitanti ed ospitati sono venuti insieme. Mi chiedo, o maestro, quale canzone di famiglia canterai? Quale stile di lignaggio hai ereditato?”. T’aego disse: “Sopra il Picco delle Nuvole Colorate, la millenaria luna viene ancora una volta a risplendere sul Palazzo della Grande Illuminazione!”.

L’interrogante continuò: “Quindi, dopo Shakyamuni e prima di Maitreya, il tesoro dell’occhio del corretto Insegnamento, la portentosa mente del Nirvana, è nelle tue mani, principalmente! Di conseguenza, se tu vai via, tutti i Buddha ed i Bodhisattva si congratuleranno con te. Se invece resti, gli stessi Patriarchi dello Zen non avranno modo di essere migliori di te. Allora, io ora mi chiedo se tu te ne andrai o resterai qui”. T’aego disse: “Tutte le stelle del cielo salutano il Nord, tutti i fiumi della terra scorrono verso Est”. Il monaco proseguì: “E allora, se è così, alla fine i fiumi dovranno gettarsi nell’oceano e le nuvole dovranno cercare le montagne, per potervi tornare”. T’ego disse: “Tu sei un bravo leoncino, ma stai ancora abbaiando come una volpe selvatica”. Il monaco, imperterrito,

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continuò: “Talvolta il Tathagata prende corpo come Indra, talvolta come un Re. Quale incarnazione di quale Buddha è il nostro attuale monarca?”.

T’aego rispose: “Il Buddha Primordiale”. L’interrogante proseguì: “Questa è la seconda frase. Qual è la prima?”. T’aego allora cacciò un urlo.

Il monaco continuò: “Nel passato, all’Assemblea sul Picco degli Spiriti; oggi qui nella sala dello Yongning: è uguale o differente?” e T’aego rispose: “Vedilo da te: è uguale o differente?”. Il monaco ribattè: “L’attuale augusto monarca, oltre ai suoi molteplici interessi di Stato, ha posizionato la sua mente nello Zen e promosso il corretto Dharma, cosicché le istituzioni Buddhiste hanno qualcuno su cui fare affidamento. Allora mi chiedo, - Quale Dharma userai per ripagare la benevolenza Imperiale?”. T’aego disse: “Lo tengo in alto e di fianco, e lo uso sottosopra, senza un vero e proprio metodo. Auguro al nostro monarca milioni e milioni di primavere”. Il monaco continuò: “I patroni di questo Tempio, i nobili ed alti ufficiali qui radunati, onorano la porta del Dharma ed hanno permesso questa eccellente situazione. Quali felici auspici ne otterranno?”. T’aego disse: “Gli unicorni e le fenici offrono auspici fortunati. Le testuggini ed i draghi conquisteranno la grande Capitale!”

3) FERMARE LE DOMANDE

C’era un altro monaco (che voleva far domande), ma appena si fece avanti, T’aego lo fermò con il suo bastone e disse: “Basta con le domande. Anche se innumerevoli milioni e milioni di Buddha venissero avanti tutti in una volta, ciascuno con abilità inostacolata di predicare ed esprimendo interminabili oceani di parole, con frasi imbevute di infinita eloquenza, una volta fatti segno a nugoli di domande, migliaia di domande, non userebbero nemmeno un mio solo grugnito per rispondere ad esse, in tutto e per tutto. Anche se tali domande e rispettive risposte continuassero sempre senza interruzione, fino a quando Maitreya arriverà a nascere su questa Terra, sarebbero soltanto eventi della consapevolezza karmica, senza alcuna connessione col problema fondamentale. Ancor più inutili sono le frasi fatte e le battute retoriche: non solo esse affondano il veicolo della Scuola Suprema, ma vi fanno anche perdere le narici che vi ha fatto vostra madre. Ecco perché, fin dall’antichità, i buddha ed i patriarchi non hanno stabilito parole o testi (da dover essere ritenuti sacri). Piuttosto hanno preferito trasmettere la mente con la mente e suggellato la verità con la verità, abbracciandola generazione dopo generazione e trasmettendola senza interruzioni. Ancora oggi, le persone giuste per essa non mancano. Perciò, lasciate da parte tutto ciò, per ora. Qual è dunque il veicolo della Scuola della Trascendenza?”

Dopo un certo periodo di silenzio, T’aego riprese: “Se sollevo questa questione, sarei contento se non ci fosse nessuno a raccoglierla. Altrimenti, quando si arriva a questo stadio, nessun nome può essere usato, nessun ‘buddha’, né ‘patriarca’, né ‘cencioso-monaco’, né ‘quattro-frutti’ o ‘tre-sentieri-di-saggezza’ o ‘dieci-livelli’, né ‘illuminazione intrinseca’, né ‘nirvana’ o ‘nascita e morte’, né ‘ottantaquattromila perfezioni’ oppure ‘ottantaquattromila afflizioni’. Tutto il grande Canone degli insegnamenti verbali equivale ad oziose e sterili parole ed i millesettecento ko-an Zen sono solo favolette per far dormire i bambini. Le urla di Lin-chi e Te-shan scoppiano come giocosi mortaretti.

“Non avete letto gli antichi detti? – Dormendo con la porta chiusa riceviamo le maggiori potenzialità. Giudicando con ansia, ci sottomettiamo alle potenzialità inferiori. Quando mai potremmo sedere sul seggio dell’Insegnante e sfoggiare occhi da demone? Dire questo è una banalità, un luogo comune, però in ciò vi è ancora una qualche efficacia”

“Quando io insegno in questo modo, sono come il sole radiante nel cielo blu; è come parlare del sogno senza dormire, come fare un taglio netto nella carne viva. Se siete d’accordo in questo, io mi merito un colpo di frusta. Non c’è nessuno qui, ora, con la mano avvelenata? Se c’è, costui potrà

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ripagare la benevolenza che non può essere ricambiata ed egli potrà assistere ad un insegnamento non artificiale. Se invece non c’è, in ogni caso eseguirò questa necessità.”

All’improvviso, T’aego afferrò lo scudiscio e, brandendolo in aria, disse: “Ecco, ora tutto il mondo è pacificato!”. Indi, roteando ancora una volta la frusta, disse: “Il sole del Buddha prospera ancora”. Poi, agitò due volte in successione la frusta e lanciò un forte urlo.

4) UNA STORIA ZEN

Una volta, durante un discorso, T’aego citò questo ko-an: “Quando Bao-shu arrivò nella sala degli insegnamenti, Sansheng spinse avanti un monaco, il quale fu subito colpito da Bao-shu. Sansheng disse: <Se questo è il modo in cui tu aiuti le persone, accecherai gli occhi a tutti, in questa città!>. Allora Bao-shu se ne tornò nella sua stanza da abate”.

T’aego commentò: “Questi due vecchi punteruoli! Uno è come il Re Dragone che, dal fondo dell’oceano fa tremare il Monte Sumeru, così da impadronirsi delle uova del Re Garuda, l’uccello gigante. L’altro è proprio come il Garuda, l’uccello gigante, che divide in due l’oceano, così da impadronirsi dei piccoli del Dragone. Entrambi esibirono i loro poteri sovrannaturali, fino in fondo. Entrambi sono forniti di dispositivi che servono ad uccidere o a dare la vita, nonché di modi di comportamento tanto da ospitante che da ospitato. Pugni e calci arrivano uno dopo l’altro, canti ed applausi si susseguono rispondendosi l’un l’altro. Agli incroci delle strade, essi calcolano il denaro per il cibo e ne distribuiscono a tutti, senza tralasciare nessuno. Essi possono essere buoni, possono essere eccezionali, ma quando li confrontiamo dall’esterno, c’è ancora soltanto l’Uno!”

“Bao-shu arriva nella sala del Dharma” - …nasce l’inizio del disastr

“Sansheng spinge avanti il monaco” – e così aggiunge ghiaccio alla neve!

“Bao-shu immediatamente lo colpisce” – come sempre, si gioca con lo spirito!

“Sansheng dice:- Se questo è il modo in cui tu aiuti le persone, accecherai

gli occhi a tutti, in questa città! “ – egli non si rende conto del suo errore!

“Bao-shu allora se ne torna nella sua stanza da abate” –

una tigre con la coda bruciacchiata!.

“Ma ora, ditemi, io ho forse mai concordato qualcosa con chicchessia, o no? Perciò, adesso ascoltate questi versi:

“Ho preso una stanza nella parte Sud della città, ed in essa

“vi sono caduto ubriaco fradicio, felicemente spossato.

“Ad un tratto, ho udito per strada il decreto Imperiale,

“perciò, mi sono diretto verso ciò che restava del vino,

“dato che sentivo un freddo dannato nelle ossa.

“La neve, portata dal vento, sbatteva contro le finestre,

“ed il fuoco, nella stufa di terracotta, preparava il thè.

“Il suo profumo si diffonde all’intorno, nel mezzo della notte!”

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T’aego colpì tre volte col suo frustino l’angolo della panca di meditazione, quindi, percuotendo il gong, disse: “Siate attenti ad osservare con cura l’Insegnamento del Re del Dharma. Poiché il Dharma del Re dell’Insegnamento è proprio così!”. Dopodiché, egli scese dal seggio dell’insegnante e se ne andò.

5) UN DISCORSO DAVANTI AI POTENTI.

Nel 1347, nel sesto giorno del terzo mese, l’imperatore del Gran Yuan (il Gran Khan) invitò T’aego a Fengen, per essere utile nel tempio Zen della Benevolenza Imperiale (all’interno del complesso del tempio Yongning).

Dopo aver salutato sua Maestà, T’aego si diresse verso la sala del Dharma e, indicando la porta principale del Tempio, disse: “Il grande Sentiero non possiede porte: da dove presume di poter entrare, tutto il tuo popolo? Bah! La porta universale della perfetta penetrazione è già ampiamente spalancata!”. Poi, indicando il tabernacolo del Buddha, T’aego disse: “Duemila anni fa, io ero Te. Duemila anni dopo, Tu sei me. Ormai, quasi tutto è penetrato!” Indi, si prostrò tre volte e, indicando il reliquiario del fondatore della dinastia Koryo, disse: “Qui c’è il grande Antenato della Corea. Io sono il Re dei dharma infiniti. Tu ed io, nei tempi passati, ci siamo incontrati e abbiamo discusso in segreto”. Poi, T’aegò cacciò un urlo, si sedette sul seggio dell’Abate e disse: “Questo è il covo degli spiriti oziosi e dei demoni selvaggi. All’improvviso, oggi, il rombo del tuono squassa la terra. Mi chiedo, dova andrà a disperdersi?”

Brandendo la sua frusta nell’aria, T’aego disse ancora: “Quando le persone umane abbandonano la spiaggia, i gabbiani ne diventano i padroni”. Prendendo possesso del seggio abbaziale, T’aegò agitò di nuovo la frusta e disse: “Ecco, se arrivano i buddha, io li colpirò con questo bastone; se arrivano i patriarchi, colpirò anche loro!”; così dicendo, agitò la frusta più e più volte.

Il Consigliere di Stato, Li Qixian, gli porse l’Editto Imperiale (in cui lo si nominava Abate). T’aego lo prese e lo mostrò all’assemblea, dicendo: “Chiunque di voi, sia o no un monarca, che protegga il vero Dharma e che protegga la Nazione ed il popolo, sa che è entrato nel samadhi della tecnica dei maestri illuminati? Se non riuscite a vederlo, delegherò l’incaricato agli obblighi, di esibire questo decreto all’assemblea”.

Dopo che l’incaricato ebbe mostrato il decreto imperiale a tutti i presenti, T’aego sollevò la veste monacale ricamata (offertagli dall’Imperatore) e disse: “Questa veste monacale ricamata fu fatta confezionare dal nostro beneamato sovrano in tutta sincerità, adoperando la forbice della saggezza. È stata fatta con estrema devozione. Cinque chiffons colorati simili a nuvole le si spiegano intorno, mentre essa sfavilla come se le stelle del cielo della rettitudine le scintillassero addosso. È tutt’intorno circondata con sette gemme, come le onde sull’oceano della saggezza, il quale è vasto e puro. Nuvole colorate di rosa tenue, vaporose come ovatta, si diffondono dalla illusoria città rossastra. Fumo profumato e color di giada si innalza dai picchi rigogliosi di vegetazione. Animali eccezionali e uccelli meravigliosi offrono auspiciosi auguri per diecimila generazioni di splendore al nostro Sovrano. Piante propizie e splendidi fiori si schiudono al di sopra di anni e anni di primaverile bellezza per la sua Consorte!”

“Questa, non è la preziosa veste imperiale di Locana. E nemmeno è la cenciosa tonaca di Shakyamuni. Però, ditemi, chi è il più qualificato per indossarla?” T’aego sollevò la veste (emblematica) del Dharma e continuò: “Quest’abito monacale pieno di ricami è stato trasmesso dai buddha e dai patriarchi, fin dall’antichità, da tempi senza inizio. Esso è un eccellente campo di benefici, un indumento per la Grande Liberazione. Il nostro sommo Insegnante Shakyamuni lo porse a Mahakashyapa e poi fu trasferito, di generazione in generazione, al trentesimo patriarca, il

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Venerabile Hui-Neng, il ‘Grande Specchio’. Poi, a causa del dissesto seguito alla sua nomina ad erede della simbolica veste, la pratica della trasmissione si fermò a Hui-Neng.”

“Perciò, come mai oggi è stata riproposta dal Palazzo Reale e consegnata nelle mie mani? Il fuoco non brucia tutta l’erba della prateria: quando il vento di primavera riprende a soffiare, la vita rinasce.” T’aego si rivolse ancora all’assemblea, dicendo: “Ora, tutti voi la indosserete con me!” Quindi, T’aego e tutta l’assemblea fecero il gesto di indossarla insieme, nello stesso momento. Indi, T’aego sollevando un lembo della veste, gridò all’assemblea: “Vedete? Non solo tutti voi l’avete indossata con me, ma tutte le cose, ovunque in tutto il mondo e nelle dieci direzioni – il cielo e la terra, l’affollato assembramento delle miriadi forme, sante e ordinarie, tutto il senziente ed il non-senziente, - tutti l’hanno indossta nel medesimo tempo. Bah!”

T’aego indicò il seggio dell’Istruttore e disse: “Migliaia di patriarchi-buddha hanno fatto qui sopra le loro scoreggie, coprendo con la loro puzza il mondo intero. Oggi, io non ho altra scelta se non di versare tutta l’acqua dei quattro oceani sopra di esso, per renderlo pulito. E non dite che ciò non è alquanto imbarazzante!” T’aego salì sul seggio, prese un bastoncino di incenso e, sollevandolo, disse: “Questo incenso ha messo radici negli innumerevoli mondi dell’universo e le sue foglie hanno coperto milioni di foreste e montagne polari. Noi lo offriamo alla salute del Celeste Figlio del Gran Yuan (ovvero il Gran Khan, n.d.T.), attuale nostro augusto Imperatore. Possa egli vivere diecimila anni, dieci migliaia di migliaia di anni! Spero umilmente che la sua virtù possa espandersi nei diecimila paesi, risplendendo per sempre con la radiosità del saggio imperatore Shun, conosciuto come ‘La Grande Pace’. Possa la sua benevolenza irrigare l’intero mondo, soffiando costantemente il vento della sapienza del saggio imperatore Yao, conosciuto come ‘Il Non-Agente’.

Dopo aver dedicato l’incenso ai membri della famiglia reale ed a tutti i nobili lì riuniti, T’aego continuò: “Spero umilmente che, nascita dopo nascita, voi possiate restare sempre fedeli e leali ministri dell’Imperatore, assicurando la Reale Via all’interno dello Stato e che, vita dopo vita, possiate sempre essere buoni amici dei buddha e dei patriarchi, continuando a proteggere anche all’esterno la porta del Dharma, in mezzo alla società mondana. Questo incenso è stato tramandato di buddha in buddha, trasmesso da maestro-illuminato a maestro-illuminato. Quando lo si considera col dovuto rispetto, esso ha più valore dell’intero universo. Quando, invece, lo si considera con disprezzo, allora noin vale che un misero centesimo.”

“Ora, noi siamo nell’anno ‘ding-hai’ del regno Zhi-Zheng (1347, Perfetta Ortodossia). Il Gran Yuan domina su tutto ciò che sta sotto al Cielo. Qui, nella Sala del Dharma del Tempio Yongning, io obbedisco al Decreto Imperiale e diffondo il Dharma in questo modo illusorio, affinché gli uomini ed i deva siano capaci di testimoniarlo, facendo insieme un salto improvviso nella Terra del Buddha della Saggezza Immobile.”

“Tempi e circostanze non sono favorevoli, perciò io mi ero recato sul Monte Sosol per trascorrere il mio tempo residuo tra rocce e ruscelli, assaporando sia la solitudine che il silenzio e aspettando la fine dei miei rimanenti giorni. Ora, invece, tutt’ad un tratto mi trovo costretto ad obbedire all’ordine di un ulteriore invito da parte di Sua Maestà, che non ha mai dimenticato il nostro precedente patto (quello cioè di avermi messo al suo servizio). Qui, all’interno del Tempio Fengen, su questo palco Sumeru, di fronte ad una assemblea di uomini e deva, nuovamente io rivelo il Dharma per coloro che ancora non lo avevano sentito e conosciuto.”

Appena l’incenso fu posto nel braciere a bruciare, T’aego disse: “Questo lo offriamo al grande maestro Zen del Sud, il Maestro Shiwu, per ripagare la benevolenza del suo Dharma con cui mi ha allattato. Se voi afferrate questa (realtà relativa), semplicemente state chiamando l’oro col (semplice) nome di “giallo”. Se invece la negate (ogni sua esistenza), allora per voi l’unicorno ha un solo ed

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unico corno. (L’Assoluto include il relativo, ovvero Dio è Uno) perciò, tirate diritto, poiché state erroneamente valutando e discutendo riguardo a tutto cio!”

6) LA VERITÀ SUPREMA.

Non appena T’aego salì sul seggio dell’Istruttore, il capo-monaco del Tempio suonò il gong ed annunciò: “Oh, grande Assemblea di draghi ed elefanti qui convenuti all’incontro con il Dharma! Osservate dunque la Verità Suprema!”

T’aego, onde insegnare i principi-guida generali, disse: “L’unica strada verso la trascendenza non è quella trasmessa dai diecimila saggi. Tuttavia, ditemi, che cos’è che NON è stato trasmesso? Ecco, se voi foste rimasti intrappolati ancora per un altro po’ di tempo, andreste errando per diecimila miglia. A coloro che sanno cosa chiedere, verranno ora dati trenta colpi di bastone ed a coloro che non sanno cosa chiedere, verranno altresì dati trenta colpi anche a loro!”

(…Nel testo, alcune domande e risposte sono andate perdute…)

T’aego quindi disse: “Il vecchio Shakyamuni ha detto, ‘L’illuminazione di tutti i Buddha è al di là di qualsiasi parola o discorso!’ Perciò, come potrebbe l’opera della nostra Scuola del Veicolo Supremo usare parole o azioni? Fare azioni artificiose è come mettersi a giocare con lo spirito. Le parole sono immondizie. Per questo, onde mostrare il vero, corretto modo 8della realtà), tutti i Buddha del passato, presente e futuro, appesero le loro bocche al muro; e tutte le generazioni di illuminati maestri si rotolarono nei rovi. Quando essi attraversarono la ‘porta’, Lin-chi urlò e Te-shan li colpì: che strano gioco da ragazzi!”

“Sapendo in anticipo che le cose stanno così, mi sono sforzato di andare avanti a mani vuote e, come una nuvola, vagare in tondo per il mondo in cerca di maestri per interrogarli circa il Sentiero. È stato come mettere un’altra testa sopra la mia testa e, questo fatto, mi attirò anche la diffidenza della gente. Riguardando freddamente a tutto ciò, mi sento imbarazzato da morire. In passato, nel mio paese natale, mi ero nascosto nelle valli di montagna e non avevo mai offerto gratis il Buddhadharma alle persone mondane e tuttavia mai feci calare il respiro dello Zen (nei coinvolgimenti mondani). Solamente ho camminato su questa strada, completamente a mio agio, in modo libero ed espansivo, indipendente, felice e vivo!”

“Tutta la mia vita si è trascinata dietro ad una vuota reputazione, priva di significato. Oggi come oggi, mi trovo a dover correre a causa del mio aver accettato un ulteriore invito da parte del Re di questo regno. Ora, salgo su questo seggio e vedo un mare di facce sconosciute. A tal proposito, io non so cosa fare con voi; posso soltanto scambiare quattro chiacchiere, mentre voi tutti penserete: ‘Oh, oggi nel mondo sta apparendo un maestro illuminato!’. Che razza di scempiaggine! Quando parlo così, è come se io vi stessi raccontando una favoletta per farvi addormentare come bambini. In realtà, tutti voi state già dormendo con gli occhi aperti. Perché?”

T’aego scosse la sua frusta e disse ancora: “Questa felice assemblea è qui convenuta grazie ai meriti del nostro protettore, che è la Sorgente delle Infinite Trasformazioni, la Madre delle Incalcolabili Virtù, le cui qualità ricoprono innumerevoli mondi e le cui capacità oltrepassano l’universo. Egli è il Saggio tra i Saggi, il Gran Yuan Figlio del Cielo e Degno tra i Degni, ovvero il Re di questo paese. La sua benevolenza fluirà per diecimila generazioni, poiche egli ha il Sentiero come sua profonda motivazione. I saggi benefattori del Dharma sono come lo splendore del plenilunio nel Cielo, dato che essi hanno l’interesse umano verso tutti gli individui, come loro politica di governo. Quindi, il luminoso e radioso sole è al suo culmine. In questo preciso momento, l’incenso sta emettendo ondate di profumo dal braciere dorato, ed esse si diffondono lentamente e voluttuosamente nel palazzo di giada. In quale altro modo, io T’aego, semplice monaco, potrei mai rendere loro omaggio?”

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Egli brandì ancora la sua frusta e continuo: “Quando il Sentiero (il Tao, l’orientamento morale della società e dei suoi singoli membri) è sicuro, gli ordini dell’imperatore non hanno bisogno di venir tramandati. Quando l’epoca è quella pura, gli ordini cessano di inseguire l’utopia e di esaltarla.” (Più, tardi, nella stessa sessione, T’aego disse):

“Nei tempi antichi, l’imperatore Wu della dinastia Liang, ricevette con una sontuosa cerimonia, il maestro illuminato Bodhidharma. Indi gli chiese, ‘Qual è il significato principale della Santa Verità?’, e Bodhidharma rispose, ‘Solo il Vuoto, senza alcuna santità!’. E l’Imperatore, ‘E chi è colui che ora mi sta di fronte?’. Bodhidharma disse, ‘Non lo so!’. – Questo è il modello della prima forma di comunicazione del messaggio Zen in Cina. Oggi, il Re di questa contrada ha invitato me, un semplice monaco, a parlare del veicolo della Scuola Zen. Io rendo omaggio alla sua Maestà Imperiale, al Principe ereditario della Corona, alla Grande Assemblea di uomini e dèva qui presenti, agli ufficiali ed ai loro sottoposti, conferendo a voi tutti il dono del Dharma. Io, in realtà, non ho detto una sola parola e le loro Maestà non hanno fatto alcuna domanda. Così successe anche tra l’imperatore Wu e Bodhidharma. O forse, secondo voi, la cosa andò in modo diverso? Se tenterete di aprire bocca, vi sarà consentito di avere un unico occhio. Se ve ne starete in silenzio, allora ascoltate questi versi:

“La possente voce dell’Antico è sempre più vicina,

“troppo brutta è la primavera quando i fiori cadono.

“Per questo motivo, io vi esorto con insistenza,

“a svuotare con me un altro bicchiere di vino!

“In Occidente, dalla parte in cui sorge il sole,

“non vi è posto per le cognizioni inutili e stantìe!”

7) CREARE UNA GRANDE NAZIONE

Nel quindicesimo giorno del primo mese del 1357 a Kaesong (capitale della Corea di quel tempo), T’aego si trovava nel Tempio della Protezione Militare, all’interno del Palazzo Reale. Egli entrò nella Sala del Dharma e, dopo aver dedicato l’incenso, prendendo possesso del Seggio Istruttorio, sollevò il decreto Imperiale (con cui era stato convocato) e disse: “I Buddha niente sanno del loro Samadhi. Il nostro attuale monarca protegge e sostiene il Buddhadharma. Perciò il vero Samadhi sta tutto qui; chi mai sarà in grado di saperlo padroneggiare realmente? Ora, lasciamo che l’incaricato vi legga il decreto.”

(Dopo che il decreto fu letto ad alta voce) T’aego sollevò la sua frusta e disse: “Esiste qualcuno che è veramente degno del veicolo di questa Scuola, arrivata fin qui dall’antichità? Tutte le dodici parti delle Scritture del Canone, i ‘Cinque Insegnamenti’ ed i ‘Tre Veicoli’, tutto è solamente ‘volgare urina’ lasciata dietro di sé dal Vecchio Barbaro (Bodhidharma). I buddha ed i patriarchi sono stati soltanto pupazzi petulanti che disquisivano sui sogni. Se vi mettete a discutere su di essi per farvene una ragione, seppellirete il veicolo della Scuola. Se ne discuterete in termini di realtà convenzionale, volterete le spalle ai saggi del passato. Questa cosa non s’ha da fare, altri modi non hanno da farsi ed anche il ‘non-fare’ non s’ha da fare! Se voi foste ‘cenciosi monaci’ autorizzati, vedreste ciò oltre ogni mutamento, oltre ogni affermazione o rifiuto!”

(Dopo aver risposto ad alcune domande) T’aego sollevò orizzontalmente il suo staffile e disse: “Tutti i Buddha del passato, presente e futuro, sono in questo modo. Tutte le generazioni di maestri illuminati sono proprio così. Se non fosse stato per l’invito del nostro sovrano, non avrei mai potuto spiegare esattamente e totalmente questa Via! Se il sovrano ed i suoi alti dignitari crederanno in ciò

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che ho detto, attireranno su di sé la protezione dei Buddha e riceveranno le benedizioni dei dèva. Il Sovrano vivrà in eterno, in una simbiosi di affinamento culturale e potere militare, nei riguardi dell’opera della sua augusta impresa di civilizzazione (del popolo). I degni ministri e gli alti ufficiali allungheranno le loro vite e la durata del loro incarico. L’influenza trasformativa verrà estesa anche alle persone ordinarie, cosicché si potrà ovunque trovare gente degna e responsabile. Ogni minaccia sovrannaturale sarà dissipata, ben prima che diventi manifesta. Tradimenti e ribellioni verranno tolti di mezzo. Il Cielo e la Terra potranno operare le loro trasformazioni in maniera ottimale. Sole e Luna saranno più luminosi, montagne e fiumi diventeranno più stabilizzati, piante e cereali (simboli di prosperità dello stato e della società) fioriranno rigogliosi. Con una giusta alternanza di pioggia e di sereno, i numerosi vegetali cresceranno spontaneamente, così da rendere felici milioni di persone ordinarie. Unicorni e fenici miracolosi, risplendenti di svariati colori, gareggeranno tra di loro per offrire i segni più auspiciosi come responso (del vostro virtuoso governo).”

“Se agirete in questo modo, allora sarete in accordo con le ingiunzioni dei degni Saggi delle passate dinastie. Se avrete fede nel Buddha e vi lascerete andare al volere del Cielo, vi riuscirà in modo naturale di creare una grande Nazione! Le parole, quando sono dirette in basso, durano più a lungo: perciò, lasciatele dire al mio bastone. Ho appena chiaramente spiegato questo al Re, alla Regina, ai Principi, agli alti Ministri, ai Generali ed Ufficiali, sia interni che forestieri.”

T’aego schioccò la frusta, la sollevò e disse: “Dato che questa frusta non possiede consapevolezza, come potrà essere giusta o sbagliata? Io chiedo a V. Maestà ed al Primo Ministro di mantenere in raccoglimento le loro menti e di ascoltare bene. Non lasciate che quello che dico si perda all’infuori.” Egli scrollò ancora la frusta e continuò: “Se siete confusi e pensate di non saper che fare, non potrete mai realizzare il nobile còmpito!”. Brandendo nuovamente il frustino, egli disse: “Coloro che sono al potere e che agiscono con assoluta, vigorosa imparzialità pubblica, senza alcun intento personale, saranno protetti e tenuti in alta considerazione dal Cielo.”

Scuotendo nuovamente la frusta, T’aego disse: “Se costoro onoreranno il Buddha ed avranno rispetto e timore verso il Cielo, saranno tutti sicuri e salvi. Se invece agiranno in contrasto a tutto ciò, le conseguenze saranno talmente terribili che, benché io abbia una bocc aper parlare, non possiedo termini così duri per poterle definire.” Brandendo ancora una volta la frusta, egli continuò: “Se il saggio Signore avesse un attacco di ira, la scaglierebbe con violenza, come fosse un fascio di fulmini, nel cuore di milioni di persone!” Quindi, T’aego roteò la frusta ancor’una volta e poi se la abbatté sulle spalle.

(Il finale di questa scena non è stata registrata. Più tardi, nella stessa sessione…) T’aego, sollevando la frusta, disse: “In passato, quando stavo sulla montagna Sosol, non spiegavo mai niente a nessuno. Oggi, qui nella Sala di Locana, ancora non ho nient’altro da dire alla gente. Ho ricevuto senza alcuna pretesa la benevolenza dello Stato, ed io sono alquanto scarso di virtù, per poterla almeno un pò ripagare. Sono soltanto occupato a mescolare socialmente, in questo modo, spiriti pigri e demoni selvaggi, fantasmagorici spettri e diabolici mostri. Tutto ciò che io ho udito nel mondo, riguarda programmi e piani per guadagnare qualcosa di materiale e questo fatto ingenera pensieri illusorii ed erronee false concezioni. Quando si fanno questi calcoli relativi al mondo mutevole ed evanescente, gli sforzi che le persone producono per dedicarsi ad essi, non consentono loro nemmeno un attimo di tregua. Non è forse ciò causato dalle azioni precedenti?”. T’aegò scrollò con forza il frustino e poi disse: “Che ipocriti! Cosa hanno poi da biasimare se stessi?”

(Portando l’attenzione dell’uditorio su quella occasione) T’aego disse: “Sono stato invitato al Palazzo Reale e sono salito sulla sommità di questo prezioso Seggio Istruttorio. In questa Assemblea di uomini e dèva è buona cosa fare domande sullo Zen e sul Sentiero. Questo sarebbe il modello ideale, ma in realtà non avviene così. In questo periodo, il freddo si è già ritirato ed il sole diurno

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risplende vittorioso. Questo permette al nostro Gran Signore di salire su alla Stanza Radiosa. Non vi è luogo che il suo intelletto libero e la sua fulminea illuminazione non possa raggiungere.”

“Per estendere il giusto ordine ed impegnare le risorse umane, esiste la grande politica di coloro che si incarnano sotto l’aspetto di Re. Quando sopravvengono i principali avvenimenti per la nazione, essi dovrebbero fare assegnamento sul potere del Buddhadharma, per cautelarsi da mosse sbagliate. Quindi, dapprima essi devono ristabilire i loro contatti con il Dharma del Buddha, salvaguardando coloro che seguono il Sentiero e comportarsi come protettori dei monasteri Buddhisti. Essi devono guidare le congregazioni ad una pratica scrupolosa ottenendone, di conseguenza, benedizioni per le famiglie del Paese. Questo è il modo in cui il Re Primordiale eseguiva il Dharma. Questo è il punto di partenza per un vero e giusto Governo Reale.”

“Il motivo per cui si abbandona la propria casa per seguire il Sentiero, non è quello di cercare fama e profitti; non è quello di programmare un piacevole luogo nuovo in cui risiedere, un modo nuovo di vestire e di agghindarsi e nemmeno quello di ottenere la certezza del cibo o la gratificazione per la propria personalità. (Coloro che lasciano la loro casa) devono volentieri mantenere la disciplina, vestire abiti poveri e mangiare cibo semplice; essi si rifugiano nelle valli di montagna e non hanno aspettative per i loro corpi attuali: questa è la condotta di coloro che abbandonano la casa per dedicarsi al Dharma. Oggidì, le persone non solo sono egoiste, ma si avvantaggiano del potere sugli altri per i loro perseguimenti individuali. Per questa gente, io non posso proprio fare nulla!”

T’aego roteò la sua frusta e continuò: “Le tigri non mangiano animali (con la pelle) a striscie, perché hanno paura di recare danno alla loro propria specie. Tra le persone comuni, in verità, alcune possiedono talento e virtù, essendo leali nei confronti dei Sovrani e di indole filiale verso i loro genitori. Seppure costoro fossero abbandonati tra gli sterpi, avrebbero comunque interesse per l’andamento delle cose, interesse per la Nazione e si dedicherebbero alla salvezza del mondo e dei suoi esseri. Benché io sia piuttosto indegno e stupido, poiché non potevo sopportare di dover tacere di fronte a questi interessi, sono comunque stato introdotto ai più alti livelli (come maestro Zen).”

“Se coloro che sono al potere proteggessero i buoni ed i degni e punissero i malvagi ed i disonesti, chi non sarebbe fedele e leale? Chi non sarebbe filiale? Chi non abbraccerebbe il Sentiero? Chi non studierebbe il Dharma? Chi non coltiverebbe la propria virtù? Tuttavia, se qui vi fosse qualcuno con la forza necessaria per sradicare una montagna e con l’energia per oltrepassare il mondo, che si faccia avanti e venga a combattere insieme a me. Sapremo sacrificare i nostri corpi per la Nazionee realizzeremo la Grande Impresa. Ciò non riguarda solo i nobili. Se, però, non esiste una tale persona, se qui nessuno si fa avanti, allora il vecchio monaco T’aego andrà da solo a servire nelle fortificazioni di confine, solamente provvisto di un cavallo e di una lancia! Ma, ditemi: se io andassi, quale sarebbe l’unica frase per definire questa realizzazione della grande impresa?

Dopo un lungo silenzio, T’aego disse: “Sollevando trasversalmente sopra la testa la spada incomparabile, con l’unico vero e completo imperativo: Nell’universo della Grande Pace, allo scopo di abbattere la cocciuta stupidità umana.”

Quindi, egli roteò per due volte la sua frusta al di sopra di sé.

8) RITORNO ALLA MONTAGNA DEI TRE ANGOLI

Allorché ebbe raggiunta la porta del Tempio, T’aego disse: “In passato non ho mai lasciato questa porta, né la sto attraversando ora. Non vi è nessun altro posto in cui poter stare. Dove mai potreste andare, tutti voi, per vedere in quale luogo io andrò a turno girovagando?” Così dicendo, egli roteò la frusta sopra la sua testa.

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Dopo un lungo silenzio, T’aego riprese: “Sulle fredde giogaie del Nord, fiori rossi come broccato, si sprecano miseramente. Sulle acque dei torrenti di montagna scorrono le piante acquatiche di erba ‘indigo’.”

9) NEL TEMPIO ZEN “RUPE-FENICE” SUL MONTE HUIYANG

Giungendo alla porta del Tempio, T’aego disse: “Tutti i Buddha del passato, presente e futuro, entrano ed escono attraverso questa porta. Ma, ditemi: oggi, io sto entrando od uscendo? In verità, non sto né entrando né uscendo. Qual è il principio sottile di tutto ciò?” Così dicendo, egli scosse tre volte la sua frusta.

10) NEL TEMPIO ZEN “PREZIOSA-FORESTA” SUL MONTE KAJI

Quando giunse alla porta del Tempio, T’aego disse: “Il vecchio Shakyamuni ha detto, ‘Affido questa porta del Dharma ai Governanti dei Regni ed ai loro Ministri’. Queste sono parole di verità. Oggi sono arrivato qui con un gruppo numeroso: siamo partiti dal Monte Huiyang ed infine ci siamo fermati davanti a questa porta, qui sul Monte Kaji, distante trecento miglia. Siamo rimasti per quattordici giorni in strada. Ci siamo diretti a Sud e, giorno dopo giorno, siamo andati avanti senza incontrare ostacoli. Ovunque stessimo dirigendoci, la porta universale della Perfetta Compenetrazione era una strada aperta davanti a noi, grazie alla protezione, l’aiuto e la benevolente volontà del nostro Sovrano e dei suoi Ministri.”

T’aego, rivolgendosi all’assemblea degli astanti, disse: “Ora, siamo arrivati, ma come possiamo avanzare senza ripagare questa grande benevolenza che ci è giunta dall’alto?” Egli roteò la sua frusta e disse: “Il rumore dell’impetuoso torrente è un suono molto intimo e perfino il colore delle montagne, è così!”-

Davanti all’altare del Buddha, T’aego disse: “L’antico buddha Chao-Chou disse, ‘Io non gradisco affatto udire sempre questa parola <buddha>‘. Io non sono così; a me non piace colui a cui non piace ciò. Nel passato, io sono stato Te, ed oggi Tu sei me!”- Quindi, egli accese l’incenso e si prostrò in omaggio.

Quando fu nella stanza dell’Abate, T’aego disse: “Per raffinare la gente ordinaria e renderla mescolabile coi Saggi, noi adoperiamo la forgia ed il mantice del Cielo. Ma, ditemi, chi è oggi che può resistere, stando in bilico sulla lama di un rasoio? Bah!”

11) NEL TEMPIO ZEN “SORGENTE-SPLENDENTE” SUL MONTE CHASSI

Giunto sulla porta del Tempio, T’aego disse: “L’intero mondo è la vera porta della Liberazione. Lo capite questo, tutti voi? Se non riuscite a capirlo, ve lo spiegherò più cvhiaramente.” Quindi, egli scosse la frusta e disse: “La Porta della Liberazione è già ampiamente aperta. Non esitate, dunque, ed entrate insieme a me!”. Ciò detto, egli varcò la soglia.

Nella stanza dell’Abate, disse: “Questa è un’ottima stanza per il ‘Re della Vacuità’. In passato, veniva chiamata ‘La Grotta della Nuvola Fortunata’. Oggidì, ci vive un puro ed indebolito uomo del Sentiero. Vengano pure i Buddha ed i Patriarchi, egli non si incontrerà con essi. I cenciosi monaci dalla vista acuta non possono nemmeno accostarglisi. Ma, ditemi: chi è che può, così all’istante, eliminarlo? Chi potrà farlo diffondendo l’insegnamento in accordo col Buddha e ricevendo gli esseri, in accordo alle loro possibilità? Bah, che razza di domande oziose!”

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T’aego si diresse verso la Sala del Dharma, sollevò la frusta al di sopra della sua testa, e disse: “Punti bianchi, tracce di blu, striscie di rosso, fascie di spazio vuoto; i buddha del passato hanno dimorato qui, i buddha del presente qui dimorano ed i buddha del futuro pure dimoreranno in questo luogo. Nel momento che io li celebro, questa è già diventata una favoletta per far dormire i bambini. Come mai, tutti voi che siete qui, state dormendo?”

Quindi, T’aego roteò tre volte la sua frusta e scese dal seggio dell’Istruttore.

12) COME MEDITARE CON I KO-AN

T’aego istruì l’assemblea, citando un ‘caso pubblico’ (ko-an): “Un monaco domandò a Chao-Chou se il cane avesse o meno la natura-di-Buddha. Chao-Chou rispose, ‘No!’. Questa parola, ‘No’, è come una pillola di cinabro alchemico: se con essa tocchi il ferro, questo si trasforma in oro. Non appena viene pronunciato quel ‘No’, si rivela il volto di tutti i Buddha del passato, presente e futuro. E tutti voi, siete disposti ad accettarlo, oppure no? Se non potete accettarlo con certezza, a causa di questo grande dubbio, dovreste gettare via il vostro corpo e la vostra mente come se steste penzolando da una rupe alta mille metri. Non fate calcoli o valutazioni: siate come una persona che sta per morire di una morte eroica. Abbandonate tutti i pensieri di ciò che avete da fare e di come dovreste agire.”

“Solamente, mantenete in voi e bloccate la parola ‘No’ in se stessa. Ventiquattr’ore al giorno, nel bel mezzo di tutto ciò che state facendo, prendete ed applicate questa sentenza meditativa come la radice stessa della vostra vita. Mantenetevi sempre in uno stato di osservazione, esaminando la parola ‘No’ in ogni momento. Apponeteci la vostra indefessa attenzione ed affiggetela davanti agli occhi della vostra mente. Siate come la chioccia seduta sulle sue uova, che vuole essere sicura che stiano sempre al caldo. Siate come un gatto in attesa di catturare il topo. Il corpo e la mente non devono muoversi e l’occhio non deve abbandonare l’obiettivo, neanche per un istante. Non preoccupatevi della mente e del corpo, dell’esistenza e della non-esistenza, del voler vivere o del voler morire. Mantenete la sentenza meditativa sempre al suo posto, nell’occhio della mente.”

“Proseguite costantemente e solo in questo modo, sempre più chiari e vigili, investigando con la massima attenzione, come un bimbo che pensa al latte di sua madre, come un affamato desideroso di cibo, come un assetato bramoso di acqua. Riposatevi, ma non fermatevi; contemplate sempre più in profondità. Ciò non significa però che dobbiate mantenere uno stato letargico o artificioso della mente. Non è questo ciò a cui puntiamo. Se vi comporterete proprio nel modo che vi è stato detto, giungerete dunque nell’esatto punto del potere della salvezza. Questo, è anche il luogo del potere della conquista e della vittoria. Il grado della meditazione diventerà spontaneamente puro e maturo, e farà riunire tutte le cose nell’Uno. Corpo e mente diventeranno all’istante solidi ma vuoti, fusi ed immobili: la mente non avrà nessun altro posto ove girovagare e perdersi. A questo punto, ci siete voi soltanto, ciascuno da sé solo. Se permetterete ai pensieri separativi e diversificanti di sorgere, allora potrete star sicuri di venir ingannati dai riflessi grossolani (della sola ed unica realtà). Soprattutto, assicuratevi che non sussistano pensieri estranei e che siano distinti da voi stessi. Al sia pur minimo pensiero, dovreste rivolgervi verso di esso e cercare di vedere quale sia il suo volto, cioè il volto della realtà.”

“Ancora una volta, vi domando, cosa voleva significare il ‘No’ di Chao-Chou? Se avrete la capacità viva di spezzare l’ignoranza, sotto la spinta di questa parola (‘No’), allora sarete come colui che, quando beve l’acqua, sa da solo se essa è fresca o calda. Se non vi riuscisse di penetrare attraverso questo enigma, cercate allora di applicare una maggior energia ed una più intensa volontà. Dovete applicare la vostra attenzione su un costante e continuato livello meditativo, senza mai fermarvi o fare delle soste. Non importa se avrete o no dei dubbi; non importa se ci prendete gusto o meno, ma, nel momento del Grande Dubbio, continuate a mantenere la vostra attenzione sulla sentenza. Di

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momento in momento, con una attenzione limpida, cercate di mantenere una osservazione estesa e prolungata. Quando camminate, quando siete in piedi o state seduti, sforzatevi di conoscere all’istante la condizione in cui proprio vi trovate, siate proprio nella condizione in cui state! Siate sempre così, anche quando mangiate o parlate con qualcuno. Siate sempre e solo così in ogni cosa che fate, sia muovendovi che stando immobili, e nulla più vi potrà sfuggire.”

“Siete tutti voi in grado di riconoscere la profonda generosità delle quattro forme di benevolenza(la benevolenza dei genitori, dell’insegnante, del sovrano e dei protettori)?

Siete in grado di riconoscere la composizione del disgustoso corpo fisico per quello che è, composto dai quattro elementi, e di come deperisca momento per momento? Siete in grado di realizzare che la vostra vita è sicura solo se ad un respiro ne fa seguito un altro? Avete mai incontrato almeno uno dei buddha o maestri illuminati, che sono apparsi nel mondo? Per quale motivo pensate di essere venuti al mondo? Non è forse per ascoltare gli insegnamenti della Scuola Suprema? Avendo ascoltato questo veicolo della Scuola Suprema, riuscite ad intuire quanto difficile sia incontrare un tale insegnamento? Siete in grado di evitare discorsi inutili nella sala di meditazione, così da potervi concentrare nella contemplazione dei ko-an tramandati dagli antichi maestri Zen? Siete capaci di mantenere le regole dell’etica morale e della disciplina anche quando siete negli ambienti mondani?”

“Mentre state camminando, sedendo, stando fermi o sdraiati, siete capaci di investigare la sentenza meditativa senza interruzione per ventiquattr’ore al giorno? La investigate all’ora del pranzo? Non è che, per caso, quando state parlando con qualcuno, la dimenticate? E anche quando siete sconvolti, tormentati o emozionati, questa sentenza meditativa è sempre con voi? Appena usciti dalla sala di meditazione, vi capita spesso di parlare o pensare a cose futili e mondane, chiacchierando oziosamente e dissolutamente con le altre persone, emettendo giudizi su ciò che ritenete giusto o sbagliato? Siete in grado di adempiere alle ingiunzioni Buddhiste di <non far rilevare gli errori agli altri e di non parlare dei difetti altrui >? Riuscite ad applicare costantemente, in ogni momento, il progresso nello sforzo e nella motivazione? Quando la vostra vista, l’udito o il vostro conoscere sono in funzione, siete sempre perfettamente chiari e fusi con tutto l’insieme? Quando vi capita di divertirvi e di essere felici, vi osservate e siete consapevoli di voi stessi? Come può il vostro volto originario afferrare la risposta di Chao-Chou? Cosa voleva dire Chao-Chou col suo ‘No’? siete pronti a vivere questa vita con la saggezza di un Buddha?”

“Potranno mai, i monaci dei vari ranghi ed i praticanti laici (upasaka), onorarsi e rispettarsi gli uni con gli altri? Quando questi ultimi si alzano dalla pratica seduta e si mettono a proprio agio, sono consapevoli delle pene che si soffrono negli inferni?- Questa è la verità che le persone giunte ad afferrare lo Zen affrontano durante le loro attività quotidiane. Coloro che studiano realmente lo Zen, devono imparare a praticare così, in questo modo. Io vi ho offerto un modello, in accordo alle vostre richieste. Ora, ciascuno dica la sua, così si potrà capire a che punto sta ed a che livello si trova. Se non saprete esprimere nessuna parola, allora non sarà possibile lasciarvi andare!”

13) LA MENTE DI BASE

Su ordine del Re, T’aego dette un breve profilo dei principi di base dello Zen. “Qui con me, non c’è fondamentalmente nessun dharma, perciò come potrebbero esservi le parole? Di conseguenza, non ci saranno nemmeno risposte. Il Re di questa Nazione mi ha nuovamente fatto richiesta di parlarvi dell’Inesprimibile, di parlarvi direttamente della base della Mente.”

“Ebbene, si può dire che vi è ‘qualcosa’ di chiaro e luminoso, senza assolutamente alcun aspetto di falsità, senza sviste, tranquilla ed immobile, in possesso di una vasta consapevolezza, fondamentalmente senza nascita, morte o discriminazioni, senza forme, nomi o parole. Essa ingloba

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lo spazio e ricopre sia il cielo che la terra, ogni forma e suono ed è predisposta ad avere delle funzioni. Se volessimo parlare della sua essenza, essa è così vasta che abbraccia tutto, per cui nulla esiste al di fuori di essa. Se parliamo delle sue funzioni, essa va ben oltre e al di là delle capacità del samadhi, dei poteri spirituali, delle saggezze innumerevoli quanto i granelli di polvere nelle terre del Buddha; essa è insieme nascosta e palesemente manifesta, libera e sovrana in tutte le direzioni e con enormi poteri spirituali. Tutti gli esseri, anche i più grandi saggi, non possono afferrarla né concepire i suoi confini.”

“Questa <cosa> unica è sempre insieme in tutti ed in ciascuno. Sia che vi muoviate o restiate immobili, ovunque incontriate oggetti e circostanze, essa è costantemente lì, assai palese e chiara, ovunque e sempre luminosa, rivelata ed evidente in ogni cosa. Essa stessa è realmente tutte le cose. È quietamente risplendente in tutte le attività ed è solo come espediente che essa viene chiamata <Mente>. Spesso è anche chiamata Via, o Sentiero, o anche il Buddha, il Re degli Infiniti Dharma. Lo stesso Buddha disse che anche camminando, sedendo, stando in piedi o sdraiati, noi siamo sempre all’interno di essa. Anche i saggi Yao e Shun dissero: -Restando fedelmente nel mezzo, senza alcuna azione obbligata, tutto è già di per sé ben ordinato e perfetto, sotto il cielo!- Non erano forse veri saggi, Yao e Shun? Non erano forse persone speciali, i buddha ed i maestri illuminati? Semplicemente, essi riuscirono ad illuminare questa Mente!”

“Comunque, fin dall’antichità, i buddha ed i maestri illuminati non hanno mai stabilito testi e parole come sacri: essi trasmisero soltanto la Mente con la Mente, senza nessun altro insegnamento, separato da quest’unica verità. Se ci fosse qualche altro insegnamento oltre questa Mente, sarebbe uan teoria falsa ed illusoria e non la vera parola del Buddha. Perciò, quando usiamo l’appellativo ‘Mente’, non è la mente ordinaria della persona comune, la quale anzi ingenera false discriminazioni, ma piuttosto è la Mente silenziosa ed immobile che risiede nel profondo di ogni persona. La gente ordinaria, da sola, non può e non sa preservare questa Mente inerente. Le persone comuni creano inavvertitamente e involontariamente false modificazioni, sicché vengono immediatamente sprofondati nella confusione dell’energia volatile degli oggetti sensibili, come se vi fosse un impetuoso vento disturbante. Gli oggetti, come fenomeni apparenti, li sommergono con le esperienze sensoriali che sorgono e scompaiono, avanti e indietro all’infinito. Gli esseri creano ingannevolmente la sofferenza karmica, che si manifesta in infinite nascite e morti e infinite situazioni mentali piene di afflizioni e attaccamenti. Tuttavia i buddha, i saggi ed i maestri illuminati, appaiono nel mondo a causa del potere dei loro precedenti voti di Bodhisattva. Essi provano una grande compassione e la usano indicando agli altri esseri, in maniera diretta, che la mente umana è già inerentemente illuminata e così rendono le persone ordinarie capaci di risvegliarsi alla Mente-Buddha.”

“Anche la V. Maestà deve contemplare la propria mente inerente. Durante le pause delle sue molteplici funzioni di Stato, V. Maestà dovrebbe sedersi nella sala del Palazzo con la schiena eretta, senza alimentare alcun pensiero di bene o di male e abbandonando tutti i fenomeni del corpo e della mente, proprio come se egli stesso fosse la statua dorata del Buddha. Quindi, i falsi pensieri di nascita e morte, di origine e distruzione, saranno totalmente annientati, e lo stesso annientamento sarà annientato, finché in un istante la mente di base sarà quieta ed immobile, con nulla su cui appoggiarsi. Corpo e mente diventeranno improvvisamente vuoti. Sarà proprio come protendersi nel vuoto e tutto ciò che a questo punto ci apparirà, sarà soltanto estrema chiarezza e totale luce interiore. Indi, si dovrà guardare attentamente al proprio volto originario, come era prima ancora che i nostri genitori fossero nati. Allorché si sarà formato, vi risveglierete ad esso e quindi, come colui che beve direttamente l’acqua, saprete da voi stessi se è calda o fredda.”

“Ciò non può essere descritto o spiegato a parole, a nessuno e da nessuno. C’è soltanto una luminosa consapevolezza che ricopre tutto, sia il cielo che la terra. Quando il reame di cui vi ho appena parlato, appare spontaneamente davanti a voi, non avrete più dubbi o incertezze riguardo alla nascita e morte,

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non avrete più tentennamenti di fronte ai detti del Buddha e dei maestri illuminati; anzi, in realtà, in quel momento sarete proprio in contatto con essi! Questa è la meraviglia trasmessa da ‘padre’ a ‘figlio’, dai buddha e dai maestri illuminati del passato. Dovete, però, farne il vostro principale interesse. Siate attenti a non trascurarlo. Siate sempre ‘così’ anche quando siete presi dagli affari del mondo o state lavorando per migliorare le condizioni delle persone. Usate questo Sentiero, anche per stare in guardia verso tutti gli eventi o per incoraggiare sudditi e Ministri a compartecipare all’originale verità interiore, al fine di godere la Grande Pace. Allora tutti i buddha, i dèva, i naga e gli spiriti buoni saranno rallegrati ed estenderanno l’aiuo spirituale e sovrannaturale per il governo del paese!”

“Non solo in questa vita ma in più esistenze, V. Maestà ha già incontrato i buddha ed i saggi illuminati: egli ha piantato, nel nostro veicolo della Scuola Suprema, profondi semi per la saggezza trascendente. Per il potere dei nostri voti fondamentali, oggi io provo immensa gioia nel parlare con V. Maestà di questa verità, in maniera libera e spontanea, come quando si sta intorno ad un fuoco notturno e ci si gode nell’attizzarlo. Per realizzare la Grande Questione, non dovete avere alcun dubbio. Tra il popolo della Nazione, quelli che sono benedetti dalla saggezza obbediranno al volere del Re e lo rispetteranno come se fosse il Buddha. La felicità interiore si dipingerà sul loro volto, non appena proclameranno:- Il nostro Signore è il Re ‘Mente-di-Buddha’, lodandolo senza fine. Sicuramente simili persone furono, in passato, coloro che posero radici per la bontà insieme a V. Maestà. Ed ora, queste radici stanno giungendo a maturazione. Al contrario, coloro che, pur ascoltando, si fanno venire dei dubbi o coloro che non hanno voluto ascoltare questi insegnamenti, essi non sono meritevoli neppure di venir nominati!”

14) QUESTO LAVORO È VERAMENTE SOTTILE

(Risposta ad una lettera del laico Pangsan di Osu)

“Non sono stato in grado, a causa di una malattia provocatami dal karma, di venire in città per incontrarti. Benché io sia in giro per il Paese, in realtà non passa giorno che non ci si veda. Allora, come ti vanno le cose?

“Oggi, inaspettatamente, ho ricevuto la tua lettera. Sapevo già quanto tu fossi costante nella tua attività e quanto rivolto col cuore su questo problema. Stai facendo del Sentiero la tua attività quotidiana principale. Sono molto contento di te. Nella tua lettera, dici che stai contemplando la sentenza meditativa (koan) come fosse un pensiero che sorge istante dopo istante. Questo lavoro è veramente sottile. Un antico saggio disse: -Non abbiate timore del sorgere subitaneo del pensiero; siate soltanto timorosi di essere lenti nel risvegliarvi! – È stato anche detto, -Non appena sorgono i pensieri, se si resta consapevoli, essi se ne andranno velocemente e, in quel vuoto che si forma, uno si risveglia!- ed ancora, -Dal pensiero che, momento per momento, si attacca a tutti gli svariati oggetti, prende avvio la mente che, momento per momento, elimina per sempre tutte le discriminazioni!- Queste sentenze sono dei validissimi consigli da parte degli adepti illuminati, intesi ad aiutare le persone per far loro raggiungere l’emancipazione. Il vecchio Pang diceva: -Ho appena fatto il voto di rendere vuoto tutto ciò che esiste e di non rendere reali le cose che non esistono! –

“Ti invito, dunque, a distinguere il sacro dal profano ed a valutare le situazioni di guadagno e perdita, affinché tu possa arrivare all’ultimo estremo della buona sorte. Nella tua lettera c’era un senso di invito molto urgente e pressante; le ‘avviluppanti edere’, la ripetitiva verbosità, pensieri che sorgono e scompaiono – tutto ciò noi lo chiamiamo ‘nascita e morte’. Proprio a metà tra nascita e morte, tu devi usare tutta la tua forza per mantenere ferma la sentenza meditativa. Quando la tua attenzione sul koan è pura ed unificata, il sorgere e sparire finisce. La cessazione del sorgere e sparire è chiamata ‘quiete immobile’. Stare nel mezzo della quiete, senza la meditazione sul koan, è chiamato

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‘indeterminatezza’, mentre essere consci della sentenza meditativa, nel mezzo della quiete, è chiamata ’consapevolezza spirituale’. Questa ferma e vuota consapevolezza spirituale è incontaminata ed indistruttibile. Se, nel sentiero Buddhista, riesci a lavorare in questo modo, il successo ti arriverà presto!

“Il tuo corpo, la tua mente e la meditazione si fonderanno nell’unico Uno. Non avrai più dipendenze e la tua mente non si dirigerà più in ogni dove. A quel punto, ci sarai solo tu e, se ancora avrai pensieri di separazione e diversità, sarai certo che queste sono solo illusioni sorte a causa di un riflesso della mente. Mantieni, perciò, costantemente ferma la sentenza meditativa (il koan). Vai avanti così, giorno dopo giorno, senza sosta. Se andrai avanti senza sosta così nel Dharma, per almeno tre giorni, sia nel movimento che nell’immobilità, con il parlare ed il tacere, come l’unica talità e con la sentenza meditativa costantemente presente davanti a te, questo ti renderà calmo e chiaro, come lo splendore della luna sulla riva di un rapido torrente di montagna. Questo luminoso chiarore lo puoi vedere ed anche toccare, ma esso non si disperde, puoi tentare di scacciarlo, ma esso non se ne va, puoi cercare di spazzarlo via, ma esso non ne viene affatto sciupato.

“Sia che si resti svegli o si cada addormentati, c’è sempre quella ‘talità’. Il tempo della Grande Illuminazione è vicino. Quando approderai a questa congiunzione, non cercare spiegazioni razionali da chicchessia e non parlarne con coloro che non potrebbero capire. Restatene muto come un ignorante, ventiquattr’ore al giorno, sia che tu stia camminando, sedendo, o che tu stia fermo in piedi o sdraiato. Abbandona il pensiero del tuo corpo e della mente: sii come un morto. Non lasciare che l’interiorità se ne esca fuori, né che l’esteriorità entri dentro. A questo punto, dimenticare la sentenza meditativa sarebbe un gravissimo errore. Prima che il Grande Dubbio sia mandato in frantumi, non dimenticare mai, per nessun motivo, la sentenza meditativa.

“Se farai proprio come ti sto dicendo e realmente raggiungerai questo stadio, allora improvvisamente l’ignoranza sarà distrutta e ti svuoterai nella Grande Illuminazione. Dopo, quando ti sentirai illuminato, dovrai contattare un esperto autentico della Scuola Zen, per effettuare la tua scelta finale e dirigerti verso l’Assoluto. Se, a questo stadio, non contatterai un maestro autentico, dieci volte su dieci si corre il rischio di diventare un dèmone. Perciò ti mando le mie preghiere.”

15) CONTEMPLARE IL “NO”

(Al praticante laico Mughye di Chang Hae)

Un monaco chiese a Chao-Chou: “Il cane possiede la natura-di-Buddha?”. Chao-Chou rispose: “NO!”. Questa parola ‘No’, non è il No all’esistenza, o ad una ‘certa esistenza’. Non è un No per indicare il Nulla. Ma, allora, in definitiva, che cos’è?

Quando arrivi a questo punto, devi abbandonare tutto ciò che riguarda personalmente il tuo corpo: non fare assolutamente nulla, non fare neanche il ‘nonfarenulla’. Vai diritto alal vacuità, libera e vasta, senza stare a soppesare ciò che pensi. Il pensiero di prima è già estinto, il pensiero di dopo non è ancora nato. Il pensiero di adesso è esso stesso vuoto. Non sostenere la vacuità e dimentica pure se la stai sostenendo o meno. Assolutamente non ‘reificare’ (cioè non rendere reale) questa dimenticanza ed anche dimenticati della ‘non-reificazione’, stando attento a non attaccarti nemmeno al tuo dimenticare. Quando raggiungerai questo punto, vi sarà soltanto la luce spirituale che è totalmente e completamente immobile, chiara e consapevole, e che sarà percepita come uno stato di nobile ed elevata presenza.

Cerca di non dare erroneamente corpo alle interpretazioni ed opinioni; bensì, mantieni solamente alta davanti a te la sentenza meditativa (il koan), ventiquattr’ore su ventiquattro, qualsiasi cosa tu stia facendo. Non essere dimentico di questo compito, nemmeno per un istante. Sii diligentemente alle

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prese con essa e studiala in tutti i minimi dettagli. Se studi con impegno nel modo in cui ti ho detto, srotolondo su e giù la sentenza, quando il tempo giusto sarà arrivato potrai rifletterci meglio e potrai vedere con maggiore chiarezza che cosa voleva intendere Chao-Chou con il suo ‘No!’. E poi, quando non sari più in grado di muoverti, come un topo che si trova in una spirale cava, allora tutti i tuoi punti di vista e opinioni personali saranno eliminati.

Quando le persone con facoltà acute arrivano a questo punto, devono svuotare e frantumare il contenitore smaltato e colorato dell’ignoranza, sconfiggendo in tal modo lo stesso Chao-Chou. Esse non avranno più dubbi sulle sentenze degli Illuminati di ogni tempo. Comunque, anche se tu ti fossi già risvegliato in questo modo, non parlarne mai davanti agli individui privi di saggezza. Mettiti soltanto in contatto con un autentico maestro della Scuola.

16) IL VOLTO ORIGINALE

(Al praticante qualificato Ch’oe)

Tu mi hai chiesto: “Qual’era il mio volto originale, prima che mio padre e mia madre fossero nati?”. Se puoi già comprendere completamente questa frase nonappena tu la senti, allora sei già oltre. Altrimenti, dovresti essere continuamente conscio e attento (a questa sentenza-koan) ventiquattr’ore al giorno, senza permettere mai che la tua mente la ignori o la dimentichi, qualsiasi cosa tu stia facendo. Devi essere come una chioccia che custodisce le sue uova, o come un gatto che sta puntando il topo.

Se puoi mantenerti in questa condizione, dai tre a i sette giorni, sarai sicuro di ottenere qualche risultato (circa il significato interiore profondo della domanda). Questa strada è il punto di partenza per l’illuminazione diretta del Re Primordiale. Non appena metti in discussione la capacità di questo significato, potresti pensare: ‘Il mio corpo fisico, composto dai quattro elementi, ovviamente è stato generato dai miei genitori e, in un tempo non specificato, sicuramente si decomporrà. Allora, qual’era il mio volto originale prima che mio padre e mia madre fossero essi stessi nati?’

Cimentarsi con questo problema, per migliaia e migliaia di volte, senza cadere nell’oblìo: ecco cosa si deve fare. Se si procede così, senza interruzioni, allora il lavoro diventerà naturalmente puro e idoneo e corpo e mente saranno contenti e chiari, come la fresca aria autunnale. Quando coloro con facoltà acute, saranno giunti a questo punto, potranno aprirsi alla Grande Illuminazione e saranno come colui che, quando beve direttamente l’acqua, sa da solo se è calda o fredda, così essi conosceranno personalmente la loro propria Illuminazione. Tutti coloro che saranno in grado di farlo, da soli lo accetteranno in assoluta chiarezza e comprensione. Soltanto allora, anche tu potrai essere sicuro (della verità) della sentenza. Quando la mente è completamente spossata ed il corpo non ha più nulla su cui appoggiarsi, solo allora potrai vedere la persona originaria!-

17) CHI È CHE FA LE DOMANDE?

(Al Praticante laico Sa-je)

Sapendo che l’impermanenza opera velocemente e che il problema della nascita e morte è molto importante, tu sei venuto appositamente a fare domande sul Sentiero. Questa è proprio la condotta giusta del vero uomo. Ancora, sai chi è colui che riconosce l’impermanenza e la nascita-e-morte come tali? Sai chi è colui che è venuto appositamente a fare domande sul Sentiero? O laico, se puoi esattamente discernere e comprendere ciò, allora, come diciamo noi, - ‘Il tuo volto è unico e portentoso,- la luce irradia nelle dieci direzioni.- Abbiamo solo fatto un’offerta:- ora, però, ritorniamo alla nostra vera origine!’ –

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Malgrado ciò, io ti dico di non bloccare il tuo potenziale e non indugiare col pensiero su quelle quattro strofe, mettendo all’opera la tua mente concettuale ed i pregiudizi congeniti. Se lo farai, più si cercherà di spiegarti e più lontano dal vero tu sarai. Perciò, è meglio che tu studi le strofe della tua esperienza di vita.Hai mai letto o sentito questo koan?: “Un monaco chiese a Chao-Chou, ‘Il cane possiede la natura-di-Buddha?’, e Chao-Chou rispose: ‘No!’.” Bene, questo ‘No!’ non è il ‘No’ di esistenza o non-esistenza, e nemmeno il ‘No’ di un reale Nulla.

Ma, in finale, dimmi che razza di verità può essere? Se, appena ti è stata proposta la sentenza, tu l’avessi capita subito, allora saresti a posto. Se invece tentenni nel dubbio, incapace di penetrare quella risposta, allora devi mettere alta davanti a te la parola ‘No!’ per studiarla ed osservarla nel modo giusto, finché il tuo dubbio non se ne vada in frantumi.

Sia camminando che giacendo, stando seduto o sdraiato, ventiquattr’ore al giorno sii sempre consapevole di essa. Vai avanti e continua così, solo studiando in questo modo e mantenendo una costante contemplazione accurata di questo ‘No!’. Se, penetrandoci all’interno, riuscirai ad attraversarlo allora immediatamente incontrerai Chao-Chou. A quel punto non ti resta che contattare un qualificato Insegnante della Scuola Zen. Mettiti dunque subito in marcia!

18) SCHEMA ESSENZIALE PER RECITARE IL NOME-DI-BUDDHA

(Al Praticante laico Nagam)

Il mantra ‘Amitabha Buddha’ è lingua Sanscrita; nella nostra lingua significa ‘Buddha della Vita Infinita’. Anche il termine ‘Buddha’ è Sanscrito e significa ’Colui che si è Illuminato’. Il fatto è che la natura fondamentale di ciascuno, di tutti gli esseri, contiene una grande Consapevolezza Spirituale. Fondamentalmente senza nascita né morte, si estende tra il passato, il presente ed il futuro, sempre illuminata e viva spiritualmente, incontaminata, meravigliosa, sovrana nella pace e nella beatitudine. Non è forse questo, il Buddha della Vita Infinita? A tal proposito è detto: ‘Illuminare la mente è chiamato <essere un Buddha>. Parlare di questa mente Illuminata, è chiamato <l’insegnamento scritturale>. L’intero Canone completo degli insegnamenti scritturali, dato a parole dal Buddha, è un espediente-strumento per indicare la natura illuminata inerente in tutti quanti gli esseri.

Benché gli espedienti-strumenti siano assai numerosi, essi in essenza insegnano la Pura Terra del Buddha Amitabha, nella sua Natura Inerente. Se la mente è pura, allora anche la Terra del Buddha è pura. Se la natura-di-realtà appare, allora appare il corpo-di-Buddha. Questo è precisamente ciò che intendono dire gli insegnamenti scritturali. Il puro e portentoso Dharmakaya del Buddha Amitabha è in ogni dove, nella mente-di-base di tutti gli esseri viventi. Perciò è detto: ‘Mente, Buddha ed Esseri senzienti, non sono affatto differenti’. Ed ancora è detto, ‘La Mente è il Buddha, il Buddha è la mente. Al di fuori della mente non c’è Buddha; al di fuori del Buddha non c’è mente!’-

Se tu genuinamente reciterai il nome-di-Buddha, starai proprio invocando l’Amitabha della tua propria natura inerente. Ventiquattr’ore al giorno, qualunque cosa tu stia facendo, ripeti continuamente coltivando le parole ‘Namo Amitabha Buddha’ e inchiodale davanti all’occhio della tua mente (il terzo occhio). Fai che quest’occhio della mente ed il nome-di-Buddha si fondano in un unico assieme, fino a che tutto ciò continui limpidamente, momento-mentale dopo momento-mentale, senza interruzione. Ogni tanto, volgiti indietro e contempla minuziosamente, ad un livello profondo, cercando di sapere chi è colui che sta recitando.

Dopo un certo periodo, sicuramente non troppo breve, in cui avrai applicato questo lavoro senza interruzione, all’improvviso, in un solo istante, mente e pensieri verranno spazzati via ed il corpo reale di Buddha Amitabha apparirà dentro di te, sotto forma di uno strabiliante stato di presenza.

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Solamente allora sarai sicuro della verità della frase: “Colui che, dentro di te, non si è mai mosso, è proprio il Buddha!”-

19) CHI È CHE STA RECITANDO IL NOME-DI-BUDDHA?

(Al Praticante laico Paek-Ch’ung)

Il Buddha disse: “Al di là delle miriadi Terre del Buddha, ve n’è una chiamata ‘Suprema Beatitudine’. In questa Terra vi è un Buddha chiamato Amitabha. Ora egli è apparso per insegnare il Dharma…”- In queste parole vi è un esoterico, intimo e profondo significato. Tu lo riconosci o no, Paek Ch’ung?

Deponi il nome di Amitabha Buddha nella tua mente; sii limpido ed attento su di esso, in ogni momento, istante dopo istante, senza sosta. Entra in confidenza con esso e contemplalo scrupolosamente. Quando i tuoi pensieri e le idee personali saranno esauriti, allora ritorna in te ed osserva: ‘Chi è colui che è conscio del nome-di-Buddha?’ ed osserva ancora: ‘Chi è colui che può osservare se stesso in questo modo?’. Esegui minuziosamente questo dettagliato studio: sii sempre alle prese con esso, ad un livello più intimo possibile. Vedrai che, all’improvviso, la tua mente personale sarà spazzata via e Amitabha dalla natura inerente, apparirà davanti a te come un’eccezionale stato di presenza. Quindi, lavora intensamente su questo compito!.

20) PRODURRE UN NETTO DISTACCO

(Al Praticante-Zen Tang)

Nell’antichità, coloro che lasciarono la loro casa intuirono la speciale realtà di questa questione (…l’Illuminazione) non appena ne sentirono parlare. Essi divennero intrepidi ed arditi, ed avanzarono in maniera diretta ripromettendosi di non tornare più indietro. Di conseguenza, la vita di saggezza non venne interrotta e l’intuito lampante della mente non fu eliminato. Queste idonee persone non avevano titubato di fronte alla porta di ingresso della dottrina dei Buddha e degli antichi maestri. Dieci su dieci di coloro che abbandonarono la propria casa in quei tempi, si crearono purtroppo degli ostacoli a causa di un eccessivo auto-deprezzamento. Infatti, gli individui sono molto pigri. Essi ritengono questa questione (cioè l’Illuminazione) assai elevata e perciò quasi irraggiungibile e la sospingono ancora più in su, verso il reame dei Saggi, dato che si ritengono inferiori e, quasi quasi, ne sono pure contenti. Sembra che le persone non credano realmente che il corpo umano sia così effimero e transitorio, come la rugiada mattutina, né che la vita possa finire così velocemente, come gli ultimi raggi del sole al tramonto.

Qualche volta esse lavorano sodo, altre volte sono pigre ed oziose: le cose che gradiscono fare, sono tutte ‘basi karmiche’ per i tre tipi di veleni mentali. Esse indulgono nei loro sentimenti di felicità, allegria, rabbia, dispiacere, paura, odio, amore e desiderio; così, in questo modo, producono il loro karma di corpo, parola e mente. Quindi, benché creare karma illusorio sia molto facile, successivamente sarà assai difficile sostenere le sofferenze della retribuzione di quel karma, sulle montagne fatte di lame, nelle foreste taglienti e nei calderoni bollenti degli inferni.

Ora, poiché tu sei uno che ha abbandonato la famiglia, cosa c’è di meglio che generare una mente ardita ed intrepida adesso, mentre tutto è a tua disposizione e vi sono le circostanze favorevoli? Comincia perciò a stabilire decisamente una mente ferma e ben motivata, metti da parte i tuoi sentimentalismi ed i tuoi pensieri personali e produci un netto distacco! Studia bene l’argomento (il Dharma dell’Illuminazione) perché, nello stesso istante in cui avrai penetrato l’illuminazione, nascita e morte saranno immediatamente eliminate. Non avrai più alcun dubbio e capirai tutte le lingue di

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qualsiasi popolo del mondo. Gli stessi Buddha e patriarchi non avranno più la necessità di dover fare qualcosa per te. Non è forse questa la tranquilla, suprema e ultima pace piena di beatitudine?

21) SII INTENTO!

(Al Praticante-Zen Chin)

Ora che hai lasciato la tua casa, devi instaurare in te la dedizione di un grande essere e far spazio ad una mente ardita ed intrepida. Cerca di credere profondamente nel fatto che l’impermanenza è rapida e la questione della vita e morte è importante. Tanto quando cammini che quando stai fermo, quando sei seduto o sdraiato, in ogni momento sii chiaramente consapevole di ciò. Studialo scrupolosamente e coscienziosa-mente. Sii come uno che è precipitato dentro un pozzo profondo mille piedi, che pondera e riflette diecimila volte nello sforzo di trovare un modo per uscire. Con questa attitudine, prima che sia troppo tardi, se lavorerai in questo modo sarai sicuro di avere successo, sarai sicuro di avere una qualche chance di accordarti con il Dharma. Altrimenti, il Buddhadharma per te non avrà alcuna efficacia spirituale.

Nei tempi passati, Xiang-yan si risvegliò al Sentiero udendo un colpo di bambù. Lingyun vide un fiore di pesco e s’illuminò alla Mente di Buddha. Se una persona agisce così, restando attento e chiaro per ventiquattr’ore al giorno, camminando, riposando, sedendo o stando sdraiato, e non offuscando la sua coscienza con pensieri riguardo all’Illuminazione, ma anzi, mantenendola pura, genuina e non-divisa, quando ode un rumore secco, egli si illumina senza volerlo. Anzi, se uno agisce in questo modo quando si muove, o sta fermo, quando parla o sta in silenzio, quando dorme o resta sveglio, in una unica e sola talità, allora anche quando vede le forme, ha la certezza di essere (illuminato) come Xiang-yan o Lingyun.

Coloro che studiano lo Zen, devono esaminare se stessi e fermarsi ad osservare, in ogni momento, se i loro sforzi sono uguali a quelli degli antichi. Se si riscontrano delle carenze, occorre rimproverarsi e riprendere lo sforzo ancora e ancora, rinforzando la decisione di aumentare la propria consapevolezza illuminata. Di ora in ora ed istante dopo istante, bisogna frenare il pensiero e, al momento giusto, farsi la domanda: ‘Qual è il mio volto originale, prima che i miei genitori fossero nati?’-

Sii dunque consapevole e conscio di questo processo per tutto il tempo e prendi confidenza con la sentenza meditativa, con cura e motivata attenzione. Dopodiché, all’improvviso, la tua mente non avrà più luoghi ove andare e diventerà tutt’una con la realtà del “qui ed ora”. Quando gli individui con facoltà acute giungono a questo punto, distruggono immediatamente la loro ignoranza: dopodiché, per completare l’opera, dovranno mettersi in contatto con un qualificato insegnante della Scuola Zen.

22) ALDILÀ DELLE PAROLE

(Al Praticante-Zen Huì)

Il nostro maestro originario, il Buddha, l’Onorato nel mondo, un giorno disse al suo attendente Ananda: ‘Anche se tu memorizzassi tutti i Sutra dei Tathagata del passato, presente e futuro, questa cosa non sarebbe buona quanto la coltivazione giornaliera dell’apprendimento incontaminato’. Quali parole vere e sincere, in questa concreta e semplice frase!

La meravigliosa verità, trasmessa da tutti i Buddha e dagli antichi maestri, non si trova affatto nelle parole, scritte o parlate che siano! Tuttavia, all’infuori della Grande Compassione, gli illuminati non

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avevano altra scelta nell’usare il metodo, per cui risposero alle potenzialità degli esseri, usando parole parlate e scritte. Queste parole scritte o parlate erano dirette specialmente alle persone di bassa e media capacità e, di conseguenza, essi usarono questo strumento o espediente per tentare di indicare loro direttamente la base della mente. In generale, però, le persone che studiano il Buddhismo, prendono per reali questi espedienti e vi si attaccano, senza voler più rinunciarvi. E questa, non è forse un’altra grave malattia?

Gli esseri umani sono come il figliol prodigo, il quale aveva abbandonato il padre per andare a zonzo e, anziché abitare nella sua ricca dimora, soggiornava in squallide locande, prendendole erroneamente come la sua casa. Non solo egli si era attaccato a questo errato modo di vivere, ma nemmeno poteva immaginare per quanto tempo ancora sarebbe rimasto in questa erronea convinzione. Ahimè! Quale enorme pietà e compassione per coloro che prendono il dito che indica, al posto della luna indicata!

Ora, però, tu non sei così! Tu sai per certo che le parole dei Buddha e degli antichi maestri furono solo mezzi o espedienti per indicare la vera mente di base. Tu hai dato un taglio netto al precedente sistema di interpretare le parole. Ora dovresti studiare direttamente la natura della mente: devi completare la grande impresa in una sola vita; così potrai eliminare nascita e morte e ripagare le quattro forme di benevolenza (quella dei genitori, dei maestri, del sovrano e dei benefattori del Dharma).

La natura di base della mente umana è assai sottile e mirabile! Non può essere compresa con le parole o afferrata col pensiero, e nemmeno penetrata col silenzio. Tu, dunque, in ogni momento mantieni soltanto la domanda davanti a te e, soprattutto non lasciare mai che la tua attenzione si affievolisca. Quando naturalmente sarai diventato uno che conosce questa mente di base, arriverai alla condizione in cui non avrai più nulla da sapere e nulla da capire. Ma non cercare di capire adesso o di pensare a che cosa essa sia, sii soltanto completamente sveglio, attento e chiaro e sii in grado di rimanere così, in ogni momento, qualsiasi cosa tu stia facendo, sia che tu sia in movimento o stia fermo, parlando o stando in silenzio. Una volta raggiunto quel potere, allora arriverà spontaneamente un periodo felice. Stai comunque attento a non parlare di ciò davanti a persone prive di saggezza.

Dopodiché, dovrai contattare un maestro qualificato della Scuola Zen, per un processo di selezione a livello intimo, il quale potrà aiutarti ad avanzare ulteriormente. Per un nobile essere umano, questo è tutto il lavoro di una vita!

23) VOLGERSI ALL’INFINITO

(Risposta alla lettera dell’Anziano Suk di Chamdang)

Ho ricevuto, e considerato con molto rispetto, la premurosa lettera dell’anziano Capo-monaco Zen di Kaechon hall. In essa è scritto: ‘A causa della vecchiaia e della malattia, ho soltanto poca volontà (utile per l’illuminazione) e ciò mi procura una pungente afflizione. Desidero qualche parola che possa servire come mio ultimo sostegno. Esse non saranno affatto parole inutili’-.

Anch’io nel passato ho provato sofferenza. In questi tempi, quando si giunge all’ultima

ora dell’ultimo giorno dell’ultimo mese dell’anno, la gente mondana assume l’idea che il vecchio anno sia finito. Però, siccome sta arrivando un nuovo anno, essi lo celebrano e si congratulano gli uni con gli altri, seguendo i loro umani sentimenti emotivi.

Poiché anche tu, anziano monaco Zen, sei uno di loro, tu pure usi questa occasione per metterti in allerta sul fluire del tempo e, di conseguenza, hai pronunciato in modo genuino queste parole molto vere. Sicuramente tu sai benissimo, anziano monaco Zen, che la tua illuminazione, come quella di chiunque altro, è importante e magnifica, del tutto libera e nuda e impossibile da potersi afferrare.

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Come potrebbe esservi, in tutto ciò, una differenza quale che sia tra l’antico ed il moderno e tra il vecchio ed il nuovo? L’illuminazione spirituale è fondamentalmente senza visioni di saggezza o ordinarietà e non è correlata alla illusorietà di nascita e morte. Gli antichi la chiamavano “la vera persona, senza ubicazione”, ma pure questa non è esattamente un’indicazione precisa. Ed ora, in quale modo potrebbe mai venir chiamata? Quando uno beve l’acqua sa da se stesso se è fresca o calda. Perciò, ti prego, ridici sopra una volta ancora ed osserva.

L’antico buddha Chao-Chou disse la parola ‘No!’ per aprire gli occhi a tutti i cenciosi monaci del mondo. Mi domando, quanti occhi di cenciosi monaci vi sono lì a Kaechon Hall? Ed ora, si sono aperti questi occhi? Se tra di essi ve ne sono ancora alcuni non aperti, porgi loro questi miei versi:

“Devi abbandonare tutti i punti di vista concettuali,

“Perché, prima o poi, dovrai attraversare la barriera di Chao-chou.

“Mettiti a studiare ed osserva finché non capirai più nulla,

“Non c’è assolutamente nient’altro da fare. Questo è tutto!

“Se, in siffatto modo, andrai diritto per questa Via,

“In un attimo frantumerai tutta la massa di dubbi.

“Agisci in tal modo negli affari familiari dei cenciosi monaci,

“E sarai sempre sicuro e completamente a tuo agio.

“L’ultimo giorno dell’ultimo mese dell’ultimo anno,

“Può essere ugualmente un giorno con un buon cibo!

“Il fatto di scambiarvi auguri e sincere congratulazioni,

“Come può essere paragonato ciò con la considerazione

“Di una genuina e spontanea felicità perenne?

“Solo camminando a piedi nudi sulla neve e sul ghiaccio

“Puoi sentire il freddo che ti penetra nelle ossa.

“Naturalmente i maestri sono preparati in anticipo,

“Ecco perché anchi’io come loro ti sto dando una mano!”

24) SOLLEVARE LA SPADA DELLA SAGGEZZA

(Al Praticante-Zen, Mon)

Dato che hai realizzato il tuo errore, abbandonando in seguito onori e successi, devi ripagare in questa vita la benevolenza dei Buddha e degli antichi maestri. Se ora indugi nei preliminari, quando potrai finalmente tagliare le radici dell’ignoranza in modo definitivo? Tu hai sicuramente già generato il proposito del ‘grande uomo’, ma ti ci vorrà ancora del tempo per sollevare la spada della Saggezza Trascendente, una spada così tagliente che divide in due un capello. Se agirai sempre in tal modo, quale cosa esteriore potrà mai disturbare la tua verità interiore?

Quando uno arriva alla fine di una strada e si trova davanti una parete di metallo, i pensieri si legano a quell’oggetto e le false precedenti preoccupazioni si acquietano immediatamente. L’effetto è come

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quando i raggi bianchi e puri della luna piena penetrano dentro un blocco di ghiaccio. Anche tu, gradualmente, raggiungerai la condizione in cui gli esseri risvegliati e gli esseri ancora addormentati si trovano in un’unica Talità. La presa sugli oggetti sensoriali diminuirà di intensità e la luce interiore diventerà assolutamente luminosa e brillante.

Quando sarai a questo punto, non permettere che sorgano tristezza e malinconia, oppure gioia ed euforia, e neppure una relativa valutazione interprertativa. Non appena produci questo tipo di conoscenza interpretativa, immediatamente perdi il potere che hai raggiunto. Cerca solo di mantenere la tua attenzione (sulla Talità unificata) e tieni i tuoi occhi svegli ed attenti. Osserva ancora ed ancora quale forme si producano da tutto ciò. Ed, all’improvviso, catturerai la barriera dei Buddha e degli antichi maestri e sarà come farti una spontanea risata.

Dopodiché dovrai cercare un vero maestro Zen che ti prenderà per le narici e ti guiderà in modo selettivo dentro il corso stesso della vita.

25) DUBBIO

(Al Praticante-Zen, Sòo)

Il Buddha predicò la disciplina, la concentrazione e la saggezza, per purificare i reami di corpo, parola e mente. Tu dovresti sostenere questa pura disciplina, cercando di non commettere peccati di corpo, parola e mente. Mantieni costantemente sopra di te il ‘No!’ di Chao-Chou. Non dovresti mai dimenticare, neanche per un istante, questo ‘No!’. Mantieni questo ‘No!’ davanti all’occhio della tua mente in ogni momento, sia quando stai camminando, quando sei fermo, quando siedi o stai disteso, perfino quando sei in bagno, quando ti spogli o ti vesti e quando parli e mangi.

Sii come un gatto che punta il topo o come una chioccia che fa la guardia alle uova. Non dimenticartene mai: tieni sempre in alto questo ‘No!’. Mantenendo senza sosta la tua attenzione sulla sentenza meditativa (koan) e studiandola, sviscerandone i dubbi e chiedendoti perché Chao-Chou abbia detto ‘No!’, la tua mente finirà per scoppiare prima che si sia aperto un varco nel dubbio.

Questo è precisamente il punto in cui dovresti portare la tua meditazione sulla sentenza. Quando verrà raggiunta una continua, corretta attenzione coscienziale alla sentenza meditativa, dovrai continuare a studiare, ancora ed ancora, dettagliatamente, chi è colui che osserva la sentenza meditativa. Il tuo dubbio, e la sentenza meditativa, si fonderanno in un tutt’uno. Sia che tu ti muova o stia fermo, parlando o stando in silenzio, tieni sempre nella mente questo ‘No!’. Gradualmente, arriverà il momento in cui sia l’essere svegli che addormentati, l’essere illuminati o ignoranti, sarà una sola ed unica Talità. Fai solo in modo di non permettere mai che la sentenza meditativa e la tua mente siano separati, nemmeno per un istante.

Quando il tuo dubitare raggiungerà lo stato in cui i sentimenti saranno eliminati e la tua mente dimenticata, allora il CORVO ‘color dell’oro’ volerà attraverso il sole di mezzanotte ed il vero ‘yang’, cioè l’illuminata percezione inerente, emergerà al momento giusto. Quando ciò accadrà, non dovresti provare particolare euforia o malinconia; dovrai solo contattare un autentico insegnante Zen che ti aiuterà a risolvere per sempre tutti i tuoi dubbi.

26) DURANTE QUESTA STESSA VITA

(Al Praticante-Zen, Ka)

Ti esorto a sviluppare il proposito del ‘Grande-Uomo’ e ricompensare così la benevolenza del tuo maestro, già in questa stessa vita. Al momento, il Dharma corretto è sulla via del declino. Per

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perpetuare il lampo dell’illuminazione e liberare gli esseri dall’illusione e dalla sofferenza, nonché per interrompere la rete delle numerose perverse malvagità del mondo devi affrettare il tuo incontro con un ‘uomo dalla vista acuta’. Perciò, stai attento a non gettare polvere dorata nei tuoi occhi e bruscamente strappa la radice delle afflizioni dalla mente di base. D’ora in avanti, proponiti di attraversare l’oceano delle sofferenze, con il battello della Saggezza Trascendente (Prajna). Fa che il tuo lavoro sia di beneficio per te e per gli altri, giorno dopo giorno rinforzandolo e rinnovandolo. Il lavoro di un ‘grande-uomo’ è proprio così. Dovresti dunque fare il voto di non trattare questa profonda verità in modo casuale.

27) A FAVORE DEI GENITORI

(Per il Praticante-Zen, Sang)

Quando sei venuto da me per la prima volta, per essere ordinato monaco, entrambi i tuoi genitori erano tristi e piangevano. La benevolenza amorevole dei propri padre e madre è più grande di una montagna. Perciò, quando essi ti permisero di lasciare la casa, come avrebbero potuto essere felici di ciò? Nel riconoscere una tale benevolenza da parte dei tuoi genitori, dovresti praticare ancor più scrupolosamente ed avanzare energicamente con un senso di necessità estrema. Se cerchi gloria e fortuna, e metti da parte l’effettiva pratica del Sentiero, questa sarà una pratica di karma negativo ininterrotto.

Forse che l’essere umano vive per sempre? Tutto ciò può essere penoso, ma questa fuggevole vita potrebbe essere cessata nel tempo che intercorre tra un respiro e l’altro. Per questo, il nostro onorato Maestro (Shakyamuni Buddha) rinunciò al suo trono e lasciò la sua reggia; egli si rifugiò tra le montagne, ivi praticando l’austerità per sei anni. Mentre egli era seduto in contemplazione, i ragni filarono le loro ragnatele sulle sue sopracciglia e gli uccellini fecero il nido sulle sue spalle. Con solo un perizoma di cordicelle sul suo corpo, egli era tuttavia libero ed a proprio agio. Forse che il Buddha ne ebbe minimamente a soffrire, a causa del disagio di aver perso il nome, la fama e gli onori?

Poiché ora tu stai imparando da un maestro a comportarti allo stesso modo, i tuoi genitori e tutti i tuoi congiunti saranno oltremodo sicuri di rinascere nei paradisi. Se però disubbidirai alle istruzioni, diventando solo una penosa imitazione di un monaco, allora trascinerai il tuo insegnante e tutti i tuoi parenti, insieme con te, in un interminabile inferno, sperimentato dalla tua mente.

28) ZEN PER UNA SIGNORA

(Alla Principessa del Distretto di Ansan)

Per studiare lo Zen, tu devi attraversare la barriera degli antichi maestri e patriarchi. Per imparare il Sentiero, devi arrivare alla fine della strada della mente. Quando la strada della mente sarà stata eliminata, apparirà il tuo vero corpo. È la stessa cosa di una persona che beve l’acqua: soltanto essa stessa potrà sapere da sola se è fresca o calda.

Se e quando raggiungerai questo stadio, non parlarne con nessuno; solo unisciti ad un maestro Zen per mostrargli come lavora la tua mente!

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29) PROPRIO LÌ DOVE TI TROVI!

(Al Praticante-Zen, Yu)

Poiché sei venuto da me dietro ordinazione, devi ripagare in questa stessa vita la profonda benevolenza dei tuoi genitori, dei tuoi insegnanti, del sovrano e dei Protettori. Senza il potere di un energico progresso nella coltivazione della pratica, cosa mai potresti usare per illuminare la tua mente e penetrare l’infinito?

(Al Praticante-Zen Giapponese Jisho)

“Il bianco sole sorge in Giappone – ti invito dunque ad osservarlo bene;

“Volgiti indietro e osservalo - con chiarezza e comprensione:

“ Proprio lì dove ti trovi – ivi è il luogo dell’Illuminazione!”

(Al Praticante-Zen, Ui)

“Gli esseri di grande saggezza, sia antichi che moderni,

“Riconoscono l’illusorietà del corpo per quello che è;

“Essi tutti, di momento in momento, costantemente,

“Riconoscendone l’illusorietà, ne sono distaccati;

“Solo allora, quindi, potrà apparire la Realtà Fondamentale!”

30) CANTO DALL’EREMO DI T’AEGO

“Ho vissuto in quest’Eremo, non si sa per quanto tempo,

“Segretamente rintanato e senza nessun impedimento;

“Col cielo e con la terra uniti come scatola e coperchio.

“Non ho proprio bisogno di rivolgermi da nessuna parte,

“Non mi trovo ad Est, né ad Ovest, né a Sud e né a Nord!

“Qui non ci sono né la Torre Preziosa e né il Palazzo di Giada;

“Io non seguo la linea di Bodhidharma, come modello,

“Sebbene io risplenda tra le ottantaquattromila porte!

“Di là, oltre le nuvole, la montagna è color di giada,

“E le nuvole, sulle montagne, sono più bianche del bianco.

“Dalle cascate sui monti, l’acqua sprizza con miriadi gocce,

“Chi riuscirà a vedere il proprio volto, tra le nuvole bianche?

“Cieli sereni e pioggia s’alternano, veloci come lampi,

“Chi saprà mai ascoltare il suono di queste cascate?

“Esse piombano giù, milioni di volte, senza interruzione,

“Come i pensieri che, prim’ancora di sorgere, sono in errore!

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“Nell’imbarazzo di dover dire qualcosa, successivamente,

“Quante lunghe stagioni ho passato tra gelo e pioggia!

“Per quale vano motivo, sono arrivato a conoscere l’Oggi?

“Ho mangiato cibo scadente, ma anche cibo assai buono;

“Però lascio che ognuno di voi frettolosamente ingerisca

“Il dolce di Yun-Men, con l’aromatica bevanda di Chao-Chou;

“Volete forse paragonarli all’insipido cibo del mio eremo?

“Questo è il vecchio stile di famiglia, che da sempre è così:

“Chi mai oserebbe dire che esso è così tanto speciale?

“In sulla punta di un capello: ecco dov’è l’Eremo di T’aego,

“Vasto, ma anche ristretto, limitato ma anche assai esteso,

“Un infinito insieme di mondi e persone, vi è qui nascosto.

“Un potenziale eccezionale entra in collisione con il Cielo,

“Tathagata del passato, presente e futuro, non lo capiscono,

“Generazioni di antichi maestri non potranno avere scampo.

“Muto ed instupidito, questo maestro rinchiuso nell’Eremo,

“Anticonformista e ribelle verso ogni ordine convenzionale,

“Indossa la cenciosa maglia di cotone del vecchio Quingzhou.

“All’ombra dei rampicanti, mi appoggio ad un muro senza fine,

“Davanti ai miei occhi, né cose né persone, niente di niente!

“Di sera e di giorno, solo il vuoto ed il colore delle montagne,

“Distaccato ed indifferente, io canto la mia triste canzone.

“Il suono che proviene dall’Ovest, è ancora più sincero,

“Nell’intero mondo, chi può cantar in armonia con se stesso?

“Mentre le vette di Spirito e Shaoshì, applaudono lontano,

“Chi mai prenderà in mano il sitar senza corde di T’aego?

“Per rispondere al flauto senza fori, che ora sta suonando?

“Non avete visto lo strumento antico, nell’Eremo di T’aego?

“È solamente il chiaro e consapevole “Proprio Qui ed Ora”

“In esso vi sono raccolti centinaia di migliaia di ‘samadhi’.

“È appropriato alla situazione e beneficia tutti gli esseri,

“Proprio perché è sempre e completamente pacificato.

“Veramente, io non sono l’unico che vive nel romitaggio,

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“Innumerevoli Buddha e maestri illuminati condividono l’uso.

“Non c’è dubbio che la saggezza sia difficile da afferrarsi,

“Vi do per certo che la mente concettuale non può penetrarla;

“Anche illuminandola e riflettendoci sopra, è ancora vaga,

“Anche prendendola di petto, si rischia di perderne le tracce,

“E fare inutili domande per saper cosa sia, è un grande errore!

“L’Inamovibile Talità è come una preziosa pietra sconosciuta,

“Lasciatela essere, senza nessun tipo di pensieri illusori,

“Questa è la grande e perfetta Illuminazione dei Tathagata!

“In tutti i tempi, quando mai si è potuto uscire dalla porta?

“Per un tempo breve, si continua a vivere su questa strada;

“In origine quest’eremo non aveva nome, ma ora è T’aego.

“Tutto è in uno ed uno in tutti, anche se non lo sappiamo;

“Non è obbligatorio saperlo, ci stiamo dentro da sempre,

“Può essere quadrato o rotondo, ma ovunque si diffonda,

“Tutto ispira un riverente mistero, seguendone il flusso.

“Se mi chiedete qualcosa su ciò che succede in montagna,

“Vi dirò che mentre il vento tra i pini è un malinconico liuto,

“Il bianco splendore della luna piena abbraccia il torrente.

“Tuttavia, se NON si coltiva il Sentiero e NON si studia lo Zen,

“La stufa, immersa nell’acqua, fa uscire il fuoco senza fumo.

“Se ESSO è così, passando per questa Via così esaltante,

“Come puoi essere ‘COSÌ’, tu, seguendo questo approccio

“Del tutto insignificante e suddiviso in comparti separati?

“Per colui che vive povero in canna e puro fino all’osso,

“Ciò che era prima del Buddha Primordiale, è lì da sempre.

“Perciò, egli si trova a proprio agio e pieno di benedizioni

“Del monaco T’aego che, a causa di sue strane tendenze,

“Se ne ritorna indietro a cavallo di un bue di ferro,

“Tra i dèva e gli esseri umani, come un monellaccio

“Che usa i suoi tranelli, ovunque si posi il suo sguardo.

“Con le palpebre inutilmente perforate, egli non può

“Essere trascinato, sopportando brutture e imbarazzi derivanti

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“Dalla sua solitudine nell’eremo, che sono il suo ‘proprio così’.

“Ora, finita la danza, egli se ne fa ritorno al triplice piano

“(Di esistenza di corpo, mente e spirito), similmente alla

“Verde montagna che prima guardava la cascata nel bosco!”

31) APPUNTI DEL MAESTRO SHIWU SU T’AEGO

… Egli è il più anziano del Tempio-Zen Mansu, che è situato all’interno del Tempio-Zen di Chunghung, nella capitale del Sud di Koryo. Il suo nome è Po-u ed il suo sopra-nome è T’aego. Avendo stabilito il suo proposito in questo scopo da molto tempo, egli ha operato un pesante e faticoso lavoro meditativo e la sua percezione è penetrata oltre la liberazione. Ha eliminato la strada delle ideazioni ed è andato oltre il pensiero, pertanto egli non viene trattenuto dalle parole e dalle forme. Avendo avuto la necessità di ritirarsi in un luogo appartato, egli per questo motivo ha creato un eremo sulla montagna dei Tre Angoli, chiamandolo col suo stesso nome, ‘T’aego’, appunto. Egli è felice nel Sentiero ed a suo proprio agio tra i torrenti e le rocce. Ha scritto una poesia, “La Canzone di T’aego”, qui acclusa.

Nella primavera del 1346, ha lasciato la sua casa e si è trasferito nella grande Capitale della Dinastia Yuan, senza arretrare di fronte ai disagi del lungo viaggio, al fine di ricercare le orme dello Zen e, nel settimo mese lunare del 1347, ha raggiunto questo mio eremo montano. Per metà mese abbiamo discusso del Sentiero, dimentichi di qualsiasi altra cosa. Ho potuto osservare che la sua condotta è stata corretta, senza nessuna forzatura, e che le sue parole sono state sostanziose e sincere.

Quando è arrivato il momento di doverci separare, egli mi ha consegnato la sua “Canzone di T’aego” che aveva precedentemente scritto. Io l’ho srotolata davanti alla finestra, leggendola con molto apprezzamento, ed i miei occhi ne furono vieppiù illuminati. Recitando la sua Canzone, che è pura e genuina, ho assaporato le sue frasi accurate e profonde. Egli ha raggiunto già da tempo la visione dell’eone vuoto, e non ha nulla da spartire con coloro che, di questi tempi, artificiosamente e vanamente affilano i loro artigli per imitare il linguaggio dello Zen. Perciò il suo soprannome (T’aego, cioè ‘Grande Vecchio’) è meritato e senza tema di errore.

La mia penna ha ora un sobbalzo improvviso: inavvertitamente sono arrivato alla fine della pagina. Per cui aggiungerò solo qualche mio verso per lui:

“Quest’eremo c’era già prima – il mondo (arrivò) soltanto dopo.

“Quando il mondo si sgretolerà – quest’eremo non verrà distrutto.

“L’ospite all’interno dell’eremo – è sempre ed ovunque presente.

“Il vento sibila col suo soffiare – attraverso le diecimila aperture;

”Le montagne se ne restano immobili - La luna splende sull’eterno vuoto!”

(Scritto alla veneranda età di 75 anni dall’anziano cencioso monaco Shiwu, che vive sul Monte Xiawu, nell’Huzhou; nel settimo giorno dell’Ottavo mese, dell’Era Zhi Zheng, nel ciclo degli anni ‘ding-hai’ - vale a dire Autunno del 1347 d. C.).

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32) CANTO DEL SAMADHI FIORITO

“Il grande e vasto Sutra HWA-YEN dell’Onorato Buddha,

“Pensate che contenga forse parole senza suono?

“Il nostro maestro originario, il buon vecchio Gotama,

“Uomo dalla insondabile e perfetta conoscenza, testimoniò

“Un reame con infiniti gradi di Illuminazione,

“Un reame ampio ed illimitato, profondo e spazioso,

“Imponente e maestoso, completamente stravolgente.

“Egli, con la sua voce tonante che arriva dappertutto,

“Prese a fare le sue esposizioni da quel luogo…

“Egli, dall’Oceano dell’Illuminato Samadhi, predicò

“Il sigillo dell’Insegnamento senza frasi né parole.

“A chi mai era diretto? E chi fu che lo trasmise?

“I saggi bodhisattva Manjushri e Samantabhadra

“Da sempre parlano il linguaggio dei Grandi Esseri,

“Ma in che modo impararono questo grande segreto?

“Entrando direttamente in questo Oceano-Samadhi,

“Lo stesso corpo di Vairochana è nascosto in esso,

“Forse che i due grandi Mahasattva non lo colsero?

“Di più, essi svelarono la riluttanza della Famiglia

“A far si che la conoscenza fosse data agli estranei.

“Ahimè! Quanta tristezza per gli esseri di quest’era!

“Essi invano cercano nei testi, logorandosi l’anima,

“Mentre ascoltano con l’udito l’insegnamento del Buddha

“Che parla dall’interno dell’infinito eterno Samadhi.

“Diversamente, se gli voltate le spalle, accadrà allora

“Che non potrà assolutamente insegnarvi la Base.

“Questo messaggio non è soltanto per nobili e ricchi,

“Perché, dal suo interno sbocciano fuori insieme

“Tutti i diecimila fiori e gli infiniti fili d’erba.

“Le persone che, in passato, lessero questo Sutra

“Non chiesero il metodo per la Grande Illuminazione!

“Fermi, fermi! Perché tutti vanno in cerca del Sud?

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“Il luogo dell’Illuminazione è proprio qui dentro di voi!

“Dovreste osservare il silenzio deglii antichi barbari,

“Che non potrà mai esser riassunto con le parole.

“Le sue meravigliose funzioni, oscure ma profonde,

“Sono così innumerevoli, come i granelli di sabbia.

“Tutti i saggi maestri Buddhisti, antichi e moderni,

“Hanno scoperto, esaminandoli, meschini individui

“Che non credono neanche a dimostrazioni dirette.

“Coloro che ascoltano, invano, senza realizzare

“La saggezza, è detto che siano come i sordomuti,

“Che possiedono la vista ma non sanno discernere,

“Hanno le orecchie, ma non sanno intendere.

“Le persone con questo tipo di scarsa mentalità,

“Vengono radunate dal Buddha nelle Assemblee,

“Per esser aiutate, ma i suoi insegnamenti avanzati

“Vengono, purtroppo, da queste mal interpretati.

“Stando vigili ed all’erta, voi dovreste contemplare

“L’opera del samadhi dell’illuminato di Mengshan,

“Bruciando incenso e spargendo fiori con acume,

“Rendendo omaggio al Buddha e recitando i Sutra.

“Da questa attenta consapevolezza, tu puoi contemplare,

“Così gradualmente otterrai l’intima verità del Samadhi,

“Illuminata da una infinita continuità di samadhi.

“Il corpo-di-realtà di Vairochana, perfetto e completo,

“Apparirà per quello che è: Un interminabile Samadhi,

“Com’è meraviglioso! Quanti meravigliosi Samadhi!

“Come son belli e completi, samadhi dopo samadhi!

“All’improvviso ecco apparire il Fiore Tesoro del Mondo,

“Esso è replicato senza fine, strato dopo strato.

“Ciò che una volta udìi e lessi, ora lo so per certo,

“Perché praticandolo e sperimentandolo personalmente,

“Ho potuto osservare che in questo mondo di sofferenza,

“Fiumi, montagne e tutto il resto, sono l’Immobile Buddha,

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“Che siede nel mezzo del Fiore Tesoro del Mondo,

“Senza genitori al di sopra, né discendenti al di sotto,

“Egli fa fluire agevolmente tutto e lo rende illuminato,

“Egli inghiotte ventun gatti, ed in seguito sputa fuori

“Tre corpi senza bocca, che però stanno masticando

“Ogni sorta delle cento erbe, sia dolci che amare,

“Talvolta sulla riva, talaltra in mezzo alla corrente.

“Al centro della corrente, vi è una grande barca,

“Formata da un’unica enorme foglia, che trasporta

“Senza fatica, tutta la gente in diecimila contrade.

“Si narra che Hanshan e Shido (I leggendari compagni-Zen)

“Sebbene grandi avversari, fossero sempre uniti, e

“Senza mai separarsi, furono seguaci l’uno dell’altro.

“Ma l’estrema intimità si trasformò in alienazione,

“Così nel mare dei conflitti, la barca si frantumò,

“Tutte le perle si sparsero, e queste cose preziose

“Furono prese da pesci e draghi, da gamberi e granchi,

“Che le nascosero giù nella profondità degli oceani.

“Allorché noi camminiamo, oppure quando siamo sdraiati,

“Talora vestendoci al mattino, o anche quando mangiamo,

“Senza neanche saperlo, riceviamo questi preziosi poteri;

“Oh, che sorpresa! Questo è proprio il modo in cui è!

“Purtroppo, però, io temo che le persone di oggi,

“Pur avendo udito ciò, se ne vadano intenzionalmente

“A cercare chissà dove questo Fiore, che certo non è

“Un fiore che scivola sull’acqua dei torrenti montani.

“Come potremo mai riuscire a conoscere quel vagabondo,

“Che è Chin, detto l’Uomo della Fonte del Pesco in Fiore?

“Una persona, quand’è addolorata, non dovrebbe mai parlare

“Ad altra gente addolorata, perché se invece lo facesse,

“La rattristerebbe ancora di più, di conseguenza ora

“Io prendo personalmente la mia instancabile penna

“E la offro agl’instancabili Buddha delle dieci direzioni!

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33) CANTO DELLA GIOIA SPONTANEA NELLE MONTAGNE

“Barba incolta, capelli lunghi e sporchi – che razza di dèmone col volto di spettro!

“Stupido e ignorante come una pietra – grezzo e sciocco come un pezzo di legno!

“Scarpe di paglia, per studiar coi maestri – suoni funebri e insane teorie escono

“Meccanicamente: là-là-lì, lì-là-là: - questa tiritera sta bloccando il mio canto.

“Il Gran-Yuan, Figlio del Cielo, saggio tra i saggi- m’ha conferito onorato privilegio

“Di passare sei mesi tra queste rupi rocciose;- però qui non c’è nessuno

“Che può condivider la mia gioia- di potermene star qui tra le montagne.

“Mi dispiace soltanto che questo mio canto- sia reso avvilente dal fatto che

“Nessuno possa conoscer questa gioia di essere- immerso in eterno tra rocce e fiumi.

“Poiché, invece, vorrei condividerla,- mi auguro comunque che il Saggio Imperatore

“Possa avere una durata di vita- che duri diecimila volte diecimila anni!

“Con ciò sarà possibile non essere preoccupato – perché la solitudine dell’eremo,

“Tra massi rotolanti e rapide di torrenti- rende dolce e sufficiente il corpo,

“Che si sente abbastanza protetto- perfino dalle nuvole bianche nel cielo.

“Non avete forse visto il vecchio monaco- che solitario canta la sua Canzone?

“Nel canto di T’aego c’è pura gioia infinita- spontanea gioia, spontaneo canto.

“Cos’è? È la gioia incontrollabile di conoscere- il destino del vivere in paradiso,

“Pieno di beatitudine. E perché mai - questo spontaneo canto e questa gioia?

“Io stesso non so che gioia sia- non ha alcun senso, lo riconoscete o no?

“Benché per la gente sia arduo coglierlo- nella sua normale attività quotidiana,

“Tutti suoniamo il flauto senza buchi- nell’inebriante stato di profonda lucidità.

“Pu-hua avrebbe vagato per la città- suonando le sue piccole campanelle;

“Budai fu invece un monaco fannullone- totalmente senza preoccupazioni,

“E nella rossa pattumiera dell’osteria – i rifiuti puzzano tremendamente.

“La gioia dei saggi, si sa, è sempre stata- così, fin dai tempi antichi.

“Lasciandosi alle spalle i vani riflessi- di un vuoto nome, vi sarà silenzio?

“Anche coloro che possono saperlo, sono rari- e ancora più rari da trovare

“Son coloro che assaporano la gioia- praticando nelle attività quotidiane.

“Dovreste considerare la gioia di T’aego- nella stessa danza mistica dell’ubriaco,

“Nel folle vento che soffia nei canali- nella gioia spontanea che non conosce

“l’eterno altalenarsi delle stagioni- mentre io proprio guardo soltanto

“quei fiori che sbocciano miracolosamente- dalle rocce rupestri e poi muoiono.”

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34) CANTO DALL’ EREMO DELLE NUVOLE BIANCHE

“Qui, sulla Montagna della Liberazione, vi sono numerose nuvole bianche.

“Si trovano lì per accompagnare la luna sulla Montagna della Liberazione.

“Qualche volta c’è il vento fresco e molte altre belle cose arrivano qui,

“Per riferire che c’è un’altra montagna che risulta essere perfino più speciale.

“Indifferenti, le nuvole bianche si estendono nell’immenso vuoto del cielo;

“Esse sono come fiocchi di neve su una stufa bollente, mentre spargono

“La pioggia ai quattro venti, senza discriminare tra una cosa o un’altra.

“Qui, tutte le cose sono gioiose nel loro andirivieni, ed istantaneamente

“Esse arrivano su questa montagna; una montagna che sprizza di luce

“Ed è inondata di colori, mentre al di sotto, c’è il fiume che mormora.

“Il vecchio Eremo rimane sempre lo stesso; esso non sta tra le nuvole

“Sulla pericolosa strada ripida e scivolosa per il muschio, come sembra,

“Con le sue giravolte a destra ed a sinistra, fermandosi e ripartendo.

“Chi è che va con esso? E dove mai ci conduce? Alla fine della strada,

“Si apre la porta dell’eremo, rivolta verso l’oriente, ed un dialogo silente

“Senza alcuna parola, si svolge sommesso tra l’ospitato e l’ospitante.

“Anche la montagna se ne sta in silenzio, mentre i torrenti cantano

“Con la loro acqua corrente; all’improvviso accade miracolosamente

“Che parli la fanciulla di pietra e sorrida beffardo l’uomo di legno.

“Il barbaro dagli occhi azzurri (Bodhidharma) che venne dall’Ovest

“Per insegnare e diffondere in fretta il messaggio,alla fine purtroppo

“Seppellì il sole luminoso del Buddha, che è stato in seguito trasmesso

“All’esperto artigiano Lù di Chao-chi. Egli disse che fondamentalmente

“Non esiste nemmeno una singola cosa, per cui è buffo veramente

“Vedere tutte queste persone nel mondo, sia antico che moderno,

“Usare colpi ed urla, senza preoccuparsi di essere dei falsi maestri,

“E senza inarcare le loro sopracciglia. E allora, cosa dovrei usare

“Io stesso, al fine di aiutare tutte le persone contemporaneamente?

“Primavera, estate, autunno, inverno; sono tutte buone stagioni,

“Quando ho caldo me ne vado in riva al fiume, e quando fa freddo

“vado diretto vicino al fuoco. Poi, tagliando a fette le nuvole bianche

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“Che arrivano durante la notte, mi stendo per riposare a mio agio,

“Coprendomi con le bianche nuvole, mentre il vento soffia tra i pini.

“Perciò, io ti invito a venirmi a trovare, per salvare i tuoi ultimi anni.

“Per saziarti ci sono piante ed erbe e per bere, pura acqua di fonte!”

35) CANTO DELLA MONTAGNA NUVOLOSA

“Sulla montagna, le bianche nuvole sono bianche- sulla montagna,

“Lo scorrere dell’acqua scorre, ecco perché voglio vivere qui.

“Sulla montagna le nuvole bianche hanno aperto uno spazio per me.

“Le nuvole bianche dicono tutto quello che c’è da dire sul cuore.

“Talvolta piove ed è duro aspettare, oppure il vento mi soffoca,

“Però è facile attraversare tutti i paesi ed i mondi della galassia.

“Io cavalcherò dunque il vento incontaminato, insieme con te,

“Al di sopra di fiumi e montagne, esso ci condurrà in ogni dove;

“Esso ci condurrà… ma dove? E per cosa? Per essere in grado

“Di trasvolare sull’onde del mare, insieme ai bianchi gabbiani.

“Sono tornato indietro per sedere sotto i pini, insieme con la luna,

“Ma i pini si muovono al vento, con un sommesso fruscìo,

“E allora, adesso con chi mai potrò parlare di questa Mente?

“Infiniti Buddha ed antichi maestri, stanno tutti parlandone

“Liberamente e, non appena mi sdraio sulle nuvole bianche,

“La verde montagna mi sorride, del tutto spontaneamente.

“Io rido e rispondo: ‘Montagna, tu non sai perché sono qui,

“In tutta la mia intera vita, non ho mai dormito a sufficienza,

“E per camicia da notte, mi piacciono questi fiumi e le rocce’.

“A quel punto, la verde montagna mi risponde sorridendo:

“E allora perché non sei venuto qui da noi, precedentemente?

“Se tu ami le verdi montagne, all’ombra dei freschi vitigni,

“Fermati e restaci!’- Ho seguito il consiglio della montagna

“Ed ho abbandonato il mio corpo, distendendomi tra i picchi,

“Abbracciato alle falde della verde montagna. Qualche volta

“Ho perfino sognato, altre volte resto sveglio, ma entrambi

“Questi stati di sonno e di veglia non mi riportano mai indietro.

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“Nei miei sogni, mi metto a cercare la strada da cui arrivai,

“In groppa ad un bue di legno, nelle bettole della mia città,

“Ed il bue di legno, all’improvviso, si trasforma in saggezza,

“Significando il vento primaverile, con floridi fiori e cespugli,

“Che quando sbocciano sono come preziose perle di giada,

“Coi rossi alberi di pesco tutti fioriti come fiamme di fuoco,

“Coi salici crespi, pieni di lanugine bianca come ermellini,

“In cui spiccano fiori di pruno, che sono più bianchi del bianco.

“Rimanere senza parlare, obbliga a cercare parole più astruse,

“Le grida disperate dei meravigliosi animali, come una fauna

“In cerca di illuminazione, rompono quel sogno momentaneo;

“Il corpo immobile, sta ancora assaporando il gusto del sogno.”

36) COME STUDIARE LO ZEN

I giorni ed i mesi passano veloci come fulmini: dovremmo avere più considerazione per il tempo. Passiamo dalla vita alla morte, nel tempo che intercorre tra un respiro ed un altro; è difficile avere la garanzia anche di un solo giorno od una sola notte in più. Sia quando camminiamo che quando stiamo fermi, quando siamo seduti o sdraiati, non dovremmo sprecare neanche un minuto di tempo, bensì diventare tutti più coraggiosi ed audaci. Dobbiamo essere come il nostro originario maestro Shakyamuni, il quale mantenne se stesso in un continuo ed energico progresso.

Quando la base della mente è equanime, ben salda e sveglia, si potrà avere una certa grande sicurezza nella motivazione dei Buddha e degli antichi maestri: Questo fatto dovreste realizzarlo in modo corretto. La mente è ‘il Buddha naturale’: perché preoccuparsi di cercarlo altrove? Abbandonate e gettate via tutti gli altri inutili interessi e risvegliatevi!

Alla fine della strada c’è un muro di metallo. Lì, tutti i numerosi pensieri illusori vi si dovranno estinguere e, in seguito, ci si dovrà sbarazzare anche della stessa idea di estinzione: corpo e mente dovranno sembrare appoggiati sul vuoto. Nell’immobilità del silenzio brillerà una luce che si propaga in ogni dove, con una eccezionale chiarezza e luminosità. Il volto originale!

Chi c’è in esso? Non appena lo si nomina, diventa come una freccia che penetra perfino dentro la pietra. Quando la massa dei dubbi viene frantumata con tutte le sue particolarità, una sola cosa rimane e riempie tutto il cielo di blu. Ma non parlate di ciò con persone che non possiedono la conoscenza e non siatene parimenti euforici o orgogliosi. Dovete solo contattare un vero insegnante Zen: mostrargli come la vostra mente lavori e chiedergli adeguate istruzioni. Dopodiché, anche voi potrete essere chiamati coloro che continuano la tradizione degli antichi maestri. Lo stile della nostra famiglia non è irraggiungibile. Quando siamo stanchi, allunghiamo le gambe e ci riposiamo. Quando abbiamo fame, facciamo in modo che le nostre bocche mangino. Nel regno umano, che sorta di scuola è questa? Bah, essa soffia ed urla, precipitando giù come la pioggia!

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VERSI DI ELOGIO

(I versi che vanno da 37 a 105, furono scritti come lodi ai nomi di Dharma di alcuni Praticanti-Zen)

37) ‘TRIPODE ANTICO’

(Soprannome dell’Anziano Wen di Longquan)

“L’altro lato del Buddha primordiale – Prima ancora del Vuoto eone,

“C’era già una cosa lì, dura come il metallo – che apriva le sue fauci enormi,

“Silenziosa e senza parole – attraversando tre Ere incalcolabili,

“Il suo viaggio si arrestò,- abbandonando l’intero corpo in una fossa ardente,

“Col saporito cibo ancora in pancia – con l’incenso che riempie la sala;

“Inconsapevolmente, un passo dietro l’altro- freddo e mesto sparge le sue lacrime,

“Per esprimere la gioia dello Zen – ecco qui il monaco cencioso

“Egli è tre volte soddisfatto – i discendenti di Gotama esistono ancor’oggi!”

38) “APPROPRIATO EREMO’

“C’è un anziano sul Monte Xiawu – che cammina in mezzo al gelo ed alla neve,

“Disinteressato del gelo e della neve – quando sorge la luna accetta la sua luce,

“Quando arriva il vento, egli lascia che fischi- col suono di una cetra solitaria,

“Il suono della cetra solitaria è assai intimo- ascoltalo bene, non farlo sfuggire;

“Dai riflessi del puro vuoto – tu devi liberarti e fare piazza pulita,

“E comprendere che all’interno di esso- non c’è nemmeno una singola cosa.

“Andiamo, non bloccare il tuo sapere- perché getti polvere dorata nei tuoi occhi?

“Non restare nella stupida dicotomia- formata da conoscenza e non-conoscenza.

“Solo dopo arriverà la buona stagione- in cui spezzerai il bastone di Te-shan

“E frantumerai l’urlo di Lin-chi – di modo che dovunque tu andrai

“Incontrerai persone che non sono- minimamente interessate a loro.

“Solo allora accoppierai il vento e la luna – col vento senza luna non c’è chiara luce,

“E con la luna senza vento, non c’è insegnamento- mentre con un buon vento,

“E con una buona luna, insieme – il tuo Dharma non avrà mai fine!”

39) “BUE DI FERRO”

Nella primavera dell’anno ’gui-mao’ (1364), Chong Sodang venne a farmi visita sul Monte Kaji. Poi, alla fine del ritiro estivo, avevo notato che la sua condotta si era sottilmente rifinita e rilassata,

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pur essendo giusta ed opportuna, e sembrava avere le qualificazioni per ricevre la Trasmissione del Sentiero. Ora, in autunno, egli è venuto qui a prendere commiato e vuole da me un soprannome. Ho deciso di chiamarlo ‘Bue di ferro’, e la ragione è la seguente: prima della fine del ritiro estivo avevo chiesto ai convenuti, qualcosa sulle loro meditazioni quotidiane. Chang Sodang disse: ‘Nei primi tempi, la mia comprensione era in termini diu suoni e forme del Buddha. Poi, venendo a questo ritiro, ho incontrato l’insegnamento fondamentale. Tutte le mie precedenti illusioni furono estirpate. Ora, osservo freddamente la sentenza di Chao-Chou (‘No!’), perciò sono come una zanzara su un bue di ferro!’.

Quindi, io ho usato la sua stessa descrizione nel dargli il soprannome. In quella occasione, ho composto dei versi di presentazione per lui. Poi ho preparato una buona frusta per far sudare il bue di ferro, così che possa incontrare lo stesso Chao-Chou.

Perciò, facciamolo lavorare duramente su questo:

“Per quanto stupido ed ostinato,- questo bue non cessa di fare progressi,

“Se non ne possiede conoscenza – come può aver paura del ruggito del leone?

“Benché insonnolito, non dorme mai – ed è sempre disteso tra cielo e terra;

“Non sta mai fermo, ma nemmeno- si dirige verso gli innumerevoli universi.

“Quante volte il vento di primavera – ha soffiato, e quante volte è scemato,

“L’unico e vero corpo di Talità – non è antico né moderno, è eterno!

“Quando il fuoco finale brucerà il mondo – non potrà mai bruciare ‘Quello’!

Con la testa e le corna che sembrano- sommerse nella fresca erba bagnata,

“Avete mai visto questo bue arrancare così - tanto stupido quanto ottuso?

“Nessuno al mondo sarà in grado – di trascinarlo lontano con la forza;

“Il guardiano che si prende cura di lui – ha lasciato cadere la corda,

“Perché da ormai troppo tempo – non è più capace di badare a questo bue!

“Oggi però, io esorto il mandriano- ad andare ancora e sempre più avanti,

“A saltare a cavalcioni del bue – ed a sferzarlo duramente col suo scudiscio.

“Il dolore che gli attraversa il midollo – gli farà uscire sudore e sangue,

“Così che una colossale immagine del Buddha – verrà per chiedergli aiuto.

“Io purtroppo non posso aiutarlo -non posso fare niente di niente,

“Lo stesso Hanshan si frega le mani – e si mette a ridere a squarciagola.

“Quindi, ti devi mettere in contatto – con un vero insegnante della Scuola,

“E quando alfine la tua presa – sarà diventata un po’ più sicura,

“Potrai anche tu cantare con comodo – il Canto della Grande Pacificazione!”

40) ‘EREMO DELLA SAGGEZZA’

(Per l’Anziano Song Gwang Ch’ong)

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“L’eterno vento soffia tra gli oscuri pini –la fredda luna splende nello spazio vuoto,

“Senza recinti e senza porte – il profondo blu è vasto e disponibile,

“Il bianco è sfavillante con sincerità – ed in mezzo, solo spazio vuoto.

“Anche gli oggetti esterni sono vacua Talità – in questo stesso momento,

“Per l’occhio universale, non c’è nulla da cercare- nella massa di nuvole bianche,

“Un rifugio di canne e odorose piante,- fiori appena sbocciati, il primo sole e pioggia,

“Un richiamo di pernice accompagna – il racconto del flauto di bambù,

“Dove se ne andrà cercando, alla fine,- quel vagabondo che va verso il Sud?

“Questa dimora di carne dell’uomo – è come ogni atomo di polvere

“Che si replica duplicandosi all’infinito – ecco cos’è il Fiore Tesoro del Mondo!

“Tutta la moltitudine delle cose – sta proprio in questo eremo,

“In ciò vi è la meravigliosa e sottile verità – e questo è un evidente fatto

“Che non agevola una comprensione – che sia fondamentalmente concettuale.

“L’ospitato, all’interno dell’ospitante – è proprio soltanto ‘così’!

“Per innumerevoli anni, egli non è – mai uscito dalla porta di quest’eremo,

“Egli è assolutamente libero, - privo di falsi scopi o pregiudizi personali,

“Completamente senza alcuna costrizione,- egli è indipendente e sovrano,

“Perfino le più piccole tracce di visioni- ed opinioni del sacro e del profano,

“Sono state totalmente spazzate via – senza nulla conoscere né capire,

“Oh, che meraviglia, ma che cos’è?- Benché la stagione sia fredda

“Gli alberi di pino, difronte a quest’eremo – non sono per nulla cambiati!”

41) ‘LAGHETTO AL CHIARO DI LUNA’

“Nell’immensa estensione del silente cielo – il tondo chiarore si mostra solitario,

“I suoi raggi penetrano nel profondo laghetto- la luce si spande al di sopra,

“Moltiplicandosi in innumerevoli onde – la meravigliosa chiara illuminazione,

“Che può inghiottire miliardi di immagini- senza tralasciarne nessuna!

“La meravigliosa oscura profondità – può contenere cento fiumi senza straboccare!

“La luce che attraversa mondi e galassie – senza illuminazione da risparmiare,

“Si spande in tutte le direzioni – come un’onda gigantesca che mai straripa!

“La luna risplende dentro al laghetto – non vi sono per nulla differenze!

“Il laghetto riflette la luce della luna – ma non sono la stessa cosa!

“Niente differenze, niente uguaglianza, - proprio questo è il vero Buddha!

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“Oooh! Ma che razza di parole son queste?- Una luna, sono solo trenta giorni!

“Che notte eterna, che cielo limpido – il vento soffia tra i pini, forte e freddo;

“Questo è il laghetto al chiaro di luna – un terreno spirituale in cui non sussiste

“Nessun <raggiungimento> e non solo- l’unico color di una mezzanotte d’autunno!”

42) IL TEMPO È PREZIOSO

Nell’autunno del 1364, mi capitò di viaggiare fino al Monastero Wollam. In questo luogo composi questi versi per il locale Capo della Sala dei Monaci, l’Anziano Yon di Kojo, allo scopo di esortarlo nelle sue attività quotidiane.

“Per caso ci siamo incontrati in un periodo puro - e siamo stati sovente distesi

“Sotto il chiarore della luna - tra boscose montagne verdi ed azzurri ruscelli.

“Può mai essere casuale questo momento- così magico ma arduo a ripetersi?

“La preziosa pietra verde di giada – sussurra mormorando alle acque,

“Le acque che mormorano intorno – alle preziose pietre verdi di giada;

“È impossibile pensare di comprarle – perfino con mille pezzi di oro.

“Pertanto ti invito a svuotare la mente – per ascoltar le mie parole,

“Perché né il fresco vento di primavera – né la bianca luna autunnale

“Non fermeranno l’imbiancar dei tuoi capelli – e né l’avanzare dell’età!”

43) “CIMA DI SAGGEZZA”

“La conoscenza non può raggiungerla,- la conoscenza non può penetrarla;

“Essa sorregge il cielo e la terra – producendo sia l’essere che la vacuità;

“Se ne sta solitaria in Quel Posto – ben oltre gli ultimi raggi dell’illuminazione.

“Lo stesso Sudhana inutilmente ed invano- si mise a cercare altre vette.

“Per diecimila ere le nuvole bianche vaganti – non l’hanno nemmeno sfiorata,

“Ma un giorno, il rosso sole fece capolino – e si sistemò proprio lì sopra,

“Comunque, per innumerevoli volte – essa è stata attraversata dal fuoco

“Ed alla fine di ogni era primordiale – tutto rimane proprio così com’è,

“Nelle ere, ispirando alta riverenza – rafforza il vento dei maestri ancestrali.”

44) “EREMO DELLA MOTIVAZIONE”

Il Praticante-Zen Shu-un dal Giappone mi ha richiesto dei versi che si accordino col suo soprannome. Io, attualmente ho sessantasei anni, i miei occhi sono deboli ed ho accantonato il

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pennello per scrivere, già da qualche tempo. Essendo però la sua richiesta assai seria e sincera, mi sono sentito costretto a riprendere in mano il pennello per poter scrivere questi versi:

“Sulle infinite montagne verdi di giada – su una scura rupe alta diecimila piedi,

“Il delicato suono dei tortuosi torrenti montani – e delle tintinnanti sorgenti

“Tra la vegetazione delle profonde foreste – c’è un vuoto, circondato da alberi.

“Nel mezzo vi è un piccolo eremo – che sembra impossibile ad esservi.

“Di giorno e di sera, tutto ciò che appare – è il fumo d’incenso per pregare il Signore;

“Tra fiori che cadono e fiori che sbocciano – non vi sono neppure gli uccelli;

“Solo le nuvole bianche vengono – a far spesso visita a quella porta.

“Qualcuno sa che cosa mai farà – quell’eremita durante i suoi giorni?

“Da molto tempo egli non fa sogni – né s’interessa al vacuo reame dei sensi;

“In questo scenario di quieto nirvana – fa compagnia all’eremo, quieto e isolato.

“I rampicanti s’attorcigliano ai pini – piegati dal vento e baciati dalla luna!”

45) “VECCHIO MANDRIANO”

“L’anno scorso è salito su una collina - dovendo badare al suo bue,

“L’erbe fragranti sul greto del fiume – erano madide di fresca pioggia.

“Invece, quest’anno, lascia libero il bue – e si sdraia per terra sulla collina,

“Mettendosi all’ombra, in un giorno di sole – si può sentire meno caldo;

“Egli non sa dove portare il vecchio bue - se condurlo ad ovest o ad est,

“Perciò butta via la corda e si mette – agevolmente a cantare il ‘Non-nato’

“Poi si volta ad osservare il sole serale – che è rosso oltre i monti lontani;

“La primavera sta finendo, oltre i monti – cadono fiori che volano nel vento!”

46) “VIGILIA SUL PRUNO INNEVATO”

“È dicembre, il cielo è pieno di neve – e sull’albero gelato di pruno,

“Proprio adesso stanno sbocciando dei fiori – ma nevica, nevica e nevica…

“Come i chicchi precipitano tra i semi del pruno – non si possono distinguere;

“Piegandosi sul recinto, per tutto il giorno – non posso far a meno di vederlo.

“Così ho dato incarico ad un pittore – di prender il suo pennello ed inchiostro,

“E trasferire alcuni rami su un quadro- per far un dipinto di questa scena,

“Cosicché nel caldo asfissiante di Agosto – rinfrescherà lo spirito della gente!”

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47) “RUPE INNEVATA”

“Sulle montagne innevate, vi è una rupe – con sopra mucchi di bianca neve gelata;

“Sotto la neve, i primi germogli di erba – verde e fragrante, chiamata ‘erba grassa’

“Che matura ogni tre inverni e cresce – fitta e lussureggiante, bella come giada.

“Nella singolarità del suo colore e sapore – vi è comunque una certa uniformità,

“Vi è la bianchezza del bue bianco – con la sua peluria bianca come la neve;

“Benché la bianchezza del bue bianco – non sia proprio di un bianco così bianco,

“Non è che in un bianco così bianco – possa esservi un altro tipo di bianco!

“Ti esorto perciò a montar questo bue – ed a soffiar a piacere su quel flauto;

“Vi è una certa fragranza nell’erba – ed un preciso sapore nell’acqua,

“Che ci farà vagabondare soddisfatti – tra le montagne piene di neve;

“La gioia che si prova su queste montagne – non è una gioia di quelle conosciute,

“Condivideremo lietamente questa gioia – pieni di intimo convincimento,

“Ti esorto quindi a non passare vagabondando – invano la tua verde primavera;

“Devi contattare subito un maestro della Scuola – interrogandolo costantemente,

“Resistere al suo martellamento.- Egli ti fornirà i necessari fondamenti

“Solo dopo ciò, sarai in grado di stare – o andare, secondo le circostanze!”

48) “NIENTE PAROLE”

Yon Sodang si è dato il soprannome “Niente Parole”: Sorreggendo con fiducia il suo pennello, regalatogli dal Re, è venuto da me per avere questi versi di elogio:

“Punti e linee sono come le costellazioni – come mai serpenti e draghi sono sinuosi?

“Poi vi è la rugiada che scende dal cielo – e forma goccioline che sono come perle

“Nel chiaro di luna autunnale, – conservale e ponile dentro una coppa di giada;

“Non è l’ora dei gioielli preziosi – il Sentiero dei maestri-Zen non è certo comune,

“Il loro abile talento è unico – la loro reputazione è famosa in tutto il mondo,

“Le loro parole e le loro azioni – vanno insieme come fossero un’unità.

“Confuciani e Buddhisti, tutti quanti – portano rispetto al loro mistico vento;

“La polvere degli oggetti di senso è finita – il fuoco si è tramutato in cenere.

“Essi silenziosamente aspettano coloro- che arrivano per essere istruiti,

“Costantemente in pace, gioiosi e contenti – essi hanno un intimo segreto

“Che non può essere svelato – e nemmeno si può comunicare con parole!”

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49) “STUDIO PER UNA ATTENTA CONDOTTA”

Cosa significa essere attenti? Sicuramente è riferito ad una onesta scrupolosità nelle parole e negli atti della persona interiore, che è ‘attenta’ nel suo ‘parlare e nel suo ‘agire’. Questa persona quando parla, è rivolta al mondo, ma evita i giudizi, le offese ed i rimproveri violenti. Essa è anche attenta ai suoi atti, così che le sue azioni saranno rivolte verso il mondo, ma senza interessi personali e rincrescimenti. Stando comunque attenta alle parole ed agli atti, la persona di livello superiore, non solo non ne riceverà preoccupazioni o rimorsi ma, con ogni sua parola od azione, nella sua interrelazione col mondo essa recherà anche grandi e costanti benefici agli altri esseri e sarà capace di sopportarne le regole ed i condizionamenti.

Proprio oggi, il Ministro An Chinjé ha richiesto alcuni versi a giustificazione del suo soprannome ‘Studio di Attenta Condotta’ e T’aego, non avendo scelta, li ha composti, dedicandoglieli così:

“Il Regno, lo stato, sia ora che in passato – gioiello principale per trattare col mondo,

“Il globo terrestre è ovunque munifico – il cielo elargisce copiose benedizioni;

“Ogni giorno a corte appaiono unicorni auspiciosi – ogni ora fenici di prim’ordine

“Si radunano per volare e cantare – le erbe fragranti, l’ultima pioggia primaverile,

“Ed ancora, alberi color rosso-cinabro - nei primi freddi di Novembre;

“Con mente vuota, osservo il mutar delle cose – senza interesse, resto me stesso”.

50) “EREMO DEL VERO SENTIERO”

‘Lì’, il ‘Vero Sentiero’, è il grande strumento per il reame e la condizione di essere. I Saggi lo usano per rendere pacificato ogni essere del mondo. Le persone vengono trasformate da una virtù che le fa ritornare alla loro bontà fondamentale. Questo vento purificato soffia al di sopra del mondo intero: tutti gli esseri, come pure le piante, ne vengono toccati.

Proprio oggi, il Ministro di Stato sdta cercando un soprannome spirituale. Lo chiamerò ’Li-An’, che significa ‘Eremo del Vero Sentiero’ e gli dedicherò come testimonianza questi versi. Possa egli comprendere con chiarezza, quali regole debbano venir impiegate da un buon praticante.

“La Conoscenza non può penetrarvi, - la Conoscenza non può raggiungerlo,

“Esso abbraccia tutto, sia cielo che terra – ed oltrepassa l’antico e il moderno,

“Esso è naturalmente completo e perfetto – fin da tempi senza inizio,

“Non possiede né ingressi né porte, – in nessuna delle sue quattro pareti.

“Crollano le montagne, si prosciugano i fiumi – ed il sole di sera si fa rosso,

“I fiori sbocciano e poi cadono – così pure i giorni nascono e muoiono,

“Ma l’Ospitato all’interno dell’Ospitante, mai è arrivato e mai se ne va.

“Svuota la tua mente ed ascolta in silenzio – il suono del vento che soffia tra i pini,

“Non cercare di domandare alle nuvole bianche – qual è il tragitto che fanno,

“Quest’eremo, sostanzialmente, si trova – alla fine di ogni strada,

“Che sia essa una strada di ‘ragione’ – oppure una di ‘Vero Sentiero’.”

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51) “Il PESCATORE SOLITARIO”

I maestri Adepti dei tempi antichi vivevano talvolta come pescatori o taglialegna, in completo isolamento. Essi osservavano la natura ed aspettavano i venti favorevoli ed i momenti più opportuni: indi si recavano a Corte con lo scopo di esprimere quelle parole che avrebbero provocato nelle persone il ritorno ai costumi corretti ed alla auto-trasformazione coscienziale. Per gli Adepti, una simile azione nel mondo era così naturale quanto il corso stesso delle nuvole che seguono il dragone-del-vento, o quello delle acque che fluiscono sempre verso il mare. Come potrebbero non derivarne benefici da tutto ciò? Due famosi tra questi arditi uomini, furono i grandi Wei e Mei.

Il degno Ministro Lì-An fu chiamato anche ‘Il Pescatore Eremita’, oltre al soprannome precedente (‘Eremo del Vero Sentiero’), dato che questa fu la sua situazione. Questi miei versi per lui, dicono:

“Il perenne fiume che scorre, stà nello specchio lucente,

“Esso fluisce insieme alla tua motivazione di vita,

“Nel mondo non c’è nulla che abbia una vera fine,

“Avendo gettato la lenza per il pesce, ora immergila!

“Diecimila miglia solitario su una barca – c’è una sola luna!

“Numerose note dal flauto eterno – il bianco gabbiano sta volando,

“Gli augusti imperatori dell’antichità – dove mai sono adesso?

“Sorti e spariti per migliaia di anni – essi solo lo sanno!

“Stanno ancora aspettando il giorno – in cui il Fiume Giallo sia chiaro e basso,

Tra le nuvole ed il vento – arriverà il tempo della Grande Pace!”

52) “IL NON-RIVELATO”

“Un’unica illuminazione spirituale - ricopre tanto il cielo che la terra,

“Una ricerca all’interno ed all’esterno – non c’è niente da dover afferrare,

“Cessa il pensiero, le idee sono esaurite – e voi non sapete più cosa fare;

“Evidentemente, non accettate ciò che il Buddha- intendeva dire mostrando il fiore,

“Sbrigatevi ad imparare, studiando attentamente- non perdete invano il vostro tempo!”

53) “EREMO DI BAMBÙ”

“Al suo interno, non c’è alcunché - esso è fondamentalmente puro,

“Nessunoa persona del mondo intero – potrà mai gettarvi uno sguardo dentro,

“La fenice stride, il dragone brontola – rompendo la silente imperturbabilità Zen,

“In cima all’unico palo, il chiarore della luna piena – riempie il fiume giù nella città.”

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54) “RITORNO ALLA SORGENTE”

“Da quanti anni ormai stai trascinandoti – lungo i fiumi della contrada?

“Ed oggi alfin tu rigiri la tua barca – e fai ritorno alla sorgente originaria,

“Con un semplice sorriso, ospitato ed ospitante – si incontreranno per intendersi,

“In essi c’è solo questa gioia – nessun tipo di discussioni o vane parole;

“Parole e forme sono state eliminate – nessun bisogno più di evitare

“Il tabù del nome totalmente puro – profondo e chiaro, senz’alcun sapore!”

55) “QUESTA PORTA”

“L’unica strada che hai di fronte – punta diritta davanti a te,

“Se la cerchi appositamente – essa sarà ancor più silenziosa ed indistinta;

“Sii sempre totalmente insensibile, - lascia che tutto vada avanti da sé,

“Solo così tu potrai capire – che il Corpo di Talità non blocca alcunché!”

56) “EREMO DEL SENTIERO”

“Perfettamente pacificato, ben solido e piantato – non può essere violato,

“Avvolto da una massa di nuvole bianche – sembra ancora lo stesso;

“Se la gente di oggi intende passare – agli affari della noibile famiglia

“Dovrà per forza tornare indietro – nella stanza di Vimalakirti!”

57) “LA PORTA DI FERRO”

“Così in alto che tu non puoi scalarla – e nemmeno ti ci puoi avvicinare,

“Tra gocce di pioggia che cadono - portate dal vento, la porta è sbarrata

“Con cespugli di muschio, dimenticandosi – improvvisamente di pensare,

“Senza ottenimento, solo allora sarai sicuro – che la porta è per sempre aperta.”

58) “LA VERITÀ INTERIORE”

“Immobili o in movimento, - all’interno di essa, secondo l’occasione,

“Beneficiando equanimamente - gli innumerevoli esseri che appaiono

“In miriadi di trasformazioni – oltre i mille saggi che vanno in Quel Luogo,

“Questo tipo di grande impresa – perpetua lo stile della famiglia!”

59) “SORGENTE DI TRASFORMAZIONE”

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“Ogni cosa è totalmente reale – ma in realtà qui non c’è nessuno,

“Facendo ritorno alla sorgente – non c’è guiadagno né perdita,

“Il riverito Re dell’Insegnamento – della Grande Saggezza Trascendente,

“È questo Nirmanakaya Buddha – che è proprio ora e qui!”

60) “EREMO DELLA PERFETTA COMPRENSIONE”

“Comprendendo perfettamente le persone - nonché gli oggetti, come vuoti,

“Perfino gli uccelli qui sono rari – e nel silenzio si sentono cadere i fiori,

“Una macchia di muschio verde; – il vecchio monaco indifferente

“Muto osserva la luna sopra ai pini – poi si volta indietro per sorridere

“Alle bianche nuvole che costantemente – vanno avanti e indietro!”

61) “RUPE DELLA SUCCESSIONE”

“In tutti i corpi e forme c’è un - indistruttibile cuore di ferro, il quale

“Quando fa freddo è l’eterno compagno - dei pini solitari e della luna;

“Esso dà vita allo spirito dei funghi – al sole primaverile ed alla pioggia,

“Ad ogni sorta di fiori – appoggiandosi lievemente su una nuvola.”

62) “RUPE DELLA RIVELAZIONE”

“Proprio dove si trovano, - forma e materia sono pacificate e quiete,

“Dopo un lungo silenzio – in questa completa condizione interiore –

“È difficile penetrarne l’esatta percezione.- Alla fine del mondo

“Il fuoco spazza via ed elimina – ogni cosa che, pur se andata,

“È ancora sempre la stessa – come prima in mezzo alle bianche nuvole!”

63) “SENZA SEVERITÀ “

“L’insegnamente che non ha paura – è come il ruggito del Leone!

“Demoni e deva tendono le loro mani - e tutto minaccia di crollar giù,

“Con scoppi ed urla tremende – che si diffondono nel vento primaveril,

“Quando fiori rossi e bianchi sbocciano – saprai che ciò è un buon segno!”

64) “ROCCIA TRA LE NUVOLE”

“Tra le fluttuanti nuvole che la ricoprono – se ne sta ottusa e inconscia,

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“Immobile e quieta; il più delle volte – questo è stato un buon segno,

“I fiori al chiaro di luna, – con una mente morta da lungo tempo,

“Io mi metto tranquillamente – ad osservarla, senza pensieri!”

65) “EREMO DI PIETRA”

“Formato da una natura aspra – come può temere pioggia e vento?

“Le bianche nuvole sono venute ed andate – chissà da quanto tempo,

“Del tutto ignaro, finora, dell’Ospite – che risiede all’interno dell’eremo!”

66) “COME POSSO PARLARE?”

“Tutti i fenomeni sono al di là – di nomi e forme, questa è verità;

“Il rombo dei torrenti, ed i colori – delle montagne sono più vicini;

“Ma poi, cosa vuol significare – dire che sono ‘più vicini’?

“Tu puoi solo compiacere a te stesso – ed io, come posso parlare?”

67) “QUESTO SENTIERO”

“All’Assemblea sul Picco dello Spirito – si era personalmente affidato,

“Oggi, come sempre, tutti noi – siamo davanti alla capanna di canne,

“Se usate la mente concettuale – per tentare di raffigurarvela,

“Più che una stupida bravata – ne avrete una mente più afflitta!”

68) “PASSARE ATTRAVERSO LE NUVOLE”

“In tutta la mia vita - tanto l’andare che il restare, mai hanno avuto

“Un punto di riferimento. - Dove non c’è ricerca, proprio lì c’è pace!

“Ho viaggiato per tutto il mondo – senza mai lasciare una traccia,

“Ed oggi, come sempre, mi sdraierò – tra le verdi montagne di giada!”

69) “FONDERSI CON IL VUOTO!”

“Vacuo ma consapevole, - vuoto, ma meravigliosamente operativo,

“Senza nessuna ‘erudizione’ – la vera Illuminazione è completa;

“Pur restando in mezzo a miriadi - di manifestazioni fenomeniche,

“E non essendo in una relativa – opposizione avversa ad esse,

“Ma anzi, corrispondendo al loro potenziale – solo così si manifesta

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“Un oceano di stati meditativi – ben al di là di ogni misura!”

70) “L’EREMO DELL’ESTINZIONE”

“La strada che porta sull’altro lato – delle verdi montagne è interrotta

“A causa delle vane complicazioni mondane – e neppure i Buddha

“E tutti i maestri Zen possono – arrivarvi o attraversarne la porta;

“Centinaia di uccelli con fiori – nei loro becchi, hanno interrotto

“Il loro allegro venire ed andare; - Vi è, dunque, nient’altro che il fumo

“Di una sacra candela dedicata – all’Onnisciente Signore Illuminato!”

71) “SENZA PAURA”

“Il fuoco, alla fine del mondo – non riuscirà a bruciare ‘Quello’,

“Il luogo ove il Buddha è nato – non cambia perché è immobile!

“Libero e disinteressato – me ne sto di fronte alle verdi montagne,

“I miei occhi sono più grandi del mondo – i deva ed i demoni s’inchinano!”

72) “IL PICCO SEGRETO”

“Un miliardo di mirabili Monti Sumeru – sono all’interno di esso,

“E migliaia di banchi di nuvole bianche – gli fanno da corona,

“Gli ultimi raggi di Illuminazione – benché deboli, fuoriescono da ‘Quel Luogo’

“Ma esso se ne sta maestoso, - donando energia all’antico vento!”

73) “DOVE RIMANERE”

“Io non risiedo in questo posto – ma neppure in ‘Quel Luogo’,

“E neppure il Sentiero di Mezzo – può essere la mia residenza!

“Lasciando che fiumi e montagne – siano svuotati o siano spianate,

“Sorrido a mio agio al bianco gabbiano - che vola sull’onda del mare!”

74) “SENZA COGNIZIONI!”

“Me ne sto qui, sempre seduto da solo – proprio come uno stupido tonto,

“Gli alberi stecchiti sulla rupe gelata – vanno incontro alla verde primavera,

“Il polline rosso sui campi purpurei,- non può più essere sparso in giro,

“Perciò nascondo questo corpo – lungo le montagne coperte di nuvole!”

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75) “MONTAGNE COPERTE DI NUVOLE”

“Nuvole bianche, e dentro le nuvole – catene di verdi montagne,

“Verdi montagne, e dentro le montagne – ancora più nuvole bianche;

“Il sole è l’eterno compagno – di queste montagne coperte di nuvole,

“Quando il corpo è pacificato – non vi è posto che non sia casa sua!

76) “INDIFESO”

“Quando sia la mente che gli oggetti – son entrambi dimenticati, che altro c’è?

“Forse che il colore dei fiori bianchi – non è simile a quello della neve?

“La fine della strada verso ‘Quel Luogo’- è sottile e difficile da raggiungere,

“Anche attraversando tutti i mille fiumi – con una luna che non ha riflessi!”

77) “IL PICCO DEL SOTTILE PRODIGIO”

“Il sottile prodigio dei picchi frastagliati: - la forma è non-forma!

“Il volto intravisto al di là di quei picchi: - è il silenzio infinito!

“La sua luce meravigliosa che brilla da sopra: - abbraccia tutto il mondo!

“Nessuno su questa terra, - riuscirà mai a poterlo scoprire!

78) “NON-ATTACCAMENTO”

“Proseguendo su questa Via, - fondamentalmente senza cercare,

“Proseguendo ancora di più – tuttora distaccato e indipendente,

“Est, Ovest, Sud, Nord – la strada della Perfetta Compenetrazione,

“Sempre esultante ogni giorno – libero di andare o di rimanere!”

79) “NESSUN SENTIERO”

“Un’unica cosa che esaurisce – tanto il suono che la forma,

“Informale senza la forma – innominabile senza il nome,

“Le innumerevoli migliaia di forme – e di esseri sorgono da ciò,

“Trasformazioni materiali che sembrano – proprio lo spirito al lavoro!”

80) “NESSUNA REALIZZAZIONE!”

“La realizzazione finale è ancora – un riflesso della luminosità,

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“La perfetta e completa Illuminazione – è ancora un po’ imprecisa,

“Spazza via lo scuro ed astruso – misticismo meraviglioso,

“Pura e fresca è solamente – la via che è ridotta all’osso!”

81) “FIUME VUOTO”

“Le tracce di milioni di persone – sono state completamente cancellate,

“Il viaggiatore che ha viaggiato – per tre lunghi ed incommensurabili eoni,

“Raggiungerà la fine della strada – i fiori caduti vengono trascinati via

“Dalla corrente del fiume verde-giada – il bianco sole penetra l’ovest e l’est!”

82) “PIETRA DEL TORRENTE”

“Una pietra rotola nell’acqua – un’altra invece non rotola,

“Tutt’intorno vi è silenzio – ma anche il suo contrario,

“Dove andranno mai a finire – tutte le urla ed i borbottii,

“Io ricordo soltanto l’unico colore- dell’eterno cielo!

83) “L’OCEANO DI MEZZO”

“Le dieci direzioni partono da questo punto – Gli innumerevoli fenomeni

“Si incontrano tutti – proprio in quest’unica sorgente,

“Un abisso di oceani d’acqua – profondo migliaia di miglia,

“Può essere nascosto pari pari – dentro un seme di mostarda!”

84) “NUVOLE SULL’OCEANO”

“Al di sopra del vasto e sconfinato – oceano di colore verde-blu,

“Nuvole bianche viaggiano - senza sosta, una dietro l’altra,

“Numerosi gabbiani bianchi – si divertono ad attraversarle,

“(Allo stesso modo) ti viene concessa – questa esistenza di vita!”

85) “GOLA NUVOLOSA”

“Le bianche nuvole nel cielo – fanno compagnia al bianco sole,

“Le acque sono vicine e confinanti – col puro azzurro del cielo,

“Inesauribile beatitudine e felicità, - riempie tutto il mondo,

“Chi sarà mai colui che potrà – condividere tutta questa gioia?”

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86) “IL SENTIERO DELLA VACUITA”

“Questa vacuità non è esattamente – una vacuità che si possa dire ‘vuota’,

“Questo Sentiero non è un sentiero – che si possa considerare un sentiero,

“Laddove l’estinzione pacificata – si sia nel nirvana totalmente estinta,

“Allora sì che la Perfetta Illuminazione – si può considerare completa e finale!”

87) “UNA SOLA PORTA”

“L’intero mondo è una sola porta – Perché dunque non vi entrate?

“Quando sarete stati in grado – di penetrare il ‘No!’ di Chao-Chou,

“Alla fine, le catene che v’imprigionano – si apriranno da sole!”

88) “UN UNICO FLUSSO”

“Il fiume infinito che scorre – attraverso le innumerevoli ere del tempo,

“Spazza via tutte le ombre – che si trovano sulle sue due sponde;

“Quanto mai ridicolo apparirà allora – Il Signor Huang di Jin,

“Egli continuava imperterrito – a vedere senza nulla comprendere!

89) “INDEFINITO”

“Esso non sta in nessun posto – ma elimina cause e condizioni,

“Passate, presenti e future – solo se tu veramente ci credi,

“Ciò che si trova all’interno di te – ricopre totalmente il cielo e la terra!”

90) “EREMO DELLA REALIZZAZIONE”

“Nessun muro da nessuna parte – nessuna porta da alcun lato,

“Buddha e patriarchi non vengono qui – a dormire tranquilli tra le nuvole bianche!”

91) “RUSCELLO PIETROSO”

“Il suono delle pietre che rotolano giù – è un continuo mormorìo,

“La lunga e larga lingua (del Buddha) – è totalmente senza errori,

“Sebbene essa insegni a chiunque – in modo del tutto equanime,

“Non permette di essere spiegata – a chi è incapace di ascoltarla bene!”

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92) “VALLE VUOTA”

“Assai vasta ed estesa essa – ricopre tutto il cielo e la terra,

“Intima e strettamente riservata, - essa contiene il puro vuoto,

“Nemmeno i Buddha ed i maestri illuminati – non possono trovarla!

“Ma possono costruirvi sopra – le loro vuote capanne di canne!

93) “UNA DISTESA DI OCEANO”

“Sulle vaste fluenti onde – una barca, e l’eterna nota del flauto,

“Una volta che tu l’hai sentita – vengono estirpati senza paura

“Tutti i sentimenti mondani – e gli svariati oggetti dei sensi,

“Il gabbiano bianco si mette a danzare – mentre vola alto nel cielo!”

94) “QUESTO TORRENTE NELLA VALLE”

“In questo momento non scorre – la luna che è da questo lato,

“Invece, scorrendo da ‘Quel Luogo’ – le infinite nuvole bianche,

“Migliaia di ere infinite – sono nascoste nel profondo blu del cielo,

“Mentre i fiori che cadono – si estendono sul fiume a volontà!”

95) “AMICA MONTAGNA”

“La montagna indica direttamente la strada – al viaggiatore che ritorna,

“La sua benevolenza è più grande – del Picco del Supremo Prodigio,

“Perfino col proprio corpo spaccato – non è sufficiente per compensare

“Gli antichi e i moderni, perché – non c’è alcun appiglio per scalarla!

96) “PICCO PRODIGIOSO”

“La sua terrificante altitudine – va perfino oltre i cieli cosmici,

“Il livello della sua Vetta smisurata – trafigge la volta celeste;

“Le altre montagne, vicine o lontane, - l’ammirano guardando all’insù,

“Le nuvole, andando avanti ed indietro, - soltanto gli ruotano intorno!”

97) “IL PURO TORRENTE”

“Scaturisce dai piedi della verde montagna – scorrendo veloce verso il mare blu,

“Il rumore dell’acqua scrosciante è più intimo – chissà chi lo ascolterà da vicino?

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98) “LA LUNA INTERIORE”

“Non ha dimora né ad ovest né ad est – cento per cento luce pura che permea tutto,

“Rivelata solo attraverso miriadi forme–perfetta illuminazione eterna e indistruttibile!”

99) “NIENTE GIOIELLI!”

“Benché oro e giada riempino la Sala – non son questi i preziosi che ci salveranno,

“Segui il vero Gioiello nascita dopo nascita – e studia lo Zen stando attento al Reale!”

100) “L’ANTICA FORESTA”

“Alberi senza rami né foglie – il fresco vento smuove le loro radici,

“Non hanno colori, né verde né bianco – ed i fiori si aprono senza l’appoggio.”

101) “UN MOMENTO DI PACE”

“Un colpo pacifica tutto sotto il cielo – tutti i Paesi vengono a congratularsi,

“In difesa della Corea si è avuto successo – i bambini cantano in coro li-li la-la.

102) “LEALE E SCRUPOLOSO”

“La tua pura disciplina è la migliore in Corea – la tue grande notorietà

“E le tue realizzazioni, dureranno – per almeno diecimila generazioni;

“Tu hai sempre onorato e servito – il nostro Signore amatissimo,

“Anche se eri molto indaffarato – la tua mente non ha mai vacillato!”

103) “EREMO DI BEATITUDINE”

“Lassù sulle montagne, una capanna di canne – mentre invece nel sogno,

“Una retribuzione di mille pezzi d’argento, - ma se nella tua triste esistenza,

“Tu vuoi ottenere il successo, - mettiti a recitare il nome-del-Buddha,

“È questo il vero terreno della felicità – quella ultima, in questa vita!”

104) “ NESSUNA ABILITA”

“Questa materia non è mai veramente nata – almeno fondamentalmente,

“Essa è chiara e luminosa ovunque – a seconda delle circostanze,

“Con una certa comprensione personale – di questo messaggio,

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“Puoi ritornartene a casa – senza bisogno di dover cercare la Via qui!”

105) “UNA STROFA PER UN DISCEPOLO”

“Lo Zen dei cenciosi monaci – è al cento per cento assai chiaro,

“I pini dell’antichissima foresta – ce l’hai giù nel cortile!

“Com’è del tutto assurdo – per un figlio della Gittà della Gioia,

“Viaggiare verso Sud per andare – in cerca delle altre mille città!”

(Qui finiscono i Versi di Elogio, ai soprannomi di Dharma di alcuni Praticanti Zen)

* * *

106) AD UN MAESTRO-ZEN CINESE CHE SI TROVA IN GIAPPONE,

Dato che proprio ora ti sto comunicando questa cosa, tu potrai di sicuro capirla. Per me, veramente, non vi è né guadagno né perdita. Per te, che pure sei un Maestro, come potrebbe non esservi merito? Nel bel mezzo del Mare Orientale, si erge un territorio montagnoso: il Giappone, ovverosia un punto colorato di rosso. Il discepolo che se ne resta su queste nevi, non è un buon discepolo, in quanto egli ha ormai quasi perduto lo stile della Famiglia!

107) “UNA MELODIA”

(Al Maestro Wuji, di Jiangnan)

“Giungendo dall’Ovest, questa melodia, nessuno la può riconoscere,

“Sebbene sia stata composta da un eccellente maestro di musica,

“Non ci fu nessun degno discepolo capace di renderla armonica.

“Sedendo solitario nella profonda desolazione della vacuità notturna,

“Gli ultimi raggi di luna, attraversando il buio, rischiarano la tonaca Zen!”

108) “QUANTO TEMPO?”

“Vola la verde primavera della giovinezza – e presto giunge il tempo

“Dei capelli bianchi. Il pallido sole della sera – ci inganna ulteriormente,

“Sembra ancora rosso, - mentre in realtà sta morendo nel tramonto.

“Perciò, lascia almeno che ti faccia una domanda – intorno alle evanescenti

“Cose di questo mondo: - Quanto tempo possono resistere in serena pace?”

Il Dharma di Aliberth

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109) SEGUIRE IL LORO ESEMPIO

(Versi in risposta a Kim Hui-jo)

“Nei tempi antichi, il purissimo corpo del Tathagata – era una persona che fu presa

“Dai gorghi ripetuti delle rinascite; – Una volta, lo stesso Confucio, fu un soldato

“Che si dibatteva incauto - tra la feccia popolare e le bande degli armigeri irati.

“Ora io ti chiedo: In che modo, - potremmo noii seguire il loro esempio?

“Nulla è meglio che scoprire la realtà della mente – ma stai ben attento,

“A non cercare fuori di te, nella mente degli altri;- altrimenti tu seppellirai,

“Perdendoli davvero, i gioielli della famiglia,- cercando sempre di entrare

“Ed uscire attraverso le sei porte sensoriali; - Fin dai tempi senza inizio,

“Esso è stato sempre il capo – Se tu agisci vanamente come un viaggiatore

“Che va sulla strada – ti troverai continuamente di fronte agli otto venti

“Delle nefaste influenze. – Sarà molto meglio studiare questo argomento:

“Ed andare a rifugiarsi tra le montagne nevose – tu potrai così domandare

“Dove mai esso sia andato- solo dopo comprenderai perfettamente questa cosa!”

110) “QUESTO FIORE”

(Risposta a Yom Hung-bang)

“Non è ancora primavera, - ma in questo luogo è sbocciato questo fiore,

“Esso lascia liberamente andare e venire - le nuvole fluttuanti nel vuoto,

“Il luogo ove esso sta si chiama ‘COSÌ’ – e la ‘Coseità’ non cambia mai;

“Perché mai dovremmo aggiungere - una tenda preziosa sul carro reale?”

111) “ENTRARE NELLA FAMIGLIA DEI BUDDHA”

(Risposta a Yi Pang-jik)

“Le afflizioni sensoriali e tutto ciò che pensi di sapere – entrambi son barriere;

“Dimentica totalmente l’erudizione e la concettualità – non seguire gli altri!

“Dobbiamo diventare come due idioti – che hanno eliminato per sempre,

“Perfino la pur minima cosa;- Sappi, dunque, che la completa realizzazione

“C’è quando non si è tralasciato nulla – allora si entra nella Famiglia dei Buddha!”

112) “UN ARRIVEDERCI AD UN MONACO INDIANO”

“Dall’India, un vero figlio del Buddha – la sua esistenza umana è libera

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“Come le bianche nuvole nel cielo – Affido queste parole a fiumi e montagne,

“Devi solamente aprire i tuoi occhi barbari – di colore blu, ed osservare!

113) “UN ARRIVEDERCI AD UN MONACO GIAPPONESE”

“Ad est dell’oceano, la luna millenaria – Oltre Jiangnan, diecimila miglia di cielo,

“La Chiara Luce non è questo né quello – Non accettare mai lo Zen parrocchiale!”

114) “QUESTO MOMENTO FAVOREVOLE”

(Saluti ai due maestri-Zen Yong e Koeng)

“Avete letto dei viaggi di Siddharta – in mezzo alle montagne verde-blu?

“Egli vi avverte che nel tempo – in cui un respiro entra dentro ed esce fuori,

“Voi potete perdere la vostra vita umana – Egli vi sprona inoltre ad usare la mente

“Più profonda per venire alle strette – con le sentenze meravigliose e sottili;

“Questo momento favorevole è difficile da presentarsi – perché sprecarlo allora?

“Nelle infinite epoche a venire – non vi saranno più momenti come questo,

“La volontà delle persone eccellenti – è stata ed è sempre precisamente così!”

115) “NON DISPREZZARE GLI ESSERI VIVENTI”

(Saluti al praticante-Zen Hye)

“Navigando al di sopra di mari e fiumi – senza neanche muovere un passo,

“Allorché si incrociano monti e torrenti – cerca di non camminare inutilmente.

“Il legittimo interesse dei cenciosi monaci – è quello di trovare insegnanti

“Per interrogarli intorno al Sentiero – senza disprezzo per gli esseri umani.

“Se tu non disprezzi gli esseri umani – presto incontrerai un maestro illuminato,

“Che avrà la padronanza e la bravura – di farti uscir fuori in maniera decisiva;

“Potrai infrangere il muro dell’ignoranza – e tagliare la lingua a tutti nel mondo;

“Quando verrai a bussare qui alla mia porta, - solo allora il tuo cuore sarà in pace,

“Non vi sarà più nulla che possa fermare – la prova della tua perfetta trascendenza!”

116) COMMIATO DI T’AEGO DAL MAESTRO SHIWU.

Il discepolo Po-u (T’aego) aveva per lungo tempo sentito parlare della reputazione del suo maestro Shiwu, nel raggiungimento del Sentiero. Per nulla preoccupato dalla distanza di circa un migliaio di miglia, egli intraprese il viaggio al Picco del Monte Xiawu, per far visita a Shiwu e studiare sotto di

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lui nella stanza privata del suo eremo. Avvenne, quindi, che egli lo rincontrasse, proprio allo stesso modo della storia del figliol prodigo, cioè come se avesse dovuto rincontrare suo padre.

T’aego restò con Shiwu una quindicina di giorni, acquisendo decisive istruzioni sull’essenza della mente e riempiendosi a sazietà con il nèttare del Dharma. La benevolenza di Shiwu fu così grande che sarebbe stato molto difficile ripagarla, perfino se T’aego avesse polverizzato il proprio corpo. Venne poi il tempo del commiato. Era impossibile non aver emozione e sentimenti; quindi, ora io dedico questi versi, come elogio per le virtù di Shiwu, come proclamazione della mia fede e, nel presentarglieli, come dimostrazione della mia sincerità.

”Osserviamo lo specchio perfetto della grandezza del nostro Maestro,

“Osserviamo anche la stessa natura, ovunque presente, nel discepolo.

“Uniti insieme, essi sono un unico corpo che si stende su tutto lo spazio,

“Che è vuoto ed aperto, con la luce inostacolata che pervade ogni cosa,

“Nessun essere vivente, né Buddha, e nemmeno il soggetto e l’oggetto,

“La luminosa consapevolezza, che è chiara e pura, radiosa e splendente,

“Raggiunge ogni luogo, una fitta schiera di miriadi immagini vi ci appare,

“Il nostro maestro ci mostra la forma della luna nell’acqua dello stagno,

“Ed anche il corpo del discepolo è lì dentro, come un bel fiore acquatico

“Che è pulito e sporco, sofferente ma beato, tutto appare in quell’acqua;

“Ora, un certo discepolo che è dentro lo specchio perfetto del maestro,

“Prende rifugio in esso e rende omaggio al nostro grande insegnante,

“Il quale è un Buddha Primordiale nello specchio del suo umile discepolo,

“Egli sinceramente fa il voto di proteggere in modo speciale la sua eredità,

“E di diventare perfetto come lui, vita dopo vita, rinascita dopo rinascita;

“L’insegnante è il maestro del Fiore Tesoro del Mondo (cioè il puro Dharma)

“Io agirò come il suo figlio maggiore per assisterlo nel suo lavoro di bene,

“Perché quando egli viveva nel Paradiso di Tushita esponendovi il Dharma,

“Io ero un capo-dèva incaricato di stargli sempre vicino per proteggerlo,

“Quando sedevamo sotto l’albero della Bodhi, allora ero un Re protettore,

“Che agiva come patrono del Dharma, ed oggi in accordo al mio voto,

“Fondamentalmente, ho perfettamente preparato ogni tipo di ornamenti;

“Io, devoto, li offro agli infiniti Buddha delle dieci direzioni, ai Bodhisattva,

“Ed a chiunque altro del Grande Veicolo, insieme a tutti i figli dei Buddha,

“Nell’intero Universo, a perenne testimonianza dell’eterna verità interiore

“Di tutti i Tathagata, che cancellano tutte le afflizioni e le contaminazioni,

“E finché nessuna ne resti, essi compiono tutte le meravigliose pratiche,

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“Per mezzo delle Assemblee dei Buddha del futuro, dovranno incontrarsi

“Reciprocamente l’un l’altro, in funzione di ospitanti ed ospitati, a turno:

“Il maestro è il polo centrale, ed io come un satellite; poi, alternandoci,

“Il maestro come satellite, ed io come polo centrale, noi lo continueremo

“Così per l’eternità, a far il lavoro del Buddha liberando ogni essere senziente,

“Dopodiché dovremo tornare, insieme vagando, nel supremo Parinirvana,

“Proprio come l’escursione di oggi sul Monte Xiawu in cui, nella illusorietà

“Della sostanza, sebbene noi sembriamo separati in questo ed in quello,

“Questa Mente non si allontana mai dalla sua sede, che è ‘Quel Luogo’!”

117) COMMIATO DALL’INSEGNANTE REALE.

Come dovrebbero comportarsi coloro che lasciano la propria casa per diventare monaci Buddhisti? Dovrebbero eliminare per sempre i loro obblighi nei coinvolgimenti mondani. Sulla base di ciò, oggi io offro un pensiero di commiato all’Insegnante Reale, il quale mi chiede dove ho intenzione di andare. Poiché, originariamente, io sono un montanaro, sento di dover tornare a dimorare sulle montagne. Non è che io muoia dalla voglia di fare delle scarpinate sui verdi monti, né ho la tentazione di sfuggire dagli insabbiamenti del mondo umano. Lo faccio per soddisfare i sentimenti della mia propria vera natura e per coltivare la virtù che potrà farmi ripagare la gentilezza del nostro Illuminato Signore.

Quando realisticamente osserviamo le glorie e le infamie del mondo, vediamo che esse sono come aggregazioni di bolle di sapone. Se io restassi qui troppo a lungo, la mia reputazione porterebbe la gente a commettere parecchi errori. È quindi meglio, ad un certo punto, dimenticare le idee che le persone ritengono di avere su ciò che è giusto o sbagliato, ed andare a nascondersi in mezzo agli uccelli ed agli animali nelle grotte della foresta. D’altra parte, i boschi ed i torrenti della foresta hanno un sapore mistico.

Se il Saggio estenderà su di me la sua protezione, mi concederà il favore di fare in modo che io possa passare i miei ultimi anni sulle verdi montagne. Che cosa c’è sulle montagne? Cielo blu e nuvole bianche. Perciò potrò coltivare la pratica sul Sentiero, per far cadere la pioggia del Dharma sulla Nazione e dedicarmi a pregare per la lunga vita del nostro saggio Sovrano, bruciando l’incenso per tutto il giorno e la notte.

118) VERSI SUL BUDDHA SHAKYAMUNI

(Shakyamuni dimora sulle Montagne)

“Onori ed elogi?… Tu non hai virtù; - Biasimo? …Tu non hai difetti.

“Dimenticare tua moglie e tuo figlio – nonché i tuoi genitori, non fu molto degno;

“In compenso, sei stato seduto - al freddo ed affamato, per ben sei anni!”

(Shakyamuni lascia le Montagne)

“La gente dice che egli è Shakyamuni –altri lo chiamano anche Siddharta;

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“No, no! Basta parlare dei sogni – Egli non è un’illusione ottica!

“Libero ed immenso, nudo e senza limiti – in pace, irraggiungibile, puro e vuoto;

“Il vento di primavera sta sprizzando - gocce di luce sopra le libere acque,

“Camminando solitario tra il cielo e la terra – chi mai mi accompagnerà?

“Se io ho incontrato un fedele discepolo – lassù sulle montagne, in che modo

“Potrei farlo mai discendere giù – con gialle foglie al posto del vero oro?

“La sua virtù è così eccelsa ed insuperabile – che nessuna lode è adeguata,

“La sua pietà così profonda e smisurata – che è al di là di ogni biasimo;

“Per innumerevoli ere senza tempo- egli scrupolosamente seppe coltivare

“Pratiche sottili e meravigliose - incalcolabili come i granelli di sabbia del Gange;

“Ora, egli abbandona la sua casa, - per recarsi tra le montagne innevate,

“Tra le grida disperate dei suoi parenti - ed il cuore infranto di sua moglie;

“Anch’essi però hanno infranto il suo cuore – il dolore gli penetra le ossa;

“Come potrebbero sapere che la sua vera – compassione, salverà il mondo?

“Stop! Fermi! Non siate così stupidi! –non è un sogno, non chiamatelo così,

“Può sembrare un sogno, ma non è un sogno – è proprio lui, Shakyamuni Buddha!

“Quieto ed inattivo, totalmente immobile – spoglio, libero e non vincolato;

“Vera comprensione del fatto che non c’è nulla – a cui ci si possa aggrappare;

“Qual è la voce del vero Shakyamuni vivente? – sotto i serali raggi del sole

“Ormai morente, i bianchi gabbiani, – spontaneamente, cantano il suo nome!”

119) MANJUSHRI

“Egli solleva la sua spada (della saggezza trascendente) – che è così affilata

“Da poter tagliare in due un capello – il suo stile di famiglia è unico e pure

“Assai meraviglioso, ed egli si muove – pienamente libero al di là dei mille saggi,

“Il chiarore della luna risplende – sui bianchi fiori che sbocciano tra la neve!”

120) GUANYIN (*Avalokiteswara al femminile)

“Il colore del suo corpo vuoto – di trasformazione illusoria, è sempre più fresco,

“Puoi posare i tuoi occhi sopra di lei – ma lei non concede nessuna intimità;

“Dopo che il vento di primavera - sul greto del fiume dalle sabbie dorate,

“Ha deposto una massa di petali (dei fiori caduti) – essa è di un rosso profondo,

“E si rattrista per tutti coloro che muoiono – rattristandosi per la gente che muore,

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“Così che essi non possano più illudersi – e, se Bodhidharma dai grandi denti,

“Potesse perfino ancora tornare – chi mai potrebbe volerlo rivedere?

“Ahimè, Chi non sarebbe in grado – di riconoscere in te la sua stessa bruttezza?

121) BODHIDHARMA

“Sgretolando lo spazio vuoto – venendo avanti maestoso e solitario,

“Tagliando via ogni tipo di manifestazione – dalla testa di Vairochana,

“Né Buddha e né Dharma davanti ai suoi occhi – né Buddha né Dharma,

“Il paradiso celeste sta in alto – mentre quaggiù la terra è spianata,

“Non-mente e non-cose – i fiumi sono verdi e le montagne sono blu,

“In questo modo egli ha interrotto – questa sintonia attraversando l’oceano.

“Di fronte al Re di Liang – egli schioccando le sue dita, dimostrò,

“Uno schiocco dietro l’altro, - che le valli nascoste cambiano colore

“E le impetuose cascate fanno rumore - perciò vi invito ad ascoltare;

“Cercate di non avere altri pensieri – perché temo che deliberatamente

“Gli uditori si uniranno per andare - ad ascoltare chi è stato da lui istruito

“Ma soltanto in modo superficiale – e di questi il mondo ne è pieno;

“Ma quanti di questi falsari – conoscono poi la sua vera mente?

“Bodhidharma è venuto da Occidente – attraversando i pericolosi oceani

“Navigò migliaia di miglia – solo per trasmettere l’Unica Verità (Illuminazione);

“E trovandosi faccia a faccia col Re di Liang – non ebbero la stessa sintonia,

“Egli era come la luna piena autunnale – quando brilla nel cielo limpido,

“Quando a Wei attraversò il Grande Fiume – a cavallo di una sola misera canna,

“Egli fu spinto dal vento più puro – che lo scortò livellando le onde,

“E lo trattò meglio del vecchio pescatore, - che quando lo vide sul greto del fiume

“Neanche lo aiutò a salire sulla barca – anzi, se lo avesse fatto salire,

“Non ci sarebbe forse mai stato – il suo andare e venire in oriente,

“E questo fatto avrebbe più tardi – annullato la sofferenza di Shen-guang,

“Il quale fu il suo successore, costretto – poi a tagliarsi di netto il braccio;

“Migliaia di miglia, egli ha superato – ma per fare che cosa, perciò?

“Tutte quante le persone hanno – un bel paio di sopracciglia (come lui),

“Egli venne dal lontano Occidente – portando con sé una scarpa sola,

“Ed ora vanamente egli costringe – i suoi discendenti a parlare su cosa

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“Sia giusto o sbagliato; ma l’errato – non è errato ed il giusto non è giusto;

“Il crisantemo giallo del doppio yang – nel festival d’autunno pende all’esterno,

“Prima ancora che tu fossi arrivato - la gente ed il mondo erano in pace,

“Poi quando te ne sei andato – i fiumi ed i mari tornarono calmi e sicuri,

“Le bianche nuvole sulla Montagna dell’Orso – non sanno nasconderti,

“Per migliaia di ere, esse hanno trasmesso – il tuo vuoto e venerabile nome,

“Dato che sei stato seduto freddamente – per nove anni muto e silente,

“Non importa quanti dubitino di te – essi non possono proprio farti niente;

“All’uomo che se ne stava nella neve – (cioè Shen-guang, ovverosia Hui-ko,

“Il secondo patriarca dello Zen Cinese) – tu hai trasmesso l’intimo messaggio,

“Quando insieme col vento di primavera – i fiori si aprirono dappertutto,

“Prima ancora che l’insegnante – dagli occhi blu (Bodhidharma) arrivasse,

“Le narici di tutte le persone erano protese – inesorabilmente verso il cielo,

“E quando poi egli arrivò dall’Ovest – portando con sé una singola scarpa,

“Tutti quanti ebbero all’improvviso – una serie completa di occhi e sopracciglie;

“Perché allora Bodhidharma è venuto - e perché le cose andarono così?

“Se guardiamo freddamente alla cosa – questa è solo una storia da ridere,

“Testa da spirito, faccia da dèmone – con sopracciglia cispose e denti larghi,

“Sedendo solitario a Shaolin – trattenne il respiro fin quasi all’asfissìa,

“Se ne ritornò forse in Occidente – ancora vivo e con solo una scarpa;

“Perché il vero significato della venuta – di Bodhidharma da Occidente

“È che è meglio starsene in silenzio – e senza raccontare nient’altro,

“Perché vi siete arrabbiati? – Il Buddha non è altro che polvere negli occhi!”

122) BUDAI

“Né monaco né laico, è un uomo di grande disponibilità, che sta

“Sulle verdi montagne e sui campi rossastri, una vita indipendente,

“Talvolta egli scende giù in città, per recarsi nelle osterie,

“Il vento primaverile riempie il suo viso, egli dimentica la naturale realtà,

“Ha una faccia arrossata, come dopo un triste distacco,

“Solo per i suoi capelli bianchi, ci diventeranno ancora più intimi.”

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123) AL BODHISATTVA <RE DELLA MEDICINA>

“O Re della Medicina, o Re della Medicina! – apri la porta della Grande Compassione!

“Non devi dimenticare i tuoi precedenti voti – di salvare tutti gli esseri senzienti,

“Se tu non ci salverai dalle sofferenze – e dalle malattie causate dal karma,

“Quando mai la pratica del Bodhisattva - si potrà chiamare la Grande Compassione?”

124) IL SESTO PATRIARCA (Il Falegname Lu – Hui-neng di Chao-Qi)

“Non appena gli accadde di ascoltare – il Sutra del Diamante (vajracchedika)

“Egli si guardò subito intorno – allo scopo di venerare il Sacro Dharma,

“Non ebbe affatto paura – di affrontare quel faticoso viaggio.

“Quando fece visita a Huang Mei (Hung-yen) – il Quinto Patriarca era anziano,

“Il pesco rosa era in fiore, il susino aveva gemme bianche – ed i salici erano verdi;

“Possiamo pure essere d’accordo- sul fatto che egli passò tutti i suoi giorni

“Trasportando pesanti sacchi di farina – dentro il suo mulino, ma per lui,

“Come potrebbe ciò esser stato - considerato un problema di qualche peso?

“Per lui, il grano era già maturo – da molto tempo prima, ormai;

“Nel bel mezzo della notte - egli entrò nella stanza del quinto patriarca;

“Il quinto patriarca in persona – gli consegnò la trasmissione del Dharma;

“A causa della gelosia degli altri seguaci – del quinto patriarca, la sua vita

“Si ritrovò appesa ad un filo – perciò egli attraversò il Fiume Occidentale,

“In tutta segretezza,- per mettersi in salvo, sotto il chiarore della luna,

“A quel tempo, chi mai avrebbe pensato – che fosse stato meglio scappare?

125) AUTO-ELOGIO (Su Richiesta di Chang Hae)

“Un corpo dell’Asia Orientale, - sopra una ossatura dell’India,

“Un occhio alla mia pancia, - nero come la lacca nera,

“Così avendo avvolto una freccia – in un groviglio di artemisia,

“Viaggiavo attraverso il mondo – senza esprimere il senso di me stesso,

“All’improvviso, mi son imbattuto – in un vecchio sul Monte Xiawu,

“Più io mi intrattenevo lassù – e più rivelavo la mortale ignoranza totale,

“Io non ho mai sperperato la minima energia – né ad ovest né ad est,

“Perciò alla fine io sono ritornato – indietro sulle mie vecchie montagne,

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“Non discuto ciò che è giusto o sbagliato – con le persone del mondo,

“Senza coinvolgermi, per lunghissimi anni, - ascolto soltanto il vento tra i pini.”

126) UN DISCORSO AL TEMPIO-ZEN DI YONGNING

(Discorso richiesto dai suoi discepoli, nel giorno in cui T’aego inaugurò la Sala degli Insegnamenti, al Tempio-Zen della capitale della Dinastia Yuan, vale a dire Yongning, l’attuale Pechino).

“Questo Reame che mi ha dato nascita è proprio come un seme di senape, in cui sono racchiusi mille miliardi di mondi! Bah! Com’è grezzo e grossolano questo cencioso monaco di paese! Accettando il volere Imperiale, io vi ho rozzamente esposto la mia poco onorevole origine. Peraltro biasimando i Buddha e gli antichi maestri, ho di sicuro creato sofferenze karmiche. Ha, ha, ha!

D’ora in avanti non agirò più così. Andrò direttamente a vivere sulle montagne, insieme alle scimmie ed alle tigri!”.

127) POSTFAZIONE ALLE <REGOLE PURE DI P’AI CHANG>

(Da una edizione stampata per ordine dell’Imperatore Xuan Ling)

“Il sottile prodigio tramandato da Buddha a Buddha e da maestro illuminato a maestro illuminato, non è una direttiva predeterminata. Tuttavia, se le persone non hanno delle regole di comportamento, non saranno capaci di lavorare in modo appropriato sulle loro menti. Quindi, tutti i Saggi fin dalla più remota antichità hanno praticato sia le regole opportune, che impartito senza sosta lezioni su di esse.

Ai giorni nostri, il nostro saggio Sovrano, rispetta ed ha fede in queste pure regole e, col suo governo, ha fatto in modo che esse fossero propagate e fatte circolare attraverso tutto il regno. Ciò è successo, in quanto egli aveva piantato i semi della luce della ‘PRAJNA’ nelle vite precedenti, ed esercitò le pratiche dei grandi voti dell’ottimo e universalmente conosciuto Samantabhadra.

Tra di noi, chi saranno coloro che potranno venire in contatto con la trasformativa influenza della saggezza di Sua Maestà, oltre a rallegrarsi coltivando personalmente queste pure regole?”

128) PREFAZIONE AGLI <AMMONIMENTI PER LA COMUNITA MONASTICA>

“Tra tutte le persone del mondo intero, chi è che non possiede la natura-di-Buddha? Chi è che non ha la mente della fede? Malgrado ciò, se le persone non vengono in contatto con gli insegnamenti dei Saggi, non potranno aprire le loro menti alla Suprema Illuminazione e sprofonderanno per sempre nell’oceano della sofferenza, obbligate ad apparire e scomparire, continuando ancora ed ancora inutilmentre a venire, tra morti e rinascite, in questo Samsara. Tutto ciò realmente fa molta pena.

Quindi, i Buddha ed i maestri Illuminati, con tutti i Saggi, hanno agito come amici non-richiesti, hanno praticato una compassione senza interesse ed hanno spiegato ogni tipo di metodi ed espedienti per ciascuna persona. Essi hanno istruito, trasformato ed addomesticato le persone per renderle capaci di far sorgere in loro la pura mente della fede ed ottenere così il supremo frutto della buddhità, cioè l’Illuminazione.

L’Illuminazione, ovvero il supremo frutto della buddhità, potrebbe mai essere qualcosa d’altro? È la mente fondamentale illuminata di ogni e ciascuna persona. Il ‘Sutra della Grande Perfezione della Saggezza’ (Prajnaparamitasutra) dice anche che: ‘Se vuoi essere in grado di conoscere il grande Nirvana del Tathagata, devi completamente capire la tua natura fondamentale’. Se gli esseri

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crederanno profondamente in queste parole, essi scopriranno e improvvisamente riconosceranno l’infinita e meravigliosa verità che è all’interno della loro mente inerente, fondamentalmente completa e perfetta in se stessa, durante migliaia di stati introspettivi, cioè i Samadhi. Neanche la minima parte di queste introspezioni è falsa. Questa è la corretta mente della fede. Quando i Saggi del passato, del presente e del futuro appaiono nel mondo, cercando e creando i termini che tentano di spiegare l’INESPRIMIBILE, è precisamente di questo che essi parlano.

“Quando io ho viaggiato nella Cina del Sud, in cerca del vero Dharma, sono stato abbastanza fortunato nell’incontrare questo testo degli <Ammonimenti>. Dopo che fui ritornato nella natìa Corea, per anni ho fatto richiesta che questo libro potesse efficacemente circolare qui da noi, al fine di essere di beneficio al popolo ed alla Nazione. Ora, abbiamo l’esimio Ming Hue, che ha promesso di occuparsi della stampa e della distribuzione di questo libro. Ciò renderà possibile al popolo della nostra Nazione, una volta che possano leggerlo o ascoltarne la lettura, di creare una eccellente base causale che possa finalmente far ottenere loro la suprema corretta Illuminazione, in compagnia di tutti gli altri Illuminati del passato. Questo è il vero, grande significato degli <Ammonimenti>.

129) LETTERA DEL MAESTRO SHIWU A T’AEGO

(Questa lettera arrivò all’Anziano T’aego P’ou, spedita dal vecchio monaco Qinghong di Shiwu, che dimora sul Monte Xiawu, in Huzhou, nel ventinovesimo giorno dell’ultimo mese dell’era Zhi Zheng dell’anno ‘ding-hai’ (1348).

”Se ricordo bene, l’anziano T’aego arrivò in cima alla mia montagna nel settimo mese, non avendo paura e non indietreggiando di fronte ai pericoli di si lungo viaggio, dato che era alla ricerca di una definitiva soluzione al grande problema della sua Illumina-zione. Al tempo in cui ci incontrammo, io non volevo saperne di parlare del Dharma ed egli non aveva pazienza di ascoltare parole. Perciò fu un vero incontro. Se sussiste un minimo pretesto che obblighi a discorrere, tutto fondamentalmente è dovuto alle spinose opinioni. Questo è il vero Sentiero su cui tutti gli Antichi si sono incontrati.

L’Anziano T’aego, durante quel periodo, si nutriva proteggendosi e mostrando sempre più la sua realizzazione, evitando di perseguire punti di vista perversi o erronei. Egli lasciò poi questa montagna, nel diciassettesimo giorno del dodicesimo mese. In seguito, io fui felice di sapere che era tornato sano e salvo alla Grande Capitale; non so però se sia rimasto lì o sia poi tornato a casa sua. Tagliando corto, in ogni caso spero che abbia preso il Sacro Dharma come la cosa più importante della sua vita. Questo è soprattutto il motivo per cui prego per lui.”

130) LETTERA DI T’AEGO AL MAESTRO SHIWU

Il tuo discepolo P’ou, dal Tempio-Zen Chunghung in Corea, prostrandosi nove volte, devotamente ti risponde: “Fin dal primo giorno in cui ti lasciai, sul Monte Xiawu, o Maestro Shiwu, non passa giorno che io non pensi a te. Viaggiando su propizie strade, arrivai alla Capitale nel quindicesimo giorno del decimo mese. Dato che avevo finito le riserve di cibo, i virtuosi monaci degli Istituti Zen e gli esimi ministri della Corte Imperiale mi presentarono all’Imperatore e, per suo volere, ora presto servizio come Abate nel Tempio-Zen di Yongning. Il principe della corona mi si presentò offrendomi una tonaca monacale dorata ed un piumino profumato di incenso.

Il volere del Cielo ha fatto in modo di riunire qui Clero Buddhista e laici provenienti da ogni parte. Migliaia e migliaia se ne radunano ad ogni rullar di tamburi. Non ho avuto alcuna alternativa al dover salire sul Seggio dell’Insegnante; ho reso i miei omaggi all’Imperatore ed ho acceso l’incenso della buona sorte. Poi ho anche acceso un bastoncino di incenso preso dalla tasca della mia tonaca, per te

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vecchio Maestro, dando così prova di ciò che vale il Veicolo della Scuola Zen, ed ho tenuto alto l’Insegnamento per l’Ultima Era del Dharma.

Ma come potrebbe bastare, tutto ciò, a ricompensare la tua grande benevolenza nell’avermi nutrito col latte del Dharma? Mi auguro vivamente di non aver commesso errori nel ritrasmetterlo, dato che c’era uno scenario del tutto inadeguato per la Famiglia: un disordinato linguaggio di bassa lega, con tutte le difficoltà del caso, per poter descrivere la realtà alle persone.

Spero di poterti raggiungere ancora, la prossima primavera; vorrò servirti sempre fedelmente, fino alla fine della mia vita. Se dovessi incontrare ostacoli prodotti da coinvolgimenti karmici e non avessi più la possibilità di venire da te, mi baserò su tutto quello che mi hai insegnato: fare il bene proprio ed altrui, in accordo a ciò che è più appropriato per non svendere il Buddhadharma, così da non doverne privare i posteri in futuro. Tuttavia, a malapena penso di potercela fare da solo e quindi avrò bisogno del voto fondamentale di tutti i Buddha e degli Adepti Zen, che mi sosterranno e mi sorreggeranno in questa motivazione. Quando ti ho conosciuto, tempo addietro, la mia stessa motivazione e la tua conoscenza mi fecero avere successo nella Grande Impresa.

Oggi, però, per obbedire all’ordine Imperiale, ho aperto la Sala degli Insegnamenti, ed anche questa è una rispettabile causa. Come potrei mai riuscire, con le mie maldestre parole, ad esprimere chiaramente e pienamente tutti i miei sentimenti puri? Spero umilmente di poter seguire in modo scrupoloso il tuo esempio ed i tuoi insegnamenti; ed anche di poter venire a trovarti ancora e ancora. Spero altresì che tu possa ricevere migliaia di benedizioni, o mio amato Maestro, Insegnante Fondamentale, per tutto ciò che hai fatto e che tutte le persone che ti sono vicine vengano beneficiate dalal compassione che promana dal tuo essere, così che possano tutte ottenere la pace della mente.”

131) REPLICA DEL MAESTRO SHIWU A T’AEGO

“Dopo che te ne fosti andato, i miei vecchi malanni riaffiorarono, peggiorando giorno dopo giorno; perciò ho chiuso la porta della mia casa e mi sono preso un po’ cura di me stesso, facendo sì che la mia vita si allungasse per ancora un po’ di tempo. Nel tredicesimo giorno del decimo mese dell’anno wu-zi (1348), un messaggero del Tempio Jing-Ci inaspettatamente mi recapitò la tua lettera. Non appena l’ebbi letta, realizzai che per te, T’aego, i tempi e le circostanze erano maturi.

I meritevoli esperti dei Templi-Zen, i ministri e gli alti Ufficiali hanno sicuramente dato ottime informazioni su di te all’Imperatore, e così ora sei l’Abate del Giardino-Zen di Yongning. Avendo aperto una Sala ed insegnando il Dharma, stai proprio mettendo in mostra gli insegnamenti della nostra Scuola. Questo è a motivo della genuinità del tuo livello interiore ed anche in accordo alla tua saggezza, cosicché la reale sostanza di ciò che tu fai potrà smuovere le persone, e questo non è certamente un caso fortuito.

Mi hai anche fatto sapere che un giorno apristi la Sala degli Insegnamenti ed accendesti un bastoncino di incenso per me, per quanto vecchio ed inetto io sia. Ne sono stato toccato. Però, dato che te ne sei andato, ho avuto un po’ di tempo libero e così ho potuto bloccare i miei pazzi ed erronei pensieri perché, in verità, come potrei mai falsamente pensare di essere il maestro di qualcuno? Il fatto che tu ora sia così è senz’altro dovuto alle circostanze di causa e di effetto che si sono ingranate attraverso molteplici rinascite.

Perciò, dato sei apparso nel mondo per aiutare le persone, devi usare una particolare motivazione per guidare e stimolare gli immaturi che vengono per imparare. Sii cauto e non usare gli strumenti ed i punti di vista dello Zen, per lusingare o far male agli altri con idee illusorie. Se tutti vengono ricoperti di erbacce, che cosa possiamo sperare di realizzare? Devi lavorare su questo in maniera molto intensa. Se riuscirai ad essere veramente preciso, dall’inizio alla fine non devierai dal retto pensiero. Ed allora,

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in una contemporanea situazione, ripagherai pienamente la benevolenza dell’Imperatore e di tutti i Buddha.

Che altro potrei dirti? Benché tra di noi vi sia molta distanza, migliaia di miglia, saremo sempre vicini l’un l’altro. Essendo io vecchio e stanco, non potrò risponderti abbastanza spesso, perciò ti prego di perdonarmi in anticipo.

(Ottavo anno del Zhi Zheng (1348), undicesimo mese, settimo giorno. Shiwu dal Monte Xiawu ti manda tanti saluti.)

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GLOSSARIO

AMITABHA - vedi Buddha.

ANANDA - Discepolo e assiduo attendente di Shakyamuni Buddha, di cui redasse fedelmente gli insegnamenti verbali; è considerato il secondo patriarca della linea DHYANA (Ch’an = Zen) dell’India.

BASTONE - Simbolo dell’autorità del Maestro Zen, nell’insegnamento e col potere di diretto impatto sui suoi discepoli.

BODHI - L’Illuminazione; la Consapevolezza diretta della Realtà; la comprensione completa e perfetta della Verità Trascendente e di quella relativa mondana; inerenti alla Bodhi sono Saggezza Prajna e Compassione Karuna.

BODHIDHARMA - Saggio monaco Indiano del 500 d.C. circa, nominato nella Dottrina Zen come il XXVIII° Patriarca del DHYANA in India e Primo Patriarca del CH’AN in Cina; Incontrò l’Imperatore della Cina del Sud, che pur essendo un devoto patrono del Buddhismo, non lo comprese. Allora se ne andò al Nord, dimorando solitario nel Tempio Shaolin, in attesa di un degno successore. Chiamato familiarmente il “Barbaro dagli occhi Blù”, oppure il “Monaco barbaro che venne dall’Ovest” o anche il “Barbaro dalla barba rossa”.

BODHISATTVA - Un Essere Illuminato; uno che si impegna a rendere gli altri in grado di sviluppare la percezione illuminata. La funzione del Bodhisattva è lo scopo stesso del Buddhismo del Grande Veicolo (Mahayana) in generale, come pure nella Scuola specificatamente Zen. Vedi “The Flower Ornament Scripture”, di Thomas Cleary, Vol. 3°, (Shambala Publications, 1984 - 1987).

BUDDHA - Colui che si è Illuminato, o Risvegliato. Secondo il Buddhismo del Mahayana, tutti gli esseri senzienti sono potenzialmente dei Buddha, cioè illuminati: questa è la loro reale natura. Ecco perché vi sono innumerevoli Buddha del passato, presente e futuro. Vi sono poi le più famose figure simboliche, che sono: Buddha Amitabha : Il Buddha della Vita Infinita o della Luce Infinita, situato nel Paradiso Occidentale, chiamato anche Pura Terra della Beatitudine. Attraverso la fede in Amitabha ed invocandone il nome, i Buddhisti della Terra Pura sperano di rinascere in questo Paradiso ai piedi dello stesso Amitabha, dove la loro ricerca dell’Illuminazione può procedere senza impedimenti e senza le preoccupazioni del nostro mondo di sofferenze. Buddha Shakyamuni, (chiamato anche Siddharta Gautama, il Buddha dell’era attuale, il Buddha storico, da cui ha preso piede il Buddhismo; un principe Indiano della tribù Shakya che abbandonò la sua reggia, raggiunse l’illuminazione dopo strenui sforzi e pose la Ruota del Dharma (cioè l’Insegnamento) come simbolo di verità, dando insegnamenti e girando per l’India nel Quinto secolo a.C. - Buddha Maitreya, Il Buddha del futuro, il Misericordioso, destinato a tornare a nascere sulla terra e presiedere ad una nuova Era di giustizia sociale, prosperità e pace; epicentro delle aspettative millenariane nel Buddhismo popolare Est - Asiatico. Buddha Vairochana, Colui che permette l’Illuminazione a tutti gli esseri dotati di mente dell’Universo; il Buddha che rappresenta la Realtà Assoluta pervadente in tutti gli individui di tutti i mondi; il Centro del Mandala; il Buddha solare. Buddha Primordiale, Il primo Buddha del lontano passato, ai primordi dell’attuale Eone Cosmico; usato per simbolizzare la Mente - di - Buddha, che è oltre lo spazio ed il tempo; la Realtà che è antecedente a tutto ciò che entra nella nostra esperienza.

BUE DI FERRO - Un simbolo per indicare la Realtà Assoluta.

CHAOQI - Vedi Hui - Neng.

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CORPI DEL BUDDHA - È detto che il Buddha abbia tre corpi: il Dharmakaya, o il ‘Corpo di Realtà’, la base di tutti gli esseri, indescrivibile, inconcepibile, al di là di ogni dualità, presente in tutte le cose; tutti i Buddha partecipano all’unico e stesso ‘Dharmakaya’. Il Nirmanakaya, o il ‘Corpo di Forma’, ovvero il corpo della trasformazione magica; le diverse forme fisiche che il Buddha assume per comunicare con e tra gli esseri senzienti dei diversi mondi. Il Sambhogakaya, o il ‘Corpo di Beatitudine’ il corpo di fruizione e ricompensa; la natura di Buddha così come viene sperimentata dai Bodhisattva, per i quali l’azione nel mondo e la realizzazione del Trascendente sono indissolubilmente fuse in un tutt’uno.

CORVO D’ORO - Simbolo del Sole e dello Yang - Vedi YIN - YANG.

DESHAN (781 - 867) - Un maestro Zen classico; noto per gli insegnamenti dati a colpi del suo bastone. Tra l’altro, egli disse: ‘La nostra scuola (lo Zen) non ha bisogno di parole; in realtà non c’è nessuna dottrina che deve essere insegnata!’

DEVA - Esseri celesti della Cosmologia Indiana; gli ‘Dei’ che nelle raffigurazioni Buddhiste vengono ad offrire lodi ed omaggi, ed a gettare fiori paradisiaci all’Illuminato, Onorato dal Mondo.

DHARMA - Tutti i fenomeni dell’Universo sono chiamati dharma: cioè cose, oggetti, eventi, percezioni, pensieri e concetti, nonché la dottrina insegnata. Il Dharma del Buddha (Buddhadharma) è la Verità della Realtà che viene insegnata dagli Illuminati: in questo senso, Dharma significa la ‘Dottrina della Verità’, ‘Il Vero Insegnamento’, o la ‘Vera Realtà’. Il Buddhismo insegna che la vera Realtà è sempre presente e pervade ogni fenomeno specifico; quindi, in definitiva, tutti i dharma sono il Dharma.

DIECI STADI - I Dieci Bhumi o Livelli del Bodhisattva; Descritti nel Sutra dell’Ornamento Fiorito (Avatamsaka o Sutra HwaYen).

EONE VUOTO - Nella Cosmologia classica Indiana, qualsiasi sistema di mondi si muove da un’Era di Vacuità verso Ere di Creazione, Permanenza e Distruzione, simbolizzate da Brahma, Vishnù e Shiva.In seguito, si riforma un altro Eone Vuoto, composto da un ‘Assoluto Nulla’ e altri cicli di Ere di esistenza. Nello Zen, la frase ‘Prima dell’Eone Vuoto’, significa ‘prima dell’esistenza di questo Universo, a livello della Mente Cosmica.

ESPEDIENTI o MEZZI ABILI - L’Insegnamento del Buddhadharma è adeguato ed adattato alla mentalità di coloro ai quali questo insegnamentoi è stato indirizzato; pertanto differenti verità sono pertinenti agli apprendisti di differenti livelli; ogni specifica formulazione del Dharma è, quindi, proprio un provvisorio ‘espediente’ per comunicare il Dharma in contesti specifici: gli insegnamenti Buddhisti non sono Dogmi dottrinali, ma ‘mezzi abili’, strategie e dispositivi, strumenti e metodi per guidare e condurre le menti verso la Realtà.

FIGLIO DEL CIELO - L’Imperatore della Cina, nel suo ruolo di intercessore tra il Cielo ed il mondo degli umani.

FIORE DI PESCO PRIMAVERILE - Utopìa o Idealismo magico, raggiunto da pochi fortunati viaggiatori; una originale terra di solitaria bellezza e semplicità. Descritta in un famoso poema da Tao Yuan Ming.

GRANDE PACE (Taiping) - Classico termine Cinese per definire l’Utopìa, cioè una Società basata sul Tao, in cui vi è una libera circolazione di beni materiali e vicendevole rispetto tra gli esseri, i cui differenti livelli di manifestazione favoriscono armonia, libera intercomunicabilità e compenetrazione mentale. Nel Buddhismo, è usata come simbolo di ricchezza dell’esperienza e dell’azione creativa delle persone illuminate, quando fanno ritorno nel mondo.

GRANDE VEICOLO - Il Mahayana. Vedi ‘VEICOLI’.

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GUANYIN - (o Kuan Yin) –Letteralm. ‘Il Bodhisattva che Ascolta i Lamenti del Mondo’, cioè il Bodhisattva della Grande Compassione, ovverosia Avalokitesvara in Sanscrito. Egli dà ascolto ai lamenti di dolore ed alle richieste di aiuto degli esseri ignoranti; l’incarnazione della Compassione, fornito di mille braccia e mille occhi, a cui possono rivolgersi le persone per le loro preoccupazioni. Nell’Asia Orientale, l’iconografia di questo grande Bodhisattva è spesso dipinta nell’aspetto femminile.

HUI-NENG (m.714 d.C.) - Il Sesto Patriarca del Ch’an, lo Zen Cinese. Conosciuto anche come Chaoqi, che è il nome della sua residenza, oppure con l’epiteto Lù, cioè ‘l’operaio’. Secondo la tradizione, egli era un illetterato taglialegna che si illuminò quando gli accadde di ascoltare la recita del Sutra del Diamante, in una piazza di un mercato. Segretamente, ricevette poi la Trasmissione del Dharma da parte del Quinto Patriarca, dopo aver lavorato come cuoco ed umile operaio nel monastero Zen di quest’ultimo. Il Quinto Patriarca Hung - jen, per non scatenare la gelosia degli altri eventuali pretendenti alla sua eredità spirituale, di notte portò Hui - neng nel mezzo di una foresta e gli trasmise la sua ciotola ed il manto del Dharma. Di qui, Hui - neng se ne tornò nel Sud della Cina, andando a dimorare per numerosi anni sulle montagne insieme ad alcuni seguaci, prima di rifare la sua apparizione nel mondo come maestro.

INDRA - Il Re dei Deva e degli esseri celesti.

INTIMITÀ - Nello Zen, ha il significato di apertura alla Verità.

KARMA - Azioni o atti; il Buddhismo insegna che ciò che viene sperimentato è il risultato delle azioni passate; un altro significato che si dà al karma è un valore di ricompensa, che può essere favorevole per le buone azioni e sfavorevole per le azioni cattive compiute in precedenza.

KASHYAPA - o Mahakashyapa; nella prima Trasmissione dello Zen, il Buddha Shakyamuni sollevò un fiore davanti all’Assemblea radunata sul Picco dello Spirito; Kashyapa, uno dei Bodhisattva presenti, ebbe un lieve sorriso, facendo così intendere di aver capito il gesto e l’intenzione del Buddha. Di conseguenza, il Buddha dette in consegna l’occhio del perfetto e corretto Insegnamento proprio a Kashyapa, il quale è appunto ritenuto il Primo Patriarca della Scuola Dhyana (Ch’an = Zen).

LEPRE DI GIADA - Simbolo della Luna o dello Yin; (vedi YIN - YANG).

LÌ (Verità Interiore) - O anche ‘Sentiero Interiore’. Intima familiarizzazione che fa conoscere le cose e gli avvenimenti con cui si viene in contatto. (vedi Intimità).

LIN-CHI ( o anche Linji, m. 867 d.C.) - Maestro della scuola Ch’an, capostipite della scuola Linchi (giapp.Rinzai). i suoi detti, riportati fino a noi, sono un modello del precoce modernismo dei discorsi Zen. Famoso per le sue urla nei confronti dei discepoli, lanciate allo scopo di interrompere la continuità del flusso di pensieri illusori a cui essi erano sottoposti.

LUNA - Rotonda e solitaria, è il simbolo della Mente Unica. Senza mai abbandonare il cielo, la Luna si riflette negli innumerevoli specchi d’acqua, nei fiumi, ruscelli, laghi ed oceani; proprio come la Realtà Unica che, senza mai muoversi o cambiare di posto, pervade tutte le esperienze particolari ed individuali degli esseri, nonché tutti i singoli eventi.

MANJUSHRI - Bodhisattva che rappresenta la Saggezza Trascendente; (vedi Prajna).

MENTE - Termine assai usato nello Zen (Cinese, Hsin; Giapp. Shin; Coreano, Shim). Esso è dotato di due significati specifici: 1) la Mente di Base, o Fondamentale, cioè la Mente Unica, che è la base dell’Essere, la Mente di Buddha, la Mente nella sua Natura Originaria, così com’è, vale a dire la base ontologica onnipervadente di tutti gli esseri viventi e di tutti I fenomeni dell’Universo. 2) la falsa e illusoria mente individuale, la mente ordinaria dominata da condizionamenti, desideri, avversioni,

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ignoranza e dal falso senso di sé; la mente dell’illusione - delusione, da cui sorgono tutti gli stati mentali individuali, le attitudini personali ed i momenti mentali di esperienza.

METODO REALE - (vedi Re Primordiali).

MONACI CENCIOSI (o Malvestiti) - Epiteto per i monaci Zen che, similmente ai Sufi, fanno delle loro tonache cenciose e rattoppate, il simbolo della loro austerità.

NAGA - Sorta di Serpenti e Draghi della terra e delle acque, reputati guardiani della conoscenza esoterica.

NASCITA e MORTE - Vedi SAMSARA.

NIRVANA - Estinzione nella pace più completa; la fine del ciclo delle nascite e morti; la liberazione dalla sofferenza. Per i Bodhisattva il Nirvana non viene sperimentato al di fuori del mondo in cui si è nati; nel Buddhismo Mahayana (Grande Veicolo), essere attaccati al Nirvana viene considerato segno di appartenenza ancora ad un veicolo inferiore.

OBBLIGO - L’unico vero obbligo che, secondo gli insegnamenti Buddhisti, deve essere portato a compimento, è l’apprendimento della Verità per mezzo dell’Insegnamento della Verità, senza venir compromesso dai sentimenti e dai coinvolgimenti emotivi.

OCCHIO - L’Occhio dell’Insegnamento, l’Occhio della Saggezza, l’Occhio dell’Illuminazione, il Terzo Occhio (della fronte); è quell’occhio ( o quella ‘vista’) che vede la Realtà assoluta e la discerne in modo reale, anche tra i differenziati fenomeni mondani.

ONORATO DAL MONDO - Epiteto di Buddha Skakyamuni.

PATRIARCA - Termine rispettoso, usato nella scuola Zen nei riguardi degli antichi maestri classici della Tradizione Dhyana.

PICCO dello SPIRITO - Luogo ove avvenne la prima Trasmissione dello Zen (Primo giro della Ruota del Dharma).

PRAJNA - “Saggezza Trascendentale”, Consapevolezza diretta non - concettuale. Nello Zen si dice che la Prajna è come una grande palla di fuoco: da qualunque parte la si avvicini, si vedrà sempre un lato che brucia; oppure è come un laghetto di acqua chiara, a cui si può accedere da qualunque lato; si dice che così come una farfallina può posarsi ovunque - meno che tra le fiamme di un fuoco, cosippure la mente condizionata può attaccarsi ad ogni cosa, meno che alla Prajna.

QUELLO (QUEL LUOGO) - “L’Assoluto”, La Realtà Immanente o Trascendente, il Dharmakaya del Buddha, la Mente - di - Buddha, la Natura Ultima, la Vera Quiddità, Talità o Sicceità. In breve, l’Altra Sponda’ raggiunta dagli Illuminati.

QUESTO (Questo Luogo) - Il mondo relativo, il mondo fenomenico, samsarico o della causalità interdipendente, in cui i fenomeni temporali si condizionano l’un l’altro, sotto forma di causa ed effetto; la dimora dell’Impermanenza, della sofferenza e della falsa identificazione.

QUIDDITÀ - (o Sicceità, o Talità) la Realtà così com’è in se stessa, una fusione del noumeno (spirituale) e del fenomenico (materiale), dell’Assoluto e del relativo. In Sanscrito: Tathata.

RE PRIMORDIALI - Riferimento Confuciano ad un Governo giusto e creativo, come quello dei Re Yao e Shun, i saggi Re dell’Antichità, che governarono in accordo al Sentiero (il Tao) ed al suo importantissimo potere, realizzando grandi imprese politiche, unitamente ad una forza morale che, civilizzando le linee di condotta, fu la ragione del loro essere altruisti ed in accordo con i bisogni del loro tempo.

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RUGGITO DEL LEONE - Simbolo della reazione di Colui che ha raggiunto l’Illuminazione, cioè un Ruggito di impavidità e trionfo.

SAMADHI - Concentrazione meditativa stabilizzata; stato raggiunto da alcuni praticanti Buddhisti. Gli Adepti sperimentano continuamente innumerevoli stati samadhici.

SAMANTABHADRA - Il Bodhisattva ‘Universalmente Buono e Perfetto’, che rappresenta le buone opere di tutti i Bodhisattva di tutti gli universi cosmici e di tutti i tempi, per la salvezza di tutti gli esseri senzienti (cioè dotati di mente).

SAMSARA - L’opposto del Nirvana, il Ciclo di Nascite e morti, ed anche il Ciclo di vita degli esseri senzienti, nel loro ordinario stato di ignoranza (Avidyà). Questo triste stato è contraddistinto dalle percezioni condizionate e da un falso ed erroneo ‘senso di sé’ (ahamkara) in contrapposizione agli ‘altri’, ed anche da impermanenza, sofferenza e da una ipotetica e presunta identità stabilizzata. Nelle forme più elementari di Buddhismo, la mèta che si desidera raggiungere è rappresentata proprio dal primo principio, vale a dire ‘fuggire dal Samsara’ (nisharana).

SOLE BIANCO - Termine che sta ad indicare che, dopo l’Illuminazione, la Mente - di - Buddha è evidente e totalmente illuminante, come il Sole in un cielo limpido e chiaro.

SUMERU - Nella Cosmologia Indiana, è la Montagna Polare al centro del mondo; è circondata dai Quattro Oceani e dai Quattro Continenti. Nello Zen, si usa spesso il termine Sumeru per indicare l’intero mondo fenomenico.

TAO (o Dao) - “Il Sentiero”, la Via, nella filosofia classica Cinese. Termine per indicare il Sentiero Interiore della Realtà, che fornisce l’orientamento morale appropriato per se stessi e per l’intera società. Nel linguaggio Buddhista, è usato come sinonimo del Sentiero per l’Illuminazione.

TATHAGATA - Epiteto di ‘Colui che è Arrivato alla Tathata’ (Quiddità o Talità) o anche di ‘Colui che è Venuto dalla Tathata’, vale a dire un Buddha. Con la lettera maiuscola è riferito al Buddha Shakyamuni.

VEICOLI - Gli Insegnamenti Buddhisti sono paragonati a veicoli che servono per trasportare gli esseri senzienti dalla Illusione alla Illuminazione. Tutti i metodi dello Zen possono essere chiamati ‘Veicoli della Scuola Zen’, o forse anche ‘Il Veicolo Supremo’. Nella visione Zen, i veicoli inferiori sono quelli che le persone affrontano per cercare la salvezza personale, per mezzo della fuga dal mondo della sofferenza. L’ideale del Grande Veicolo (Mahayana) e della Scuola Zen è il Bodhisattva, cioè l’essere illuminato che opera per la salvezza universale.

VENTO PURO - Il vento puro e sottile è il simbolo della onnipervadente, incessante presenza dell’influenza illuminata della Realtà; quindi è un simbolo per la tradizione dell’Insegnamento che promuove la Consapevolezza Illuminata.

VIMALAKIRTI - Un laico Illuminato, il cui nome significa ‘Puro Nome’ o ‘Pura Fama’; è il personaggio centrale di un popolare Sutra Cinese, prototipo del Bodhisattva laico (upasaka) che unisce insieme la Saggezza Trascendente (Prajna) con la vita nel mondo ordinario.

VOLPE SELVATICA - La volpe selvatica, frivola, ingegnosa e guardinga, è il simbolo della facoltà razionale e raziocinante della mente umana che tenta di rendere concettuale la Saggezza e, di conseguenza, la oscura totalmente.

YIN - YANG - Questi due termini hanno diverse applicazioni associate nel pensiero tradizionale Cinese; ad esempio:

lo Yin è ciò che è scuro, flessibile, gentile, ricettivo;

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lo Yang è ciò che è chiaro, fermo, duro e attivo.

Le persone Zen hanno talvolta preso a prestito questi termini dalla terminologia dell’Alchimia spirituale Taoista, dando loro i seguenti significati:

lo Yin, come la falsità, il corpo, il desiderio, l’ignoranza, la mente umana.

Lo Yang, come la verità, la Mente - di - Buddha, la Ragione pura, l’Illuminazione, La Mente del Tao.

Ciascun termine può avere, a sua volta, un senso doppio:

lo Yin yin, cioè falso, è il mondano, la mente condizionata;

lo Yin yang, cioè vero, la quiete, la vacuità, la ricettività positiva.

Lo Yang yang, cioè vero, la Mente Inerente del Buddha, la Reale Coscienza Originaria e Primordiale.

Lo Yang yin, cioè falso, l’impetuoso e distorto indirizzo della Pura Energia.

(Vedi “The Taoist I - Ching” di Thomas Cleary, Shambala Publ. 1986).

YUN-MEN (m. 949 d.C.) - Classico Insegnante e maestro Zen Cinese, la cui scuola durò per quattro secoli, riuscendo a preservare una abbondante letteratura Zen; celebre per gli impressionanti, singolari detti meditativi (kung - an= koan), di cui alcuni sono: ‘Prendi il Cielo e la Terra e mettili sulle tue sopracciglia!’, oppure ‘Qual è quel discorso che viene prima dei Buddha e dei Patriarchi? Una torta!’, o anche ‘Quali furono gli Insegnamenti della vita del Buddha? Sentenze adeguate!’

ZHAO-ZHOU (Chao-Chou, 778 - 897) Classico maestro Ch’an Cinese, famoso anch’egli per i suoi detti e le sue risposte stringate. Ad un monaco che gli aveva domandato se un cane avesse anch’esso la Natura - di - Buddha, egli rispose con un laconico ‘No!’.

Finito di compilare il 28/02/2003, Roma

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