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Iva e indirette
L’indicazione nel modello Iva 2020 dei servizi resi in edilizia assoggettati a reverse charge
di Edoardo Monaco 2
Irpef-Ires
Il punto sulla deducibilità dell’Imu per imprese e professionisti dopo la Legge di Bilancio
2020
di Sandro Cerato 15
Società immobiliari
Le società immobiliari di comodo: fattispecie, cause di esclusione e cause di
disapplicazione automatica
di Alessandro Biasioli 28
Privati
Bonus facciate e i chiarimenti della circolare n. 2/E/2020
di Sandro Cerato 39
Legale
Il comodato d’uso dell’immobile destinato a casa familiare: la disciplina della restituzione
al comodante
di Alessandro Biasioli 54
Catasto
Agevolazioni prima casa. Solidarietà passiva del venditore
di Luigi Cenicola 62
Tributi minori
La disciplina del ravvedimento operoso Imu alla luce delle ultime novità – Parte seconda
di Fabio Garrini 70
Accertamento
È legittima la cessione di un terreno a un valore inferiore a quello periziato
di Gianfranco Antico 81
Osservatorio 91
1 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Iva e indirette
2 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Consulenza immobiliare n. 24/2020
L’indicazione nel modello Iva 2020 dei
servizi resi in edilizia assoggettati a
reverse charge di Edoardo Monaco – esperto fiscale
Premessa
L’articolo 1, commi 629 e 631, L. 190/2014, ha disposto l’estensione del meccanismo di assolvimento
dell’Iva – mediante l’istituto dell’inversione contabile (c.d. “reverse charge”) - alle “prestazioni di servizi
di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative a edifici”, di cui all’articolo
17, comma 6, lettera a-ter), D.P.R. 633/1972.
L’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile alle citate prestazioni:
− riguarda alcune attività relative al comparto edile (prestazioni di demolizione, installazione di
impianti e completamento di edifici) già interessate dal “reverse charge” negli appalti in edilizia
di cui all’articolo 17, comma 6, lettera a), D.P.R. 633/1972;
− interessa nuovi settori collegati, ancorché non rientranti nel comparto edile propriamente
inteso, come i servizi di pulizia relativi a edifici;
− risulta oggettivamente contiguo e complementare rispetto alla previsione di cui alla lettera a)
del medesimo comma 6 (“reverse charge” in edilizia), ma se ne differenzia sotto molteplici aspetti.
Ambito soggettivo
Per individuare correttamente le prestazioni interessate dalla disciplina del “reverse charge” di cui
all’articolo 17, comma 6, lettera a-ter), D.P.R. 633/1972, occorre fare riferimento unicamente ai codici
attività della Tabella ATECO 2007.
Tale criterio – che ha rilevanza esclusivamente oggettiva – deve essere assunto al fine di
individuare le prestazioni di pulizia, demolizione, installazione di impianti e completamento
relative a edifici, mentre non può essere adottato in senso soggettivo. Ciò sta a significare che, i
soggetti passivi che prestano i servizi in argomento sono tenuti ad applicare il regime
Iva e indirette
3 Consulenza immobiliare n. 24/2020
dell’inversione contabile indipendentemente dalla circostanza che si tratti di prestatori che
operano nel settore edile, ovvero che svolgono un’attività economica compresa nei codici della
sezione F della classificazione delle attività economiche Ateco (circolare n. 14/E/2015)1.
Servizio Codice
Ateco
Descrizione
Prestazioni di
servizi di pulizia
relative a edifici
43.39 Pulizia di nuovi edifici dopo la costruzione (trattasi di altri lavori di
completamento e rifinitura)
43.99.01 Pulizia a vapore, sabbiatura e attività simili per pareti esterne di edifici
81.21.00 Pulizia generale e non specializzata di edifici
81.22.02 Altre attività di pulizia specializzata di edifici (esclusa e l’attività di pulizia di
impianti e macchinari)
81.29.10 Servizi di disinfestazione con esclusivo riferimento a edifici
Prestazioni di
servizi di
demolizione
relative a edifici
43.11.00 Demolizione con esclusione della demolizione di altre strutture
Prestazione di
installazione di
impianti relative a
edifici
43.21.01 Installazione di impianti elettrici in edifici o in altre opere di costruzione, ivi
inclusa la manutenzione e riparazione di impianti già esistenti
43.21.02 Installazione di impianti elettronici, inclusa la manutenzione e riparazione di
impianti elettronici già esistenti
43.22.01
Installazione di impianti idraulici, di riscaldamento e di condizionamento
dell’aria (inclusa manutenzione e riparazione) in edifici o in altre opere di
costruzione
43.22.02 Installazione di impianti per la distribuzione del gas, ivi inclusa la
manutenzione e riparazione di impianti già esistenti
43.22.03 Installazione di impianti di spegnimento antincendio (inclusi quelli integrati),
nonché la manutenzione e riparazione di impianti già esistenti
43.22.04
Installazione di impianti di depurazione per piscine (inclusa manutenzione e
riparazione), qualora la piscina dovesse essere considerata edificio o parte di
esso
43.22.05
Installazione di impianti di irrigazione per giardini (inclusa manutenzione e
riparazione), qualora il giardino dovesse essere considerato edificio o parte di
esso
43.29.01 Installazione, riparazione e manutenzione di ascensori e scale mobili
43.29.02 Lavori di isolamento termico, acustico o antivibrazioni
43.29.09 Altri lavori di costruzione e installazione, se riferite a edifici
43.31.00 Intonacatura e stuccatura
1 Nella particolare ipotesi in cui il prestatore del servizio svolga sistematicamente attività ricomprese nelle classificazioni Ateco relative alle
prestazioni in argomento (pulizia, demolizione, installazione di impianti e completamento relative a edifici), le prestazioni in parola dovranno
essere assoggettate al meccanismo dell’inversione contabile, a nulla importando che tali attività non siano state indicate nella dichiarazione
di inizio attività, a norma dell’articolo 35, comma 3, D.P.R. 633/1972, salvo l’obbligo del prestatore del servizio di procedere all’adeguamento
del codice Ateco (risoluzione n. 172/E/2007).
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4 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Prestazioni di
completamento
relative a edifici
43.32.01 Posa in opera di casseforti, forzieri, porte blindate
43.32.02 Posa in opera di infissi, arredi, controsoffitti, pareti mobili e simili
43.33.00 Rivestimento di pavimenti e di muri
43.34.00 Tinteggiatura e posa in opera di vetri
43.39.01 Attività non specializzate di lavori edili – muratori
43.39.09 Altri lavori di completamento e di finitura degli edifici
Chiarimenti dell’Agenzia delle entrate
Il regime previsto dall’articolo 17, comma 6, lettera a-ter), D.P.R. 633/1972 – che si affianca (e non si
sostituisce) al regime del “reverse charge” di cui all’articolo 17, comma 6, lettera a), D.P.R. 633/1972
(prestazioni rese dai subappaltatori edili) – è stato oggetto nel recente passato di importanti chiarimenti
da parte dell’Agenzia delle entrate (circolari n. 14/E/2015 e n. 37/E/2015). Di seguito, in forma tabellare,
le principali precisazioni contenute nei citati documenti di prassi, in relazione alle diverse casistiche
esaminate.
Fattispecie Tipologia di prestazione “Reverse charge”
Distinzione tra fornitura
con posa in opera e
prestazioni di servizi
Fornitura con posa in opera finalizzata alla cessione del bene No
Posa in opera senza fornitura di beni Sì
“Reverse charge” e beni
significativi
Fornitura con installazione di beni significativi a favore di
privati
No
Fornitura con installazione di beni significativi resa nei
confronti dell’appaltatore o del prestatore d’opera (soggetti
passivi di imposta)
Sì
Pluralità di prestazioni
contenute in un unico
contratto
Frazionamento e accorpamento di unità immobiliare con
installazione di impianti
No
Demolizione e realizzazione di una nuova costruzione nel
contesto di un unico contratto di appalto
No
Prestazioni su edifici
Prestazioni di servizi di pulizia, demolizione, installazione di
impianti e completamento aventi a oggetto un parcheggio sito
all’esterno all’edifico
No
Prestazioni di servizi di pulizia, demolizione, installazione di
impianti e completamento aventi a oggetto un parcheggio
interrato
Sì
Prestazioni di servizi di pulizia, demolizione, installazione di
impianti e completamento aventi a oggetto un parcheggio
ubicato sul lastrico solare
Sì
Installazione di impianti
posizionati in parte
Installazione (e manutenzione) di impianto di
videosorveglianza perimetrale, gestito da centralina posta
all’interno dell’edificio e telecamere esterne, laddove gli
Sì
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5 Consulenza immobiliare n. 24/2020
internamente e in parte
esternamente all’edificio
elementi esterni (ad esempio telecamera) sono
necessariamente collocati all’esterno dell’edificio per motivi
funzionali e tecnici
Installazione (e manutenzione) di impianto citofonico che
necessita di apparecchiature da collocare all’esterno
dell’edificio
Sì
Installazione (e manutenzione) di impianto di climatizzazione,
con motore esterno collegato agli split all’interno dell’edificio
Sì
Installazione (e manutenzione) di impianto idraulico di un
edificio, ivi comprese le tubazioni esterne che collegano
l’impianto all’interno dell’edificio alla rete fognaria (D.M.
37/2008)
Sì
Installazione di impianti
funzionali allo
svolgimento di un’attività
industriale e non al
funzionamento
dell’edificio
Installazione (e manutenzione) di impianti industriali No
Installazione (e manutenzione) di impianti di refrigerazione a
uso industriale
No
Servizi di pulizia
Pulizia generale e non specializzata di edifici (codice Ateco
81.21.00)
Sì
Altre attività di pulizia specializzata di edifici, esclusa l’attività
di pulizia di impianti e macchinari (codice Ateco 81.22.02)
Sì
Attività di derattizzazione (codice Ateco 81.29.10) No
Attività di spurgo delle fosse biologiche, dei tombini (codice
Ateco 37.00.00)
No
Attività di rimozione della neve (codice Ateco 81.29.91) No
Impianti fotovoltaici
Installazione di impianti fotovoltaici integrati o semi–integrati
funzionali ad edifici
Sì
Installazione di impianti fotovoltaici integrati o semi –
integrati a edifici, se accatastati autonomamente (categoria D1
o D/10)
No
Installazione di impianti fotovoltaici a terra funzionali o
serventi a edificio
Sì
Installazione impianti fotovoltaici a terra funzionali o serventi
a edificio, se accatastati autonomamente (categoria D/1 o
D/10)
No
Installazione e
manutenzione degli
impianti antincendio
Installazione e manutenzione di estintori parte integrante di
impianto di protezione attiva (D.M. 20 dicembre 2012)
Sì
Installazione e manutenzione porte tagliafuoco e uscite di
sicurezza
Sì
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6 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Installazione e manutenzione di estintori carrellati ed estintori
portatili
No
Sostituzione delle
componenti di un
impianto
Sostituzione di componenti di un impianto relativo a un edifico
(volontà delle parti è la riparazione e/o ammodernamento
dell’impianto)
Sì
Sostituzione componenti di un impianto relativo a un edifico
(volontà delle parti è la realizzazione di un nuovo impianto)
Sì
Sostituzione componenti di un impianto relativo a un edificio
(volontà delle parti è la mera fornitura di un bene)
No
Sostituzione di componenti di un impianto relativo a un edifico
(volontà delle parti è il mantenimento in funzione
dell’impianto)
Sì
Attività di manutenzione
e riparazione di impianti
Attività di manutenzione e riparazione di impianti relativi a
edifici
Sì
Attività di manutenzione e riparazione di impianti non relativi
a edifici (ad esempio impianti industriali)
No
Diritti fissi di chiamata e
interventi di
manutenzione con
canone di abbonamento
Diritto di chiamata funzionale alla verifica di un impianto
(indipendentemente dall’esecuzione di un intervento di
manutenzione)
Sì
Interventi di manutenzione con canone di abbonamento
periodico (indipendentemente dall’esecuzione di un intervento
di manutenzione)
Sì
Trattamento da riservare
all’allacciamento e
all’attivazione dei servizi
di erogazione di gas,
energia elettrica e acqua
Servizi di allacciamento per la fornitura di gas, energia elettrica
e acqua
No
Servizio di attivazione per l’avvio dell’alimentazione di gas,
energia elettrica e acqua
No
Prestazioni rese da
soggetti terzi
Installazione di impianti relativi a edifici prestato da un
soggetto terzo al fornitore dei beni
Sì
Installazione di impianti relativi a edifici prestate da un
soggetto terzo al committente (soggetto passivo)
Sì
Operazioni non
imponibili
Servizi di pulizia di edifici siti nei porti, aeroporti e scali
ferroviari di confine
No
Servizi di installazione di impianti (e/o manutenzione degli
stessi) su edifici siti nei porti, aeroporti e scali ferroviari di
confine
No
Con la risposta all’interrogazione parlamentare n. 5-08065/2016, è stato altresì chiarito che
l’applicazione del “reverse charge” nell’ambito dei servizi nel settore edile interessa anche
Iva e indirette
7 Consulenza immobiliare n. 24/2020
l’impresa che effettua lavori di opere murarie nell’ambito dell’ampliamento di un edificio,
trattandosi di lavori riconducibili alle prestazioni per il completamento relative a edifici2.
Adempimenti amministrativi e contabili
Da un punto di vista prettamente operativo, anche le prestazioni di servizi edili in argomento (pulizia,
demolizione, installazione di impianti e completamento relative a edifici), rese a norma dell’articolo 17,
comma 6, lettera a-ter), D.P.R. 633/1972, sono soggette all’applicazione dell’imposta secondo il
meccanismo dell’inversione contabile che, in deroga alle regole ordinarie del sistema dell’Iva, individua
quale debitore d’imposta il cessionario o committente dell’operazione. L’utilizzo del reverse charge è
finalizzato sostanzialmente a contrastare i numerosi fenomeni evasivi nel sistema Iva, poiché l’imposta
è versata all’Erario direttamente dal soggetto che detrae la stessa, piuttosto che dal cedente o dal
prestatore che potrebbe divenire sconosciuto al Fisco dopo aver incassato il tributo dal committente o
cessionario3.
In base a tale meccanismo, l’imposta viene assolta dal cessionario o committente (soggetto
passivo Iva), previa integrazione della fattura ricevuta (con l’indicazione dell’imposta dovuta),
ovvero mediante l’emissione di un’autofattura. Sempre il cessionario o committente sarà poi
tenuto a registrare l’operazione sia nel registro Iva acquisti sia nel registro Iva vendite.
Fatturazione elettronica e reverse charge
A decorrere dal 1° gennaio 2019, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate tra soggetti
residenti o stabiliti in Italia (ove soggette a fatturazione) sono documentate obbligatoriamente
mediante fattura elettronica in formato XML, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, D.Lgs. 127/2015, la quale
deve essere trasmessa al Sistema di Interscambio (SdI).
Per gli acquisti interni soggetti a reverse charge, l’integrazione della fattura ricevuta può avvenire,
facoltativamente, mediante la predisposizione di un altro documento da allegare al file della fattura in
questione, contenente sia i dati per l’integrazione, sia gli estremi della stessa.
2 Secondo quanto sostenuto dagli onorevoli interroganti, e confermato dall’Amministrazione finanziaria, se si effettuano solo parti specifiche
del processo di costruzione, i lavori di opere murarie vanno ricondotti al codice Ateco 2007 43.39.01 ("Attività non specializzate di lavori edili")
che comprende anche "Altri lavori di costruzione e installazione n.c.a." e non al codice 41.2 "Costruzione di edifici residenziali e non residenziali". 3 Resta naturalmente inteso che, per poter applicare il reverse charge è necessario che il cessionario e/o il committente sia/siano un soggetto
Iva. Diversamente, qualora il committente sia un privato, l’imposta sarà dovuta dal cedente o prestatore secondo i criteri ordinari.
Iva e indirette
8 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Tale documento può essere inviato al SdI e, in caso di utilizzo del servizio di conservazione
gratuito, lo stesso verrà portato automaticamente in conservazione.
Con il recente provvedimento direttoriale n. 99922/2020, oltre ad aver prorogato il termine per
l’adesione al servizio di consultazione delle fatture elettroniche4, l’Agenzia delle entrate ha approvato
le nuove specifiche tecniche per la predisposizione delle fatture elettroniche e delle note di variazione
mediante SdI. In particolare, grazie all’inserimento di nuove codifiche riferite al “Tipo Documento” e alla
“Natura”, le nuove specifiche tecniche indicate dal citato provvedimento consentono di ottenere un
maggiore grado di dettaglio dell’operazione certificata e una più puntuale rispondenza con la normativa
fiscale5.
Con riferimento alle operazioni in reverse charge per i servizi di pulizia, demolizione, installazione
di impianti e completamento relative a edifici, si segnala:
− l’introduzione di un nuovo codice riferito all’integrazione della fattura (TD16 per il reverse
charge interno);
− una distinzione più puntuale delle operazioni in inversione contabile (N6.7 inversione contabile
– prestazioni comparto edile e settori connessi).
Indicazione nella dichiarazione annuale Iva del cedente o del prestatore
Il cedente o prestatore dovrà riportare, in uno dei campi del rigo VE35 del quadro VE (a seconda della
tipologia di operazione), l’importo delle operazioni rese senza addebito d’imposta nel corso dell’anno
oggetto della dichiarazione, le quali contribuiranno, altresì, alla formazione del volume d’affari del
cedente o del prestatore. In tale rigo (VE35 del quadro VE) confluiscono, infatti, le diverse tipologie di
operazioni soggette al meccanismo dell’inversione contabile, il cui ammontare complessivo andrà
indicato a campo 1.
Più precisamente, le prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e
di completamento relative a edifici (per le quali l’imposta è dovuta dal cessionario) dovranno
essere indicate nel campo 8 del RIGO VE35 del quadro VE.
4 Il servizio resterà utilizzabile, sino al 4 maggio 2020, anche da parte dei soggetti che non abbiano manifestato alcuna scelta, mentre, grazie
al provvedimento direttoriale n. 99922/2020, i consumatori finali che abbiano già aderito servizio di consultazione possono consultare, a
partire dallo scorso 1° marzo 2020, le proprie fatture ricevute. 5 L'introduzione di tali nuove codifiche renderà verosimilmente più precisa la redazione delle dichiarazioni annuali Iva “precompilate” che
saranno messe a disposizione dei soggetti passivi a partire dalle operazioni relative al 2021, così come disposto dall’articolo 4, D.Lgs. 127/2015,
recentemente modificato dall'articolo 16, D.L. 124/2019.
Iva e indirette
9 Consulenza immobiliare n. 24/2020
L’importo indicato a campo 8 del rigo VE35 concorre, poi, alla determinazione del volume d’affari del
soggetto prestatore, riportato nel rigo VE50, ma la relativa imposta non concorre alla determinazione
dell’Iva a debito (nel quadro VL e nel rigo VX1), in quanto la stessa è assolta dal committente.
Indicazione nella dichiarazione annuale Iva del cessionario o committente
Il cessionario o committente che ha ricevuto la fattura – e l’ha integrata con la relativa imposta – deve
rappresentare nella dichiarazione Iva annuale la doppia registrazione effettuata:
− la registrazione effettuata nel registro Iva acquisti trova rappresentazione nel quadro VF, per cui il
soggetto procederà a indicare nei righi da VF1 a VF13 l’imponibile e l’imposta relativi all’operazione,
secondo l’aliquota Iva corrispondente;
− la registrazione effettuata nel registro Iva vendite trova rappresentazione nel quadro VJ, nel rigo
corrispondente alla tipologia di operazione effettuata.
L’annotazione effettuata nel registro Iva vendite per l’operazione di acquisto in reverse charge non
va indicata nel quadro VE (tale quadro accoglie soltanto le operazioni attive che concorrono a
formare il volume d’affari), bensì nel quadro VJ, nell’apposito rigo VJ16.
Iva e indirette
10 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Utilizzo dell’eccedenza detraibile
L’applicazione del meccanismo del reverse charge conduce a un’inevitabile posizione di credito
strutturale dei cedenti o prestatori. Questi ultimi, infatti, a fronte di operazioni attive con emissione di
fatture senza addebito dell’imposta, sostengono acquisti con addebito dell’Iva, e dunque con il relativo
diritto alla detrazione (salvo l’applicazione del pro rata o altre cause di in detraibilità).
Al fine di scongiurare gli effetti finanziari negativi che derivano dal venir meno del diritto di
rivalsa, il contribuente che ha maturato un credito Iva può avvalersi della facoltà di richiedere la
restituzione dello stesso (o il diritto ad utilizzarlo in compensazione) a norma dell’articolo 38-bis,
D.P.R. 633/1972.
In particolare, il credito Iva dell’anno 2019, indicato nel rigo VX2 della dichiarazione Iva 2020 (da
presentarsi entro la fine del prossimo mese di aprile), può essere recuperato dal soggetto passivo
ricorrendo alle modalità sinteticamente descritte nella tabella sottostante.
Possibili utilizzi del credito Iva annuale
Compensazione
verticale
La scelta più semplice per recuperare l’eccedenza annuale detraibile, in presenza di
successive liquidazioni periodiche a debito, è senza dubbio quella della compensazione
“verticale” che, avvenendo direttamente in sede di liquidazione del tributo, consente di
ridurre, in tutto o in parte, il debito Iva (mensile o trimestrale). Peraltro, l’eventuale credito
residuo (non utilizzato nell’ambito delle liquidazioni periodiche) non viene perso, ma può
Iva e indirette
11 Consulenza immobiliare n. 24/2020
essere utilizzato, fino a completo esaurimento dello stesso, nelle liquidazioni periodiche delle
successive annualità6
Compensazione
orizzontale
La compensazione “orizzontale” rappresenta una modalità di recupero dell’eccedenza
detraibile che consente, ai soggetti passivi Iva strutturalmente a credito, di recuperare
l’eccedenza d’imposta mediante la compensazione con posizioni a debito sorte per altri
tributi, mediante Modello F24, entro il limite annuo di 700.000 euro ai sensi dell’articolo 34,
comma 1, L. 388/2000 (elevato a 1.000.000 di euro per i subappaltatori edili, se il volume
d’affari registrato nell’anno precedente sia costituito, per almeno l’80%, da prestazioni rese in
esecuzione di contratti di subappalto). L’eccedenza di Iva detraibile che eccede le predette
soglie (700.000 euro o 1.000.000 di euro per i subappaltatori edili) non è persa, ma può essere
riportata “a nuovo” nell’anno solare successivo, ovvero richiesta a rimborso, al ricorrere dei
requisiti di cui agli articoli 30 e 38-bis, D.P.R. 633/1972
Rimborso Consente di monetizzare il credito annuale Iva, previa presentazione di apposita istanza di
rimborso, purché siano rispettati i requisiti e le condizioni prescritte dall’articolo 30, D.P.R.
633/1972 (presupposti per il rimborso) e dall’articolo 38-bis, D.P.R. 633/1972 (regole per
l’esecuzione del rimborso)
L’opzione per l’una o per l’altra delle suddette modalità di utilizzo dell’eccedenza detraibile non è
esclusiva, nel senso che il contribuente può liberamente decidere quale parte del credito annuale
chiedere a rimborso e quale destinare alla compensazione orizzontale (con altri tributi e contributi) e/o
verticale (con i versamenti Iva mensili o trimestrali o a titolo di acconto).
Così, ad esempio, un soggetto passivo potrà decidere di richiedere a rimborso una parte
dell’eccedenza detraibile e di utilizzare la restante parte in compensazione orizzontale (con altri
tributi e contributi) oppure verticale (con i versamenti Iva mensili o trimestrali o a titolo di
acconto). D’altra parte, l’ammontare di credito Iva da richiedere a rimborso viene indicato nel rigo
VX4 mentre l’ammontare da utilizzare in compensazione nel rigo VX5.
6 È bene precisare che l’istituto della compensazione verticale non è di fatto conveniente per tutti i soggetti passivi Iva che si trovano in una
posizione strutturale di credito Iva. Quindi, non solo per i cedenti e prestatori che effettuano operazioni assoggettate al meccanismo del reverse
charge (interno o esterno), ma anche per coloro che prestano prevalentemente beni e servizi a favore di committenti (P.A. e altre società) in
relazione ai quali trova applicazione il meccanismo dello split paymey, di cui all’articolo 17, D.P.R. 633/1972.
Iva e indirette
12 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Rimborsi Iva in via prioritaria
A favore dei soggetti che effettuano prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di
impianti e di completamento relative a edifici, è altresì prevista, a norma dell’articolo 38-bis, comma
10, D.P.R. 633/1972, la possibilità di ottenere l’esecuzione dei rimborsi Iva in via prioritaria, previa
indicazione del codice 8 (a loro riservato) da indicare nella casella 4 “Contribuenti ammessi all’erogazione
prioritaria del rimborso” presente nel rigo VX4 del modello Iva 2020.
Ai fini dell’erogazione prioritaria del rimborso, l’articolo 2, comma 2, D.M. 22 marzo 2007 richiede
la verifica dei seguenti requisiti:
− esercitare l’attività da almeno 3 anni;
− avere un’eccedenza detraibile, richiesta a rimborso, di importo pari o superiore a 10.000 euro in
caso di rimborso annuale (3.000 euro in caso di rimborso infrannuale);
− possedere un’eccedenza detraibile, richiesta a rimborso, di importo pari o superiore al 10%
dell’importo complessivo dell’imposta assolta sugli acquisti e sulle importazioni effettuati nel
periodo d’imposta a cui si riferisce il rimborso richiesto.
Iva e indirette
13 Consulenza immobiliare n. 24/2020
SCHEDA DI SINTESI
L’articolo 1, commi 629 e 631, L. 190/2014, ha disposto l’estensione del meccanismo di
assolvimento dell’Iva – mediante l’istituto dell’inversione contabile (c.d. reverse charge) – alle
“prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento
relative ad edifici”, di cui all’articolo 17, comma 6, lettera a-ter), D.P.R. 633/1972.
Il regime previsto dall’articolo 17, comma 6, lettera a-ter), D.P.R. 633/1972 – che si affianca (e
non si sostituisce) al regime del reverse charge per le prestazioni rese dai subappaltatori edili
di cui all’articolo 17, comma 6, lettera a), D.P.R. 633/1972 – è stato oggetto nel recente passato
di importanti chiarimenti da parte dell’Agenzia delle entrate (circolari n. 14/E/2015 e n.
37/E/2015).
In base al meccanismo dell’inversione contabile, l’imposta viene assolta dal cessionario o
committente (soggetto passivo Iva) previa integrazione della fattura ricevuta (con l’indicazione
dell’imposta dovuta), ovvero mediante l’emissione di un’autofattura. Sempre il cessionario o
committente sarà poi tenuto a registrare l’operazione sia nel registro Iva acquisti sia nel registro
Iva vendite. Per gli acquisti interni soggetti a reverse charge, l’integrazione della fattura ricevuta
può avvenire, facoltativamente, mediante la predisposizione di un altro documento da allegare
al file della fattura in questione, contenente sia i dati per l’integrazione, sia gli estremi della
stessa.
L’applicazione del meccanismo del reverse charge conduce a un’inevitabile posizione di credito
strutturale dei cedenti o prestatori. Al fine di scongiurare gli effetti finanziari negativi che
derivano dal venir meno del diritto di rivalsa, si riconosce a detti soggetti la possibilità di
scomputare l’eccedenza annuale detraibile dall’imposta a debito emergente dalle liquidazioni
periodiche relative all’anno successivo (compensazione verticale), ovvero di compensare
l’eccedenza detraibile con altre imposte, contributi e altre somme dovute, mediante modello
F24 (compensazione orizzontale).
In alternativa all’utilizzo in compensazione (orizzontale o verticale) dell’eccedenza annuale
detraibile, il contribuente può monetizzare il credito annuale Iva, previa presentazione di
apposita istanza di rimborso, purché siano rispettati i requisiti e le condizioni prescritte
dall’articolo 30, D.P.R. 633/1972 (presupposti per il rimborso) e dell’articolo 38-bis, D.P.R.
633/1972 (regole per l’esecuzione del rimborso). Peraltro, ai soggetti che effettuano in via
Iva e indirette
14 Consulenza immobiliare n. 24/2020
prevalente, nel periodo oggetto della richiesta di rimborso, prestazioni di servizi nel settore
edile in reverse charge, è riconosciuta la possibilità di ottenere il rimborso in via prioritaria del
credito Iva, ai sensi dell’articolo 38-bis, comma 10, D.P.R. 633/1972.
L’opzione per l’una o per l’altra delle suddette modalità di utilizzo dell’eccedenza detraibile
non è esclusiva, nel senso che il contribuente può liberamente decidere quale parte del credito
annuale chiedere a rimborso e quale destinare alla compensazione orizzontale (con altri tributi
e contributi) e/o verticale (con i versamenti Iva mensili o trimestrali o a titolo di acconto).
Irpef-Ires
15 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Consulenza immobiliare n. 24/2020
Il punto sulla deducibilità dell’Imu per
imprese e professionisti dopo la Legge
di Bilancio 2020 di Sandro Cerato – dottore commercialista e pubblicista
Premessa
L’articolo 14, comma 1, D.Lgs. 23/2011, aveva originariamente previsto l’indeducibilità dell’Imu dalle
imposte sui redditi (Ires/Irpef) e dall’Irap. Successivamente, il Legislatore ha introdotto talune
disposizioni normative tese a derogare “gradualmente” a tale regola di indeducibilità (limitatamente
alle imposte sui redditi) per determinate tipologie di immobili (strumentali per natura o destinazione)
posseduti da imprese e professionisti.
Modifiche introdotte dalla Legge di Bilancio 2014
L’articolo 1, comma 715, L. 147/2013, aveva originariamente riconosciuto, a imprese e professionisti, la
possibilità di dedurre dalle imposte sui redditi (d’impresa e di lavoro autonomo), ancorché soltanto in
misura parziale, l’Imu pagata per gli immobili strumentali dagli stessi posseduti o detenuti in locazione
finanziaria. In particolare, attraverso tale intervento normativo, ferma restando l’indeducibilità del
tributo ai fini Irap, è stato sostanzialmente stabilito che l’Imu relativa a tali immobili – a esclusione di
interessi e sanzioni dovute in caso di tardivo pagamento dell’imposta (circolare n. 10/E/2014) - fosse
deducibile dal reddito di impresa e dal reddito di lavoro autonomo nella misura:
− del 30% per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013;
− del 20% a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014.
Percentuale di deducibilità Decorrenza Periodo d’imposta solare
30% Periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013 2013
20% Periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014 e
successivi
2014 e successivi
Irpef-Ires
16 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Modifiche introdotte dalla Legge di Bilancio 2019
L’articolo 1, comma 12, L. 145/2018 (Legge di Bilancio 2019), intervenendo sull’articolo 14, comma 1,
D.Lgs. 23/2011, aveva successivamente fissato al 40% la percentuale di deducibilità dell’Imu dalle
imposte sui redditi (Irpef e Ires) relativa agli immobili strumentali. In assenza di un’espressa
disposizione di decorrenza, la modifica in parola avrebbe dovuto operare dal 1° gennaio 2019.
Percentuale di deducibilità Decorrenza Periodo d’imposta solare
30% Periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013 2013
20% Periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014 e sino
a quello in corso al 31 dicembre 2018.
Dal 2014 al 2018
40% Periodo d’imposta in corso al 1° gennaio 2019 (e
successivi)
Dal 2019 e successivi
Modifiche introdotte dal D.L. 34/2019 convertito
Il D.L. 34/2019 (c.d. “Decreto Crescita”) ha modificato l’illustrato contesto normativo prevedendo,
all’articolo 14, comma 1, D.Lgs. 23/2011, che la percentuale di deducibilità dell’Imu dal reddito
d’impresa e di lavoro autonomo fosse gradualmente incrementata nel seguente modo:
− 50% per il periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018;
− 60% per il periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 e a quello in corso al
31 dicembre 2020;
− 70%, dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2021.
Ferme restando le richiamate percentuali di deducibilità parziale e l’integrale indeducibilità
dell’Imu dalla base imponibile Irap, la L. 58/2019 di conversione del D.L. 34/2019, ha poi disposto
l’integrale deducibilità del tributo a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso
al 31 dicembre 2022.
Percentuale di deducibilità Decorrenza Periodo d’imposta solare
30% Periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013 2013
20% Periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014 e sino
a quello in corso al 31 dicembre 2018
Dal 2014 al 2018
50% Periodo di imposta successivo a quello in corso al 31
dicembre 2018
2019
60% Periodo di imposta successivo a quello in corso al 31
dicembre 2019 e a quello in corso al 31 dicembre 2020
2020 e 2021
70% Periodo di imposta successivo a quello in corso al 31
dicembre 2021
2022
Irpef-Ires
17 Consulenza immobiliare n. 24/2020
100% Periodo di imposta successivo a quello in corso al 31
dicembre 2022 e successivi
2023 e successivi
Modifiche introdotte dalla Legge di Bilancio 2020
La L. 160/2019 (Legge di Bilancio 2020) è intervenuta nuovamente in maniera significativa sulla
deducibilità dell’Imu (dal reddito di impresa e di lavoro autonomo) relativa agli immobili strumentali:
− confermando la deducibilità del tributo al 50%, per il periodo di imposta successivo a quello in corso
al 31 dicembre 2018;
− aumentando progressivamente la percentuale deducibilità a partire dal periodo di imposta successivo
a quello in corso al 31 dicembre 2019 fino a prevederne la deducibilità integrale dal periodo di imposta
successivo a quello in corso al 31 dicembre 2021.
In particolare, l’articolo 1, commi 772 e 773, L. 160/2019, nell’ambito dell’unificazione della disciplina
Imu e Tasi dal periodo di imposta 2020, ha stabilito che la deducibilità Imu dal reddito di impresa e di
lavoro autonomo, in relazione agli immobili strumentali, operi nella misura del:
− 60%, limitatamente ai periodi d’imposta successivi a quelli in corso al 31 dicembre 2019 e al 31
dicembre 2020;
− 100%, a regime, dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2021.
Percentuale di deducibilità Decorrenza Periodo d’imposta solare
30% Periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013 2013
20% Periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014 e sino
a quello in corso al 31 dicembre 2018
Dal 2014 al 2018
50% Periodo di imposta successivo a quello in corso al 31
dicembre 2018.
2019
60% Periodo di imposta successivo a quello in corso al 31
dicembre 2019 e a quello in corso al 31 dicembre 2020
2020 e 2021
100% Periodo di imposta successivo a quello in corso al 31
dicembre 2021 e successivi
2022 e successivi
100% Periodo di imposta successivo a quello in corso al 31
dicembre 2022 e successivi
2023 e successivi
È giusto il caso di precisare che la deduzione in parola, nelle percentuali definite dai diversi
interventi normativi che si sono succeduti nel corso del tempo, opera anche con riferimento:
− all’imposta municipale immobiliare (Imi) della Provincia autonoma di Bolzano, di cui all’articolo
1, comma 508, L. 190/2014;
− all’imposta immobiliare semplice (Imis) della Provincia autonoma di Trento, di cui all’articolo 1,
comma 9-ter, D.L. 4/2015.
Irpef-Ires
18 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Contribuenti interessati dall’agevolazione
La deduzione dell’Imu pagata sugli immobili strumentali interessa i soggetti passivi titolari di reddito
d’impresa o di reddito derivante dall’esercizio di arte o professione, ovvero:
− le società e gli enti commerciali residenti;
− gli enti non commerciali, limitatamente all’Imu pagata sugli immobili relativi all’attività commerciale
esercitata;
− le Snc, Sas ed equiparate e le imprese individuali, familiari o coniugali;
− le persone fisiche, le società e gli enti non residenti che esercitano attività commerciali nel territorio
dello Stato mediante stabili organizzazioni;
− i professionisti e gli studi professionali.
Immobili interessati dall’agevolazione
Per poter dedurre l’Imu dalla base imponibile Ires/Irpef è necessario che tale imposta sia afferente a
fabbricati strumentali, posseduti a titolo di proprietà o di altro diritto reale (usufrutto, uso, abitazione,
enfiteusi e superficie), oppure dati in concessione (beni su aree demaniali) o concessi in locazione
finanziaria (leasing) per i quali, ai sensi dell’articolo 9, comma 1, D.Lgs. 23/2011, l’imposta è dovuta
rispettivamente dal concessionario e dal locatario (o conduttore). Ai fini che qui interessa, si definiscono
immobili strumentali, a norma dell’articolo 43, comma 2, Tuir:
− gli immobili strumentali per natura;
− gli immobili strumentali per destinazione;
− gli immobili strumentali per destinazione pro tempore.
Tipologia Definizione
Immobili
strumentali per
natura
Sono considerati immobili strumentali per natura, gli immobili che, per le loro
caratteristiche, non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni,
anche se tenuti a disposizione ovvero dati in locazione o concessi in comodato a terzi. In
particolare, sono considerati strumentali per natura (risoluzione n. 3/330/E/1989), le unità
immobiliari che risultino classificate o classificabili in Catasto in una delle seguenti
categorie:
- C (unità immobiliari a destinazione ordinaria, commerciale e varia)
- B (unità immobiliari per uso di alloggi collettivi)
- D (immobili a destinazione speciale)
- E (immobili a destinazione particolare)
- A/10 (uffici e studi privati, se la destinazione a ufficio o studio privato risulta dalla
licenza o concessione edilizia, anche in sanatoria)
Irpef-Ires
19 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Immobili
strumentali per
destinazione
Sono strumentali per destinazione gli immobili “utilizzati esclusivamente per l’esercizio
dell’impresa commerciale da parte del possessore”7. Nel contesto di alcuni documenti di
prassi, l’Agenzia delle entrate ha ulteriormente precisato che:
- l’unità immobiliare adibita ad abitazione del custode, annessa a un opificio industriale,
è un immobile strumentale e, per tale ragione, è soggetta ad ammortamento (risoluzione
n. 885/E/1982)
- anche i terreni possono risultare strumentali per destinazione, a condizione che
partecipino a un processo produttivo; questo è il tipico caso, ad esempio, di un terreno
permanentemente adibito dalle imprese edili a deposito di materiale (risoluzione n.
1579/E/1982)
- è esclusa la strumentalità per destinazione degli immobili abitativi locati a terzi,
ritenendoli oggetto dell’attività propria dell’impresa (risoluzione n. 885/1982 e circolare
n. 112/E/1999)
Strumentali pro
tempore
Sono definiti immobili strumentali per destinazione pro tempore, ai sensi dell’articolo 43,
comma 2, ultimo periodo, Tuir, i fabbricati concessi in uso dal datore di lavoro a propri
dipendenti che, per esigenze di lavoro, abbiano trasferito la loro residenza anagrafica nel
Comune in cui prestano la loro attività, per il periodo d’imposta in cui si verifica il
trasferimento e nei 2 periodi successivi
Strumentalità e imprenditori individuali
Con riferimento alle imprese individuali, a norma dell’articolo 65, Tuir, si considerano relativi all’impresa
solo gli immobili strumentali debitamente indicati nel libro degli inventari o nel registro dei beni
ammortizzabili8. Conseguentemente, l’imprenditore non ha diritto alla deduzione dell’Imu pagata in
relazione a un immobile che non sia stato preliminarmente contabilizzato.
Gli immobili detenuti dalle società immobiliari di gestione
Una considerazione è doverosa per quanto attiene gli immobili detenuti dalle società immobiliari di
gestione, vale a dire gli immobili posseduti dalle imprese che si limitano al mero godimento degli stessi,
normalmente concedendoli in locazione a terzi9. Per tali società si pone, infatti, la necessità di
individuare i beni per i quali è ammessa la deducibilità parziale dell’Imu. Se per gli immobili strumentali
7 Rientra nel novero degli immobili strumentali per destinazione l’unità immobiliare destinata a ufficio amministrativo e/o commerciale
accatastata in una delle categorie che contraddistinguono le unità abitative (A/2) e non nella categoria A/10 (nel qual caso di configura la
strumentalità per natura come sopra evidenziato). 8 È giusto il caso di precisare che, ai sensi dell’articolo 13, D.P.R. 435/2001, le imprese minori sono esonerate dall’istituzione e tenuta del
registro dei beni ammortizzabili a condizione che queste siano in grado di fornire i dati ivi contenuti in caso di richiesta pervenuta
dall’Amministrazione finanziaria. Inoltre, a norma dell’articolo 2, comma 1, D.P.R. 695/1996, viene riconosciuta alle imprese minori la
possibilità di indicare nel registro Iva acquisti, le annotazioni che si dovrebbero effettuare nel registro dei beni ammortizzabili. 9 Per le società immobiliari di gestione non è rilevante l’oggetto indicato nello statuto, né il codice attività indicato e neppure la rilevazione
contabile dell’immobile all’atto dell’acquisizione, ma assume rilevanza esclusivamente l’effettività dell’attività esercitata.
Irpef-Ires
20 Consulenza immobiliare n. 24/2020
per natura (anche locati) l’Imu è sempre parzialmente deducibile, per gli immobili abitativi è necessario
distinguere a seconda che gli stessi siano:
− tenuti a disposizione (locati o non locati), in tal caso l’Imu rimane indeducibile dal reddito d’impresa;
− strumentali per destinazione, vale a dire utilizzati direttamente dalla società (ad esempio, quale sede
legale e/o amministrativa), in tal caso l’Imu è deducibile nelle percentuali di deducibilità parziale,
stabilite dai diversi interventi normativi che si sono succeduti nel corso degli anni.
Gli immobili strumentali dei professionisti
Con riferimento ai professionisti si considerano strumentali, invece, gli immobili “utilizzati
esclusivamente per l’esercizio dell’arte o professione” da parte del possessore, indipendentemente dalla
categoria catastale cui i fabbricati appartengono, non esistendo, nell’ambito della disciplina del lavoro
autonomo, la nozione di immobile strumentale per natura.
Come precisato dalla prassi notarile, per gli immobili dei professionisti, a differenza di quelli
relativi all’impresa, non è configurabile la strumentalità “per natura”, ma solo quella “per
destinazione” (Studio del Consiglio Nazionale del Notariato n. 64-2011/T).
Gli immobili strumentali a uso promiscuo
Ai fini della deducibilità dell’Imu, occorre, inoltre, verificare che l’utilizzo del fabbricato strumentale sia
effettuato in via esclusiva per l’esercizio dell’arte o professione o dell’impresa commerciale, non
rilevando le ipotesi di utilizzo promiscuo (circolare n. 10/E/2014). Così, ad esempio, non è deducibile
dal reddito di lavoro autonomo, l’Imu relativa a un immobile di categoria catastale A/2 utilizzato in
parte per finalità professionali e in parte per l’uso personale o familiare del possessore: l’imposta
municipale afferente agli immobili strumentali può, pertanto, essere dedotta dalle imposte sui redditi,
solo se assolta in relazione a un immobile utilizzato esclusivamente per l’attività professionale.
Immobili esclusi dall’agevolazione
Stante l’esplicito riferimento normativo agli immobili strumentali, resta indeducibile dalle imposte sui
redditi, l’Imu pagata dal soggetto passivo relativamente:
− agli immobili patrimonio;
− agli immobili merce.
Irpef-Ires
21 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Definizioni
Immobili
patrimonio
Rientrano nella categoria degli immobili patrimonio, i fabbricati che non sono strumentali
per l’esercizio dell’impresa (per destinazione e/o per natura) e sono diversi da quelli c.d.
merce, come sopra definiti, al cui scambio o produzione è diretta l’attività dell’impresa
Immobili merce Si definiscono immobili merce quelli alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività
di impresa10. Peraltro, nell’ambito degli immobili merce, non rileva la categoria catastale
degli stessi poiché, a prescindere dalla classificazione, mantengono la medesima natura di
beni destinati alla vendita, in quanto oggetto dell’attività propria dell’impresa. A tal fine
non sono nemmeno invocabili le disposizioni in ambito Iva, che distinguono la categoria
dei fabbricati strumentali in relazione alla classificazione catastale, e non in base
all’allocazione contabile degli stessi11
Le agevolazioni Imu per gli immobili merce delle immobiliari di costruzione
L’articolo 1, comma 751, L. 160/2019, è intervenuto sull’agevolazione Imu di cui all’articolo 2, D.L.
102/2013, con la quale era stata disposta, a decorrere dal 1° gennaio 2014, l’esclusione dall’Imu per “i
fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione
e non siano in ogni caso locati”. In particolare, la Legge di Bilancio 2020 ha temporaneamente sospeso
la predetta esenzione dal 1° gennaio 2020 e fino al 31 dicembre 2021, che tornerà in vigore dal 1°
gennaio 2022, previa presentazione della dichiarazione Imu.
La medesima Legge di Bilancio 2020 ha fissato, per gli anni 2020 e 2021, l’aliquota base Imu dei
c.d. “immobili merce” in misura pari allo 0,1%, riconoscendo ai Comuni la facoltà di aumentare
l’aliquota di base fino allo 0,25% o diminuirla fino all’azzeramento12.
Criteri di deducibilità parziale dell’Imu per i titolari di reddito d’impresa
Per i soggetti titolari di reddito di impresa, costituisce costo deducibile dalle imposte sui redditi l’Imu
di competenza di un certo periodo di imposta, a condizione che tale imposta sia pagata dal contribuente,
ai sensi dell’articolo 99, comma 1, Tuir. Secondo l’Agenzia delle entrate, infatti, quest’ultima
disposizione non introdurrebbe:
10 A tal fine, rileva l’oggetto dell’attività dell’impresa che risulta dallo statuto sociale oppure, in subordine, l’oggetto dell’attività effettivamente
svolta. Conseguentemente, costituiscono “immobili merce” i fabbricati costruiti o ristrutturati per la vendita dalle società immobiliari di
costruzione e ristrutturazione, nonché gli immobili (terreni e fabbricati) acquistati per la rivendita dalle società di compravendita immobiliare. 11 Secondo l’articolo 10, n. 8, 8-bis e 8-ter, D.P.R. 633/1972, infatti, le regole di applicazione dell’Iva (imponibilità o esenzione) delle relative
cessioni o locazioni di immobili prescindono dall’iscrizione contabile dei beni, e quindi dal trattamento nell’ambito del reddito d’impresa,
avendo riguardo alla sola classificazione catastale del bene. 12 Secondo l’ANCE, a fronte dell’unificazione tra Imu e Tasi, i fabbricati costruiti dall’impresa edile per la vendita e non locati sono tenuti
esclusivamente all’obbligo di pagare un’aliquota corrispondente alla “vecchia Tasi”, sebbene a titolo di Imu.
Irpef-Ires
22 Consulenza immobiliare n. 24/2020
“ai fini della determinazione del reddito d’impresa un puro criterio di cassa in deroga a quello generale
di competenza dei componenti negativi, ma costituisce una norma di cautela per gli interessi erariali
introducendo un’ulteriore condizione di deducibilità per le imposte che è appunto l’avvenuto
pagamento” (circolare n. 10/E/2014).
Conseguentemente, per i titolari di reddito d’impresa, l’Imu di competenza del periodo di imposta in
corso al 31 dicembre 2019 costituisce un costo deducibile a condizione che l’imposta sia stata pagata
nel medesimo periodo d’imposta. Diversamente, il tardivo versamento nel 2020 dell’Imu relativa al 2019
rappresenta:
− un costo indeducibile nel 2019, in quanto non sussiste, in detto periodo d’imposta, l’ulteriore
condizione del pagamento;
− un costo deducibile nel 2020 (periodo d’imposta in cui è avvenuto il pagamento del tributo) mediante
una variazione in diminuzione da operare nel modello Redditi 2021.
In caso di tardivo versamento, nel 2020, dell’Imu relativa al 2019 (annualità in cui risulta
deducibile in misura pari al 50%), potrebbe sorgere il dubbio circa l’individuazione della corretta
percentuale di deducibilità. Mutuando quanto già chiarito in passato dall’Agenzia delle entrate
(circolare n. 10/E/2014), nella suddetta ipotesi si tratterrebbe di un costo di competenza del 2019
deducibile dal reddito d’impresa (in misura pari al 50%), a nulla rilevando che il pagamento sia
avvenuto nel 2020 (annualità per la quale la percentuale di deducibilità è pari al 60%).
Criteri di deducibilità parziale dell’Imu per i titolari di reddito di lavoro autonomo
Per i soggetti titolari di redditi di lavoro autonomo, in assenza di una specifica disposizione, si applica,
sempre secondo quanto precisato dall’Amministrazione finanziaria, il principio generale di cui
all’articolo 54, comma 1, Tuir, che dispone la deducibilità per cassa dei componenti negativi di reddito
di lavoro autonomo. Ciò sta a significare che l’Imu è deducibile nell’anno in cui avviene il relativo
pagamento, anche se tardivo, e comunque a partire dall’Imu relativa all’anno 2013 (circolare n.
10/E/2014).
La deducibilità parziale dell’Imu e la compilazione del modello Redditi
Nel modello Redditi SC SP e PF 2020 sono previsti appositi campi destinati ad accogliere l’indicazione
della quota dell’Imu deducibile (pari al 50% per il 2019).
Irpef-Ires
23 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Società di capitali
Per le società di capitali:
− l’Imu di competenza del 2019 va indicata tra le variazioni in aumento a rigo RF16 “Imposte indeducibili
o non pagate”;
− la quota deducibile (50%) del 2019 va indicata (quale variazione in diminuzione) a rigo RF55, “Altre
variazioni in diminuzione”, utilizzando il codice “38”.
Per le società di persone in contabilità semplificata
Per le società di persone in contabilità semplificata, la quota deducibile (50%) del 2019 va indicata a
rigo RG22, “Altri componenti negativi”, del modello Redditi SP 2020 utilizzando il codice 23.
Imprese individuali in contabilità semplificata
Anche per le imprese individuali in contabilità semplificata, la quota deducibile (50%) dell’Imu relativa
al periodo d’imposta 2019 va indicata a rigo RG22, “Altri componenti negativi”, utilizzando il codice 23.
Irpef-Ires
24 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Lavoratori autonomi
Per i lavoratori autonomi al rigo RE19 del modello Redditi 2020 PF e del modello Redditi 2020 SP è
presente il campo 3 “IMU”, nel quale occorre evidenziare la quota dell’Imu deducibile versata nel 2019.
La società Beta Srl ha contabilizzato, tra gli oneri diversi di gestione (voce B.14 di Conto economico)
dell’esercizio 2019, un ammontare pari a 3.000 euro a titolo di Imu relativa a un capannone strumentale,
provvedendo al versamento di tale imposta alle ordinarie scadenze. In sede di compilazione di Redditi
SC 2020, la società Beta Srl dovrà indicare nel rigo RF16 l’importo di 3.000 euro pari al 100% dell’Imu
di competenza del periodo 2019.
Nel rigo RF55, tra le variazioni in diminuzione, la società Beta Srl dovrà riportare, invece, l’importo
dell’Imu deducibile di 1.500 euro (pari al 50% dell’imposta municipale versata) indicando il codice 38:
Irpef-Ires
25 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Le modifiche apportate alla disciplina Imu
È giusto il caso di precisare, a conclusione del presente intervento, che la Legge di Bilancio 2020 ha
disposto, a decorrere dal 2020, l’abolizione della Iuc di cui all’articolo 1, comma 639, L. 147/2013, a
eccezione delle disposizioni relative alla tassa sui rifiuti (Tari), riscrivendo integralmente la disciplina
dell’Imu: tale intervento ha, di fatto, sostanzialmente abolito la Tasi (che viene assorbita nell’Imu),
stante il fatto che l’abrogata Iuc si componeva oltre che dell’Imu e della Tari (che rimane confermata),
anche del tributo per i servizi indivisibili (Tasi).
L’assorbimento della disciplina Tasi (nell’ambito di quella Imu) potrebbe, sotto il profilo della
deducibilità delle imposte, penalizzare imprese e professionisti, poiché, fino al 2019, la Tasi
risultava interamente deducibile ai fini delle imposte dirette e dell’Irap, a dispetto di quanto
previsto ai fini Imu, ove è riconosciuta la deducibilità del tributo soltanto in misura parziale (nel
rispetto delle richiamate percentuali) e limitatamente alle imposte sui redditi (Ires/Irpef).
È probabile, quindi, che l’unificazione delle 2 discipline (Imu e Tasi) possa, in via transitoria, determinare
un maggior prelievo fiscale per imprese e professionisti, in ragione del fatto che l’importo che prima
sarebbe stato versato a titolo di Tasi (e come tale interamente deducibile ai fini delle imposte dirette)
lo diverrebbe in misura parziale per il corrente periodo d’imposta e per quello successivo13.
SCHEDA DI SINTESI
La deducibilità dalle imposte sui redditi (Irpef/Ires) dell’Imu relativa agli immobili strumentali
è stata introdotta, nella misura del 30% per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013
e nella misura del 20% dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2014 e sino al periodo
di imposta in corso al 31 dicembre 2018. Per il periodo d’imposta successivo a quello in corso
13 Resta naturalmente inteso che la problematica in discorso si risolverà dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre
2021, essendo prevista, a decorrere da tale periodo, l’integrale deducibilità dell’Imu dalle imposte sui redditi di imprese e professionisti.
Irpef-Ires
26 Consulenza immobiliare n. 24/2020
al 31 dicembre 2018, la deducibilità dell’Imu dal reddito di impresa e di lavoro autonomo è
stata prevista in misura pari al 50%.
La L. 160/2019 (Legge di Bilancio 2020) è intervenuta sulla deduzione, incrementando al 60%
la percentuale di deducibilità del tributo per i periodi d’imposta successivi a quelli in corso al
31 dicembre 2019 e al 31 dicembre 2020, fino a prevederne l’integrale deducibilità a decorrere
dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2021. Resta confermata
l’indeducibilità del tributo ai fini Irap.
L’agevolazione in discorso opera con riferimento ai solo immobili strumentali per natura (quelli
classificati nelle categorie A/10, B, C, D ed E, a prescindere dal loro utilizzo) e per destinazione
(quelli effettivamente ed esclusivamente utilizzati direttamente per lo svolgimento dell’attività
d’impresa, a prescindere dalla categoria catastale), anche pro tempore (concessi
temporaneamente in uso ai dipendenti che trasferiscono la residenza). Con riferimento ai
professionisti si considerano strumentali gli immobili “utilizzati esclusivamente per l’esercizio
dell’arte o professione”, indipendentemente dalla categoria catastale a cui i fabbricati
appartengono.
La deduzione dal reddito d’impresa spetta a condizione che l’imposta, stanziata nel periodo
d’imposta di competenza, sia anche effettivamente pagata in tale anno, pena lo slittamento
della deduzione nel periodo d’imposta in cui avviene la corresponsione del tributo (in quanto
l’articolo 99, Tuir prevede la deduzione per cassa delle imposte). Per i soggetti titolari di reddito
di lavoro autonomo, in assenza di una specifica disposizione, si applica il principio generale
dell’articolo 54, comma 1, Tuir, che dispone la deducibilità per cassa dei componenti negativi
di reddito di lavoro autonomo.
Nel modello Redditi SC SP e PF 2020 sono previsti appositi campi destinati ad accogliere
l’indicazione della quota dell’Imu deducibile che, per il periodo d’imposta cui si riferisce la
dichiarazione (2019) risulta essere pari al 50%.
La Legge di Bilancio 2020 ha disposto, a decorrere dal 2020, l’abolizione della Iuc di cui
all’articolo 1, comma 639, L0 147/2013, a eccezione delle disposizioni relative alla tassa sui
rifiuti (Tari), riscrivendo integralmente la disciplina dell’Imu. L’assorbimento della disciplina
Tasi (nell’ambito di quella Imu) potrebbe, sotto il profilo della deducibilità delle imposte,
penalizzare imprese e professionisti, poiché, fino al 2019, la Tasi risultava interamente
deducibile ai fini delle imposte dirette e Irap, a dispetto di quanto previsto ai fini Imu, ove è
Irpef-Ires
27 Consulenza immobiliare n. 24/2020
riconosciuta la deducibilità del tributo soltanto in misura parziale (nel rispetto delle percentuali
previste) e limitatamente alle imposte sui redditi (Ires/Irpef).
Società immobiliari
28 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Consulenza immobiliare n. 24/2020
Le società immobiliari di comodo:
fattispecie, cause di esclusione e cause
di disapplicazione automatica di Alessandro Biasioli – avvocato
Premessa
Analizzeremo, in questo contributo, quelle situazioni societarie comunemente definite quali “società di
comodo”, prestando attenzione alle norme dell’ordinamento tributario volte a contrastare tali fenomeni
finalizzati a consentire un mero godimento diretto o indiretto di beni e servizi da parte della società
stessa.
La norma di primaria importanza in materia è contenuta nell’articolo 30, L. 724/1994 introdotta (e più
volte modificata) allo scopo di disincentivare la pratica, sempre più frequente, di creare società ad hoc
da utilizzare come schermo per nascondere l’effettivo proprietario dei beni – generalmente immobili –
per beneficiare delle norme fiscali più favorevoli dettate proprio per le società.
Lo scopo della disciplina in esame è di non favorire quelle società che, al di là dell’oggetto sociale
dichiarato, sono state evidentemente costituite per gestire un patrimonio nell’interesse dei soci (o,
spesso, dei familiari dei soci), anziché esercitare l’effettiva attività commerciale.
Le società di comodo: società non operative e società in perdita sistematica
Riportiamo, innanzitutto, il testo della norma di riferimento.
Articolo 30, L. 724/1994 – Società di comodo. Valutazione dei titoli
1. Agli effetti del presente articolo le Spa, Sapa, Srl, Snc e Sas, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti,
con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano non operativi se l'ammontare complessivo dei
ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal Conto economico, ove
prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando le seguenti percentuali:
a) il 2% al valore dei beni indicati nell'articolo 85, comma 1, lettere c), d) ed e), Tuir, di cui al D.P.R. 917/1986 e delle
quote di partecipazione nelle società commerciali di cui all'articolo 5 del medesimo testo unico, anche se i predetti
beni e partecipazioni costituiscono immobilizzazioni finanziarie, aumentato del valore dei crediti;
b) il 6% al valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e da beni indicati nell'articolo 8-bis, comma 1,
lettera a), D.P.R. 633/1972, e successive modificazioni, anche in locazione finanziaria per gli immobili classificati
Società immobiliari
29 Consulenza immobiliare n. 24/2020
nella categoria catastale A/10, la predetta percentuale è ridotta al 5%; per gli immobili a destinazione abitativa
acquisiti o rivalutati nell'esercizio e nei 2 precedenti, la percentuale è ulteriormente ridotta al 4% per tutti gli immobili
situati in Comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti la percentuale è dell'1%;
c) il 15% al valore delle altre immobilizzazioni, anche in locazione finanziaria.
Le disposizioni del primo periodo non si applicano:
1. ai soggetti ai quali, per la particolare attività svolta, è fatto obbligo di costituirsi sotto forma di società di capitali;
2. ai soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta;
3. alle società in amministrazione controllata o straordinaria;
4. alle società ed enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani;
5. alle società esercenti pubblici servizi di trasporto;
6. alle società con un numero di soci non inferiore a 50;
6-bis. alle società che nei 2 esercizi precedenti hanno avuto un numero di dipendenti mai inferiore alle 10 unità;
6-ter. alle società in stato di fallimento, assoggettate a procedure di liquidazione giudiziaria, di liquidazione coatta
amministrativa e in concordato preventivo;
6-quater. alle società che presentano un ammontare complessivo del valore della produzione (raggruppamento A del
Conto economico) superiore al totale attivo dello Stato patrimoniale;
6-quinquies. alle società partecipate da enti pubblici almeno nella misura del 20% del capitale sociale;
6-sexies. alle società che risultano congrue e coerenti ai fini degli studi di settore;
2. ai fini dell'applicazione del comma 1, i ricavi e i proventi nonché i valori dei beni e delle immobilizzazioni vanno
assunti in base alle risultanze medie dell'esercizio e dei 2 precedenti. Per la determinazione del valore dei beni si
applica l’articolo 110, comma 1, Tuir approvato con D.P.R. 917/1986; per i beni in locazione finanziaria si assume il
costo sostenuto dall'impresa concedente, ovvero, in mancanza di documentazione, la somma dei canoni di locazione
e del prezzo di riscatto risultanti dal contratto;
3. fermo l'ordinario potere di accertamento, ai fini dell'imposta personale sul reddito per le società e per gli enti non
operativi indicati nel comma 1 si presume che il reddito del periodo di imposta non sia inferiore all'ammontare della
somma degli importi derivanti dall'applicazione, ai valori dei beni posseduti nell'esercizio, delle seguenti percentuali:
a) l'1,50% sul valore dei beni indicati nella lettera a) del comma 1;
b) il 4,75% sul valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e da beni indicati nell'articolo 8-bis, comma
1, lettera a), D.P.R. 633/1972 e successive modificazioni, anche in locazione finanziaria per le immobilizzazioni
costituite da beni immobili a destinazione abitativa acquisiti o rivalutati nell'esercizio e nei 2 precedenti la predetta
percentuale è ridotta al 3% per gli immobili classificati nella categoria catastale A/10, la predetta percentuale è
ulteriormente ridotta al 4%; per tutti gli immobili situati in Comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti la
percentuale è dello 0,9%;
c) il 12% sul valore complessivo delle altre immobilizzazioni anche in locazione finanziaria.
Le perdite di esercizi precedenti possono essere computate soltanto in diminuzione della parte di reddito eccedente
quello minimo di cui al presente comma;
3-bis. fermo l'ordinario potere di accertamento, ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive per le società e
per gli enti non operativi indicati nel comma 1 si presume che il valore della produzione netta non sia inferiore al
reddito minimo determinato ai sensi del comma 3 aumentato delle retribuzioni sostenute per il personale dipendente,
dei compensi spettanti ai collaboratori coordinati e continuativi, di quelli per prestazioni di lavoro autonomo non
esercitate abitualmente e degli interessi passivi;
4. Per le società e gli enti non operativi, l'eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini dell'Iva
non è ammessa al rimborso né può costituire oggetto di compensazione ai sensi dell'articolo 17, D.Lgs. 241/1997, o
Società immobiliari
30 Consulenza immobiliare n. 24/2020
di cessione ai sensi dell'articolo 5, comma 4-ter, D.L. 70/1988, convertito, con modificazioni, dalla L. 154/1988.
Qualora per 3 periodi di imposta consecutivi la società o l'ente non operativo non effettui operazioni rilevanti ai fini
dell'Iva non inferiore all'importo che risulta dalla applicazione delle percentuali di cui al comma 1, l'eccedenza di
credito non è ulteriormente riportabile a scomputo dell'Iva a debito relativa ai periodi di imposta successivi;
4 bis. in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di
rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito
di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell'Iva di cui al comma 4, la società interessata può interpellare
l’amministrazione ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera b), L. 212/2000, recante lo Statuto dei diritti del
contribuente;
4-ter. con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate possono essere individuate determinate situazioni
oggettive, non trovano applicazione le disposizioni di cui al presente articolo;
4-quater. il contribuente che ritiene sussistenti le condizioni di cui al comma 4-bis ma non ha presentato l’istanza di
interpello prevista dal medesimo comma ovvero, avendola presentata, non ha ricevuto risposta positiva deve darne
separata indicazione nella dichiarazione dei redditi.
5. Il comma 2, articolo 61, Tuir, approvato con D.P.R. 917/1986, è sostituito dal seguente:
“2. Ai fini del raggruppamento in categorie omogenee non si tiene conto del valore e si considerano della stessa
natura i titoli emessi dallo stesso soggetto e aventi uguali caratteristiche”.
6. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 6 si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 1994.
I soggetti cui si applica la disciplina delle società di comodo, quindi, sono:
− Spa;
− Sapa;
− Srl;
− Snc;
− Sas;
− società ed enti di ogni tipo non residenti con stabile organizzazione in Italia.
L’elenco è da considerarsi tassativo, pertanto i soggetti la cui natura giuridica è diversa da quella
prevista dalla norma sono automaticamente esclusi.
Società non operative
Le società come sopra individuate sono considerate non operative, se l'ammontare complessivo dei
ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, risultanti dal Conto economico è inferiore alla
somma degli importi che risultano applicando le seguenti percentuali:
− il 2% al valore dei beni ex articolo 85, comma 1, lettere c), d) ed e), Tuir e delle quote di partecipazione
nelle società commerciali di cui all'articolo 5 , sempre Tuir (relativo ai redditi prodotti in forma
associata), anche se i predetti beni e partecipazioni costituiscono immobilizzazioni finanziarie,
aumentato del valore dei crediti.
Società immobiliari
31 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Secondo l’articolo 85, comma 1, lettere c), d) ed e), Tuir, lo si precisa per completezza:
“Sono considerati ricavi:
(…omississ…)
c) i corrispettivi delle cessioni di azioni o quote di partecipazioni, anche non rappresentate da titoli, al
capitale di società ed enti di cui all'articolo 73, che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie,
diverse da quelle cui si applica l'esenzione di cui all'articolo 87, anche se non rientrano fra i beni al
cui scambio è diretta l'attività dell'impresa. Se le partecipazioni sono nelle società o enti di cui
all'articolo 73, comma 1, lettera d), si applica il comma 2 dell'articolo 44; e delle quote di
partecipazione nelle società commerciali di cui all'articolo 5 del medesimo Testo unico, anche se i
predetti beni e partecipazioni costituiscono immobilizzazioni finanziarie, aumentato del valore dei
crediti;
d) i corrispettivi delle cessioni di strumenti finanziari similari alle azioni ai sensi dell'articolo 44 emessi
da società ed enti di cui all'articolo 73, che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, diversi da
quelli cui si applica l'esenzione di cui all'articolo 87, anche se non rientrano fra i beni al cui scambio
è diretta l'attività dell'impresa;
e) i corrispettivi delle cessioni di obbligazioni e di altri titoli in serie o di massa diversi da quelli di cui
alle lettere c) e d) precedenti che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, anche se non
rientrano fra i beni al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa;
(…omississ…)”.
− il 6 % al valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e da beni ex articolo 8-bis, comma
1, lettera a), D.P.R. 633/1972 (“le cessioni di navi adibite alla navigazione in alto mare destinate all'esercizio
di attività commerciali o della pesca nonché le cessioni di navi adibite alla pesca costiera o a operazioni di
salvataggio o di assistenza in mare, ovvero alla demolizione, escluse le unità da diporto”), anche in locazione
finanziaria; per gli immobili classificati nella categoria catastale A/10, la predetta percentuale è ridotta
al 5%; per gli immobili a destinazione abitativa acquisiti o rivalutati nell'esercizio e nei 2 precedenti, la
percentuale è ulteriormente ridotta al 4% per tutti quelli ubicati in Comuni con popolazione inferiore a
1.000 abitanti la percentuale è dell’1%;
− il 15% al valore delle altre immobilizzazioni, anche in locazione finanziaria.
Rientrano, poi, nell’ambito delle società di comodo non solo le società non operative di cui sopra, ma
anche le società in perdita sistematica.
Società immobiliari
32 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Società in perdita sistematica
La disciplina sulle società in perdita sistematica è caratterizzata dal fatto che il presupposto di
applicazione risiede nel conseguimento di risultati fiscali in perdita per tutto il periodo di
osservazione.
L’articolo 2, comma 36-decies, D.L. 138/2011 (modificato dall’articolo 18, D.Lgs. 175/2014), infatti, ha
ampliato l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina delle società non operative, includendovi
anche le società in perdita sistematica, ovvero le società che, alternativamente:
- per 5 periodi d’imposta consecutivi hanno dichiarato una perdita fiscale;
- per 4 anni hanno dichiarato una perdita fiscale e per 1 anno un reddito inferiore a quello minimo
presunto in base all’articolo 30, comma 3, L. 724/1994.
La presunzione di non operatività si ha nel periodo successivo al quinquennio, ossia nel sesto periodo.
Prima di definire il quinquennio di riferimento, bisogna individuare il reddito minimo che deve essere
superato in una delle annualità, nel caso in cui nelle altre 4 un contribuente abbia riscontrato una
perdita fiscale, per non essere considerato in perdita sistematica. Si deve far riferimento al reddito
minimo presunto che la società avrebbe dovuto dichiarare se fosse risultata di comodo e la sua
determinazione avviene applicando alle seguenti tipologie di beni le relative percentuali:
Azioni e quote 1,5%
Terreni e fabbricati iscritti tra le immobilizzazioni e navi anche
in locazione finanziaria
4,75% (1% per gli immobili situati in Comuni
con meno di 1.000 abitanti)
Immobili A/10 4% (1% per gli immobili situati in Comuni con
meno di 1.000 abitanti)
Immobili a destinazione abitativa acquistati o rivalutati
nell’esercizio o nei 2 precedenti
3% (1% per gli immobili situati in Comuni con
meno di 1.000 abitanti)
Altre immobilizzazioni 12%
Cause di esclusione e di disapplicazione
È necessario, a questo punto – a prescindere dalla natura giuridica della società – analizzare in quali
circostanze una società può sottrarsi, legittimamente, alla disciplina descritta. Ci si riferisce, nello
specifico, alle esclusioni di diritto e alle cause di disapplicazione automatica.
L’Agenzia delle entrate, con la circolare n. 23/E/2012, ha precisato che le prime operano relativamente
al periodo d’imposta oggetto di applicazione della disciplina sulle società in perdita sistematica (il
primo successivo ai 3 in perdita), mentre le seconde incidono sul triennio di osservazione.
Società immobiliari
33 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Cause di esclusione di diritto
Anche quando la natura giuridica sia una di quelle contemplate dalla norma, la stessa prevede
specifiche esclusioni correlate a caratteristiche soggettive del contribuente o a determinati parametri:
− i soggetti obbligati, per la particolare attività svolta, a costituirsi sotto forma di società di capitali. Con
la risoluzione n. 43/E/2007 l’Agenzia delle entrate ha precisato che la fonte dell’obbligo deve essere
esclusivamente di rango legislativo, escludendo che la causa di esclusione operi quando la forma
societaria sia dettata da provvedimenti di natura diversa;
− i soggetti che si trovano nel primo periodo d’imposta;
− le società in amministrazione controllata o straordinaria;
− le società e gli enti quotati in mercati regolamentati italiani ed esteri, le loro controllate, anche
indirettamente, e le società ed enti che li controllano. Il controllo deve sussistere per la maggior parte
del periodo d’imposta (circolare n. 25/E/2007);
− le società esercenti pubblici servizi di trasporto: l’esercizio deve essere diretto. Non è invece causa di
esclusione l’esercizio indiretto mediante la partecipazione a una società operante nel settore
(risoluzione n. 43/E/2007);
− le società con almeno 50 soci. Il requisito deve sussistere per la maggior parte del periodo d’imposta
(circolare n. 9/E/2008);
− le società che nei 2 esercizi precedenti non hanno mai avuto meno di 10 dipendenti. Ai fini del calcolo
si prendono in considerazione i soli lavoratori subordinati (i titolari di redditi assimilati a quelli di lavoro
dipendente, come i collaboratori o gli amministratori sono esclusi). La condizione si deve verificare per
l’intero periodo di osservazione;
− le società in stato di fallimento, assoggettate a procedure di liquidazione giudiziaria, di liquidazione
coatta amministrativa e in concordato preventivo;
− le società il cui valore della produzione, inteso come totale del raggruppamento A del Conto
economico di cui all’articolo 2425, cod. civ., sia superiore al totale dell’attivo dello Stato patrimoniale.
I soggetti in contabilità semplificata devono considerare i corrispondenti valori evidenziati in un
prospetto economico patrimoniale redatto sulla base delle risultanze contabili (circolare n. 9/E/2008);
− le società partecipate da enti pubblici almeno per il 20% del capitale sociale. Il rispetto della soglia
minima di partecipazione deve sussistere per la maggior parte del periodo d’imposta (circolare n.
9/E/2008). L’esclusione opera per le partecipazioni dirette, mentre non può essere invocata
automaticamente per quelle indirette pur potendo costituire oggetto di valutazione con l’interpello
disapplicativo (risoluzione n. 373/E/2008); e
Società immobiliari
34 Consulenza immobiliare n. 24/2020
− le società congrue e coerenti ai fini degli studi di settore.
Cause di disapplicazione automatica
L’articolo 30, comma 4-ter, L. 724/1994 attribuisce al direttore dell’Agenzia delle entrate il potere di
individuare cause di disapplicazione automatica dalla disciplina delle società di comodo.
Le cause di esclusione, sopra descritte, sottraggono totalmente il contribuente alla disciplina sulle
società di comodo, a prescindere dall’esito del test di operatività che non è obbligato a effettuare.
Le cause di disapplicazione automatica, invece, intervengono a livello dei presupposti per cui la società
è considerata non operativa: il contribuente è di per sé assoggettato alla disciplina, ma al verificarsi di
determinate situazioni oggettive codificate dall’Agenzia delle entrate la circostanza non viene
valorizzata come significativa di un potenziale intento elusivo. Di conseguenza, l’Amministrazione
finanziaria riconosce come naturale l’eventuale mancato conseguimento dei ricavi e vengono meno le
conseguenze previste per le società di comodo.
A partire dal 2018, poi, la possibilità di disapplicare la disciplina della società di comodo, in precedenza
correlata alla condizione di soggetto “congruo e coerente”, deve essere coordinata con i nuovi Isa “Indici
sintetici di affidabilità fiscale” che hanno sostituito gli studi di settore.
Le cause di disapplicazione non sono comuni per le società non operative e quelle in perdita sistematica,
occorrerà pertanto distinguere i diversi casi.
1. Cause di disapplicazione per società non operative:
• società assoggettate a procedura concorsuale;
• società sottoposte a sequestro penale o a confisca;
• società che dispongono di immobilizzazioni costituite da immobili concessi in locazione a enti
pubblici ovvero locati a canone vincolato;
• società che detengono partecipazioni in società non in perdita sistematica, società escluse dalla
disciplina delle società in perdita sistematica anche a seguito di accoglimento dell’interpello;
• società che hanno ottenuto l’accoglimento dell’istanza di disapplicazione in relazione a un
precedente periodo d’imposta sulla base di circostanze oggettive puntualmente indicate nell’istanza
che non hanno subito modificazioni nei periodi d’imposta successivi;
• società che esercitano esclusivamente attività agricola;
• società per le quali gli adempimenti e i versamenti tributari sono stati sospesi o differiti da
disposizioni normative adottate in conseguenza della dichiarazione dello stato di emergenza;
Società immobiliari
35 Consulenza immobiliare n. 24/2020
• società in stato di liquidazione volontaria, che in una precedente dichiarazione si sono impegnate
a chiedere la cancellazione dal Registro Imprese;
2. cause di disapplicazione per società in perdita sistematica:
• società assoggettate a procedura concorsuale;
• società sottoposte a sequestro penale o a confisca;
• società con partecipazioni, iscritte esclusivamente tra le immobilizzazioni finanziarie, il cui valore
economico è prevalentemente riconducibile a società non in perdita sistematica, società escluse
dalla disciplina delle società in perdita sistematica (anche a seguito di accoglimento di interpello),
società collegate residenti all’estero cui si applica l’articolo 168, Tuir;
• società che hanno ottenuto l’accoglimento dell’istanza di disapplicazione in relazione a un
precedente periodo d’imposta sulla base di circostanze oggettive puntualmente indicate nell’istanza
che non hanno subito modificazioni nei periodi d’imposta successivi;
• stessa fattispecie del punto che precede, in caso di esonero dall’obbligo di compilazione del
prospetto
• società che conseguono un margine operativo lordo positivo;
• società per le quali gli adempimenti e i versamenti tributari sono stati sospesi o differiti da
disposizioni normative adottate in conseguenza della dichiarazione dello stato di emergenza;
• società con risultato positivo per presenza di proventi esenti, esclusi, soggetti a ritenuta a titolo
d’imposta/imposta sostitutiva, agevolazioni;
• società che esercitano esclusivamente attività agricola;
• società che risultano congrue e coerenti ai fini degli studi di settore;
• società che si trovano nel primo periodo d’imposta;
• società in stato di liquidazione volontaria, che in una precedente dichiarazione si sono impegnate
a chiedere la cancellazione dal Registro Imprese.
Esempi in ambito immobiliare:
- l’Agenzia delle entrate, con le circolari n. 5/E/2007; n. 25/E/2007 e n. 44/E/2007 ha segnalato che non sono
di comodo:
1. le società che hanno in bilancio esclusivamente immobilizzazioni in corso di realizzazione, non suscettibili
di produrre alcun reddito;
2. le società immobiliari che, pur locando gli immobili al prezzo di mercato, riescono a dimostrare l’impossibilità
di praticare canoni di locazione sufficienti a consentire loro di superare il “test di operatività”;
3. le società che dimostrano l’impossibilità di modificare contratti di locazione in essere;
4. le società che dimostrano la temporanea inagibilità dell’immobile locato.
- CTP di Milano n. 1679/III/2018: non è di comodo la società immobiliare che nonostante la mancata
vendita/locazione di immobili riesca a dimostrare i numerosi tentativi di vendita o affitto;
Società immobiliari
36 Consulenza immobiliare n. 24/2020
- circolare n. 36/E/2013, § 7.1 e 7.2: è stata presa in esame una società che possiede 3 immobili strumentali
concessi in locazione; su 1 dei quali sono stati realizzati impianti fotovoltaici con i quali viene prodotta energia
poi venduta, senza che i ricavi conseguiti fossero sufficienti al raggiungimento del minimo richiesto. Il mancato
raggiungimento dei ricavi minimi è conseguenza del fatto che la vendita dell’energia è vincolata ad appositi
contratti con i relativi prezzi.
Applicazione della disciplina e test di operatività
L’applicazione della disciplina delle società di comodo si svolge, dunque, in 1 fasi distinte (test di
operatività): la verifica dei presupposti (i) e, in caso di esito positivo, la determinazione del reddito
minimo (ii).
I presupposti sono riconducibili a 2 fattispecie autonome:
1. la presunzione di non operatività: l’operatività viene verificata mediante un’operazione di natura
contabile e fiscale che consiste nel porre a confronto i ricavi effettivi realizzati dalla società
nell’esercizio con quelli minimi: se i primi sono uguali o maggiori ai secondi, il test è superato e la
società si considera operativa. In caso contrario, la società non è considerata operativa – e quindi di
comodo – e bisogna determinare il reddito minimo.
A tale scopo si applicano, ai valori rilevati per il solo periodo oggetto di dichiarazione per le medesime
categorie di beni, coefficienti percentuali stabiliti in misura inferiore a quelli utilizzati per determinare
i ricavi minimi:
Categorie di beni rilevanti Percentuale applicabile per determinare i
ricavi presunti
Percentuale applicabile per
determinare il reddito minimo
Titoli e strumenti assimilati 2% 1,50%
Immobili situati in Comuni con
popolazione inferiore a 1.000
abitanti
1% 0,90%
Immobili a destinazione
abitativa acquisiti o rivalutati
nell’esercizio e nei 2
precedenti
4% 3%
Immobili classificati nella
categoria A/10
5% 4%
Immobili diversi dai precedenti
(terreni, fabbricati e navi)
6% 4,75%
Altre immobilizzazioni 15% 12%
2. la condizione di perdita sistematica: in questo caso non è necessario effettuare il test di operatività,
in quanto la condizione si riscontra con riferimento ai risultati fiscali dichiarati. Considerati 3 periodi
d’imposta consecutivi, se per 2 di essi si dichiara una perdita fiscale e per il terzo un reddito inferiore a
Società immobiliari
37 Consulenza immobiliare n. 24/2020
quello minimo, la società si considera di comodo nel periodo successivo al triennio di osservazione.
Come si vede da quanto sopra esposto, la condizione di società di comodo ha una serie di effetti sul
piano fiscale, di cui il primo è l’obbligo di dichiarare un reddito minimo ai fini delle imposte sui redditi.
Tale reddito si determina applicando ai medesimi beni rilevanti per il test di operatività specifiche
percentuali, inferiori a quelle utilizzate per calcolare i ricavi minimi. I cespiti rilevanti sono riconducibili
a quelli suscettibili di un impiego durevole nell’attività d’impresa e a essa strumentali:
− titoli e strumenti assimilati;
− terreni, fabbricati e navi;
− altre immobilizzazioni.
Rilevano i beni detenuti a titolo di proprietà, usufrutto, enfiteusi, altro diritto reale o in locazione
finanziaria.
I beni rilevanti vanno raggruppati in categorie individuate in funzione delle percentuali di
determinazione dei ricavi minimi e la somma dei risultati ottenuti costituisce l’ammontare dei ricavi
minimi per poter considerare la società operativa.
L’interpello disapplicativo
Infine, in mancanza di cause di esclusione o disapplicazione automatica, è possibile presentare apposita
istanza di interpello o disapplicare in modo autonomo la disciplina dandone indicazione nel “modello
Redditi”.
L’articolo 30, comma 4 bis, L. 724/1994 stabilisce, a tal proposito che – in presenza di oggettive
situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze, dei
proventi e del reddito, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’Iva
– la società interessata può interpellare l’Amministrazione.
Si tratta, quindi, di un interpello probatorio, che si sostanzia in una richiesta all’Amministrazione
finanziaria tesa a ottenere un parere circa la sussistenza delle situazioni oggettive che hanno reso
impossibile il conseguimento dei ricavi e del reddito minimi, da presentarsi entro il termine di
presentazione della dichiarazione, fatto salvo il termine dei successivi 120 giorni entro cui l’Agenzia
delle entrate fornisce la risposta (in mancanza vige la regola del silenzio assenso).
Tale istanza di interpello non è obbligatoria e la società può, sulla base di un’autovalutazione,
disapplicare la disciplina in questione dandone specifica indicazione nella dichiarazione dei redditi.
Analoga facoltà è prevista per i soggetti che, pur avendo presentato l’interpello, abbiano ricevuto
risposta negativa.
Società immobiliari
38 Consulenza immobiliare n. 24/2020
SCHEDA DI SINTESI
La norma in materia di società di comodo è l’articolo 30, L. 724/1994, introdotta allo scopo di
disincentivare la pratica di creare società ad hoc da utilizzare come schermo per nascondere
l’effettivo proprietario dei beni, per beneficiare delle norme fiscali più favorevoli dettate proprio
per le società.
Le società cui si applica la disciplina delle società di comodo sono:
- Spa;
- Sapa;
- Srl;
- Snc;
- Sas;
- società ed enti di ogni tipo non residenti con stabile organizzazione in Italia.
L’elenco è da considerarsi tassativo.
Le società si considerano non operative se l'ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi
delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal Conto economico, è
inferiore alla somma degli importi che risultano applicando le percentuali di cui all’articolo 30,
L. 724/1994.
Rientrano nell’ambito delle società di comodo anche le società in perdita sistematica.
Le circostanze per le quali una società può sottrarsi alla disciplina delle società non operative
sono le esclusioni di diritto e le cause di disapplicazione automatica.
L’Agenzia delle entrate, con la circolare n. 23/E/2012 ha precisato che le prime operano
relativamente al periodo d’imposta oggetto di applicazione della disciplina sulle società in
perdita sistematica (il primo successivo ai 3 in perdita), mentre le seconde incidono sul triennio
di osservazione.
L’applicazione della disciplina delle società di comodo si svolge in due fasi distinte (test di
operatività): la verifica dei presupposti (i) e, in caso di esito positivo, la determinazione del
reddito minimo (ii).
I presupposti sono riconducibili a due fattispecie autonome: la presunzione di non operatività
e la condizione di perdita sistematica.
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Consulenza immobiliare n. 24/2020
Bonus facciate e i chiarimenti della
circolare n. 2/E/2020 di Sandro Cerato– dottore commercialista e pubblicista
Premessa
Con la recente circolare n. 2/E/2020, l’Agenzia delle entrate ha illustrato l’agevolazione introdotta con
la Legge di Bilancio 2020 e consistente nella possibilità di detrarre dall’imposta lorda una somma pari
al 90% delle spese documentate e sostenute nell’anno 2020 per gli interventi finalizzati al recupero o
restauro della facciata esterna degli edifici esistenti ubicati in zona A o B, ai sensi del D.M. 1444/1968
(c.d. “bonus facciate”).
La ratio dell’agevolazione è sostanzialmente quella di incentivare gli interventi edilizi, finalizzati
al decoro urbano, rivolti a conservare l’organismo edilizio, nel rispetto degli elementi tipologici,
formali e strutturali dell’organismo stesso, in conformità allo strumento urbanistico generale e ai
relativi piani attuativi, favorendo altresì interventi di miglioramento dell’efficienza energetica
degli edifici.
Ambito soggettivo di applicazione
Sotto il profilo soggettivo, la detrazione riguarda tutti i contribuenti residenti e non residenti nel
territorio dello Stato, che sostengono le spese per l’esecuzione degli interventi agevolati, a prescindere
dalla tipologia di reddito di cui essi siano titolari: trattandosi di una detrazione dall’imposta lorda, la
stessa non può essere utilizzata dai soggetti che possiedono esclusivamente redditi assoggettati a
tassazione separata o a imposta sostitutiva14. Non possono, quindi, beneficiare del “bonus facciate”:
“i soggetti titolari esclusivamente di redditi derivanti dall’esercizio di attività d’impresa o di arti o
professioni che aderiscono al regime forfetario di cui all’articolo 1, commi da 54 a 89, L. 190/2014,
poiché il loro reddito (determinato forfetariamente) è assoggettato a imposta sostitutiva”.
14 Diversamente, potranno utilizzare il “bonus facciate” (in diminuzione dalla corrispondente imposta lorda) i soggetti titolari di redditi
assoggettati a tassazione separata o a imposta sostitutiva che possiedono anche redditi che concorrono alla formazione del reddito
complessivo.
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Nello specifico, rientrano nel campo soggettivo di applicazione della nuova disposizione:
− le persone fisiche (compresi gli esercenti arti e professioni);
− gli enti pubblici e privati che non svolgono attività commerciale;
− le società semplici;
− le associazioni tra professionisti;
− i soggetti che conseguono reddito d’impresa (persone fisiche, enti, società di persone, società di
capitali).
Detenzione e possesso degli immobili
Ai fini della detrazione in esame è necessario che, al momento di avvio dei lavori – o al momento del
sostenimento delle spese (se antecedente all’avvio delle opere) – il soggetto beneficiario
dell’agevolazione possieda o detenga l’immobile oggetto dell’intervento in base a un titolo idoneo. In
particolare, il soggetto che intende beneficiare della detrazione deve:
− possedere l’immobile in qualità di proprietario, nudo proprietario o titolare di altro diritto reale di
godimento (ad esempio usufrutto, uso, abitazione o superficie);
− detenere l’immobile in base a un contratto di locazione, anche finanziaria, o di comodato,
regolarmente registrato.
La circolare n. 2/E/2020 precisa che:
“al fine di garantire la necessaria certezza ai rapporti tributari, la mancanza di un titolo di detenzione
dell’immobile risultante da un atto registrato, al momento dell’inizio dei lavori o al momento del
sostenimento delle spese se antecedente, preclude il diritto alla detrazione anche se si provvede alla
successiva regolarizzazione”.
Ne consegue che, anche il titolo di detenzione dell’immobile (locazione o comodato) deve
risultare da un atto registrato alla data di inizio lavori, oppure alla data del pagamento delle spese
(se i lavori non sono ancora iniziati), ma si è comunque provveduto a effettuare il pagamento (ad
esempio a titolo di acconto).
Familiare convivente e conviventi more uxorio
Possono altresì beneficiare della detrazione in esame, sempreché sostengano le spese per la
realizzazione dei lavori, anche i familiari del possessore o del detentore dell’immobile (quali il coniuge,
il componente dell’unione civile di cui alla L. 76/2016, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il
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secondo grado), nonché i conviventi di fatto, ai sensi della predetta L. 76/2016. Per tali soggetti, la
detrazione compete a condizione che:
− il rapporto di convivenza con il possessore o detentore dell’immobile (oggetto dell’intervento
agevolato) sussista già alla data di inizio dei lavori o, al più tardi, al momento del sostenimento delle
spese ammesse alla detrazione (se antecedente all’avvio dei lavori);
− le spese sostenute riguardino interventi eseguiti su un immobile, anche diverso da quello destinato
ad abitazione principale, nel quale può esplicarsi la convivenza.
In virtù di quanto appena esposto, consegue che la detrazione del 90% non può essere invocata
dal familiare del possessore o del detentore dell’immobile nel caso di interventi effettuati su
immobili che:
− non sono a disposizione (in quanto locati o concessi in comodato), ovvero;
− non appartengono all’ambito “privatistico”, quali gli immobili strumentali all’attività d’impresa,
arte o professione.
Inoltre, viene espressamente chiarito che, per fruire del “bonus facciate” non è necessario che i familiari
abbiano sottoscritto un contratto di comodato, ma è sufficiente che questi attestino, mediante una
dichiarazione sostitutiva di atto notorio, di essere familiari conviventi del possessore o detentore
dell’immobile oggetto dell’intervento agevolato.
Promissario acquirente e lavori in economia
Oltre ai suddetti soggetti, hanno altresì diritto alla detrazione in argomento:
− il promissario acquirente dell’immobile oggetto di intervento immesso nel possesso, a condizione che
sia stato stipulato un contratto preliminare di vendita dell’immobile regolarmente registrato;
− coloro che eseguono i lavori in proprio, limitatamente alle spese di acquisto dei materiali utilizzati
per l’intervento agevolato (ad esempio il costo di acquisto della pittura utilizzata per tinteggiare la
facciata).
Ambito oggettivo di applicazione: interventi ammessi
Sotto il profilo oggettivo, la detrazione è ammessa a fronte del sostenimento delle spese relative a
interventi finalizzati al recupero o restauro della “facciata esterna”, realizzati su:
− edifici esistenti;
− parti di edifici esistenti;
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− unità immobiliari esistenti di qualsiasi categoria catastale, compresi quelli strumentali.
L’agevolazione non spetta, quindi, per gli interventi:
− effettuati durante la fase di costruzione dell’immobile;
− realizzati mediante demolizione e ricostruzione, ivi compresi quelli con la stessa volumetria
dell’edificio preesistente inquadrabili nella categoria della “ristrutturazione edilizia” di cui
all’articolo 3, comma 1, lettera d), D.P.R. 380/2001.
Ubicazione dell’immobile oggetto di intervento
La detrazione del 90% spetta a condizione che gli edifici oggetto degli interventi agevolati siano ubicati
in zona A o B ai sensi del D.M. 1444/1968, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa
regionale e ai regolamenti edilizi comunali. Sono conseguentemente escluse dalla detrazione in
commento le zone omogenee C, D, E e F (come definite dal D.M. 1444/1968).
Zone omogenee Definizione D.M. 1444/1968 Bonus facciate
Zona A Le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestano
carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale o da porzioni
di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte
integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi
Sì
Zona B Le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle
zone A). Si considerano parzialmente edificate le zone che presentano
contemporaneamente i seguenti requisiti:
- la superficie coperta degli edifici esistenti non inferiore al 12,5% (un
ottavo) della superficie fondiaria della zona
- la densità territoriale sia superiore a 1,5 m3/m2
Sì
Zona C Le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino
inedificate o nelle quali la edificazione preesistente non raggiunga i limiti
di superficie e densità di cui alla precedente lettera B
No
Zona D Le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti
industriali o a essi assimilati
No
Zona E Le parti del territorio destinate a usi agricoli.
Sono escluse quelle in cui, fermo restando il carattere agricolo delle
stesse, il frazionamento delle proprietà richieda insediamenti da
considerare come zone C
No
Zona F Le parti del territorio destinate a attrezzature e impianti di interesse
generale
No
Come chiarito dalla circolare n. 2/E/2020, l’assimilazione alle predette zone A o B della zona
territoriale nella quale ricade l’edificio oggetto dell’intervento dovrà risultare dalle certificazioni
urbanistiche rilasciate dagli enti competenti.
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Interventi agevolati
Ai fini del riconoscimento del “bonus facciate”, gli interventi devono essere:
− finalizzati al “recupero o restauro” della facciata esterna; e
− realizzati esclusivamente sulle “strutture opache della facciata, su balconi o su ornamenti e fregi”.
Come confermato dalla circolare n. 2/E/2020, gli interventi che possono beneficiare
dell’agevolazione devono essere eseguiti sull’involucro esterno visibile dell’edificio, sia sulla
parte anteriore, frontale e principale dell’edificio, sia sugli altri lati dello stabile (intero perimetro
esterno a prescindere delle esposizioni – nord, sud, ovest ed est). Diversamente, sono esclusi dal
“bonus facciate”, gli interventi effettuati sulle facciate interne dell’edificio, fatte salve quelle
visibili dalla strada o da suolo a uso pubblico.
In particolare, la detrazione in argomento spetta per:
− gli interventi di sola pulitura o tinteggiatura esterna effettuati sulle strutture opache della facciata;
− gli interventi sulle strutture opache della facciata influenti dal punto di vista termico o che interessano
oltre il 10% dell’intonaco della superficie disperdente lorda complessiva dell’edificio;
− gli interventi, ivi inclusi quelli di sola pulitura o tinteggiatura, su balconi, ornamenti o fregi.
Esempi di spese agevolabili
Tali interventi comprendono, a titolo esemplificativo:
− il consolidamento, il ripristino, il miglioramento delle caratteristiche termiche anche in assenza
dell’impianto di riscaldamento;
− il rinnovo degli elementi costitutivi della facciata esterna dell’edificio, costituenti esclusivamente la
struttura opaca verticale, nonché la mera pulitura e tinteggiatura della superficie;
− il consolidamento, il ripristino, inclusa la mera pulitura e tinteggiatura della superficie, o il rinnovo
degli elementi costitutivi dei balconi, degli ornamenti e dei fregi;
− i lavori riconducibili al decoro urbano quali quelli riferiti alle grondaie, ai pluviali, ai parapetti, ai
cornicioni e alla sistemazione di tutte le parti impiantistiche che insistono sulla parte opaca della
facciata.
Sono, invece, escluse dal perimetro dell’agevolazione:
− le spese sostenute per gli interventi sulle superfici confinanti con chiostrine, cavedi, cortili e
spazi interni, fatte salve quelle visibili dalla strada o da suolo a uso pubblico;
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− le spese sostenute per la sostituzione di vetrate, infissi, grate, portoni e cancelli.
Ulteriori spese agevolate
La detrazione del 90% spetta altresì con riguardo:
− alle spese sostenute per l’acquisto dei materiali (in presenza di lavori eseguiti in economia);
− alle spese per la progettazione e le altre prestazioni professionali connesse, comunque richieste dal
tipo di lavori (ad esempio l’effettuazione di perizie e sopralluoghi, il rilascio dell’attestato di prestazione
energetica);
− ad altri eventuali costi strettamente collegati alla realizzazione degli interventi quali, ad esempio:
• le spese relative all’installazione di ponteggi allo smaltimento dei materiali rimossi per eseguire i
lavori;
• l’Iva (qualora non ricorrano le condizioni per la detrazione);
• l’imposta di bollo;
• i diritti pagati per la richiesta dei titoli abilitativi edilizi;
• la tassa per l’occupazione del suolo pubblico (Tosap) pagata dal contribuente per poter disporre
dello spazio insistente sull’area pubblica necessario all’esecuzione dei lavori.
Interventi di efficienza energetica
I lavori di rifacimento della facciata (che non siano di sola pulitura o tinteggiatura esterna) possono
riguardare interventi influenti dal punto di vista termico, ovvero possono interessare oltre il 10%
dell’intonaco della superficie disperdente lorda complessiva dell’edificio. In tal caso, affinché spetti la
detrazione, gli interventi in parola devono rispettare:
− i requisiti minimi di cui al D.M. 26 giugno 2015 che definisce:
• le modalità di applicazione della metodologia di calcolo delle prestazioni energetiche degli edifici,
ivi incluso l’utilizzo delle fonti rinnovabili, nonché;
• le prescrizioni e i requisiti minimi in materia di prestazioni energetiche degli edifici e delle unità
immobiliari;
− i valori limite della trasmittanza termica delle strutture componenti l’involucro edilizio di cui alla
Tabella 2 dell’Allegato B al D.M. 11 marzo 2008.
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Modalità di calcolo della superficie del 10% dell’intonaco
Ai fini della individuazione delle opere agevolabili e per la spettanza della detrazione, il calcolo della
percentuale (prevista nella misura del 10% dell’intonaco della superficie disperdente lorda complessiva
dell’edificio) deve essere determinato tenuto conto del totale della superficie complessiva disperdente
(pareti verticali, pavimenti, tetti, infissi) confinante con l’esterno, vani freddi o terreno.
Nella particolare ipotesi in cui le parti della facciata sono rivestite in piastrelle o altri materiali
che non rendono possibile realizzare interventi influenti dal punto di vista termico (se non
mutando completamente l’aspetto dell’edificio), per verificare il superamento del limite del 10%
occorre fare riferimento al rapporto risultante tra:
− la restante superficie della facciata interessata dall’intervento; e
− la superficie totale lorda complessiva della superficie disperdente.
Edifici esclusi dai requisiti minimi di efficienza energetica
È giusto il caso di precisare che, i requisiti minimi previsti dai D.M. 26 giugno 2015 e D.M 11 marzo
2008 non si applicano alle seguenti tipologie di edifici e fabbricati:
− edifici ricadenti nell’ambito della disciplina della parte seconda e dell’articolo 136, comma 1, lettere
b) e c), D.Lgs. 42/2004, soltanto nel caso in cui, previo giudizio dell’Autorità competente al rilascio
dell’autorizzazione ai sensi del D.Lgs. 42/2004, il rispetto delle prescrizioni implichi un’alterazione
sostanziale del loro carattere o aspetto, con particolare riferimento ai profili storici, artistici e
paesaggistici;
− edifici industriali e artigianali quando gli ambienti sono riscaldati per esigenze del processo
produttivo o utilizzando reflui energetici del processo produttivo non altrimenti utilizzabili;
− edifici rurali non residenziali sprovvisti di impianti di climatizzazione;
− fabbricati isolati con una superficie utile totale inferiore a 50 m2;
− edifici che risultano non compresi nelle categorie di edifici classificati sulla base della destinazione
d’uso di cui all’articolo 3, D.P.R. 412/1993, il cui utilizzo standard non prevede l’installazione e l’impiego
di sistemi tecnici di climatizzazione (ad esempio box, cantine, autorimesse, parcheggi multipiano,
depositi, strutture stagionali a protezione degli impianti sportivi)15;
− edifici adibiti a luoghi di culto e allo svolgimento di attività religiose.
15 Con riguardo ai fabbricati isolati con una superficie utile totale inferiore a 50 m2, l’esclusione non riguarda le porzioni eventualmente adibite
a uffici e assimilabili, purché scorporabili ai fini della valutazione di efficienza energetica).
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46 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Per gli interventi di efficienza energetica sulle facciate, ai fini delle verifiche e dei controlli, si
applicano le stesse procedure e gli stessi adempimenti previsti in materia di detrazioni fiscali per
la riqualificazione energetica degli edifici, di cui all’articolo 1, comma 344 – 349, L. 296/2006 e
articolo 14, D.L. 63/2013 (c.d. “ecobonus”).
Detrazione spettante
Posto che per la detrazione in esame non è stato stabilito né un limite massimo di detrazione, né un
limite massimo di spesa ammissibile, consegue che la detrazione spetti nella misura del 90% da
applicarsi sull’intera spesa sostenuta ed effettivamente rimasta a carico16.
Nella circolare n. 2/E/2020 viene chiarito che la detrazione dall’imposta lorda può essere fatta
valere sia ai fini Irpef sia ai fini Ires e si riferisce alle spese sostenute nel 202017.
La detrazione in commento spetta per le spese effettivamente sostenute e rimaste a carico del
contribuente. Conseguentemente, la detrazione in esame non compete se le spese sono rimborsate e il
rimborso non ha concorso al reddito, sicché eventuali contributi ricevuti dal contribuente dovranno:
− essere sottratti dall’ammontare su cui applicare la detrazione del 90%; e
− essere assoggettati a tassazione separata ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera n-bis), Tuir18.
Diversamente, devono considerarsi spese rimaste a carico del contribuente (e in quanto tali
ammissibili all’agevolazione) quelle rimborsate per effetto di contributi che hanno concorso a
formare il reddito in capo al contribuente.
Criteri di imputazione delle spese e modalità di pagamento delle stesse
Un importante chiarimento contenuto nella circolare n. 2/E/2020 è quello secondo cui, ai fini
dell’imputazione delle spese agevolabili, occorre fare riferimento:
16 Tuttavia, nell’ambito dell’attività di controllo, l’Agenzia delle entrate potrà verificare la congruità tra il costo delle spese sostenute oggetto
di detrazione e il valore dei relativi interventi eseguiti. 17 Per i soggetti con periodo d’imposta non coincidente con l’anno solare occorre fare riferimento alle spese sostenute nel periodo d’imposta
in corso alla data del 31 dicembre 2020. 18 Nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui i contributi sono percepiti, il contribuente dovrà indicare nel quado RM del modello
Redditi PF la parte della somma rimborsata per la quale negli anni precedenti si è beneficiato della detrazione. A partire dal medesimo anno,
il contribuente dovrà ridurre la rata della detrazione fiscale indicata nel quadro RP, determinata scomputando dall’ammontare delle spese
agevolate l’importo dei contributi.
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47 Consulenza immobiliare n. 24/2020
− per le persone fisiche, compresi gli esercenti arti e professioni, e per gli enti non commerciali, al
criterio di cassa, vale a dire alla data dell’effettivo pagamento, indipendentemente dalla data di avvio
degli interventi cui i pagamenti si riferiscono19;
− per le imprese individuali, per le società e per gli enti commerciali, al criterio di competenza di cui
all’articolo 109, Tuir, “a prescindere dalla circostanza che il soggetto beneficiario applichi tale regola per la
determinazione del proprio reddito imponibile ai fini delle imposte sul reddito”.
La circolare n. 2/E/2020 precisa che, ai fini delle modalità di determinazione del reddito di impresa, non
rilevano i diversi criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti
per i soggetti:
− che redigono il bilancio in base ai Princìpi contabili internazionali, anche nella formulazione derivante
dalla procedura prevista dall’articolo 4, comma 7-ter, D.Lgs. 38/2005;
− diversi dalle micro imprese di cui all’articolo 2435-ter, cod. civ., che redigono il bilancio in conformità
alle disposizioni del codice civile.
In forza al citato principio di competenza, sono ammesse alla detrazione in discorso le spese da
imputare al periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2020, indipendentemente dalla data di
avvio degli interventi cui le spese si riferiscono e indipendentemente dalla data dei pagamenti.
Modalità di pagamento delle spese
I contribuenti persone fisiche che intendono avvalersi del “bonus facciate” sono tenuti a disporre il
pagamento delle spese agevolabili mediante bonifico bancario o postale dal quale risulti:
− la causale del versamento;
− il codice fiscale del beneficiario della detrazione;
− il numero di partita Iva ovvero il codice fiscale del soggetto a favore del quale il bonifico è effettuato.
Su tali bonifici, le banche, Poste Italiane Spa nonché gli istituti di pagamento (autorizzati a
prestare servizi di pagamento a norma del D.Lgs. 11/2010 e del D.Lgs. 385/1993) saranno tenuti
ad applicare, all’atto dell’accredito dei relativi pagamenti, la ritenuta d’acconto (attualmente nella
misura dell’8%) di cui all’articolo 25, D.L. 78/201020.
19 Così, per esempio, un intervento ammissibile iniziato a luglio 2019, con pagamenti effettuati sia nel 2019 sia nel 2020, potranno beneficiare
del “bonus facciate” soltanto le spese sostenute nel 2020. 20 A tal fine possono essere utilizzati i bonifici predisposti dagli istituti di pagamento ai fini dell’“ecobonus” ovvero della detrazione prevista
per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio.
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48 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Diversamente, ai soggetti titolari di reddito d’impresa – siano essi soggetti Irpef o Ires (imprenditori
individuali, società di persone commerciali, società di capitali ed enti commerciali) – è riconosciuta la
facoltà di disporre il pagamento delle spese, non necessariamente mediante bonifico, ma anche tramite
altre modalità (ad esempio assegno bancario o postale).
Interventi su parti comuni degli edifici
Nell’ambito degli interventi effettuati sulle parti comuni degli edifici, ai fini dell’imputazione al periodo
d’imposta, rileva la data del bonifico effettuato dal condominio, indipendentemente dalla data di
versamento della rata condominiale da parte del singolo condomino.
Così, ad esempio, nel caso di bonifico eseguito dal condominio nel 2019, le rate versate dal
condomino nel 2020, non danno diritto al “bonus facciate”. Diversamente, nel caso di bonifico
effettuato dal condominio nel 2020, le rate versate dal condomino nel 2019, nel 2020 o nel 2021
(prima della presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al 2020) danno diritto al “bonus
facciate”.
Adempimenti per l’accesso alla detrazione per tutti i soggetti beneficiari
A norma dell’articolo 1, comma 223, L. 160/2019, al “bonus facciate” si applicano le disposizioni
attuative contenute del D.M. 41/1998 con riguardo alla detrazione per gli interventi di recupero del
patrimonio edilizio. Di conseguenza, come confermato anche dalla circolare n. 2/E/2020, per fruire del
“bonus facciate” sia i soggetti non titolari di reddito d’impresa sia i soggetti titolari di reddito d’impresa
(siano essi soggetti Irpef o Ires) dovranno:
− pagare le spese secondo le modalità indicate in precedenza (che differiscono a seconda della tipologia
di soggetto beneficiario dell’agevolazione);
− indicare nella dichiarazione dei redditi i dati catastali identificativi dell’immobile e, se i lavori sono
effettuati dal detentore, gli estremi di registrazione dell’atto che ne costituisce titolo e gli altri dati
richiesti ai fini del controllo della detrazione21;
− comunicare preventivamente all’azienda sanitaria locale (Asl) territorialmente competente, mediante
raccomandata, la data di inizio dei lavori, sempreché tale comunicazione sia obbligatoria secondo le
vigenti disposizioni in materia di sicurezza dei cantieri;
21 Tale adempimento non è richiesto per gli interventi influenti dal punto di vista termico o che interessino oltre il 10% dell ’intonaco della
superficie disperdente lorda complessiva dell’edificio.
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49 Consulenza immobiliare n. 24/2020
− conservare ed esibire, previa richiesta degli uffici finanziari:
• le fatture o le ricevute fiscali comprovanti le spese effettivamente sostenute per la realizzazione
degli interventi; e
• le ricevute di pagamento (bonifico di pagamento per i soggetti non titolari di reddito d’impresa);
• le abilitazioni amministrative richieste dalla vigente legislazione edilizia in relazione alla tipologia
di lavori da realizzare;
Nella particolare ipotesi in cui la normativa edilizia non preveda alcun titolo abilitativo, occorrerà
conservare ed esibire agli uffici finanziari, una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, resa
ai sensi dell’articolo 47, D.P.R. 445/2000, in cui sia indicata la data di inizio dei lavori e attestata
la circostanza che gli interventi posti in essere rientrano tra quelli agevolabili, anche se i
medesimi non necessitano di alcun titolo abilitativo, ai sensi della normativa edilizia vigente.
• copia della domanda di accatastamento, per gli immobili non ancora censiti;
• le ricevute di pagamento dei tributi locali (ad esempio Imu) sugli immobili, se dovuti;
• copia della delibera assembleare di approvazione dell’esecuzione dei lavori, per gli interventi
riguardanti parti comuni di edifici residenziali, e tabella millesimale di ripartizione delle spese;
• in caso di lavori effettuati dal detentore dell’immobile, se diverso dai familiari conviventi,
dichiarazione di consenso del possessore all’esecuzione dei lavori.
Interventi di efficienza energetica: documentazione ulteriore
Per beneficiare del “bonus facciate” con riguardo agli interventi di efficienza energetica (vale a dire
quelli influenti dal punto di vista termico o che interessano oltre il 10% dell’intonaco della superficie
disperdente lorda complessiva dell’edificio), in aggiunta agli adempimenti indicati nel paragrafo
precedente, occorrerà altresì acquisire e conservare:
− l’asseverazione, con la quale un tecnico abilitato certifica la corrispondenza degli interventi effettuati
ai requisiti tecnici previsti per ciascuno di essi;
− successivamente all’esecuzione degli interventi, l’attestato di prestazione energetica (Ape) per ogni
singola unità immobiliare per cui si chiedono le detrazioni fiscali, che deve essere redatto da un tecnico
non coinvolto nei lavori.
Entro 90 giorni dalla fine dei lavori si dovrà, inoltre, inviare, esclusivamente in via telematica all’Enea,
tramite il sito https://detrazionifiscali.enea.it/, la scheda descrittiva relativa agli interventi realizzati in
cui vanno riportati:
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50 Consulenza immobiliare n. 24/2020
− i dati identificativi dell’edificio;
− i dati del soggetto che ha sostenuto le spese;
− la tipologia dell’intervento eseguito;
− il risparmio annuo di energia che ne è conseguito22;
− il costo dell’intervento comprensivo delle spese professionali;
− l’importo utilizzato per il calcolo della detrazione.
È di estrema importanza precisare che la mancata effettuazione dei predetti adempimenti
preclude la fruizione del “bonus facciate” (circolare n. 2/E/2020).
Interventi sulle parti comuni condominiali: documentazione ulteriore
Nel caso in cui gli interventi sulle facciate siano eseguiti sulle parti comuni degli edifici condominiali,
gli adempimenti elencati in precedenza devono essere effettuati dall’amministratore di condominio,
oppure da uno dei condòmini all’uopo delegato. Anche per il “bonus facciate”, l’amministratore del
condominio deve:
− indicare i dati del fabbricato nella dichiarazione dei redditi;
− effettuare gli altri adempimenti, analogamente alle detrazioni per interventi di recupero del
patrimonio edilizio o di efficienza energetica sulle parti comuni;
− rilasciare, in caso di effettivo pagamento delle spese da parte del condòmino, una certificazione delle
somme corrisposte dal condòmino, attestando, altresì, di aver adempiuto a tutti gli obblighi previsti
dalla Legge.
Dalla certificazione rilasciata dall’amministratore devono risultare:
− le generalità e il codice fiscale del condòmino;
− gli elementi identificativi del condominio;
− l’ammontare delle spese sostenute nell’anno di riferimento;
− la quota millesimale imputabile al condòmino.
− conservare la documentazione originale, al fine di esibirla a richiesta degli uffici, individuata dal
provvedimento n. 149646/2011.
22 Le informazioni contenute nell’attestato di prestazione energetica sono comunicate attraverso la sezione “dati da APE” della scheda
descrittiva. L’Enea adegua il portale attualmente in essere e la relativa modulistica per la trasmissione dei dati a cura dei soggetti beneficiari
del “bonus facciate”.
Privati
51 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Ripartizione della detrazione
La detrazione Irpef/Ires del 90% deve essere ripartita in 10 quote annuali costanti (e di pari importo)
nell’anno di sostenimento delle spese e nei 9 successivi e spetta fino a concorrenza dell’imposta lorda:
in caso di incapienza in ciascun anno/periodo d’imposta, la detrazione si perde, nel senso che non può
essere richiesta a rimborso né utilizzata nei periodi d’imposta successivi.
Si ipotizzi che nel corso del corrente anno un condominio esegua dei lavori di rifacimento della facciata
di un palazzo, composto da 10 unità immobiliari di identiche dimensioni, per un ammontare
complessivo pari a 36.000 euro.
Il singolo condòmino, al quale vengono attribuiti in base ai millesimi spese agevolabile per l’importo di
3.600 euro, potrà iniziare a beneficiare della prima rata della detrazione, pari a 324 euro (3.600 euro x
90% / 10), nella dichiarazione dei redditi relativa al 2020 da presentarsi nell’anno 2021.
Qualora tutti i singoli condòmini possano usufruire integralmente delle rate della detrazione spettante,
la detrazione fiscale complessiva sarà quindi pari a 32.400 euro (90% di 36.000 euro di spese).
In assenza di una specifica norma, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione, non è consentito
ai beneficiari del c.d. “bonus facciate” di optare per la cessione del credito corrispondente alla
detrazione spettante o per lo sconto di pari ammontare sul corrispettivo.
Cumulabilità con altre agevolazioni sugli immobili
Per le spese per le quali non si fruisce del “bonus facciate” rimangono applicabili, ove vi siano le
condizioni, le agevolazioni previste per gli interventi:
− volti al recupero del patrimonio edilizio, di cui all’articolo 16-bis, Tuir e dell’articolo 16, D.L. 63/2013;
− di riqualificazione energetica degli edifici, di cui all’articolo 1 commi 344 – 349, L. 296/2006 e articolo
14, D.L. 63/2013.
Al riguardo la circolare n. 2/E/2020 precisa che:
“In considerazione della possibile sovrapposizione degli ambiti oggettivi previsti dalle normative
richiamate, il contribuente potrà avvalersi, per le medesime spese, di una sola delle predette
agevolazioni, rispettando gli adempimenti specificamente previsti in relazione alla stessa. Qualora si
attuino interventi sull’involucro riconducibili a diverse fattispecie agevolabili - essendo stati realizzati,
ad esempio, nell’ambito dell’isolamento termico dell’involucro dell’intero edificio, sia interventi sulla
Privati
52 Consulenza immobiliare n. 24/2020
parte opaca della facciata esterna, ammessi al “bonus facciate”, sia interventi di isolamento della
restante parte dell’involucro (facciate confinanti con chiostrine, cavedi, cortili, superfici orizzontali e
verticali confinanti con vani freddi e terreno), esclusi dal predetto bonus ma rientranti tra quelli
ammessi al cd. “ecobonus” - il contribuente potrà fruire di entrambe le agevolazioni a condizione che
siano distintamente contabilizzate le spese riferite ai due diversi interventi e siano rispettati gli
adempimenti specificamente previsti in relazione a ciascuna detrazione.
Il “bonus facciate” non è nemmeno cumulabile con la detrazione Irpef del 19% prevista dalla
lettera g), articolo 15, comma 1, Tuir in relazione alle spese sostenute per la manutenzione,
protezione o restauro degli immobili vincolati ai sensi del D.Lgs. 42/2004.
SCHEDA DI SINTESI
Con la recente circolare n. 2/E/2020, l’Agenzia delle entrate ha illustrato l’agevolazione prevista
dalla Legge di Bilancio 2020 che ha introdotto la possibilità di detrarre dall’imposta lorda una
somma pari al 90% delle spese documentate e sostenute nell’anno 2020 per gli interventi
finalizzati al recupero o restauro della facciata esterna degli edifici esistenti ubicati in zona A
o B, ai sensi del D.M. 1444/1968 (c.d. “bonus facciate”).
La detrazione riguarda tutti i contribuenti (siano essi soggetti all’Irpef o all’Ires) residenti e non
residenti nel territorio dello Stato che sostengono le spese per l’esecuzione degli interventi
agevolati, a condizione che, al momento di avvio dei lavori (o al momento del sostenimento
delle spese, se antecedente all’avvio delle opere) possiedano l’immobile oggetto dell’intervento
in base a un titolo idoneo (usufrutto, uso, abitazione o diritto di superficie), ovvero detengano
lo stesso in forza a un contratto di locazione, anche finanziaria, di comodato, regolarmente
registrato (in questi casi, inquilino e comodatario devono ottenere il consenso all’esecuzione
dei lavori da parte del proprietario).
La nuova agevolazione si applica per gli interventi eseguiti su edifici esistenti, parti di edifici
esistenti, unità immobiliari esistenti, di qualsiasi categoria catastale, compresi quelli
strumentali. Diversamente, l’agevolazione non spetta per gli interventi effettuati durante la
fase di costruzione dell’immobile, mediante demolizione e ricostruzione, ivi compresi quelli con
la stessa volumetria dell’edificio preesistente anche se sono inquadrabili nella categoria della
“ristrutturazione edilizia” ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera d), D.P.R. 380/2001.
Privati
53 Consulenza immobiliare n. 24/2020
La nuova agevolazione riguarda soltanto gli interventi sulle strutture opache della facciata, su
balconi o su ornamenti e fregi. Rientrano, quindi, tra gli interventi agevolati, quelli di sola
pulitura e/o di sola tinteggiatura esterna (sono inclusi, quindi, detti interventi di manutenzione
ordinaria). Se i lavori di rifacimento della facciata (che non siano di sola pulitura o tinteggiatura
esterna) riguardano interventi influenti dal punto di vista termico, o che interessano oltre il
10% dell’intonaco della superficie disperdente lorda complessiva dell’edificio, gli interventi
devono soddisfare i requisiti di cui al D.M. 26 giugno 2015 e quelli di cui alla Tabella 2
dell’Allegato B al D.M. 11 marzo 2008, con riguardo ai valori di trasmittanza termica.
Le spese relative agli interventi di rifacimento delle facciate devono essere pagate dai soggetti
Irpef non titolari di reddito d’impresa mediante bonifico bancario o postale dal quale risulti la
causale del versamento, il codice fiscale del beneficiario della detrazione, il numero di partita
Iva ovvero il codice fiscale del soggetto a favore del quale il bonifico è effettuato.
Diversamente, per i soggetti titolari di reddito d’impresa, siano essi soggetti Irpef o Ires (società
di persone o società di capitali), il pagamento delle spese potrà avvenire – non necessariamente
mediante bonifico – ma anche tramite altre modalità (ad esempio assegno bancario o postale).
La detrazione Irpef/Ires del 90% deve essere ripartita in 10 quote annuali costanti (e di pari
importo) nell’anno di sostenimento delle spese e nei 9 successivi e spetta fino a concorrenza
dell’imposta lorda: in caso di incapienza in ciascun anno/periodo d’imposta, la detrazione si
perde, nel senso che non può essere richiesta a rimborso né utilizzata nei periodi d’imposta
successivi.
Legale
54 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Consulenza immobiliare n. 24/2020
Il comodato d’uso dell’immobile
destinato a casa familiare: la disciplina
della restituzione al comodante di Alessandro Biasioli – avvocato
Premessa
In questo contributo si analizzerà la situazione in cui si viene a trovare un proprietario di un immobile,
che lo ha concesso in comodato d’uso, senza indicarne un termine finale, a un soggetto, affinché lo
destinasse a casa familiare.
Il caso pratico che si può verificare, per quanto qui ci compete, è il seguente: un padre concede, in
comodato d’uso gratuito, un immobile al proprio figlio, il quale, successivamente, si sposa, ha dei figli,
interrompe la relazione e l’immobile de quo viene, con provvedimento del Tribunale, assegnato alla
moglie (nuora del comodante).
La problematica può sorgere, quindi, nel momento in cui, proprio a seguito di separazione personale o
divorzio tra coniugi, il giudice, attesa la presenza di figli, disponga che l’immobile venga assegnato al
coniuge affidatario dei figli.
Il quesito che si pone è se il proprietario dell'immobile può chiederne la restituzione.
L’istituto in breve
Il comodato è un contratto con il quale una parte (il comodante) consegna all’altra (il comodatario) un
bene mobile o immobile, affinché costui se ne possa servire per un tempo o per un uso determinato,
con l’obbligo di restituirlo.
È un contratto intuitu personae, e tale caratteristica è confermata dall’articolo 1804, cod. civ., che vieta
al comodatario la possibilità di concedere in uso a terzi l’oggetto del comodato. È evidente che colui
che concede in prestito un bene a qualcuno è mosso il più delle volte da ragioni di cortesia, amicizia o
riconoscenza e ciò implica un determinato rapporto di fiducia tra le parti.
È un contratto gratuito e a forma libera (e ciò anche qualora il contratto sia ultranovennale e abbia a
oggetto beni immobili).
Legale
55 Consulenza immobiliare n. 24/2020
L'articolo 1803, cod. civ. è la norma di riferimento che stabilisce la nozione di comodato.
Articolo 1803, cod. civ. – Nozione
“Il comodato è il contratto col quale una parte consegna all'altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva
per un tempo o per un uso determinato, con l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta.
Il comodato è essenzialmente gratuito”
Per quanto concerne la fattispecie in questa sede esaminata, rileva anche il combinato disposto degli
articoli 1809 e 1810, cod. civ..
Articolo 1809, cod. civ. – Restituzione
“Il comodatario è obbligato a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando
se ne è servito in conformità del contratto.
Se però, durante il termine convenuto o prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, sopravviene un
urgente e impreveduto bisogno al comodante, questi può esigerne la restituzione immediata”
Articolo 1810, cod. civ. – Comodato senza determinazione di durata
“Se non è stato convenuto un termine né questo risulta dall'uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario
è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede”
L’articolo 1810, cod. civ., nello specifico, disciplina quella fattispecie giuridica definibile come
“comodato precario”, consistente in un sottotipo di comodato gratuito il cui fine si sostanzia nel tutelare
al massimo il comodante che, qualora rivoglia indietro il bene concesso in comodato, ha la facoltà di
richiederlo in qualsiasi momento (c.d. recesso ad nutum), senza che debbano sussistere necessità
evidenti o problemi economici.
Gli orientamenti a confronto
Ai fini di comprendere se il comodante, a seguito di separazione personale o divorzio tra i coniugi, possa
ottenere la restituzione dell’immobile concesso in comodato – a prescindere dal provvedimento di
assegnazione dello stesso al coniuge affidatario dei figli – risulta importante evidenziare le 2 posizioni
presenti in giurisprudenza, relative alla qualificazione giuridica del comodato di un immobile adibito a
casa familiare.
Comodato precario
L’orientamento minoritario, superato da ben 2 pronunce della Corte di Cassazione SS.UU. (n.
13603/2004 e n. 20448/2014), ha sostenuto la riconducibilità del caso in esame alla fattispecie del
comodato precario. In questo caso sarebbe sufficiente una mera manifestazione di volontà da parte del
comodante, senza addurre alcuna specifica giustificazione, per ottenere la restituzione del bene.
Legale
56 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Non assumerebbe rilievo, dunque, la circostanza che l’immobile sia stato adibito a uso familiare e,
successivamente, assegnato al coniuge affidatario dei figli con specifica pronuncia del Tribunale.
In tal senso si ricorda la sentenza della Suprema Corte n. 15986/2010, secondo cui, nel comodato
precario avente a oggetto un bene immobile, la determinazione del termine di efficacia del contratto è
rimessa alla sola volontà del comodante, che ha facoltà di manifestarla con la semplice richiesta di
restituzione del bene, senza che assuma rilievo la circostanza che l’immobile sia stato adibito a uso
familiare e assegnato, in sede di separazione dei coniugi, all’affidatario dei figli.
Comodato ordinario
Al contrario, una diversa posizione giurisprudenziale – ripresa, in tempi recenti, anche dalla Cassazione
con le sentenze n. 8571/2018 e n. 9796/2019 – individua nel comodato di un immobile adibito a casa
familiare un comodato ordinario. Questo orientamento sostiene che il provvedimento del giudice di
assegnazione dell'immobile al coniuge affidatario, emesso a seguito di giudizio di separazione o
divorzio, non modifica la natura e il contenuto del titolo di godimento sull'immobile, ma semplicemente
determina la concentrazione dello stesso nella persona dell'assegnatario.
Il vincolo di destinazione del contratto alle esigenze abitative dei familiari prescinde, dunque, dalla
durata del rapporto coniugale, con la conseguenza che il rilascio dell'immobile non potrà essere
richiesto finché perdureranno le medesime esigenze abitative familiari, fatta sempre eccezione per i
casi di urgente e imprevisto bisogno, ex articolo 1809, comma 2, cod. civ., in cui il comodante potrà
avanzare richiesta di restituzione.
A tal proposito la Suprema Corte, con sentenza n. 20892/2016, ha precisato che:
“Ai sensi dell'articolo 1809, comma 2, cod. civ., il bisogno che giustifica la richiesta del comodante di
restituzione del bene, lungi dall'essere grave, deve essere imprevisto (e, dunque, sopravvenuto rispetto
al momento della stipula del contratto) e urgente, senza che rilevino bisogni non attuali, né concreti o
ipotizzabili esclusivamente in astratto, sicché non solo la necessità di un uso diretto ma anche il
sopravvenire di un imprevisto deterioramento della condizione economica del comodante, che
giustifichi la restituzione del bene, consente di porre fine al comodato, ancorché la sua destinazione
sia quella di casa familiare. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, che aveva
ritenuto fondata la domanda di rilascio anticipato di un bene immobile da parte di una società che,
dopo averlo concesso in comodato a un socio, per consentire allo stesso una più agevole frequentazione
della vicina sede sociale, aveva inteso, poi, destinarlo, una volta cessato tale interesse per l'esclusione
del comodatario dalla società, a sede di attività sociali).”
Legale
57 Consulenza immobiliare n. 24/2020
L’orientamento prevalente: Cassazione n. 13603/2004 e n. 20448/2014
La sentenza n. 13603/2004
Secondo tale orientamento la stipula di un contratto di comodato, per il soddisfacimento delle esigenze
abitative di un nucleo familiare, vincola la durata del contratto alla sussistenza delle esigenze per cui è
stato concluso, le quali non verrebbero meno in caso di separazione e assegnazione della casa familiare
a uno dei coniugi.
In buona sostanza, la trasformazione che interviene a seguito del provvedimento di assegnazione
della casa familiare, disponendo il passaggio del godimento a un soggetto diverso dall’originale
beneficiario del comodato, non muta il contenuto della convenzione contrattuale che era
inizialmente intercorsa, continuando ad applicarsi, anche al soggetto subentrante nel godimento,
i medesimi principi giuridici che avrebbero regolato il rapporto con il primo beneficiario del
contratto di comodato.
Quindi, il padre che concede in comodato al figlio un immobile, affinché questo lo utilizzi quale
abitazione familiare, rimarrà vincolato dalle stesse pattuizioni anche nei confronti della moglie del
figlio, qualora costei, in caso di separazione personale o divorzio, risulti assegnataria della casa familiare
e affidataria dei figli.
In casi del genere, infatti, per effetto della concorde volontà delle parti, si è impresso al comodato un
generico vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari e non solo a titolo personale del
comodatario. Di conseguenza, tale qualificazione è idonea a conferire all’uso – cui l’immobile deve
essere destinato – il carattere implicito della durata del rapporto, e ciò anche oltre l’eventuale crisi
coniugale, senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà del
comodante.
Non siamo, secondo gli Ermellini, nell’ambito del comodato a tempo indeterminato, ma in quello
ordinario il cui uso consente di stabilire la scadenza contrattuale, con la conseguenza che il comodante
è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva sempre
l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente e imprevedibile bisogno, ai sensi dell’articolo 1809, comma 2,
cod. civ..
La specificità della destinazione – quale casa familiare – come punto di riferimento sarebbe
assolutamente incompatibile con un godimento provvisorio che caratterizza il comodato precario,
Legale
58 Consulenza immobiliare n. 24/2020
legittimando, allo stesso tempo, la cessazione ad nutum del rapporto su unilaterale iniziativa del
comodante.
La sentenza n. 20448/2014
La fattispecie che ha dato origine alla pronuncia in esame riguarda il caso di un genitore che aveva
concesso in comodato al figlio un'abitazione di sua proprietà perché vi abitasse con la famiglia.
In occasione del giudizio di separazione tale abitazione veniva assegnata alla nuora, in quanto
affidataria del figlio minore della coppia.
Il comodante, qualificando – erroneamente – il contratto intercorso con il figlio come comodato senza
determinazione di durata, aveva agito nei confronti dell'assegnataria chiedendo che venisse dichiarata
la cessazione del contratto, il rilascio dell'immobile e, in ultimo, la condanna della convenuta al
pagamento del compenso per il relativo godimento.
Giunta fino in Cassazione, la questione veniva assegnata alla III Sezione che, ritenendo persistere un
contrasto giurisprudenziale, sollecitava il nuovo pronunciamento delle Sezioni Unite.
Il suddetto orientamento delle Sezioni Unite n. 13603/2004, in questa e in altre occasioni, è stato messo
in discussione nel corso degli anni successivi, e, per tal ragione, è stato oggetto della sentenza n.
20448/2014 con la quale, nuovamente a Sezioni Unite, gli Ermellini hanno confermato quanto già
statuito circa 10 anni prima.
In particolare, si è ribadito che, nell’ipotesi di concessione in comodato da parte di un terzo di un
bene immobile di sua proprietà, affinché sia esplicitamente destinato a casa familiare, la
fattispecie contrattuale cui bisogna fare riferimento è il comodato di immobile per un uso
determinato e dunque, come è stato osservato, per un tempo determinabile per relationem, ovvero
che può essere individuato in considerazione della destinazione a casa familiare contrattualmente
prevista, indipendentemente dall’insorgere di una crisi coniugale.
Resta fermo l’assunto che tale principio viene superato, se sopravviene un urgente e imprevedibile
bisogno del comodante. L’urgenza è qui da intendersi come imminenza, restando quindi esclusa la
rilevanza di un bisogno non attuale, non concreto, ma soltanto astrattamente ipotizzabile. Il bisogno
poi deve essere serio, reale, non voluttuario, né artefatto (Cassazione, sentenza n. 20892/2016).
Pertanto, non solo la necessità di uso diretto, ma anche il sopravvenire imprevisto del deterioramento
della condizione economica – che obiettivamente giustifichi la restituzione del bene anche ai fini della
vendita o di una redditizia locazione del bene immobile – consente di porre fine al comodato, anche se
la destinazione sia quella di casa familiare.
Legale
59 Consulenza immobiliare n. 24/2020
In ogni caso, è stato confermato che, ogni qualvolta un immobile venga concesso in comodato con
destinazione abitativa, non si possa immancabilmente riconoscergli durata pari alle esigenze della
famiglia del comodatario, ancorché disgregata.
Se poi il coniuge separato – con cui sia convivente la prole minorenne o, comunque, non autosufficiente
– si oppone alla richiesta di rilascio, dovrà provare l’esistenza di un comodato di casa familiare con
scadenza non prefissata. Tale prova potrebbe risultare più difficile, qualora la concessione dell’immobile
in comodato sia avvenuta in favore di un soggetto all’epoca non coniugato, né prossimo alle nozze,
dovendosi in tal e caso dimostrare che, dopo l’insorgere della nuova situazione familiare, il comodato
medesimo sia stato confermato e mantenuto per soddisfare esigenze non solo personali, ma dell’intero
nucleo familiare.
La giurisprudenza recente – un breve panorama
La prova del comodato stipulato per esigenze del nucleo familiare
Come sopra precisato, elemento fondamentale ai fini della possibilità, per il comodante, di ottenere la
restituzione dell’immobile, è provare che la medesima abitazione sia stata concessa in comodato non
per un uso personale del comodatario, ma per una più ampia esigenza dell’intero nucleo familiare.
Su tale argomento è intervenuta la Cassazione, con sentenza n. 24838/2014, la quale ha richiamato
l’attenzione sul fatto che, laddove non risultino chiare le esigenze familiari che sottendono alla
conclusione del contratto di comodato, va favorita la soluzione della cessazione del vincolo. Questo in
quanto si deve desumere che non vi sia stata determinazione del termine di scadenza, con la
conseguenza che il comodante può in ogni momento chiedere la restituzione della cosa, non
condizionata alla presenza degli urgenti bisogni di cui sopra si è detto.
Nel caso di specie, la Cassazione ha accolto il ricorso proposto dalla proprietaria di un immobile, che
aveva chiesto la risoluzione del contratto di comodato concluso con il figlio – nel frattempo sposatosi
e poi separatosi con conseguente provvedimento di assegnazione della casa familiare, oggetto del
comodato, alla moglie affidataria e al figlio minorenne – in quanto, ormai anziana e vedova, avrebbe
avuto necessità di rientrare in possesso della casa familiare.
La nuora si opponeva alla richiesta, facendo presente che si trattava di comodato destinato allo specifico
uso di abitazione coniugale, non soggetto a scioglimento prima della cessazione dell’uso medesimo,
ma a tale affermazione non sarebbero seguite idonee prove in ordine proprio alla volontà di subordinare
la stipula del comodato alla suddetta finalità.
Legale
60 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Nel dubbio, precisano gli Ermellini, va adottata la soluzione più favorevole alla cessazione del vincolo
e, al contempo, deve essere interpretata con favore nei confronti del comodante la norma che lo
autorizza a chiedere la restituzione del bene concesso gratuitamente in uso, soprattutto quando si tratti
di bene immobile e quando vengano prospettate esigenze abitative personali, per di più facenti capo a
una persona anziana, sola e bisognosa di cure che si è già privata dell’immobile per diversi anni.
Ulteriore conferma di quanto sopra è rinvenibile nella sentenza della Cassazione n. 24468/2014, che si
riferisce al caso in cui il proprietario di un locale commerciale – che aveva concesso l’immobile in
comodato alla moglie per l’esercizio dell’attività di estetista – dopo la separazione, agiva in giudizio
per chiedere il rilascio dell’immobile e la moglie si opponeva alla richiesta, sostenendo che il centro
estetico era essenziale per l’attività lavorativa della donna e tale attività lavorativa era a sua volta
necessaria per il mantenimento dei figli.
Secondo la Suprema Corte è errato ritenere che il comodato di un immobile destinato a una determinata
attività commerciale sia implicitamente soggetto a un termine di durata corrispondente alla durata
dell’attività che vi si svolge.
Sulla base dell’articolo 1810, cod. civ., infatti, la regola è che l’immobile concesso in comodato debba
essere restituito non appena il comodante lo richieda, salvo che sia stato pattuito espressamente un
termine di durata o che il termine di durata del comodato risulti dall’uso cui la cosa è destinata.
La circostanza che nell’immobile dato in comodato sia svolta un’attività commerciale non è sufficiente
per ritenere, quel comodato, soggetto a un termine implicito, con la conseguenza che il comodante non
possa chiedere la restituzione dell’immobile sino a che non cessi l’attività in esso svolta.
Recente conferma dell’orientamento di cui alle sentenze del 2004 e del 2014
In conclusione, si evidenzia che, anche recentemente, la Suprema Corte ha confermato il secondo
orientamento sopra descritto (Cassazione n. 13603/2004 e n. 20448/2014). Si veda, su tutte, l’ordinanza
n. 19012/2019:
“Il coniuge affidatario della prole minorenne, o maggiorenne non autosufficiente, assegnatario della
casa familiare, può opporre al comodante, che chieda il rilascio dell'immobile, l'esistenza di un
provvedimento di assegnazione, pronunciato in un giudizio di separazione o divorzio, solo se tra il
comodante e almeno uno dei coniugi il contratto in precedenza insorto abbia contemplato la
destinazione del bene a casa familiare. Ne consegue che, in tale evenienza, il rapporto, riconducibile
al tipo regolato dagli articoli 1803 e 1809, cod. civ., sorge per un uso determinato e ha, in assenza di
un'espressa indicazione della scadenza, una durata determinabile per relationem, con applicazione
Legale
61 Consulenza immobiliare n. 24/2020
delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente dall'insorgere di
una crisi coniugale, ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi
delle necessità familiari che avevano legittimato l'assegnazione dell'immobile”.
SCHEDA DI SINTESI
Immobile concesso in comodato d’uso, senza indicare un termine finale, a un soggetto affinché
lo destini a casa familiare.
Fattispecie riconducibile al comodato precario o al comodato ordinario?
È un comodato ordinario, in quanto il provvedimento del giudice, di assegnazione dell'immobile
al coniuge affidatario, emesso a seguito di giudizio di separazione o divorzio, non modifica la
natura e il contenuto del titolo di godimento sull'immobile, ma semplicemente determina la
concentrazione dello stesso nella persona dell'assegnatario.
Cassazione n. 13603/2004: la stipula di un contratto di comodato, per il soddisfacimento delle
esigenze abitative di un nucleo familiare, vincola la durata del contratto alla sussistenza delle
esigenze per cui è stato concluso, le quali non vengono meno in caso di separazione e
assegnazione della casa familiare a uno dei coniugi. La trasformazione che interviene a seguito
del provvedimento di assegnazione della casa familiare, disponendo il passaggio del godimento
a un soggetto diverso dall’originale beneficiario del comodato, non muta il contenuto del
contratto, continuando ad applicarsi anche al soggetto subentrante nel godimento
dell’immobile.
Cassazione n. 20448/2014: in caso di concessione in comodato da parte di un terzo di un bene
immobile di sua proprietà, affinché sia esplicitamente destinato a casa familiare, la fattispecie
contrattuale cui bisogna fare riferimento è il comodato di immobile per un uso determinato e,
dunque, come è stato osservato, per un tempo determinabile per relationem, ovvero che può
essere individuato in considerazione della destinazione a casa familiare contrattualmente
prevista, indipendentemente dall’insorgere di una crisi coniugale.
Catasto
62 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Consulenza immobiliare n. 24/2020
Agevolazioni prima casa. Solidarietà
passiva del venditore di Luigi Cenicola – esperto fiscale
La solidarietà passiva è prevista dall’articolo 1292, cod. civ. e seguenti il quale stabilisce che
l’obbligazione è in solido quando più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione in modo
che ciascuno può essere costretto all’adempimento per la totalità e l’adempimento da parte di uno
libera gli altri. In sintonia con la norma civilistica e ai fini dell’imposta di registro, l’articolo 57, comma
1, D.P.R. 131/1986, prevede che sono, fra l’altro, solidalmente obbligati al pagamento dell'imposta le
parti contraenti, le parti in causa, coloro che hanno sottoscritto. La Cassazione è intervenuta sul tema,
con riguardo alle agevolazioni “prima casa”, affermando che la revoca delle medesime comporta la
responsabilità solidale del venditore qualora sia dovuta a circostanze non imputabili in via esclusiva a
un determinato comportamento dell'acquirente, come una dichiarazione mendace sulla sussistenza di
presupposti per fruire del trattamento agevolato, ma a elementi oggettivi del contratto stipulato tra le
parti, ad esempio, l'avere l'immobile caratteristiche di lusso.
Premessa
Come noto, ai fini dell’imposta di registro, i presupposti della revoca dell’agevolazione “prima casa” per
gli immobili cosiddetti di lusso, considerati tali sulla base dei parametri stabiliti dal D.M. 2 agosto 1969,
riguardano i trasferimenti immobiliari antecedenti al 1° gennaio 2014. Come chiarito dalla Cassazione,
tali criteri permangono anche alla luce dello jus superveniens di cui all’articolo 10, comma 1, lettera a),
D.Lgs. 23/2011, il quale, nel sostituire il comma 2 dell’articolo 1, Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R
131/1986, ha previsto che l’esclusione dall’agevolazione non dipende dalle caratteristiche qualitative
e di superficie (individuate sulla base del suddetto decreto) quanto dalla circostanza che la casa di
abitazione sia iscritta in categoria catastale A/1, A/8 o A/9 (rispettivamente: abitazioni di tipo signorile;
abitazioni in ville; castelli e palazzi con pregi artistici o storici). Il nuovo regime si applica, quindi, ai
Catasto
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trasferimenti posti in essere dopo il 1° gennaio 20141 e la normativa di riferimento, non fa più richiamo
al decreto dei LL.PP. del 1969.
Relativamente alla tassazione si rammenta che fino al 2013, ricorrendo le condizioni previste dalla nota
II-bis del predetto articolo 1 della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. 131/1986, per gli atti di acquisto
della “prima casa” era dovuta l’imposta di registro nella misura proporzionale applicando l’aliquota del
3%. A seguito delle modifiche introdotte dall’articolo 10, D.Lgs. 23/2011 e dell’articolo 1, comma 608,
L. 147/2013 (di Stabilità per l’anno 2014), tali compravendite sono soggette all’aliquota del 2% (a
condizione, per quanto già detto, che abbiano a oggetto case di abitazione non iscritte nelle categorie
catastali di pregio A/1, A/8 e A/9). Sostanzialmente beneficiano dell’imposta ridotta le abitazioni
accatastate nelle categorie da A/2 ad A/7.
Inoltre, tutti gli atti e le formalità direttamente conseguenti posti in essere per effettuare gli
adempimenti presso il Catasto e i registri immobiliari sono esenti dall'imposta di bollo, dai tributi
speciali catastali e dalle tasse ipotecarie e soggetti alle imposte ipotecaria e catastale ciascuna nella
misura fissa di 50 euro.
Sebbene la riforma abbia comportato la soppressione di diverse agevolazioni, contenute anche in leggi
speciali, la permanenza di quelle a favore della “prima casa” ha comportato, di conseguenza, la conferma
dei requisiti e delle relative cause di decadenza per cui il riconoscimento dei benefici è subordinato al
rispetto delle condizioni richieste dalla nota medesima.
Stessa sorte è toccata alla disciplina in materia di Iva; l’articolo 33, D.Lgs. 175/2014, modificando il n.
21 della Tabella A, Parte II, allegata al D.P.R. 633/1972 nella parte in cui era richiamato il D.M. 2 agosto
1969, ha introdotto il criterio catastale quale parametro di valutazione per l’applicazione dell’aliquota
agevolata del 4% con il risultato che, anche ai fini di tale imposta, il beneficio “prima casa” è escluso
per gli immobili rientranti in una delle suddette categorie A/1, A/8 e A/9.
A completamento di quanto sopra occorre aggiungere che permane, invece, il rispetto dei requisiti di
qualità intrinseca e di superficie per i fabbricati agricoli a uso abitativo. L’articolo 9, comma 3, lettera
e), D.L. 557/1993 non riconosce, infatti, la “ruralità” alle abitazioni che, oltre a essere censite nelle
categorie catastali di pregio (A/1 e A/8), presentano le caratteristiche tipiche delle case di lusso
richiamate dal Decreto Ministeriale2.
1 Cfr. Cassazione, sentenza n. 3360/2017. 2 Articolo 9, comma 3, lettera e), D.L. 557/1993: i fabbricati a uso abitativo, che hanno le caratteristiche delle unità immobiliari urbane
appartenenti alle categorie A/1 e A/8, ovvero le caratteristiche di lusso previste dal D.M. 2 agosto 1969, adottato in attuazione dell'articolo
13, L. 408/1949, non possono comunque essere riconosciuti rurali.
Catasto
64 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Tutto questo, com’è facile intuire, ha dato luogo a un consistente contenzioso e, ancorché siano trascorsi
diversi anni da quando la norma è stata riformata ed è ormai a “regime”, pur tuttavia la Suprema Corte
è ancora alle prese su controversie che riguardano atti stipulati in epoca anteriore all’anno 2014 e che
coinvolgono, in caso di revoca dei benefici, la responsabilità del venditore come si vedrà in seguito.
Il più volte menzionato D.M. 1072/1969 individua (dato che non è stato abrogato ed esplica ancora i
suoi effetti nei confronti dei fabbricati abitativi rurali) i criteri nonché le tipologie delle case di lusso
per cui, ante riforma, era impossibile conseguire le agevolazioni “prima casa” quando si trattava di
abitazioni:
− realizzate su aree destinate dagli strumenti urbanistici, adottati o approvati, a “ville”, “parco privato”
ovvero a costruzioni qualificate dai predetti strumenti come “di lusso” (articolo 1, D.M. 1072/1969);
− realizzate su aree per le quali gli strumenti urbanistici, adottati od approvati, prevedono una
destinazione con tipologia edilizia di case unifamiliari e con la specifica prescrizione di lotti non inferiori
a 3000 mq, escluse le zone agricole, anche se in esse siano consentite costruzioni residenziali (articolo
2, D.M. 1072/1969);
− facenti parte di fabbricati che abbiano cubatura superiore a 2000 mc e siano realizzati su lotti nei
quali la cubatura edificata risulti inferiore a 25 me. vuoto per pieno per ogni 100 mq di superficie
asservita ai fabbricati (articolo 3, D.M. 1072/1969);
− unifamiliari dotate di piscina di almeno 80 mq di superficie o campi da tennis con sottofondo drenato
di superficie non inferiore a 650 mq (articolo 4, D.M. 1072/1969);
− composte di uno o più vani costituenti unico alloggio padronale aventi superficie utile complessiva
superiore a 200 mq (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine) ed
eventi come pertinenza un’area scoperta della superficie di oltre 6 volte l’area coperta (articolo 5, D.M.
1072/1969)
Ovvero:
− di singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a 240 mq, esclusi i balconi,
le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine (articolo 6, D.M. 1072/1969);
− case facenti parte di fabbricati o costituenti fabbricati insistenti su aree comunque destinate
all’edilizia residenziale, quando il costo del terreno coperto e di pertinenza supera di una volta e mezzo
il costo della sola costruzione (articolo 7, D.M. 1072/1969);
− se presenti oltre 4 caratteristiche tra quelle citate (articolo 8, D.M. 1072/1969).
Il requisito di cui all’articolo 6, D.M. 1072/1969 è quello che è stato ed è ancora oggetto di contestazione
non solo per quanto riguarda la sussistenza dei presupposti “prima casa” ma anche (e soprattutto) per
Catasto
65 Consulenza immobiliare n. 24/2020
le abitazioni a uso agricolo poiché, per queste, il superamento del limite dei 240 mq dà luogo al
disconoscimento della “ruralità”3.
Va subito detto che, relativamente alla “prima casa”, la Cassazione ha fatto presente che principi di
ragionevolezza ed equità contributiva impongono che, al fine di stabilire la spettanza delle agevolazioni
tributarie in oggetto, l’abitazione deve essere considerata “di lusso” o “non di lusso” con riferimento al
momento dell’acquisto, e non a quello della sua costruzione o eventuale ristrutturazione successiva4.
Quanto poi alle modalità di determinazione della superficie tassabile la stessa Corte di Cassazione a
più riprese ha affermato che, per il calcolo previsto dall’articolo 6, D.M. 1072/1969, vanno esclusi dal
dato quantitativo globale della superficie dell’immobile indicata nell’atto di acquisto solo balconi,
terrazze, cantine, soffitte, scale e posto macchina, e non l'intera superficie non calpestabile, come quella
afferente a mura perimetrali e divisorie5.
In altra circostanza è stato sottolineato che ai fini del riconoscimento dell’agevolazione il calcolo della
superficie dell’abitazione non può essere effettuato alla stregua del disposto dell’articolo 3, D.M.
801/1977 (“Determinazione del costo di costruzione di nuovi edifici”), che definisce la superficie abitabile
come “la superficie di pavimento degli alloggi misurata al netto di murature, pilastri, tramezzi, sguinci, vani
di porte e finestre, di eventuali scale interne, di logge e di balconi”6 come anche è stato osservato, con
riferimento alla “utilizzabilità” della superficie, che:
«per stabilire se una abitazione sia di lusso e, quindi, sia esclusa dall’agevolazione per l’acquisto della
“prima casa”, di cui all’articolo 1, comma 2, Parte I, Tariffa allegata al D.P.R. 131/1986, occorre fare
riferimento alla nozione di “superficie utile complessiva” di cui all’articolo 6, D.M. lavori pubblici 2
agosto 1969, in forza del quale è irrilevante il requisito dell’ abitabilità” dell’immobile, siccome da esso
non richiamato, mentre quello dell’utilizzabilità” degli ambienti, a prescindere dalla loro effettiva
abitabilità, costituisce parametro idoneo ad esprimere il carattere “lussuoso” di una abitazione».7
Pertanto, il requisito dell’“utilizzabilità” degli ambienti, a prescindere dalla loro effettiva abitabilità,
costituisce parametro idoneo a esprimere il carattere “lussuoso” di una abitazione.
3 Cfr. Cassazione, sentenze n. 9760/2003 e n. 2010/2018: permane, quindi, questa differenza nel sistema che penalizza, e non poco, proprio le
abitazioni rurali considerato che, dal punto di vista prettamente estimativo/catastale, sono delle “comuni” unità immobiliari che si distinguono
dalle altre, di pari categoria catastale, per il solo fatto di essere utilizzate da soggetti qualificati (cd e Iap) dediti all’espletamento dell’attività
agricola. Può, quindi, verificarsi (paradossalmente) che una casa, di superficie superiore a 240 mq, sia comunque censita nella categoria A/2
come “abitazione di tipo di civile”, e non qualificata, quindi, “di lusso”, mentre lo stesso fabbricato, destinato però a uso agricolo, potrebbe
perdere la “ruralità” e le annesse agevolazioni fiscali, nel caso in cui si verifichi il superamento dei 240 mq. 4 Cfr. Cassazione, n. 1439/2016 e n. 459/2018. 5 Cfr. Cassazione, n. 861/2014; n. 24469/2015; n. 8421/2017 e n.17470/2019. 6 Cfr. Cassazione, n. 11556/2016. 7 Cfr. Cassazione, n. 25674/2013 e n. 18480/2016.
Catasto
66 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Solidarietà passiva del venditore
Ai fini dell’imposta di registro l’articolo 10, D.P.R. 131/1986, individua coloro che sono obbligati a
richiedere la registrazione mentre il successivo articolo 57, Tur indica i soggetti obbligati al pagamento
per cui vi è una sostanziale coincidenza delle persone chiamate ai relativi adempimenti.
L’articolo da ultimo citato, al comma 1, dispone che:
“Oltre ai pubblici ufficiali, che hanno redatto, ricevuto o autenticato l'atto, e ai soggetti nel cui interesse
fu richiesta la registrazione, sono solidalmente obbligati al pagamento dell'imposta le parti contraenti,
le parti in causa, coloro che hanno sottoscritto o avrebbero dovuto sottoscrivere le denunce di cui agli
articoli 12 (Richiesta di registrazione dei contratti verbali e delle operazioni di società ed enti esteri) e
19 (Denuncia di eventi successivi alla registrazione) e coloro che hanno richiesto i provvedimenti di
cui agli articoli 633, 796, 800 e 825, c.p.c.”.
Il comma 4 prevede, inoltre, che:
“L'imposta complementare8 dovuta per un fatto imputabile soltanto a una delle parti contraenti è a
carico esclusivamente di questa”.
Su questo particolare aspetto si è espressa di recente la Corte di legittimità, con ordinanza n. 2633/2020,
esaminando la controversia sorta a seguito della notifica di un avviso di liquidazione delle imposte di
registro, ipotecaria e catastale a 2 soggetti i quali avevano venduto (prima del 2014) un immobile il cui
acquirente aveva beneficiato delle agevolazioni “prima casa”. L’ufficio dell’Agenzia delle entrate,
ritenendo che l’unità immobiliare in questione aveva una superficie superiore ai 240 mq negava i
benefici fiscali conseguiti e recuperava le imposte nella misura ordinaria; la questione verteva quindi
sulla solidarietà passiva del venditore.
Prima di entrare nel merito della questione sembra opportuno richiamare le norme civilistiche che
regolano la materia. L’articolo 1292 e ss., cod. civ. stabilisce che l’obbligazione è in solido quando più
debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione in modo che ciascuno può essere costretto
all’adempimento per la totalità e l’adempimento da parte di uno libera gli altri; oppure quando tra più
creditori ciascuno ha diritto di chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione e l’adempimento
conseguito da uno di essi libera il debitore verso tutti i creditori. Nei rapporti interni l’obbligazione in
solido si divide tra i diversi debitori o tra i diversi creditori, salvo che sia stata contratta nell’interesse
esclusivo di alcuno di essi (articolo 1298, cod. civ.); il debitore in solido che ha pagato l’intero debito
8 Articolo 42, comma 1, D.P.R. 131/1986.
Catasto
67 Consulenza immobiliare n. 24/2020
può ripetere dai condebitori soltanto la parte di ciascuno di essi (articolo 1299, cod. civ.) per cui ha un
diritto di rivalsa nei loro confronti.
A tale riguardo la Corte Costituzionale9 ha escluso l’incostituzionalità dell’articolo 57, Tur rinvenendo
la solidarietà nel pagamento dell’imposta di registro la sua giustificazione nel rapporto giuridico
economico intercorrente tra i soggetti che rivestono la qualità di “parti in causa”. Pertanto, tale
disposizione rientra nell’ambito di quanto previsto dall’articolo 1292, cod. civ. e ss. per cui, ad esempio,
colui che assolve l’intera imposta di registro può rivalersi per la parte imputabile a ciascuno degli altri
coobbligati. Solitamente avviene però che negli atti di trasferimento l’acquirente si accolla per intero
la registrazione dell’atto e non può rivalersi nei confronti di altri soggetti terzi.
Nella fattispecie in esame i venditori, declinando la loro solidarietà passiva, impugnavano l'avviso di
liquidazione davanti alla CTP che accoglieva il ricorso ritenendo illegittimo l’atto dell’ufficio. Più
propriamente i ricorrenti sostenevano di non essere obbligati in solido (articolo 57, comma 1, Tur) con
l’acquirente in quanto costui aveva rilasciato una dichiarazione ritenuta mendace10 e conseguentemente
trovava applicazione l’articolo 57, comma 4, Tur; siccome la “mendacità della dichiarazione” era stata del
solo acquirente, i contribuenti venditori non potevano essere con lui obbligati in solido.
La CTR confermava la decisione di primo grado, rigettando l’appello. Nella sentenza la Commissione
Tributaria sosteneva che, se da un lato le maggiori imposte potevano essere pretese, se del caso, solo
nei confronti dell'acquirente, dall'altro lato l'immobile, come risultava dalla perizia tecnica prodotta dai
contribuenti e dalla planimetria in atti, era di dimensioni tali (219 mq al netto dei muri, delle terrazze,
dei balconi, delle soffitte e delle scale) da non poter essere definito di lusso (era, quindi, inferiore ai mq
240 previsti dall'articolo 6, D.M. 1072/1969, per la qualifica di immobile di lusso) a nulla rilevando la
superficie catastale (281 mq) menzionata nel contratto di compravendita e determinata con i criteri
stabiliti dal D.P.R. 138/199811.
Nel ricorso per Cassazione l'Agenzia delle entrate, nel fare presente che il richiamo all’articolo 57, Tur
era fuori luogo, incentrava le sue osservazioni sostanzialmente sull’assenza di un presupposto oggettivo
per la fruizione dei benefici “prima casa” (non essere l'immobile “di lusso”) sostenendo inoltre che i
metodi di calcolo utilizzati dal perito di parte e fatti propri dalla Commissione Tributaria erano contrari
alla normativa di riferimento.
9 Cfr. Corte Costituzionale, ordinanza n. 215/2000. 10 L’articolo 75, D.P.R. 445/2000, dispone che “qualora dal controllo emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade
dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”. 11 Regolamento recante norme per la revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe d'estimo delle unità immobiliari urbane e dei relativi
criteri nonché delle commissioni censuarie in esecuzione.
Catasto
68 Consulenza immobiliare n. 24/2020
I giudici di legittimità, accogliendo le istanze dell’Amministrazione finanziaria, hanno osservato nel
merito che la CTR aveva ritenuto l'immobile in questione non di lusso perché di superficie inferiore a
240 mq interpretando il dettato dell’articolo 6 del Decreto dei lavori pubblici nel senso che lo stesso
impone di escludere dal dato quantitativo globale della superficie dell'immobile indicata nell'atto di
acquisto anche i muri oltre che i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e i posto macchina,
imponga cioè di fare riferimento alla superficie calpestabile. Tale interpretazione contrasta però con
quella della Cassazione secondo cui i muri perimetrali e divisori non devono essere esclusi12.
A chiarimento della solidarietà passiva la Corte ha ribadito che, in tema di benefici “prima casa”, la
revoca dei medesimi comporta la responsabilità solidale del venditore (articolo 57, comma 1, Tur)
qualora sia dovuta a:
“circostanze non imputabili in via esclusiva a un determinato comportamento dell'acquirente, come
una dichiarazione mendace sulla sussistenza di presupposti per fruire del trattamento agevolato, ma a
elementi oggettivi del contratto stipulato tra le parti, ad esempio, l'avere l'immobile caratteristiche di
lusso”.13
SCHEDA DI SINTESI
L’articolo 1292, cod. civ. stabilisce che l’obbligazione è in solido quando più debitori sono
obbligati tutti per la medesima prestazione in modo che ciascuno può essere costretto
all’adempimento per la totalità e l’adempimento da parte di uno libera gli altri. Nei rapporti
interni l’obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori o tra i diversi creditori, salvo che
sia stata contratta nell’interesse esclusivo di alcuno di essi (articolo 1298, cod. civ.); il debitore
in solido che ha pagato l’intero debito può ripetere dai condebitori soltanto la parte di ciascuno
di essi (articolo 1299, cod. civ.) per cui ha un diritto di rivalsa nei loro confronti.
Ai fini dell’imposta di registro il principio civilistico è ripreso dall’articolo 57, comma 1, Tur il
quale prevede che la solidarietà passiva, oltre ai pubblici ufficiali che hanno redatto, ricevuto
o autenticato l'atto, coinvolge le parti contraenti, le parti in causa, coloro che hanno sottoscritto
l’atto; soggetti quindi tenuti solidalmente al pagamento del tributo.
La Corte Costituzionale ha escluso l’incostituzionalità dell’articolo 57, Tur rinvenendo la
solidarietà nel pagamento dell’imposta di registro la sua giustificazione nel rapporto giuridico
12 Cfr. Cassazione, n. 21287/2013 e n. 8421/2017. 13 Cfr. Cassazione, n. 24400/2016 e n. 2889/2017.
Catasto
69 Consulenza immobiliare n. 24/2020
economico intercorrente tra i soggetti che rivestono la qualità di “parti in causa”. Pertanto, tale
disposizione rientra nell’ambito di quanto previsto dall’articolo 1292, cod. civ.
Su questo particolare aspetto è intervenuta di recente la Corte di legittimità che, con ordinanza
n. 2633/2020, si è espressa in merito al contenzioso sorto a seguito della notifica di un avviso
di liquidazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale a 2 soggetti i quali avevano
venduto (prima del 2014) un immobile il cui acquirente aveva beneficiato delle agevolazioni
“prima casa”. L’Agenzia delle entrate, ritenendo che l’unità immobiliare in questione aveva una
superficie superiore ai 240 mq negava i benefici fiscali conseguiti e recuperava le imposte nella
misura ordinaria; la questione verteva quindi sulla solidarietà passiva del venditore. I venditori,
declinando la loro solidarietà passiva, sostenevano di non essere obbligati in solido (articolo
57, comma 1, Tur) con l’acquirente in quanto costui aveva rilasciato una dichiarazione ritenuta
mendace per cui trovava applicazione l’articolo 57, comma 4, Tur.
La Corte ha ribadito che, in tema di benefici “prima casa”, la revoca dei medesimi comporta la
responsabilità solidale del venditore qualora sia dovuta a “circostanze non imputabili in via
esclusiva ad un determinato comportamento dell'acquirente, come una dichiarazione mendace sulla
sussistenza di presupposti per fruire del trattamento agevolato, ma ad elementi oggettivi del
contratto stipulato tra le parti, ad esempio, l'avere l'immobile caratteristiche di lusso”.
Tributi minori
70 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Consulenza immobiliare n. 24/2020
La disciplina del ravvedimento operoso
Imu alla luce delle ultime novità –
Parte seconda di Fabio Garrini – dottore commercialista, revisore dei conti e pubblicista
Con il presente contributo continuiamo l’analisi della disciplina del ravvedimento operoso applicato ai
tributi locali.
Il computo del termine annuale al ravvedimento
Sul computo del termine annuale previsto dalla lettera b), articolo 13, D.Lgs. 472/1997, che dispone la
riduzione a 1/8 già applicabile precedentemente alle modifiche introdotte con la L. 190/2014, la norma
distingue il termine entro cui applicare la misura ridotta a seconda che il tributo sia soggetto o meno a
dichiarazione periodica; il termine risulta collegato:
− alla data di presentazione della dichiarazione ovvero
− alla data in cui doveva essere effettuato il versamento, nel caso in cui la disciplina tributaria non
preveda una dichiarazione periodica.
La differenza è evidente:
− nel primo caso, tanto l’acconto Imu 2019 quanto il saldo Imu 2019 sarebbero definibili con la misura
ridotta entro il prossimo 31 dicembre 2020 ossia il termine entro il quale occorre presentare, ove dovuta,
la dichiarazione Imu/Tasi per le variazioni intercorse nel 2019 (prevista rispettivamente per l’Imu
all'articolo 13, comma 12-ter, primo periodo, D.L. 201/2011 e per la Tasi all'articolo 1, comma 684, L.
147/2013). Da evidenziare che il termine precedentemente previsto al 30 giugno è stato posticipato
dall’articolo 3-ter, D.L. 34/2019 al 31 dicembre dell’anno successivo; è curioso notare che la nuova
disciplina Imu (si tratta del comma 769, articolo 1, L. 160/2019) avrebbe riportato al 30 giugno la
scadenza di presentazione della dichiarazione Imu;
− al contrario, sposando la seconda tesi, il ravvedimento dell’acconto 2019 sarebbe definibile entro il
15 giugno 2020, mentre il saldo 2019 avrebbe come termine per la definizione tramite ravvedimento il
15 dicembre 2020.
Tributi minori
71 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Su questo tema consta l’interpretazione condivisibile della nota Ifel datata 19 gennaio 2015. In tale
documento si evidenzia come, diversamente da quanto ritenuto dal Mef nella risoluzione n. 1/DF/2013,
in tema di tributi locali (nello specifico Imu), l'obbligo dichiarativo deve essere assolto solo in occasioni
circostanziate e ben precise (che peraltro sono ormai residuali) ovvero qualora intervengano variazioni
specifiche inerenti il possesso, la detenzione degli immobili, o modifiche rilevanti ai fini della
determinazione del tributo (occorre verificare i casi di esonero indicati nelle istruzioni alla
presentazione del modello dichiarativo). A tal fine, quindi, con riferimento ai citati tributi,
un'interpretazione sistematica e coordinata della nuova disposizione condurrebbe alla conseguenza di
far riferimento al termine annuale decorrente dal momento della scadenza di pagamento del tributo.
Nel documento Ifel si afferma in particolare che la dichiarazione Imu, così come quella Tasi, non può
considerarsi dichiarazione periodica, in quanto non sussiste alcun obbligo normativo alla sua
ripresentazione, nel caso in cui gli elementi che incidono sull’ammontare dell’imposta dovuta non
abbiano subito modifiche. Si tratta pertanto di dichiarazione episodica, che va presentata peraltro solo
in determinate ipotesi ampiamente esemplificate nelle istruzioni ministeriali al modello dichiarativo.
Non appare, altresì, sufficiente a qualificare la dichiarazione Imu come periodica la circostanza che essa
sia dichiarazione ultrattiva (ossia produce effetti sugli anni successivi per gli elementi che non si
modificano).
Purtroppo, occorre segnalare, l’Agenzia delle entrate nella circolare n. 23/E/2015 trascura la posizione
espressa dall’Ifel e conferma il precedente interpretativo, ancorando il ravvedimento al termine di
presentazione della dichiarazione Imu/Tasi:
“così, ad esempio, è possibile avvalersi del c.d. “ravvedimento lungo”, di cui alla lettera b) del citato
articolo 13, per le violazioni concernenti l’imposta municipale propria (Imu) e il tributo per i servizi
indivisibili (Tasi), entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui è stata commessa la violazione,
come precisato nella risoluzione n. 1/DF/2013 e nelle istruzioni per la compilazione della dichiarazione
Imu approvate con D.M. 30 ottobre 2012”.
Accessi, ispezioni e verifiche
Da notare che il comma 1-ter, articolo 13, D.Lgs. 472/1997 dispone quanto segue:
“Ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo, per i tributi amministrati
dall'Agenzia delle entrate non opera la preclusione di cui al comma 1, primo periodo, salva la notifica
degli atti di liquidazione e di accertamento, comprese le comunicazioni recanti le somme dovute ai
Tributi minori
72 Consulenza immobiliare n. 24/2020
sensi degli articoli 36-bis e 36-ter, D.P.R. 600/1973, e successive modificazioni, e 54-bis D.P.R.
633/1972, e successive modificazioni.”
Questo sta a significare che per i tributi comunali rimane operativa la tradizionale causa ostativa: il
ravvedimento operoso è infatti possibile:
“sempreché la violazione non sia stata già constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni,
verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l'autore o i soggetti solidalmente
obbligati, abbiano avuto formale conoscenza”.
Pertanto, per fare un esempio, una eventuale richiesta di informazioni o documentazione da parte del
Comune (ad esempio: richiesta dei valori contabili per la verifica della corretta determinazione della
base imponibile per i fabbricati di categoria D, ovvero una richiesta di informazioni riguardanti i
presupposti per applicare un’esenzione), inibisce la possibilità di azionare il ravvedimento operoso.
Su questo punto è bene richiamare quanto affermato in relazione a tale causa ostativa dalla circolare
n. 180/1998 (in relazione ai tributi erariali, oggi chiarimenti applicabili sono ai tributi locali):
− qualora l'accesso, l'ispezione o la verifica riguardino specifici periodi d'imposta, il ravvedimento
rimane esperibile per le violazioni commesse in periodi d'imposta diversi da quello (o quelli) oggetto di
controllo. Sul punto occorre osservare che quando un Comune recapita richieste di informazioni,
difficilmente queste sono relative a una sola annualità;
− allo stesso modo, la verifica non inibisce la possibilità di regolarizzazione per le violazioni relative a
un tributo diverso da quello oggetto di verifica. Ad esempio, se la richiesta di chiarimenti riguarda
l’imposta sui rifiuti, ad esempio per una verifica della superficie, il contribuente potrebbe procedere al
ravvedimento dell’eventuale Imu non versata);
− ancora, va chiarito che l'esistenza di cause ostative va riferita, per espressa previsione normativa, non
solo all'autore della violazione ma anche “ai soggetti solidamente obbligati” al pagamento della sanzione.
Questo significa che tra diversi cointestatari di un bene (ad esempio: 2 fratelli che possiedono quote al
50%) poiché non sussiste alcuna responsabilità solidale tra di essi, l’eventuale accertamento notificato
a uno di questi non pregiudica per l’altro la possibilità di azionare il ravvedimento operoso.
L’unico caso di responsabilità solidale è quello previsto ai fini Tasi tra possessori e detentori:
− in caso di pluralità di possessori, essi sono tenuti in solido all’adempimento dell’unica obbligazione
tributaria. Sul punto è stato chiarito che il versamento dovrà essere ripartito tra i vari possessori in
relazione alla propria quota; la solidarietà riguarderà esclusivamente l’attività di accertamento futuro
da parte del Comune delle irregolarità di versamento. Allo stesso modo ciascuno di questi applicherà
eventuali agevolazioni che a lui spettano;
Tributi minori
73 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Mario Rossi e Luigi Rossi sono fratelli, proprietari di un’immobile al 50% ciascuno. Solo Mario Rossi
abita l’immobile. Mario Rossi avrà diritto ad applicare sulla propria quota del 50% le regole per
l’abitazione principale, mentre Luigi pagherà la Tasi come un qualunque altro immobile.
− analogamente, se vi sono una pluralità di detentori, anche tra questi vi è solidarietà (ad esempio:
marito e moglie che utilizzando un immobile in forza di un contratto di locazione dove sono entrambi
cointestatari). Ciascuno dei detentori pagherà l’imposta sulla propria quota e solo nel caso di mancato
pagamento da parte di uno di questi il Comune potrà pretendere la quota non pagata dall’altro (se non
ché si tratta spessissimo di cifre irrisorie);
− qualora l'unità immobiliare sia occupata da un soggetto diverso dal titolare del diritto reale sull'unità
immobiliare (quindi nel caso di comodato o nel caso di locazione dell’immobile), situazioni in cui vi è
un detentore diverso dal possessore, ciascuno di questi soggetti è tenuto a versare una quota del tributo,
visto che ciascuno di questi risulta titolare di un'autonoma obbligazione tributaria.
Quindi se l’inquilino non paga, tale imposta non può essere chiesta al proprietario: tale aspetto è stato
definitivamente chiarito dal Ministero tramite la pubblicazione delle risposte faq del 3 giugno 2014. Il
possessore può quindi determinare l’imposta sulla propria quota di spettanza, senza preoccuparsi del
fatto che l’inquilino provveda o meno al versamento della quota di sua competenza.
Conseguentemente, ai fini Tasi (ma non Imu), la notifica a un possessore blocca il ravvedimento agli
altri possessori; al contrario, la notifica all’inquilino non blocca per il proprietario la possibilità di
azionare il ravvedimento operoso.
Da notare che, mentre il D.Lgs. 124/2019 è intervenuto rimuovendo il comma 1-bis, articolo 13,
D.Lgs. 472/1997 riguardante la limitazione ai soli tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate
dei termini lunghi di ravvedimento, al contrario non vi è stato alcun intervento sul richiamato
comma 1-ter, con la conseguenza che l’avvio del procedimento di verifica da parte di un Comune
comporta ancora oggi l’impossibilità a procedere con qualunque forma di ravvedimento.
La potestà regolamentare del Comune
Con riferimento ai termini entro i quali azionare il ravvedimento operoso, nonché in relazione alle
misure applicabili, va ricordata la potestà regolamentare concessa ai Comuni: se, infatti, è vero che le
Tributi minori
74 Consulenza immobiliare n. 24/2020
ipotesi di definizione “oltre l’anno” sino allo scorso 25 dicembre 2019 erano applicabili solo ai tributi
amministrati dall’Agenzia delle entrate (quindi risultavano di default escluse per Imu e Tasi), occorre
rammentare come i Comuni possono disciplinare larghe parti della propria disciplina tributaria.
Quindi già in passato, in alcuni Comuni, poteva esservi la possibilità di azionare il ravvedimento operoso
anche oltre il termine annuale.
Infatti, ai sensi dell’articolo 50, L. 449/1997, il Comune ha la possibilità di introdurre ulteriori ipotesi di
ravvedimento; in particolare non è raro che tale opportunità venisse concessa anche oltre il termine
annuale previsto dall’articolo 13, D.Lgs. 472/1997. In tal senso anche il comma 775, L. 160/2019.
Peraltro, tale aspetto deve essere considerato anche oggi, posto che tale autonomia regolamentare
potrebbe indurre qualche Comune a introdurre forme di definizione in parte diverse da quelle
dell’articolo 13, D.Lgs. 472/1997 (talvolta anche in maniera inconsapevole).
Occorre pertanto analizzare attentamente il singolo regolamento comunale al fine di constatare quanto
viene (eventualmente) disciplinato sul punto. Non è infatti raro ravvisare regolamenti ove si afferma “È
applicabile il ravvedimento operoso secondo quanto previsto per i tributi erariali” o altre formule di analogo
contenuto: la conseguenza è che risulterebbero applicabili le regole generali previste dall’articolo 13,
D.Lgs. 472/1997.
Peraltro, va segnalato, se fosse presente una formulazione di questo tipo, occorrerebbe concludere
anche per la compressione delle cause ostative (che quindi sarebbero limitate alla sola notifica di un
atto di accertamento o di liquidazione, non essendo applicabili ai tributi locali gli istituti di verifica
automatizzata ex articoli 36-bis e 36-ter, D.P.R. 600/1973).
Ma potrebbe altresì accadere che il regolamento, anziché effettuare un rinvio generico alla disciplina
generale come quello appena richiamato, vada analiticamente a richiamare le diverse ipotesi di
riduzione. Ad esempio, potremmo leggere: “risultano applicabili le previsioni di cui alla lettera b-bis e b-
ter dell’articolo 13, D.Lgs. 472/1997”. In questo caso le cause ostative rimarrebbero quelle più ampie
ordinariamente applicabili ai tributi locali (accessi, ispezioni o verifiche) mentre la disciplina generale
sarebbe applicabile solo in termini di estensione temporale della possibilità di azionare il ravvedimento
operoso.
Senza poi dimenticare che il Comune potrebbe introdurre forme di definizione anche ulteriori rispetto
a quelle oggi stabilite dall’articolo 13, D.Lgs. 472/1997 per i tributi amministrati dall’Agenzia delle
entrate. Non pare che nulla possa ostacolare il Comune a introdurre delle forme di riduzione più
consistenti rispetto a quelle previste dall’articolo 13, D.Lgs. 472/1997.
Tributi minori
75 Consulenza immobiliare n. 24/2020
In definitiva, prima di porre in essere un ravvedimento operoso, è di fondamentale importanza verificare
il contenuto del regolamento comunale in quanto le regole di definizione potrebbero risultare
sensibilmente modificate.
Ravvedimento in caso di omesso versamento
Veniamo a questo punto alle regole applicative per il ravvedimento operoso:
− prima di tutto occorre verificare la sanzione applicabile;
− quindi è necessario analizzare il regolamento per capire quali regole di definizione sono applicabili
(quelle standard, ovvero eventuali estensioni);
− infine, occorre valutare la misura di ravvedimento utilizzabile, in ragione del tempo che risulta
trascorso dalla scadenza in cui doveva essere effettuato il ravvedimento.
Il versamento dell’imposta dovuta (o maggiore imposta dovuta), degli interessi e della sanzione, può
essere effettuato:
− tanto con l’utilizzo del modello F24, come se si trattasse dell’ordinario versamento, ma barrando la
casella “ravv”; l’imposta, gli interessi e la sanzione vanno sommati e versati con lo stesso codice tributo
relativo alla tipologia di immobile a cui si riferisce il versamento,
− quanto tramite il bollettino di conto corrente postale (barrando il riquadro dedicato al ravvedimento;
anche in questo caso il versamento avviene cumulativamente senza evidenziare separatamente
sanzioni e interessi).
Da notare che, mentre il modello F24 può essere utilizzato per versare l’imposta anche relativa a più
Comuni, il bollettino è indirizzato al singolo Comune; inoltre, il modello F24 permette l’utilizzo di crediti
erariali e contributi in compensazione, opportunità che evidentemente è preclusa se si decide di
utilizzare il bollettino. Al riguardo occorre ricordare che risultano applicabili tutte le limitazioni previste
per l’utilizzo in compensazione dei diversi crediti sia in termini di utilizzo del canale telematico, quanto
in relazione all’eventuale necessità di apporre il visto di conformità sulla dichiarazione che reca il
credito utilizzato.
Come ricordato in precedenza, prima di tutto va verificata la sanzione applicabile, quindi occorre
applicare la riduzione prevista per la definizione.
N° giorni di ritardo nel versamento Sanzione ordinaria
applicabile
Riduzione
applicabile
Sanzione ridotta per
ravvedimento operoso
1 1% 1/10 0,1%
2 2% 1/10 0,2%
3 3% 1/10 0,3%
Tributi minori
76 Consulenza immobiliare n. 24/2020
4 4% 1/10 0,4%
5 5% 1/10 0,5%
6 6% 1/10 0,6%
7 7% 1/10 0,7%
8 8% 1/10 0,8%
9 9% 1/10 0,9%
10 10% 1/10 1%
11 11% 1/10 1,1%
12 12% 1/10 1,2%
13 13% 1/10 1,3%
14 14% 1/10 1,4%
Da 15 giorni fino a 30 giorni 15% 1/10 1,5%
Oltre i 30 giorni fino a 90 giorni 15% 1/9 1,67%
Oltre i 90 giorni fino al 30 giugno
dell’anno successivo
30% 1/8 3,75%
Entro il termine di presentazione
della dichiarazione successiva
30% 1/7 4,29%
Oltre il termine di presentazione
della dichiarazione successiva
30% 1/6 5%
Il ravvedimento frazionato
Il tema di modalità per l’esercizio del ravvedimento operoso, con la risoluzione n. 67/E/2011 l’Agenzia
delle entrate ha fornito interessanti indicazioni in ordine a una esecuzione della definizione in forma
“frazionata”, sciogliendo così i dubbi sorti e le conseguenti problematiche applicative che originavano
dalla circolare n. 192/E/1998.
Per l’Agenzia delle entrate è esclusa ovviamente la possibilità di rateizzare una definizione tramite
ravvedimento operoso, in quanto si tratta di una modalità di pagamento dilazionato nel tempo di
somme dovute dal contribuente, applicabile solo ove normativamente prevista, e in presenza di
presupposti e secondo regole puntualmente disciplinate.
Al contrario risulta possibile un ravvedimento “parziale” di quanto originariamente e complessivamente
dovuto.
In altre parole, se un contribuente presenta un debito Imu di 1.000 euro per un omesso versamento di
una rata, non è consentito calcolare il ravvedimento e poi versarlo in più scadenze, perché in questo
caso non si ottiene la definizione dell’irregolarità. Al contrario, sarà possibile decidere di ravvedere solo
una quota, ad esempio 300; questa quota risulterà definita. Con riferimento alla rimanente quota di 700
Tributi minori
77 Consulenza immobiliare n. 24/2020
non si otterrà alcun beneficio a meno che, in un secondo momento, non si provveda a definire anche
questa.
Sul punto va ricordato che nell’applicazione del ravvedimento operoso Imu e Tasi valgono le
considerazioni relative a una eventuale definizione parziale, proposte dall’Agenzia delle entrate
attraverso la risoluzione n. 67/E/2011: il ravvedimento operoso, in assenza di indicazioni normative
contrarie, può, infatti, interessare solo una quota del tributo non versato, fermi restando i previsti
termini; a tal fine, “…è necessario che siano corrisposti interessi e sanzioni commisurati alla frazione del
debito d'imposta versato tardivamente”. La suddetta risoluzione precisa inoltre che:
− il contribuente non può beneficiare per l'intero della più mite riduzione della sanzione a 1/10 del
minimo ove esegua un primo versamento entro 30 giorni dalla commissione della violazione e i restanti
in momenti successivi. Quindi se viene definita una frazione dell’imposta dovuta, ad esempio, al 22°
giorno dalla scadenza, si applicherà la riduzione a 1/10 su tale importo, mentre se la rimanente frazione
fosse versata, ad esempio, al 75° giorno successivo, su tale secondo importo si applicherà la riduzione
a 1/9;
− il contribuente non può beneficiare del ravvedimento operoso integrale ove, tra un versamento e
l'altro, sopravvenga l’emissione di un atto di accertamento. Resta fermo che, se tra un versamento
parziale e l'altro sopravviene una causa ostativa, il ravvedimento può ritenersi valido per la parte sanata
prima dell'inizio della verifica.
Tale impostazione risulta superata dall’articolo 4-decies, D.L. 34/2019, inserito in sede di conversione
dalla L. 58/2019; con decorrenza dal 30 giugno 2019, dopo l’articolo 13, D.Lgs. 472/1997, è stato
inserito un nuovo articolo 13-bis rubricato “ravvedimento parziale”. Tale nuova disposizione ha di fatto
codificato l’interpretazione che si era venuta a creare in relazione al ravvedimento operoso parziale,
stabilendo che è consentito al contribuente di avvalersi dell'istituto del ravvedimento anche in caso di
versamento frazionato, purché nei tempi prescritti dalle lettere a), a-bis), b), b-bis), b-ter), b-quater) e c)
del comma 1 del medesimo articolo 13, D.Lgs. 472/1997.
Sul punto, in maniera poco comprensibile, il comma 2 stabilisce:
“Le disposizioni del presente articolo si applicano ai soli tributi amministrati dall'Agenzia delle
entrate”.
La conseguenza è che con riferimento ai tributi comunali, il contribuente avrebbe la necessità di andare
a definire l’intero omesso o ritardato versamento e ogni definizione che riguardasse solo una parte di
questo non dovrebbe considerarsi valida. Francamente non si capisce il motivo di questa ingiustificata
restrizione.
Tributi minori
78 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Oltretutto si deve ricordare che la norma ha efficacia interpretativa della disciplina del ravvedimento
operoso; l’incipit dell’articolo 13-bis, D.Lgs. 472/1997 è infatti il seguente “L'articolo 13 si interpreta nel
senso che…”
La conseguenza, quindi, è che non solo non sarà più possibile, come detto, considerare valido un
ravvedimento parziale di un omesso versamento, ma altresì qualora questo sia stato effettuato in
passato, si dovrà oggi considerare non più valido. Pare una impostazione davvero inaccettabile, frutto
più di una articolazione normativa frettolosa che di una reale volontà del Legislatore, che dovrebbe
essere oggetto di un giusto ripensamento.
Omesso versamento e omessa dichiarazione
La seconda situazione da esaminare riguarda il caso in cui il contribuente, oltre ad aver omesso il
versamento, ha pure omesso la presentazione della dichiarazione Imu e Tasi (da rammentare che si
applica la sanzione per omessa presentazione anche nel caso in cui un contribuente abbia omesso di
indicare un immobile in una dichiarazione correttamente presentata, omettendo il versamento su tale
immobile; sul punto si è espressa la Cassazione con le sentenze n. 932/2009 e n. 21686/2010).
Si è spesso portati a pensare che la definizione del versamento Imu tramite ravvedimento operoso in
ogni caso preveda l’applicazione della sanzione del 30% e, separatamente, si debba definire
l’irregolarità riguardante la presentazione del modello dichiarativo.
In realtà così non è, visto che la sanzione cui far riferimento è quella per omessa presentazione del
modello Imu. La gestione di questa situazione riceve una conferma anche nella circolare n. 1/DF/2013.
Ai sensi dell’articolo 1, comma 696, L. 147/2013, infatti, la sanzione per l’omessa dichiarazione va dal
100 al 200% dell’imposta non versata, con un minimo di 50 euro.
Analogamente, con riferimento alla disciplina applicabile dal 1° gennaio 2020, il comma 775, articolo
1, L. 160/2019 stabilisce che:
“In caso di omessa presentazione della dichiarazione, si applica la sanzione dal 100 al 200% del tributo
non versato, con un minimo di 50 euro.”
In particolare, va ricordato che risulta invariata la previsione stabilita alla lettera c), articolo 13, D.Lgs.
472/1997 che consente la riduzione:
“a 1/10 del minimo di quella prevista per l'omissione della presentazione della dichiarazione, se questa
viene presentata con ritardo non superiore a 90 giorni ovvero a 1/10 del minimo di quella prevista per
l'omessa presentazione della dichiarazione periodica prescritta in materia di Iva, se questa viene
presentata con ritardo non superiore a 30 giorni”.
Tributi minori
79 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Quindi, entro 90 giorni dalla scadenza di presentazione del modello dichiarativo, si potrà azionare il
ravvedimento operoso applicando la sanzione del 10% (ossia 1/10 del 100%).
Successivamente al 90° giorno, non sembra più possibile fruire del ravvedimento operoso, salvo la
presenza di una particolare disciplina nel regolamento comunale. Si veda anche la circolare n.
1/DF/2013).
Si ricorda peraltro che dovrebbe trovare applicazione il dimezzamento della sanzione ai fini Imu,
derivante dall'articolo 7, comma 4-bis, D.Lgs. 472/1997:
“Salvo quanto diversamente disposto da singole leggi di riferimento, in caso di presentazione di una
dichiarazione o di una denuncia entro 30 giorni dalla scadenza del relativo termine, la sanzione è
ridotta della metà”.
Quindi, se la dichiarazione per le variazioni del 2019 viene presentata entro il 31 dicembre 2020, la
sanzione è dal 50 al 100% dell'imposta non versata, con un minimo di 25 euro.
L'articolo 13, comma 1, lettera c), D.Lgs. 472/1997 prevede che, nel caso della dichiarazione omessa, il
ravvedimento operoso può avvenire entro 90 giorni dal termine di scadenza, versando le sanzioni ridotte
a 1/10 del minimo. Di conseguenza, se ci si ravvede entro il 30 gennaio 2021 e si provvede a presentare
la dichiarazione, unitamente al versamento dell'imposta e degli interessi legali, la sanzione è ridotta al
5% (1/10 del minimo).
Omessa dichiarazione
L’ultima situazione da valutare è quella legata all’omessa presentazione della dichiarazione Imu con
imposta regolarmente versata: è l’ipotesi in cui il contribuente, pur avendo versato nei termini l’imposta,
non ha presentato la dichiarazione entro il termine previsto che, come più volte ricordato, è fissato al
30 giugno dell’anno successivo quello in cui si è realizzato l’evento che ha comportato l’obbligo di
denuncia al Comune di ubicazione dell’immobile.
In tale caso il contribuente potrà, nei successivi 90 giorni e cioè fino al 30 settembre, avvalersi della
facoltà di cui alla lettera c), comma 1, articolo 13, D.Lgs. 472/1997, pagando:
− la sanzione ridotta pari al 10% del minimo della sanzione prevista dal comma 696, L. 147/2013 (50
euro x 10% = 5 euro). Medesima misura è prevista anche al comma 775, articolo 1, L. 190/2019 in
relazione alla disciplina applicabile dal 1° gennaio 2020.
Va notato comunque che, quella appena descritta (omessa dichiarazione con imposta regolarmente
versata), risulta fattispecie non frequentemente contestata da parte dei Comuni.
Tributi minori
80 Consulenza immobiliare n. 24/2020
SCHEDA DI SINTESI
Se il Legislatore ha consentito l’accesso al ravvedimento a tutti i tributi, tuttavia, non ha
eliminato lo sbarramento di cui al comma 1, primo periodo, articolo 13, D.Lgs. 472/1997; il
ravvedimento continua a essere precluso quando sono in tatto accessi, ispezioni o verifiche.
Infatti, ai sensi dell’articolo 50, L. 449/1997, il Comune ha la possibilità di introdurre ulteriori
ipotesi di ravvedimento; in particolare non è raro che tale opportunità venisse concessa anche
oltre il termine annuale previsto dall’articolo 13, D.Lgs. 472/1997. In tal senso anche il comma
775, L. 160/2019.
Se si scegli il modello F24, il ravvedimento può beneficiare dell’utilizzo in compensazione altri
crediti tributari o contributivi, soggetti a tutta le limitazioni previste per le compensazioni dei
crediti erariali.
Per espressa previsione normativa – articolo 13-bis, comma 2, D.Lgs. 472/1997 – il
ravvedimento parziale si applica ai soli tributi amministrati dall'Agenzia delle entrate.
In caso di omessa presentazione della dichiarazione ed omesso versamento dell’imposta, entro
90 giorni dalla scadenza di presentazione del modello dichiarativo, si potrà azionare il
ravvedimento operoso applicando la sanzione del 10% (ossia 1/10 del 100%).
Ai sensi dell'articolo 7, comma 4-bis, D.Lgs. 472/1997, in caso di presentazione di una
dichiarazione o di una denuncia entro 30 giorni dalla scadenza del relativo termine, la sanzione
è ridotta della metà.
Accertamento
81 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Consulenza immobiliare n. 24/2020
È legittima la cessione di un terreno a
un valore inferiore a quello periziato di Gianfranco Antico – pubblicista
Premessa
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2321/2020, hanno chiuso la querelle
relativa alla possibilità per l’ufficio36 di accertare la plusvalenza, ai fini reddituali, qualora il contribuente
abbia indicato nell'atto di vendita dell'immobile un corrispettivo inferiore rispetto al valore del cespite
in precedenza rideterminato sulla base di una perizia giurata, a norma dell’originario articolo 7, L.
448/2001.
Verifichiamo, quindi, dopo aver delineato il quadro normativo di riferimento, il contrasto rilevato
dall'ordinanza interlocutoria e rimesso al vaglio delle Sezioni Unite.
Il quadro normativo di riferimento
Ai sensi dell’articolo 68, Tuir, le plusvalenze di cui alle lettere a) e b), comma 1, articolo 67, Tuir sono
costituite dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto o il
costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo. Per gli
immobili di cui alla lettera b), comma 1, articolo 67, Tuir acquisiti per donazione si assume come prezzo
di acquisto o costo di costruzione quello sostenuto dal donante.
Per i terreni di cui alla lettera a), comma 1, articolo 67, Tuir acquistati oltre 5 anni prima dell'inizio della
lottizzazione o delle opere, si assume come prezzo di acquisto il valore normale nel quinto anno
anteriore.
Il costo dei terreni stessi acquisiti gratuitamente e quello dei fabbricati costruiti su terreni acquisiti
gratuitamente sono determinati tenendo conto del valore normale del terreno alla data di inizio della
lottizzazione o delle opere ovvero a quella di inizio della costruzione.
36 In sede di controllo gli uffici hanno spesso disconosciuto l’efficacia della rivalutazione effettuata e rideterminato la plusvalenza, sulla base
delle seguenti contestazioni: 1. la perizia è stata giurata in data posteriore a quella di compravendita del terreno; 2. è stato indicato nell’atto
di compravendita un valore inferiore a quello risultante dalla perizia giurata di stima.
Accertamento
82 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Il costo dei terreni suscettibili d'utilizzazione edificatoria di cui alla lettera b), comma 1, articolo 67,
Tuir è costituito dal prezzo di acquisto aumentato di ogni altro costo inerente, rivalutato in base alla
variazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati nonché dell'imposta
comunale sull'incremento di valore degli immobili. Per i terreni acquistati per effetto di successione o
donazione si assume come prezzo di acquisto il valore dichiarato nelle relative denunce e atti registrati,
o in seguito definito e liquidato, aumentato di ogni altro costo successivo inerente, nonché dell'imposta
comunale sull'incremento di valore degli immobili e di successione.
A sua volta, l’articolo 7, L. 448/2001, successivamente più volte prorogato37 (da ultimo, dalla L.
160/201938 – c.d. Legge di bilancio per il 2020 - ) ha previsto, agli effetti della determinazione della
plusvalenza, che il contribuente può assumere – in luogo del costo o valore di acquisto – il valore del
terreno rideterminato sulla base di una perizia giurata di stima, a condizione che lo stesso sia
assoggettato a una imposta sostitutiva delle imposte sui redditi (la perizia, unitamente ai dati
identificativi dell'estensore della perizia e al codice fiscale del titolare del bene periziato, nonché alle
ricevute di versamento dell'imposta sostitutiva, è conservata dal contribuente ed esibita o trasmessa a
richiesta dell'Amministrazione finanziaria. Il costo per la relazione giurata di stima è portato in aumento
del valore di acquisto del terreno edificabile e con destinazione agricola nella misura in cui è stato
effettivamente sostenuto ed è rimasto a carico).
A fronte delle proroghe anzidette, il contribuente che si sia avvalso del pagamento dell'imposta
sostitutiva già una volta, può comunque accedere a una nuova rivalutazione del valore dell'immobile
in applicazione delle disposizioni di legge sopravvenuta anche con un prezzo più basso rispetto a quello
precedente, laddove il valore dell'immobile sia nel frattempo diminuito, sempre che ciò risulti da
apposita perizia di stima. In tale ipotesi è consentita la ripetizione dell'imposta sostitutiva versata in
eccedenza rispetto al valore determinato nella prima perizia – articolo 7, comma 2, lettere gg) e ff), D.L.
37 Il termine entro il quale fruire dell'agevolazione anzidetta è stato prorogato da numerose disposizioni normative successive, a partire
dall’articolo 39, comma 14-undecies, D.L. 269/2003, convertito con modificazioni con la L. 326/2003, alla quale sono seguiti altri provvedimenti
legislativi: D.L. 355/2003, convertito con modificazioni con la L. 47/2004 (articolo 6-bis, comma 1); L. 311/2004 (articolo 1, comma 376); D.L.
203/2005 (articolo 11-quaterdecies, comma 4, lettere a) b) e c), convertito con modificazioni dalla L. 248/2005; L. 244/2007(articolo 1, comma
91); D.L. 97/2008 (articolo 4, comma 9-ter), convertito in L. 129/2008; L. 191/2009 (articolo 2, comma 229); D.L. 70/2011 (articolo 7, comma
2, lettere da dd) a gg), convertito con modificazioni in L. 106/2011; L. 228/2012 (articolo 1, comma 473); L. 147/2013 (articolo 1, commi 156-
157); L. 190/2014 (articolo 1, commi 626-627); L. 208/2015 (articolo 2, commi 887-888); L. 232/2016 (articolo 1, comma 554); L.
205/2017(articolo 1, commi 997-999); L. 145/2018 (articolo 1, commi 1053-1054). 38 Cfr. comma 693, articolo 1. La norma riguarda i beni posseduti al 1° gennaio 2020 e l’operazione deve avvenire sulla base di una perizia di
stima, redatta e giurata presso un notaio, un Tribunale o un giudice di pace entro il 30 giugno 2020, da specifiche categorie di soggetti: iscritti
agli albi degli ingegneri, architetti, geometri, dottori agronomi, periti agrari, periti industriali edili e periti iscritti alle CCIAA. Entro la stessa
data del 30 giugno 2020, il valore rideterminato deve essere assoggettato a imposta sostitutiva dell’11%. Il versamento può anche essere
frazionato in 3 quote annuali di pari importo (prima rata da versare entro il prossimo 30 giugno). Sulle altre 2 rate, scadenti il 30 giugno 2021
e il 30 giugno 2022, sono dovuti gli interessi del 3% annuo, a partire dal 1° luglio 2020, da versare unitamente all’imposta.
Accertamento
83 Consulenza immobiliare n. 24/2020
70/2011, convertito con modificazioni in L. 106/2011 – ma l'importo del rimborso non può essere
comunque superiore all'importo dovuto in base all'ultima rideterminazione del valore effettuata.
I diversi orientamenti giurisprudenziali
L'indirizzo più risalente - e che può definirsi maggioritario reputa che la mancata indicazione del valore
determinato nella perizia all'interno dell'atto di alienazione di un immobile a prezzo inferiore rispetto
al valore della perizia non esponga il contribuente all'obbligo di corrispondere la plusvalenza sulla base
del valore storico del bene. Tale orientamento poggia sul dato letterale della disposizione, al cui interno
non è previsto alcun obbligo di indicare il valore normale minimo rivalutato nel successivo atto di
alienazione, nè vengono indicate conseguenze sanzionatorie rispetto a tale eventuale omissione, non
inficiando tale soluzione la ratio sottesa a detto beneficio tesa, come già visto, a garantire il pagamento
dell'imposta sostitutiva, sia pur ad aliquota fissa, a prescindere dalla presenza dei presupposti che
determinerebbero l'insorgenza della plusvalenza tassabile39.
La stessa Cassazione, con diverse pronunce - n. 24310/2016, n. 24141/2017, n. 7037/2018, n.
23508/2018 -, muovendo dalle medesime considerazioni sopra ricordate, ha affermato che la scelta del
contribuente di calcolare il valore del bene in deroga al sistema ordinario, facendo redigere apposita
perizia giurata ed effettuando il versamento dell'imposta sostitutiva, non determina alcun vincolo nella
successiva vendita e non limita, pertanto, la facoltà di alienare il bene a un prezzo inferiore. Secondo
tale indirizzo:
“la determinazione del valore del bene indicato nella perizia non può essere considerata inderogabile,
nè osta alla facoltà del contribuente di alienare lo stesso cespite a un prezzo diverso, dovendosi
escludere tanto la decadenza del contribuente dal beneficio, quanto la possibilità per
l’Amministrazione finanziaria di accertare la plusvalenza secondo gli ordinari criteri”40.
Nella medesima direzione, Cassazione n. 2894/2019 e n. 11044/2019.
Si sono poste in posizione diversa 2 pronunzie della Sezione tributaria. In particolare, i giudici di
legittimità, con la sentenza n. 19465/2016, pur ritenendo il contribuente libero di non indicare il valore
39 "La mancata indicazione nell'atto di vendita dell'immobile del valore del cespite, così come rideterminato a norma della L. 448/2001, articolo 7,
non costituisce condizione ostativa alla facoltà del contribuente di assumere come valore iniziale, in luogo del costo o del valore di acquisto, quello
alla data del 1° gennaio 2002 individuato sulla base di una perizia giurata, attesa, a tal proposito, l'assenza di limitazioni poste dalla legge e
l'irrilevanza di quanto, invece, previsto da atti non normativi, come le circolari amministrative" (Cassazione, ordinanza n. 19242/2016). La
circostanza che l'Amministrazione finanziaria abbia la possibilità di contestare il valore indicato nella perizia estimativa non assume alcun
rilievo, secondo l'indirizzo appena ricordato, non ponendosi in tale contesto la questione della congruità del valore dell'immobile, quanto
quella dell'applicabilità del procedimento, cioè il criterio di calcolo della plusvalenza. 40 Cfr. anche Cassazione n. 25501/2018 che, nel porsi in linea di continuità con l'indirizzo sopra ricordato, ha ritenuto che, in caso di prezzo di
cessione superiore a quello stimato, la plusvalenza deve essere calcolata in base "alla differenza tra il valore di stima della perizia e il maggior
valore di cessione".
Accertamento
84 Consulenza immobiliare n. 24/2020
rivalutato in perizia e di inserire nell'atto negoziale successivo un corrispettivo diverso rispetto al valore
indicato nella perizia di stima, in quanto medio tempore ben possono essersi modificate le condizioni
dell'immobile, ovvero l'andamento del mercato, ha tuttavia riconosciuto il potere di accertamento
dell'ufficio dal momento che, ai sensi dell'articolo 7, comma 6, L. 448/2001, il valore rideterminato
costituisce valore normale minimo di riferimento ai fini delle imposte sui redditi, dell'imposta di
registro, dell'imposta ipotecaria e catastale. In tale evenienza, pertanto:
“e in mancanza del riferimento al valore periziato, l'accertamento deve assumere legittimamente, per
determinare la plusvalenza, il criterio ordinario”.
In termini analoghi si è pronunciata la sentenza n. 24136/2017 che, nel ribadire la natura di imposta
volontaria del meccanismo sotteso all’articolo 7, L. 448/2001, e alla possibilità dell'ufficio di
rideterminare il valore rispetto a quello fissato in perizia, ha ritenuto, nel caso in cui i contribuenti
hanno dichiarato nell'atto di vendita un prezzo inferiore a quello oggetto dell'indicata perizia di stima,
che l'aver versato l'imposta sostitutiva sul valore periziato:
"... non può essere considerato preclusivo dell'esercizio del potere di accertamento dell'ufficio, quanto
alle imposte dirette sulla plusvalenza non dichiarata per l'anno 2003 e realizzata con l'atto di cessione;
accertamento che, in mancanza del riferimento del prezzo al valore periziato, legittimamente assume
ai fini della quantificazione della plusvalenza il criterio ordinario di cui all'articolo 68 in relazione
all'articolo 67, lettera b), Tuir, nella fattispecie in oggetto, assumendosi come prezzo di acquisto quello
determinato a norma dell'articolo 68, comma 2, u.p. Tuir".
L'ordinanza di rimessione
L'ordinanza di rimessione n. 19351/2019, dopo avere ricordato gli orientamenti giurisprudenziali di cui
si è detto, ha sottolineato la posizione espressa dall'Agenzia delle entrate in alcuni atti di prassi,
condividendone il punto di vista. Si ricorda, in particolare, l'interpretazione data dell’articolo 7, comma
6, L. 448/2001, secondo la quale la cessione a prezzo inferiore a quello indicato nella perizia giurata
comporta la sopravvenuta inefficacia dell'operazione di rideterminazione del valore, sicchè l'ufficio
deve procedere al calcolo della plusvalenza senza tener conto del valore normale minimo legale,
applicando, invece, i criteri legali ordinari (articoli 67 e 68, Tuir) e, dunque, considerando la differenza
tra il prezzo di cessione e il valore storico di acquisto41. Solo attraverso una nuova, minore,
41 L’ambito e le modalità applicative della disposizione sono stati illustrati con le circolari n. 9/E/2002, § 7.1 e 7.2, n. 15/E/2002, § 3 e n.
81/E/2002, § 2.1. In particolare, la richiamata circolare n. 15/E/2002 ha precisato che “Qualora, …, il venditore intenda discostarsi del valore
attribuito al terreno dalla perizia - ad esempio perché il terreno ha subito un deprezzamento per cause naturali o per effetto dell’adozione di nuovi
strumenti urbanistici - ai fini delle imposte di trasferimento valgono le regole sulla determinazione della base imponibile dettate dalle singole leggi
Accertamento
85 Consulenza immobiliare n. 24/2020
rideterminazione del valore con apposita perizia è possibile, secondo l'Agenzia delle entrate, discostarsi
dal valore originariamente periziato42.
Secondo la sezione rimettente, la ratio della disciplina speciale introdotta dal Legislatore nel 2001
sarebbe
"...finalizzata ad assicurare introiti nelle casse dello Stato, a mezzo di concessione di un trattamento
agevolativo che, in quanto tale, impone stretta interpretazione".
Dopo aver ricordato l'indirizzo volto a interpretare restrittivamente le disposizioni agevolative
(Cassazione n. 18574/2016 e n. 11373/2015), l'ordinanza interlocutoria, ritenendo preferibile l'adesione
all'indirizzo minoritario ha ipotizzato che il contribuente, legittimamente decidendo di non avvalersi
del meccanismo agevolativo, fosse decaduto dal beneficio agevolativo, esponendos:
"...al rischio dell'accertamento dell'ufficio, il quale ha potuto rideterminare il valore dei terreni, tenendo
conto dei criteri ordinari, in ragione del venir meno del trattamento agevolativo".
La soluzione del contrasto
La Corte a SS.UU. è ferma nel ritenere che l'imposta sostitutiva sotto esame è un'imposta "volontaria"
che trova:
"causa necessaria e sufficiente in sè stessa, ossia nella stessa scelta liberamente operata dal
contribuente di accedere all'opzione offertagli dal legislatore, nella prospettiva, in caso di futura
d’imposta e per il calcolo della plusvalenza deve essere assunto, quale valore iniziale di riferimento, il costo o il valore di acquisto del terreno, secondo
gli ordinari criteri indicati dall’articolo 82, Tuir”. Con la successiva risoluzione n. 111/E/2010 l’Agenzia delle entrate hanno riconosciuto la
possibilità di rideterminare al ribasso il valore di un terreno, a condizione tuttavia che si predisponga una nuova perizia di stima, con la
possibilità quindi di utilizzare un nuovo, e più ridotto, “valore normale minimo di riferimento …” La circolare n. 1/E/2013, confermando l’indirizzo
espresso nei precedenti interventi interpretativi, ha ribadito che “affinché il valore “rideterminato” possa assumere rilievo agli effetti del calcolo
della plusvalenza, è necessario che esso costituisca valore normale minimo di riferimento anche ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali
…. Pertanto, qualora il contribuente intenda avvalersi del valore rideterminato deve necessariamente indicarlo nell’atto di cessione anche se il
corrispettivo è inferiore. In tal caso, le imposte di registro, ipotecarie e catastali devono essere assolte sul valore di perizia indicato nell’atto di
trasferimento. Nel caso in cui, invece, nell’atto di trasferimento sia indicato un valore inferiore a quello rivalutato, si rendono applicabili le regole
ordinarie di determinazione delle plusvalenze indicate nell’articolo 68, Tuir, senza tener conto del valore rideterminato”. In altri termini, sulla base
della citata prassi, il contribuente che indichi nell’atto di cessione del terreno un valore inferiore a quello determinato con la perizia giurata
di stima, si espone a una rettifica da parte dell’Amministrazione finanziaria anche con riferimento alla determinazione della plusvalenza
tassabile, non potendo far valere gli effetti della rivalutazione del bene. Infatti, solo attraverso una nuova, minore rideterminazione del valore
con apposita perizia è possibile discostarsi dal valore originariamente periziato. 42 Con la risoluzione n. 53/E/2015 l’Agenzia delle entrate hanno fornito specifici chiarimenti in ordine a 2 ipotesi: 1. pur in assenza in atto
della intervenuta rideterminazione, lo scostamento del valore indicato nel medesimo atto rispetto a quello periziato, ossia quello “minimo di
riferimento” previsto dalla norma, sia poco significativo e tale da doversi imputare a un mero errore più che alla volontà di conseguire un
indebito vantaggio fiscale mediante una apprezzabile sottrazione a tassazione di base imponibile, ai fini dell’imposizione indiretta; 2. il
contribuente, pur avendo dichiarato in atto un corrispettivo anche sensibilmente inferiore a quello periziato, abbia comunque fatto menzione
nello stesso atto della intervenuta rideterminazione del valore del terreno. Limitatamente ai predetti casi, precisano le Entrate, “ per il calcolo
della plusvalenza ai fini dell’imposte dirette potrà farsi comunque riferimento al predetto valore rivalutato, che rileverà quale valore minimo di
riferimento anche ai fini della determinazione dell’imposta di registro e delle imposte ipotecarie e catastali”, e di conseguenza le strutture periferiche
riesamineranno le controversie pendenti e, ove l’attività accertativa dell’Ufficio sia stata effettuata secondo criteri non conformi a quelli sopra
indicati, abbandoneranno – con le modalità di rito, tenendo conto dello stato e del grado di giudizio – la pretesa tributaria, sempre che non
siano sostenibili ulteriori questioni.
Accertamento
86 Consulenza immobiliare n. 24/2020
cessione, di un risparmio sull'imposta ordinaria altrimenti probabilmente dovuta sulla plusvalenza non
affrancata".
Conseguentemente è irrilevante, ai fini del perfezionamento del meccanismo agevolativo, la circostanza
che il contribuente tragga concretamente vantaggio dalla propria scelta in quanto la successiva
cessione potrebbe addirittura mancare, senza perciò consentire di richiedere il rimborso di quanto
versato (Cassazione n. 29575/2018 e n. 19217/2017).
Le Sezioni Unite hanno ritenuto di dare, quindi, continuità all'indirizzo che esclude la decadenza del
contribuente dal beneficio agevolativo connesso al pagamento dell'imposta sostitutiva sul valore alla
data della perizia giurata allorchè nel successivo atto traslativo sia stato omesso il riferimento al valore
di perizia e, invece, indicato un corrispettivo inferiore di cessione.
Per la Corte:
“una volta verificatisi i presupposti previsti dalla disposizione anzidetta per fruire dell'imposta
sostitutiva, tale meccanismo impedisce di recuperare, ai fini del computo della plusvalenza, il valore
storico del bene anteriore a quello di perizia, ancorchè detto valore non sia indicato nell'atto o sia
indicato un valore commerciale inferiore a quello periziato, come tale inidoneo a determinare
l'insorgenza di un reddito tassabile rispetto al valore periziato maggiore”.
Gli Ermellini, in questa direzione, richiamano la pronuncia n. 2894/2019, ove è stato precisato che il
procedimento di cui all'articolo 7 più volte citato, della L. 448/2001
“è scandito da 3 momenti: a) la determinazione del valore del terreno mediante perizia di stima nel
termine di legge; b) il versamento di un'imposta sostitutiva del 4% sul valore stimato in perizia; c)
l'esecuzione del versamento nei termini indicati dalla norma. Perfezionate tali condizioni, il valore
normale minimo di riferimento consente al fisco di riscuotere l'imposta sostitutiva, sicchè, pur non
essendovi alcun vincolo nella successiva alienazione del bene quanto all'indicazione del prezzo di
alienazione - che potrà essere inferiore rispetto al valore indicato nella perizia giurata - non può
profilarsi la decadenza dal beneficio e la reviviscenza del valore storico del bene, nè l'Amministrazione
finanziaria potrà calcolare la plusvalenza secondo i criteri ordinari previsti dall'articolo 68, Tuir, cioè
partendo dal vecchio valore di acquisto”.
È dunque vero – osservano le Sezioni Unite - che il sistema del valore rideterminato con perizia
estimativa non contiene alcuna limitazione al potere di rettifica dell'ufficio e, quindi, al potere di
accertare che il valore del bene sia diverso da quello determinato dalla perizia giurata43, ma tale
43 Cfr. Cassazione n. 9109/2012; n. 11960/2014; n. 19465/2016; n. 29184/2017; n. 13636/2018; n. 2894/2019 e n. 11682/2019.
Accertamento
87 Consulenza immobiliare n. 24/2020
affermazione non può spiegare alcun rilievo rispetto alla diversa questione qui in esame, nella quale
non si discute dell'incongruità del valore indicato in perizia - da utilizzare quale valore normale minimo
di riferimento ai fini (anche) delle imposte sui redditi - quanto della decadenza dal beneficio agevolativo
correlato al pregresso pagamento dell'imposta sostitutiva in caso di mancata indicazione del valore
anzidetto nell'atto di compravendita in cui viene esposto un valore inferiore a quello ivi indicato (non
ponendosi, per contro, alcun problema quanto all'indicazione di un valore superiore, come già chiarito
da Cassazione n. 20984/2019).
Pertanto, le Sezioni Unite non condividono la soluzione preferita dall'indirizzo minoritario - in buona
parte coerente con la posizione espressa a più riprese dall'Agenzia delle entrate – secondo cui dovrebbe
individuarsi a carico del contribuente un onere di allegazione, nell'atto di compravendita, del valore
normale minimo di riferimento risultante dalla perizia e una decadenza in caso di determinazione del
corrispettivo inferiore rispetto a detto valore.
“Non si ravvisa, infatti, alcun aggancio normativo idoneo a dimostrare l'esistenza di un obbligo del
contribuente di allegazione del valore normale minimo di riferimento periziato e/o di fissazione del
corrispettivo nel medesimo valore ….. L'articolo 7, ricordato comma 6 della Legge citata non fa, infatti,
alcun cenno a siffatta evenienza, nemmeno risultando persuasivi gli argomenti richiamati per
desumerne aliunde l'esistenza”.
Tale conclusione risulta, per la Corte, pienamente coerente con l'affermazione per cui il beneficio
agevolativo previsto:
“va riconosciuto anche nell'ipotesi in cui la perizia sia stata asseverata successivamente alla stipula dell'atto
di compravendita, posto che la deroga espressa al regime ordinario - risultante dalla L. 448/2001, articolo
7 - è ammessa senza alcun ulteriore requisito ai fini della facoltà di utilizzare la suddetta deroga di
determinazione dell'imponibile, attesa l'assenza di ulteriori limitazioni poste dalla legge”44.
Né, secondo i massimi giudici di legittimità, la facoltà dell'alienante di modificare il valore normale
minimo risultante dalla perizia estimativa con un nuovo valore rideterminato in relazione all'andamento
44 Di diverso avviso inizialmente L’Agenzia delle entrate che, sul punto, con la circolare n. 16/E/2005 hanno precisato che “il valore rideterminato
non può essere utilizzato prima della redazione e del giuramento della perizia in quanto nell’atto deve essere indicato il valore periziato del bene”.
Tale posizione è stata successivamente ribadita con la circolare n. 47/E/2011, § 1.2., e circolare n. 1/E/2013, § 4.1. In particolare, con la citata
circolare n. 47/E/2011, l’Agenzia delle entrate hanno evidenziato che le perizie possono essere presentate per l’asseverazione, oltre che presso
la cancelleria del Tribunale, anche presso gli uffici dei giudici di pace e presso i notai, che i costi sostenuti per la relazione giurata di stima,
qualora siano stati effettivamente sostenuti e rimasti a carico del contribuente, possono essere portati in aumento del valore iniziale dei
terreni da assumere ai fini del calcolo delle plusvalenze, e che “nel caso di cessione dei terreni, è necessario che la redazione e il giuramento della
perizia siano antecedenti alla cessione del bene, in quanto al fine della determinazione della plusvalenza il valore periziato deve essere indicato
nell’atto di cessione dello stesso”. Successivamente, la stessa Amministrazione finanziaria, con la risoluzione n. 53/E/2015, prendendo atto della
posizione assunta dalla Corte di Cassazione nel corso di questi anni – Cassazione, sentenza n. 30729/2011 - ha superato le indicazioni di
prassi precedentemente fornite, e in adesione ai principi espressi dalla Suprema Corte, ha convenuto che la circostanza che la perizia giurata
sia stata asseverata in data successiva al rogito non comporta decadenza dell’agevolazione, fermo restando che “la perizia, ancorché non
asseverata e giurata, deve essere redatta prima del rogito, stante l’obbligo di indicare nel medesimo rogito il relativo valore periziato”.
Accertamento
88 Consulenza immobiliare n. 24/2020
del mercato immobiliare o alle condizioni dell'immobile può giustificare la decadenza del beneficio nel
caso in cui l'alienante non decida di avvalersi di tale opzione, risultando quest'ultima collegata a una
scelta del titolare consentita ma in alcun modo imposta dalla legislazione vigente.
“Nulla pertanto impedisce al venditore di addivenire a una nuova perizia estimativa per rideterminare
il valore del bene - quale nuovo valore normale minimo di riferimento - ma il mancato esercizio di tale
opzione non incide nè sull'imposta sostitutiva già all'epoca versata dal venditore sulla base della
perizia - risultando ormai definito il rapporto fiscale al momento del versamento dell'imposta, nè può
determinare la decadenza del beneficio e la reviviscenza del valore storico del bene al fine di consentire
al fisco la rettifica del calcolo della plusvalenza”.
Infatti, prosegue la sentenza, deve ammettersi:
“senz'altro che l'Amministrazione possa richiedere alle parti contraenti – Cassazione n. 9146/2014,
Cassazione n. 13139/2018 - il pagamento delle imposte di trasferimento rettificando il prezzo di
vendita inferiore indicato nell'atto di trasferimento e contestando il pagamento delle imposte d'atto
sulla base del valore a suo tempo periziato - alla stregua della L. 448/2001, articolo 7, comma 6”.
Senza che siffatta conclusione consenta, tuttavia,
“di affermare la decadenza dal beneficio del contribuente che, avendo già pagato l'imposta sostitutiva
con riferimento alle imposte sui redditi, abbia assolto integralmente il proprio debito col fisco - in
misura forfetaria - ben prima dell'atto traslativo”.
Né – rilevano i massimi giudici – possono ritenersi sussistenti ostacoli all’attività di controllo da un
simile conclusione, atteso che il Fisco è nelle condizioni di compiere le opportune verifiche tese a
evitare l'occultamento della base imponibile con riguardo alle imposte sui trasferimenti, pur in assenza
di indicazione del valore indicato nella perizia nell'atto di trasferimento, promuovendo
“un accertamento per la ripresa della plusvalenza proprio sulla base della circostanza che il valore di
riferimento, aliunde conosciuto”.
Nemmeno giova, infine, richiamare l'argomento che il meccanismo dell'imposta sostitutiva sia
volontario, al punto da potere pensare che la mancata indicazione del valore nell'atto determini una
volontà contraria della parte che non vi abbia fatto riferimento. E infatti, il titolare del bene, optando
per il meccanismo di cui all’articolo 7, L. 448/2001:
“sceglie di addivenire al pagamento del tributo in misura fissa sganciandolo dalla effettiva alienazione
del bene dalla quale deriverebbe l'insorgenza del presupposto impositivo per la formazione di un
Accertamento
89 Consulenza immobiliare n. 24/2020
reddito diverso da sottoporre a tassazione. E ciò il contribuente fa sulla base del valore periziato che
costituisce, ex lege, valore normale minimo di riferimento”.
E, quini, la Corte, predilige l'interpretazione letterale dell'articolo 7 citato - in cui non viene in alcun
modo previsto l'obbligo di indicazione del valore minimo di riferimento nell'atto traslativo successivo -
soprattutto laddove intende perseguire un bilanciamento ragionevole fra i diversi e contrapposti
interessi45 “(id est: quello del contribuente a fruire del pagamento di un'imposta fissa ad aliquota
modesta e quella del fisco creditore di un'entrata “certa”, parametrata al valore normale minimo).
Da qui, il principio di diritto fissato:
"In tema di plusvalenze di cui al D.P.R. 917/1986, articolo 67, comma 1, lettera a) e b), per i terreni
edificabili e con destinazione agricola l'indicazione nell'atto di vendita dell'immobile, di un
corrispettivo inferiore rispetto al valore del cespite in precedenza rideterminato dal contribuente sulla
base di perizia giurata a norma della L. 448/2001, articolo 7, non determina la decadenza del
contribuente dal beneficio correlato al pregresso versamento dell'imposta sostitutiva, nè la possibilità
per l'Amministrazione finanziaria di accertare la plusvalenza secondo il valore storico del bene".
SCHEDA DI SINTESI
Ai sensi dell’articolo 68, Tuir, le plusvalenze di cui alle lettere a) e b), comma 1, articolo 67, Tuir
sono costituite dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di
acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al
bene medesimo. Per gli immobili di cui alla lettera b), comma 1, articolo 67, Tuir acquisiti per
donazione si assume come prezzo di acquisto o costo di costruzione quello sostenuto dal
donante. Per i terreni di cui alla lettera a, comma 1, articolo 67, Tuir acquistati oltre 5 anni
prima dell'inizio della lottizzazione o delle opere, si assume come prezzo di acquisto il valore
normale nel quinto anno anteriore.
A sua volta, l’articolo 7, L. 448/2001, successivamente più volte prorogato (da ultimo, dalla L.
160/2019 – c.d. Legge di Stabilità 2020 - ) ha previsto, agli effetti della determinazione della
plusvalenza, che il contribuente può assumere – in luogo del costo o valore di acquisto – il
valore del terreno rideterminato sulla base di una perizia giurata di stima, a condizione che lo
stesso sia assoggettato a una imposta sostitutiva delle imposte sui redditi.
45 “Bilanciamento che subirebbe un'incomprensibile frattura se si giungesse a ritenere, a fronte dell'indicazione di un valore inferiore a quello periziato
o del mancato inserimento del valore di riferimento nell'atto, la decadenza del beneficio e la ripresa a tassazione della plusvalenza sulla base del
valore storico del bene”.
Accertamento
90 Consulenza immobiliare n. 24/2020
In sede di controllo gli uffici hanno spesso disconosciuto l’efficacia della rivalutazione
effettuata e rideterminato la plusvalenza, sulla base delle seguenti contestazioni: 1. la perizia
è stata giurata in data posteriore a quella della compravendita del terreno; 2. è stato indicato
nell’atto di compravendita un valore inferiore a quello risultante dalla perizia giurata di stima.
L'indirizzo più risalente - e che può definirsi maggioritario - reputa che la mancata indicazione
del valore determinato nella perizia all'interno dell’atto di alienazione di un immobile a prezzo
inferiore rispetto al valore della perizia non esponga il contribuente all'obbligo di corrispondere
la plusvalenza considerando il valore storico del bene. Tale orientamento poggia sul dato
letterale della disposizione, al cui interno non è previsto alcun obbligo di indicare il valore
normale minimo rivalutato nel successivo atto di alienazione, nè vengono indicate
conseguenze sanzionatorie rispetto a tale eventuale omissione, non inficiando tale soluzione
la ratio sottesa a detto beneficio tesa, come già visto, a garantire il pagamento dell'imposta
sostitutiva, sia pur ad aliquota fissa, a prescindere dalla presenza dei presupposti che
determinerebbero l'insorgenza della plusvalenza tassabile.
Si sono poste peraltro in posizione diversa due pronunzie della Sezione tributaria. In particolare
– Cassazione n. 19465/2016 - pur ritenendo il contribuente libero di non indicare il valore
rivalutato in perizia e di inserire nell'atto negoziale successivo un corrispettivo diverso rispetto
al valore indicato nella perizia di stima, in quanto medio tempore ben possono essersi
modificate le condizioni dell'immobile, ovvero l'andamento del mercato, ha tuttavia
riconosciuto il potere di accertamento dell'Ufficio dal momento che, ai sensi dell'articolo 7,
comma 6, L. 448/2001, il valore rideterminato costituisce valore normale minimo di riferimento
ai fini delle imposte sui redditi, dell'imposta di registro, dell'imposta ipotecaria e catastale. In
tale evenienza, pertanto, e in mancanza del riferimento al valore periziato, l'accertamento deve
assumere legittimamente, per determinare la plusvalenza, il criterio ordinario.
Da qui, il principio di diritto fissato a SS.UU. con la sentenza n. 2321/2020: "In tema di
plusvalenze di cui al D.P.R. 917/1986, articolo 67, comma 1, lettere a) e b), per i terreni
edificabili e con destinazione agricola l'indicazione nell'atto di vendita dell'immobile, di un
corrispettivo inferiore rispetto al valore del cespite in precedenza rideterminato dal
contribuente sulla base di perizia giurata a norma della L. 448/2001, articolo 7, non determina
la decadenza del contribuente dal beneficio correlato al pregresso versamento dell'imposta
sostitutiva, nè la possibilità per l'Amministrazione finanziaria di accertare la plusvalenza
secondo il valore storico del bene".
Osservatorio
91 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Consulenza immobiliare n. 24/2020
Catasto
Discarica pubblica accatastata in D/7
Con riguardo al classamento di una discarica pubblica per la gestione di rifiuti solidi urbani e la
captazione di biogas, in quanto connotata da autonomia funzionale e reddituale, la stessa costituisce
un'unità immobiliare urbana soggetta ad accatastamento e rientra nella categoria D/7 - non in quella
residuale E, concernente gli immobili a particolare destinazione pubblica in quanto svolge attività
industriale secondo parametri economico-imprenditoriali, senza che assuma rilevanza l'eventuale
destinazione dell'immobile anche ad attività di pubblico interesse. Di contro la qualificazione nel
gruppo E è propria di quegli immobili con una marcata caratterizzazione tipologico-funzionale,
costruttiva e dimensionale, tale da non permettere l'inserimento in categorie ordinarie o speciali e che
esulano da una mera logica di commercio e di produzione industriale (cfr. sentenze n. 12741/2018 e n.
20026/2015).
Cassazione – sentenza n. 5633 – 7 ottobre 2019 – 2 marzo 2020
Il classamento del fabbricato D non necessita di un sopralluogo
In tema di classamento, l'attribuzione di rendita ai fabbricati a destinazione speciale o particolare, e
specificamente quelli classificati nel gruppo catastale D), deve avvenire, come previsto anche dal D.P.R.
604/1973, articolo 7, mediante stima diretta, senza che ciò presupponga, peraltro, l'effettuazione di un
previo sopralluogo, potendo l'Amministrazione legittimamente avvalersi della valutazione, purché
mirata e specifica, delle risultanze documentali in suo possesso (cfr. sentenza n. 8529/2019).
Cassazione – ordinanza n. 5005 – 21 novembre 2019 – 25 febbraio 2020
Contenzioso tributario
Valido il regolamento comunale che equipara B&B e alberghi
L'equiparazione normativa, ai fini della regolamentazione dei servizi per il turismo nell'ambito del
territorio regionale, dei B&B agli alberghi, non impone ai Comuni di quella Regione di assimilarli anche
quanto al trattamento tariffario ai fini Tarsu. Tuttavia, non può di certo ritenersi viziato da illegittimità,
e dunque non può essere disapplicato ai sensi del D.Lgs. 546/1992, articolo 7, comma 5, il regolamento
comunale che, con riferimento alla determinazione della tariffa da applicare ai fini Tarsu, equipara la
porzione di immobile destinata all'esercizio del B&B a un albergo: si tratta, in vero, di una scelta
discrezionale del Comune, effettuata nei limiti della potestà impositiva ad esso attribuita
dall'ordinamento, non vietata da alcuna norma statale, ed anzi in linea con la disciplina regionale dei
servizi per il turismo, che, come visto, inserisce espressamente i B&B tra le strutture ricettive di carattere
alberghiero.
Cassazione - ordinanza n. 5358 – 22 novembre 2019 – 26 febbraio 2020
Cassazione – ordinanza n. 5357 – 22 novembre 2019 – 26 febbraio 2020
Cassazione – ordinanza n. 5356 – 22 novembre 2019 – 26 febbraio 2020
Osservatorio
92 Consulenza immobiliare n. 24/2020
Immobili
Anche ai fini Iva si guarda alla strumentalità delle dirette
Il concetto di bene ammortizzabile va individuato, in assenza di una definizione nella disciplina dell'Iva
e con specifico riferimento ai beni immobili, mediante ricorso alle disposizioni in tema di imposte dirette
che, all'articolo 43, Tuir, stabiliscono che "... si considerano strumentali gli immobili utilizzati
esclusivamente per l'esercizio dell'arte o professione o dell'impresa commerciale da parte del possessore. Gli
immobili relativi ad imprese commerciali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa
utilizzazione senza radicali trasformazioni si considerano strumentali anche se non utilizzati o anche se dati
in locazione o comodato..."; si tratta, dunque, di quei beni che hanno, quale unica destinazione, quella di
essere direttamente impiegati nell'espletamento di attività tipicamente imprenditoriali, così da non
essere idonei alla produzione di un reddito autonomo rispetto a quello del complesso aziendale nel
quale sono inseriti; la strumentalità può derivare dalle loro caratteristiche, tali per cui gli immobili
possono essere utilizzati esclusivamente per lo svolgimento dell'attività d'impresa e possono essere
utilizzati per altre finalità solo a seguito di radicali trasformazioni, ovvero dalla destinazione loro
impressa. La natura strumentale del bene acquistato deve essere valutata non solo in astratto, con
riferimento all'oggetto dell'attività d'impresa, ma anche in concreto, previo accertamento che lo stesso
costituisce, anche in funzione programmatica, lo strumento per l'esercizio della suddetta attività; il
riconoscimento di tale natura del bene presuppone la prova da parte del contribuente della funzione
strumentale del bene medesimo in rapporto all'attività dell'azienda anche nel caso in cui si alleghi la
natura strumentale dell'immobile in ragione delle sue caratteristiche, non potendosi ritenere
sussistente una categoria di beni la cui strumentalità è in re ipsa e rilevando tale circostanza solo ai fini
di non richiedere l'utilizzo diretto del bene da parte dell'azienda (cfr. ordinanze n. 5559/2019, n.
4306/2015 e n. 29469/2008).
Cassazione – ordinanza n. 3249 – 2 luglio 2019 – 11 febbraio 2020
Iva
Strumentalità dei fabbricati abitativi con verifica effettiva
In tema di Iva, ai fini della detrazione nelle operazioni relative a fabbricati a destinazione abitativa, la
natura strumentale del bene acquistato deve essere valutata non solo in astratto, con riferimento
all'oggetto dell'attività d'impresa, bensì, in concreto, accertando che lo stesso costituisce, anche in
funzione programmatica, lo strumento per l'esercizio della suddetta attività (cfr. sentenza n.
5559/2019).
Cassazione – ordinanza n. 3403 – 4 luglio 2019 – 12 febbraio 2020
Cassazione – ordinanza n. 3402 – 4 luglio 2019 – 12 febbraio 2020
Cassazione – ordinanza n. 3401 – 4 luglio 2019 – 12 febbraio 2020
Cassazione – ordinanza n. 3396 – 4 luglio 2019 – 12 febbraio 2020
Redditi diversi
Non si torna indietro dalla rivalutazione
L'imposta sostitutiva L. 448/2001, ex articolo 7, in quanto frutto di una libera scelta del contribuente, il
quale opta per la rideterminazione del valore del bene con conseguente versamento del dovuto nella
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prospettiva di un risparmio in caso di futura cessione, non rientra tra le dichiarazioni di scienza
suscettibili di essere corrette in caso di errore, bensì tra le manifestazioni di volontà irretrattabili, salvo
che nel caso di errore obiettivamente riconoscibile ed essenziale ai sensi dell'articolo 1428, cod. civ.
(cfr. sentenza n. 19382/2018).
Cassazione – ordinanza n. 4659 – 8 novembre 2019 – 21 febbraio 2020
La differenza tra edificabile e lottizzato
In tema di redditi diversi, la fattispecie relativa alle plusvalenze derivanti dalla vendita di terreni
suscettibili di utilizzazione edificatoria, prevista dal Tuir, articolo 81 (ora articolo 67), lettera b), si pone
come regola a eccezione rispetto a quella contemplata dalla lettera a), della medesima norma, che
riguarda esclusivamente le ipotesi in cui il terreno non sia suscettibile di utilizzazione edificatoria
secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione, ma sia interessato da interventi
obiettivamente considerati di lottizzazione o di esecuzione di opere per l'edificabilità del terreno,
ancorché realizzati fuori o in contrasto con i vincoli urbanistici (cfr. sentenza n. 12320/2017).
Cassazione – sentenza n. 3388 – 4 dicembre 2019 – 12 febbraio 2020
Non rileva la cubatura non sviluppata dell’edificio
Non è possibile porre a carico del venditore dell'edificio sorto su terreno (già) edificabile una (affermata)
plusvalenza anche solo commisurata all'ulteriore capacità edificatoria non (ancora) sviluppata, perché
si tratterebbe di porre su un soggetto diverso (il veditore) una tassazione che il Legislatore ha fissato
già in capo al compratore. Né si deve pensare che in tal modo il venditore si sottragga ai propri obblighi
fiscali: infatti nel prezzo di cessione dell'edificio, come nella rendita catastale, è computata anche la
capacità edificatoria inespressa. Detta in altri termini, la norma non intende colpire la capacità
edificatoria residua (c.d. volumetria, cubatura o superficie coperta rimanente), bensì solo la plusvalenza
nella cessione di un terreno a seguito della primigenia edificabilità prevista in sede di pianificazione
urbanistica. Diversamente opinando sarebbero da considerare soggette a plusvalenza da cessioni di
terreno edificabile tutte le alienazioni a titolo oneroso di edifici che non abbiano sviluppato
integralmente la potenzialità edificatoria del lotto su cui insistono, poiché potrebbero sempre essere
abbattuti e ricostruiti o semplicemente ampliati, a prescindere dall'intenzione delle parti (cfr. sentenze
n. 22409/2019, n. 5090/2019 e n. 5088/2019).
Cassazione – sentenza n. 3380 – 22 ottobre 2019 – 12 febbraio 2020
Registro
I requisiti per applicare il prezzo-valore
In tema di imposta di registro, ipotecaria e catastale, al fine di potersi avvalere del regime del cd. prezzo
- valore per la determinazione della base imponibile anche con riferimento agli immobili privi di rendita
o con rendita non definitivamente attribuita, ma solo proposta con la procedura DOCFA, di cui al D.M.
701/1994, è necessario che le parti chiedano espressamente nell'atto l'applicazione del D.L. 70/1988,
articolo 12, convertito in L. 154/1988, non potendo tale istanza ritenersi implicita nella diversa richiesta
di applicazione della L. 266/2005, articolo 1, comma 497, che si riferisce alle sole cessioni di immobili
ad uso abitativo iscritti in catasto con attribuzione definitiva di rendita (cfr. sentenza n. 4055/2019).
Cassazione- sentenza n. 4072 – 12 dicembre 20198 – 18 febbraio 2020
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Obbligo di presentazione del certificato entro 3 anni a pena di decadenza nella vecchia ppc
In tema di agevolazioni tributarie, il contribuente che intenda fruire dei benefici per la piccola proprietà
contadina e che all'atto della registrazione si sia limitato a produrre l'attestazione di cui alla L.
604/1954, articolo 4, comma 1, in luogo del certificato previsto dall'articolo 3, è tenuto, ai sensi
dell'articolo 4, comma 2, a presentare il certificato dell'Ispettorato agrario attestante il possesso dei
requisiti prescritti entro il termine, stabilito a pena di decadenza, di 3 anni dalla registrazione dell'atto.
Il contribuente che non adempia l'obbligo di produrre all'Ufficio il certificato definitivo attestante la
sua qualifica di imprenditore agricolo professionale entro il termine decadenziale di 3 anni dalla
registrazione dell'atto, non perde il diritto ai benefici ove provi di aver diligentemente agito per
conseguire la certificazione in tempo utile senza riuscire nello scopo per colpa degli uffici competenti,
e detta diligenza, che deve essere adeguata alle circostanze concrete, richiede al contribuente non solo
di formulare tempestivamente l'istanza ma anche di seguirne l'iter, fornendo la documentazione
mancante eventualmente richiesta dall'ufficio (cfr. sentenze n. 28845/2017, n. 20318/2017, n.
9842/2017, n. 9423/2017, n. 15489/2016, n. 25438/2015 e n. 21050/2007).
Cassazione – ordinanza n. 3214 – 12 dicembre 2019 – 11 febbraio 2020
Tributi locali – Ici
Niente aliquote ridotte per gli affitti ai dipendenti pubblici in ragione di un piano di mobilità
In tema di agevolazioni tributarie, il beneficio previsto dalla L. 431/1998, articolo 2, comma 4, secondo
il quale i Comuni possono deliberare, nel rispetto dell'equilibrio di bilancio, aliquote Ici più favorevoli
per i proprietari che concedono in locazione a titolo di abitazione principale immobili alle condizioni
concordate fra le organizzazioni dei proprietari e dei conduttori, non è applicabile agli alloggi edificati
e concessi in locazione in attuazione del piano straordinario di edilizia residenziale di cui al D.L.
152/1991, articolo 18 (convertito in L. 203/1991), approvato per favorire la mobilità dei dipendenti delle
Amministrazioni statali per necessità di lotta alla criminalità organizzata, giacché il predetto regime
fiscale di favore (avente natura derogatoria ed eccezionale) non è suscettibile di interpretazione
estensiva, per difetto dell'identità di ratio e per diversità degli scopi perseguiti dalle norme sui contratti
di locazione, consistenti, rispettivamente, nella riduzione della tensione abitativa mediante
reimmissione sul mercato di unità abitative sfitte e nell'incentivo al trasferimento del personale per
contrastare la criminalità organizzata (cfr. sentenza n. 2824/2012).
Cassazione – sentenza n. 5638 – 8 novembre 2019 – 2 marzo 2020
Utilizzo dei valori predeterminati delle aree edificabili
In tema di Ici, è legittimo l'avviso di accertamento emanato sulla base di un regolamento comunale che,
in forza del D.Lgs. 446/1997, articolo 52 e 59, e del D.Lgs. 267/2000, articolo 48, abbia indicato
periodicamente i valori delle aree edificabili per zone omogenee con riferimento al valore venale in
comune commercio, trattandosi di atto che ha il fine di delimitare il potere di accertamento del Comune
qualora l'imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato e, pur non
avendo natura imperativa, integra una fonte di presunzioni idonea a costituire, anche con portata
retroattiva, un indice di valutazione per l'Amministrazione ed il giudice, con funzione analoga agli studi
di settore (cfr. sentenza n. 15312/2018).
Cassazione – sentenza n. 5637 – 8 novembre 2019 – 2 marzo 2020
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Obbligo di possesso e conduzione per la fictio sui terreni edificabili
In materia di Ici, perché un fondo possa beneficiare, ai fini della determinazione della base imponibile,
dei criteri di calcolo previsti per i terreni edificabili destinati a fini agricoli, è necessaria - ai sensi del
secondo periodo del D.Lgs. 504/1992, articolo 2, lettera b), - oltre alla sua effettiva destinazione
agricola, anche la conduzione diretta di esso da parte del contribuente, sicché tale agevolazione non
compete al proprietario, pur iscritto negli elenchi dei coltivatori diretti, che non conduca direttamente
i terreni per averli concessi in affitto.
Cassazione – ordinanza n. 4394 – 3 luglio 2019 – 20 febbraio 2020
Aliquota ridotta solo se l’immobile è dimora abituale anche dei familiari
In tema di Ici, ai fini della spettanza della detrazione e dell'applicazione dell'aliquota ridotta prevista
per le abitazioni principali dal D.Lgs. 504/1992, articolo 8, un'unità immobiliare può essere riconosciuta
abitazione principale solo se costituisca la dimora abituale non solo del ricorrente, ma anche dei suoi
familiari, non potendo sorgere il diritto alla detrazione nell'ipotesi in cui tale requisito sia riscontrabile
solo nel ricorrente e invece difetti nei familiari (cfr. sentenze n. 15444/2017, n. 13062/2017 e n.
14389/2010).
Cassazione – ordinanza n. 4170 – 26 novembre 2019 – 19 febbraio 2020
Cassazione – ordinanza n. 3966 – 27 novembre 2019 – 18 febbraio 2020
Il vincolo idrogeologico non cambia la natura edificabile del terreno
In tema di Ici, l'esistenza di un vincolo idrogeologico che condizioni di fatto l'edificabilità del suolo non
esclude la natura fabbricabile dall'area - rilevante D.Lgs. 504/1992, ex articolo 2, e desunta dalla
qualificazione attribuita nel PRG adottato dal Comune - ma incide soltanto sulla concreta valutazione
del relativo valore venale, riducendo, quindi, la base imponibile (cfr. sentenza n. 19963/2019).
Cassazione – ordinanza n. 3953 – 26 novembre 2019 – 18 febbraio 2020
Cassazione – ordinanza n. 3952 – 26 novembre 2019 – 18 febbraio 2020
Cassazione – ordinanza n. 3951 – 26 novembre 2019 – 18 febbraio 2020
Non serve il contraddittorio preventivo nell’accertamento di aree edificabili basato su valori deliberati
La necessità del preventivo contraddittorio con il contribuente non è ravvisabile nella fattispecie
relativa ad accertamento Ici fondato sulla delibera, prevista dal D.Lgs. 446/1997, articolo 59, con la
quale il Comune determina periodicamente per zone omogenee i valori venali in comune commercio
delle aree fabbricabili, sulla base di dati tecnici nella specie rivenienti da perizia predisposta dall'ente.
Cassazione – ordinanza n. 3172 – 23 ottobre 2019 – 11 febbraio 2020
Tributi locali – Tarsu
Non è necessaria l’individuazione delle caratteristiche nella delibera di assimilazione dei rifiuti speciali
In tema di Tarsu, ai sensi del D.Lgs. 22/1997, articoli 7, 10 e 21, (applicabili anche ai periodi di imposta
dal 2005 al 2008), sono soggetti a tassazione i rifiuti speciali non pericolosi, se assimilati ai rifiuti solidi
urbani da una delibera comunale e ciò anche nell'ipotesi in cui la stessa non ne individui le
Osservatorio
96 Consulenza immobiliare n. 24/2020
caratteristiche quantitative e qualitative, spettando al contribuente solo una riduzione tariffaria in base
a criteri di proporzionalità, nel caso in cui dimostri una riduzione della superficie tassabile ovvero che i
rifiuti speciali siano avviati a recupero direttamente dal produttore, purché il servizio pubblico di
raccolta e smaltimento sia istituito e sussista la possibilità per l'istante di avvalersene (cfr. sentenza n.
9214/2018).
Cassazione – ordinanza n. 3950 – 26 novembre 2019 – 18 febbraio 2020
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