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21 “www.petruspaulus.org” * CONVERSAZIONI SUL GIORNALISMO IV^ ed ultima * L L L a a a L L i i b b e e r r t t t à à à d d d i i i S S t t a a m m p p a a a L L L e e e C C C o o n n n q q q u u i i i s s t t t e e e ! ! ! L L L e e e S S S c c c o o o n n n f f f i i i t t t t t t e e e ! ! ! * Comincerò quest’ultima conversazione una breve notizia per molti decenni coperta dal segreto di Stato. Ora non lo è più. Quindi, non c'è violazione. C'è però l'anticipazione di un’informazione, finora sconosciuta. Nel settembre del 1943, l’allora Governo nazionale scappò da Roma. Si rifugiò a Bari. Da qui, traslocò a Salerno. Una preoccupazione assillava Presidente del Consiglio, generale Badoglio. La traggo dal resoconto del Consiglio dei Ministri: "A proposito della stampa... Badoglio sottolinea la necessità che il Governo avesse sotto controllo almeno un giornale a Napoli, uno in Sicilia e uno in Sardegna oltre all'EIAR (la RAI di oggi) e riferisce una conversazione avuta al proposito, con il generale Mac Farlane" (del Quartiere Generale delle Forze Armate Alleate). Il Presidente del Consiglio Badoglio, il Primo Ministro inglese Churchill ed Ivanoe Bonomi a Roma subito dopo la liberazione dalla occupazione tedesca

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“www.petruspaulus.org”

* CONVERSAZIONI SUL GIORNALISMO

IV^ ed ultima *

LLLaaa LLLiiibbbeeerrrtttààà dddiii SSStttaaammmpppaaa

LLLeee CCCooonnnqqquuuiiisssttteee !!! LLLeee SSScccooonnnfffiiitttttteee !!!

*

Comincerò quest’ultima conversazione una breve notizia per molti decenni coperta dal segreto di Stato. Ora non lo è più. Quindi, non c'è violazione. C'è però l'anticipazione di un’informazione, finora sconosciuta.

Nel settembre del 1943, l’allora Governo nazionale scappò da Roma. Si rifugiò a Bari. Da qui, traslocò a Salerno. Una preoccupazione assillava Presidente del Consiglio, generale Badoglio. La traggo dal resoconto del Consiglio dei Ministri:

"A proposito della stampa... Badoglio sottolinea la necessità che il Governo avesse sotto controllo almeno un giornale a Napoli, uno in Sicilia e uno in Sardegna oltre all'EIAR (la RAI di oggi) e riferisce una conversazione avuta al proposito, con il generale Mac Farlane" (del Quartiere Generale delle Forze Armate Alleate).

Il Presidente del Consiglio Badoglio, il Primo Ministro inglese Churchill ed Ivanoe Bonomi a Roma subito dopo la liberazione dalla occupazione tedesca

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Quella frase di Badoglio la dice lunga su come, talvolta, alcuni

personaggi dell'esecutivo si comportano nei confronti della libertà di stampa e dell'opinione pubblica.

Ma va detto che, già molti e molti anni prima, alcuni uomini politici seguivano lo stesso comportamento.

La prima proposta di legge per purgare la libertà dei giornalisti, venne esaminata dalla Camera dei Deputati nella seduta del 20 febbraio 1849. Tuttavia, il dibattito parlamentare vero e proprio sulla libertà di stampa si svolse undici anni più tardi.

Bozzetto in legno (1900) dell’attuale Aula della Camera dei Deputati

In quella occasione si manifestarono opinioni pro o contro così

elevate, così erudite, così sapienti, la cui validità è, purtroppo, attuale tutt'oggi. Anche nei nostri giorni, assistiamo a tentativi di rimettere sugli altari l'antica "licenza de' Superiori".

Ma ancor prima di quel lontano dibattito parlamentare, la libertà di stampa, per affermarsi, aveva dovuto percorrere in Europa un lungo e difficile cammino, ed aveva dovuto pagare prezzi talvolta altissimi.

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In Francia la GAZZETTE DE FRANCE - impressa dall’editore Theophraste Renaudat con l'autorizzazione e con il finanziamento del Primo Ministro Armad Jean de Plessis, che altri non era che il famoso cardinale Richelieu - pubblicava solo notizie e comunicati a carattere ufficioso.

Il cardinale Richelieu In Inghilterra, il giornalismo si inseriva da protagonista nella lotta

politica tra la Casa reale Stuart ed il Parlamento. E' in questa occasione che, per la prima volta, il giornalismo tenta di affermarsi, mentre l'autorità politica cercherà di impedirne talune manifestazioni attraverso la censura. Però, in un successivo breve periodo privo di restrizioni, ci furono alcuni giornali, e giornalisti, che fecero un uso o meglio abuso della libertà di stampa. Per questa ragione, dopo appena pochi anni, fu ripristinata la censura da parte della Camera dei Comuni.

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Frontespizio de IL PARADISO PERDUTO di Jhon Milton. Edizione del 1711 presso la Biblioteca Nazionale Braidense, Milano

Un poeta, che amava scrivere sonetti anche in lingua italiana, John

Milton - autore de IL PARADISO PERDUTO, opera definita "l'unica grande epopea cristiana della letteratura mondiale" - nella sua battaglia a favore della libertà di stampa, si rivolse ai parlamentari con queste parole: "Uccidere un uomo, vuol dire sopprimere una creatura ragionevole. Reprimendo la Stampa, voi deputati inglesi uccidete la stessa Ragione".

John Milton

In Inghilterra, per la verità, molti furono i metodi escogitati per limitare la libertà di stampa. Tra questi, la proposta - votata ed approvata nel 1712 - di far pagare una tassa per ogni foglio di giornale. Da quella data, il giornale poteva essere stampato soltanto su carta bollata fornita dallo Stato: mezzo penny per un giornale di mezzo foglio; un penny per un giornale stampato a foglio intero. I giornali da un penny cessarono le pubblicazioni.

Quella tassa, però, favorì la fioritura di giornali clandestini con i quali si scriveva e diffondeva tutto ed il contrario di tutto. Per eliminare quella stampa clandestina, si accertò un solo mezzo: abolire la tassa di bollo. Per arrivare a quella constatazione, tuttavia, ai politici inglesi fu necessario quasi un secolo.

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Oliver Cromwell In Inghilterra, la libertà di stampa tornò ancora una volta con

l'ascesa al potere di Oliver Cromwell, che poi fu anche il primo uomo politico a dare l'ordine di "purgare" il Parlamento.

Poco dopo, però, il Governo tornò a dare una regola al giornalismo. Lo fece con due provvedimenti contrastanti, come lo sono il bastone e la carota. Da una parte venne ripristinata la censura preventiva sulla stampa con il "Licensing Act"; dall'altra, si offrirono sussidi al giornalismo.

Pochi anni più tardi, un memoriale del filosofo Locke, dimostrò all'Inghilterra e all'Europa, che i danni provocati dalla censura preventiva, erano di gran lunga "più immensi" delle possibili offese che potevano essere ricevute con la libertà di stampa. La censura venne definitivamente tolta.

John Locke

Prima che si affermasse questa convinzione, una notte dell'ottobre

del 1663, venne invasa e distrutta a Londra una tipografia. Apparteneva al signor Twyn il quale, evidentemente, stampava giornali senza sottoporli alla censura preventiva.

Colui che guidò il saccheggio era nientemeno "uno della stampa". I cronisti dell'epoca lo hanno fatto conoscere ai posteri col nomignolo di "mentitore sconosciuto".

Il tipografo Twyn venne arrestato, processato e condannato. Prima della sentenza, si rivolse ai giudici per chiedere perdono "al Re e a Lor Signori".

"Chiedetelo a Dio", gli risposero "Lor Signori". E il boia ricevette l'ordine di eseguire la sentenza con le parole di

rito: "Fate l'affar vostro". Con il '700, si afferma in Inghilterra una novità che si diffonderà in

tutti i Paesi del mondo occidentale. Gli uomini politici destinati ad avere

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grande fama, cominciarono a dedicarsi al giornalismo che offriva loro una possibilità di successo “in più”.

L'ingresso dei politici nel giornalismo, dette un notevole contributo

al consolidamento, sia pure graduale, della libertà di stampa. I politici, in particolare, contribuirono a superare lo scontro Stampa-Parlamento.

Tempo prima, con il varo dello "Standing Order", la Camera dei Comuni aveva vietato di pubblicare quanto si diceva in Parlamento. La decisione fu giustificata con la nobile necessità di assicurare il "trionfo delle idee" manifestate dai deputati. Le pene erano severe. Arresti. Fiamme per i giornali. Condanne alla berlina per i giornalisti.

Napoleone: grande per le imprese militari e per la violenza della censura

In Francia, la questione della libertà di stampa ebbe vicende

diverse. Prima della Rivoluzione, il Governo permetteva la pubblicazione

di appena una dozzina di giornali. Nel 1789, l'Assemblea Nazionale decretò che ogni cittadino poteva

"scrivere e stampare liberamente". Ma "le diffamazioni, le ingiurie, le invettive dei partiti", diffuse attraverso i giornali, indussero l'Assemblea Nazionale a reprimere gli eccessi della stampa.

Dapprima fu reso obbligatorio, per i parlamentari, di optare tra la funzione di deputato e quella di giornalista.

Poi, i giornali ed i torchi tipografici, vennero messi sotto il controllo della Polizia.

Ne seguì che i direttori e i giornalisti di 67 giornali parigini, furono condannati alla deportazione.

Il IV fruttidoro (17 settembre 1807), i giornali francesi furono sottoposti al pagamento della tassa di bollo.

Poco dopo, Napoleone ripristinò la censura sulla stampa. Nel 1811, il GIORNALE DELL'IMPERO pubblicava il seguente

avviso dettato - si tramanda - personalmente dall'imperatore Napoleone: "A datare dal 1° ottobre prossimo, a Parigi non si pubblicheranno che

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quattro giornali: IL MONITORE, IL GIORNALE DELL'IMPERO, LA GAZZETTA DI FRANCIA ed IL GIORNALE DI PARIGI".

Giornale pubblicato in Italia con il permesso del “sovrano napoleonico” Allo scrittore e poeta Chateaubriand, che si era permesso di

scrivere contro corrente, furono promesse alcune sciabolate, "perchè - spiegò Napoleone - non vi è stabilità possibile con la libertà dei libelli".

Giusto in questo periodo, un deputato francese si prostituì al punto da sostenere un nuovo modo di educare l'opinione pubblica: “Le idee - disse costui - passano dai giornali e dai libri, alle menti. Dunque, è dalle menti che bisogna bandire le idee. Ma fino a quando i cittadini non avranno dimenticato quello che apprendono dalla stampa, saranno sempre male disposti alla servitù”.

Un metodo educativo - offerto dalla storia alla nostra memoria - che in seguito si tenterà spesso di imitare.

Tuttavia, l'opinione pubblica francese dovette attendere sino al

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1870, prima che i suoi politici capissero che, "per la grandezza della Francia", era tempo di accordare alla stampa maggiore libertà.

E veniamo all'Italia. Il problema della libertà di stampa venne preso di petto in una

discussione parlamentare che occupò ben sette sedute della Camera dei Deputati. Da quella data ad oggi, nessun altro dibattito parlamentare ha toccato i temi della libertà di stampa, in modo così elevato come quello del febbraio del 1852.

Quell’impegno culturale e politico, è dato dalla partecipazione alla discussione di cinque statisti che poi avrebbero retto la presidenza della Camera dei Deputati; da sei deputati che sarebbero stati chiamati dal Re a guidare il Governo del Paese; da vari ministri, deputati, giornalisti deputati e da tre sacerdoti-deputati (i reverendi Pernigotti, Asproni e Angius).

Una curiosità che rivela come la libertà di stampa, talvolta, può essere pelosa. Di quest'ultimi tre sacerdoti-deputati - che pure si batterono con dedizione sulle questioni della libertà della stampa - non c'è traccia nel DIZIONARIO ENCICLOPEDICO ITALIANO.

Eppure, per onorare la scomparsa di uno di loro, il deputato-sacerdote Giorgio Asproni, l'Aula del Parlamento nazionale (Montecitorio) fu messa in gramaglie, in altre parole fu tutta addobbata in un nero lugubre, per tre giorni di seguito: fatto unico nella storia politico-parlamentare d’Italia.

Lo stesso DIZIONARIO, però, cita in compenso il vocabolo "asprone": il nome che gli abitanti di Bari danno ad un pesce.

Comunque, la Camera dissentiva dal progetto di legge con il quale il Governo chiedeva di trasformare i reati di stampa da politici in reati comuni. Anzi, l’Assemblea dei deputati aveva redatto un proprio progetto di legge sulla libertà di stampa.

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Una curiosa immagine di Cavour riprodotta nella copertina di uno spartito “per pianoforte solo e flauto”, in vendita a due franchi la copia

Toccò a Camillo Benso di Cavour, che all'epoca era ministro delle Finanze, della Marina, dell'Agricoltura e del Commercio, il compito di difendere il progetto di legge del Governo sulla limitazione della libertà di stampa.

Sappiamo che Cavour fu il Presidente del Consiglio che più di tutti si adoperò per l'unità. Molti di noi sanno che Cavour fu un grande giornalista che si espresse attraverso le pagine de IL RISORGIMENTO.

Un esemplare della “ testata” del quotidiano IL RISORGIMENTO

Pochi ricordano che Cavour fu il fondatore della Agenzia di stampa STEFANI, attraverso la quale cercò di assicurare all'Italia anche l'indipendenza dal monopolio dell'informazione, detenuto in quei tempi da tre Agenzie straniere: la francese HAVAS, l'inglese REUTER e la tedesca WOLF.

Tre agenzie con le quali i Governi di Parigi, Londra e Berlino, finivano per monopolizzare poteri multinazionali come quello finanziario, industriale e militare, a scapito di altre Nazioni.

In altre parole, Cavour volle riscattare gli italiani dalla servitù che li assoggettava alle tre Agenzie di stampa. Servitù, forse, più grave di quella economica e politica, poiché con il monopolio dell’informazione si poteva plagiare e far cambiare opinione a proprio vantaggio, addirittura a tutto il popolo.

Alla Camera, Cavour parlò per oltre due ore. Un discorso considerato eccezionale anche per la lunghezza. In

quel tempo, l'importanza degli interventi nell'Assemblea parlamentare si misurava per la sostanza e la qualità delle cose dette e non per la lungaggine del dire.

Al contrario di quanto avviene ai giorni nostri, ove la stampa ha sottolineato i discorsi parlamentari anche per la loro durata. Famoso quello dell'onorevole Almirante che parlò per 18 ore di seguito. Più

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famoso ancora, quello dell'onorevole Boato che superò nel tempo quello di Almirante.

I temi toccati da Cavour sulla questione della libertà di stampa - ed anche quelli di altri parlamentari - sono di una attualità sconcertante.

Proviamo a riassumerli per grandi linee. Il problema della libertà di stampa, nelle libere Istituzioni è il più

difficile da risolversi. Perché - spiegava Cavour - conciliare l'esercizio della libertà con la repressione degli abusi che ne possono nascere, è impresa non solo difficile, ma impossibile.

Di qui la necessità di doversi contentare di leggi imperfette. Questa è una verità - insisteva lo Statista - che si dovrebbe sempre tener presente, ogni qualvolta viene a parlarsi della libertà di stampa.

Il Presidente del Consiglio Massimo d’Azeglio

Prima di Cavour, però, aveva preso la parola il Presidente del

Consiglio Massimo D'Azeglio. L’informazione - aveva osservato D'Azeglio - era quel bene che separava l'epoca moderna dai tempi passati. Dunque, ne derivava che anche la libertà di stampa era un bene e, quindi, si doveva fare ogni sforzo per mantenerla.

Ma qui viene la questione difficile. Perché? Perché - notò D'Azeglio - la libertà di informazione, spesso perisce

per mani proprie. Se essa, infatti, non tutela la giustizia, non tutela il diritto sociale, il diritto politico, il diritto civile, il diritto religioso, i diritti cari a tutti gli uomini... a poco a poco si finisce per dire: Questa non è libertà; questa è prepotenza di pochi!

La libertà di stampa, allora, viene a noia e scade nell'opinione dei

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cittadini. Al contrario, la libertà di informazione doveva essere praticata con giustizia e prudenza.

Cavour non fu d'accordo con D'Azeglio, soprattutto per il

riferimento alla giustizia ed alla prudenza. E non esitò a confessare che il progetto di legge del Governo, in molte parti, risultava difettoso, anzi difettosissimo. Tuttavia, il Governo non poteva ignorare che gli abusi e gli eccessi della libertà di stampa richiedevano l'adozione di urgenti provvedimenti ed una più efficace repressione.

Urbano Rattazzi, per tre volte Presidente della Camera dei Deputati: 1852, 1959 e 1861

Il deputato Urbano Rattazzi - che resse sia la presidenza della

Camera dei Deputati, sia la guida del Governo - replicò polemicamente a Cavour ed affermò che ciascun cittadino aveva il diritto di dire e di stampare quello che voleva.

Non solo. Disse ancora: Se fosse altrimenti, un poco alla volta il Governo avrebbe finito per abolire la libertà di stampa.

Ma questo - ribattè Cavour - era esattamente l'argomento usato da quanti si opponevano alle riforme. E se si dava retta a costoro, a forza di non riformare, si arrivava dritti dritti alle rivoluzioni.

Fu a questo punto, comunque, che Cavour fece alla Camera una rivelazione.

La decisione del Governo di procedere alla modifica della libertà di stampa era stata approvata persino da quel politico inglese che allora era considerato il campione europeo della libertà: lord Enry John Palmerston.

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Henry John Temple Palmerston. Politico britannico. Eletto deputato tory, si avvicinò al partito avverso wighs. Simpatizzò con i sudisti durante la guerra di secessione dei coloni americani. Intervenne negli affari interni di vari Paesi, tra i quali l’Italia

Quindi, il progetto di legge del Governo sulla limitazione della

libertà di stampa, non era poi così "infausto" come lo avevano definito Rattazzi ed altri deputati della opposizione.

Ma a difesa del progetto di legge illustrato da Cavour, intervenne il primo dei tre deputati sacerdoti: l'on. Pernigotti.

La Nazione - avvertì il canonico Pernigotti - è convinta che se la forza può comprimere la libertà, gli abusi la uccidono.

La stampa è certamente un potente educatore del popolo, "ma se la menzogna entra per mezzo della stampa nel pubblico e nel privato, allora la Nazione applaudirebbe a una legge che venisse al riparo di tanti danni".

Carlo Bon Compagni, Presidente della Camera nel 1856. Tra le sue opere letterarie e politiche: “DELLE SCUOLE INFANTI” e “LA CHIESA E LO STATO IN

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ITALIA,”. Prese parte alla stesura del progetto di legge per assicurare le “guarentigie” al Pontefice.

Per dimostrare che la stampa poteva essere regolamentata, il

deputato Carlo Bon Compagni - un Magistrato, poi eletto Presidente della Camera - dapprima riconobbe che il male che travagliava la società italiana non stava nella licenza della stampa, ma nella coscienza civile e morale esitanti nei principi, nonché nella affievolita coscienza religiosa.

Tuttavia - sostenne - c’erano degli scandali di stampa che andavano puniti, senza però impedire la libertà necessaria nelle questioni politiche e nelle speculazioni dell'ingegno.

A difendere la libertà di stampa, tra gli altri, sorse il deputato Angelo Brofferio, giornalista de IL MESSAGGIERE, nonché autore della STORIA DEL PARLAMENTO SUBALPINO.

Le tradizioni monarchiche, dichiarò, ci hanno tramandato un detto: "Non toccate la Regina! Ma nelle tradizioni dei popoli liberi - aggiunse - dovrebbe essere scritto: Non toccate la Stampa, perché all'ombra della sua libertà nascono tutti i diritti".

Per dimostrare che la limitazione o la repressione della libertà di informare colpiva anche coloro che negavano quella libertà ai propri concittadini, il deputato giornalista Brofferio rammentò che, prima di morire a Sant'Elena, Napoleone aveva fatto una ragguardevole abiura: “Censurando la stampa - confessò - ho perso più di quanto avevo conquistato nelle battaglie di Wagram e Austerlitz”.

Ma il deputato giornalista Brofferio polemizzò soprattutto con Cavour che aveva reso noto il parere favorevole di lord Palmerston al progetto del Governo per limitare la libertà alla stampa italiana.

L'Inghilterra - precisò al contrario il deputato giornalista Brofferio - ha una stampa che "penetrava sfacciatamente nei domestici focolari e ne rivelava i segreti turbamenti".

Le recenti rivelazioni sulle vicende del reale focolare domestico inglese, a quanto pare, hanno una antica origine.

Mentre il dibattito sulla libertà di stampa si faceva sempre più vivace, alcuni deputati colsero l'occasione per paragonare i giornali a delle vere e proprie "Botteghe d'infamia"; e i giornalisti a delle "Vipere che escono dalla buca" per gettare veleno sulle persone e sulle Istituzioni.

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Ma a parte queste definizioni, nell'Aula parlamentare ricorreva una

domanda che aspetta tuttora una risposta: “La stampa è espressione dell'Opinione Pubblica, oppure del Potere?”

Al quesito, già da allora, tentò di rispondere il deputato Agostino de Pretis, più tardi assurto alla guida del Governo; un politico ben introdotto nella Corte dei Savoia e specialmente in quella della Regina della quale, si giurava, fosse un confidente.

Iconografia d’epoca del primo Governo De Pretis (al centro)

Nelle società politiche - spiegò il deputato De Pretis - vi sono da

un lato la pubblica opinione e, dall'altro, le istituzioni con il Governo. Nei Governi a dittatura, l'intelligenza e la coscienza pubblica sono

concentrate nella mente del Dittatore. Quindi, non c'è libertà. Tanto meno quella di stampa.

Nei governi democratici, invece, l'opinione pubblica è il vero fondamento del potere. "Ma - soggiunse il deputato De Pretis - perchè l'opinione pubblica possa formarsi, è necessaria una stampa libera che non sia cioè proprietà esclusiva e prevalente di una parte politica o sociale. Poiché se una maggioranza legale del Paese avesse in mano lo strumento della stampa in modo esclusivo, le manifestazioni della opinione pubblica verrebbero qualificate reati".

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Il deputato sacerdote Giorgio Asproni, benché contrario al progetto di legge del Governo, cercò di riportare il dibattito parlamentare ad un clima di moderazione e serenità.

Cominciò ricordando il comportamento degli Imperatori romani Teodosio, Arcadio e Onorio, rispettosi della celebrata libertà di pensiero.

Teodosio con accanto i figli Onorio e Arcadio (dal rilievo dell’obelisco a Teodosio ad Istanbul)

Nell'udire quelle citazioni, molti deputati presero scioccamente a

ridere o a manifestare allusioni non ben disposte verso il loro collega. Il deputato Asproni, non raccolse e proseguì sollecitando

bonariamente i suoi onorevoli colleghi a riservarsi dal ridere e a riflettere, dopo che avessero udite le parole che quei celebri Imperatori avevano pronunciato in difesa della libertà di esprimere il proprio pensiero.

Teodosio, Arcadio e Onorio avevano vietato, addirittura con la forza di una legge, che si dovesse rendere conto delle ingiurie, verbali o scritte, lanciate contro di loro dal giornalismo dell'epoca.

Le ragioni di quella legge libertaria, furono da loro così spiegate: se la maldicenza aveva origine dalla leggerezza di chi la diffondeva, costui si doveva disprezzare. Se la maldicenza aveva origine da insania dell'autore dell'ingiuria, questi meritava compassione. Se era frutto dell'animo maligno del calunniatore, questi si doveva perdonare.

Perciò - concluse il deputato sacerdote Asproni - non si dovevano definire "vili" i giornalisti. Poichè questo era un attributo grave e terribile che si poteva addirittura applicare al direttore de IL RISORGIMENTO, cioè allo stesso ministro Cavour, per gli articoli che, stando a Torino, aveva scritto contro la condotta del Re di Napoli quando quest'ultimo

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aveva disertato la causa italiana.

Ma l'ammonimento del deputato sacerdote Asproni, non fu raccolto. Tant'è che poco dopo votando per appello palese, la proposta del Governo ebbe 100 voti favorevoli e 44 contrari.

Da quel giorno - primo marzo 1852 - gli abusi commessi dai giornalisti, furono puniti come reati comuni e non più come reati politici.

Decenni più tardi, il Presidente del Consiglio dei Ministri, onorevole Benito Mussolini, chiese ed ottenne, per legge, di abolire la libertà di stampa.

Il Presidente del Consiglio B. Mussolini I deputati che vi si opposero furono appena cinque! Tutti gli altri 261 presenti, alle ore 23 e 50 della notte del 20

giugno 1925, votarono a favore. Fatto più grave, essi applaudirono alla limitazione della libertà

della stampa. Nella nostra Costituzione repubblicana - così in quella precedente

conosciuta come Statuto Albertino - vi è sancito un diritto che oggi quasi nessun cittadino esercita, ma che purtroppo nemmeno si conosce.

Colpa del cittadino? In parte si. Infatti, troppo spesso ci si nasconde nel dire: "Io non lo sapevo". Colpa dei politici? In parte si. Essi non curano di far conoscere questo diritto ai cittadini, sin dalla

scuola elementare. Colpa del giornalismo? In parte si. Spesso, pur di compiacere Coloro che abitano più in alto nel

Palazzo, il giornalista si sofferma, prevalentemente, alla descrizione superficiale delle anomalie sociali, più che alla ricerca e denuncia delle ragioni che ne sono la causa.

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Quale è quel diritto costituzionale? E' la Petizione sanzionata all'articolo 50 della Costituzione. Là

dove è scritto che "Tutti i cittadini possono rivolgere Petizioni alle Camere, per chiedere provvedimenti legislativi ed esporre comuni necessità".

Alcuni Costituzionalisti ritengono che la Petizione sia un residuo del passato.

Giovanni Spadolini (a destra) e Giulio Andreotti (a sinistra): due politici, due giornalisti

Lo scomparso Presidente del Senato Giovanni Spadolini - giornalista e politico - sosteneva, al contrario, che un più frequente uso ed una più attenta pratica della Petizione, potrebbe riavvicinare il cittadino alle Istituzioni e, queste ultime, al cittadino.

Un riavvicinamento necessario soprattutto ai nostri giorni. Infatti, dobbiamo costatare che tra le istituzioni e il cittadino

sembra permanere una frattura, provocata da una reciproca mancanza di colloquio che si traduce in mancanza di fiducia, per non dire diffidenza.

Durante lo Statuto Albertino, la Petizione era molto usata. Anzi, si può ricordare che talvolta se ne fece un uso perverso. Tanto che un deputato dovette esortare l'Assemblea parlamentare affinché, nell'esaminare la Petizione, fosse inesorabile contro coloro che, approfittando appunto di tale diritto, si trasformavano in delatori.

Naturalmente, non rientrava in quest'ultima categoria la Petizione presentata dal signor Pompeo Rossi. Questi pretendeva dalla Camera dei Deputati di fargli vincere le opposizioni di un padre tiranno che gli rifiutava la mano della figlia!

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Venuta meno la consuetudine del rapporto diretto Istituzione

Cittadino, la Camera ha stabilito che le Tribune del pubblico, comprese quelle riservate ai parlamentari, possono essere sgomberate nei casi di tumulti, ma con una sola eccezione: la Tribuna della Stampa. Perché, se quest'ultima fosse sgomberata, verrebbe meno, per l'assenza dei giornalisti, la pubblicità dei lavori parlamentari.

Oggi, Camera e Senato, mettono a disposizione dei giornalisti anche una Sala Stampa.

La Camera dei Deputati, però, offre al giornalismo qualcosa in più: il Transatlantico.

Il Transatlantico di Montecitorio è un vero e proprio foro delle notizie.

Il Transatlantico (da una foto del 1970)

Il Transatlantico è chiamato così perché l'arredatore del grande salone realizzato all'interno del massonico e brutto castello liberty costruito sul retro dell’arioso Palazzo berniniano di Montecitorio, si ispirò al salone di una nave oceanica.

Nel Transatlantico, dunque, è possibile raccogliere ogni varietà della notizia sia essa politica, economica, sociale, culturale, scientifica e giudiziaria; nonché commenti, indiscrezioni e persino "soffiate".

Sull'uso del Transatlantico c'è una continua divergenza di vedute. I parlamentari lo vorrebbero riservato a se stessi, come era una

volta. I giornalisti, da quando se ne sono appropriato l’accesso, non lo

mollano. Certo è che sarà difficile cacciare i giornalisti dal Transatlantico. Indietro - disse un Presidente della Camera - non è possibile tornare.

Tuttavia, non è raro osservare nel Transatlantico due politici impegnati a confabulare sulle sorti del Paese mentre l'orecchio di un

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giornalista spunta dal taschino della giacca di uno dei due. D'altra parte, va ricordato che in tutti i Paesi del mondo si riscontra

un amore odio, che unisce e divide i rappresentanti delle Istituzioni e i rappresentanti della Stampa.

In Italia, ad esempio, la nascita dell'Associazione Nazionale della Stampa avvenne proprio in occasione, Presidente della Camera Francesco Crispi, di un duello tra un deputato e un giornalista schiaffeggiato a Montecitorio dal primo. Ebbe la peggio - come si ripeterà in avvenire - il giornalista.

Francesco Crispi, Presidente della Camera nel 1876 Oggi, però, le polemiche tra giornalisti e parlamentari sono uno

zuccherino, rispetto a quelle del passato. Pettegolavano allora i politici in un loro DECALOGO, scritto per

gettare discredito sui rappresentanti della Stampa, che l'occupazione principale del giornalista era quella di conversare con la serva di casa.

E aggiungevano: Il giornalista è persino capace di tradurre dal russo, un libro scritto in francese, senza però conoscere il francese.

Ed ancora: Per essere più spedito, il giornalista non ha principii, salvo quello di coltivare la réclame di se, di dire fandonie, di combattere i privilegi degli altri e cercarne per se, di predicare la virtù e fare all'amore con finanziatori possibili.

Tutte offese, insomma, che potrebbero essere riassunte in una battuta attribuita, a suo tempo, al Direttore di un quotidiano tra i più diffusi. Alla domanda se il mestiere del giornalista era faticoso, quel Direttore rispose: "Faticoso? Eccome! Ma è sempre meglio che lavorare".

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Naturalmente, al DECALOGO dei politici contro la Stampa, i

giornalisti risposero scrivendo un DIZIONARIO per spiegare, secondo la loro satira, chi e cosa erano i deputati.

Eccone, per non annoiare, solo alcune voci: Braccio: Membro indispensabile alla maggioranza per alzare la

mano. Tiene luogo di testa. Camera: Luogo inviolabile. Molti legislatori e governanti vi si

rinchiudono, per dire e fare delle scioccherie con maggiore pubblicità. Cambiare: Il partito è l'opposto della camicia: per averne uno

pulito non bisogna cambiarlo mai. Deputato: Colui che rappresenta una parte. Sovente, le parti

meglio pagate sono quelle mute. Anche il Governo, oltre al Parlamento, a suo tempo cercò di

stabilire un contatto privilegiato con i giornalisti. Cominciò a farlo con i comunicati per i giornalisti ed allestendo

una Sala Stampa. Ma la frequenza nella Sala Stampa del Governo, rispetto al

Transatlantico della Camera dei Deputati, si può dire mediamente più che scarsa.

Questo avviene anche per una semplice costatazione: se nella Sala Stampa governativa una informazione è valutata "top secret", nel Transatlantico di Montecitorio non solo è facile averla, ma spesso viene addirittura “offerta”, ovvero “soffiata”, al giornalista.

E poi c'è da tener conto anche di una certa atavica diffidenza del giornalista nei confronti del rappresentante delle Istituzioni. Diffidenza che nasce dalla constatazione che, entrambi, sono consapevoli di un fatto: il giornalista vuole strappare al rappresentante della Istituzione la notizia della quale è in cerca. Il rappresentante della Istituzione, cerca di rifilare al giornalista solo la notizia che vuole diffondere.

Questo gioco delle parti spesso viene scoperto e fustigato. In ogni modo, è un gioco antico. Si può farlo risalire all'epoca in cui la sede romana del Governo era

a Palazzo Braschi, l'ultimo degli imponenti palazzi costruiti a Roma dalle Famiglie papali.

In quel Palazzo (siamo nell'ultima parte dell'Ottocento), l'allora ministro dell'Interno Villa aprì un Circolo o Sala Stampa, riservata esclusivamente ai giornalisti.

In quel locale confortevole e ben arredato, i giornalisti avrebbero trovato notizie, bollettini, circolari, decreti e relazioni dei vari Ministeri; e poi, possibilità di leggere le traduzioni di articoli pubblicati dai giornali stranieri su quanto il Governo italiano faceva di bello e di buono per il Paese.

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Ma i giornalisti fiutarono il pericolo che poteva nascondersi in

tanta abbondanza e comodità. Allora inventarono e diffusero un dialoghetto.

Un giornalista domandava al collega: "Ci andrai tu al Circolo del Ministro a prendere le notizie ufficiali?

"Si - rispondeva l'altro giornalista - ma le prenderò con il beneficio di inventario".

"Allora ci andrò anch'io, ma le prenderò col beneficio di inventarne".

E il Circolo o Sala Stampa, allestita dal ministro dell'Interno, rimase aperta solo per un paio di giorni.

Ma come superare questa reciproca diffidenza tra giornalismo e istituzioni?

Se alla domanda si potesse dare la risposta definitiva, la cronaca ci iscriverebbe tutti e a caratteri d'oro nel Libro della Storia del giornalismo mondiale. Invece, ci dobbiamo contentare di rimanere iscritti soltanto nell'anagrafe del Comune.

Alla domanda, finora non è stato possibile rispondere. Tuttavia, come abbiamo costatato fin dalla prima delle nostre

Conversazioni, l'informazione sarà sempre di parte.

Una delle prime manifestazioni di giornalismo murale del dopo guerra. La scritta, su tavola in legno affissa con un chiodo all’ingresso di Monteciotorio, indicava ai militari alleati presenti in Roma, il Palazzo, la sua storia e la sede della Camera dei

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Deputati.

Particolare con il chiodo con il quale la tavola era affissa sul muro del Palazzo di Monteciorio

Non bisogna però ignorare il pericolo che vi si incunea allorché la

stampa appaia patrimonio di una sola parte. In questo caso, si ha il monopolio della informazione.

Tradotto in soldoni, il monopolio dei mezzi di informazione equivale al dominio, da parte di pochi, nella cura degli interessi di tutti.

Ricordo un precedente ormai storico. Il 19 agosto del 1877, in Roma, presso la sede gesuitica del

Collegio Romano, nasceva l'Associazione della Stampa Italiana. Così come avevano fatto da poco i giornalisti inglesi con la loro

Litterary Fund, i giornalisti francesi con il loro Sindacat de la Presse, i giornalisti tedeschi con la loro Berliner Presse e i giornalisti della vicina Austria con la loro Concordia Verein.

Il giornalismo della neonata Associazione della Stampa Italiana, rendendosi indipendente dalla informazione di parte, lanciava subito incitamenti a politici e governanti.

Scriveva: "Lo studiare il da farsi per poi agire con sicurezza e risoluzione, senza dover ritornare sui fatti, sono idee che stentano a penetrare nello spirito delle nostre classi politiche.

E' utile - domandava ancora la stampa - "continuare in un sistema di Governo che limita la vita morale e politica della Nazione, alle artificiose combinazioni dell'Aula parlamentare?

Tutto questo - insisteva il giornalismo - non si traduce in un sistema in cui Governo, maggioranza e opposizione, finiscono per vivere di una vita fittizia, al di fuori e al di sopra del Paese?

E se ciò corrisponde alla realtà – concludevano i giornalisti - non si corre il rischio che un giorno i nostri politici si svegliano sorpresi, nel vedere che la maggioranza delle Camere non è la maggioranza della Nazione?"

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Fu in questo clima che cominciò ad operare la Associazione della

Stampa Italiana.

Giuseppe Zanardelli. Giornalista de IL CREPUSCOLO. Quattro volte Presidente della Camera: 1892, 1894, 1897 e 1898. Autore del Nuovo Codice Penale e del Nuovo Codice di Commercio. A lui si deve la Cassazione Unica Penale.

Ma come incominciò? L’Associazione della Stampa Italiana, subito dopo la sua

costituzione, ritenne opportuno comportarsi come le consorelle inglese, francese, tedesca ed austriaca. Quest’ultima, la Concordia Verein, aveva deciso di organizzare delle manifestazioni il cui fine ultimo era quello di stabilire un rapporto franco e costruttivo, ma indipendente, con il potere politico nazionale.

Per raggiungere lo scopo, la Concordia Verein, aveva dato il via a Vienna al famoso Ballo annuale della Stampa, immancabilmente aperto dall'ancor più famoso "Die Pubblicisten Walzer" di Johann Strauss.

Su questa scia, l'Associazione dei giornalisti italiani indisse il "Banchetto annuale della Stampa".

Al levar delle mense partecipavano, tra gli altri ospiti, il Presidente del Consiglio, rappresentanti del Senato e della Camera dei Deputati, ministri, esponenti delle Istituzioni comunale, civili e militari, nonché giornalisti della Stampa Estera.

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Furono pronunciati alati e impegnativi discorsi. Il ministro dell'Interno Zanardelli - il giurista cui si deve il Codice Penale che è alla base del nostro ordinamento giuridico - arrivò ad affermare che senza la stampa il Governo correva il rischio di chiudere gli occhi in mezzo agli errori.

Ma subito sopravvenne la insinuazione di una malignità. Si sussurrò, sfacciatamente, che durante il Banchetto si erano

pronunciati brindisi e discorsi in onore di tutti, meno che del Re; come, invece, doveva essere di prammatica.

Benedetto Cairoli, Presidente della Camera nel 1878. Abolì la tassa sul macinato. Medaglia d’oro per aver fatto da scudo a Umberto Primo, nell’attentato del 17 novembre 1878

Il fatto, in se, era vero. Ma la anonima diceria - che probabilmente traeva origine da

qualche troppo zelante cortigiano di stanza al Quirinale - sosteneva che si era omesso il brindisi in onore di Sua Maestà, "a disegno, cioè per un concerto avvenuto".

E si aggiungeva, altra insinuazione gravissima, che i ministri, senatori, deputati e tutti gli altri esponenti istituzionali presenti al “Banchetto della Stampa”, avevano accettato di intervenirvi "sapendo di quel concerto".

Fu così che l'incantesimo del tentativo per un rapporto franco, costruttivo ed indipendente si dissolse e, con esso, infranta per gli anni a venire - lo sottolineò il Presidente del Consiglio Cairoli - "quella unità dei sentimenti, nella disparità delle idee, che ha per base l'amore della Patria".

Nonostante che niente, neppure il più labile indizio, allora e dopo, abbia mai avallato quella grave insinuazione, sta di fatto che l'annuale "Banchetto della Stampa" non venne più ripetuto nell'anno successivo ed

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in quelli che seguirono. Da quel momento, però, il rapporto stampa-potere politico

istituzionale riprese a vivere, o meglio a convivere, nel modo che possiamo osservare tutt'oggi: la stampa, cercando di difendere la libertà di informazione; il potere politico istituzionale, ricorrendo ad ogni strumento, pur di “addolcire” quella libertà.

Da questa particolare convivenza, forse, è nata una delle ultime regolette: quella della "par condicio".

Regoletta che fa letteralmente a pugni con l'altra formulata, ad ammonimento della Stampa, dallo stesso illustre Autore:

"Il giornalista che si abitua a lustrare le scarpe, finisce sempre per lustrarle anche a chi va scalzo". (e.f.)

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Documenti rari, inediti, sconosciuti o

curiosi, ma utili per una corretta informazione politica e parlamentare

*

Assemblea Costituente. Emendamento dell’on, Leo Valiani con il quale, dopo in suo inserimento nella Carta Costituzionale, l’Italia rinuncia alla guerra ed alla adesione a blocchi imperialistici, e si schiera a favore dell’ordinamento internazionale di pace, giustizia e di unione tra i popoli.

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IL SALONE DELLA LUPA DI MONTECITORIO

Montecitorio, Salone della Lupa, 18 giugno 1946: Il rappresentante della Corte di Cassazione legge il verbale sui risultati del Referendum istituzionale del 2 giugno 1946.

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IL VERBALE DELL’ESITO REFERENDARIO DEL 2 GIUGNO 1946

(primo foglio)

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IL VERBALE DELL’ESITO REFERENDARIO DEL 2 GIUGNO 1946 (secondo foglio)

Originale del verbale sull’esito del Referendum del giugno 1946 con il quale gli italiani furono chiamati a scegliere tra Monarchia e Repubblica. Il verbale è scritto su due fogli dei quali uno su carta quadrettata. Non ha intestazione. Il documento inizia con la notizia che “INTERVIENE il Signor Pilotti dott. Massimo, Procuratore Generale presso la Corte Suprema. ASSISTE il Signor Cesareo Emilio, Cancelliere Capo della Corte Suprema di Cassazione, con funzioni di Segretario. Avendo esaminato i verbali trasmessi da tutti gli uffici circoscrizionali, dà atto che alla REPUBBLICA e alla MONARCHIA sono stati attribuiti, rispettivamente, in ciascun Collegio, i voti di seguito riportati:….. Procede quindi alla somma dei voti su riportati attribuiti alla REPUBBLICA, di quelli attribuiti alla MONARCHIA, e proclama i seguenti risultati del “REFERENDUM” secondo quanto attestano i verbali stessi.

REPUBBLICA: totale dei voti n° 12.672.767. MONARCHIA: totale dei voti n° 10.688.905. Del che è verbale”. Il Cancelliere Capo Cesareo, dimenticò - come si può notare - di inserire il luogo e la

data di compilazione del verbale.

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AUTOGRAFO DEL GIURAMENTO DEL CAPO PROVVISORIO DELLO STATO REPUBBLICANO, ENRICO E NICOLA

Testo (frammento) autografo del giuramento prestato da Enrico De Nicola nel momento di assumere la carica di Capo provvisorio della Repubblica Italiana.: “Giuro davanti al popolo italiano, per mezzo della Assemblea Costituente, che ne è la diretta rappresentanza, di compiere la mia breve ma intensa missione di Capo provvisorio dello Stato ispirandomi ad un solo ideale: di servire con fedeltà e con lealtà il mio Paese….

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GIURAMENTO AUTOGRAFO DI VITTORIO EMANUELE II

Testo autografo integrale del giuramento di fedeltà del Re Vittorio Emanuele II:

“In presenza d’Iddio Io giuro di osservare lealmente lo Statuto, di non esercitare l’Autorità Reale che in virtù delle leggi e in conformità di esse, di far rendere ad ognuno secondo le sue ragioni piena ed esatta giustizia, e di condurmi in ogni cosa nella sola vista dell’interesse, della prosperità, e dell’onore della Nazione. Torino, dall’aula del Senato del Regno addì 29 marzo 1849. Vittorio Emanuele II”

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GIUSEPPE MAZZINI FOTOGRAFATO DALLA POLIZIA REGIA

Giuseppe Mazzini, in una foto diffusa dalla Polizia del Regno d’Italia per scovarlo ed arrestarlo. L’apostolo della Repubblica, fu eletto deputato al Parlamento nazionale nonostante la ferma avversione della Monarchia sabauda.

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RINUNCIA DI G. MAZZINI AL MANDATO PARLAMENTARE

Lettera (frammento) con la quale Giuseppe Mazzini - esempio di pura coerenza politica - rinuncia al mandato parlamentare: “…Repubblicano di fede - scriveva fra l’altro alla Camera dei Deputati l’Apostolo repubblicano, convinto assertore del precetto DIO, PATRIA E FAMIGLIA - ho potuto tacerne quando importava che l’Unità materiale d’Italia, condizione indispensabile d’ogni progresso per noi, si fondasse in ogni patto e sotto qualunque bandiera; ma non potrei con tranquillità di coscienza giurare fedeltà alla monarchia…”. Ricordiamo che gli eletti deputati al Parlamento nazionale potevano esercitare la loro funzione - secondo l’articolo 49 dello Statuto Albertino - soltanto alla condizione di aver prestato giuramento di “essere fedeli al Re”.

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LA SALA MALFAMATA DI MONTECITORIO

La Sala Gialla di Montecitorio. Ritenuta apportatrice di cattiva sorte. Ebbe tale nomea perché, nei decenni scorsi, tutte le consultazioni politiche per la formazione dei nuovi governi che vi si svolsero, ebbero un esito esiziale per gli incaricati dal Presidente della Repubblica di dar vita ad una nuova compagine governativa. Di qui, al momento che vi entravano, i ripetuti gesti di scongiuri compiuti da molti politici e giornalisti, per proteggersi dalla “jella” che, si assicurava, aleggiava nella Sala.

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NOTA La fonte dei testi, per la gran parte, è data dall’ampia ricerca compiuta da Barbara Cartocci Suarez già Sovrintendente dell’Archivio Storico e già Direttrice della prestigiosa Biblioteca della Camera dei Deputati unitamente all’A., e svolta al fine di colmare un vuoto sulla storia del giornalismo politico parlamentare d’Italia. La fonte delle immagini, invece, è data, oltrechè dagli archivi parlamentari, anche dagli archivi della Polizia del Regno sabaudo, Hulton, Louvre, Culver P., Tomsich G. R., D. M. Smith, G. Rinaldi: Il giornalismo politico friulano, Librery Congress Washington, M. Correr Venezia, Codice 1456 B. Univers. Bologna e dell’A. La iniziativa delle “Conversazioni” tenute nella CASA DELLA GIOVENTÙ della Chiesa dei S.S. Pietro e Paolo di Tarvisio (Ud), fu dell’ex Sindaco C. Faleschini e dell’allora Decano G. Gherbezza, attuale Vicario Generale dell’Arcivescovado di Udine. Alle “Conversazioni” presero parte: mons. Gherbezza, il Sindaco pro-tempore C. Toniutti, il medico G. Busettini dell’Ospedale Tolmezzo-Gemona ed il Tenente G. F. Simoniello in quel periodo Comandante di una Compagnia di Carabinieri impegnata nel delicato compito operativo presso il confine dello Stato, i quali illustrarono i temi religiosi, civili e sociali visti dalle rispettive funzioni ed inerenti alla necessità di una libera e corretta informazione dovuta ai cittadini, secondo il dettato costituzionale. Le “Conversazioni” riprodotte nel sito

www.petruspaulus.org costituiscono la sintesi aggiornata di quegli incontri.

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BIOGRAFIA DELL’AUTORE

Enrico Foschi. Giornalista. Nell’esercizio della professione, si è sempre ispirato al principio: Non far dire ai fatti quello che essi non dicono; non tacere quello che rivelavano. Nato a Cave (Roma), il 22 maggio 1925. Redattore politico parlamentare dal 1958 al 1995: dapprima per l’AGENZIA GIORNALISTICA ITALIA, quindi per il pool politico parlamentare del Giornale Radio e del Telegiornale, successivamente per il GR1 ed il TG1, infine per i Servizi Parlamentari della RAI TV. Da Montecitorio e da Palazzo Chigi ha scritto corrispondenze per quotidiani (IL TEMPO, diretto da Gianni Letta) e periodici (CONCRETEZZA diretto da Giulio Andreotti). Tra i volumi pubblicati: DOCUMENTO LXXVI, un saggio sulla mozione Mussolini sulla incompatibilità della affiliazione dei parlamentari alla Massoneria, Ed. Archivio Trimestrale, Roma 1985; IL CERIMONIALE A MONTECITORIO E DINTORNI, ed. Gangemi, Roma 1996; LA MASSONERIA NELLA STORIA POLITICA D’ITALIA: dalle origini al primo governo a guida massonica ed alla politica della Loggia Universo. Ed. Gangemi, Roma, 1999. LA MASSONERIA NELLA STORIA DEL PARLAMENTO D’ITALIA: dalla nascita della Loggia Universo alla Loggia Propaganda Massonica 2, ai colloqui Chiesa Massoneria all’ombra del Concilio Vaticano II, alla revoca della scomunica al Rotary International. In corso di stampa. In collaborazione con Barbara Cartocci Suarez, già Sovrintendente dell’Archivio Storico e della Biblioteca della Camera dei Deputati: STORIA DEL GIORNALISMO POLITICO PARLAMENTARE, in corso di redazione. Nel sito internet www.petruspaulus.org, oltre a MONS CITATORIO – ITINERARI E MEMORIE, ha già pubblicato: LA CONTESSA SPAUR: LA DONNA CHE MISE IN SALVO PIO IX; COME SI ELEGGE IL PAPA; LA POMPEI DEL NORD (MAGDALENSBERG); LEONARDO DA VINCI – IL VALLO CHE DIFESE IL FRIULI DALLE INVASIONI ISLAMICHE e CONVERSAZIONI SUL GIORNALISMO.