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I.T.S.E. TURISMO

APPUNTI GEOGRAFIA TURISTICA

V ANNO

- Definizione di Turismo - Turismo Interno Nazionale e Internazionale - Il Turismo Responsabile e Sostenibile - Strutture Ricettive - Flussi e Spazi Turistici - Nord e Sud del Mondo - Il Clima - Africa del Nord - Asia Occidentale - Asia Meridionale e Sud Orientale - Cina - Giappone

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DEFINIZIONE DI TURISMO

Il turismo è l’insieme delle attività svolte da chiunque si allontani temporaneamente dal proprio ambiente normale per una molteplicità di scopi diversi da quello dello svolgimento di un’attività remunerata e ha cinque caratteristiche: 1) il turismo nasce da un movimento di persone verso varie destinazioni e dal loro

soffermarsi in esse; 2) in ogni tipo di turismo vi sono due elementi fondamentali, e cioè il viaggio verso

la destinazione e il soffermarsi in essa per svolgervi delle attività; 3) il viaggio e il soffermarsi si realizzano al di fuori dei luoghi normali di residenza

e di lavoro, generando attività che sono diverse e distinguibili da quelle delle popolazioni che risiedono o che lavorano nei luoghi attraverso i quali i turisti viaggiano o nei quali si soffermano;

4) il movimento verso la destinazione è breve, temporaneo e legato all’intenzione di ritornare entro pochi giorni, settimane o mesi;

5) le destinazioni sono visitate per scopi diversi da quello di prendervi residenza permanente o di dedicarsi a un’occupazione remunerata. Questo è un concetto definito con due caratteristiche oggettive, spazio (dall’ambiente quotidiano all’ambiente altro) e tempo (durata e limiti dello spostamento), e una caratteristica soggettiva, la motivazione (perché si fa turismo). La risoluzione di Ottawa del 1991 specifica il significato di “turismo domestico”, delinea il quadro completo dei concetti inerenti le diverse articolazioni di turismo ed evidenzia il ruolo dell’escursionismo, oltre a definire il turismo come l’insieme delle attività svolte da chiunque si sposta al di fuori del proprio ambiente abituale per un periodo di tempo inferiore rispetto a una specifica durata e avendo come motivo principale tutt’altro che l’esercizio di un’attività remunerata nella località di destinazione, con 3 criteri fondamentali: lo spostamento al di fuori del luogo di residenza (misurabile sulla minima distanza percorsa, sulla minima durata dell’assenza, sul tempo minimo speso per il viaggio e sul minimo cambiamento di luogo), la permanenza nel luogo visitato inferiore a una specifica durata, lo scopo del viaggio (motivi di piacere, motivi professionali non lavorativi, altri motivi).

Fasi storiche del turismo Possiamo individuare quattro fasi dello sviluppo turistico:

• il prototurismo, dall'antichità fino all'epoca del Gran Tour. Il turismo riguarda soprattutto le classi benestanti; si viaggia per partecipare ad eventi sportivi, pellegrinaggi, per motivi di studio; non esiste il turismo come momento di

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svago; mancano strutture specializzate; il turismo ha una scarsa importanza da un punto di vista economico;

• il turismo moderno che inizia con il Gran Tour e continua fino agli anni '40. Il turismo inizia a riguardare anche i ceti medi; si diffonde il turismo balneare, montano e termale; nascono le prime strutture ricettive; il turismo inizia ad avere importanza da un punto di vista economico;

• il turismo di massa che inizia negli anni '60 e prosegue fino ai primi anni '90 e che inizia a riguardare tutti i ceti sociali;

• il turismo globale, dai primi anni '90 ad oggi. Il turismo moderno Il turismo moderno nasce intorno al 1600. Forme di turismo esistevano anche prima di tale periodo. Nell'antica Grecia i viaggi erano legati soprattutto alla partecipazione ad eventi sportivi o a motivi religiosi. Con l'impero Romano i viaggiatori aumentarono grazie alla costruzione di numerose vie di comunicazione. Sorsero, in questo periodo, le prime strutture destinate ad offrire ai viaggiatori vitto e alloggio. Esse prendevano il nome di stationes. Il turismo, però, rimaneva un fenomeno limitato alle famiglie aristocratiche che potevano permettersi di passare lunghi periodi di tempo nelle zone di campagna o in località balneari. Nel Medioevo iniziarono i pellegrinaggi religiosi di gente che, muovendosi a piedi, si dirigeva in località dove si trovavano dei famosi santuari, come Roma, Gerusalemme e Santiago di Compostela. Nel Rinascimento, il miglioramento delle condizioni sociali, favorì il fenomeno del turismo. I motivi che spingevano a viaggiare, però, erano diversi: si trattava soprattutto di ragioni commerciali. Infatti, questa fu l'epoca della conquista di nuove terre e del desiderio di nuovi avventurosi viaggi. Proprio in questo periodo nacquero le prime strutture alberghiere che fornivano alloggio ai mercanti.

IL TURISMO IN BREVE

Gli albori

Il turismo così come lo conosciamo adesso è, come è facile intuire, un fenomeno molto diverso da come poteva esserlo anche solo all’inizio del secolo scorso. Spostandoci molto in là nel tempo è difficile poter parlare di turismo in senso stretto, ma è possibile trovare concetti come la “villeggiatura” già presso i romani (le villae Romane, le terme), ricordiamo anche che i feriari (l’essere in ferie) e i rusticari

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(trasferirsi in campagna per qualche tempo) erano parte integrante della vita sociale di quell’epoca.

Una forma seppur ancora primordiale di turismo è presente nel II secolo a.C. con lo svilupparsi di un movimento turistico che possiamo definire culturale, quando i paesi Orientali e la Grecia in particolare divennero una meta di una vera e propria corrente turistica alimentata da letterati, artisti e uomini politici. Molto probabilmente, però, la prima vera forma di turismo è stato il turismo religioso, in particolar modo il turismo religioso cristiano. La prima grande meta di questi pellegrinaggi fu Gerusalemme che divenne molto diffusa a partire dal IV secolo in seguito alla cessazione delle persecuzioni divenendo il cristianesimo la religione degli imperatori.

Inizialmente furono viaggi intrapresi da uomini con una grande spiritualità, in seguito iniziarono ad essere intrapresi anche da aristocratici e semplici fedeli. Ma è con là perdita di Gerusalemme da parte dei crociati che questa meta di pellegrinaggio ebbe un arresto, poichè divenne troppo pericolosa da raggiungere e bisognerà aspettare almeno fino al XIX secolo perchè questi pellegrinaggi ritornino a toccarla in maniera rilevante.

Sempre nel IV secolo iniziarono anche i pellegrinaggi verso Roma e nel X secolo si afferma la terza meta più importante per i pellegrinaggi: Santiago di Campostela. Tra il XI e il XII secolo il pellegrinaggio diventa ancora più diffuso; è nel medioevo che il pellegrinaggio diviene parte integrante della società stessa, che coesiste e si amalgama con il mondo teologico, divenendo fonte di prestigio sociale o anche un modo per purificarsi dai peccati commessi (pellegrinaggio penitenziale). Un passaggio cruciale in questo periodo è stato il Giubileo (il primo nel 1300), evento che attirò tantissimi credenti , e non solo, e che ha continuato ad attirarne anche nei giubilei successivi (l’ultimo nel 2000, ma qui è ovviamente un’altra epoca del turismo). Bisogna attendere il Quattrocento perchè si verifichi un importante cambiamento: la rivoluzione culturale. E’ da questo periodo che le trasformazioni culturali, che portarono prima all’umanesimo e poi al rinascimento, consentirono all’arte, alla cultura e alla scienza di acquisire una nuovo ruolo; un ruolo di guida e di espressione dell’individuo che entrarono ben presto nella vita degli aristocratici. La conseguenza di questo, per ciò che riguarda il turismo, fù che gli itnerari turistici si allontanarono sempre di più dai luoghi sacri per arrivare alle città d’arte dell’Europa centrale e del Mediterraneo.

Da questo momento il turismo si trasforma: dal turismo religioso si arriva al turismo culturale. Si tratta ancora di un turismo d’elite, a cui solo gli aristocratici potevano accedere. Un esempio lampante è il “Grand Tour”(nato in Gran Bretagna e poi estesosi al resto d’Europa), lunghi viaggi intrapresi da giovani rampolli verso le città d’arte d’Europa, tra le quali, immancabilmente, figurava anche l’Italia, considerata “Progredita e Creatrice”(anche nel corso del ‘700, epoca in cui l’Italia iniziò ad essere giudicata in

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ritardo per ciò che concerne lo sviluppo economico e sociale, essa continuò ad essere una meta preferita dai grandtouristi).

Un viaggio alla scoperta della cultura, ma anche del piacere e del relax. Col passare dei secoli questi spostamenti divennero sempre più piacevoli e relativamente veloci, grazie allo sviluppo dei trasporti, come le ferrovie nell’800 ad esempio, che consentì di modificare gli itinerari, addentrandosi in territori sempre più lontani. Difatti, da questo momento, sempre più spesso questi lunghi viaggi si prolungarono verso paesi esotici ed in particolare in India (ma poi anche Australia, Sud Africa, Sri-Lanka…).

Turismo Moderno

Il primo esempio di turismo moderno è quello termale, iniziato in Gran Bretagna già nel Seicento, ma che si sviluppò maggiormente alla fine del Settecento-inizio Ottocento. Le terme non sono proprio una novità, sappiamo che queste erano già parte della società romana, ma in questo periodo tornarono di nuovo alla ribalta. La vera novità è il modo in cui si sviluppa tutto ciò che è attorno all’attrattiva principale, cioè alle terme. Non è solo il centro termale il centro in cui inizia e finisce la permanenza, ma è anche tutto ciò che lo circonda, ovvero la città.

Si sviluppano centri specializzati nel ricevere e far divertire i turisti, quindi strutture ricreative come i teatri, ristoranti, caffè e altro ancora (un esempio di città che ebbe un grande successo in Gran Bretagna, grazie anche alla sua relativa vicinanza a Londra, è Bath). Di particolare importanza è stato anche il turismo balneare che ebbe il suo massimo sviluppo nel corso dell’Ottocento, con lo sviluppo di località balneari e strutture dedicate.

Di pari passo, sviluppandosi sempre di più il trasporto ferroviaro e di centri anche meno costosi, il turismo iniziò a non essere più un fenomeno solo d’elite ma a aperto a molte persone anche non aristocratiche, in particolare al ceto medio (banchieri, commercianti, impiegati) e addirittura alcuni centri divennero fonte di domanda da parte della classe lavoratrice (di cui la prima città che attirò questo tipo di utenza fu Blackpool). Una prima forma di turismo di massa la abbiamo dunque alla fine dell’Ottocento in Gran Bretagna. Nel corso dell’Ottocento, in particolare nel 1841, fu organizzato quello che poi verrà ricordato come il primo viaggio organizzato (nell’accezione moderna del termine) della storia del turismo.

L’ideatore e l’organizzatore di quest’evento è stato Thomas Cook, un imprenditore inglese che ha creato la prima agenzia di viaggio, che prenderà il nome di “Thomas Cook Group”. Egli è da considerarsi il pioniere dei viaggi organizzati. Grazie allo sviluppo sempre più efficiente delle linee ferroviarie Cook organizzò un viaggio dalla località di Leicester fino a Loughborough al costo di uno scellino per persona compreso il biglietto ed il pasto. Il viaggio coprì una distanza di 11 miglia e

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vi parteciparono 570 persone. In seguito a questo evento, Thomas Cook organizzò in seguito molti altri viaggi organizzati, dei veri e propri pacchetti turistici, estendendosi ben presto in tutta Europa e più avanti nel tempo anche verso paesi esotici.

Di Massa

Lo sviluppo del turismo che stava iniziando ad avvicinarsi al turismo dei nostri giorni (le principali forme di turismo attuale erano ormai già presenti) troverà, in Europa, un forzato arresto a causa del primo conflitto mondiale e, a seguire, del Secondo. Va sottolineato che questo arresto si è verificato in Europa, poichè in America di turismo di massa si può già parlare negli anni Venti e Trenta quando, grazie alla nascita delle ferie retribuite e allo sviluppo dell’automobile, si sviluppa una forte forma di turismo interno(l’American outdoor), sia verso aree rurali che verso aree costiere. Ma è nel secondo dopoguerra, merito di una generale stabilità creatasi in campo internazionale e all’avvento del cosiddetto periodo d’oro e quindi al rapido sviluppo economico, che in Europa si afferma il turismo di massa così come è noto ai nostri giorni. Da questo momento tutte le altre guerre che scoppiarono in diverse parti del mondo restarono confinate in spazi precisi ed inoltre anche alcuni paesi meno avanzati diventano fonte di domanda e di offerta dei servizi turistici. Importantissimo è stato anche l’emergere di alcuni paesi asiatici come centri generatori di domanda, primo fra tutti il Giappone (negli anni Novanta ha conquistato un posto di primo piano, secondo solo a Stati Uniti e Germania, nella classifica delle uscite valutarie per il turismo). Il grande aumento di flussi turistici è quindi alla base del fenomeno del turismo di massa. Possiamo dire che il turismo di massa è una nozione essenzialmente quantitativa, basata sulla proporzione di popolazione che fa turismo o sulla dimensione dell’attività turistica (Cit. J.Burkart e R.Medlik “Tourism:Past, Present and Future.”). Lo sviluppo economico insieme a quello tecnologico e alle condizioni sempre migliori di lavoro, con possibilità anche di più tempo libero, sono state determinanti per l’enorme sviluppo di questo settore.

Ai nostri giorni è possibile acquistare un biglietto aereo, effettuare una prenotazione presso una struttura ricettiva o addirittura un intera vacanza organizzata direttamente da casa tramite internet o recandosi presso un’agenzia di viaggio. I costi sono diventati sempre più irrisori permettendo quasi a tutti di viaggiare anche verso mete che un tempo sarebbero state impensabili e soprattutto in tempi sempre più brevi.

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TURISMO INTERNO NAZIONALE E INTERNAZIONALE

Il turismo interno è composto da turismo domestico e turismo in entrata, descrive i flussi turistici, residenti e non residenti, che interessano un Paese, comprende sia i consumi turistici dei residenti che i consumi dei visitatori stranieri; il turismo nazionale descrive i flussi turistici generati dai residenti in un Paese, indipendentemente dalla località di destinazione, sia essa nel Paese o all’estero), distinguendo la spesa effettuata nel proprio Paese da quella sostenuta all’estero; il turismo internazionale è formato da turismo in entrata e turismo in uscita e quantifica gli interscambi turistici che interessano due o più Paesi, misurando la bilancia turistica e registrandone il ruolo in funzione del riequilibrio della bilancia dei pagamenti. Tipologie di turismo Turismo residenziale: spostamenti per vacanza in appartamenti o residence in affitto o di proprietà. Turismo enogastronomico: il gastronauta dà rilevanza centrale all'aspetto gastronomico, il foodtrotter al complesso di servizi + la gastronomia. Turismo rurale: agriturismi, camping, taverne, osterie, escursionismo. Ecoturismo: termine coniato dall'OMT. Viaggiare in aree incontaminate promuovendo la conservazione, coinvolgimento attivo delle popolazioni locali, ecc.. (nascita: 1970-80). Ecomusei: accolgono tutto il patrimonio culturale, territoriale, ecc e non solo il "frammento".enormi consumi di carburante

Impatto del turismo sull’economia

Il turismo è un valore aggiunto importante all’economia di una città, di una regione e quindi di tutto un Paese. Di conseguenza lo sviluppo di questo settore può essere determinante al miglioramento delle condizioni esistenti in un luogo. Ma, come già spesso sottolineato, non è solo un fattore economico, ma molto di più. Non a caso esso viene studiato sotto più punti di vista (economico, sociale, geografico, psicologico ecc.). Diciamo subito una cosa: non esiste Paese al mondo che non abbia un potenziale turistico. Com’è ben noto il turismo può essere di tipo culturale, eno-gastronomico, sportivo, di divertimento, naturale, congressuale e via dicendo. Inoltre può essere ulteriormente promosso anche da eventi, festival, spettacoli, fiere; insomma vi sono tanti motivi per fare turismo e tanti modi per promuoverlo. Vi sono poi anche casi in cui il turismo è stato completamente creato grazie ad attrazioni artificiali, come ad

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esempio è ciò che è stato fatto a Las Vegas. E’ quindi chiaro che lo sviluppo del Turismo è praticamente possibile ovunque. Partendo dal punto di vista Economico il Turismo gioca un ruolo importante nel contribuire alla crescita economica, creare posti di lavoro, aumentare la produttività e il reddito. Inoltre esso è un punto chiave anche nella questione diversificazione. Per diversificazione si intende la presenza di più beni e/o servizi prodotti e offerti. La diversificazione è molto importante in quanto permette di ampliare la propria economia. Per rendere più chiaro il concetto facciamo un esempio: Se abbiamo un Paese X che vive esclusivamente di agricoltura, esso si troverà in enorme difficoltà nel caso in cui in un anno, a causa di qualche motivo come condizioni meteo particolarmente sfavorevoli, la produzione calasse in modo rilevante. Ma se questo Paese producesse anche altri prodotti o servizi, riuscirebbe sicuramente a resistere meglio, pur avendo ricevuto un duro colpo. Possiamo anche prendere come esempio l’immagine presente all’inizio di questo post: immaginiamo che ogni sfera sia un settore dell’economia. Se una di queste sfere scivola via, ne restano comunque tutte le altre. Ma se invece di tante sfere ve ne fosse solamente una e questa scivolasse via, non ne rimarrebbe nessuna. Ogni sfera aggiunta contribuisce alla diversificazione. Va da sè che più l’economia è diversificata e più il sistema risulta essere, almeno in parte, “protetto”. Il turismo quindi può contribuire, a volte in modo importante, alla diversificazione. Questo concetto può poi anche estendersi al settore turistico stesso, ossia diversificando a sua volta i servizi e sviluppando più forme di turismo nello stesso Paese. Andando ancora più in profondità a sua volta le stesse strutture ricettive, ad esempio, possono attuare strategie di diversificazione dei loro servizi. Perchè il turismo genera benefici? I turisti spendono il loro denaro in una grande varietà di beni e servizi e quindi per trasporti, alloggi, divertimenti, musei, vitto e altri ancora: si tratta di entrate che, se non vi fosse il turismo, non si verificherebbero. Vi sono diverse analisi per valutare il turismo in questi termini: Analisi degli impatti economici: Sono delle analisi sui flussi di spesa connessi all’attività turistica al fine di indentificare i cambiamenti nelle vendite, nelle entrate fiscali, reddito e posti di lavoro in una regione. Possono essere utilizzate diverse metodologie come analisi input-output, modelli economici, moltiplicatore ( approfondimento più avanti), e analisi di altri dati. Analisi di impatto fiscale: Mette in relazione le entrate governative, sotto forma di tasse, imposte dirette e altre forme legate al turismo, e i costi necessari al sostentamento di servizi e infrastrutture e le stime dei ricavi e dei costi degli enti locali che esplicano questi servizi. Analisi della domanda

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Serve per avere una stima sul tipo e sul numero dei visitatori. Analisi dei Costi-benefici: Questo modello serve per indicare le politica più corretta da seguire, o meglio, la più efficiente in prospettiva di un aumento del benessere sociale, tenendo conto sia dei valori monetari che quelli non-monetari. Ciò sta a significare che non si valutano solo i flussi finanziari, ma i costi e i benefici in senso lato, relativi a tutta la collettività. In tale situazione si cerca di valutare in termini monetari tutti gli svantaggi (costi) e tutti i vantaggi (benefici) che l’investimento arreca alla popolazione interessata. Valutazione Impatto Ambientale: Un valutazione di impatto ambientale cerca di prevedere l’impatto di una determinata azione sull’ambiente, compresi i cambiamenti sociali, culturali, economici ed anche su sistemi biologici, fisici ed ecologici. Và anche detto che spesso le analisi dell’impatto economico forniscono prospettive unilaterali sugli impatti del turismo, tendendo a sottolineare i benefici che questo apporta o apporterà. Dall’altro lato le analisi ambientali, sociali e culturali tenderanno a concentrarsi di più sugli aspetti negativi. Lo studio degli Impatti economici servono soprattutto per avere dei dati, e quindi per: – scoprire come i turisti spendono. – determinare gli impatti del turismo sulle vendite delle imprese locali. – scoprire quanto reddito genera il turismo per le famiglie dell’area di riferimento e per le imprese. – misurare il numero di posti di lavoro sostenuti dall’industria del turismo. – calcolare l’importo delle entrate fiscali generate dal turismo. Il turismo ha una varietà di impatti economici. I Turisti contribuiscono alle vendite, ai profitti, alla creazione di posti di lavoro, alle entrate fiscali e al reddito di una destinazione. Alcuni settori del turismo, come alloggi, ristorazione, trasporti, divertimenti e il commercio al dettaglio possono essere considerati primari, pochè sono direttamente colpiti dal turismo, mentre la maggior parte degli altri settori sono colpiti da effetti secondari. Principalmente gli impatti economici sono definiti da: - effetti diretti, indiretti e indotti. - dispersione della spesa - effetti di spiazzamento e costi-opportunità. Effetti Diretti, Indiretti e Indotti La spesa turistica ha un effetto a catena, nel senso che il suo effetto si propaga dal settore turistico al resto dell’economia. Si parla di effetto diretto quando si prendono

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in considerazione quelle aziende che ricevono direttamente la spesa turistica. Come già sottolineato precedentemente stiamo parlando di ristoranti, alberghi etc…Nello specifico il valore dell’effetto diretto è dato dal valore della spesa turistica meno il valore delle importazioni necessarie a fornire quei beni e/o servizi. Ad esempio, un aumento del numero di turisti che pernottano negli hotel aumentarà le vendite in questo settore (effetto diretto). A loro volta, però, queste aziende dovranno rivogersi ad altre aziende per il funzionamento dell’attività stessa. E quindi un’impresa turistica dovrà rivolgersi a costruttori ( ad esempio un Hotel avrà bisogno di interventi allo stabile, riparazioni o costruzione totale), avvocati, commercialisti, fornitori di cibo e bevande, energia elettrica e via discorrendo, i quali, a loro volta, si rivolgeranno ad altri fornitori continuando il processo. Questo giro di spesa viene chiamato effetto indiretto. Per essere più chiari: gli effetti indiretti sono i cambiamenti di produzione derivanti dai vari cicli di ri-spesa delle entrate del settore turistico nelle industrie collegate ad esse (ad esempio industrie fornitrici di prodotti e servizi per alberghi). Cambiamenti di vendite, posti di lavoro e di reddito nel settore della fornitura e pulizia di biancheria, per esempio, rappresentano gli effetti indiretti di cambiamenti nelle vendite negli hotel. Inoltre grazie ai giri di spesa diretti ed indiretti, si avrà un accumulo di reddito per i residenti locali, sotto forma di rendite, salari, interessi e profitti che rappresentano gli effetti indotti. La somma di tutti e tre gli effetti andrà a determinare l’impatto economico del turismo in una destinazione. Un cambiamento della spesa turistica può, quindi, interessare praticamente ogni settore dell’economia a causa degli effetti appena descritti. Dispersione della spesa Vi sono, però, anche alcuni altri fattori da considerare. Ad esempio se per il soddisfacimento della domanda turistica vi è bisogno di altro personale, potrebbe verificarsi una “migrazione” di lavoratori da un settore ad un altro, il che può portare al rischio, sopratutto in caso di scarsa occupazione, di abbandono di alcuni altri settori, come agricoltura, pesca o altro a favore dello sviluppo dell’attività turistica oltre che al potenziale spostamento di individui da zone rurali, che perdono lavoratori, a zone urbane che divengono soggette a pressioni aggiuntive poichè devono soddisfare un maggior numero di residenti ( e quindi maggiori infrastrutture pubbliche). Vi sono quindi dei costi-opportunità da valutare attentamente. Inoltre si può verificare il fenomeno di dispersione: ciò si verifica quando si necessita di personale specializzato non presente nella popolazione locale. In questo caso probabilmente sarà necessario importare professionisti non residenti nella destinazione con conseguente dispersione di reddito, poichè questi potranno trasferire reddito nel loro Paese.

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Effetto di spiazzamento Un altro effetto è il cosiddetto effetto di spiazzamento, ossia quando si verifica lo sviluppo di un’attività a discapito di un’altra attività. Se in una data destinazione vi è una struttura ricettiva che risponde e soddisfa tutta la domanda, creare un’altra struttura avrà l’effetto di ridurre le vendite nella prima struttura senza che si verifichi un aumento della domanda. Il moltiplicatore Il moltiplicatore si basa sul concetto che un’impresa, per operare e vendere i propri prodotti, deve effettuare acquisti da altre imprese operanti nell’economia locale. Queste imprese, o anche fornitori, a loro volta necessitano di acquisti da altre imprese e così via. Si basa quindi sul principio di interdipendenza. Come già scritto precedentemente, una variazione della spesa turistica determinerà una variazione dei livelli di produzione di un’economia, dei redditi, dell’occupazione, delle entrate pubbliche. Il moltiplicatore è il rapporto di due variazioni: variazione di una variabile economica come ad esempio il livello del reddito e la variazione della spesa turistica. Ci sarà quindi un valore per cui si deve moltiplicare la variazione iniziale della spesa turistica per stimare la variazione totale del livello del reddito (nel caso del reddito). Vi sono diversi tipi di moltiplicatore (del reddito, produzione, entrate pubbliche,vendite, occupazione) e metodologie e la loro interpretazione, spesso, ha creato non poca confusione. Gli approcci metodologici, dei quali non riporto i dettagli, sono fondamentalmente quattro: –modelli della teoria di base, –moltiplicatore keynesiano –modelli ad hoc –analisi input-output Il turismo quindi può apportare molti benefici se correttamente sviluppato, può portare valuta pregiata, occupazione, reddito, investimenti e permette una diversificazione dell’economia. Oltre agi aspetti economici esso implica anche impatti sociali e culturali che possono essere sia positivi che negativi. Il tutto dovrebbe poi essere attentamente sviluppato con criteri di sostenibilità per permettere la fruizione di una destinazione senza comprometterne l’ambiente nel suo complesso.

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IL TURISMO RESPONSABILE

Il turismo responsabile è il turismo attuato secondo principi di giustizia sociale ed economica e nel pieno rispetto dell’ambiente e delle culture. Il turismo responsabile riconosce la centralità della comunità locale ospitante e il suo diritto ad essere protagonista nello sviluppo turistico sostenibile e socialmente responsabile del proprio territorio. Opera favorendo la positiva interazione tra industria del turismo, comunità locali e viaggiatori. Nella pratica, questa affermazione si traduce nella tendenza degli operatori turistici sensibili ai temi della responsabilità sociale d’impresa, della sostenibilità ambientale, della equità di genere e alle buone pratiche in generale, a fare molta attenzione a che il turismo responsabile sia ideato, realizzato e complessivamente gestito in maniera tale da non generare dei fenomeni di iniquità sociale ed economica, soprattutto a danno delle popolazioni delle regioni ospitanti il turismo stesso.

Questo significa che tutti gli “attori” di una esperienza di Turismo Responsabile, e quindi “il turista”, l’”organizzatore” e la comunità locale ospitante devono essere consapevoli (e qualora non lo siano tutti noi dovremo operare affinché lo diventino) di essere ognuno, per ciò che lo riguarda, coinvolto in un rapporto che non deve essere “focalizzato” sulle esigenze solamente dell’uno o dell’altro, o nel quale le esigenze dell’uno prevalgono su quello dell’altro…bensì in una dinamica complessa in cui tutti devono rispettare, preservare (ed a volte ideare ex novo) gli equilibri funzionali ad una sana, sostenibile e redditizia sopravvivenza degli altri protagonisti dell’esperienza turistica. E’ oramai chiaro a tutti gli operatori di settore che non esiste una sola definizione di Turismo Responsabile, e che è non possibile (o meglio, non sarebbe ragionevole) dare una spiegazione accettabile di questa pratica identificandola (o peggio sovrapponendola), di volta in volta, con altre pratiche che, invece, ne sono solo accezioni o specificazioni, ovvero: “turismo consapevole”, “ecoturismo”, “turismo culturale”, “turismo comunitario”, “turismo sostenibile”, “turismo equo-solidale”. Il Turismo Responsabile, in realtà, può essere attuato attraverso la “somma” di queste pratiche, o attraverso la scelta di realizzare viaggi che si ispirino anche solo ad una di esse, che però sia correttamente esercitata e non entri in conflitto con le altre. Ad ognuna di queste pratiche, infatti, si deve riconoscere la dignità di specificazione del “turismo responsabile”, ma al tempo stesso nessuna di esse, se vuole tradursi in un esempio autentico di turismo responsabile, può pretendere di non avere riguardo e rispetto delle implicazioni che sono sottese e che discendono dalle conseguenze altre. In pratica…è sicuramente una buona pratica quella dell’Ecoturismo attuato nel rispetto dell’ecosistema all’interno del quale si svolge il viaggio, ma se questa si riducesse solo al rispetto dell’ambiente e non contenesse in se stessa anche gli elementi basilari del rispetto dell’elemento umano e sociale che compartecipa alla sua attuazione (ad esempio quindi trascurasse di verificare e pretendere il rispetto dei

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diritti dei lavoratori coinvolti nella realizzazione del pacchetto eco-turistico), non sarebbe un autentico esempio di turismo responsabile….ma piuttosto rischierebbe di divenire una pratica ingannevole che “nasconde” i propri vizi celebrando solo “alcune” sue virtù. La base del cambiamento, dunque, è costituita dal territorio per il territorio. Uno sviluppo che si definisce sostenibile perchè è in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano soddisfare i propri: garantendo uguali possibilità per le generazioni attuali e quelle future (equità), preservando qualità e quantità delle risorse naturali (integrità) e con l'impegno di tutti (responsabilità); creando condizioni per uno sviluppo durevole, coerentemente con le esigenze sociali ed economiche e con la capacità reattiva dell'ambiente; agendo attraverso un coinvolgimento allargato in modo da ottenere giustizia sociale, sviluppo economico e tutela dell'ambiente e della salute. pur non avendo una vera e propria certificazione, il turismo responsabile si articola ad alcuni principi fondamentali la sensibilizzazione dei viaggiatori (preparazione al viaggio, questionario

postviaggio) la possibilità di contatto con la popolazione locale nel corso dei viaggi proposti

(incontri, attività culturali, alloggio in famiglia) attenzione alle problematiche ambientali (sensibilizzazione dei viaggiatori,

gestione dei rifiuti, gestione delle risorse) il coinvolgimento in uno o più progetti di sviluppo locale le ricadute economiche locali (scelta di fornitori locali, sistemi di pagamento…)

La terminologia del turismo è estremamente variegata. Per i neofiti, si potrebbe semplificare in questo modo, in modo da permettere loro di dare una dimestichezza maggiore per iniziare a conoscere questo modo di viaggiare. In Italia, il concetto di "responsabilità" è stato scelto per distinguere "l'altro turismo", frutto della particolare congiuntura nella quale nasce e si sviluppa la critica del turismo nel paese. Innanzitutto, sono due le differenze sostanziali rispetto alle esperienze del Nord Europa precedenti a quella italiana: il fatto che il terzo settore italiano, già dagli anni '80, promuovesse viaggi di

conoscenza e solidarietà con le comunità del Sud del mondo il fatto che i principi che andavano man mano definendo la "via italiana"alla

sostenibilità turistica fossero applicabili (e quindi promossi) sull'intero comparto turistico Durante il dibattito precedente alla definizione del 2005, sono due i concetti attorno ai quali si è dibattuto: "consapevolezza" e "responsabilità"; il terzo elemento fui poi quello della "sostenibilità", all'epoca (metà degli anni '90) ancora riferito soltanto alla dimensione ambientale, ma che nel corso degli anni si è estesa anche alla dimensione culturale ed economica. La scelta, come si vede dalla definizione del 2005, ricadrà sul concetto di "responsabilità", in quanto il concetto di consapevolezza non era sufficiente per un miglioramento del turismo: si può essere consapevoli, ma non per

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questo responsabili.adotta la definizione: "Il turismo responsabile è il turismo attuato secondo principi di giustizia sociale ed economica e nel pieno rispetto dell'ambiente e delle culture. Il turismo responsabile riconosce la centralità della comunità locale ospitante e il suo diritto ad essere protagonista nello sviluppo turistico sostenibile e socialmente responsabile del proprio territorio. Opera favorendo la positiva interazione tra industria del turismo, comunità locali e viaggiatori.” Esiste quindi un modo di viaggiare la cui prima caratteristica è la consapevolezza: di sé e delle proprie azioni; un viaggiare etico che va incontro ai paesi di destinazione, alla gente, alla natura con rispetto e disponibilità; un viaggiare consapevole che sceglie di non avallare distruzione e sfruttamento, ma si fa portatore di principi universali: equità, sostenibilità e tolleranza.

IL TURISMO SOSTENIBILE

Si riferisce al trittico dello sviluppo sostenibile: tollerabile a lungo termine dal punto di vista ecologico realizzabile sul piano economico equo sul piano economico e sociale per le popolazioni locali

questa definizione è molto generale e applicabile a qualsiasi forma di turismo, in Italia o all'estero, nei paesi del sud o del nord . Il principio di turismo sostenibile è stato definito nel 1988 dall’Organizzazione Mondiale del Turismo (OMT): “Le attività turistiche sono sostenibili quando si sviluppano in modo tale da mantenersi vitali in un’area turistica per un tempo illimitato, non alterano l’ambiente (naturale, sociale ed artistico) e non ostacolano o inibiscono lo sviluppo di altre attività sociali ed economiche”. Il concetto si rifà alla definizione più generale di sviluppo sostenibile data dalla WCED (World Commission on Environment and Development) nel Rapporto Brundtland nel 1987: ”Lo sviluppo sostenibile è lo sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri”. Altre definizioni di turismo sostenibile “Lo sviluppo turistico sostenibile soddisfa le esigenze attuali dei turisti e delle regioni di accoglienza, tutelando nel contempo e migliorando le prospettive per il futuro. Esso deve integrare la gestione di tutte le risorse in modo tale che le esigenze economiche, sociali ed estetiche possano essere soddisfatte, mantenendo allo stesso tempo l’integrità culturale, i processi ecologici essenziali, la diversità biologica e i sistemi viventi”.

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World Tourism & Travel Council Organizzazione Mondiale del Turismo/Consiglio della Terra, 1996 “Il turismo sostenibile è un turismo, con associate infrastrutture che, ora e nel futuro: opera entro le capacità naturali per la rigenerazione e la produttività futura delle

risorse naturali; riconosce il contributo all’esperienza turistica di popolazioni, comunità, costumi e

stili di vita; accetta che le popolazioni debbano avere un’equa distribuzione dei benefici

economici del turismo; è guidato dalle aspirazioni delle popolazioni locali e delle comunità dell’area

ospite” W.W.F. “Un turismo capace di durare nel tempo mantenendo i suoi valori quali-quantitativi. Cioè suscettibile di far coincidere, nel breve e nel lungo periodo, le aspettative dei residenti con quelle dei turisti senza diminuire il livello qualitativo dell’esperienza turistica e senza danneggiare i valori ambientali del territorio interessato dal fenomeno”. Le caratteristiche principali del turismo sostenibile: DUREVOLE: non si basa sulla crescita a breve termine della domanda ma sugli effetti a mediolungo termine del modello turistico adottato, cercando di mettere in armonia la crescita economica e la conservazione dell’ambiente e dell’identità locale, fattori che costituiscono il principio attivo dello sviluppo turistico nel tempo. DIMENSIONATO E RISPETTOSO DELL’AMBIENTE: dimensionato nel tempo, per ridurre gli effetti legati alla stagionalità, e nello spazio, individuando la capacità d’accoglienza del territorio e limitando l’affluenza dei turisti in funzione delle caratteristiche fisiche dei luoghi. Si definisce così una soglia dei visitatori atta a garantire la conservazione degli spazi e la qualità dell’esperienza turistica. INTEGRATO E DIVERSIFICATO: l’offerta turistica deve essere il risultato naturale delle risorse locali: il patrimonio architettonico, le feste tradizionali, la gastronomia, i rapporti con il mare, con il deserto… il turismo non può essere un elemento estraneo all’identità del luogo ma un elemento integrato alla ricchezza culturale ed economica dello stesso. In questo senso la “monocultura turistica” deve essere sostituita con dei modelli diversificati in cui il turismo occupi una parte importante della struttura economica. Inoltre, il modello turistico sostenibile è aperto al territorio circostante in modo che gli spazi naturali delle località vicine facciano parte della medesima offerta turistica. La diversità urbana, paesaggistica e naturale dell’insieme rafforza, infatti, l’attrattiva dell’offerta.

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PIANIFICATO: implica un’analisi attenta delle condizioni presenti e delle prospettive future, unite alla presa in considerazione al momento della decisione delle diverse variabili che intervengono nel processo turistico. ECONOMICAMENTE VITALE: si propone quale modello alternativo che non rinuncia alla vitalità economica e alla ricerca del benessere della comunità locale. Non si pone come priorità la crescita rapida dei redditi turistici, ma la natura e la vitalità nel tempo degli investimenti. PARTECIPATO: in quanto tutti i soggetti devono essere coinvolti nei processi decisionali riguardanti lo sviluppo del territorio e collaborare alla realizzazione.

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STRUTTURE RICETTIVE

La normativa classifica le strutture turistiche in quattro categorie principali 1) Strutture ricettive alberghiere e paralberghiere 2) Strutture ricettive extralberghiere 3) Strutture ricettive all'aperto 4) Strutture ricettive di mero supporto Strutture ricettive alberghiere e paralberghiere Alberghi Si tratta di esercizi ricettivi aperti al pubblico, che, oltre all'alloggio, solitamente fornito in camere o suite ubicate in uno o più edifici o anche in parti di essi, offrono alla propria clientela anche vitto ed altri servizi accessori. Motels I motels differiscono dagli alberghi per la loro particolare predilezione, generalmente accentuata dalla posizione in cui sorgono, per soste di breve durata (automobili, tir, imbarcazioni) e per i servizi di assistenza, riparazione e rifornimento di carburante che offrono alla propria clientela. Villaggi albergo I villaggi sono sostanzialmente alberghi residenziali nei quali la centralizzazione dei servizi e la dislocazone degli alloggi in più stabili facenti parte di uno stesso complesso rappresentano l'elemento distinguente. Generalmente sono inseriti in aree attrezzate per il soggiorno e lo svago della propria clientela. Residenze turistico alberghiere Le residenze turistico alberghiere, dette anche alberghi residenziali, sono esercizi ricettivi che, a differenza degli hotels, contestualmente al mero alloggio pernottamento, offrono alla clientela servizi accessori, come ad esempio l'uso autonomo della cucina in dotazione, in unità abitative arredate di uno o più locali. Alberghi diffusi Gli alberghi diffusi sono quelle strutture ricettive che offrono alloggio in edifici separati ma solitamente vicini tra loro nei quali i tipici servizi di ricevimento e portineria vengono offerti di un edificio centrale collocato a breve distanza.

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Residenze d'epoca alberghiere Le residenze d'epoca alberghiere sono quelle strutture ricettive la cui offerta è principalmente dedicata a clientela altamente qualificata in cerca di alloggio in immobili o complessi immobiliari di particolare pregio storico-architettonico e nei quali mobili ed arredi siano rigorosamente d'epoca o di particolare livello artistico. Bed and breakfast organizzati in forma imprenditoriale I bed and breakfast in forma imprenditoriale sono strutture ricettive a conduzione familiare, organizzate e gestite direttamente da privati in modo professionale. Offrono alloggio e prima colazione nell'unità immobiliare messa a disposizione purchè funzionalmente collegata e nella quale siano presenti spazi familiari di condivisione. Residenze della salute / beauty farm Le residenze della salute o beauty farm sono a tutti gli effetti alberghi nei quali spicca come caratteristica principale o comunque importante l'offerta di soggiorni con cicli di trattamenti terapeutici, dietetici ed estetici. Altre strutture In questa categoria fanno parte tutte le altre strutture turistico-ricettive, non precedentemente identificate, che presentino elementi ricollegabili a uno o più delle sopraelencate categorie. Strutture ricettive extralberghiere Esercizi di affittacamere Gli esercizi di affittacamere sono strutture ricettive con camere, nelle quali oltre all'alloggio possono essere forniti anche servizi complementare, dislocate in più appartamenti mobiliati ma ubicate nello stesso stabile. Attività ricettive a conduzione familiare – bed and breakfast Si tratta sostanzialmente dei bed and breakfast, sempre a conduzione ed organizzazione familiare, ma gestite da privati in forma non imprenditoriale. Offrono alloggio e prima colazione in parti della stessa unità immobiliare funzionalmente collegate e con spazi familiari destinati alla condivisione.

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Case per ferie Si tratta di strutture ricettive attrezzate per dare soggiorno a singole persone o gruppi in cui il cliente tipo è rappresentato dai dipendenti o da altri soggetti convenzionati (e relativi familiari) degli stessi enti pubblici, solitamente senza fini di lucro e dediti al conseguimento di finalità sociali, culturali, sportive o assistenziali, e delle stesse aziende che le gestiscono direttamente, al di fuori dei tipici canali commerciali, allo scopo di offrire ai dipendenti stessi ed ai loro familiari opportunità di soggiorno e svago. Unità abitative ammobiliate ad uso turistico Sono case o appartamenti offerti in affitto a turisti per un periodo non inferiore a sette giorni e non superiore a sei mesi consecutivi. Arredati, dotati di servizi igienici e di cucina autonomi, non offrono alcun servizio di tipo alberghiero e possono essere gestite sia in forma imprenditoriale che non (fino ad un massimo di quattro unità abitative) ovvero con una gestione non diretta affidata dai proprietari ad agenzie immobiliari e società di gestione immobiliare turistica esterne che, in tal caso, si occupano sia della promozione della struttura che della relativa locazione. Strutture ricettive – residence Le strutture ricettive – residence sono complessi immobiliari, gestiti in forma imprenditoriale e costituiti da una o più strutture composte da appartamenti arredati e dotati di servizi igienici e di cucina autonomi, dati in locazione ai turisti che ne fanno richiesta per soggiorni non inferiori a tre giorni. Ostelli per la gioventù Sono strutture ricettive, gestite, in forma diretta o indiretta, da enti o associazioni rivolte ai giovani ed ai loro accompagnatori per soggiorni e pernottamenti di breve durata. Attività ricettive in esercizi di ristorazione Le attività ricettive in esercizi di ristorazione sono sostanzialmente camere con accesso indipendente, ubicate nello stesso complesso immobiliare in cui ha sede un esercizio di ristorazione gestite in modo complementare dal medesimo titolare. Alloggi nell'ambito dell'attività agrituristica Gli alloggi nell'ambito delle attività agrituristiche sono locali destinati ad alloggi ubicati in fabbricati rurali gestiti da imprenditori agricoli ai sensi della legge.

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Attività ricettive in residenze rurali Le attività ricettive in residenze rurali, dette anche country house, sono strutture ubicate in ville padronali o fabbricati rurali, utilizzate per attività sportivo-ricreative, composte da camere con eventuale angolo cottura e che dispongono di servizio di ristorazione aperto al pubblico. Foresterie per turisti Le foresterie per turisti sono sostanzialmente i collegi, convitti, istituti religiosi, pensionati e, più in genere, le altre strutture pubbliche o private, gestite senza finalità di lucro che, secondo quanto stabilito dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano e, relativamente a quelle gestite dagli Enti parco nazionali e dalle aree marine protette, dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, offrono ospitalità, al di fuori dei normali canali commerciali, a singoli soggetti e/o a gruppi organizzati da enti e associazioni operanti nel settore del turismo sociale e giovanile con lo scopo di conseguire finalità sociali, culturali, assistenziali, religiose e sportive. Centri soggiorno studi I centri soggiorno studi sono le strutture ricettive, gestite da enti pubblici, associazioni, organizzazioni sindacali, soggetti privati operanti nel settore della formazione dedicati ad ospitalità finalizzata all'educazione e formazione in strutture dotate di adeguata attrezzatura per l'attività didattica e convegnistica specializzata, con camere per il soggiorno degli ospiti. Residenze d'epoca extralberghiere Le residenze d'epoca sono strutture ricettive extralberghiere ubicate in complessi immobiliari di particolare pregio storico e architettonico, dotate di mobili e arredi d'epoca o di particolare livello artistico, idonee ad una accoglienza altamente qualificata. Rifugi escursionistici I rifugi escursionistici sono strutture ricettive, solitamente ubicate in zone montane e specificatamente in luoghi favorevoli ad ascensioni, dedicate agli escursionisti e finalizzate ad offrire loro ospitalità e ristoro Rifugi alpini I rifugi alpini sono strutture ricettive ubicate in montagna, ad alta quota, fuori dai centri urbani, custoditi e aperti al pubblico per periodi limitati corrispondenti alle stagioni turistiche destinate al ricovero, al ristoro ed al soccorso alpino Tali strutture,

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sia durante i periodi di chiusura che in piena stagione, dispongono di un locale sempre aperto e accessibile dall'esterno anche in caso di abbondanti nevicate dedicato per il ricovero di fortuna. Altre strutture ogni altra struttura turistico-ricettiva che presenti elementi ricollegabili a uno o più delle precedenti categorie. Strutture ricettive all’aperto Villaggi turistici Sono definiti villaggi turistici quelle strutture ricettive, aperte al pubblico, allestite ed adeguatamente attrezzate in aree recintate destinate alla sosta ed al soggiorno di turisti in allestimenti minimi, in prevalenza sprovvisti di propri mezzi mobili di pernottamento ma in diversi casi anche dotate di piazzole di campeggio attrezzate per la sosta ed il soggiorno di turisti evidentemente invece provvisti di propri mezzi mobili di pernottamento. Campeggi I campeggi, definiti anche camping, sono strutture ricettive aperte al pubblico, a gestione unitaria, ubicate in aree recintate ed adeguatamente attrezzate, destinate alla sosta ed al soggiorno di turisti in prevalenza provvisti di propri mezzi mobili di pernottamento. I campeggi possono anche disporre di unità abitative mobili, quali tende, roulotte o caravan, mobilhome o maxicaravan, autocaravan o camper, e di unità abitative fisse, per la sosta ed il soggiorno di turisti sprovvisti di propri mezzi mobili di pernottamento. Campeggi nell'ambito delle attività agrituristiche I campeggi nell'ambito delle attività agrituristiche sono aree di ricezione all'aperto gestite da imprenditori agricoli ai sensi di legge. Parchi di vacanza Sono parchi di vacanza quei campeggi, a gestione unitaria, in cui è praticato l'affitto della piazzola ad un unico equipaggio per l'intera durata del periodo di apertura della struttura.

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Strutture ricettive di mero supporto Infine l'art. 14 del Codice del Turismo, con riferimento alla quarta e ultima sottocategoria, chiarisce che si definiscono di mero supporto le strutture ricettive allestite dagli enti locali per coadiuvare il campeggio itinerante, escursionistico e locale. La classificazione appena descritta deve poi essere integrata da quanto previsto dalla normativa delle singole regioni le quali, normalmente, hanno emanato un proprio testo unico delle leggi in materia di turismo in accordo e specificazione della normativa nazionale e comunitaria. Nel caso della Regione Toscana, ad esempio, è la Legge regionale n. 42 del 23.3.2000 che disciplina agli articoli dal 24 al 65 la tipologia delle strutture ricettive ammesse sul proprio territorio.

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FLUSSI E SPAZI TURISTICI

Dalla villeggiatura al turismo di massa Il turismo è praticato da chi si sposta dal luogo abituale di vita e di lavoro verso un'altra località per almeno una notte e per non più di un anno, con lo scopo di arricchire le proprie conoscenze oppure di migliorare la propria salute o ancora di divertirsi ed evadere dalla quotidianità. Dal punto di vista economico il turismo consiste nell'acquisto di un insieme di servizi legati a tali spostamenti e al raggiungimento di relativi obbiettivi(svago riposo cure) perciò il turismo si configura come un'attività che trasferisce capitali dalle regioni di partenza a quelle di arrivo.(globalizzazione)(geograficamente si distingue in regionale e nazionale; internazionale. Fino alla prima metà del 900 il turismo era ancora un fenomeno d'elitè che interessava certe fasce di popolazione perché avevano disponibilità di tempo e denaro. In seguito con la maggiore diffusione dell'industrializzazione e dell'urbanizzazione in Europa e in America settentrionale il turismo conquistò i ceti medi e popolari e si affermarono alcuni sport invernali e il turismo balneare-estivo. Dopo l'ultima guerra mondiale il turismo ha assunto nei paesi sviluppati le attuali caratteristiche di fenomeno di massa. Gli effetti del turismo 1 partecipazione all'incremento delle relazioni tra territori diversi che caratterizza

il nostro tempo 2 il turismo specialmente internazionale è un importante fattore di contatto tra

culture diverse. 3. In alcuni casi si può instaurare una dipendenza culturale, per esempio nel caso in

cui l'impatto con i turisti del nord del mondo crea nella popolazione locale una tendenza all'imitazione e induce bisogni consumistici difficili da soddisfare(esempio: l'africa prima di conoscere il nord del mondo stava bene). Gli effetti sociali conseguenti sono spesso destabilizzanti, come nel caso dell'emigrazioni verso il Nord del mondo (Albania verso l'Italia, colpa della pubblicità). In questi casi il vantaggio per l'economia locale è scarso, talvolta il circuito o la località turistica organizzati dalle compagnie straniere sono completamente autosufficienti: il turista non ha quindi quasi nessun contatto con la società locale salvo per alcuni aspetti pittoreschi o folcloristici(mercatini, spettacoli.), in questa situazione esiste di fatto un doppio circuito di servizi: quello per i turisti(utilizzato anche dalla ristretta aristocrazia locale), costoso, vario e moderno; e quello per la grande maggioranza della popolazione, povero e limitato(il turismo).

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4. Un ulteriore effetto negativo del turismo è l'impatto distruttivo che l'attività

turistica può avere sull'ambiente e sul paesaggio. Per esempio la concentrazione di turisti nelle aree costiere può portare all'inquinamento del mare e alla distruzione della flora e della fauna. Un ultimo effetto negativo del turismo è la scomparsa delle attività tradizionali(agricoltura, artigianato).

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NORD E SUD DEL MONDO

Indice di sviluppo umano (ISU) Prima di parlare di sottosviluppo occorre definire ciò che si intende per sviluppo. Nel passato il termine ha assunto diversi significati, divenendo di volta in volta sinonimo di “progresso culturale”, “modernizzazione”, “industrializzazione”, “crescita economica”. In tempi recenti si è pensato di misurare lo sviluppo in base al PIL. Il PIL, che rappresenta la ricchezza (in beni e servizi) prodotta in un anno in un determinato territorio, è un dato che si riferisce unicamente alla crescita economica. Che sia inteso come valore totale piuttosto che come distribuzione media del reddito (PIL pro-capite), esso non appare comunque un indice significativo dello sviluppo di uno stato. Infatti potrebbe risultare elevato anche il PIL di uno stato dove accanto a pochi cittadini molto ricchi vivessero moltissimi cittadini poveri, il cui livello di vita, in realtà ben lontano dalla media, sarebbe falsato da quello dei cittadini ricchi. A partire dal 1993 le Nazioni Unite hanno deliberato di adottare un diverso indice, l’ISU (in inglese: HDI-Human development index), elaborato da un economista pakistano, Mahbub ul Haq. L’ISU non tiene conto solo della ricchezza economica, ma anche di altri fattori (distribuiti in modo meno disuguale di quanto potrebbe essere il reddito), come l’alfabetizzazione e la speranza di vita. Esso in pratica rileva i risultati medi raggiunti da un paese riguardo a tre aspetti fondamentali dello sviluppo umano: · una vita lunga e sana, misurata dall’aspettativa di vita alla nascita; · l’istruzione (alfabetizzazione degli adulti, scolarità complessiva); · condizioni di vita dignitose, misurate dal Pil pro-capite (in dollari). La scala dell’indice è in millesimi decrescente da 1 a 0 e, dal 2010, suddivide i paesi in quattro gruppi, in base al quartile in cui rientrano: · primo 25% dei paesi: paesi a molto alto sviluppo umano; · dal 25% al 50% dei paesi: paesi ad alto sviluppo umano; · dal 50% al 75% dei paesi: paesi a medio sviluppo umano; · ultimo 25% dei paesi: paesi a basso sviluppo umano. Nel 2011, secondo il rapporto sullo sviluppo umano, ai primi dieci posti si collocavano Norvegia (0,938), Australia (0,929), paesi Bassi (0,910), stati Uniti (0,910), Nuova Zelanda (0,908), Canada (0,908), Irlanda (0,908), Liechtenstein (0,905), Germania (0,905) e Svezia (0,904). L’Italia si trovava anch’essa nel primo quartile (quello comprendente i paesi a molto alto sviluppo umano), al 24° posto, con un indice pari a 0,874. Gli ultimi posti erano tutti occupati da paesi africani e precisamente da Mozambico (0,322), Burundi (0,316), Niger (0,295) e Repubblica democratica del Congo (0,286).

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Terzo e Quarto Mondo, Sud del Mondo Quando si parla di paesi sottosviluppati spesso si fa ricorso a espressioni quali “Terzo mondo”, “Quarto mondo”, “Sud del mondo”. Vediamo il perché. L’espressione “Terzo mondo” fu coniata verso la metà del secolo scorso, ai tempi della Guerra Fredda, da un economista francese, in analogia con il Terzo stato, la classe sociale che, ai tempi della Rivoluzione francese, lottò contro i privilegi della nobiltà e del clero. Il Primo mondo e il Secondo mondo erano costituiti dai paesi avanzati rispettivamente a economia capitalista e a economia socialista. In seguito ci si è resi conto che anche il Terzo Mondo si era venuto differenziando in due gruppi distinti di paesi: da una parte gli stati (come alcuni stati petroliferi arabi) con consistenti ricchezze naturali a disposizione e di conseguenza economicamente avvantaggiati, dall’altra i paesi del cosiddetto Quarto Mondo, privi di risorse naturali, flagellati dalla fame e dalla miseria. In tempi ancora più recenti alcuni studiosi, per distinguere i paesi più ricchi da quelli più poveri, hanno utilizzato le espressioni Nord e Sud del Mondo, in quanto la maggior parte dei paesi sviluppati si trova nell’emisfero settentrionale, mentre quelli sottosviluppati sono concentrati nella fascia intertropicale e nell’emisfero meridionale (con qualche eccezione, come ad esempio il Sudafrica, l’Australia e la Nuova Zelanda). Caratteristiche dei paesi sottosviluppati I paesi sottosviluppati, quelli con l’ISU compreso nell’ultimo quartile, hanno per lo più le stesse caratteristiche: – hanno un’economia arretrata, basata soprattutto sull’agricoltura; – dipendono per l’industria e la tecnologia dai paesi sviluppati, perché il loro settore secondario si limita a una rudimentale lavorazione delle materie prime; – possiedono infrastrutture, vie di comunicazione e reti di telecomunicazioni scarse e inefficienti; – hanno rare e carenti strutture sanitarie, condizioni igieniche precarie e di conseguenza basse aspettative di vita; – hanno livelli molto alti di analfabetismo; – sono indebitati fortemente con i paesi ricchi e contano politicamente pochissimo a livello internazionale. L’aspetto principale che distingue la popolazione dei paesi sviluppati da quella dei paesi sottosviluppati è indubbiamente la diversa disponibilità di alimenti. Nei paesi ricchi dove la popolazione aumenta assai lentamente e l’agricoltura, grazie alla tecnologia, ha un’alta capacità produttiva, gli uomini dispongono di una quantità di alimenti superiore ai loro bisogni, perciò una buona parte viene immagazzinata e destinata al commercio internazionale. Nei paesi poveri, invece, la popolazione aumenta in modo spesso vertiginoso e l’agricoltura produce pochissimo, così molta

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gente soffre la fame. La popolazione dei paesi sottosviluppati continua a crescere perché altissimo è il tasso di natalità. Questo è conseguenza sia dello scarso utilizzo di strumenti di controllo delle nascite, sia dell’alta mortalità. Infatti nelle civiltà contadine fondate sul lavoro delle braccia, avere molti figli vuol dire anche sperare che almeno qualcuno diventi adulto e possa prendersi cura dei genitori. L’agricoltura produce poco perché praticata con mezzi primitivi e poco efficienti su terreni che spesso, per la carenza d’acqua legata alle condizioni climatiche, sono aridi e poco produttivi. La FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite che studia i problemi dell’agricoltura e dell’alimentazione nel mondo, ritiene che nel mondo quasi 900 milioni di persone siano in uno stato di forte denutrizione e che circa 40-50 milioni di individui ogni anno muoiano per fame, soprattutto tra i più deboli, cioè i bambini e gli anziani. La maggioranza di queste persone muore per sottoalimentazione e malnutrizione, a causa cioè di una dieta povera e squilibrata, perché basata in prevalenza sui cereali e carente di vitamine e proteine. La sottoalimentazione indebolisce l’organismo e favorisce la diffusione di malattie infettive e non, tra cui anche quelle, come la lebbra e la malaria, da tempo scomparse nei paesi sviluppati. Ai problemi dovuti alla sottoalimentazione, poi, si uniscono quelli legati alla scarsa igiene, alla carenza di acqua potabile e alla inadeguatezza delle strutture sanitarie (pochi sono gli ospedali e pochi i medici), con la conseguenza che milioni di persone ogni anno muoiono prematuramente in vaste zone dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. Quando si è tormentati dalla fame e dalla miseria non si sente la necessità di istruirsi o di fare istruire i propri figli. Nei paesi sottosviluppati è quindi molto diffuso l’analfabetismo. D’altronde le minoranze dei ricchi e dei privilegiati hanno tutto l’interesse a mantenere nell’ignoranza la popolazione più povera, perché chi non conosce i propri diritti e non ha cultura non sa farsi valere, ma si lascia sfruttare, accettando senza ribellarsi lavori scarsamente pagati. Sono centinaia di milioni i ragazzi che per una ragione o per l’altra non possono frequentare la scuola, o che l’hanno abbandonata prima di imparare a scrivere e a leggere correttamente. Sono più di 100 milioni nel mondo i bambini costretti a lavorare, spesso in stato di sfruttamento. Molti abitanti dei paesi sottosviluppati, per sfuggire alla miseria, emigrano verso i paesi sviluppati, dove solitamente finiscono per svolgere, quando li trovano, quei lavori gravosi e poco remunerativi che risultano sgraditi ai cittadini degli stati sviluppati. Cause del sottosviluppo Le cause del sottosviluppo sono molteplici e possono essere distinte in interne ed esterne. Tra le cause interne dobbiamo porre innanzitutto le sfavorevoli condizioni ambientali, in particolare climatiche: è questo il caso ad esempio dell’Africa subsahariana,

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flagellata da lunghi periodi di siccità. Il clima sfavorevole, però, non basta a spiegare il sottosviluppo; infatti ci sono paesi del Terzo Mondo situati in regioni favorevoli all’agricoltura e paesi ricchi, come ad esempio l’Olanda, che hanno dimostrato di saper produrre ricchezza anche in condizioni naturali sfavorevoli. Un’altra causa interna del sottosviluppo è il forte incremento demografico di queste popolazioni, che rende vano ogni aumento della produzione agricola e fa sì che molta gente soffra la fame. Altre cause interne sono di carattere sociale e politico. Molti stati sottosviluppati infatti presentano profonde disuguaglianze economiche tra una minoranza privilegiata, proprietaria di terra e capitali, e una massa enorme di contadini poveri; questi stati inoltre spesso sono in guerra tra loro e sono retti da regimi dittatoriali che sono l’espressione di queste minoranze ricche, perciò la popolazione più povera è costretta ad accettare con la forza la propria miserevole condizione. Tra le cause esterne, le principali senza dubbio vanno ricercate nei rapporti che questi paesi hanno avuto negli ultimi secoli con gli stati più ricchi del mondo e cioè nel colonialismo e nel neocolonialismo. Quasi tutti gli attuali paesi sottosviluppati, infatti, sono stati in passato colonie europee e, per molto tempo, le loro ricchezze sono state sfruttate dagli stati colonizzatori. Inoltre il colonialismo non ha favorito la formazione di una classe borghese attiva e intraprendente, simile a quella europea, ma ha rafforzato il potere delle poche persone privilegiate del posto che vivevano sfruttando la massa dei contadini. Anche dopo la fine del colonialismo, i paesi ricchi e industrializzati, approfittando della propria superiorità tecnologica ed economica, hanno mantenuto rapporti commerciali favorevoli alla loro economia e spesso hanno continuato a controllare e a sfruttare le ricchezze agricole e minerarie dei paesi poveri. Così capita ad esempio che un paese ricco, alla ricerca di materie prime, forza lavoro a basso costo e mercati per le proprie produzioni, imponga a uno stato del Sud del mondo la coltivazione di prodotti che poi compera a un prezzo molto contenuto e venda poi a quello stesso stato i propri prodotti finiti a un prezzo molto elevato. Negli ultimi decenni, inoltre, alcuni stati, ad esempio in America Latina, hanno avviato un processo di industrializzazione e di sviluppo economico, ma per fare ciò hanno dovuto richiedere prestiti alle banche dei paesi più ricchi; oggi molti di essi non riescono più a pagare non solo i debiti, ma addirittura i rilevanti interessi che sono maturati: così è aumentato ulteriormente il rapporto di dipendenza economica che lega il Terzo Mondo ai paesi più sviluppati. Possibili soluzioni al problema del sottosviluppo Per uscire dal sottosviluppo occorre che i paesi interessati dal problema si convincano della necessità di cambiare e si diano da fare contando innanzitutto sulle proprie forze, in quanto un vero sviluppo non può essere imposto dall’esterno. Bisognerebbe, ad esempio, che i governi locali agissero sulle cause del sottosviluppo provvedendo a:

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– attuare il controllo delle nascite, seguendo la strada inaugurata dalla Cina e, anche se con minor rigore, dall’India, per far rallentare l’incremento demografico; – accrescere la produzione agricola, utilizzando per esempio le biotecnologie; – non farsi coinvolgere in guerre e di conseguenza diminuire le spese militari, perché ci siano una situazione politica ed economica meno drammatica e maggiori risorse a disposizione; – operare processi di democratizzazione, perché gli elettori possano vigilare sugli episodi di spreco e di corruzione; – attuare riforme agrarie, in modo da eliminare i forti contrasti esistenti tra pochi grandi latifondisti e la massa dei contadini senza terra; – lottare contro l’analfabetismo, perché solo con la diffusione dell’istruzione ogni uomo potrà partecipare pienamente alla vita sociale del proprio paese e impegnarsi a migliorarla, eliminando le ingiustizie economiche e sociali. I paesi sviluppati, dal canto loro, e in primo luogo quelli la cui ricchezza è stata ed è tuttora prodotta dallo sfruttamento economico delle regioni sottosviluppate, hanno il dovere di cercare di risolvere il problema. In effetti, in questi ultimi decenni, molti paesi ricchi, sotto la spinta delle organizzazioni dell’ONU, come la FAO e l’UNESCO, hanno attuato politiche di aiuto nei confronti delle popolazioni dei paesi sottosviluppati. Ciò è avvenuto in particolare nella forma dei soccorsi immediati, con l’invio gratuito di cibo e medicinali. Questi soccorsi danno un sollievo temporaneo, ma non risolvono di certo il problema, che, una volta consumati gli aiuti, si presenterà nuovamente. Di maggiore utilità sono le forme di cooperazione internazionale (finanziamento di progetti, donazioni di beni, campagne di vaccinazione), in particolare quelle volte a insegnare alle popolazioni dei paesi sottosviluppati l’utilizzo di tecnologie adeguate alle esigenze locali. Alcune organizzazioni non governative, ad esempio, hanno avviato in alcune aree arretrate microprogetti gestiti dalla popolazione del luogo capaci di creare uno sviluppo duraturo. I paesi ricchi dovrebbero procedere inoltre alla cancellazione del debito estero dei paesi poveri, perché il pagamento degli interessi sui crediti concessi negli ultimi decenni assorbe i pochi profitti provenienti dalle esportazioni dei paesi in via di sviluppo. A proposito di scambi economici, inoltre, sarebbe bene realizzare forme di commercio equo e solidale, in modo che non siano più i mercati del Nord del mondo a stabilire i prezzi delle materie prime e dei prodotti agricoli dei paesi del Sud del mondo. In generale, poi, occorrerebbe provvedere alla liberalizzazione del commercio, eliminando le barriere protezionistiche che non facilitano l’esportazione dei prodotti dei paesi sottosviluppati. La globalizzazione e le multinazionali

Globalizzazione sta ad indicare il processo che rende le economie nazionali sempre piu' interdipendenti all'interno di un unico sistema globale.

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La Globalizzazione economica ha portato le economie nazionali e le aziende a confrontarsi ed integrarsi in un' unica dimensione mondiale. Le aziende si sono sviluppate e hanno creato più ramificazioni in più paesi, anche distanti molti chilometri, queste sono le cosi dette Multinazionali. Così la rapida circolazione di informazioni fa si che i prodotti, le idee, i costumi, i modi di vita si diffondano ovunque e velocemente. Questo favorisce così gli scambi culturali tra popoli, ma anche l'uniformazione di gusti alimentari o musicali, comportamenti e addirittura i valori del mondo. Ma ritornando alle multinazionali, esse sono società che operano su scala internazionale attraverso filiali estere ed investimenti di capitali. Sono quindi più filiali che dipendono dalla casa madre, ossia la società capogruppo, quest'ultima di solito si trova nel paese d'origine della multinazionale, perchè il governo la sostiene sul piano nazionale e internazionale. Gli interessi della multinazionale, però, non sono quelli della nazione ma quelli mondiali. Le case madri delle multinazionali si trovano per i tre quarti in Unione Europea, Stati Uniti e Giappone. Il nuovo ordine economico internazionale, con il suo movimento dei capitali e la liberalizzazione del commercio mondiale, crea una grave emarginazione del Terzo mondo. Le grandi società multinazionali possono marginalizzare il ruolo della forza lavoro nell’economia globale. Ultimamente, un considerevole numero di Paesi è rimasto indietro: essi sono rimasti sempre più emarginati dalle principali correnti dell’economia mondiale e, sono lasciati ai margini delle trattative. Le dimensioni ridotte conferiscono ai paesi piccoli un rango marginale sul piano dell’attenzione riservata alle diverse nazioni nel mercato delle notizie (l’80% di esse proviene da Usa, Gran Bretagna e Francia) o degli aiuti accordati dagli organismi internazionali. I poveri si trovano a dover contendere alle classi medie e alte l’utilizzo di risorse insufficienti. Nel Terzo mondo tre individui su quattro muoiono prima di aver raggiunto 50 anni. L’assenza di servizi fondamentali, come l’acqua potabile nelle case o l’assistenza medica, fa sì che un terzo delle persone che abitano nei Paesi più poveri abbia un’aspettativa di vita di appena 40 anni. Nel mondo un decesso su cinque riguarda bambini che non hanno raggiunto i 5 anni. Nei Paesi più poveri la mortalità infantile, di fatto scomparsa tra i Paesi industrializzati, ancor oggi causa quattro decessi su dieci. In molti Paesi africani è ancora elevatissima. Benché persistenti, le disparità territoriali sono in via di riduzione, almeno in alcuni Paesi. Svariati Paesi tra i più poveri, però, non hanno conseguito progressi apprezzabili e ancora registrano un 20% di mortalità sotto i cinque anni. La mortalità materna (per gravidanza e parto) uccide un milione di donne all’anno, di cui il 99% nel Terzo mondo.

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800 milioni di persone nel mondo non hanno un’abitazione decente. In molte grandi città la maggioranza vive in quartieri miserabili: a Calcutta più di 600.000 persone dormono sui marciapiedi. Si fa un gran parlare di globalizzazione: dei mercati, dell’economia, delle comunicazioni. Ma non può non sfuggire che viviamo in un mondo dove più della metà della popolazione non ha mai fatto una telefonata e dove un miliardo di persone non sa né leggere né scrivere: un pianeta dove per tanti si pongono ancora problemi basilari di accesso a qualsivoglia informazione. Sono analfabeti quasi un miliardo di persone, la maggior parte delle quali donne. Circa cento milioni di persone in età scolare, non hanno accesso all’istruzione elementare. Il quinto più ricco della popolazione mondiale usufruisce del 33% della spesa per l’istruzione e quello più povero del 13%. Il Terzo mondo possiede già il 90% dei rifiuti tossici esportati. Per i Paesi occidentali, dove esistono severi controlli su questa materia, è più semplice e meno costoso portare i propri rifiuti in Paesi dove si aggiungono a un ambiente già di per sé degradato. L’emarginazione ha costretto gli immigrati nelle parti più degradate delle metropoli occidentali, favorendo il pregiudizio, la contrapposizione tra etnie, l’aumento delle aggressioni e l’assenza di prospettive. Le politiche repressive contro l’emigrazione minano lo Stato di diritto nei Paesi di accoglienza favorendo il dilagare del razzismo. I movimenti più fanatici chiedono l’espulsione delle minoranze etniche. Il risultato è che si sta mettendo in piedi in Europa la società duale inventata per le colonie, con tutti i suoi mali. Il peggiore di tutti è un razzismo. Gli Stati tendono sempre più a considerare i profughi e i rifugiati come migranti per motivi economici in modo da assoggettargli alle norme sull’immigrazione anziché a quelle sull’asilo, il che consente loro di respingere o espellere i nuovi arrivati.

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IL CLIMA

Ambienti Naturali

Il clima è l'insieme delle caratteristiche del tempo atmosferico che contraddistinguono una regione. Il clima è influenzato da piogge, umidità, venti e dalla pressione atmosferica. I climi dipendono da diversi fattori come: l'altitudine, la longitudine, la distanza dal mare, la presenza di fiumi nel territorio e l'esposizione al sole e ai venti. La parola clima viene dal greco clima che vuol dire "inclinato": il clima infatti è in massima parte una funzione dell'inclinazione dei raggi solari sulla superficie della terra al variare della latitudine. Esso determina molte caratteristiche ambientali come flora e fauna al punto che a ciascuna fascia climatica si associano spesso ambienti simili (biomi) su tutto il globo (es. foreste pluviali, deserti, foreste temperate, steppe, taiga, tundra e banchisa polare), ed influenza fortemente le attività economiche, le abitudini e la cultura delle popolazioni che abitano il territorio. Climi caldo-umidi Si trovano nelle aree comprese tra il Tropico del cancro e il Tropico del capricorno. Caratterizzati da temperature elevate ed abbondanti piogge. Si divide in tre tipi di climi: - Clima equatoriale Si trova in Amazzonia, Africa centrale e Asia meridionale. Caratterizzato da temperature molto alte (25-30 °C) , stessa durata del giorno e della notte e stagioni simili tutto l'anno. L'umidità relativa normalmente è molto elevata rispetto alla media delle temperature e risulta difficilmente sopportabile da chi non vi è abituato. La vegetazione è rappresentata dalla foresta pluviale. - Clima monsonico Si trova dall'Asia meridionale all'isola del Madagascar al largo delle coste dell'Africa orientale. Caratterizzato dalla presenza dei monsoni , venti caldi provenienti dall'oceano indiano. Da giugno a ottobre i monsoni, caldi e carichi di umidità, provengono dall'oceano Indiano soffiando da sud-ovest a nord-est, dal mare verso la terraferma. La vegetazione è rappresentata dalla giungla, che a differenza della foresta pluviale, ha delle piante che perdono le foglie durante la stagione secca. - Clima della savana Caratterizzato da due stagioni, una umida e un'altra secca, entrambe della durata approssimativa di 3 mesi. La prima comporta piogge intense e durature per molti giorni, con frequenti temporali e rari giorni senza fenomeni, simile al clima tropicale.

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La seconda invece è molto secca, con piogge quasi assenti, simile al clima desertico. La vegetazione è rappresentata da erbe alte e alberi dal tronco molto robusto. Climi aridi Si trovano nei deserti. Quello che accomuna tutti questi climi non sono i valori termici, ma la scarsità o l'assenza di precipitazioni che, in casi estremi, può durare per anni o addirittura per decenni. L'accumulo annuo è inferiore a 250 mm anche se in alcuni casi ci possono essere violenti temporali che possono far eccedere questo valore. Esistono due tipi di deserti con climi differenti: - Deserti caldi Si trovano in Africa, America del sud e Australia. In queste zone le piogge sono molto rare e la mancanza di umidità e vegetazione provoca forti escursione termiche durante la giornata con differenze tra giorno e notte di anche 30°C. Di solito il fattore che porta alla formazione di un clima simile è la presenza dell'anticiclone subtropicale. - Deserti freddi Si trovano in Mongolia, Tibet, Stati Uniti e Patagonia. anche questi deserti sono caratterizzati da escursioni termiche e da fortissime escursioni termiche annue, a causa della continentalità della zona in cui si trovano. Le precipitazioni sono insufficienti per qualunque tipo di vegetazione completa, tanto più che il suolo è spesso riarso, roccioso o sabbioso e inadatto alla crescita di piante. Le piante presenti nei deserti hanno una vita breve a causa delle piogge scarseggianti oppure possono vivere per molti anni grazie ai loro fusti capaci di immagazzinare acqua. Climi temperati caldi si trovano nel Mediterraneo, in California, in Cile, in Sudafrica e in Australia. Sono caratterizzati da inverni miti ed umidi e da estati calde. La vegetazione è rappresentata dalla foresta mediterranea che è formata da arbusti aromatici ed alberi sempreverdi. Climi temperati freddi Si trovano in Russia, in Scandinavia e in Canada. Sono caratterizzati da inverni lunghi e freddi e da estati brevi con abbondante precipitazioni. Nell'emisfero boreale si trova la Taiga che è una grande foresta di 15 milioni di chilometri quadrati coperta da alberi di conifere ed abitata da orsi, alci, renne e altri animali da pelliccia nella quale si ha questo tipo di clima.

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Climi freddi Sono caratterizzati da inverni lunghi e freddi, estati brevi e tiepide con precipitazioni mai abbondanti. Si dividono in due tipi di climi: - Clima freddo a estate calda Si trova in Europa settentrionale, Asia orientale e America settentrionale. La vegetazione è rappresentata da steppe e praterie. - Clima freddo a inverno prolungato Si trova nelle zone settentrionali di Europa, Asia e America. La vegetazione è rappresentata dalla tundra che è una pianura ricoperta di muschi e licheni presente solo nell'emisfero boreale. La temperatura è molto bassa ma in primavera ed in estate raggiunge i 10°C. - Clima nivale Si trova oltre i circoli polari artico e antartico e nelle zone di alta montagna. E' caratterizzato da inverni molto rigidi con vaste distese di ghiacci. Le temperature medie sono sotto gli 0°C, ma raggiungono anche i -50°C. La vegetazione è prevalentemente composta da muschi e licheni, la fauna da diverse specie animale tra cui il lupo, l'orso bianco, la volpe artica, l'ermellino che usano la bianca neve per mimetizzarsi e difendersi dai pochi abitanti di quelle zone che vivono di caccia per le pellicce. Da queste zone provengono molti dei legni più pregiati.

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AFRICA DEL NORD

Il termine Nordafrica designa la parte settentrionale dell'Africa separata dal resto del continente (Africa subsahariana) dal deserto del Sahara. Questo vale in un senso generale; nello specifico, il termine "Nordafrica" può avere varie accezioni a seconda del contesto di riferimento. Il territorio dell'Africa Settentrionale comprende quattro grandi regioni naturali: la prima è il Maghreb, la fascia costiera mediterranea in prevalenza montuosa, che si estende dalla Tunisia al Marocco; la seconda è il Sahara, il deserto che si estende dall'Atlantico al Mar Rosso; la terza è il Sahel, la fascia stepposa che orla a sud il deserto; la quarta, infine, è la valle del Nilo che interrompe il deserto del Sahara ad est. Fanno parte dell'Africa Settentrionale numerosi Stati di grandi dimensioni. Alcuni di questi costituiscono la cosiddetta Africa mediterranea, in quanto le loro coste si distendono sul Mar Mediterraneo: si tratta del Marocco che si affaccia sull'Atlantico, dell'Algeria, della Tunisia, della Libia e dell'Egitto, che è bagnato a est dal Mar Rosso. Gli altri Stati della regione occupano la parte meridionale del Sahara e del Sahel; alcuni sono situati all'interno del continente, come il Mali, il Niger e il Ciad, altri sono bagnati dall'Atlantico, come la Mauritania e il Sahara Occidentale, mentre il Sudan si affaccia a est sul Mar Rosso. Fanno parte, infine, dell'Africa Settentrionale gli arcipelaghi delle Azzorre e di Madeira, che appartengono al Portogallo, le Canarie spagnole e lo Stato insulare di Capo Verde. Il rilievo dell'Africa Settentrionale è costituito in gran parte da un tavolato di rocce molto antiche, oggi occupato dal deserto del Sahara. All'interno del tavolato si innalzano alcuni massicci montuosi isolati: l'Ahaggar, il Tibesti, che si eleva fino a 3415 metri con l'Emi Koussi, e il Darfur, dove si innalza il monte G. Marra (3088 m). Questa vasta regione è orlata a ovest da una fascia pianeggiante che si estende intorno alla foce del fiume Senegal, a nord dalle fasce pianeggianti della Libia e della Tunisia, e a nord-ovest dalla catena dell'Atlante, dove emerge quella dell'Alto Atlante e il Monte Toubkal (4167 m). Ai margini del Sahara scorrono alcuni grandi fiumi, che hanno regime tropicale, con forti piene estive in corrispondenza del periodo delle piogge. Il Nilo, il fiume più lungo dell'Africa e della Terra (6 671 km), dopo aver ricevuto in territorio sudanese le acque degli affluenti Nilo Azzurro e Atbara, attraversa il territorio egiziano prima incassato in una stretta valle, poi in un'ampia pianura fino al vasto delta che si apre sul Mediterraneo. Il Mali e il Niger sono bagnati dal corso superiore del Niger, mentre il confine sud-occidentale della Mauritania è segnato dal Senegal. All'interno del Sahara si estende il Lago Ciad, dalla superficie variabile a causa della forte evaporazione e della irregolarità delle piogge. Gran parte della regione è caratterizzata da un clima desertico caldo e molto arido: all'interno del deserto le piogge sono inferiori a 100 mm annui e sono molto

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irregolari; le temperature invernali medie superano i 10 °C mentre quelle estive sono intorno ai 30 °C. Procedendo verso sud la fascia del Sahel ha un clima tropicale con scarse precipitazioni concentrate nei mesi estivi. Infine la fascia costiera gode di un clima mediterraneo con abbondanti piogge invernali. Il Nordafrica berbero Nell’uso più comune, però, con il termine Nordafrica ci si riferisce ai territori compresi tra il mar Mediterraneo a nord e i limiti meridionali del Sahara a sud; tra l'oceano Atlantico a ovest e le parti occidentali dell'Egitto a est. L'Egitto con la valle del Nilo, per la sua particolare situazione storico-geografica viene spesso considerato a sé (oltretutto, non va dimenticato che la penisola del Sinai, una regione dell'Egitto, è fisicamente parte del continente asiatico). Si tratta sostanzialmente delle regioni storicamente abitate da popolazioni europoidi parlanti la lingua berbera. La regione, infatti, era un tempo nota come Barberia. Dopo la conquista araba, viene anche utilizzato la parola araba Maghreb (traducibile in "Occidente"), termine che è anche il nome del più occidentale dei paesi nordafricani che si affacciano sul Mediterraneo, il Marocco, e anche, in senso ancor più lato, del complesso dei tre paesi più ad occidente del Nordafrica, cioè Marocco, Algeria e Tunisia. L'uso del termine Maghreb ha lo svantaggio di presentare la regione come un'appendice del mondo arabo (asiatico) — che peraltro è inequivocabilmente distinto col termine Mashriq — ma ha il vantaggio di essere normalmente impiegato dalla popolazione arabofona nonché dal resto del mondo, anche perché gran parte del Nordafrica, dopo XIII secoli di dominio musulmano si è ormai quasi completamente arabizzato. Recentemente i berberi hanno coniato, a partire dal proprio nome, amazigh, l'espressione Tamazgha che si riferisce a tutto il complesso di paesi dove è (o era) parlata la lingua berbera. Egitto L'Egitto con un'area di 1.001.450 km² è il 30º paese del mondo per superficie, ed il 13° del continente africano. Si trova nel nord-est dell'Africa e si affaccia a nord sul Mediterraneo e ad est sul mar Rosso ed il Golfo di Suez. Una parte del suo territorio (Penisola del Sinai) si estende anche sul continente asiatico, facendone quindi uno stato transcontinentale. Confina a ovest con la Libia, a nord-est con Israele ed a sud con il Sudan. Il territorio dell'Egitto è costituito quasi totalmente (circa 95%) dal deserto; esso è attraversato longitudinalmente dal Nilo che con la sua valle ed il delta rappresentano la sola zona verde e fertile del paese. L'Egitto può essere suddiviso in quattro regioni naturali: • la valle del Nilo e la regione del Delta;

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• il deserto orientale; • il deserto occidentale; • la penisola del Sinai. Situazione geografica L'Egitto è situato tra l'Africa e l'Asia. La sua superficie fa quasi quattro volte di quella dell'Italia, con 2450 km di coste su due facciate marittime, una sul Mediterraneo e l'altra sul mare rosso. Divide una frontiera con Israele (266 km) e la striscia di Gaza (11 km) al Nord-est, con la Libia (1115 km) all'ovest e con il Sudan (1273 km) al sud. Il Nilo è la principale fonte di vita del paese, attraversa l'Egitto circa su 1500 km del nord al sud. Nel sud, l'alta diga di Assuan è stata concepita per controllare le piene del fiume, sviluppare l'irrigazione e produrre energia. È all'origine del lago Nasser. Si distinguono due zone geografiche naturali: la regione della valle e del delta del Nilo (4% del territorio). È la sola regione propizia all'agricoltura, grazie ai limi portati dal fiume, essa ripara una vita animale e vegetale intensa. Il delta è molto vasto e fertile; le regioni desertiche che coprono quasi la totalità del resto del paese. All'ovest, il deserto di Libia è un vasto piatto poco elevato, coperto di dune e scavato di depressioni in sotterraneo delle quali si trovano oasi. Il deserto arabico è situato tra la riva orientale del Nilo ed il mare rosso. È montagnoso e cela risorse minerarie. Al Nord-ovest, la penisola del Sinai, collegata al resto del territorio dall'istmo di Suez. La sua parte sud, montagnosa, è predominata dal monte Santa Caterina (2637 m), punto più alto del paese. Il Sinai cela petrolio. Popolazione Con quasi 72 milioni di abitanti di cui 42% ha meno di 18 anni, l'Egitto è il paese più popolato del mondo arabo ed il secondo paese più popolato del continente africano dopo la Nigeria. Il 90% della popolazione si concentra nella valle ed il delta del Nilo. In queste regioni, la densità di popolazione è di più di 1500 abitanti allo km². La popolazione, molto omogenea, ha conosciuto contributi diversi nel corso della storia: Arabi a seguito della conquista, caucasici al tempo dei mamelucchi, turchi per il periodo ottomano, greci ed italiani. Esiste una minoranza nubiena al sud. Circa 2,5 milioni di Egiziani lavorano all'estero (Libia, paese del golfo, Giordania). • Popolazione (in milioni): 71,7 • Densità (abitanti allo km²): 70,8 • Aumento naturale della popolazione: 2,1 • Indice di fecondità: 3 • Speranza di vita (in anni): 70,4 • Urbanizzazione (in %): 49

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Clima Di tipo sahariano - molto caldo e molto secco - al sud del paese, il clima si rammollisce verso il nord, grazie all'influenza del Mediterraneo. La regione costiera raccoglie la maggior parte delle grande città egiziane che beneficiano di un clima temperato. Le temperature scendono di rado sotto a 9° a 10°C l'inverno. L'estate, possono eccedere 40°C. In occasione delle stagioni intermedie, le temperature sono di 15°C. Al Cairo, le temperature medie variano di: • 5 à 10°C in inverno • 15 à 20°C in primavera e autunno • 25 à 35°C in estate La pioggia è molto debole, eccetto sulla frangia litorale del nord più spruzzata in inverno. La regione del delta del Nilo riceve una media di quindici giorni di pioggia all'anno. L'estate, non c'è nessuna precipitazione sul paese. Pluviometria annuale a Alexandrie: 184 mm Pluviometria annuale al Cairo: 56 mm In primavera, soffia il Khamsin, vento bollente del deserto, che causa tempeste di sabbia. Città principali Il Cairo Capitale dell'Egitto, Il Cairo è la prima metropoli araba ed africana con 16 milioni di abitanti. La città si estende su 40 km circa lungo la riva destra del Nilo. Centro amministrativo e politico, è la sede delle istituzioni politiche nazionali e della lega araba. Centro intellettuale (edizione, giornali) ed universitario, è anche il primo centro finanziario, industriale e commerciale del paese (siderurgia, macchina, tessile, elettronica, chimica, ecc..). La città cela numerosi monumenti (moschee, palazzi, cittadelle, mausoleo) e musei pienamente dotati (museo d'arte egiziana, museo copte). Il Cairo conosce una crescita demografica molto forte. Il "grande Cairo" ha assorbito la città di Giza sulla riva sinistra del Nilo, centro amministrativo, culturale (industria cinematografica), industriale (chimica, meccanica, tabacco) e turistico (Sfinge, piramidi). Alessandria Situata all'estremità occidentale del delta del Nilo, la città conta circa 4,5 milioni di abitanti. Primo porto di Egitto, Alessandria è un importante centro commerciale,

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finanziario ed industriale (tessile, chimica, raffinerie di petrolio, costruzione navale, industria alimentare) e una città turistica e balneare. È anche un importante centro universitario. La città tenta di ricollegarsi al suo passato prestigioso di centro intellettuale durante l'antichità con l'apertura della nuova biblioteca di Alessandria, ereditiera della biblioteca famosa fondata dai Tolomeo. Port Saïd All'estremità del nord del canale di Suez, Port Saïd è nato durante lo scavo del canale in 1859. L'agglomerazione conta oggi circa 548.000 abitanti. La sua economia è interamente legata all'attività portuale ed all'industria (raffinazione del petrolio essenzialmente). Suez Questa città è situata all'estremità sud del canale ed in fondo al golfo di Suez. L'agglomerazione conta circa 584.000 abitanti e comprende un importante complesso industriale (raffineria di petrolio, petrochimica) e portuale. Suez fu distrutta durante la guerra dei 6 giorni. Flora e fauna La vegetazione del paese cresce perlopiù nella regione del delta e nelle oasi, dove si trovano in prevalenza palme da dattero, mentre il papiro, un tempo diffuso lungo le sponde del Nilo, oggi cresce soltanto nelle estreme regioni meridionali del paese. La fauna del paese è limitata a causa dell'aridità del clima. Nelle aree semidesertiche vivono numerose gazzelle, mentre nei deserti si incontrano rettili quali l'aspide di Cleopatra, vipere e lucertole. In alcune zone, principalmente nel delta e nelle aree montuose lungo il Mar Rosso, si trovano volpi del deserto, iene, sciacalli, topi delle piramidi e manguste. I coccodrilli e gli ippopotami attualmente si trovano solo nell'alto Nilo. Le specie ornitologiche abbondano soprattutto nel delta e nella valle del Nilo. Tra i rapaci si trovano l'aquila, il falcone, l'avvoltoio, il gufo, il nibbio e il falco. Nelle acque del Nilo vivono numerose specie ittiche. Lingua e religione La lingua ufficiale è l'arabo; diffusi nel settore commerciale e turistico sono inoltre l'inglese e, in misura minore, il francese. Il copto viene impiegato quasi esclusivamente nelle cerimonie religiose. La religione ufficiale è quella islamica di rito sunnita, praticata dal 90% circa della popolazione. La principale minoranza religiosa è rappresentata dai copti, mentre meno dell'1% della popolazione appartiene alle chiese greca ortodossa, cattolica, armena e a varie altre chiese protestanti. Istruzione La scuola elementare è gratuita e obbligatoria fino ai dodici anni di età. Dopo la scuola dell'obbligo gli studenti possono accedere a istituti di formazione

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professionale oppure a scuole a indirizzo umanistico e scientifico. Tra la popolazione adulta il tasso di analfabetismo rimane elevato (50%). Nel paese hanno sede tredici università. Il più antico istituto di studi superiori del mondo ancora attivo è l'Università di Al-Azhar, al Cairo, fondata nel 970 a.C. come scuola coranica. Storia Le origini della civiltà egizia non possono essere stabilite con certezza. I risultati della ricerca archeologica fanno ipotizzare che i primi abitanti della valle del Nilo fossero influenzati dalle culture del Vicino Oriente. Gli storici hanno suddiviso la storia dell'Egitto antico in un periodo arcaico, in tre periodi corrispondenti a tre regni (Antico, Medio e Nuovo Regno) e in due periodi intermedi, seguiti dalla cosiddetta bassa epoca e dall'età greco-romana. È però necessario premettere che tutte le date proposte, soprattutto quelle relative alle fasi più antiche, debbono essere considerate con grande cautela e ritenute per lo più 'tendenziali'. Infatti gli egizi usavano computare gli anni non da un punto di riferimento unico, ma dal primo anno di regno di ogni faraone, il che rende non sempre facile la trasformazione della loro 'cronologia relativa' in una moderna 'cronologia assoluta'. Aspetto demografico La composizione etnica del paese distingue tradizionalmente i copti e i fellahin. Successivamente i due gruppi subirono l'influenza della conquista araba e oggi convivono anche nelle aree urbane dove i copti si distinguono ormai per la loro fede religiosa. Nelle regioni meridionali le influenze africane sono più marcate: qui vivono i nubiani, insediati in prevalenza in villaggi lungo il Nilo, mentre nelle regioni desertiche vivono gruppi di pastori nomadi o seminomadi, principalmente beduini. Nelle città vivono inoltre minoranze turche, armene ed europee. La popolazione dell'Egitto è di 60.236.000 abitanti (stima del 1996), con una densità di circa 1700 unità per km2 nella valle del Nilo che occupa meno del 4% dell'intera superficie del paese. Aspetto economico Dall'inizio del 1961 molti settori dell'economia, il sistema bancario, assicurativo e la maggior parte dell'industria manifatturiera, passarono sotto il controllo statale. Nonostante i settori dell'agricoltura, degli immobili e alcuni rimanenti settori industriali rimanessero in mano ai privati, il governo impose severi controlli su di essi. Lo sviluppo economico del paese fu tuttavia ostacolato dall'applicazione di una serie di piani quinquennali inadeguati e dalle perdite sofferte durante il conflitto arabo-israeliano nel 1967. In seguito il crollo dei prezzi del petrolio e la guerra del Golfo nel 1990 lasciarono il paese in una condizione finanziaria molto difficile e dipendente dagli aiuti stranieri, soprattutto statunitensi. Il governo rispose a questa situazione con la privatizzazione di più di trecento comnie statali e con una serie di riforme strutturali. Nel 1992 il prodotto nazionale lordo fu di 34,5 miliardi di dollari USA, corrispondenti a 630 dollari pro capite.

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Settore primario L'Egitto è un paese principalmente agricolo: il settore occupa infatti circa il 40% della forza lavoro. Nel 1952 la riforma agricola limitò la dimensione massima di ogni singolo possedimento terriero a 80 ettari circa, ridotto a 40 ettari nel 1961 e a soli 20 ettari nel 1969. Le terre requisite dal governo furono distribuite tra i fellahin (contadini), ma questa misura non bastò a colmare il divario tra i contadini e i più ricchi proprietari terrieri. I programmi governativi hanno incrementato le superfici arabili, promuovendo opere di bonifica e irrigazione delle quali la più imponente fu la costruzione delle dighe di Assuan. L'Egitto è il più importante produttore mondiale di cotone a 'fibra lunga'. Altri prodotti agricoli sono mais, frumento, canna da zucchero, riso e pomodori. L'allevamento rappresenta una voce di modesta importanza come pure la pesca, attualmente in fase di sviluppo nei pressi del lago Nasser. Settore secondario I primi tentativi di sviluppare industrialmente il paese risalgono al XIX secolo, ma furono ostacolati dalle potenze europee. Uno sviluppo contenuto del settore, verificatosi dopo la prima guerra mondiale, servì unicamente a soddisfare parte della domanda interna, mentre durante la seconda guerra mondiale questa prima base si sviluppò notevolmente, soprattutto nel settore tessile. Agli inizi degli anni Cinquanta, dopo il rovesciamento della monarchia, il governo diede priorità all'espansione industriale. Agli inizi degli anni Novanta il settore industriale impiegava il 21% della forza lavoro. Particolarmente fiorente nel paese è l'industria tessile, che produce filati di cotone, di lana e tessuti di iuta. Altre importanti produzioni sono zucchero raffinato, acido solforico, fertilizzanti, carta, cemento, pneumatici e apparecchi televisivi. Le attività industriali comprendono inoltre la manifattura del ferro e acciaio, l'assemblaggio di automobili e la raffinazione di petrolio. L'Egitto possiede una grande varietà di giacimenti minerari, alcuni dei quali, come i giacimenti d'oro e di granito, sono sfruttati fin dall'antichità. La risorsa mineraria attualmente di maggior rilievo è il petrolio, i cui giacimenti si trovano nella regione costiera sul Mar Rosso, a el-Alamein e nella penisola del Sinai. Altre risorse importanti sono i fosfati, il manganese, il titanio e il minerale di ferro. Nel 1991 si è iniziata l'estrazione di uranio nella regione circostante Assuan. Flussi monetari e commercio L'unità monetaria è la sterlina egiziana, emessa dalla Banca centrale dell'Egitto, fondata nel 1961. Nel paese operano inoltre più di duecento banche nazionali e straniere. I principali prodotti importati riguardano i settori agricolo e alimentare, dei trasporti, chimico e dei macchinari per l'industria mineraria. I prodotti esportati sono il petrolio greggio e i suoi derivati, il cotone grezzo, i filati di cotone e i tessuti, e i prodotti alimentari. I più importanti fornitori sono gli Stati Uniti, la Germania, l'Italia, la Francia e il Giappone.

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Nonostante i grandi investimenti realizzati e i rigorosi controlli statali, il paese ha seri problemi di bilancia dei amenti. Le principali fonti di valuta estera derivano dall'industria turistica ed estrattiva, in particolare sviluppo dopo la riapertura del canale di Suez, la conclusione degli accordi di pace con Israele e la restituzione dei territori occupati del Sinai. A metà degli anni Novanta il debito estero dell'Egitto ammontava a 14 miliardi di dollari. Trasporti Le ferrovie sono gestite dallo Stato e comprendono una rete di circa 8831 km. Il tratto principale collega Assuan e le zone a nord della Valle del Nilo con Alessandria. Le idrovie sono largamente utilizzate e comprendono tutto il corso del Nilo, i canali navigabili (circa 1610 km) e i canali d'irrigazione nel delta del Nilo (più di 17.700 km). Lo sviluppo complessivo della rete stradale è di circa 32.240 km, di cui il 52% è pavimentato. La comnia aerea di bandiera è la Egyptair, che garantisce collegamenti nazionali e internazionali. Numerosi sono gli aeroporti presenti nel paese, mentre i porti principali sono quelli di Alessandria e Suez. Aspetto politico L'Egitto è una Repubblica presidenziale. In base alla Costituzione promulgata l'11 settembre 1971 è uno stato socialista arabo la cui religione ufficiale è l'Islam. Il paese è suddiviso in 26 governatorati, ognuno dei quali è guidato da un governatore nominato dal presidente. I governatori sono assistiti da consigli formati da membri eletti dai cittadini. Capo dello stato è il presidente della Repubblica, scelto dall'Assemblea del Popolo ed eletto con referendum popolare. Il presidente rimane in carica sei anni e ha il potere di formulare le politiche statali di carattere generale e sovraintendere alla loro esecuzione, di sciogliere l'Assemblea del Popolo, nominare e destituire i ministri, partecipare alle riunioni del consiglio ed emettere decreti in situazioni di emergenza, ma unicamente con l'approvazione popolare, mediante referendum da tenersi entro 60 giorni. Il potere legislativo è conferito all'Assemblea unicamerale del Popolo, formata da 444 membri in carica per cinque anni eletti dai lavoratori e dai contadini. L'Assemblea del Popolo ha il potere di approvare il bilancio dello stato, aprire inchieste, imporre tributi, approvare i programmi di governo e, infine, togliere la fiducia al Gabinetto dei ministri o a uno dei suoi componenti. Il potere giudiziario è conferito a un sistema indipendente, che si basa su elementi della legge islamica della shariah, insieme a leggi di derivazione inglese e francese. I tribunali sono suddivisi in quattro categorie. Ogni governatorato è dotato di un tribunale primario, che esamina le cause civili e penali. Suddivisioni amministrative e città principali L'Egitto è amministrativamente diviso in 26 governatorati. La capitale è Il Cairo (6.452.000 abitanti nel 1992); altre città importanti sono la città portuale di

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Alessandria (2.917.327 abitanti); Giza (1.883.189 abitanti), centro industriale vicino al Cairo; Porto Said (401.172 abitanti), situato nel punto in cui il canale di Suez sbocca nel Mediterraneo, e Suez (327.717 abitanti), nella zona meridionale del canale. Tunisia Geografia e storia La sezione settentrionale è attraversata da vari allineamenti montuosi che fanno parte del Gran Sistema dell’Atlante. Si trova poi una vasta fascia di depressione centrale che si estende nelle fertili pianure dell’altopiano del Tela e nella valle della Medjerda, l’unico corso d’acqua del paese, proprio qui si è sviluppata l’agricoltura. Infine, verso sud, troviamo il settore sahariano. Il deserto mostra qui tutti i suoi tre tipici aspetti: roccioso, ciottoloso e sabbioso. La sezione costiera è formata da 1150km di coste articolate, che partendo da nord si estendono per tutta la parte orientale del paese, fronteggiata da raggruppamenti di isole in cui spicca anche per importanza turistica l’isola di Djerba. Popolazione Nove milioni di abitanti, per lo più Arabo – Berberi (98%) ed il rimanente sono Ebrei o Europei. La Tunisia ha un tasso di incremento demografico annuo pari al 2,5%, quindi la popolazione è giovanissima (circa la metà ha meno di 15anni!). Ha un tasso di alfabetizzazione buono per essere uno stato africano, la media è intorno al 67%. Il tasso di disoccupazione è del 13%. I primi abitanti del territorio, furono di origini berbere, anche se le numerose ondate migratorie hanno portato origini Fenicie, Ebree, Romane, Vandale ed Arabe. Nelle città si trovano anche 2000abitanti per kmq, mentre nelle zone desertiche del sud al massimo si hanno 10 abitanti per kmq. Il clima · A nord di tipo mediterraneo, con estati calde ed inverni freddi e piovosi · A sud di tipo semi desertico, molto caldo con piogge rarissime Lingua L’arabo è la lingua ufficiale, ma il francese è particolarmente diffuso (come seconda lingua statale) anche nei luoghi meno turistici. La religione La religione ufficiale è l’Islam, ma all’interno del Paese, vive anche una piccola comunità ebraica e sono presenti 20.000Cristiani.

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Il popolo tunisino è comunque molto aperto e tollerante verso i non islamici. Storia La prima vera civiltà giunta sulle coste tunisine fu quella dei Fenici (1100 a.C.); fino ad allora il territorio era stato, invece, occupato da flussi migratori dediti alla pastorizia (antenati dei Berberi, popolazione autoctona dell’Africa settentrionale). Ai Fenici si deve la fondazione di Cartagine, la quale divenne, nel V Secolo a.C., la città più importante del Mediterraneo occidentale che entrò, successivamente, in conflitto con la Grecia e poi Roma. Proprio contro Roma, Cartagine diede l’avvio alle guerre puniche, col fine di ottenere il controllo dei territori del Mediterraneo. Cartagine era praticamente imbattibile, ma neppure il suo generale Annibale, riuscì a fermare l’avanzata romana, ma i Romani non diedero molta importanza a questo conflitto. Intervennero nuovamente dopo la morte di Massinissa, colui che aveva reso Numidia un gran regno (dalla Libia all’Algeria). Questo attaccò de Romani, con l’aiuto di Giulio Cesare, proclamò Cartagine come città romana e capitale dell’Africa Procunsularis. All’inizio del V Secolo d.C., la Tunisia fu invasa dai Vandali di Gaiserico. Non lasciarono tracce del loro passaggio, ma vi rimasero fino al 533, quando furono sconfitti dall’Impero Bizantino, che avrebbe governato il Paese per 150 anni. La nascita dell’Islam, all’inizio del VII Secolo, portò ad invasioni arabe, che con l’aiuto e la conversione dei Berberi, ebbero la meglio sui Bizantini. Nonostante il popolo berbero avesse adottato la religione degli invasori, non fu mai disposto ad accettarne il dominio, per questo si succedettero molte guerre, che continuarono fino all’arrivo dei Turchi Ottomani. All’inizio del XIX Secolo la Francia, nuova potenza del Mediterraneo, s’impossessò dei territori più fertili del Paese. La Tunisia riuscì a raggiungere l’indipendenza il 20 marzo 1956, nominando primo presidente Habib Bourguiba, prima impegnato nella lotta per l’indipendenza, che rimase in carica fino al 1987. L’attuale presidente è Ben Ali. Costituzione La Tunisia è una Repubblica in cui la Costituzione attribuisce al presidente estesi poteri · Ha carica sia di capo dello stato, sia di capo del governo · Eletto per cinque anni a suffragio universale diretto Situazione politica Ben Ali sta ricoprendo il suo terzo mandato ed è la ura dominante della vita politica, accanto vi è solamente il primo ministro, Hamed Karoui. La disoccupazione è il principale problema sociale del Paese, ciò nonostante, le condizioni di vita sono generalmente buone. Economia · Il turismo è ancora il settore trainante della Tunisia

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· Le esportazioni di petrolio sono del 25% · Le altre esportazioni riguardano i tessuti, i prodotti chimici ed i fertilizzanti · I principali scambi commerciali avvengono con l’Italia, la Germania, gli Stati Uniti e la Francia · L’agricoltura sfrutta circa il 50%del territorio · Le coltivazioni interessano il mais, il frumento, l’avena, i datteri, le olive e le arance · Il 40% dei prodotti alimentari deve essere importato · È il sesto produttore al mondo di fosfati Le città più importanti · Tunisi, la capitale, si compone di tre parti con caratteristiche proprie: la vecchia città denominata Medina la città “europea” le periferiche chiamate Gourbivilles. La parte della città che meno ha risentito dell’invasione francese, è proprio la Medina, mentre la città “europea” ne conserva un’inconfondibile impronta. La moschea dell’Ulivo è uno dei centri religiosi più importanti del mondo arabo. · Cartagine è diventata un elegante quartiere periferico di Tunisi. Si possono ammirare resti di architetture fenice e romane. Anticamente la collina era il luogo dove sorgeva l’Acropoli della Cartagine punica. · Sousse, terza città del Paese, è nota per il suo splendido Ribat, un monastero fortezza, uno dei più belli dell’interno del nord Africa. L’aspetto della città, nonostante dominazioni ed influssi stranieri, è quello tipicamente tunisino. Conserva, infatti, un tratto di 5km caratterizzato dalle catacombe. · Kairouan è la prima città santa dell’Africa settentrionale: ha la maggior densità di costruzioni religiose in rapporto alla popolazione di tutta la Tunisia. Marocco Marocco (Al-Mamlaka al-Maghribiya), stato dell'Africa settentrionale, delimitato a nord dal mar Mediterraneo, a est e a sud-est dall'Algeria, a sud dal Sahara Occidentale, a ovest dall'oceano Atlantico; il confine sudorientale è compreso all'interno del deserto del Sahara e non segue quindi un tracciato definito. Retaggio della spartizione in due protettorati (snolo e francese), cui fu sottoposto il paese dal 1912 al 1956, alla Sna appartengono ancora le città di Ceuta e Melilla, sulla costa mediterranea, nonché molte piccole isole al largo del litorale settentrionale. Lo stato ha una superficie di 453.730 km², escludendo i territori dell'ex Sahara Snolo annessi

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nel 1976 e nel 1979 (province di Boujdour, Laayoune, Es-Semara e Oued-Eddahab); la capitale è Rabat. Territorio Il territorio del Marocco, che comprende le pianure più estese e i monti più elevati dell'Africa settentrionale, può essere diviso in quattro regioni fisiche: i rilievi del Rif, paralleli alla costa mediterranea; la catena montuosa dell'Atlante che, separata dal Rif dalla depressione di Taza, si snoda dall'oceano, per tutta la lunghezza del paese, in direzione sud-ovest nord-est; l'ampio bassopiano litoraneo, delimitato dall'oceano e dall'arco formato dai rilievi interni; e le pianure e le vallate meridionali che si estendono dalle pendici meridionali dell'Atlante per lasciare poi il posto al deserto, lungo i confini sudorientali. La vetta più imponente del paese è il Jebel Toubkal (4167), nella catena dell'Alto Atlante, mentre la massima elevazione del Rif è di 2456 m. Lungo la costa atlantica, bassa e uniforme, si succedono, da nord a sud, le fertili pianure attraversate dai fiumi Sebou, Oum-er-Rbia, Tensift e Souss. La costa mediterranea è più alta e frastagliata e presenta un'unica pianura attraversata dal Moulouya. I molti fiumi del paese, non adatti alla navigazione, sono utilizzati per l'irrigazione e per la produzione di energia elettrica; tra i principali si citano il Moulouya e il Sebou che sfociano rispettivamente nel mar Mediterraneo e nell'oceano Atlantico.

Clima Lungo la costa mediterranea il clima, di tipo subtropicale, è temperato dalle influenze oceaniche; a Essaouira, ad esempio, le temperature sono di 16,4 °C in gennaio e di 22,5 °C in agosto. Verso l'interno, gli inverni si fanno più freddi e le estati più calde, come a Fès, dove le medie di gennaio si attestano intorno ai 10 °C e quelle di agosto sono di circa 27 °C. Sulle cime più alte, coperte di neve per gran parte dell'anno, si registrano spesso temperature di -l5 °C. Le piogge, più abbondanti nelle regioni nordoccidentali e scarse a oriente e a meridione, si concentrano perlopiù nei mesi invernali; le medie delle precipitazioni annue sono di circa 1000 mm a Tangeri, 400 mm a Casablanca, 300 mm a Essaouira e meno di 100 mm nel Sahara.

Flora e fauna

La forma di vegetazione dominante in Marocco è la steppa arbustiva, caratterizzata dalla presenza di specie erbacee e graminacee, mentre nelle regioni costiere il clima ha favorito lo sviluppo della macchia mediterranea. Sui versanti dei rilievi, a quote elevate, crescono boschi di pini, querce e, ad altitudini inferiori, querce da sughero. Sui bassi versanti meridionali dell'Antiatlante ha inizio una vegetazione di tipo desertico. La fauna selvatica comprende specie europee e africane; tra le prime si annoverano la volpe, il coniglio, il cinghiale, la lontra e lo scoiattolo; le seconde sono rappresentate principalmente da gazzelle.

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Popolazione Il paese ha una popolazione di 29.114.497 abitanti (1998), con una densità media di circa 63 unità per km2. La percentuale di popolazione urbana si attesta intorno al 49% e i principali insediamenti sono situati nelle regioni costiere. Gli abitanti originari del Marocco furono i berberi, che rappresentano ancora i tre quarti della popolazione del paese; il secondo gruppo etnico è costituito dagli arabi, stanziati in prevalenza nelle città. Le minoranze sono rappresentate soprattutto da francesi e da ebrei. La lingua ufficiale è l'arabo, parlato da circa il 65% degli abitanti e base dell'insegnamento; il berbero, un tempo dominante in tutto il territorio del paese, è ora passato in secondo piano e rappresenta la lingua madre del 24% della popolazione, mentre il 13% è bilingue. Sono diffusi anche il francese (usato insieme all'arabo nelle scuole secondarie) e lo snolo; la religione prevalente è l’Islam.

Suddivisioni amministrative e città principali

Il Marocco è suddiviso in 35 province e 2 prefetture; altre quattro province comprendono i territori contestati del Sahara Occidentale. La capitale è Rabat (1.472.000 abitanti nell'area urbana nel 1990); tra gli altri centri di rilievo Casablanca, la maggiore città e il porto più importante del paese; Marrakech e Fès, grandi poli commerciali; e Tangeri, centro portuale sullo stretto di Gibilterra.

Istruzione e cultura

Dal 1963 l'istruzione è obbligatoria per tutti i ragazzi dai 7 ai 13 anni. Il tasso di analfabetismo si attesta intorno al 50% (1990). L'ateneo più antico, l'Università Karaouine di Fès (fondata nell'859), impartisce insegnamenti di tipo tradizionale, ma esistono anche istituti d'insegnamento superiore di tipo moderno quali l'Università Mohammed V (a Rabat) e l'Università Hassan II (a Casablanca). Sebbene sul suo territorio si siano succedute diverse civiltà (fenicia, greca, cartaginese, romana e cristiana), il Marocco è attualmente un paese di cultura prettamente araba, con qualche influenza proveniente dalle regioni della fascia subsahariana e sudanese, nonché dalla Francia, lo stato europeo con cui ha avuto, in tempi recenti, maggiori contatti. Tra le istituzioni culturali di rilievo si citano la Biblioteca nazionale marocchina, sita a Rabat, e il Museo archeologico di Tetouan, che contiene importanti opere d'arte e manufatti cartaginesi, romani e islamici.

Economia Il PIL pro capite del Marocco è di circa 1230 dollari USA (1997) e, nonostante solo il 20% del territorio del paese sia coltivato, l'economia poggia essenzialmente sull'agricoltura, nel cui settore è impiegato circa il 33% della forza lavoro (1994). I prodotti agricoli principali sono cereali, soprattutto frumento e orzo, patate, olive, legumi, ortaggi, datteri, uva e altri tipi di frutta, canna e barbabietola da zucchero. L'allevamento è incentrato perlopiù su ovini, caprini e bovini. Dalle foreste si ricavano buone quantità di legname, utilizzato soprattutto come combustibile. I maggiori centri pescherecci (il cui profitto è dato soprattutto da tonni, acciughe, crostacei e sgombri) sono situati ad Agadir, Safi, Essaouira e Casablanca.

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L'attività estrattiva si basa in massima parte sullo sfruttamento dei grandi giacimenti di fosfati (di cui il Marocco è uno dei maggiori produttori del mondo), ma sono rilevanti anche carbone, cobalto, ferro, piombo, manganese, greggio, argento, stagno e zinco. Il settore industriale è composto da imprese di modeste dimensioni, la cui produzione comprende perlopiù materiale da costruzione, preparati chimici, tessili, alimenti, vino e petrolio raffinato. A livello artigianale vengono fabbricati pellami, ceramiche, tappeti e manufatti in legno. L'unità monetaria è il dirham, emesso dalla Banque al-Maghrib, l'istituto bancario statale.

Commercio I principali prodotti di esportazione sono fosfati e acido fosforico; seguono gli agrumi, il frumento e il pesce; le importazioni vertono perlopiù su attrezzature industriali, prodotti alimentari e carburante. I maggiori partner commerciali sono Francia, Germania, Sna, Italia, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti. Gran parte delle entrate sono inoltre fornite da rimesse dei marocchini che lavorano all'estero, nonché dalla valuta introdotta dai molti turisti che visitano ogni anno il paese.

I centri portuali più importanti sono Casablanca, Agadir, Kénitra, Mohammedia, Safi e Tangeri. La rete ferroviaria misura 1907 km (1995), quella stradale 60.626 km (1996), circa il 52% dei quali asfaltato. La comnia aerea di bandiera è la Royal Air Maroc.

Ordinamento dello Stato

Il Marocco è una monarchia costituzionale ereditaria, governata in base a una Costituzione approvata da un referendum nel 1992. Il sovrano, che in base alla Costituzione deve essere di sesso maschile, è il capo dello stato e delle forze armate e ha la facoltà di nominare il primo ministro e il governo, nonché quella di sciogliere l'organo legislativo. In base alla Costituzione del 1972 questo, di tipo unicamerale, è composto da una Camera dei rappresentanti di 333 membri in carica sei anni; di essi, 222 sono eletti tramite suffragio universale diretto, 111 da gruppi politici e professionali locali. I governatori delle province sono di nomina reale. Il tribunale di maggiore importanza è la Corte suprema, sita a Rabat; sono presenti, inoltre, corti d'appello e tribunali locali.

I maggiori partiti politici sono l'Unione costituzionale, presente dal 1983; l'Unione socialista delle forze popolari (USFP); il Movimento popolare, gruppo conservatore fondato nel 1959; il moderato Istiqlal, la cui organizzazione risale al 1944; e il Raggruppamento nazionale degli indipendenti, di stampo monarchico, attivo dal 1978.

Storia La storia della regione che corrisponde all'odierno Marocco ha visto come protagonisti sia l'originaria popolazione berbera, sia le diverse genti che successivamente hanno invaso il territorio. Tra queste, i primi di cui si abbia notizia certa furono i fenici che nel XII secolo a.C. stabilirono lungo il litorale mediterraneo

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alcune colonie, in seguito occupate ed estese dai cartaginesi. All'epoca della conquista romana di Cartagine (II secolo a.C.) – che sancì il predominio dell'impero romano nel Mediterraneo – esisteva già, in quello che è attualmente il Marocco, un regno mauro, chiamato Mauretania, che dall'oceano Atlantico giungeva sino al fiume Moulouya; intorno al 42 d.C. tale regno divenne provincia romana con il nome di Mauretania Tingitana (distinta dalla Mauretania Cesariensis, più a est). Nel 429, durante le invasioni dei barbari, la regione cadde in mano ai vandali, sconfitti nel 533 dal generale Belisario, il quale impose il dominio dell'impero bizantino. Africa subsahariana Per Africa Sub Sahariana si intende l'Africa che si trova al di sotto del Sahara. Essendo un'area tanto vasta ha moltissime nazioni al suo interno, così come climi e caratteristiche geo-fisiche differenti. Si va dalle savane alle foreste tropicali, dai deserti alle catene montuose, dagli altopiani ai vulcani, alle isole coralline. Alcuni fiumi - Nilo, Congo, Zambesi – sono tra i più lunghi del mondo e sono anche importanti vie di comunicazione I monti più alti sono: il Kilimangiaro (5895 m) in Tanzania, il Monte Kenya (5199 m ) nello stato omonimo e il Ruwenzori (5110 m) in Uganda. Sono presenti deserti (es. quello del Kalahari), foreste tropicali, arcipelaghi (Comore e Seychelles) ma l’unica isola di grandi dimensioni è il Madagascar. La popolazione dell’Africa subsahariana era di 770,3 milioni di persone nel 2006. Di questi, circa lo 0,5% sono di origine europea e il 2% di origine asiatica. Il tasso annuo di crescita della popolazione è del 2.3%. L'ONU prevede che la regione avrà una popolazione di 1,5 miliardi di persone entro il 2050. Economia Le più importanti economie dell’Africa subsahariana sono quelle del Sudafrica – che da sola rappresenta il 60% dell’economia della regione – della Nigeria e del Kenya. Nella regione si trovano anche i paesi più poveri del mondo. Ci sono 48 nazioni nella regione, di cui 6 sono nazioni insulari. Senegal Tra le destinazioni dell’Africa occidentale che più fanno sognare, il Senegal è famoso per le bellezze naturali, per lo spirito artistico dei suoi abitanti, per la musica, per l’artigianato, per le spiagge coronate da palme e per quello che la sua capitale, Dakar, richiama alla mente. È anche il Paese più occidentale del continente africano, quasi completamente pianeggiante a esclusione dei rilievi che formano la penisola di Capo Verde. Racchiude completamente lo stato del Gambia – la cui forma è disegnata dal fiume omonimo -, che separa la parte nord del Senegal da quella meridionale, costituita dalla Casamance. Il clima è caldo e tropicale: la zona nord-orientale confina

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con il Sahel ed è una regione ad alta siccità, minacciata dalla desertificazione, mentre la parte meridionale è coperta dalla foresta tropicale sempreverde con maestosi baobab, considerati gli alberi nazionali. Il Paese è attraversato da due fiumi principali: il Senegal a nord, che segna il confine con la Mauritania, e il Casamance a sud, a cui la regione deve il nome nonché l’eccezionale fertilità. È un’area importante per gli uccelli migratori, soprattutto quelli acquatici, che ogni inverno vi fanno ritorno in gran numero dall’Europa, sostando nel Parc National aux Oiseaux du Djoudj, una delle più importanti riserve di avifauna del mondo, a nord di Saint-Louis. Capitale Dakar. Il centro di Dakar gira attorno alla Place de l’Indépendance, da cui si diramano le vie principali della capitale moderna. Da una parte, si trovano i quartieri popolari e commerciali del porto e della Medina mentre, dalla parte opposta, i quartieri amministrativi e residenziali con il Palazzo di Giustizia, la Presidenza e la Cattedrale. La corniche è il lungomare che segue la penisola di Capo Verde. A Soumbedioune, sulla “grande corniche” si trovano le botteghe degli artigiani, che lavorano soprattutto il legno e i tessuti. Da qui si ha la vista sul porto, con il continuo viavai di barche che rientrano dopo la pesca. Nel quartiere di Ouakam, dal 2010, c’è il monumento “Renaissance Africaine”, una statua in bronzo alta 49 metri raffigurante una donna e un uomo con bambino rivolti verso l’oceano. Nata tra molte polemiche, merita di essere vista per la sua imponenza. Dakar ha alcuni grandi mercati: il Marché Kermel, in direzione del porto, danneggiato da un incendio nel 1993; il Marché Sandaga, in fondo all’Avenue Georges Pompidou, e il Tilène, nel cuore della Medina, il vero mercato africano, con venditrici che propongono mille mercanzie, vestite con i coloratissimi e tipici bubu, la djellaba senegalese. In Place Soweto si trova il Museo etnografico IFAN, che espone maschere, statue, corredi funebri, monili e strumenti musicali provenienti da varie parti dell’Africa occidentale. L’edificio bianco del 1906, situato a sud della Place de l’Indépendance, ospita il Palais Présidentiel, circondato da rigogliosi giardini. Sull’isola di Gorée, patrimonio dell”Umanità dell’Unesco (si raggiunge con i traghetti che partono frequentemente dal porto), è da visitare la Maison des Esclaves, dalla quale transitavano gli schiavi per la deportazione. L’atmosfera coloniale del luogo, con stradine di sabbia, case color mattone circondate da bouganville, ha favorito l’arrivo di numerosi artisti, pittori, scultori e musicisti nonché una significativa presenza cattolica con la chiesa di San Carlo Borromeo. Nei dintorni della capitale da visitare ancora il villaggio di pescatori di Hann, il lago rosa (così chiamato per l’alta concentrazione salina), il paese di Joal, conosciuto per i suoi palmeti da cocco e le ostriche. Lingua La lingua ufficiale del Senegal è il francese. Vengono parlate altre lingue tra cui il diola, il malinké, il pular, il sérère, il soninké e il wolof.

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Religione Il 94% della popolazione senegalese è musulmana, il 5% cristiana (principalmente cattolica). Una piccolissima minoranza segue culti indigeni. Sport Lo sport più seguito è la lotta senegalese (con i pugni), praticata anche dai giovani nei villaggi. Molto diffusi anche il calcio, la pallacanestro, la pallavolo e l’atletica. Fuso orario Un’ora in meno rispetto all’Italia, che diventano due quando in Italia vige l’ora legale. Distanza dall’Italia Il Senegal è raggiungibile dall’Italia in aereo. La durata del volo da Milano o da Roma a Dakar è di 8 ore circa, con uno scalo. Moneta In Senegal è in vigore il Franco della Comunità Finanziaria Africana (CFA). Kenya Il Kenya si trova sulla costa orientale dell’Africa ed è attraversato dall’Equatore che ne determina il clima. Le sue coste, bagnate dall’Oceano Indiano, hanno spiagge che sono perle del turismo. Gran parte dei suoi paesaggi più spettacolari sono in concomitanza degli altopiani centrali e della famosa Rift Valley, la Grande Fossa Tettonica che si estende in direzione nord-sud, formatasi dalla separazione delle placche africana e araba. La flora e la fauna sono tra le più ricche e rigogliose del pianeta. Le vaste pianure meridionali sono caratterizzate dalle acacie a ombrello e dai secolari baobab a forma di bottiglia. Gli alti pendii del monte Kenya sono ricoperti da foreste di bambù e più in quota la vegetazione si arricchisce di piante insolite come i seneci giganti, dai fiori dai grandi petali, e le alte lobelie. La fauna non è da meno, con i grandi parchi in cui vivono in abbondanza tutte le specie dei grandi mammiferi africani. Gli animali in pericolo di estinzione, come il rinoceronte nero, sono stati lentamente reintrodotti ed è possibile visitare le riserve create appositamente per queste specie nei parchi nazionali di Tsavo e del Lago Nakuru. Capitale Nairobi La capitale si trova ad una altitudine di 1500 metri e gode di una temperatura ideale durante tutto l’anno. Il centro, delimitato dal fiume Nairobi e dalla via Uhuru Highway, è vivace e cosmopolita, caratterizzato da grattacieli moderni e da edifici

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come quelli del Parlamento e del Kenyatta Conference Centre, divenuto uno dei simboli del Paese. La via principale è Kenyatta Avenue che proseguendo diventa Valley Road e sale verso la collina di Karen dove ci sono le più belle ville residenziali. Nairobi possiede un mercato animato, aree commerciali molto frequentate, sobborghi residenziali per la classe media e altri per i più abbienti. Una delle attrazioni principali è il National Museum, con varie sezioni: tra le più interessanti, quella di paleontologia e quella che ripercorre la lotta per l’indipendenza. Poco fuori città si può visitare il Karen Blixen Museum, realizzato nella fattoria dove visse la famosa scrittrice. Non molto distante dalla città si trova il Nairobi National Park, la più accessibile tra le meraviglie naturali del paese. Se si viaggia con bambini, non si deve mancare la visita al vicino e divertente Giraffe Centre, non molto distante dalla zona di Karen, dove si vedono da vicinissimo questi altissimi e amichevoli animali. Lingua Lo swahili e l’inglese. Religione Il 45% della popolazione è di fede protestante, il 33% di fede cattolica, il 10% di fede musulmana e un altro 10% animista. Sport Gli sport praticati in Kenya sono il calcio, la pallavolo, il basket. Gli atleti kenioti sono famosi per le discipline dell’atletica leggera del mezzofondo e del fondo. Fuso orario Due ore avanti rispetto all’Italia (un’ora quando in Italia c’è l’ora legale). Distanza dall’Italia Il Kenya è raggiungibile dall’Italia in aereo. La durata del volo da Milano Linate e Malpensa a Nairobi, con scalo a Roma, è di circa 10 ore. Da Roma a Nairobi, il volo è di circa 9 ore. Moneta Lo scellino keniota (KES). Namibia È una delle nazioni più giovani del mondo, avendo ottenuto l’indipendenza dal Sudafrica nel 1990. La Namibia è un Paese che si può visitare senza rinunciare alle comodità, senza fare strane vaccinazioni e portandosi appresso i bambini. Anni di stabilità e turismo sudafricano hanno sviluppato in questo paese moderno una rete di lodge e campi tendati in posizioni meravigliose, diretti con efficienza e competenza da sudafricani e namibiani. È l’Africa delle vecchie fotografie di bambini biondi,

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immortalati tra i nonni dall’aspetto prussiano e le grosse tate dalla pelle color ebano. È la terra dei mille paesaggi diversi, con una natura straordinaria. Gran parte del territorio è costituito dalle distese aride del deserto del Namib e del Kalahari. In un solo viaggio si possono ammirare dune altissime, canyon, savane, sabbie del deserto che finiscono nell’oceano e parchi, dove convivono elefanti, leoni, leopardi, ghepardi, antilopi, gazzelle, giraffe, zebre, gnu, orici e struzzi. I primi ad abitare la Namibia furono probabilmente i San (Boscimani), seguiti dai Nama e dai Damara. A partire dal XIV secolo, giunsero nella regione diversi gruppi bantu, fra cui gli Herero e gli Ovambo. Nonostante il territorio venisse scoperto dal portoghese Bartolomeo Diaz nel 1486, la regione iniziò a essere esplorata dagli europei soltanto negli anni quaranta del XIX secolo. Fra il 1885 e il 1890 fu invasa dalla Germania, che le diede lo status di colonia con il nome di Africa Tedesca del Sudovest, fino all’occupazione, durante la Prima guerra mondiale, da parte del Sudafrica. Capitale Windhoek Già visitando la capitale, situata a quota 1650 metri, ci si accorge subito che non ci si trova in una delle grandi città africane sovrappopolate. I moderni palazzi del centro si mescolano con la vecchia architettura in stile bavarese, che ricorda quando la nazione era possedimento tedesco nella seconda metà dell’Ottocento. La città di Windhoek è tradizionalmente conosciuta con due nomi diversi: Ai-Gams, come viene chiamata dalla popolazione dei Nama, riferendosi alle sorgenti calde che un tempo facevano parte della città; e Otjomuise, che, per gli Herero, significa “posto del vapore”. Profilo caratteristico della città, a poca distanza dalla via principale di Independence Avenue, è la facciata della chiesa luterana Christuskirche degli inizi del Novecento. Il clima secco, l’atmosfera e la dinamicità del luogo infondono subito un senso di efficienza rassicurante. Chi vuole fare acquisti per la preparazione del viaggio trova tutto quello che può servire, con prodotti di alto standard, in negozi d’abbigliamento, d’artigianato, librerie, gioiellerie, con ottimi ristoranti e bar. Lingua L’inglese e il tedesco sono le lingue ufficiali. Anche l’afrikaans, che era la lingua ufficiale prima dell’indipendenza è una lingua riconosciuta. Metà della popolazione indigena parla l’oshiwambo. Religione La fede più professata è quella luterana. Sport Lo sport nazionale della Namibia è il rugby, seguito dal calcio e dal cricket. Fuso orario

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Un’ora avanti all’Italia. Distanza dall’Italia La Namibia è raggiungibile dall’Italia in aereo, ma non esistono voli diretti. La durata del volo da Francoforte a Windhoek è di 9 ore. Moneta Il dollaro namibiano (NAD). Madagascar Situato al largo delle coste del Mozambico, il Madagascar deve il suo appellativo di Isola rossa al colore del suo suolo ricco di laterite, che tinge anche le acque dei fiumi, arrivando fino al mare. Un paradiso naturalistico con bianche spiagge e splendide barriere coralline, una zona arida caratterizzata da foreste di baobab e piante spinose, una folta foresta pluviale nella zona orientale e sugli altopiani colline coltivate a vigneti e risaie. Il Madagascar, più che un’isola, rappresenta quasi un continente a sé per la sua varietà di paesaggi, senza contare che flora e fauna per il 90% sono impossibili da trovare in qualsiasi altra parte del mondo. Per godere di questo patrimonio si devono assolutamente visitare alcuni dei 50 parchi nazionali e riserve presenti sull’isola. Da non perdere il Parc National de l’Isalo, con i suoi immensi canyon di arenaria e le due aree dichiarate dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità: il Parc National des Tsingy de Bemaraha e le foreste pluviali di Atsinanana, suddivise in sei parchi, tra cui il famoso Parc National de Ranomafana. Capitale Antananarivo (precedentemente nota come Tananarive e oggi spesso chiamata Tana). Capitale e più grande città del Madagascar. Custodita da due fortezze, costruite una sulle colline a est e una a sud-ovest, Antananarivo ospita circa cinquanta chiese, oltre alle due grandi cattedrali (quella anglicana e quella cattolica romana), e una moschea. Per lo più, gli edifici storici di Antananarivo, tra i quali quello che rimane di Rova, il Palazzo della Regina distrutto in un incendio, si trovano nella parte alta della città. Più sotto, vi sono le vecchie case di legno dal tetto aguzzo e infine, nella parte bassa, le zone più commerciali. Tra queste, una delle più vivaci è sicuramente quella intorno a Kianja ny Fahaleovantena (Place de l’Indépendance), dove si concentrano anche ristoranti e locali. La parte sud della città è lambita dalle acque del lago di Anosy, circondato da alberi di jacaranda, in mezzo al quale sorge un monumento ai caduti della Prima Guerra Mondiale. Da non perdere la visita ai tanti variopinti mercati che si svolgono in città, il più grande dei quali è quello di Zoma, dove viene venduto il meglio dell’artigianato locale. Lingua Le lingue ufficiali sono il malgascio e il francese.

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Religione Circa metà della popolazione malgascia è dedita a culti tradizionali locali, che tendono a essere incentrati sul legame con i defunti. Il 45% dei malgasci sono cristiani, suddivisi circa in parti uguali fra cattolici e protestanti. Sulle regioni costiere, specialmente nelle province di Mahajanga e Antsiranana, è presente una minoranza di musulmani, appartenenti a etnie indo-pakistane o originarie delle Comore. Sport Sono molto diffusi il calcio e il pétanque (gioco delle bocce di origine provenzale) Fuso orario Due ore avanti rispetto all’Italia (un’ora quando in Italia vige l’ora legale) Distanza dall’Italia Nove ore di volo da Milano Moneta Ariary malgascio. L’Euro è accettato quasi in tutto il Paese. Repubblica Sudafricana La Nazione arcobaleno, come l’ha definita l’arcivescovo Desmond Tutu, è un mix di differenze culturali, tribali e linguistiche, dove vivono gruppi di origine etnica differente. Un mosaico di popolazioni su un territorio vasto come Italia, Germania e Francia messe insieme. Posto a sud del Tropico del Capricorno (sui suoi confini ospita i due piccoli stati indipendenti di Lesotho e Swaziland) il Sudafrica gode i benefici della sua collocazione sulla punta meridionale del continente più affascinante del pianeta, in una regione che vanta più paesaggi di quanti ne potrebbero immortalare i turisti con le loro macchine fotografiche. Dal deserto del Kalahari all’imponente Table Mountain, da Cape Point alle colline dello Swaziland, dagli animali del Kruger National Park all’iSimangaliso Wetland Park del KwaZulu-Natal, che comprende da solo cinque diversi ecosistemi. Bellezza visitabili viaggiando a bordo di treni storici come il Rovos Rail e il Blue Train, due esperienze indimenticabili. Capitale Cape Town è la capitale legislativa: ha 2 milioni di abitanti e un’incantevole aria di metropoli, incastonata tra la sua baia e la Table Mountain, da cui la vista è imperdibile. Famosissimo il quartiere malese di Bo-Kaap, con le sgargianti case

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colorate, spesso protagoniste di film e spot pubblicitari. Tshwane, ex-Pretoria, è la capitale amministrativa, sede del governo centrale. Ha un affascinante aspetto urbanistico, fatto di accostamenti tra palazzi antichi e strutture moderne, con un forte imprinting coloniale e un contorno di alberi di jacaranda, che fioriscono tra ottobre a novembre, creando uno spettacolo meraviglioso. La capitale economica e finanziaria è invece Johannesburg, la “città dell’oro” dalla molte anime, che unisce con una capillare rete autostradale i vari sobborghi in cui vivono i suoi 5 milioni di abitanti. Lingua L’inglese è la lingua dell’amministrazione, parlato e compreso ovunque, ma è solo una delle undici lingue ufficialmente riconosciute, insieme ad afrikaans, isiNdebele, isiXhosa, isiZulu, sepedi, sesotho, seTswana, siSwati, thisvenda e xitsonga. Religione Il 75% della popolazione è di religione cristiana. Esiste un’alta percentuale di atei (11,5%), oltre a musulmani (1,4%) e induisti (1,4%). Una minoranza, pari allo 0,04% è legata alle antiche credenze religiose tribali. Sport Il Sudafrica propone numerose attività agli appassionati di sport di ogni genere. Nei pressi dello Tsitsikamma National Park si trova il ponte di Bloukrans, che vanta il salto di bungee più alto al mondo (216m). Poco lontano, il Canopy tour è un percorso aereo per spostarsi da un albero all’altro lungo cavi d’acciaio e legati da un’imbragatura. Sulla Table Mountain (ideale anche da scalare) o sul deserto si vola in parapendio, mentre in acqua si pratica il kloofing, equivalente del torrentismo, su corsi d’acqua con salti di decine di metri. Jeffreys Bay (comunemente chiamata JBay) è il paradiso del surf, anche se una delle esperienze più elettrizzanti è l’avvistamento degli squali bianchi calandosi in acqua all’interno di gabbie protettive. Numerosi i percorsi in mountain bike ma anche i campi da golf, sport che in Sudafrica ha origini abbastanza remote. Fuso orario Un’ora in avanti rispetto all’ora solare italiana. Nessuna differenza quando in Italia vige l’ora legale. Distanza dall’Italia Il volo per Città del Capo dalle città del centro Europa dura oltre 13 ore. Moneta Rand (R), reperibili solo sul posto.

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ASIA OCCIDENTALE

L’Asia occidentale si estende dalle rive orientali del Mediterraneo fino all’altopiano iraniano. Bagnata dal Mar Mediterraneo, dal Mar Rosso e da quello Arabico. Il versante mediterraneo: la parte che si affaccia sul Mediterraneo è composta da una fascia litoranea, pianeggiante o collinare, alle cui spalle si estendono alcune catene montuose (Monti del Libano), la lunga valle dei fiumi Giordano e Oronte e, all’interno, estesi tavolati. La Mesopotamia: è un territorio pianeggiante tra l’Arabia, i rilievi della Siria e l’altopiano dell’Iran. La parte settentrionale è coperta da steppe e quella meridionale è un bassopiano con un suolo fertilissimo. Ci sono due fiumi: Eufrate e Tigri. La penisola arabica: vi è un esteso tavolato. Verso ovest, ci sono catene montuose e pendenze più lievi verso la Mesopotamia e il Golfo Persico, con coste basse. All’interno della penisola ci sono altopiani rocciosi e vasti deserti sabbiosi. Essa non ha dei veri fiumi, ma solo Uidian. Le piogge alimentano le falde acquifere sotterranee e dove l’acqua c’è naturalmente o dove si possono scavare i pozzi, si sono create delle oasi. L’altopiano iranico: questa zona comprende l’Iran e Afghanistan ed è racchiusa da due fasce di catene montuose, quella dell’Elburz e quella dei Monti Zagros a sud. L’altopiano è privo di fiumi e i corsi d’acqua svaniscono per la fortissima evaporazione o alimentano laghi salati. Il clima e gli ambienti Il clima è influenzato dalla presenza e dall’orientamento delle catene montuose che portano ad una forte aridità nelle aree interne perché ostacolano il cammino delle perturbazioni che provengono dalle aree marine piene di umidità. Il clima è umido nelle zone costiere mediterranee, con inverni miti e piovosi e le estati sono molto asciutte. Qui è presente la macchia mediterranea con alberi e arbusti sempre verdi. Le foreste sono state quasi del tutto distrutte e sono presenti rari alberi come il tasso, tigli e abeti, poi prevalgono le coltivazioni. ½ sono esemplari di lupi, volpi, tassi, cinghiali e sciacalli e ovunque ci sono capre, cammelli e asini. Le regioni aride hanno estati caldissime e gli inverni possono essere caldi o freddi (più caldi nella penisola araba e più freddi in Siria e Iran). Inoltre hanno una forte escursione termica giornaliera. La carenza d’acqua porta alle steppe aride o deserti; mentre lungo ai fiumi e ai pozzi, la vegetazione è scarsa. In Siria, i deserti sono interrotti da zone semiaride steppose che permettono l’allevamento nomade di pecore e cammelli.

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Gli insediamenti e le attività Gli insediamenti: la gran parte del territorio dell’Asia occidentale è desertica e priva di abitanti. Le aree più popolate sono le vallate dei fiumi e le pianure costiere. In tutti i paesi della regione, la maggior parte della popolazione vive nelle città. I principali centri urbani sono: Teheran, Baghdad, Beirut, Damasco, Kabul, Riyadh. L’economia: si passa da un’economia modernissima di Israele, un piccolo paese, privo di importanti risorse naturali, ad una ricchezza dei paesi petroliferi e al sottosviluppo di Afghanistan e Yemen. ½ è scarsità d’acqua e aridità del clima che ostacolano lo sviluppo agricolo. Metà dei territori è inutilizzabile mentre un quarto si utilizza per il pascolo. Nell’Asia mediterranea il terreno coltivabile dà lavoro a molta popolazione con tecniche arretrate. In Israele l’agricoltura è in terreno poco fertile e ottiene grandi produzioni grazie ad attrezzature moderne e alla realizzazione di efficienti sistemi di irrigazione. Enorme ricchezza da estrazione e lavorazione di petrolio e gas naturale. Lo sviluppo industriale è avanzato in Israele con tecnologie sofisticate. Il settore terziario ha gran parte della popolazione impiegata in occupazioni tradizionali o burocratiche. Le risorse naturali Le principali attrazioni naturalistiche sono il mare e il deserto e anche le montagne libanesi dove si pratica trekking e sport della neve. Il mare: le coste mediterranee e quelle del Golfo Persico hanno centri specializzati e di recente sviluppo. Notevoli anche le località balneari della Giordania e in via di sviluppo quelle della penisola arabica. In Giordania la principale località di turismo internazionale è Al-Aqabah ed offre spiagge bellissime con sabbia argentata e acque sempre calde e con trasparenza cristallina. Negli Emirati Arabi Uniti il turismo balneare si sta sviluppando e che ha regolamentazioni meno severe rispetti agli altri paesi; possiede infrastrutture turistiche definite le migliori della regione. Si praticano vari sport acquatici e l’industria turistica promuove gli Emirati con destinazione invernale di sole e mare. Il deserto: i safari del deserto (wadi bashing), comprende escursioni con fuoristrada o con cammelli. I più spettacolari scenari desertici si trovano in Giordania e soprattutto quello di Wadi Rum con delle formazione rocciosi, jebel, sulla pianura sabbiosa. Le risorse culturali Questo paese è dotato di un ricco patrimonio storico-culturale. Ci sono testimonianze di diverse civiltà del passato e di tradizioni e modi di vivere molto antichi. La Siria ha molti siti archeologici: mura, castelli, teatri edificati dai Babilonesi, Persiani, Romani, Arabi e Turchi. Importanti i resti romani di Palmira, uno dei siti archeologici più riconosciuti nel mondo. In Giordania ci sono le rovine di Petra, una città scavata nella roccia da un antico popolo dei Nabatei. Nello Yemen, il turismo si concentra nella

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capitale, San’a, nel nord del paese. ½ sono antiche abitazioni a torre, edifici di pietra e fango anche di otto piani. In Iran affascinanti sono i resti di Persepoli (città palazzo), gli edifici di Isfahan (antica capitale della Persia) e quelli di Shiraz (una delle città più importanti del mondo medioevale islamico). I centri urbani sono pieni di storia e ricchi di monumenti: Aleppo, Amman, Gerusalemme. Altre città che si sono sviluppate di recente sono Dubai e Abu Dhabi che sorgono lungo le coste del Golfo Persico. I flussi turistici Il turismo soprattutto in Israele e Arabia Saudita, per flussi turistici religiosi. I principali luoghi santi dell’Islam: Mecca e Medina. I movimenti turistici hanno ostacoli per motivi culturali e politici, problemi di conflitti di questa regione. In Arabia Saudita i viaggiatori non mussulmani, senza un visto di lavoro non possono visitare certe località. In Iran, il turismo è limitato per i turisti occidentali, nonostante le strutture ricettive sono di buon livello. Israele Un piccolo Paese tra Africa, Asia ed Europa; più piccolo della Svizzera e per due terzi occupato dal deserto. Uno stato giovane (fondato nel 1948) e la terra più contesa del mondo. Qui hanno tratto origine tutte le confessioni monoteiste (l’ebraica, la musulmana e la cristiana) e vi si trovano i luoghi di culto fra i più sacri per l’umanità. A Gerusalemme i musulmani venerano il Duomo della Roccia e la moschea di El Aqsa; mentre i cristiani il Santo Sepolcro, dove si narra sia stato seppellito Gesù, e il Monte Calvario, dove sarebbe stato crocifisso. Ma la meta più nota dei viaggi in Israele è il Muro del Pianto, parete superstite del Tempio davanti alla quale gli ebrei pregano e dove usano lasciare messaggi e suppliche su pezzetti di carta. Per avere uno sguardo d’insieme sulla Gerusalemme vecchia e su quella nuova, imperdibile la romantica passeggiata sull’Haas Promenade (da fare rigorosamente al tramonto). Tappe obbligatorie di una vacanza nella terra d’Israele sono anche la visita allo Yad Vashem di Gerusalemme, il memoriale che racconta gli orrori della Shoah, e Tel Aviv, con i suoi quartieri Bauhaus (la famosa scuola architettonica tedesca) e la febbrile vita notturna. Da non perdere anche le escursioni al Mar Morto, al Mar Rosso e nel deserto del Naghev. In Galilea meritano la visita le antiche città di Akko, Hazor e Dan, così come i tesori naturali del territorio: le sorgenti del Giordano, il Parco Nazionale di Hula e la foresta di Biriya. Ma Israele non è solo passato o terre selvagge: vera zona turistica del Mediterraneo, la costa israeliana offre splendide spiagge con infrastrutture modernissime. Capitale Dire qual è la capitale di Israele non è facile. Per gli israeliani è Gerusalemme, ma la comunità internazionale non la riconosce e le rappresentanze diplomatiche sono

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mantenute nella città di Tel Aviv (letteralmente “collina della primavera”). Fondata nel 1909 da sessanta famiglie di Giaffa, che sulla spiaggia tirarono a sorte il lotto di terra che spettava a ciascuna, nell’edificazione di Tel Aviv i costruttori si ispirarono all’ideale della “città giardino”, poi reinterpretato dalla corrente del Bauhaus (tanto che Tel Aviv nel 2004 è stata riconosciuta dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità). Con solo un secolo di vita, la città è un vivace miscuglio di tradizione e modernità. Qualcuno la paragona a Miami, per le sue lunghe spiagge attorniate dai grattacieli, come Frishman Beach, molto alla moda e frequentata dalla gioventù cittadina. Con oltre 20 musei, Tel Aviv è il centro nazionale della cultura e la sua grande creatività è visibile semplicemente passeggiando lungo le strade, soprattutto nella zone del Rotschild Boulevard, dove pullulano gallerie e negozi d’arte, che espongono le opere dei talenti emergenti. Il volto antico è dato da Giaffa, inglobata negli anni da Tel Aviv: imperdibili i suoi suggestivi vicoli costruiti ai tempi degli ottomani. Lingua L’ebraico moderno (chiamato ivrit), e l’arabo. L’inglese è parlato da gran parte della popolazione. Religione Israele, come Stato, è nato per essere la casa degli ebrei che dalla Diaspora desiderassero ritornare nella terra dei loro padri. La popolazione israeliana è, infatti, in prevalenza di religione ebraica: secondo l’Ufficio Centrale di Statistica israeliano, nel 2005 gli ebrei erano il 76,1% degli abitanti; il 16,2% è composto da musulmani, il 2,1% da cristiani e 1,6% di drusi. Il rimanente 3,9% (principalmente immigrati dall’ex Unione Sovietica) non sono classificati per religione. Tra gli arabi residenti in Israele, l’82,7% è musulmano, l’8,4% druso e l’8,3% cristiano. Gli arabi che abitavano sui territori che dal 1948 costituiscono lo Stato d’Israele sono cittadini israeliani. Hanno il passaporto, ma con una restrizione: non possono entrare liberamente a Gaza o in Cisgiordania. Sono circa 1.400.000. Israele paga ai propri cittadini musulmani il pellegrinaggio alla Mecca. Sport Lo sport più popolare è il calcio, ma anche la pallacanestro è molto seguita. Fuso orario Un’ora avanti rispetto all’Italia. Distanza dall’Italia Circa 4 ore di volo. Moneta Nuovo Shekel(NSI).

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Arabia Saudita L’Arabia Saudita occupa parte della Penisola arabica, definita Culla dell’umanità per essere stata una delle prime quindici aree del pianeta in cui si è organizzata la società umana. Deve la seconda parte del suo nome alla dinastia Saud, che fondò la nazione e la portò al massimo splendore. Affascinante, misteriosa, spirituale, l’Arabia Saudita seduce, da sempre, i viaggiatori per le ampie fasce di deserto, nelle quali nacquero la religione islamica e la lingua araba, e per le città circondate da un’aurea di sacralità, come La Mecca e Medina. Grazie al petrolio, una serie di metropoli moderne e fiorenti sono sorte entro i suoi confini, in contrasto con la tradizionale impenetrabilità della società araba. Anche soltanto ottenere un visto turistico, infatti, può non essere del tutto semplice. Paese simbolo dell’Islam, l’Arabia Saudita è il luogo dove è avvenuta la rivelazione coranica raccolta da Maometto nel VII secolo d.C. E non stupisce dato che la stessa natura geografica e paesaggistica del Paese, fatto di immensi deserti e alte montagne, si presta alla meditazione e all’ascesi. Così, tradizione e modernità coabitano in un Paese che sta vivendo una crescita economica impressionante, nel quale luccicanti grattacieli e luoghi sacri sembrano succedersi senza soluzione di continuità. Da non perdere i territori bagnati dal Golfo Persico e dal Mar Rosso. Tra le città, invece, merita una visita Jeddah, nota come “la Parigi dell’Arabia”, una metropoli moderna che si trova a metà della costa del Mar Rosso, ricca di musei, edifici storici, ristoranti e negozi di artigianato locale. Capitale Riyad è la capitale nonché la città più grande dell’Arabia Saudita. Il suo nome, in arabo, significa “giardini”, oasi verde circondata da una vasta zona desertica. Sulla sua superficie risiedono oltre tre milioni e mezzo di persone, pari a circa il 20% della popolazione complessiva dell’Arabia Saudita. La strada principale della città è il viale dedicato al re Fahd, sede delle più importanti imprese e organizzazioni del Paese. Monumenti famosi come il Kingdom Centre, la Torre al-Anud e il Ministero degli Interni si affacciano su questo viale che arriva fino all’aeroporto, costellato da grattacieli e centri commerciali. In città sono presenti oltre 4300 moschee. La città ospita anche il Museo Nazionale dell’Arabia Saudita con collezioni e pezzi davvero rari, oltre a reperti archeologici che vanno dall’età della Pietra alla nascita dell’Islam. Merita una visita anche il Royal Saudi Air Force Museum, che contiene una splendida collezione di aerei e di apparecchiature utilizzate dall’aeronautica militare saudita. Al centro della città, inoltre, si trova una vera e propria cittadella: la Fortezza Masmal, costruita nel 1865 e restaurata negli anni Ottanta. La Torre della Tv, invece, rappresenta, con i suoi 170 metri d’altezza un ottimo punto di osservazione per godere del panorama circostante. A pochi chilometri dalla città si trovano uno dei più grandi mercati di cammelli del Medioriente e le rovine di Dir’ayah, la prima capitale del regno, fondata nel 1446, che raggiunse l’apice del suo potere alla fine del Settecento. Le rovine includono palazzi, moschee e le antiche mura cittadine. Anche Riyadh era cinta da mura, abbattute in massima parte nel 1951 e ora ricostruite. Al-

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Thumari Gate, nel centro della città, rappresenta la riuscita ricostruzione di una delle principali porte cittadine. Lingua La lingua ufficiale è l’arabo. Religione La religione ufficiale del Paese è l’Islam nella sua versione giuridico-teologica del Hanbalismo Wahhabita. La libertà religiosa è molto limitata e pur non essendoci restrizioni per coloro che praticano la propria fede privatamente non è concesso ai non musulmani di edificare luoghi di culto nei quali pregare. Sport A chi è in cerca di esperienze adrenaliniche da fare in Arabia Saudita sono caldamente consigliate le gite in auto nel deserto chiamate wadi bashing (molto diffuse anche se è d’obbligo affidarsi a qualcuno della comunità locale che sappia orientarsi). Fare picnic nel deserto è una delle esperienze più straordinarie che si possano vivere. Molto diffusi anche i centri per le immersioni, praticate soprattutto lungo le coste del Mar Rosso. Fuso orario Tre ore in avanti rispetto all’Italia. Distanza dall’Italia L’Italia dista dall’Arabia Saudita circa 5 ore di volo.

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ASIA MERIDIONALE E SUD ORIENTALE

L'Asia meridionale (o Asia del Sud) è una regione dell'Asia composta dal subcontinente indiano e dall'altopiano iraniano. In base alla ripartizione del mondo effettuata dalle Nazioni Unite, l'Asia Meridionale è una delle macroregioni in cui è divisa l'Asia. Essa include 8 Stati: Afghanistan, Bangladesh, Bhutan,India, Maldive, Nepal, Pakistan, Sri Lanka

India

Se c’è uno Stato che può essere paragonato a un altro pianeta, questo è l’India. Un mondo a parte, dove passato e presente convivono, tra spiritualità e pacifismo. La religione e i suoi dèi, infatti, coinvolgono ogni aspetto della società, diventando una presenza costante per un Paese che, con quasi un miliardo e duecento milioni di abitanti, è tra i più popolati del mondo. Si estende dalle alture Himalayane alle vaste pianure del Gange, fino ad arrivare all’Oceano indiano. Nonostante abbia la seconda economia a più rapida crescita nel mondo, però, è anche un Paese che presenta alti livelli di povertà, di malnutrizione e di analfabetismo, con altissimi contrasti: villaggi rurali si trovano a pochi chilometri di distanza da palazzi metropolitani, all’interno dei quali giovani indiani ben preparati dominano gli ambienti del software mondiale. Un viaggio in India non può lasciare indifferenti, ponendo domande a cui è difficile dare risposte e coinvolgendo totalmente i sensi e la mente: nelle strade le fragranze del legno di sandalo si mescolano agli incensi accesi per la preghiera. Si passa, così, dai picchi dell’Himalaya ai templi del Ladakh (Piccolo Tibet), si passeggia sulle lunghe spiagge di Goa e della costa meridionale e si naviga nelle acque turchesi delle Andamane o tra gli atolli delle Laccadive, esplorando le foreste tropicali del Kerala o il deserto del Rajasthan. Capitale New Delhi Nel 1911 gli inglesi decisero di spostare la capitale del Paese da Calcutta a Delhi, progettata per diventare il centro politico e amministrativo dell’India. La parte nuova si sviluppò a sud, con imponenti palazzi di rappresentanza, grandi viali e monumenti come l’India Gate. La città può essere scoperta attraverso la sua architettura, ripercorrendo le varie epoche attraverso la visita dei tanti edifici antichi risalenti a periodi storici ben proecisi. Al periodo Moghul appartengono gli edifici più imponenti, in arenaria rossa e marmo, come il Red Fort e la Moschea di Fatehpuri. Stessa epoca per la Jami Masijd, la più grande moschea dell’India terminata nel 1658: è un edificio enorme con portali e torri, da cui si gode di una stupenda vista sulla città

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brulicante. La zona più animata della Vecchia Delhi è la Chandni Chowk (via dell’argento), una strada affollata animata da un lungo bazar con botteghe e bancarelle di ogni genere. Non molto distante dall’India Gate sorge l’edificio che ospita il National Museum , con un’ampia collezione di bronzi indiani, terrecotte e sculture in legno, vari reperti, miniature e dipinti murali, strumenti musicali, manoscritti, arazzi. Interessante anche il Nehru Memorial Museum & Planetarium (Central Delhi, Teen Murti Rd, 110011, Teen Murti House), realizzato nella residenza di Jawaharlal Nehru, erede spirituale di Gandhi, dove è esposta una suggestiva retrospettiva storica del movimento per l’indipendenza. Un altro tesoro Moghul è la Tomba di Humayun (Bharat Scout Guide Road), un massiccio edificio con una grande cupola centrale con dei giardini che ospitano tombe. In periferia, a sud della Città Nuova, si trova il Qutb Minar, uno dei più alti minareti in mattoni del mondo. La torre è realizzata in arenaria rossa e si compone di cinque diversi piani a forma affusolata. Lingua La lingua ufficiale del governo del Paese è l’Hindi. L’inglese viene utilizzato nel settore del commercio e dell’economia. Religione La maggior parte della popolazione professa l’induismo (82%). Il 12% è musulmano, il 2% è cristiano, il 2% è sikh. I buddisti sono una minoranza, ma diventano maggioranza in alcuni Stati indiani. Sport Lo sport più seguito è il cricket, considerato sport nazionale. Si pratica anche il polo, l’hockey su prato e il rugby, tutti sport di origine anglosassone. Il calcio, anche se abbastanza praticato, è poco seguito. Fuso orario Quattro ore e mezzo avanti rispetto all’Italia. Distanza dall’Italia L’India è raggiungibile dall’Italia in aereo. La durata del volo da Milano Malpensa o da Roma Fiumicino a Delhi è di 11 ore circa, con uno scalo. Moneta La Rupia indiana (INR).

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Nepal

Il Nepal si estende tra il Tibet e l’India, tra la catena Himalayana e la pianura del Gange, racchiudendo nello spazio di poco più di cento chilometri, le più grandi variazioni ambientali della Terra, passando dagli oltre ottomila metri delle catene montuose, all’altitudine di ottanta metri sul livello del mare. Dal punto di vista ambientale questo significa che viaggiando da nord a sud, nel breve arco di decine di chilometri, si passa dal clima rarefatto glaciale privo di vegetazione, al clima alpino, a quello sub alpino, alla giungla tropicale calda, al sub tropicale, fino alle paludi del Terai. Tra le cime condivise anche con l’India e la Cina, il Nepal annovera l’Everest, il Makalu, l’Annapurna, il Dhaulagiri, il Kanchenjunga, tutte le vette più alte del pianeta, che hanno fatto la storia delle scalate e delle sfide dell’uomo con la natura e con se stesso. Ma il Paese è ricchissimo anche di numerose vestigia storiche e artistiche: tutti i centri principali della valle di Kathmandu fanno parte del Patrimonio mondiale dell’Unesco. Antiche città cosparse di misteriosi templi induisti, attraenti monasteri buddhisti, spettacolari paesaggi con verdissimi campi di riso terrazzati, a cui fanno da quinte le vette più alte della terra. Il Paese, dopo 240 anni di monarchia, esce da un periodo di eventi cruenti che hanno causato, nel maggio del 2008, la transizione dalla monarchia alla repubblica. Capitale Kathmandu Situata a 1350 metri d’altitudine, presenta un tessuto urbano disordinato, con notevoli difficoltà di traffico causate dalla progressiva modernizzazione degli ultimi decenni. Il centro storico è stato inserito nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco e si sviluppa attorno alla medievale Durbar Square, con la sua moltitudine di templi. La piazza è come un set teatrale a cielo aperto, popolatissimo, ogni angolo presenta monumenti, templi con tetti a pagoda, gradinate, torri, statue di divinità. Il primo monumento che s’incontra è il Palazzo della Kumari, la vergine dea vivente scelta con regole rigorose tra varie giovani del clan Sakya degli orafi. L’edificio ha una bellissima facciata principale e nel cortile interno, dove è possibile entrare per fare offerte alla dea, si ammirano finestre in legno intagliato con elaborate decorazioni. L’area centrale della capitale è colma di locali e negozi dove si trovano i prodotti d’artigianato. A nord del centro storico, dopo una serie di anguste stradine trafficate, si arriva nell’animato quartiere del Thamel, una zona sviluppatasi con il turismo e ricca di bazar, alberghetti, bar, ristoranti e guest house. In tutto il centro, come in tutta la valle di Kathmandu, sorgono numerosi templi e tempietti, sia induisti che buddisti. Sulle rive del sacro fiume Bagmati sorge Pashupatinath, luogo sacro ricco di templi con gradinate dove fare offerte votive al fiume e dove si svolgono le cremazioni. Per visitare il tempio buddista di Swayambhunat, poco fuori città, conviene svegliarsi presto la mattina, per ammirarlo uscire dalla nebbia scaldata dai raggi di sole. Arroccato su un’altura, lo si raggiunge dopo avere percorso una ripidissima scalinata, assieme ai numerosi viandanti buddisti che fanno girare le ruote e i cilindri delle preghiere o che fanno suonare le campanelle dai lunghi batacchi.

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Poco più a nord, si trova anche un’altro tempio buddista importante, quello di Bodnath, proprio al centro di una bella piazza con tutti gli edifici che si affacciano sul sacro stupa, decorato con gli occhi del Buddha su ognuno dei quattro lati. Lingua Il nepalese, oltre ad altre lingue nazionali e vari dialetti tibetani. Religione La maggior parte della popolazione professa l’induismo (80%) e il buddismo (8%), anche se in molti casi le due religioni si compenetrano. Una minoranza professa altre religioni come l’animismo. Sport Gli sport più popolari sono il calcio e il cricket. Fuso orario Più 4 ore e 45 minuti rispetto all’Italia, che diventano 3 ore e 45 minuti quando in Italia è in vigore l’ ora legale. Distanza dall’Italia Il Nepal è raggiungibile dall’Italia in aereo. La durata del volo da Milano Malpensa a Kathmandu è di 13 ore circa, con uno scalo, e da Roma è di 15 ore circa, con due scali. Moneta La Rupia Nepalese (NPR).

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LA CINA

Le dimensioni La Cina si estende per 9 milioni e mezzo di km2, all’incirca 30 volte l’Italia. In tutto il mondo essa viene superata per dimensioni solo dalla Russia, che è di gran lunga il paese più esteso del pianeta, e (di stretta misura) dal Canada. La Cina è il paese più popolato del mondo, con oltre un miliardo e 300 milioni di abitanti. Il 90% circa dei cinesi vive in un territorio corrispondente a meno della metà della superficie della Cina, chiamato «Cina propriamente detta» o «Cina delle 18 province». Si tratta di un’area dominata dalle pianure, dai grandi fiumi e dall’agricoltura, abitata dal «popolo degli Han», cioè da coloro che si considerano i cinesi veri e propri. Il resto del territorio, chiamato Cina «esterna», è invece una zona più vasta ma molto meno popolata, dominata da steppe, deserti e altopiani, e dalle catene di montagne più grandiose del mondo. La Cina «esterna», terra di allevatori nomadi, è abitata da minoranze etniche di origine turca, mongola, tibetana o altra.

La Cina propriamente detta La Cina «propriamente detta» si estende dal Fiume Giallo verso est e verso sud, fino al mare e ai confini della penisola indocinese. In questa parte orientale del paese si trovano le pianure formate dai due grandi fiumi:

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il Fiume Giallo a nord e più a sud il fiume Chang Jiang (o Yang-tse Kiang, secondo una vecchia trascrizione), il più lungo dell’Asia e uno dei maggiori del mondo, con i suoi 5800 kilometri. La parte settentrionale della Cina «propriamente detta» è la culla della civiltà cinese. È qui che sorge la capitale politica, Pechino, che si trova pressappoco alla stessa latitudine di Napoli, ma con un clima molto più continentale e freddo. I prodotti principali dell’agricoltura sono qui i cereali secchi: grano, orzo, miglio, sorgo. Inoltre, cotone, legumi e ortaggi. A sud, il clima è tropicale, molto influenzato dal monsoni, che in primavera e in estate portano piogge torrenziali, e a volte catastrofici tifoni. Se il grano e in generale i cereali secchi sono tipici del nord (dal clima secco e freddo), il riso si afferma sempre di più come il prodotto più tipico di mano in mano che si scende verso sud. Questo dipende dal fatto che il riso richiede grandi quantità di acqua (qui fornite soprattutto dal monsone) e molto lavoro fatto a mano dai contadini: i cinesi lo chiamano la «pianta accarezzata». Per quanto riguarda il bestiame, esso è meno utilizzato che da noi in appoggio all’agricoltura, perché per nutrirlo occorrerebbe impiegare delle granaglie, sottraendole ai raccolti destinati agli uomini. Ci sono, certo, cavalli, muli, asini e bufali, adoperati come animali da tiro, ma in numero limitato. Sono invece allevati in grande quantità i suini e gli animali da cortile, e anche il pesce, del quale è assai diffusa la coltura nelle acque interne, a volte nelle stesse risaie. La Cina «esterna» Se la Cina dell’est è il regno dei contadini sedentari, quella del nord e dell’ovest, la cosiddetta Cina «esterna», è tradizionalmente il regno dei nomadi, pastori e allevatori, ma spesso anche grandi conquistatori (come i Mongoli di Gengis Khan che conquistarono l’impero nel XIII secolo). Simbolo della divisione tra questi due mondi è la Grande Muraglia, che il primo imperatore costruì, secondo la tradizione, nel III secolo a.C. riunendo una serie di fortificazioni già esistenti. La Cina «esterna» è un insieme di regioni molto diverse fra di loro. Cominciando da sudovest, il Tibet è un immenso altopiano la cui altitudine media supera quella del Monte Bianco, percorso da gole profonde e da alte catene in direzione est-ovest, principale fra tutte l’Himalaya. È qui che si trova il Monte Everest, il tetto del mondo (8846 m), che per i cinesi si chiama Qomolangma. A nord del Tibet si trova il Xinjiang, la più vasta regione della Cina. Le popolazioni che abitano sono costituite solo in parte da cinesi veri e propri. Più antica è la presenza di minoranze etniche o religiose: tibetani, hui, turchi uiguri, mongoli. Le loro religioni sono il buddismo nel Tibet e nella Mongolia Interna, l’Islam nel Xinjiang. Per completare il panorama della Cina «esterna» occorre parlare di una regione geografica che costituisce un caso particolare: è la regione che si chiamava un tempo Manciuria, e che oggi comprende le tre province di Liaoning, Jilin e Heilongjiang. Qui si è sviluppata nel tempo un’agricoltura assai simile a quella esistente nella

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pianura del Fiume Giallo, e la civiltà cinese si è imposta su quella delle originarie tribù manciù di cacciatori, pescatori, allevatori di renne.

La Grande Muraglia

Il tratto più frequentemente fotografato è quello più vicino alla capitale Pechino (dista circa 90 km), che quindi è anche il più visitato dai turisti. In questo tratto, la muraglia è alta circa 8 m, larga 6,5 alla base e un po’ meno (5,8 m) alla sommità. Quest’ultima è percorsa da un camminamento, che spesso, nei punti più ripidi, diventa una scalinata; sui due lati ci sono merli e feritoie. A intervalli regolari di circa 200 m sorgono fortificazioni e torri sulle quali, in caso di pericolo, le sentinelle accendevano un fuoco, trasmettendo così l’allarme, di torre in torre, anche a grandissima distanza.

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Terrazzamenti fertili Questo paesaggio di terrazzi è stato intagliato in anni recenti, col paziente lavoro di molti uomini, nel fianco di una collina sull’altopiano del loess, nella provincia cinese dello Shaanxi. Questo terreno uniformemente giallastro è il loess: una fi ne polvere calcarea depositata qui dal vento che l’aveva sollevata, qualche centinaio di kilometri più lontano, nei deserti di Ordos e di Gobi. L’assenza di importanti ostacoli montuosi ha facilitato questo trasporto e il loess ricopre oggi 300 000 km2 di territorio cinese con un mantello di spessore variabile da qualche metro a trecento metri. Il loess è tenero e facilmente erodibile: l’acqua vi intaglia gole profonde e lo convoglia fra queste colline fi no al maggior corso d’acqua della regione, che si chiama «Fiume Giallo» proprio per la gran massa di sedimenti di loess che trasporta. Il loess è abbastanza resistente per non franare se tagliato in muri quasi verticali, come questi che seguono le ondulazioni delle curve di livello sul pendio della collina: i terrazzi orizzontali che ne risultano tratterranno acqua e permetteranno di avere un suolo abbastanza fertile da dare un prodotto agricolo. La Cina e il mare A est e a sud la Cina è limitata da quattro mari: il Mare di Bohai, il Mar Giallo, il Mar Cinese Orientale e il Mar Cinese Meridionale. Il primo è un mare interno, coperto in parte dai ghiacci d’inverno, chiuso dalle penisole del Liaodong e dello Shandong e comunicante col Mar Giallo: gli altri si aprono sull’Oceano Pacifico. Più di 5000 isole grandi e piccole (le principali sono Taiwan e Hainan) sono disseminate

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lungo la costa cinese, specie a sud. La Cina ha oggi numerosi grandi porti di livello internazionale, come Shanghai, Canton, Tianjin (Tientsin), Qingdao, o come quello fluviale di Wuhan. La navigazione interna può usufruire di una rete gigantesca ed efficiente di fiumi e canali navigabili: primo fra tutti il canale costruito nel VI secolo, che ancora collega il Fiume Giallo al Chang Jiang. Più tardi, sotto i Mongoli, un altro Grande Canale, o Canale Imperiale, venne costruito più a oriente: più lungo del precedente, esso scorreva (e scorre tuttora) da Pechino e Tianjin, a nord, fi no a Hangzhou, a sud. Dei moltissimi cinesi che nei secoli trascorsi, in ondate successive, hanno abbandonato il paese per stabilirsi altrove (oggi, più di 50 milioni di «cinesi d’oltremare» vivono a Singapore, in Indocina, in Indonesia, negli Stati Uniti), la grande maggioranza lo ha fatto per mare. Tuttavia, i cinesi non sono considerati un popolo di navigatori, e in effetti la loro espansione è stata soprattutto terrestre. Ma non sempre. Fra il XIV e il XV secolo, quando gli europei ancora esitavano a uscire dal Mediterraneo, i cinesi erano già arrivati in Africa, e secondo alcuni studiosi (ma la cosa è oggetto di discussione) avevano già raggiunto la costa occidentale dell’America. Stato e popolazione La Cina politica Politicamente la Cina si divide in 22 province, 5 regioni autonome (Mongolia Interna, Guangxi Zhuang, Tibet, Ningxia Hui, Xinjiang) e 4 municipalità che dipendono direttamente dalle autorità centrali (Pechino, Shanghai, Chongqing e Tianjin). All’interno delle province e delle regioni autonome troviamo una piramide di livelli amministrativi: prefetture, distretti, città, cantoni; alla base, più di 5 milioni di villaggi. Province, regioni autonome e municipalità eleggono i circa 3000 deputati dell’Assemblea popolare nazionale (il Parlamento cinese), che si riunisce una volta all’anno per un certo numero di giorni. Nell’intervallo tra le sue riunioni la sostituisce un Comitato permanente. L’Assemblea elegge il Presidente della Repubblica e il capo del governo. Esistono, oltre al PCC, numerosi partitini «democratici », la cui presenza è però pressoché simbolica. Di fatto, non c’è elezione, a livello nazionale come a quello locale, che non sia il risultato di una designazione del Partito comunista. Ed è all’interno del partito, più che negli organismi statali, che vengono prese le decisioni che contano. Tuttavia, nel 2002, il XVI Congresso del Partito Comunista Cinese ha stabilito che il partito stesso deve rappresentare non più solo il proletariato e i contadini, ma «le forze produttive più avanzate», «la cultura più avanzata », «gli interessi della schiacciante maggioranza del popolo cinese». E tra gli iscritti al partito sono diminuiti, in percentuale, gli operai e i lavoratori agricoli, mentre si sono aperte le porte agli imprenditori privati.

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La popolazione Nel 1949 i cinesi erano 560 milioni; al censimento del 1990 erano diventati circa 1 miliardo e 130 milioni. Nel 2008 erano stimati in circa 1 miliardo e 320 milioni, e si calcola che supereranno il miliardo e mezzo nel 2025. Si ritiene che la popolazione della Cina, storicamente, sia stata sempre, all’incirca, un quarto dell’umanità. Ma l’esplosione dell’ultimo quarantennio si lega a un forte miglioramento delle condizioni economiche e sociali, che ha comportato soprattutto il calo della mortalità, per il miglioramento delle condizioni igieniche e sanitarie. Al calo della mortalità si è accompagnato per molti anni un tasso di natalità elevato, non ostacolato in epoca maoista dal governo: in ogni nuovo nato si vedevano, potenzialmente, altre due braccia destinate a servire il paese e a lavorare per i suoi successi. Solo dalla metà degli anni Settanta si è cominciato a attuare un controllo delle nascite. Il tasso di incremento annuo della popolazione è infatti calato negli ultimi anni, ed è oggi dello 0,6%; mentre l’indice di fecondità (e cioè il numero medio di fi gli per ogni donna), che era del 5,8 nel 1970, è sceso ora all’1,7. Tuttavia le misure adottate dal governo per contenere la crescita demografica, come per esempio l’innalzamento dell’età del matrimonio e la politica del figlio unico, non hanno dato i risultati sperati. Sono ora allo studio nuovi provvedimenti, ma solo profonde trasformazioni culturali e sociali potranno porre su nuove basi la questione demografica. Le religioni Le religioni praticate dai cinesi si possono distinguere in religioni indigene, come il confucianesimo o il taoismo o i molti culti popolari; e religioni nate invece fuori dalla Cina e diffuse quindi per importazione: in tempi antichissimi il buddismo, più tardi l’Islam, in epoca più recente le diverse confessioni cristiane. Il confucianesimo è piuttosto un’etica sociale e un’arte del buon governo che una religione vera e propria. Il suo stesso fondatore, Kung Fu-tzu (europeizzato in Confucio), vissuto nel VI secolo a.C., fu soprattutto un politico; e il confucianesimo fu essenzialmente la religione della classe dirigente. Il popolo preferiva gli insegnamenti del taoismo o del buddismo, o di un insieme di culti e credenze nel quale elementi confuciani, taoisti, buddisti si univano ad altri ancora più antichi. Per questo molti studiosi parlano volentieri di una religione dei cinesi, dai confini non ben definiti. Le origini del taoismo sono pressoché contemporanee di quelle del confucianesimo. I suoi maestri erano poco interessati alla politica e molto alla Natura, cui cercavano di sottrarre i segreti della vita e dell’immortalità. Questo li portò a essere asceti e maghi, ma ben presto anche scienziati: si devono soprattutto a loro gli inizi della grande tradizione scientifica cinese, per esempio nel campo della chimica e della medicina (la stessa agopuntura si fonda su princìpi

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elaborati da loro). Il buddismo, nato in India, arrivò in Cina, portato da pellegrini, nel primo secolo della nostra era, e anch’esso ottenne un grande seguito popolare. In quella che abbiamo chiamato «religione dei cinesi» (e che è la più praticata), c’è un Pantheon vastissimo di dei, a cominciare dal Cielo, divinità suprema; o protagonisti di antichi miti; o uomini ritenuti santi e immortali a causa delle vicende della loro vita. Ci sono divinità protettrici dei grandi eventi della vita, dalla nascita al matrimonio; o preposte al giudizio sui meriti e demeriti dei defunti. Ci sono divinità che fanno piovere sulle coltivazioni o benedicono i raccolti, che guariscono da malattie. Il mondo dell’oltretomba è popolato di spiriti benevoli e di demoni minacciosi. A queste religioni tradizionali si aggiunsero nell’Ottocento le varie confessioni cristiane, portate dai missionari. In epoca contemporanea, la religione popolare venne tacciata di superstizione e combattuta in nome del progresso dell’istruzione. Ma soprattutto dopo l’avvento al potere dei comunisti, nel 1949, il prevalere dell’ideologia marxista-leninista comportò l’avversione del governo a ogni forma di pratica religiosa. Ancora negli ultimi anni una dura persecuzione si è abbattuta sui seguaci della setta Falun Gong, assai diffusa. Nel caso delle confessioni cristiane, questa avversione si nutriva anche della diffidenza nei confronti di una religione legata all’Occidente; e nel caso del buddismo e dell’Islam era motivata anche dalla preoccupazione di controllare le tendenze autonomiste presenti nelle regioni (rispettivamente il Tibet e il Xinjiang) in cui esse erano più diffuse. Così, la stragrande maggioranza dei luoghi di culto, grandi e piccoli, vennero distrutti o convertiti in musei (quando presentavano un grande interesse artistico), o addirittura in magazzini. Perfino Confucio, il personaggio di maggior prestigio dell’intera tradizione cinese, cadde in disgrazia e fu aspramente criticato come rappresentante delle vecchie classi dominanti: oggi è tornato a essere universalmente onorato. Dopo la morte di Mao, la situazione è almeno in parte mutata, e si è reso possibile, benché con molte limitazioni, un ritorno alla pratica religiosa, sulla quale però il regime esercita un controllo attraverso delle «Associazioni patriottiche», una per ogni confessione, i cui dirigenti sono nominati dal governo o devono avere il suo benestare. Così, per esempio, ci sono due Chiese cattoliche. Una, «patriottica», è tollerata dal governo (che si preoccupa soprattutto di impedire i rapporti dei cattolici cinesi con il Vaticano). L’altra, che insiste sulla propria fedeltà a Roma, è semiclandestina e perseguitata (spesso i suoi vescovi vengono imprigionati). È certo che si assiste in questi ultimi anni a un forte ritorno a ogni tipo di pratica religiosa. Un fenomeno molto evidente, per esempio, per quanto riguarda l’islam delle regioni dell’Ovest (che avrebbe dai 13 ai 26 milioni di fedeli, l’1-2% della popolazione). Anche i cristiani sono in crescita (sono il 6% circa dei cinesi, più o meno divisi a metà tra cattolici e protestanti).

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Gruppi etnici e lingue Il 92% degli abitanti della Cina è Han. È questo il nome di un’antica popolazione e della sua cultura; è anche il nome della seconda delle dinastie dell’impero unificato, che resse la Cina (salvo un interregno) fra il III secolo a.C. e il III d.C. I cinesi veri e propri chiamano se stessi han. Tutti gli han parlano il cinese, che conosce tuttavia forti differenze regionali. La lingua ufficiale è il cinese di Pechino, noto anche come «mandarino» o putonghua («lingua comune»). Il cinese del sud, quello di Canton, è la lingua prevalente tra i cinesi all’estero, per la ragione molto semplice che la maggioranza degli emigrati, in Asia come nelle Chinatown americane o nelle comunità europee, proviene per l’appunto dalla regione di Canton (è per la stessa ragione che la cucina cinese più nota all’estero è quella cantonese). Gli Han, pur costituendo la stragrande maggioranza della popolazione, occupano tuttavia solo il 40% del territorio. Sul rimanente 60% vivono altri gruppi etnici e linguistici. Quelli ufficialmente riconosciuti sono 55 e vengono chiamati «minoranze nazionali». Tra le minoranze nazionali, le più importanti numericamente sono le popolazioni del gruppo altaico come i mongoli e i turchi (in prevalenza uiguri, ma anche kazaki, kirghizi, gli uzbeki). Appartengono invece al gruppo sino-tibetano non solo la lingua dei tibetani (e ovviamente quella dei cinesi), ma anche quelle di numerose altre popolazioni imparentate con alcuni gruppi etnici dell’Asia sudorientale. Tra queste, gli zhuang sono la minoranza più numerosa. A completare il panorama, per lo meno delle popolazioni più importanti, troviamo circa 2 milioni di coreani a nordest; una minoranza a parte è quella costituita dagli Hui, che sono han, cioè cinesi a pieno titolo, ma di religione musulmana. In alcune delle regioni o province nelle quali queste minoranze sono particolarmente numerose (per esempio nel Tibet e nel Xinjiang) sono presenti da sempre rivendicazioni di maggiore autonomia nei confronti del governo centrale. IL TIBET Il Tibet (che i cinesi chiamano Xizang) è il più grande altopiano del mondo, chiuso su tre lati da montagne altissime, cioè dalle catene dei Kunlun, del Karakorum, dell’Himalaya. È in buona parte un «deserto freddo», nel senso che la natura impervia (rocce e nevi permanenti) e soprattutto le condizioni climatiche ne ostacolano il popolamento. Su un territorio vasto quattro volte l’Italia vivono infatti circa 2700000 abitanti, 2 per km 2, che si addensano in alcune valli: soprattutto in quella del Brahmaputra nella quale un clima più favorevole offre pascoli e aree coltivabili. La capitale Lhasa, celebre per i suoi monasteri buddisti e in particolare per il più maestoso fra essi, il Potala, sorge a 3630 m. Nel VII secolo, arrivò qui il buddismo, e un re ne fece la religione di stato. Il buddismo tibetano si affermò anche all’esterno

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del paese, come per esempio in Nepal, in Mongolia e nel nord della Cina. Il buddismo tibetano è chiamato anche lamaista, con allusione al prestigio e alla venerazione di cui sono circondati i suoi lama: parola che vuol dire «maestri». Al vertice della gerarchia dei maestri e dei monaci sono il Dalai Lama e il Panchen Lama: il primo residente nel Potala di Lhasa, il secondo nel grande monastero di Tashilumpo. Entrambi sono considerati reincarnazioni del Buddha. In generale, il Panchen Lama è visto come un maestro spirituale e religioso, mentre il Dalai Lama incarna anche la suprema autorità politica. Nel corso della sua storia, il Tibet ha visto alternarsi periodi di indipendenza a temporanee occupazioni: per esempio, da parte di mongoli, turchi, cinesi (ma in qualche caso furono i tibetani a invadere regioni della Cina). In epoca moderna, il Tibet accettò per qualche tempo di essere considerato dall’impero cinese come una sorta di blando protettorato, tuttavia largamente autonomo nei fatti. Il paese fu del tutto indipendente dal 1911 (l’anno della fi ne dell’impero cinese) fino al 1950-51, quando i comunisti cinesi lo occuparono militarmente e vi avviarono un insieme di riforme politiche e sociali, sostenendo di voler combattere ed eliminare la teocrazia, lo strapotere anche economico dei monasteri e la vecchia società feudale. Ma il buddismo era (ed è) fortemente radicato nella cultura dei tibetani, identificandosi nel loro senso profondo di indipendenza. Nel 1959 ci fu una ribellione – che l’esercito cinese stroncò nel sangue – con migliaia di morti e decine di migliaia di tibetani imprigionati. Il Dalai Lama abbandonò il paese fuggendo in India. La persecuzione religiosa fu molto dura, con la distruzione di migliaia di monasteri, una fortissima riduzione del numero dei monaci e soprattutto una forte pressione in favore dell’assimilazione degli abitanti alla cultura degli han. Attraverso una serie di migrazioni incoraggiate dal regime, questi ultimi hanno superato il numero dei tibetani nella popolazione totale, o quanto meno nella capitale e nelle città maggiori. Molte migliaia di tibetani vivono all’estero, soprattutto in India, dove il Dalai Lama ha formato un governo in esilio. Nel Tibet, ci sono periodicamente movimenti di protesta (per esempio in coincidenza con le Olimpiadi di Pechino del 2008), repressi duramente dalle forze del regime. Il Dalai Lama ha dichiarato più volte di non volere l’indipendenza del Tibet, ma solo una sua reale autonomia. Ciò nonostante, il governo di Pechino resta ostile a ogni trattativa. L'Economia Le campagne Dopo la morte di Mao, a partire dal 1978-79, si cominciò a smantellare l’organizzazione collettiva del lavoro e dell’intera vita sociale, che deprimeva eccessivamente l’iniziativa dei contadini e interferiva nelle consuetudini familiari, turbando antiche tradizioni.

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Oggi la forma di gestione prevalente nelle campagne è la piccola conduzione familiare: lo stato resta nominalmente il proprietario della terra, ma ne concede il libero uso ai contadini. Questi vendono in cambio una parte dei loro prodotti allo stato (a prezzi fissati dal Centro) e smerciano il resto sui mercati liberi. Queste riforme hanno avuto l’effetto di stimolare lo spirito d’iniziativa dei contadini, che hanno aumentato la produzione, accrescendo i propri redditi. Tuttavia alcuni inconvenienti sono nati dal passaggio alla libera iniziativa delle famiglie contadine. La superficie coltivata si è venuta riducendo, perché i contadini hanno via via trascurato i terreni più improduttivi: ciò ha aumentato i fenomeni di erosione, già gravi a causa dell’intensa attività di deforestazione. La superficie coltivata a cereali è diminuita del 9-10% (comportando un calo della produzione), perché i contadini preferiscono ora dedicarsi a colture più pregiate e redditizie. Nelle città i prezzi sono aumentati, con gran de disagio dei consumatori. Il governo è tuttora costretto a importare derrate alimentari dall’estero. La legge del mercato ha provocato, con il successo dei più fortunati e intraprendenti, l’espulsione dalla terra dei più deboli. Si calcola che la disoccupazione nelle campagne riguardi più di 150 milioni di persone. Molti di costoro, soprattutto giovani, si riversano disordinatamente nelle città, in cerca di impieghi nell’industria, la cui pur rapida crescita non è tuttavia in grado di assorbire questa imponente offerta di manodopera. Soprattutto dopo la crisi del 2008-2009, molti milioni di questi giovani emigrati nelle città hanno dovuto compiere il cammino opposto, tornando nei loro villaggi. E ancora, la diminuzione degli investimenti statali e della cooperazione ha comportato a volte che venissero trascurati quei lavori infrastrutturali – argini, dighe, canali, serbatoi e altri sistemi di irrigazione, opere di conservazione dei suoli – su cui si regge da sempre l’agricoltura cinese. Il nuovo sistema di gestione ha ottenuto, nel complesso, progressi innegabili. Tuttavia, l’agricoltura cresce a un ritmo notevolmente inferiore a quello dell’industria, e le sue difficoltà restano gravi. Il mondo contadino è quindi comprensibilmente percorso dallo scontento, pronto a sfociare periodicamente in agitazioni e tumulti. Geografia dell’industria I cinesi inventarono la carta, la polvere da sparo, la stampa a caratteri mobili, la bussola, il sismografo, l’orologio meccanico e molte altre cose, e nei secoli del nostro Medioevo la scienza e la tecnologia cinesi furono decisamente all’avanguardia nel mondo. Tuttavia, l’industria moderna fece la sua comparsa in Cina per opera degli Occidentali e poi dei giapponesi, i quali investirono soprattutto lungo la costa e in Manciuria: vale a dire, in regioni dotate di buoni porti per il commercio e – nel caso della Manciuria – ricche di materie prime. Nel 1949, al momento della fondazione della Repubblica popolare, il 90% dell’industria moderna era concentrato in Manciuria e nelle cinque città di Shanghai, Tianjin, Qingdao, Pechino e Nanchino. Queste città rimangono ancora tra i maggiori centri industriali.

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Tuttavia, negli ultimi decenni, a essi se ne sono aggiunti altri, in qualche caso sopravanzandoli per importanza. Non meno dell’agricoltura, l’industria cinese ha subìto grandi vicissitudini dopo la fondazione della Repubblica popolare. In pochi anni, essa venne tolta ai privati e nazionalizzata, passando sotto la gestione dello Stato. A partire dal 1978 venne dato uno spazio sempre maggiore all’iniziativa privata e al libero mercato. Si introdussero nuovi criteri di produttività e di efficienza. Inoltre, si aprì la porta agli investimenti stranieri, all’inizio istituendo a questo scopo delle «zone economiche speciali», aperte a esperienze capitalistiche e a investimenti stranieri. Una di esse, Shenzhen, ha conosciuto uno sviluppo incredibile: era, nel 1979, una cittadina di 100 000 abitanti, e ne ha ora 2 milioni e mezzo, che vivono e lavorano in una selva di grattacieli. Tende a formare un’unica enorme conurbazione con la vicina ex colonia britannica di Hong Kong, tornata alla Cina. In seguito, il libero mercato e l’iniziativa privata sono stati sempre più apertamente favoriti; a Shanghai e a Shenzhen è stata riaperta la Borsa. Si è assistito a un fiorire di iniziative imprenditoriali in ogni settore, a opera di privati, di società miste statali-private e anche con la partecipazione di capitali stranieri. Dal punto di vista della geografia, lo sviluppo dell’industria è stato particolarmente intenso e concentrato nelle zone vicine al mare nel Sudest, da Shanghai a Canton, e lungo il fiume Chang Jiang. Negli ultimi anni, però, si cerca di estendere lo sviluppo industriale anche verso l’interno, e fino a regioni lontane come il Xinjiang. Che cosa produce l’industria cinese Fino a pochi decenni fa, i prodotti cinesi conosciuti in Occidente erano quelli di un prezioso artigianato tradizionale: dalla lacca alla porcellana, dagli ombrelli ai ventagli di carta; e poi i tessuti, soprattutto la seta. Quando, alla fine degli anni Settanta dello scorso secolo, ebbe inizio il grande sviluppo dell’industria cinese, a quegli antichi prodotti se ne affiancarono di nuovi. Prodotti poveri, per lo più, come i giocattoli (oggi, la Cina produce il 70% dei giocattoli di tutto il mondo). Negli ultimi anni, la situazione è radicalmente cambiata, grazie a una serie di fattori che si possono così riassumere. � Un’apertura agli investimenti stranieri: oggi la Cina è il paese del mondo che ne riceve di più (53,5 miliardi di dollari nel 2003, più degli stessi Stati Uniti). Nel 2002 erano presenti in Cina 420 000 aziende straniere. Questi capitali vengono da Hong Kong, da Taiwan e dalle altre ricche comunità cinesi sparse per il mondo; ma anche dagli Stati Uniti, dal Giappone, dalla Corea del Sud, dall’Europa. A richiamarli sono sia la presenza di un vastissimo serbatoio di manodopera a buon mercato, sia quella di un mercato potenziale immenso. � Un forte aumento delle esportazioni. Oggi la Cina è il secondo esportatore dopo la Germania, seguita da Stati Uniti e Giappone. � Un graduale aumento del reddito pro capite anche all’interno del paese, con la

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formazione di un ceto sociale benestante e lo sviluppo di un mercato interno. Vale a dire che le industrie cinesi che producevano beni da esportare possono vendere oggi almeno una parte della loro produzione nella stessa Cina. � Una grande attenzione a investire anche in ricerca e sviluppo (che equivale a dire: investire sul futuro). Oggi, la Cina è il terzo paese al mondo nella classifica degli investimenti in ricerca e sviluppo, dopo Stati Uniti e Giappone, e prima della Germania. Se si tengono presenti questi elementi, si può capire come la Cina produca il 70% delle macchine fotocopiatrici di tutto il mondo, il 65% delle biciclette, il 55% delle macchine fotografiche, il 50% dei computer e delle calzature, il 40% dei televisori, il 30% delle lavatrici, il 25% dei frigoriferi. Come si vede, non si tratta più solo di prodotti poveri (come i giocattoli o le biciclette o le calzature), ma anche di prodotti di alta tecnologia. Si aggiunga che l’industria cinese si sta sviluppando velocemente anche in settori come la microinformatica e le biotecnologie: tra i telefoni cellulari, il marchio Ningbo Bird ha soppiantato da poco Motorola, Samsung e Nokia. E nel 2003, per la prima volta, un cosmonauta cinese è andato in giro nello spazio. Ancora una trentina d’anni fa, le città cinesi erano percorse da autentiche maree di biciclette, mentre le automobili private non esistevano. Oggi le biciclette sono ancora numerosissime (9 milioni nella sola Shanghai), ma si assiste anche a un boom dell’auto. I modelli più venduti sono Volkswagen e Toyota, ma fabbricate in Cina e con nomi cinesi (Santana, Xiali), e un terzo delle vendite del 2003 era costituito da auto di lusso (Mercedes, Audi, Maserati, Ferrari, BMW), destinate ai nuovi ricchi. Per alimentare l’industria, il sottosuolo cinese possiede ingenti risorse di materie prime, fra cui carbone (la cui produzione è oggi quasi 3 milioni di tonnellate annue), petrolio (oggi 189 milioni di tonnellate), minerali di ferro, manganese, tungsteno, zinco, stagno, antimonio, rame. L’uranio e altri minerali radioattivi abbondano nel Xinjiang, dove hanno sede i maggiori impianti nucleari. La produzione dell’acciaio è passata da 158 000 tonnellate nel 1949 a 513 milioni nel 2008. Le contraddizioni dell’economia Complessivamente, l’economia cinese ha conosciuto negli ultimi anni un ritmo di crescita annua (tra l’8 e il 10%) che ha fatto gridare al miracolo. Gli esperti hanno calcolato che il Prodotto Interno Lordo della Cina (il suo valore globale, non quello pro capite, ovviamente) raggiungerà e supererà quello degli Stati Uniti entro il 2040. Ma, se queste sono le luci, non si possono però dimenticare le ombre di questo straordinario sviluppo economico. � In quello che ancora pochi decenni fa era il paese dell’egualitarismo più rigoroso, oggi le differenze sociali e regionali sono fortissime, e tendono a crescere. Malgrado gli sforzi del governo per ottenere uno sviluppo più equilibrato tra le diverse aree del paese, lo squilibrio tra fascia costiera e interno resta molto forte. Ci sono province e città come Shanghai molto ricche e altre che hanno invece un PIL

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pro capite da paese sottosviluppato. Le famiglie contadine hanno condizioni di vita più povere e culturalmente limitate; addirittura arcaiche in alcune zone più isolate. Molti villaggi sono privi di elettricità e acqua corrente. Le differenze sociali si acuiscono non meno di quelle geografi che. Si ritiene che in Cina ci siano oggi dai 60 ai 130 milioni di ricchi (nel senso che noi diamo a questa parola). All’opposto, sarebbero almeno 60 milioni i contadini che hanno a malapena di che sfamarsi e vestirsi, mentre poco meno di metà della popolazione vivrebbe con meno di due dollari al giorno. La vita quotidiana degli indigenti soffre anche della diminuzione dei servizi sociali. Un’altra causa dell’aggravarsi delle tensioni sociali è la disoccupazione, che nelle città si aggirerebbe sul 4,5%, anche se esistono valutazioni di 3 o 4 volte superiori. L’accentuarsi delle differenze sociali è spesso aggravato dall’arroganza dei nuovi ricchi. Questi ultimi, gli imprenditori emersi con le riforme economiche, si identificano per lo più con lo strato tradizionalmente dominante, e cioè i burocrati, i «quadri» del partito e dell’amministrazione statale, e i loro fi gli e nipoti. � Le contraddizioni dello sviluppo di questi anni non si fermano qui. La crescita non riguarda in maniera omogenea tutti i settori, alcuni dei quali restano arretrati e insufficienti, facendo da freno allo sviluppo. È il caso dell’energia, tuttora inadeguata e mal distribuita, malgrado gli sforzi del governo in questo campo. Ancora più grave, forse, è il caso dei trasporti, del tutto insufficienti in rapporto alla superficie. I grandi progetti lanciati dal governo (come quello di una linea ferroviaria ad alta velocità da Pechino a Shanghai) sono ancora lontani da una soluzione adeguata del problema. � La disordinata rapidità dello sviluppo di questi anni produce, soprattutto nelle aree industriali, un forte inquinamento atmosferico, sicché i problemi dell’ecologia cominciano ad apparire all’ordine del giorno, in tutta la loro gravità. L’abbandono di molte campagne e il disboscamento dissennato favoriscono l’erosione dei suoli e le alluvioni. All’inquinamento provocato dagli scarichi delle fabbriche che si moltiplicano, si aggiunge, nelle grandi città, quello prodotto da un traffico cittadino fino a poco tempo fa sconosciuto. � La disoccupazione, gli spostamenti di masse di persone in cerca di lavoro e spesso prive di una casa, hanno portato con sé un aumento della criminalità, soprattutto nelle aree urbane. L’improvviso apparire della possibilità di facili ricchezze non stimola solo l’inventiva e la capacità d’iniziativa dei singoli, ma anche una corruzione sempre più diffusa, malgrado il governo la combatta duramente, per esempio facendo un uso frequente della pena capitale. I RAPPORTI CON L'ESTERO La politica estera cinese fu caratterizzata, nei primi anni dopo la fondazione della

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Repubblica popolare, dall’alleanza con l’URSS e dalla partecipazione al blocco comunista. Truppe cinesi intervennero, in appoggio ai comunisti coreani, nella guerra di Corea. Ma già alla fi ne degli anni Cinquanta ci fu una rottura con l’URSS, e la Cina di Mao si propose come il paese-leader della rivoluzione mondiale e delle lotte di liberazione del Terzo mondo. Seguirono anni di rigida chiusura e di ostilità nei confronti sia dell’URSS, accusata di aver tradito gli ideali rivoluzionari, sia dell’«imperialismo» occidentale. Ci furono anche scontri armati con l’India e l’Unione Sovietica, nei cui confronti i cinesi avanzano tuttora annose rivendicazioni confinarie. Risalgono al 1971 i primi segni di un «disgelo » nei confronti degli Stati Uniti, cui seguì poco per volta il ristabilimento di normali rapporti con gli altri paesi occidentali, con il Giappone, più tardi anche con la Russia e con l’India. I cinesi non hanno mai cessato di rivendicare Taiwan come parte integrante del territorio nazionale. Questo ha comportato più volte, anche di recente, momenti di tensione e minacce militari. Ma, contemporaneamente, i rapporti sono migliorati: cittadini di Taiwan possono recarsi regolarmente in Cina a visitare i propri parenti o per turismo, e ci sono anche relazioni commerciali. Si è risolta invece, nel 1997, la questione di Hong Kong, tornata alla Cina dopo essere stata per più di un secolo colonia britannica. Si è attenuata anche, con la riapertura nel 1992 di regolari relazioni diplomatiche, una lunga ostilità verso la Corea del Sud, con la quale la Cina intrattiene ora importanti rapporti economici e commerciali. Nel suo complesso, quella cinese è ora una politica estera di buon vicinato con i paesi confinanti e, soprattutto, di apertura nei confronti dell’Occidente e del Giappone, di cui si cerca la collaborazione al proprio sviluppo economico. Ma non mancano, all’interno di queste buone relazioni, periodici momenti di crisi. Per esempio, dopo la sanguinosa repressione della «Primavera» del 1989, e l’incarcerazione di migliaia di oppositori politici, i paesi occidentali hanno temporaneamente interrotto i loro rapporti economici con la Cina in nome della difesa dei diritti umani e civili: un tema sul quale il governo cinese rifiuta ogni discussione. Altre crisi fra Cina e Stati Uniti si sono determinate per l’appoggio degli americani a Taiwan, o per l’accusa alla Cina (che è uno dei maggiori mercanti di armi del mondo, soprattutto in direzione di molti paesi africani e asiatici) di aver fornito a Iran e Pakistan, malgrado gli accordi internazionali lo vietassero, parti di armamenti nucleari (la Cina possiede l’atomica già dal 1964). Momenti di crisi e di tensione contrassegnano anche i rapporti con il Giappone, nonostante gli intensi rapporti economici tra i due paesi. Al loro vicino insulare i cinesi rimproverano di non aver mai apertamente condannato la politica di conquista imperialista, spesso assai dura e sanguinosa, da esso perseguita nei confronti della Cina negli anni Trenta dello scorso secolo; e ne temono il possibile ritorno a tendenze espansioniste. Nell’insieme, si può dire che i successi economici degli ultimi anni abbiano accompagnato la rinascita di un diffuso nazionalismo cinese, e soprattutto una crescente aspirazione a recitare un ruolo sempre più importante, adeguato alle proprie dimensioni, nelle relazioni internazionali. C’è chi prevede, per i prossimi decenni,

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una crescente rivalità tra Cina e Stati Uniti per il predominio sull’area del Pacifico, con altre potenze (il Giappone, la Russia, l’Indonesia) a fare da comprimari. Un aspetto importante dell’apertura internazionale della Cina è quello rappresentato oggi dal commercio con l’estero, il cui tasso di aumento annuo, a partire dal 1978, è stato sempre assai elevato: nel 2001, le importazioni sono aumentate del 39,9% e le esportazioni del 34,6% (per la prima volta meno delle importazioni, ma sempre con una forte eccedenza commerciale della Cina nei confronti degli altri paesi). Il principale partner commerciale sono gli Stati Uniti, seguiti da Hong Kong e Giappone poi dalla Corea del Sud e dai paesi della UE (Germania in testa). Nel 1993, la Cina è diventata il secondo partner commerciale del Giappone, preceduto solo dagli Stati Uniti. Le importazioni riguardano soprattutto materie prime, macchinari e tecnologie avanzate, ma anche, sia pure in non grande misura, generi alimentari. Le esportazioni principali sono rappresentate soprattutto da macchinari e veicoli, tessili, macchinari elettrici, macchine per ufficio. Oltre all’ingresso nel WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio (2001), un altro prestigioso successo internazionale della Cina è l’aver ospitato a Pechino le Olimpiadi del 2008. LE CITTA' Pechino o Beijing (il cui nome significa «capitale del Nord») era una città importante già nell’antichità, ma il suo abitato si spostò più volte, sia pure di poco. Divenne capitale sotto i Mongoli, eredi di Gengis Khan: Marco Polo la visitò allora, quando si chiamava Cambaluc, o meglio Khanbaliq, «La città del Khan». La città che vediamo oggi (per essere più precisi, la sua parte più antica) fu però progettata e costruita dai Ming, la dinastia cinese che cacciò i Mongoli. Si deve a loro la costruzione, nel XIV secolo, di una specie di gigantesca reggia lussuosa che si chiamava un tempo «la città proibita» perché solo i privilegiati potevano entrarvi. Oggi, invece, la «città proibita» è, insieme, un museo e un parco pubblico, in cui gli abitanti di Pechino vanno in gran folla nei giorni di festa ad ammirare i suoi tesori artistici. Dove finisce la città proibita, una grande porta, la Tian Anmen (la «Porta della pace celeste»), immette oggi su una moderna piazza omonima, di dimensioni gigantesche: misura poco meno di 50 ettari, l’equivalente di 45 campi di calcio. In questi ultimi anni si assiste a una nuova febbre edilizia, la stessa che ha contagiato tutte le principali città cinesi. Si costruiscono soprattutto grattacieli, destinati a essere la sede dei nuovi centri dirigenziali delle imprese economiche, o dei moderni alberghi richiesti da un turismo in espansione. E anche questa febbre ha le sue vittime: per esempio, parchi e giardini (ma anche le tipiche case tradizionali a un piano) che scompaiono, coperti dal cemento. Suzhou e Hangzhou sorgono su un intrico di fiumi e canali, al punto che Suzhou venne definita «la Venezia dell’Oriente», e Hangzhou impressionò Marco Polo per la sua bellezza. Anche se a poca distanza ci sono le nuove fabbriche, in queste città, che affascinano i turisti, si producono ancora i pregiati tessuti di seta, i ventagli dipinti, il tè, le essenze profumate, le porcellane. Shanghai, con i suoi oltre 10 milioni di abitanti (oltre 18 nell’intera municipalità), è

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oggi non solo la maggiore città cinese, ma una delle maggiori del mondo. Insieme ai suoi sobborghi e alle sue città satelliti, Shanghai è anche la principale concentrazione industriale e operaia di tutta la Cina. Il nome della città significa «sul mare»: un secolo fa era solo una modesta cittadina che sorgeva nella zona deltizia del Chiang Jiang, nei pressi di un affluente, a una sessantina di kilometri dal mare aperto. Era una posizione ideale per un porto, e gli europei vi si installarono costruendovi i propri quartieri indipendenti (le «concessioni»). Altre città importanti sono Luoyang e Xi’an, le più antiche capitali della Cina; Wuhan, che è in realtà un insieme di tre città; Nanchino (Nanjing, che significa «capitale del Sud»); Chongqing. Quest’ultima ha 4 milioni di abitanti, che diventano 31 in quella che è la più grande municipalità del mondo. La più meridionale delle grandi città, Canton o Guangzhou (oltre 4 milioni di abitanti), grande emporio commerciale fi n dal Medioevo, sorge nel punto in cui più corsi d’acqua confluiscono nel «Fiume delle perle», poco sotto il Tropico del Cancro. Taiwan e Hong Kong Taiwan è un’isola un po’ più grande della Sicilia, di fronte alla provincia cinese del Fujian, su cui vivono quasi 23 milioni di persone. La densità è di 634 abitanti per km2. La capitale, Taipei, ha 2600000 abitanti. Quando, nel 1948, l’esercito dei nazionalisti del Guomindang venne sconfitto dall’Armata rossa di Mao Zedong, i suoi resti (circa 2 milioni tra militari e funzionari) si rifugiarono a Taiwan. Da allora, il governo cinese rivendica i propri diritti su Taiwan, alternando minacce militari a momenti di relativa distensione. Per questa ragione, il governo di Taiwan è riconosciuto da pochissimi paesi, anche se gode della protezione degli Stati Uniti. Taiwan ha conosciuto un notevole sviluppo industriale ed è diventata uno dei territori più ricchi dell’Asia. Hong Kong è invece tornato alla Cina nel 1997. Esso consta di una serie di territori, tra cui l’isola di Hong Kong appunto, ceduti dalla Cina agli inglesi nel corso dell’800. Conserva, rispetto al governo cinese, una certa autonomia che gli garantisce maggiori libertà politiche e civili. Gli abitanti sono per il 95% cinesi. Hong Kong è uno dei maggiori centri commerciali e finanziari dell’intera Asia.

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IL GIAPPONE GEOGRAFIA FISICA E POPOLAZIONE I giapponesi chiamano il loro stato Nippon, «il paese del Sol Levante». Il nostro «Giappone» deriva invece, curiosamente, dalla pronuncia giapponese del suo nome cinese, Jihpen. Il Giappone è un arcipelago frastagliato e montuoso composto da più di 3000 isole. L’area è geologicamente giovane, ancora in fase di assestamento: i terremoti sono frequenti e sono presenti numerosi vulcani, diversi dei quali ancora attivi. Proprio un vulcano, il Fujiyama (o Fujisan, «signor Fuji», come preferiscono chiamarlo i giapponesi) è, con i suoi 3776 metri, il simbolo tradizionale del Giappone. Il Fujiyama è inattivo da oltre tre secoli. Quasi l’80% del territorio è montuoso: dalle montagne scendono numerosi fi umi dal corso breve e dal regime irregolare. Le pianure sono piccole; anche i laghi, per lo più di origine vulcanica, hanno estensione limitata. Le quattro isole maggiori occupano da sole il 97% del territorio, e la più grande, Honshu, più del 60%. Le altre tre sono, in ordine di grandezza, Hokkaido, Kyushu e Shikoku. Il Giappone è grande poco più dell’Italia, con un territorio coltivabile non più grande della pianura padana, e assai povero di risorse del sottosuolo: non ci si aspetterebbe certo una popolazione numerosa. E invece ha una popolazione che è più del doppio di quella italiana. La densità è di 343 abitanti per km2, contro i 199 dell’Italia. Da quali fattori dipende questa elevata densità di popolazione? Si potrebbe pensare che sia legata allo straordinario sviluppo industriale che il Giappone ha conosciuto nell’ultimo secolo, ma è così solo in parte. In realtà il Giappone era molto popolato già diversi secoli fa, e il suo «segreto» sta soprattutto in tre elementi favorevoli: suolo, clima e mare. Il suolo delle piccole pianure giapponesi è molto fertile, anche a causa dell’origine vulcanica, e il clima è nel complesso favorevole, per la presenza del mare che attenua il freddo dell’inverno. Inoltre non c’è siccità, grazie al monsone estivo che porta abbondanti piogge e al vento freddo invernale che giunge dalla Siberia carico di umidità, rovesciando, specie a nord, nevi abbondanti. Hokkaido e il nord di Honshu hanno inverni freddi e lunghi. Qui dominano la foresta di conifere e, tra le piante coltivate, il riso si alterna al grano, alla patata, alla soia; è diffuso l’allevamento. La parte centrale di Honshu ha un clima più temperato, che permette buoni raccolti di riso, tè e gelso; nella parte meridionale e nelle altre due isole il riso domina sovrano. Il 64% del territorio giapponese è coperto da foreste, dalla foresta boreale a nord fi no a quella tropicale a sud. Questo vasto patrimonio fornisce legname da ardere, cellulosa, legno pregiato da lavoro e da costruzione.

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Tutt’intorno al Giappone, il mare, grazie all’incontro di forti correnti marine calde e fredde, è ricco di pesce, alghe commestibili, perle e coralli. Da esso i giapponesi hanno sempre tratto le proteine necessarie alla loro alimentazione: solo in tempi recenti è aumentato il consumo di carne. Queste risorse hanno permesso per secoli la sopravvivenza di una popolazione assai numerosa su un territorio non molto vasto e in gran parte non adatto agli insediamenti umani. Terremoti e tsunami L’arcipelago giapponese è un esempio di arco insulare, costituito da isole vulcaniche che si formano in una zona dove due placche oceaniche convergono e una scivola

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sotto l’altra. Nella zona dove le due placche si incontrano si forma un profondo abisso detto fossa oceanica, che corre parallelamente all’arco insulare. Dal lato verso l’Oceano Pacifico, infatti, l’arcipelago giapponese si affaccia su fosse oceaniche tra le più profonde del mondo (oltre i 10000 metri): Fossa delle Curili, Fossa del Giappone. Queste zone di incontro tra placche sono instabili, con frequenti terremoti e maremoti, o tsunami come gli studiosi preferiscono chiamarli con un termine, appunto, giapponese. Gli tsunami sono causati da movimenti sismici sul fondo marino che generano enormi onde (alte anche più di 20 metri); queste si abbattono violentemente sulla riva, con conseguenze catastrofi che. In Giappone sono frequenti terremoti e tsunami di notevole violenza; per questo motivo il Giappone è, tra tutti i paesi del mondo, quello che ha più investito in ricerche sulla possibilità (per adesso ancora lontana) di prevedere i terremoti. LE RELIGIONI Lo shintoismo è una religione nazionale molto antica e molto radicata: sono pochissimi, ancora oggi, i giapponesi che non si definiscano shintoisti. Ma essi hanno, nei confronti della religione, un atteggiamento diverso dal nostro, e così molti di loro si sentono anche buddisti, perché condividono diversi aspetti di questa dottrina. Alla lettera, Shinto significa «la via degli dèi». In origine, lo shintoismo era un insieme di venerazione animistica delle forze della natura, di culti agricoli che celebravano i raccolti e gli altri momenti della vita rurale, di culto degli antenati. Oggetto di una venerazione particolare era l’imperatore o Tenno («signore del cielo»), chiamato anche mikado, che si riteneva di origine divina. Con l’andare del tempo, l’insieme dei riti pubblici, e soprattutto di quelli legati alla fi gura dell’imperatore (per esempio, alla sua incoronazione), è diventato l’elemento principale dello shintoismo. Quando il potere imperiale venne restaurato, nel 1868, lo shintoismo venne proclamato religione di stato, e tale rimase fino alla fine della seconda guerra mondiale, quando l’imperatore Hirohito, che aveva portato il paese alla guerra e alla sconfitta militare, fu costretto dalle potenze vincitrici a compiere una «dichiarazione di umanità», e cioè a rinunciare alle proprie origini divine. Gli ideali etici dello shintoismo, che erano quelli dei samurai, sono la fedeltà ai propri doveri e all’imperatore, l’amore per la nazione, l’austerità e l’autocontrollo, il coraggio e lo sprezzo della morte. Allo shintoismo, dal VI secolo d.C., si affiancò il buddismo, dottrina etica e filosofica predicata da Buddha, arrivata dalla Cina. In Giappone si diffuse in particolare una corrente di questa dottrina, quella Mahayana, il cui ideale supremo è la «compassione». Un’altra forma di adattamento del buddismo alla cultura tradizionale giapponese è avvenuta soprattutto attraverso la scuola zen, che privilegia in particolare la «meditazione stando seduti». Nella meditazione zen, il samurai trovava la concentrazione necessaria ad affrontare il combattimento, fino a sentirsi imbattibile e a dominare totalmente la paura della morte. Così, una religione che era stata (e che

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pure continuò a essere per molti) religione di pace e di non-violenza, fu anche (almeno con una delle sue scuole) uno degli strumenti dell’addestramento del guerriero. E ancora, il buddismo zen influenzò molte delle creazioni più tipiche della cultura giapponese, fatte di disciplina del corpo e dello spirito e di ritualità rigorosa: dallo judo alla scherma, dalla cerimonia del tè all’arte di disporre i fi ori (ikebana), fi no a buona parte della produzione artistica vera e propria. Dalla Cina arrivò in Giappone anche il confucianesimo, che più che una religione è un insieme di principi morali. Il principio ordinatore di tutto, secondo questa dottrina, è l’«armonia»: l’ideologia confuciana è incorporata nei libri scolastici affinché i ragazzi siano stimolati dalle norme morali a sviluppare un forte senso di responsabilità. Il confucianesimo in Giappone si è strettamente legato allo shintoismo, dando luogo a una morale civile che mette al primo posto valori comuni: il rispetto e l’amore dei fi gli per i genitori, il senso dell’onore, la lealtà dell’individuo nei confronti del gruppo. Uno spazio molto importante è riservato al culto delle forme, ai cerimoniali, al rispetto dell’«etichetta». Il cristianesimo, invece, ha fatto la sua prima comparsa con i missionari gesuiti nel XVII secolo e si è poi ripresentato, facendo un certo numero di proseliti, alla fi ne del XIX secolo. Oggi in Giappone più del 90% della popolazione si dichiara shintoista e buddista, l’1,2% cristiana e l’8% pratica altre religioni. I giapponesi vivono in città Circa il 66% dei giapponesi vive in città: una percentuale alta tra i paesi asiatici. Dal 1920 a oggi, le campagne si sono molto spopolate (con danno all’agricoltura), mentre le città hanno guadagnato decine di milioni di abitanti. Più della metà dei giapponesi vive in una stretta fascia che va da Tokyo, nell’isola di Honshu, a Kitakyushu, nell’isola di Kyushu. Su questa fascia si succedono, da nordest a sudovest, quattro grandi aree urbane: � Tokyo-Yokohama-Kawasaki, il maggior agglomerato urbano del mondo con oltre 33 milioni di abitanti; � Nagoya, con oltre 9 milioni; � Osaka-Kobe-Kyoto, con 17; � Kitakyushu con 2. Ma gli spazi intermedi, ancora occupati da risaie, tendono a riempirsi rapidamente, e presto tutta la fascia sarà, senza soluzione di continuità, un’immensa megalopoli, capace di contendere il primato a quella di New York (che comprende anche Boston, Philadelphia e Washington). Nella prefettura di Tokyo, che è grande come la provincia di Padova, la densità è di ben 5955 abitanti per km2! Nell’isola settentrionale di Hokkaido, la cui colonizzazione è recente, ci sono abitazioni più adatte ad affrontare i rigori del clima. Tuttavia, nell’insieme del Giappone, è ancora largamente diffusa la casa tradizionale, costruita in prevalenza con materiali vegetali (legno, paglia, carta). Le zone centrali delle grandi città hanno invece un aspetto che ricorda quello delle metropoli americane: grandi magazzini,

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vetrine lussuose e, soprattutto, una pubblicità ossessiva, che tende al colossale nei cartelloni multicolori e nelle insegne luminose. Le vie di comunicazione Il sovraffollamento delle città giapponesi ha reso particolarmente acuto il problema delle comunicazioni, e ha arricchito il paesaggio urbano di nuovi elementi. A Tokyo si trova la metropolitana che trasporta ogni giorno più passeggeri al mondo (circa 8 milioni secondo alcune stime). Il tragitto medio di un pendolare, dall’abitazione al luogo di lavoro, dura poco meno di quattro ore fra andata e ritorno. Il problema della congestione del traffico non riguarda solo l’interno delle città, ma anche le comunicazioni tra le diverse località, nonostante il forte sviluppo della rete ferroviaria e l’abbondanza di porti e aeroporti. Quasi un terzo dei trasporti di passeggeri avvengono via treno e la rete ferroviaria giapponese è tra le più utilizzate al mondo: nel 2007 ha trasportato quasi 23 miliardi di passeggeri, cioè oltre 60 milioni al giorno. Le linee Shinkansen viaggiano a una media di oltre 200 km/h e possono superare i 440 km/h; tra Tokyo e Osaka partono ogni ora 10 treni, alcuni dei quali coprono i 515 km tra le due città in meno di due ore e mezza. Sono allo studio treni a levitazione magnetica, sollevati da terra, che possono superare i 580 km/h. Il Giappone ha diversi aeroporti molto importanti; tra cui quelli di Tokyo (Narita) e dell’area Osaka/Kobe/Kyoto (Kansai), costruito su progetto dell’architetto italiano Renzo Piano. Una doppia galleria sottomarina, stradale e ferroviaria, collega le isole di Honshu e Kyushu. Un’altra, inaugurata più di recente, collega Honshu e Hokkaido; con quasi 54 km, è la più lunga galleria sottomarina del mondo. La politica interna Il Giappone è una monarchia costituzionale; Capo dello stato è l’imperatore, che ha però un potere quasi solo nominale. Della Dieta (il Parlamento, bicamerale) fanno parte diversi partiti, dall’estrema destra ai socialisti e ai comunisti, passando per alcune formazioni buddiste. Per decenni è stato al governo il Partito liberaldemocratico, una sorta di grande partito centrista; ma nel 2009 lo ha sostituito il Partito democratico. L'ECONOMIA L’agricoltura e la pesca Solo il 13% del territorio giapponese è coltivabile. A questo problema si è cercato di ovviare con la polderizzazione, vale a dire riempiendo e prosciugando bacini di mare per conquistarli alle coltivazioni e alle fabbriche. I fertili suoli di origine vulcanica, ma anche l’uso di conci- mi chimici e macchinari, biotecnologie e agri- genetica, permettono rendimenti per ettaro tra i più alti del mondo e una gran varietà

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di prodotti. Tuttavia, salvo per quanto riguarda il riso, il Giappone non raggiunge l’autosufficienza alimentare, e deve importare circa un quarto del suo fabbisogno. Oltre al riso si coltivano frumento, legumi, ortaggi, patate, soia, agrumi, tè, e il gelso, utilizzato come nutrimento dei bachi da seta. Il Giappone produce quasi il 10% della seta greggia di tutto il mondo, anche se ha oggi perso il primato del passato, essendo superato dalla Cina e dall’India. Le foreste forniscono abbondante legname. L’allevamento è poco diffuso, mentre è importante la pesca (pesci, molluschi, crostacei). La caccia alle balene è stata proibita da una moratoria internazionale negli anni ’80 a causa del rischio di estinzione di questi mammiferi. Il Giappone è al centro di polemiche perché concede l’uccisione di balene quando sono presenti scopi scientifici, e si ritiene che molte balene vengano uccise a scopi commerciali usando come copertura false finalità scientifiche. L’industria e i servizi Le risorse idroelettriche sono relativamente abbondanti. Ma le risorse del sottosuolo giapponese sono scarse, con l’eccezione del carbone, la cui estrazione è peraltro in declino. Perciò il Giappone è costretto a importare le materie prime, anche energetiche, di cui la sua industria ha bisogno: è il primo importatore mondiale di carbone, il secondo importatore di petrolio dopo gli Stati Uniti e il terzo di gas naturale dopo Germania e Usa. Per ridurre la dipendenza energetica dall’estero, si è puntato su fonti di energia «pulita», ossia solare, eolica e prodotta dalle maree. Inoltre sono state costruite numerose centrali nucleari (nel 2009 ce n’erano 55 in funzione, più altre in costruzione o progettazione), che forniscono quasi un quarto dell’energia elettrica del paese. Il Giappone è il terzo produttore mondiale di energia nucleare dopo Stati Uniti e Francia, e anche il terzo produttore mondiale di energia elettrica (il primo di energia elettrica ottenuta dal petrolio). Lo sviluppo industriale copre tutti i settori, da quelli più tradizionali ai più moderni e sofisticati. Il Giappone è il primo produttore mondiale di autovetture: quasi 10 milioni nel 2008, oltre dieci volte la produzione italiana. Tra le maggiori aziende produttrici di autoveicoli, Toyota (la più grande al mondo), Honda, Nissan, Suzuki, Mazda, Mitsubishi. Il paese è al primo posto anche nelle costruzioni navali: quasi la metà delle navi costruite in tutto il mondo sono giapponesi. Un altro settore importante a livello mondiale è quello dell’elettronica, con giganti come Sony, Toshiba, Hitachi, Panasonic. La Sony ha anche acquistato, negli Stati Uniti, la gloriosa società di produzione cinematografica Columbia Pictures e importanti case discografiche: oggi controlla una buona fetta del mercato americano del cinema e discografico. Importante è anche la produzione di ghisa, acciaio, pneumatici, benzina, carta e tessuti di lana.

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La Borsa di Tokyo è, con New York e Londra, una delle maggiori del mondo e lo yen, la moneta giapponese, è una delle più importanti. Sono giapponesi alcuni dei maggiori gruppi finanziari mondiali (Mitsubishi, Mizuho, Sumitomo). Bastano queste poche indicazioni per far capire come il Giappone, paese asiatico, sia in realtà ai livelli di sviluppo dei paesi economicamente avanzati dell’Europa e dell’America del Nord. È un fatto, questo, confermato dalla distribuzione percentuale della forza lavoro giapponese nei tre grandi settori: il 4% in agricoltura (contro il 50-60% di molti paesi asiatici), il 27% nell’industria, il 69% nei servizi. Il successo del Giappone è dovuto anche al suo primato tecnologico, risultato dei forti investimenti nella ricerca e nell’innovazione. Il Giappone è sede di numerose aziende multinazionali e investe molto in paesi stranieri. Come gli Stati Uniti e i paesi europei più avanzati, anche il Giappone ha portato molte delle sue produzioni (ha «delocalizzato») in altri stati asiatici, soprattutto in diversi paesi dell’Asia meridionale e orientale, dove la manodopera è qualificata, ma molto meno costosa. Considerevoli sono gli investimenti giapponesi in Cina, paese che con gli Stati Uniti è il principale partner commerciale del Giappone. Le banche e le grandi compagnie si sono indirizzate anche verso gli Stati Uniti e il Canada; è minore invece, anche se tende a crescere, la presenza diretta dei giapponesi in Europa. Anche per limitare l’inquinamento provocato dalle industrie, molti impianti inquinanti sono stati trasferiti all’estero, mentre in Giappone rimangono le industrie tecnologicamente più avanzate. I giapponesi non si limitano a investire nella produzione industriale, ma acquistano anche beni immobili in tutti i continenti, in alcuni casi per farne le sedi di filiali delle grandi compagnie, o centri commerciali o turistici, soprattutto negli Stati Uniti. Sono anche molto attivi sul mercato internazionale dell’arte. Tuttavia, rispetto ai grandi successi di qualche decennio fa, l’economia giapponese ha conosciuto un certo declino a partire dalla crisi asiatica degli anni Ottanta, dalla quale non si è mai ripresa del tutto. È significativo che, pur rimanendo il Giappone tra i principali paesi sviluppati del mondo, la sua economia si sia vista sopravanzare nel corso del 2010 da quella cinese. Il PIL in termini assoluti (non pro capite, cioè) della Cina la pone oggi al secondo posto nella classifica mondiale alle spalle degli Stati Uniti, mentre il Giappone è sceso al terzo. Il sistema giapponese e l’attaccamento dei lavoratori all’azienda L’industria giapponese è divisa abbastanza nettamente in due gruppi: le grandi imprese, gestite più o meno direttamente dalle keiret-su – potenti gruppi economici formati in genere da una banca, una società commerciale, una compagnia di assicurazioni e un numero variabile di industrie –, che dominano l’economia del paese, e una moltitudine di piccole e medie aziende che spesso lavorano per conto delle grandi. Ci sono forti variazioni salariali tra le fabbriche grandi e le piccole e medie, e anche tra settore e settore. In un paese in cui l’orgoglio nazionale è molto

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forte, così come il senso di frustrazione per la sconfitta subìta in guerra, l’ideologia che ha accompagnato lo sviluppo economico (avvenuto a un ritmo superiore a quello di ogni altro paese capitalista) voleva che gli operai lavorassero soprattutto per la rinascita e la gloria della patria. Ciò che contraddistingue il sistema giapponese è l’attaccamento dei lavoratori all’azienda. Il modello della fabbrica giapponese è stato per decenni quello della «grande famiglia», dominata da un profondo senso della gerarchia e da una lealtà totale verso l’azienda. Questo senso di appartenenza de-gli operai alla fabbrica ha sempre comportato una scarsa mobilità del lavoro, per cui in Giappone è normale che si dedichi tutta la propria esistenza alla stessa azienda. Inoltre la disciplina è rigorosa e i ritmi di lavoro elevati; sono frequenti le malattie professionali. La quantità di ore lavorate, i pochi giorni di vacanza e le molte ore passate sui mezzi di trasporto riducono di molto le dimensioni della vita privata e familiare. In questo tipo di organizzazione del lavo-ro, di rapporti tra impresa, dirigenti e lavoratori, si trova, secondo molti studiosi, uno dei segreti del successo giapponese. Da qualche tempo, il modello tradizionale di organizzazione del lavoro comincia a cambiare, perché i giovani aspirano a salari più elevati, e soprattutto sono disposti ad accettare un lavoro che dia una maggiore incertezza purché lasci più tempo libero. Contemporaneamente è aumentata l’attenzione verso gli incidenti sul lavoro e le morti da stress lavorativo di operai e dirigenti. Si dà maggiore attenzione ai problemi ecologici. Si diffonde, attraverso libri e film, ma anche viaggi e contatti diretti, l’influenza culturale europea e americana. Tuttavia il Giappone è lontano dal lasciarsi «occidentalizzare», e valori come il dovere, la lealtà, la gerarchia continuano a caratterizzare la società giapponese.